Schizofrenia e funzioni cognitive

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Schizofrenia e funzioni cognitive
Rassegna
Schizofrenia e funzioni cognitive:
una revisione critica della letteratura
1. Modelli sperimentali e valutazione dei deficit cognitivi
Schizophrenia and cognitive functioning:
1. Experimental models and assessment of cognitive deficits
JAMES GOLD1, GIOVANNI DE GIROLAMO2, LUISA BRAMBILLA4, STEFANO CAPPA3,
FAUSTO MAZZI5, KATHY O’DONNELL5, VALNEA SCALA4, ROSARIA PIOLI4
1
Department of Psychiatry, Maryland Psychiatric Research Centre, Baltimora (USA) 2Istituto Superiore di Sanità, Progetto Nazionale
Salute Mentale, Roma 3Facoltà di Psicologia, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano 4Centro S. Giovanni di Dio, Fatebenefratelli
IRCCS, Brescia 5Istituto di Clinica Psichiatrica, Università di Modena e Reggio Emilia
RIASSUNTO. L’obiettivo di questo contributo è di proporre una revisione critica delle conoscenze relative alle funzioni cognitive nella relazone e di presentare i più significativi risultati ottenuti nella ricerca in questa area, in particolare negli ultimi 15 anni, suddivisi in rapporto alle singole funzioni cognitive. L’ampio corpus di ricerche condotto negli ultimi 50 anni mostra con chiarezza che una menomazione cognitiva significativa nella schizofrenia rappresenta pressoché la norma. I deficit
cognitivi insorgono precocemente, molto spesso prima dell’esordio conclamato del disturbo, indicando quindi una predisposizione allo sviluppo della patologia stessa. I pazienti con schizofrenia condividono con i parenti di primo grado alcuni deficit cognitivi che tuttavia, sono molto più estese e gravi ed appaiono, inoltre, più gravi al momento dell’esordio schizofrenico.
Oltre a ridotte funzioni intellettive generali, alcune aree sono più marcatamente deteriorate: nell’ambito dell’attenzione, sembrano maggiormente compromesse l’attenzione selettiva, l’attenzione sostenuta, lo span di attenzione, lo shift dell’attenzione
ed i meccanismi preattentivi; il deterioramento della funzionalità mnestica si evidenzia principalmente nell’ambito della memoria episodica, della memoria verbale e di quella di lavoro. Anche l’area delle funzioni esecutive appare marcatamente deteriorata. I deficit cognitivi rappresentano pertanto una caratteristica centrale della schizofrenia, e la ricerca su di essi dovrà
essere rinforzata anche allo scopo di individuare dei marker altamente specifici di vulnerabilità, i quali potrebbero aprire la
strada a vari modelli di intervento precoce.
PAROLE CHIAVE: schizofrenia, funzioni cognitive, valutazione neuropsicologica
SUMMARY. The present article critically reviews the current knowledge in the area of cognitive functions in schizophrenia. Data from the most important studies conducted in the past 15 years are presented, grouped according to specific cognitive functions. The large body of research carried out over the last 50 years clearly demonstrates the presence
of a significant cognitive impairment in patients with schizophrenia. Cognitive deficits present early on, usually even
before the visible onset of the disease itself, thus indicating a predisposition for the development of schizophrenia. Cognitive
deficits have also been found to be present in first-degree relatives of patients with schizophrenia, although less
extensive and severe as in patients suffering from the disorder; moreover, at the first psychotic breakdown, cognitive deficits appear to get worse. In addition to a reduction in general intellectual functioning, other areas are also impaired, including selective attention, sustained attention, attention span, attention shifting and pre-attentive functions; memory
deficits are seen mainly in the area of episodic, verbal and working memory. The area of executive functions seems to be impaired as well. Cognitive deficits represent a central feature of schizophrenia and research in this field should
be targetted at identifying highly specific markers of vulnerability which could open the way for early therapeutic interventions.
KEY WORDS: schizophrenia, cognitive functioning, neuropsychological valutation
E-mail: [email protected]
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Gold J, et al
INTRODUZIONE
saranno analizzate le principali implicazioni funzionali che tali deficit rivestono e le prospettive di trattamento.
Benché alcune disfunzioni cognitive in pazienti con
schizofrenia fossero state segnalate già in occasione
della prima descrizione della malattia fornita da Kraepelin (1), l’ipotesi secondo cui queste potessero costituirne un aspetto primario riscosse un credito molto limitato. Le ipotesi sviluppate successivamente tendevano ad attribuire i deficit cognitivi a fattori quali la scarsa motivazione, i disturbi del pensiero e/o le allucinazioni, la menomazione funzionale conseguente ai sintomi positivi e gli effetti iatrogeni dell’istituzionalizzazione.
Nel corso degli anni ’80, è stata formulata l’ipotesi
che la schizofrenia rappresenti una possibile conseguenza a lungo termine di una anomalia precoce dello sviluppo neuronale (cosiddetto modello del ‘neurosviluppo’). Questo modello, che vede la schizofrenia come un disturbo dello sviluppo prenatale e postnatale di origine neuroevolutivo, ha costituito il punto di partenza per una serie di studi in cui la malattia
è stata indagata in una prospettiva neurocognitiva.
Anche le ricerche di brain imaging funzionale e strutturale, insieme alle indagini neuropatologiche, tendono a confermare un modello che interpreta la schizofrenia come una patologia della neocorteccia, il cui
ruolo principale, prettamente cognitivo, è rappresentato dall’elaborazione delle informazioni. Queste ricerche hanno introdotto un nuovo punto di vista relativamente alle disfunzioni cognitive, facendo ipotizzare che queste rappresentino una caratteristica centrale e persistente della malattia, nonché uno dei sintomi più importanti in relazione alla menomazione
del funzionamento psicosociale ed alle disabilità che
ne derivano.
Va aggiunto che, in parallelo sia con l’introduzione
dei nuovi farmaci antipsicotici atipici che con il raffinarsi delle tecniche riabilitative, si è sviluppata una
crescente mole di ricerche che ha l’obiettivo di valutare l’impatto del trattamento, sia farmacologico che
psicosociale, sulle performance neurocognitive, che
rappresentano una importante dimensione dell’esito
funzionale complessivo. Nel caso del trattamento farmacologico, la valutazione degli effetti osservati sulle
performance cognitive potrebbe rappresentare un
utile indicatore prossimale dell’impatto che le nuove
molecole ad attività antipsicotica hanno sull’esito
funzionale a lungo termine. L’obiettivo di questo contributo, suddiviso in due parti, è quindi di rivedere
criticamente la letteratura relativa alle funzioni cognitive nella schizofrenia: nella prima parte saranno
discusse le principali evidenze relative agli specifici
deficit cognitivi esistenti, mentre nella seconda parte
DALLE PRIME FORMULAZIONI TEORICHE AI
MODELLI SPECIFICI
Benché già Kraepelin (1) avesse formulato una sofisticata descrizione dei vari sottotipi di disturbi dell’attenzione presenti nella schizofrenia, è stato tuttavia
Bleuler (2) che ha fornito il contributo storicamente
più rilevante alla caratterizzazione dei deficit neurocognitivi della schizofrenia, per come essi sono attualmente concettualizzati. Egli sostenne che i disturbi primari delle funzioni cognitive elementari rappresentavano i fattori determinanti dei cosiddetti disturbi del
pensiero dei pazienti con schizofrenia. Secondo Bleuler (2), il disturbo dell’attenzione passiva assomigliava
più al ritiro sociale o alla scarsa sensibilità di risposta
all’ambiente esterno: “è evidente che i pazienti indifferenti o autistici prestano pochissima attenzione al mondo esterno”. Le altre alterazioni dei disturbi dell’attenzione, descritti da Bleuler (2), erano maggiormente assimilabili ai deficit dell’attenzione sostenuta: “la tendenza generale ad affaticarsi in alcuni casi comporta
anche una rapida diminuzione dell’attenzione”.
Nel suo lavoro, Bleuler non solo distinse i sintomi
della schizofrenia in fondamentali e accessori ma suddivise, inoltre, i sintomi fondamentali in semplici e
complessi, essendo questi ultimi derivati dall’integrazione dei primi. In questo modo egli ipotizzò che talune disfunzioni essenziali potessero essere aggregate ai
sintomi complessi, includendo in questi anche i disturbi dell’attenzione. Per comprendere la natura della
schizofrenia era quindi necessario, a giudizio di Bleuler,
focalizzarsi su quei sintomi perduranti nel tempo, definiti fondamentali, che costituiscono il nucleo centrale
della malattia: di questi fanno parte, fra l’altro, anche i
disturbi dell’attenzione.
Nonostante Bleuler (2) avesse già allora identificato
gli aspetti primari e secondari della schizofrenia, elaborando un modello interpretativo che rappresenta
tuttora il punto di partenza degli studi riguardanti le
disfunzioni cognitive, in seguito il suo lavoro non è stato tenuto in adeguata considerazione.
Attualmente vi è consenso tra i ricercatori circa il fatto che i deficit cognitivi tendono ad essere relativamente indipendenti dalla sintomatologia psicotica; in
particolare, i sintomi negativi tendono ad essere più
fortemente correlati con le performance cognitive rispetto ai sintomi positivi (3). Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di correlazioni tra specifici deficit
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cognitivi e differenti pattern sintomatologici: infatti, le
valutazioni della sintomatologia negativa possono covariare in relazione a quelle relative alle funzioni esecutive ed alle abilità visuo-motorie, mentre i sintomi
positivi tendono ad essere correlati alle misure di distraibilità uditiva e ad altre forme di processi uditivi
(4). Sebbene le manifestazioni estreme della sintomatologia psicotica abbiano un grosso impatto sulle
performance cognitive, e rendano quindi poco valide ed
attendibili le valutazioni effettuate in quelle condizioni,
quando si consideri un’espressività sintomatologica che
permetta un’adeguata partecipazione del paziente all’esecuzione di test cognitivi, emerge che la fluttuazione del livello sintomatologico stesso non sembra rappresentare la variabile critica per il livello di performance ai test eseguiti. Quindi, se si ipotizza che non è la
sintomatologia propria della schizofrenia a causare il
deterioramento cognitivo, si deve pensare che questi
due domini riflettano differenti aspetti della sottostante matrice neurobiologica del disturbo in questione.
diversi sottogruppi di pazienti, ciascuno dei quali caratterizzato da una diversa costellazione di deficit cognitivi in rapporto ai circuiti neuronali compromessi
(8); va tuttavia sottolineato che, al momento, le evidenze disponibili non supportano in maniera adeguata
l’ipotesi di differenti sottogruppi della malattia così
identificati.
Vi sono inoltre due aree di evidenza indipendenti che
mostrano come i deficit cognitivi siano relativamente
indipendenti dalla sintomatologia psicotica: in primo
luogo, il riscontro di deficit cognitivi prima dell’esordio
della malattia; in secondo luogo, il fatto che anche in
parenti di primo grado, non psicotici, di pazienti con
schizofrenia è stato evidenziato un deficit cognitivo di
lieve entità, e che tale deficit riflette anche quantitativamente il grado di predisposizione genetica alla malattia (9, 10, 11). Per quanto riguarda il riscontro di deficit cognitivi evidenziabile molto prima dell’esordio
della malattia, Jones et al. (12), utilizzando i dati di un
monumentale studio inglese prospettico, in cui sono
stati esaminate e seguite, nell’arco di vari decenni, oltre
5.000 persone nate in una settimana del marzo 1946 in
Gran Bretagna, hanno trovato che coloro i quali avevano successivamente sviluppato un disturbo schizofrenico mostravano già all’età di 8 anni dei deficit a vari test di memoria verbale e non-verbale e, dall’età di 11 anni, deficit a test di valutazione delle abilità matematicoaritmetiche. Risultati simili, indicativi di deficit cognitivi preesistenti all’esordio del disturbo, sono emersi dalla ri-analisi delle performance esibite a vari test cognitivi da un campione di oltre 50.000 costritti in Svezia,
tra i quali 195 risultarono successivamente affetti da un
disturbo schizofrenico (13) e dallo studio prospettico
condotto su una coorte di quasi 8.000 individui nell’ambito del “National Collaborative Perinatal
Project”; in questa coorte, i 72 individui che divennero
poi affetti da un disturbo schizofrenico e 63 fratelli o
sorelle non malati presentavano, già all’età di 4 e di 7
anni, delle performance peggiori a vari test cognitivi di
tipo verbale e non-verbale in confronto ai soggetti che
successivamente non si ammalarono (14).
Sembra inoltre che i deficit cognitivi presenti al momento dell’iniziale sviluppo, non manifesto, della malattia nei pazienti che poi svilupperanno la sindrome in
maniera florida, si approfondiscano e diventino più visibili al momento dell’esordio psicotico (9, 15, 16).
La ricerca neuropsicologica si è poi dedicata allo studio di una eventuale lateralizzazione alla base del disturbo schizofrenico. Sebbene siano state ipotizzate alterazioni sia dell’emisfero sinistro (17, 18) che di quello destro (19), altri studi (20, 21) hanno suggerito che
le alterazioni neurocognitive della schizofrenia siano
maggiormente correlate ad un coinvolgimento delle
IL MODELLO NEUROPSICOLOGICO
Dopo i lavori iniziali di Kraepelin (1) e di Bleuler
(2), le ricerche sulle funzioni neurocognitive della schizofrenia hanno seguito prevalentemente due indirizzi
diversi, riconducibili il primo alla neuropsicologia clinica, l’altro alla psicologia sperimentale. Nell’ambito
del primo modello, Heaton et al., nel 1978, pubblicarono la prima revisione della letteratura volta a stabilire
se era possibile riscontrare delle differenze tra i pazienti con schizofrenia e quelli affetti da altri disturbi
psichiatrici o da lesioni cerebrali di chiara origine organica. In questa revisione, relativa a 94 studi condotti
sino ad allora, Heaton et al. (5) conclusero che era possibile, attraverso specifici test neuropsicologici, differenziare chiaramente i pazienti affetti da altri disturbi
psichiatrici (come disturbi depressivi o d’ansia), mentre non era altrettanto possibile riscontrare una chiara
differenza tra i pazienti con schizofrenia e quelli che
soffrivano di lesioni cerebrali di varia natura; pertanto,
questi Autori conclusero che la schizofrenia poteva essere considerata come una forma, seppur aspecifica, di
danno cerebrale.
La ricerca successiva si è però soprattutto indirizzata a caratterizzare la schizofrenia come un disturbo
primario delle funzioni fronto-temporali, e sono stati
così condotti studi che hanno messo in luce la presenza di deficit della memoria verbale (6), della capacità
di astrazione, delle capacità di problem solving e di altre funzioni cognitive tipiche delle aree prefrontali (7).
Alcuni Autori hanno anche ipotizzato l’esistenza di
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regioni cerebrali anteriori piuttosto che di quelle posteriori, o soprattutto alle strutture mediali e inferiori,
come la corteccia temporale o le regioni ippocampali
bilaterali.
Anche se i risultati ottenuti attraverso la valutazione
neuropsicologica fanno ipotizzare una disfunzione dei
lobi fronto-temporali, è importante sottolineare che in
altre condizioni cliniche lesioni focali di queste aree inducono deficit specifici accompagnati da normali
performance in altri domini cognitivi. Nella schizofrenia, invece, la maggior parte delle funzioni cognitive
valutate è caratterizzata da bassi livelli di performance,
con deficit più accentuati nelle prove riguardanti l’attenzione, le funzioni esecutive e la memoria episodica.
zienti con schizofrenia sono presenti e dimostrabili
deficit cognitivi multipli e di differente gravità. Una
recente, estensiva meta-analisi, che ha sintetizzato i
risultati di ben 204 differenti studi condotti su un totale di 7.420 pazienti con schizofrenia confrontati a
5.865 controlli sani ha mostrato con chiarezza questo
dato (22): i risultati di questa meta-analisi sono mostrati nella Tabella 1. Si può vedere chiaramente che
la memoria verbale globale rappresenta l’area più
compromessa, ma che deficit sono emersi a tutti i 22
test o costrutti studiati e ri-analizzati nella meta-analisi di Heinrichs e Zaknakis (22). Nelle sezioni che seguono verranno presentati e discussi i principali risultati emersi nelle ricerche relative alle specifiche aree
o funzioni cognitive.
IL MODELLO DELLA PSICOLOGIA
SPERIMENTALE
INTELLIGENZA
Il secondo approccio, quello della psicologia sperimentale, ha cercato invece di caratterizzare e comprendere la natura dei deficit cognitivi, cercando di
identificare e differenziare i deficit cognitivi che costituiscono parte integrante del disturbo da quelli che sono invece il risultato di altri fattori, in particolare di
fattori correlati all’elaborazione delle informazioni.
Tali modelli tentano di ricostruire un percorso che
parte dagli stadi iniziali di acquisizione delle informazioni, comprende la loro elaborazione a livelli più elevati, e giunge alla traduzione delle informazioni in un
comportamento osservabile. Secondo questo modello,
i pazienti con schizofrenia manifestano alterazioni a
tutti i livelli della processazione delle informazioni
stesse. Un gran numero di ricerche sono state condotte utilizzando questo modello, sviluppato negli anni ’60
e ’70 per studiare la cognizione normale; l’obiettivo
fondamentale di queste ricerche era di identificare una
menomazione singola e specifica della processazione
delle informazioni. I risultati ottenuti nel corso degli
anni hanno però mostrato che i deficit nella processazione delle informazioni sono multipli, ed hanno quindi indotto numerosi ricercatori ad elaborare piuttosto
dei modelli centrati sulla nozione di “capacità” nella
processazione delle informazioni stesse, che sono molto più appropriati al fine di spiegare la presenza di deficit multipli (vedasi più avanti per una discussione più
approfondita).
La capacità intellettiva può essere considerata una
funzione cognitiva globale, in quanto le scale che misurano il quoziente intellettivo (QI) sono generalmente multifattoriali e non valutano né funzioni cognitive
specifiche, né sono associate in generale con specifiche
aree cerebrali.
Tabella 1. Risultati della meta-analisi di Heinrichs e Zaknakis
(1998) di 204 studi relativi alla menomazioni cognitive nella
schizofrenia (7.420 pazienti e 5.865 controlli) (tratta da
O’Carroll, 2000)
UNA VISIONE D’INSIEME DEI DEFICIT COGNITIVI
Test o costrutto
DE
DS
N. Studi
Memoria verbale globale
Abilità motorie bilaterali
Quoziente Intellettivo
Continuous Performance Test
Fluenza verbale
Test di Stroop
QI alla WAIS-R
Token
Test tattile-trasferimento
Memoria verbale selettiva
WCST
QI verbale
Abilità motorie unilaterali
Trail Making Test - Parte B
Memoria non verbale
Trail Making Test - Parte A
Riconoscimento facciale
Digit span
Orientamento delle linee
QI non-WAIS-R
Vocabolario
Disegno a blocchi
1.41
1.30
1.26
1.16
1.15
1.11
1.10
0.98
0.98
0.90
0.88
0.88
0.86
0.80
0.74
0.70
0.61
0.61
0.60
0.59
0.53
0.46
0.59
0.38
1.00
0.49
1.00
0.49
0.72
0.49
1.71
0.62
0.41
0.66
0.39
0.50
1.98
0.36
0.36
0.43
0.63
0.51
0.21
0.39
32
5
17
14
29
6
35
7
12
7
43
27
6
15
14
12
8
18
4
43
38
12
DE = Dimensione dell’effetto, ossia livello medio di menomazione espresso in unità di deviazioni standard nel confronto tra
pazienti e controlli sani
DS = Deviazione Standard
Considerate nel loro insieme, le numerose evidenze
oggi disponibili convergono nell’indicare che nei pa-
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Nella maggior parte dei pazienti con schizofrenia è
stata osservata una riduzione di questa funzione intellettiva generale (23). Il rischio di ammalarsi di schizofrenia è maggiore in persone con un basso QI, come è
stato mostrato in maniera molto chiara in una ricerca
condotta in un ampio campione di coscritti militari in
Svezia (13). Questo dato è confermato da studi condotti su gemelli monozigoti, di cui uno solo con schizofrenia: nei test di intelligenza, il gemello malato
conseguiva sistematicamente punteggi inferiori rispetto quello sano. Una riduzione del QI è stata anche osservata nei bambini che, successivamente, sviluppano
la malattia (23); tale riduzione tende ad aumentare con
l’insorgere della malattia ed a rimanere poi stabile
(24). Tuttavia, una riduzione del QI non rappresenta
una caratteristica “universale” di tutti i pazienti con il
disturbo, mentre altri deficit, in particolare quelli delle
funzioni esecutive e dell’attenzione, costituiscono caratteristiche centrali della malattia, indipendenti dalle
variazioni del QI (25).
relativi alle funzioni cognitive normali (“capacity models” e “stage models”), nei pazienti lenti nell’abituazione gli stimoli che dovrebbero normalmente essere
ignorati dall’esecuzione centrale rappresentano invece
il focus dell’attenzione e distolgono l’esecuzione centrale dal compito principale; per i pazienti, invece, con
un’eccessiva abituazione, il processo di disabituazione
(orientamento) è deteriorato al punto che gli stimoli
non riescono a catturare il focus dell’attenzione quando normalmente dovrebbero.
Le anormalità dei processi attentivi nella schizofrenia includono dei processi percettivi molto precoci. Infatti, le persone affette da questo disturbo mostrano
una processazione più lenta di stimoli visivi singoli, come è dimostrato dal fenomero del “backward masking”. Questo fenomeno consiste nella presentazione
sequenziale di due immagini diverse, separate da un
breve intervallo: il primo stimolo, target, viene presentato per brevissimo tempo (circa 5-10 ms) ed è generalmente rappresentato da una lettera; il secondo è costituito da un insieme di X poste nello spazio dello
schermo precedentemente occupato dalla lettera ‘target’. Se il tempo che intercorre tra le due presentazioni è breve (meno di 100 ms), il soggetto non è più in
grado di identificare il target, in quanto le X mascherano lo stimolo. Questo effetto è comune in tutti gli individui, ma nei pazienti con schizofrenia esso è particolarmente accentuato in quanto probabilmente l’effetto intrusivo delle X è maggiore (28). Le ragioni precise di questo deficit non sono ben chiare, ma esso potrebbe essere spiegato con una difficoltà nella formazione di una rappresentazione interna (icona) dello stimolo percettivo.
L’attenzione selettiva è stata indagata soprattutto attraverso lo studio dei tempi di reazione (29). Nei pazienti con schizofrenia il tempo di reazione è più lungo
di quello riscontrato nei controlli relativamente a tutte
le modalità sensoriali, ed evidenzia un’incapacità nel
mantenere uno stato di prontezza nel rispondere agli
stimoli di arrivo. Il riscontro di questo deficit è molto robusto, con l’eccezione dei movimenti oculari saccadici.
Anche nelle ricerche relative ai tempi di reazione sono stati evidenziati dei deficit della prontezza: i pazienti non erano in grado di utilizzare in maniera normale serie regolari e predicibili di intervalli preparatori tra i segnali d’attesa e gli stimoli imperativi (30).
Questi paradigmi mostrano quindi che i pazienti spesso non sono in grado di utilizzare una varietà di segnali volti a facilitare sia le risposte evidenti che i processi
percettivi.
Anche le ricerche sull’attenzione sostenuta hanno
messo in evidenza la presenza di un deficit nei pazienti con schizofrenia, sia durante le fasi attive del distur-
ATTENZIONE
Già nelle prime descrizioni della fenomenologia clinica della schizofrenia veniva enfatizzato il deterioramento dell’attenzione volontaria. Da molti anni, questa osservazione clinica è stata supportata da studi sperimentali che hanno utilizzato un ampio numero di test di valutazione. Recenti ricerche neuropsicologiche
suggeriscono che l’attenzione non rappresenta un costrutto unitario ma che essa coinvolge, verosimilmente,
differenti componenti operative mediate da molteplici
aree del cervello (26). I dati disponibili fanno pensare
che molti, ma non tutti, i processi attenzionali (come
l’allerta, l’attenzione sostenuta, la rapida codifica e lo
spostamento) sono deteriorati a qualche livello nei pazienti con schizofrenia.
Alcuni Autori hanno anche riportato alterazioni dei
cosiddetti meccanismi pre-attentivi. Tale termine è stato utilizzato per indicare i meccanismi di regolazione
dell’input percettivo: circuiti neuronali di tipo inibitorio avrebbero il compito di modulare la percezione degli stimoli dell’ambiente interno ed esterno in rapporto alla loro rilevanza per il soggetto. I pazienti con schizofrenia presentano documentati deficit nei processi
definiti quali “abituazione” ed “orientamento”. Per
abituazione si intende la cessazione progressiva di una
reazione per la ripetuta presentazione di uno stimolo.
Alcuni pazienti sono lenti nell’abituarsi agli stimoli,
mentre altri mostrano un’abituazione eccessivamente
accelerata. Rifacendosi al paradigma proposto da
Cowan (27) che coniuga aspetti diversi di due modelli
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bo che nei periodi di remissione (31). Il paradigma più
utilizzato per studiare questa funzione è il “Continuous Performance Test” (CPT), in cui viene presentata al soggetto una sequenza di stimoli (lettere, numeri
o stimoli più complessi) in rapida successione, e gli viene chiesto di fornire una risposta all’apparire di uno di
essi, che sarà considerato lo stimolo target. Tipicamente i pazienti compiono un numero eccessivo di errori,
sia non rispondendo al target, sia rispondendo non correttamente agli stimoli non target. Sebbene il CPT rappresenti tipicamente un test per la valutazione dell’attenzione sostenuta, esso può evidenziare dei deficit sia
nell’attenzione selettiva che nel mantenimento della
prontezza a rispondere. Gli studi sui soggetti a rischio
hanno inoltre dimostrato che il deficit dell’attenzione
sostenuta è presente anche nei figli di pazienti con
schizofrenia (32).
Negli studi sull’estensione dell’attenzione, il paradigma più frequentemente utilizzato è lo “Span of Apprehension”, che rappresenta una misura delle quantità di informazione che può essere elaborata quando
viene presentata visivamente per un tempo molto breve. I pazienti con il disturbo non riescono ad elaborare
velocemente un’ampia quantità di dati: il compito richiesto al soggetto può essere, ad esempio, quello di
identificare una determinata lettera posta tra numerose altre lettere irrilevanti che appaiono simultaneamente. I pazienti affetti dal disturbo svolgono il compito in maniera adeguata con piccoli gruppi di lettere,
ma la loro performance si deteriora rapidamente con
stimoli più lunghi. Tutto ciò evidenzia l’incapacità dei
pazienti con schizofrenia di elaborare contemporaneamente quantità elevate di informazioni (33).
La relazione tra il deficit attentivo e la compromissione di molteplici, complessi processi cognitivi nella
schizofrenia rimane incerta. Altri gruppi di pazienti
con specifici disturbi attentivi, come gli adolescenti con
disturbo dell’attenzione ed iperattività (ADHD), normalmente non presentano deficit generalizzati. In un
recente studio, Oie et al. (33) hanno confrontato le
performance ad una vasta batteria neuropsicologica di
adolescenti all’esordio schizofrenico e di soggetti con
ADHD. Il gruppo di pazienti con schizofrenia ha mostrato deficit più pronunciati nei test di astrazione, di
memoria visiva e di funzioni motorie, mentre i soggetti con ADHD hanno esibito dei deficit maggiori nelle
misure dell’attenzione, della memoria verbale e dell’apprendimento. I soggetti con schizofrenia sembrano
quindi presentare un pattern più generale di disfunzione cerebrale. Il risultato dello studio di Oie et al. è particolarmente importante, in quanto esso dimostra che
la menomazione presente nella schizofrenia non può
essere agevolmente spiegata sulla base di un’anorma-
lità dei processi attentivi: infatti, il gruppo dei pazienti
con ADHD ha capacità attentive inferiori, ma nonostante ciò esibisce performance superiori a numerosi
test cognitivi che esplorano altri tipi di funzioni cognitive.
Inoltre, sembra che il trattamento con farmaci antipsicotici spesso migliori (senza tuttavia normalizzarle
completamente) le funzioni attentive, in particolare le
performance al CPT, producendo però solo modesti
benefici sulle funzioni cognitive più complesse, ed anche su altri aspetti dell’attenzione. Quindi, il deterioramento attentivo non è necessariamente predittivo del
deterioramento in altri domini cognitivi, e cambiamenti nelle performance attentive non possono essere considerati predittivi di miglioramenti di più ampia portata nelle funzioni cognitive.
Per quanto riguarda la localizzazione neuroanatomica dei deficit attentivi, essa non è facile da identificare,
dal momento che i sistemi che presiedono all’attenzione, come sottolineato recentemente da alcuni Autori
(35, 36), sono ampiamente distribuiti in molteplici aree
corticali e sottocorticali. Data quindi l’ampia varietà di
disturbi dell’attenzione nella schizofrenia, non è possibile identificare una singola localizzazione della menomazione esistente.
MEMORIA
Lo studio della memoria nei pazienti con schizofrenia è stato oggetto di grande attenzione a partire dagli
anni ’70, in rapporto al ruolo centrale che tale funzione riveste nei modelli generali dell’elaborazione
dell’informazione. Infatti, la registrazione e la rievocazione dell’informazione sono necessarie per tutte le
operazioni cognitive di codifica, confronto e categorizzazione degli stimoli interni ed esterni.
La memoria viene generalmente suddivisa in memoria a lungo ed a breve termine; la prima, a sua volta, viene distinta in memoria esplicita, che consente la
rievocazione cosciente, e memoria implicita o procedurale, che si acquisisce con la ripetizione e la pratica
e non richiede la rievocazione cosciente (37, 38). La
memoria a lungo termine esplicita viene ulteriormente suddivisa in memoria episodica, cioè la capacità di
ricordare specifici eventi, ed in memoria semantica
che comprende il corpus di conoscenze concernenti il
significato delle parole, la comprensione dei concetti
e la capacità di categorizzazione. Il concetto di memoria a breve termine è al momento discusso, e tende ad essere sostituito con quello di memoria di lavoro nella maggior parte della letteratura neuropsicologica.
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Alcuni studi hanno riscontrato, nei pazienti con schizofrenia, una prestazione scadente ai test che esplorano la memoria a lungo termine episodica (39); i dati ottenuti sembrano indicare una più marcata compromissione della memoria verbale rispetto a quella visuospaziale (39). È verosimile che tale risultato possa essere spiegato dalle differenze tra le modalità di misurazione della memoria verbale e di quella visiva, piuttosto che essere ascrivibile a differenze specifiche nel
funzionamento dei due tipi di funzioni mnesiche.
La valutazione del ricordo di materiale precedentemente appreso, dopo un intervallo di circa 20 minuti,
non ha evidenziato un’accelerazione media dei tempi
di perdita della traccia mnestica (39, 40, 41), contrariamente ai pazienti amnesici in cui lo stesso indice è marcatamente accelerato.
Allo stesso modo, gravi deficit delle facoltà mnesiche
sono stati osservati sia in pazienti al primo episodio di
malattia che in paziente cronici, il che rappresenta una
importante conferma del fatto che i disturbi della memoria rappresentano una caratteristica essenziale della malattia (38, 42). Inoltre, i deficit della memoria
sembrano essere quelli maggiormente discriminativi
allorquando si sottopongono a valutazione neuropsicologica dei pazienti con schizofrenia o con altri disturbi psicotici o affettivi (43).
Alcuni studi che hanno esaminato la fluenza verbale
indicano che nella schizofrenia potrebbe essere compromessa anche la memoria semantica (38, 42).
Tuttavia, secondo alcuni Autori (20, 44), la difficoltà
mostrata nei compiti di fluenza verbale ha più a che fare con le strategie di rievocazione che non con la compromissione della memoria semantica stessa. In ogni
caso, Goldberg et al. (45) hanno sostenuto che il deficit
primario è a carico della memoria semantica, indipendentemente da qualsiasi deficit relativo alle strategie di
rievocazione.
Con il termine di memoria a breve termine (o di memoria di lavoro) ci si riferisce invece alla capacità di
mantenere in memoria, per un tempo limitato, una certa quota di informazioni che non richiedano una manipolazione attiva da parte del soggetto e che devono essere usate in un contesto specifico per lo svolgimento
di un compito. Essa include due compartimenti di memoria a breve termine, uno fonologico e uno visivo, ed
un compartimento esecutivo centrale che coordina le
operazioni cognitive (46). I paradigmi per lo studio
della memoria di lavoro comprendono i “Delayed Response Tasks”, in cui al soggetto vengono dapprima
presentati gli stimoli da ricordare, poi viene fatto eseguire, durante un intervallo di alcuni secondi, un esercizio distraente ed infine gli viene chiesto di riconoscere e rievocare gli stimoli precedenti. I pazienti con
schizofrenia presentano una prestazione più scadente
dei controlli sani, sia con le versioni verbali (47) che
con quelle visuo-spaziali di questo test (48).
Una conferma del deficit della memoria di lavoro
nei pazienti con schizofrenia è stata fornita da alcune
ricerche (50) che hanno utilizzato il paradigma della
produzione di una sequenza casuale di numeri o lettere: i pazienti, infatti, tendono a fornire risposte perseverative, segno di una difficoltà ad inibire le risposte
interferenti a mantenere il set di regole necessarie per
lo svolgimento del compito. Va aggiunto che, secondo
alcuni Autori (47), molti dei deficit dell’attenzione riscontrati nei pazienti con schizofrenia possono essere
interpretati proprio come espressione di una disfunzione della memoria di lavoro.
Per quanto riguarda la localizzazione delle funzioni
mnesiche, sono stati individuati dei circuiti neuronali
distinti per i diversi tipi di memoria sopra menzionati.
Nel caso della memoria a lungo termine esplicita, le
aree temporali mediali, in particolare l’ippocampo e
l’amigdala, i corpi mammillari ed i nuclei dorsali mediali del talamo rappresentano le stazioni principali
del circuito alla base dei processi di registrazione e rievocazione dell’informazione. La traccia mnesica è conservata nelle aree corticali associative, che presentano
numerose connessioni con le stazioni sottocorticali ora
menzionate. L’ippocampo ha un ruolo fondamentale
nell’organizzazione della memoria rispetto alle coordinate spazio-temporali; l’amigdala favorisce invece l’associazione tra i diversi tipi di memoria (visiva, olfattiva ed uditiva) e tra questi e le emozioni ad essi collegate.
In generale, la corteccia prefrontale rappresenta un
nodo critico in un network corticale ampiamente
distribuito. La partecipazione di altre aree tende ad essere maggiormente specializzata, in rapporto al tipo di
materiale-stimolo presente; così, le aree del linguaggio
localizzate nell’emisfero sinistro sono spesso coinvolte
in compiti di natura verbale, mentre l’emisfero destro
è soprattutto responsabile dei processi di memorizzazione di materiale visuo-spaziale. Pertanto, le menomazioni delle funzioni mnesiche della schizofrenia tendono spesso a coinvolgere sistemi ampiamente distribuiti, che comprendono sia la corteccia prefrontale
dorso-laterale che le aree medio-temporali.
FUNZIONI ESECUTIVE
La definizione di funzioni esecutive è molto controversa. Nell’ambito di tali funzioni sono generalmente
incluse:
- la capacità di iniziare dei comportamenti complessi;
Rivista di psichiatria, 2002, 37, 1
7
Gold J, et al
- la pianificazione e l’organizzazione del comportamento nel tempo;
- il monitoraggio del comportamento con integrazione
del feedback ambientale;
- la memoria di lavoro;
- la capacità di spostare l’attenzione.
Nell’opinione di numerosi Autori (50, 51, 52), nonostante le diverse formulazioni impiegate, esisterebbero
due principali modalità di controllo comportamentale:
la prima include la capacità di usare piani generati internamente per guidare il comportamento, attivando
ed organizzando sequenze comportamentali ed inibendo l’interferenza dovuta all’elicitazione di risposte automatiche da parte del contesto; la seconda, invece, è
sostanzialmente dipendente dal contesto esterno all’individuo.
Uno dei test maggiormente utilizzati per esplorare le
funzioni esecutive è il “Wisconsin Card Sorting Test”
(WCST), che richiede l’appaiamento di una serie di
carte colorate, contenenti figure differenti per colore,
forma e numero. L’unica informazione che l’esaminatore fornisce di volta in volta al soggetto è se l’appaiamento è corretto o sbagliato. Una volta che il soggetto
ha completato un certo numero di appaiamenti consecutivi, senza preavviso, il criterio di appaiamento viene
cambiato ed il soggetto deve pertanto individuare il
nuovo criterio impiegato. Il test procede in questa maniera attraverso un certo numero di passaggi dall’una
all’altra delle possibili categorie di appaiamento (colore, forma e numero). Esso valuta le capacità di categorizzazione, di mantenere il set, di spostare il focus attentivo e di inibire le risposte interferenti.
Numerosi ricercatori, attraverso la somministrazione
del WCST, hanno potuto evidenziare che i pazienti con
schizofrenia presentano delle difficoltà nel comprendere i cambiamenti nella modalità di categorizzazione,
nel rispondere ad un feedback e nella capacità di astrazione (53): essi hanno difficoltà nei concetti astratti e
perseverano in risposte sbagliate. Uno studio condotto
di recente ha messo in evidenza che le differenze nella
performance al WCST possono essere attribuite all’incapacità dei pazienti con schizofrenia a conservare le
informazioni per un breve periodo, prima cioè che
l’informazione stessa sia utilizzata per operazioni cognitive più complesse (54).
In numerosi studi la prestazione al WCST non è
apparsa compromessa nei familiari di primo grado e
nei gemelli monozigoti non affetti dei pazienti con
schizofrenia, il che suggerisce che, diversamente da
quanto riportato per altri deficit attentivi riscontrabili in questo disturbo, la disfunzione è legata non alla vulnerabilità alla malattia, bensì alla sindrome
schizofrenica stessa; tuttavia, sono stati riportati an-
che risultati discordanti (55). Inoltre, non è del tutto
chiaro il ruolo di variabili quali la durata della malattia e dell’ospedalizzazione; solo in una limitata
percentuale di pazienti con sintomatologia lieve o
moderata, non ospedalizzati, è stata osservata una
compromissione significativa della prestazione al
WCST, il che potrebbe indicare la possibilità che
un’aumentata perseverazione sia in realtà specifica
di un sottogruppo di pazienti, più spesso cronici ed
ospedalizzati affetti da una più generalizzata compromissione cognitiva (56, 57).
Anche ricerche condotte attraverso l’impiego di altri
tre test per la valutazione delle funzioni esecutive
(“Self-Ordered Pointing Tasks” per parole e per disegni [SOPT-p e SOPT-d]; “Spatial Conditional Associative Learning” [SCAL]; “Non-Spatial Conditional Associative Learning” [NSCAL]) hanno messo in luce risultati più scadenti in pazienti con schizofrenia, rispetto a controlli normali (58, 59). Sono stati anche messi a
punto dei test specifici per lo studio del monitoraggio
centrale delle azioni autogenerate: anche in questo caso è emerso che i pazienti con schizofrenia presentano
difficoltà in assenza di un feedback esterno (52).
Altri ricercatori hanno ipotizzato l’esistenza di un
deficit nell’“assemblaggio” visivo della memoria di lavoro; utilizzando un paradigma di risposta oculare motoria ritardata (sviluppato da Goldman-Rakic e colleghi per lo studio dei primati), Park e Holzman (60)
hanno scoperto che i pazienti con schizofrenia hanno
gravi difficoltà nel mantenere l’informazione (per utilizzarla successivamente) dopo un breve intervallo di
tempo in cui devono eseguire un compito distraente. In
generale si può quindi solo affermare che i pazienti
con schizofrenia hanno delle difficoltà nel mantenere e
trasformare informazioni al servizio della risposta,
se tale attività è complicata da un compito distraente
di breve durata.
Benché il termine “funzioni esecutive” sia spesso utilizzato come sinonimo di funzioni frontali e prefrontali, tale equivalenza non è però completamente sostenibile. I lobi frontali hanno infatti connessioni molto
estese con le rimanenti regioni corticali, nonché con
quelle sottocorticali: un deficit delle funzioni esecutive
può pertanto originare anche da alterazioni e lesioni in
aree al di fuori della corteccia frontale, ma ad essa connesse. Il problema è reso anche più complesso dall’osservazione che pazienti con anomalie localizzate nelle
regioni prefrontali, inclusa quella dorsolaterale, possono esibire, a test specifici come il WSCT, delle prestazioni nella norma. Sulla base di queste osservazioni, alcuni Autori (61) suggeriscono di utilizzare il termine
“controllo esecutivo” in sostituzione di “funzioni del
lobo frontale”.
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Schizofrenia e funzioni cognitive. (1)
Come già ricordato a proposito della memoria di lavoro, le principali strutture coinvolte nel controllo esecutivo includono la corteccia prefrontale dorsolaterale,
la parte anteriore del giro cingolato, l’area supplementare motoria ed i gangli della base; il circuito frontostriatale a partenza dalla corteccia orbitofrontale sarebbe invece responsabile del controllo dell’interferenza.
mantica ed ortografica) prediceva, con elevata capacità discriminativa, la risposta al trattamento farmacologico con antipsicotici atipici (68).
È da sottolineare che studi recenti di morfologia cerebrale delle aree critiche per la funzione del linguaggio, come il planum temporale, hanno dimostrato alterazioni del normale pattern di asimmetria nei soggetti
schizofrenici (69, 70, 71). In generale, il disturbo del linguaggio nella schizofrenia riflette un più generale disturbo del pensiero, piuttosto che rappresentare un disturbo di una funzione ‘isolata’; in altre parole, i deficit
nella memoria di lavoro, nell’attenzione, nella cognizione sociale, ecc., sembrano tutti avere un impatto menomante sulla capacità di usare il linguaggio in maniera
quantitativamente e qualitativamente appropriata.
LINGUAGGIO
Nello studio della schizofrenia, forse la più ampia discrepanza tra osservazione clinica e valutazione neuropsicologica formale emerge nell’ambito dello studio
del linguaggio; quest’area è stata a lungo oggetto di ricerche accurate, e contributi di grande rilievo sono venuti da ricercatori italiani; in particolare, va ricordato il
monumentale volume di Piro (62) su “Il linguaggio
schizofrenico”, esempio non comune di una ricerca italiana di assoluto rilievo internazionale in questo settore (basti vedere il commento dedicato a questo volume
da Silvano Arieti nel suo classico “Interpretazioni della schizofrenia”).
Se la conversazione del paziente affetto da un disturbo schizofrenico è spesso caratterizzata dalla mancanza di pronomi, dall’illogicità e dal deragliamento, la
performance a molti test specifici per il linguaggio, come quelli impiegati per documentare i deficit nei pazienti afasici, è di regola conservata.
Rausch et al. (63) hanno messo in evidenza che i pazienti con schizofrenia forniscono prestazioni simili ai
controlli normali e significativamente migliori rispetto
ai pazienti afasici nelle prove in cui è richiesto di applicare una regola linguistica. La performance alle
prove verbali della WAIS-R (vocabolario, informazioni, somiglianze e comprensione di situazioni sociali) è
inoltre molto vicina alla norma (64).
Rispetto ai controlli sani, i pazienti con schizofrenia
mostrano una scarsa influenza del contesto, soprattutto quando il discorso si protrae per un certo periodo di
tempo; una tendenza all’uso dei soli significati dominanti nel caso di parole che hanno più di un significato ed alle associazioni verbali bizzarre, ed infine la presenza di un elevato numero di errori semantici (65). È
stata anche riscontrata una riduzione nella complessità
sintattica, manifestata dalla scelta di espressioni linguistiche più semplici e corte, di poche proposizioni relative e concatenate, di un minor nesso tra le proposizioni, di minore fluidità verbale con una riduzione della
complessità del linguaggio, che è caratterizzato dall’uso di un limitato repertorio di parole e di un minor numero di aggettivi e avverbi (66, 67). Recentemente è
stato riscontrato che la fluidità verbale (fluidità se-
PERCEZIONE VISUOSPAZIALE
La performance di pazienti con schizofrenia a vari
test che esplorano la percezione visiva è spesso risultata non compromessa. Due distinti sistemi visivi sono
coinvolti in questo tipo di processo: un sistema di localizzazione che determina l’orientamento degli oggetti
nello spazio e la loro relazione con un altro oggetto
nello spazio (“dove è qualcosa”); inoltre, un sistema di
riconoscimento che determina l’identità dell’oggetto
basandosi su un insieme critico di attributi percettivi
(“cosa è”) (72). Nei pazienti con schizofrenia i test di
localizzazione, che coinvolgono l’analisi spaziale, come
il disegno con blocchi, la ricostruzione di figure (entrambi subtest della WAIS-R) ed il giudizio sull’orientamento di linee hanno generalmente evidenziato
performance normali (73, 20). I test di riconoscimento
degli oggetti, come il “facial perceptual matching”,
hanno invece dimostrato differenze di gruppo più ampie rispetto a quelle riscontrate nei test sulla localizzazione dell’oggetto (anche se spesso non significative
dal punto di vista statistico).
FUNZIONI MOTORIE
Il riscontro di movimenti anomali e involontari in
pazienti con schizofrenia risale a lungo tempo or sono.
Con l’introduzione dei farmaci neurolettici, a causa del
legame esistente tra alcuni di essi e lo sviluppo di discinesia tardiva, le anormalità motorie proprie del disturbo, fatta eccezione per i movimenti oculari, sono
state in seguito meno studiate. Esiste comunque
un’ampia letteratura che evidenzia l’esistenza di anormalità nelle funzioni motorie in pazienti affetti da un
disturbo schizofrenico. I pazienti con schizofrenia ten-
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Gold J, et al
dono, infatti, ad essere lenti nell’iniziare i movimenti,
come è dimostrato dai prolungati tempi di reazione; i
loro movimenti ripetitivi sono eseguiti lentamente (come un dito che picchietta), e tale lentezza è spesso
complicata dalla complessità del compito richiesto.
Questa anormalità non rappresenta semplicemente un
ritardo psicomotorio: infatti, quando i pazienti svolgono un semplice atto motorio, come la pressione di un
bottone, il loro sforzo fisico è caratterizzato da discontinuità anormali ed irregolari (74). Vi sono prove elettrofisiologiche che dimostrano come l’elaborazione
preparatoria volontaria che precede tipicamente l’inizio dell’atto motorio nei soggetti normali sia ritardata
nei pazienti con il disturbo (75).
Allo stesso modo, modalità più complesse di performance motoria, che implicano continui aggiustamenti
in risposta a feedback, sono parimenti deteriorate nei
pazienti con schizofrenia: essi hanno sostanziali difficoltà nel monitorare le proprie azioni e, spesso, non
riescono a correggere gli errori commessi (76). Alcuni
Autori hanno suggerito che la difficoltà nel monitoraggio delle azioni eseguite rappresenta un deficit fondamentale della schizofrenia e potrebbe costituire uno
dei meccanismi implicati nella genesi dei sintomi psicotici (77). Sono stati riportati anche comportamenti
gravemente perseverativi in pazienti con schizofrenia
che eseguivano compiti grafomotori (78). In questa
prospettiva, molti dei temi sviluppati nella letteratura
relativa alle funzioni cognitive più complesse nella
schizofrenia possono essere ricondotti all’area del controllo motorio. Questo dato può far pensare che molte
delle anormalità nella schizofrenia siano principalmente dovute a deficit della preparazione dell’esecuzione e del monitoraggio della risposta; tali deficit sono evidenti in ogni modalità e ad ogni livello di complessità dell’elaborazione, in cui le risposte non sono
completamente specificate da stimoli imperativi coinvolti nella presentazione del compito.
Le anormalità motorie più estesamente documentate nella schizofrenia coinvolgono il sistema oculomotorio. Già più di 80 anni or sono, Difendorf e Dodge
misero in luce un deterioramento nel movimento oculare di inseguimento (“eye-tracking dysfunctions”) in
pazienti con schizofrenia; da allora questa osservazione è stata replicata molte volte negli anni recenti, ed è
stata oggetto di revisione da parte di Levy et al. (79).
Quando sono impegnati nell’inseguimento visivo di un
oggetto, i pazienti con schizofrenia presentano numerosi deficit, hanno delle difficoltà nell’uniformarsi alla
velocità dello stimolo e subiscono anche l’intrusione di
movimenti saccadici in inseguimenti facili. Una modalità di inseguimento anormale è stata osservata sia nei
pazienti con malattia cronica che in quelli al primo epi-
sodio psicotico. I farmaci neurolettici non sembrano
avere effetti significativi sul movimento oculare di inseguimento, anche se altri farmaci psicotropi, come il
litio, possono peggiorarlo. Numerosi gruppi di ricercatori hanno riportato un incremento nella frequenza di
inseguimenti anormali nei familiari di primo grado dei
pazienti, suggerendo che le anormalità nei movimenti
oculari possono rappresentare dei marker di vulnerabilità al disturbo. È stata evidenziata la povertà dell’inseguimento facile e la scadente performance in compiti antisaccadici; questi deficit sono stati associati con
una prestazione deficitaria ai test neuropsicologici che
esplorano le funzioni frontali, suggerendo che il disturbo dei movimenti oculari possa costituire un’altra manifestazione della patologia frontale (79).
IL MODELLO DELLA COGNIZIONE SOCIALE
Nell’ambito della ricerca sulle funzioni cognitive e
sul significato della loro compromissione nel disturbo
schizofrenico, ai due modelli discussi fino a questo
punto (modello neuropsicologico e della psicologia
sperimentale) è stato di recente aggiunto un terzo
modello, chiamato della ‘cognizione sociale’ (80).
Questo modello postula che i deficit della schizofrenia hanno soprattutto a che fare con la cognizione
‘sociale’, rappresentata dalla capacità di pensare e
quindi agire in maniera adeguata nell’ambito delle interazioni sociali; la cognizione sociale, che è il prodotto dell’“intelligenza sociale”, è rappresentata dalla “capacità di comprendere, predire e rispondere in
maniera appropriata ai pensieri (ivi incluse le attribuzioni e le intenzioni), ai sentimenti ed al verosimile
comportamento di sé e degli altri in contesti sociali diversi e spesso non familiari” (80). Le caratteristiche
ora menzionate sono in particolare specifiche delle
capacità di socializzazione secondaria di comprensione delle prospettive e dei contesti. La cognizione sociale si sviluppa in tempi molto lunghi, addirittura decenni, e si ipotizza che sia parzialmente indipendente
dal livello intellettivo e dalla capacità di risolvere
problemi neuropsicologici in laboratorio; essa è considerata una sorta di “intelligenza pratica” che può
svilupparsi anche in individui che, seppur dotati di capacità intellettive modeste, riescono a conseguire nella vita risultati di rilievo, mentre, al contrario, anche
persone (come gli scienziati) dotate di capacità intellettive molto elevate possono cionondimeno risultare
“inefficienti” sul piano interpersonale, ossia essere
privi di una spiccata intelligenza pratica.
Questo modello enfatizza l’importanza dello sviluppo della cognizione umana e delle funzioni meta-
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10
Schizofrenia e funzioni cognitive. (1)
cognitive per un adattamento coronato da successo;
inoltre, “il processo centrale che caratterizza la cognizione sociale è il suo intimo rapporto con l’affettività”
della persona: in questo senso, come sostengono ancora Hogarty e Flesher (80), “un insuccesso in laboratorio non equivale ad un insuccesso nella vita”, in
gran parte perché gli stimoli forniti nelle prove di laboratorio (come quelle menzionate in precedenza)
sono affettivamente neutri, mentre la cognizione sociale si sviluppa ed ha luogo in gran misura attraverso interazioni interpersonali: in tal senso, sostengono
questi due Autori, “i marker neuropsicologici possono avere una elevata sensibilità diagnostica nel disturbo schizofrenico, ma essi sono caratterizzati da una
specificità molto ridotta”, in quanto possono essere
riscontrati anche in persone non affette da disturbi
mentali gravi.
Nell’ambito di questo modello, le funzioni neuropsicologiche di base, come quelle passate in rassegna in
precedenza, sono viste come condizioni necessarie ma
non sufficienti per lo sviluppo di una cognizione sociale adeguata; da questo postulato, Hogarty e Flesher
(80, 81), già Autori dello sviluppo e della validazione
della “personal therapy” (trattamento psicosociale integrato), hanno sviluppato un modulo di trattamento
chiamato “Cognitive Enhancement Therapy”, che rappresenta un ulteriore sviluppo dell’approccio precedente e che mira a sviluppare capacità astratte ed adeguate di cognizione sociale nei pazienti con schizofrenia. Questi Autori hanno operazionalizzato tale modello, definendo un programma preciso di processi e
compiti cognitivi da svolgere, volti a sviluppare capacità compensatorie nelle aree precedentemente deficitarie, nell’ambito di tre stili cognitivi differenziati in
senso psicopatologico che si possono ritrovare nei pazienti con schizofrenia (stile “positivo”, “negativo” e
disorganizzato). La sequenza adottata da questi Autori prevede, oltre che specifici esercizi di training cognitivo (in larga misura elaborati a partire da quelli utilizzati nella riabilitazione di pazienti con lesioni cerebrali), prove ulteriori volte a sviluppare le predette capacità “astratte” di cognizione sociale. Sebbene i risultati
molto preliminari dell’applicazione di questo modello
siano particolarmente promettenti, è necessario attendere il completamento di questo nuovo filone di studi
per capire a fondo l’efficacia, la generalizzabilità e la
durata temporale delle capacità acquisite (81).
va significativa nella schizofrenia è la norma’ (82). I deficit cognitivi insorgono precocemente, molto spesso
prima dell’esordio conclamato del disturbo, indicando
quindi una predisposizione allo sviluppo della patologia stessa. I pazienti con schizofrenia condividono con
i parenti di primo grado alcuni deficit cognitivi; tuttavia, le menomazioni dei pazienti sono molto più estese
e gravi di quelle che si osservano nei congiunti, ed appaiono inoltre più gravi al momento dell’esordio schizofrenico. Inoltre, la relazione tra sintomatologia positiva e disturbi neuropsicologici è debole, ed anche la
relazione tra questi ultimi e la sintomatologia negativa
è di limitata entità.
Oltre a ridotte funzioni intellettive generali, alcune
aree sono più marcatamente deteriorate: nell’ambito
dell’attenzione, sembrano maggiormente compromesse l’attenzione selettiva, l’attenzione sostenuta, lo span
di attenzione, lo shift dell’attenzione e i meccanismi
preattentivi; il deterioramento della funzionalità mnestica si evidenzia principalmente nell’ambito della memoria episodica, della memoria verbale e di quella di
lavoro. Anche l’area delle funzioni esecutive appare
marcatamente deteriorata.
La riproducibilità e la forza di questi risultati suggeriscono la necessità di integrare una approfondita valutazione neuropsicologica nella più generale valutazione diagnostica dei pazienti con questo disturbo. Occorre, inoltre, stimolare la ricerca in quest’area, al fine
di individuare dei sicuri marker di vulnerabilità, che
potrebbero svolgere un ruolo di grande importanza
per la pianificazione e realizzazione di interventi precoci in pazienti ad alto rischio.
UNA SINTESI
6.
L’ampio corpus di ricerche condotto negli altimi 50
anni mostra con forza che ‘Una menomazione cognifi-
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