Commerciabilità dei terreni soggetti ad uso civico

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Commerciabilità dei terreni soggetti ad uso civico
CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
Studio n. 777
Commerciabilità dei terreni soggetti ad uso civico
La Commissione Studi Civilistici il 21 maggio 1994 ha deliberato di inserirlo nella
Sezione "Materiali"
1. Tematiche d'interesse notarile.
Il tema dell'uso civico ha affascinato soprattutto gli storici del diritto, mentre
gli studiosi del diritto vigente se n'erano occupati finora soltanto di passaggio, prevalentemente sul versante del diritto pubblico, alla ricerca dell'esatta collocazione
sistematica del godimento collettivo a favore delle popolazioni che potevano invocare l'uso civico. Solo di recente è stata data maggiore consistenza alla trattazione
della materia, con opere monografiche di vasto respiro.
A fronte di una dottrina che ha stentato a decollare, vi è stata una giurisprudenza della Suprema Corte piuttosto vasta, a partire dal momento dell'entrata in
vigore della legge del 1927, giurisprudenza sul cui rigore e ripetitività è stato nella
sostanza costruito un grosso ostacolo alla liquidazione dell'uso civico nelle campagne.
E qui va fatta una riflessione iniziale: l'uso civico era nato per dare sostentamento vitale alle popolazioni, in un momento storico nel quale la terra rappresentava l'unico elemento dal quale le popolazioni potevano ricavare i prodotti necessari
per la sopravvivenza. Attualmente questa giustificazione ha perso quasi del tutto la
sua ragion d'essere: si sopravvive, nella attuale società, non più con la terra, ma
con tutta una serie di fonti di reddito che pongono la terra agli ultimi posti. La complessità della attuale società, e soprattutto le caratteristiche della società industriale, sono andate evidenziando una pluralità di situazioni che snaturano quasi del tutto la funzione vitale del bene-terra.
Su questo tema s'impone una seconda riflessione: è risaputo che il modo
migliore di coltivare la terra è quello di garantirsi con una porzione di terra adeguata allo scopo della coltivazione e, ancora, che la terra va coltivata da un'impresa
adeguata nella dimensione e nell'organizzazione, caratteristiche, queste, che presuppongono un godimento solitario della terra e non un godimento collettivo.
Di qui il tentativo di superamento dell'uso civico da un lato sul piano dei fatti
e da un altro lato sul piano delle modifiche legislative: sotto il primo aspetto si è verificata nel territorio tutta una serie di possessi illegittimi, di utilizzazioni del terreno
soggetto ad uso civico per finalità in contrasto con l'uso stesso (finalità turistiche,
insediamenti abitativi, impianti sportivi o ricreativi), il che ha posto il problema di
come sanare queste situazioni realizzate senza il rispetto delle rigorose procedure
previste dal legislatore del 1927; sotto il secondo aspetto si è assistito ad una legislazione regionale che tentava con timidi approcci di dare assetto legislativo definitivo a situazioni in contrasto con la legge del 19271 e, soprattutto, ad una serie di
progetti di legge, rimasti incompiuti perché non tradotti in legge, che ad un esame
di sintesi appaiono tutti ispirati non a fare chiarezza definitiva sull'uso civico, ma
prevalentemente a perpetuare la legge del 1927 con aggiustamenti per determinate
situazioni (profilo di utilizzazione del patrimonio sul piano edilizio, utilizzazione separata del territorio da parte di soggetti singoli, sistemazioni di atti giuridici redatti
in precedenza ma nella sostanza privi di effetti perché nulli).
A fronte di tutto ciò si è verificato un forte tentativo di resistenza da parte
soprattutto di alcuni commissari di uso civico, che hanno voluto porre un argine allo
sfaldamento di fatto dell'uso civico, riscoprendo in esso altri valori della collettività,
come quello
della salvaguardia dell'ambiente; di qui da un lato l'inserimento dei
terreni soggetti ad uso civico nel decreto Galasso sui beni ambientali; da un altro
lato la previsione dell'uso civico come vincolo ostativo alla sanatoria degli abusivismi edilizi.
Si è in questo modo verificata una sorta di inversione logica nella giustificazione delle finalità dell'uso civico: questo era nato e si era mantenuto per primarie
esigenze di vita della popolazione, quando questa traeva dalla terra i frutti del proprio sostentamento. Ai nostri giorni, quando la popolazione non ha più questa necessità, si vuole giustificare l'uso civico in chiave di mantenimento dell'ambiente na1
V. in proposito, sul progressivo abbandono dell'esercizio degli usi civici come conseguenza della ridu-
zione a dimensioni modestissime delle economi familiari di produzione per il consumo sul quale era fondato l'uso civico e, conseguentemente, sul tentativo di sostituzione della legislazione regionale alla troppo drastica legislazione nazionale racchiusa nella legge 1766 del 1927, Corte Costituzionale 30 dicembre
1991, n. 511, in Le regioni, 1992, 1566.
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turale, attribuendo a questo mantenimento il valore di un bene della collettività in
contrasto con le deturpazioni ambientali dell'uomo. Il vizio logico si evidenzia riflettendo che in questo modo la funzione del terreno di uso civico come bene per la
collettività viene completamente capovolto: non più bene produttivo di ricchezza,
ma bene inteso a tutelare valori ideali; in altre parole, mentre prima il terreno poteva dare frutti per la popolazione indigene a patto che venisse concretamente
sfruttato, ora si ritiene che interesse della popolazione sia quello che il terreno resti
assolutamente incolto. In tutto ciò vi è certamente un salto logico.
Infatti, mentre allorquando l'uso civico veniva considerato come strumento
di sopravvivenza, si intuiva il collegamento stretto esistente tra terreno soggetto ad
uso civico e popolazione del luogo (nel senso cioè che il terreno poteva soddisfare
l'esigenza di sopravvivenza se rapportato allo stretto numero delle persone del luogo); allorquando invece l'uso civico venga considerato nella prospettiva di tutela
dell'ambiente, viene effettuato uno spostamento dalla collettività del Comune del
luogo a tutta la collettività nazionale. In altre parole, è come se il terreno non serva
più soltanto alla popolazione del luogo, ma all'intera collettività nazionale, cioè a
tutti coloro che, passando per quel terreno, potrebbero essere soddisfatti nell'esigenza di mirare un paesaggio bucolico.
O, in altre parole ancora, si sposta l'esigenza soddisfattiva del terreno: dalla
necessità di sua utilizzazione per intenti produttivi agricoli, si passerebbe alla necessità di assicurarne rigorosamente l'inerzia produttiva, cioè la massima immobilità sul piano della trasformazione economica del bene-terra.
Al notariato la materia interessa sotto un triplice profilo:
a) l'uso civico è un grosso ostacolo per la commerciabilità dei terreni agricoli
e pertanto al notaio interessa individuarne l'esistenza: quando su un terreno si ha
uso civico? Su quale base è possibile al notaio, che opera sempre sul piano della rigorosa documentazione giuridica, riconoscere se un terreno è soggetto ad uso civico? Esistono archivi consultabili dal pubblico in grado di dare risposte concrete ed
immediate a questo problema? Non a caso questo è uno dei nodi ai quali ha tentato
di porre rimedio una certa legislazione regionale;
b) da un altro lato, una volta identificata l'esistenza di un uso civico, stabilirne le conseguenze sul piano della commerciabilità del bene. Usa dirsi che il terreno
soggetto ad uso civico ha la stessa disciplina vincolata del demanio: si parla cioè di
incommerciabilità, di imprescrittibilità, di inusucapibilità, di divieto di mutamento di
destinazione. Che senso ha una affermazione del genere? Quali sono le basi legislative che la supportano? E' essa espressione di inquadramento dottrinale o giurisprudenziale? Quale la portata concreta di essa?
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c) Infine, sul presupposto che tutta la disciplina legislativa concernente gli
usi civici è basata sulla legge n. 1766 del 1927, sul pedissequo regolamento n. 332
del 1928 e su scarse altre discipline legislative, l'individuazione, nell'ambito di questo complesso di norme, di settori caratterizzati da eccezioni ai divieti previsti dalla
disciplina propria dei beni demaniali. In altre parole, nell'ambito delle leggi predette, esistono aspetti particolari dai quali poter desumere che il rigore sul piano della
commerciabilità dei beni soggetti ad uso civico venga meno? Quali le linee interpretative che di questi settori ha dato la dottrina e la giurisprudenza? Quali i riflessi
comportamentali per l'attività del notaio? Cioè. ai fini della negoziabilità degli atti
aventi per oggetto i terreni soggetti ad uso civico, quali gli ambiti operativi e le precauzioni che il notaio deve osservare?
2. Riconoscibilità degli usi civici.
Il primo problema che si pone è come sia possibile riconoscere l'esistenza di
usi civici su un terreno agricolo.
Per il vero nell'ambito della regione Lazio si è seguita, almeno per un certo
tempo, la strada di rimediare con alcuni marchingegni, posti in essere sul piano
amministrativo: in primo luogo con una circolare del commissario per gli usi civici
del Lazio,2 il quale invitò i comuni a rilasciare l'annotazione dell'esistenza di usi civici sul certificato di destinazione urbanistica; esso costringeva il privato che volesse
cedere il proprio terreno agricolo:
a) a chiedere al comune il CDU;
b) a chiedere alla regione dichiarazione sull'esistenza su quel terreno di eventuali usi civici.
La regione provvedeva:
a) a rilasciare una dichiarazione per l'intero territorio comunale, se su questo
comune fosse stata effettuata la c.d. verifica, cioè l'accertamento da parte di un
tecnico specialistico, nominato dal commissario per gli usi civici, dell'intero territorio
del comune;
b) a rilasciare, in caso contrario, una dichiarazione che valesse per l'esclusivo terreno indicato, identificato con i dati catastali.
Va subito detto che questa prassi appariva, ad alcuni notai, estremamente
lineare, perché offriva uno strumento documentale sufficientemente affidabile per
2
V. Regione Lazio, Assessorato Agricoltura e foreste, Diritti collettivi ed usi civici, Circolari n. 2490 del
3 maggio 1988; n. 2361 del 22 aprile 1988; n. 53-5 dell'11 giugno 1990.
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conoscere se su un determinato terreno esistessero o meno usi civici. Va peraltro
detto che qualche altro notaio riteneva questa procedura un ostacolo operativo,
perché essa ritardava enormemente i tempi di stipula e pertanto non mancava una
prassi intesa a disconoscere la certificazione sul CDU dell'uso civico, fra l'altro con
uno studio avallato dallo stesso Consiglio nazionale del notariato.
Sostituito il commissario degli usi civici che aveva ideato la precedente procedura, il successore aveva evidenziato come gli assessorati agli usi civici potessero
rilasciare certificazione sull'esistenza degli usi stessi soltanto ai comuni interessati
ma esclusivamente per finalità di carattere urbanistico (cioè come strumento di
analisi territoriale per la corretta predisposizione dello strumento urbanistico con
natura di atto ricognitivo documentale).3
Ulteriore difficoltà ai fini dell'individuazione dell'uso civico era data dal fatto
che, trattandosi di diritti imprescrittibili, cioè mai estinguibili per usucapione di alcuni soggetti o per non uso, appariva difficile individuare una fonte sicura di esistenza dei predetti diritti. Infatti neppure l'assessorato agli usi civici, né il commissario agli usi civici poteva dire con certezza che l'uso civico non esistesse. Si badi:
non che l'uso civico fosse esistente, perché questa dichiarazione poteva essere fatta
dal commissario per gli usi civici in base a pronuncia giurisdizionale già fatta, oppure dalla regione sulla base delle risultanze documentali in suo possesso. Ma che l'uso civico fosse inesistente: al massimo dette autorità potevano dichiarare che l'uso
civico non fosse stato mai dichiarato, ma non escludere a priori che qualunque cittadino si levasse per chiederne la verificazione e documentarne l'esistenza sulla base di documentazione sino allora sconosciuta.
In definitiva, nel silenzio della documentazione acquisita si poteva soltanto
dire che fino ad una certa data non sussisteva documentazione in grado di dimostrare l'esistenza di uso civico, non documentazione in grado di dimostrarne l'esistenza in assoluto; salve evidentemente, per quanto si è più sopra precisato, le
pronunce del commissario per gli usi civici.
Occorreva cioè affermare, e si deve continuare ad affermare che non esistono archivi documentali in grado di offrire una prova assoluta (a parte sentenze dei
commissari) dell'esistenza di usi civici. E si deve altresì ribadire che nessuna certificazione sostitutiva appare idonea a rispondere al problema qui considerato, per, si
ripete, la caratteristica essenziale dell'uso civico di essere refrattario ad estinzione
per non uso e di poter essere identificato soltanto a seguito di pronuncia giurisdizionale del commissario.
3
V. Nota Regione Lazio, Assessorato Agricoltura e Foreste, prot. 61483 del 3 febbraio 1993.
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Prova ne sia che quasi tutti i progetti di legge tendenti a modificare la vigente normativa in materia di usi civici si preoccupano, in modo particolare, di creare
un catasto dei terreni soggetti ad uso civico o comunque di perpetuarne l'esistenza
per il tramite di aggiornati archivi tenuti dalla regione, dai comuni o da uffici statali.
3. Inalienabilità e sua giustificazione.
Si afferma comunemente che il terreno soggetto ad uso civico sia inalienabile, inusucapibile e immodificabile nella sua destinazione ad uso civico.
L'affermazione che precede trova la sua fonte in alcune norme della legge
del 1927: l'art. 12, 2° comma, per cui i Comuni e le associazioni non possono, senza autorizzazione dell'autorità preposta, alienare i terreni soggetti a categoria a)
(boschi e pascoli permanenti) o mutarne la destinazione; l'art. 21, ultimo comma,
per cui le unità fondiarie ivi previste "prima dell'affrancazione non potranno essere
divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo"; infine l'art. 9, ultimo comma, per il
quale se non avviene la legittimazione, le terre vanno restituite al Comune, o all'associazione o alla frazione del Comune "a qualunque epoca l'occupazione di esse rimonti", norma dalla quale si è desunta l'imprescrittibilità del diritto di uso civico,
desumendosene l'inusucapibilità del terreno soggetto ad uso civico.
Trattasi, peraltro, di norme di limitata portata, talvolta costruite come eccezione alla regola del divieto di alienazione, nessuna delle quali prevede espressamente la nullità dell'atto compiuto in contrasto con tali prescrizioni.
Di qui lo sforzo interpretativo per dare un supporto dogmatico ai divieti previsti dalle norme citate, allo scopo di offrire una ricostruzione appagante ed in grado di superare la scarsezza delle norme interessate.
In primo luogo si è affermato, soprattutto dalla precedente dottrina,4 che gli
usi civici dovessero essere riguardati come demani; ma poi si è chiarito che questa
assimilazione era soltanto di carattere formale, dovuta al fatto che l'uso civico nello
Stato napoletano era qualificato, ma soltanto su un piano di stretta formulazione
superficiale, demanio. Infatti la giurisprudenza, che in un primo tempo si era accodata a detta assimilazione, forse sulla base del brocardo "ubi feuda ibi demania"
(formula intesa ad affermare che la preesistenza di una popolazione e la costituzio4
Vedila citata da PETRONIO, voce "Usi civici", Enc. diritto, vol. XLV, 1992, pag. 949 e segg.; questo
Autore, per il vero, afferma che costituisce un mito che l'assimilazione tra usi civici e demanio si sia verificata sotto la legislazione napoletana preunitaria, mentre in effetti, soltanto con una legge unitaria del
1894 avrebbe iniziato a prender corpo la teoria della sostanziale demanialità dell'uso civico: v. a pag.
951.
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ne di un feudo erano elementi sufficienti a denotare l'esistenza di un terreno soggetto ad uso civico), successivamente aveva ritenuto che gli usi civici avessero natura pubblicistica determinante non un'equiparazione, bensì un avvicinamento del
regime dei beni di uso civico al regime dei beni demaniali.
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E' pertanto da ritenersi che il termine "demanio" costituisca espressione
riassuntiva per qualificare la disciplina dell'incommerciabilità, che del resto trovasi
disciplinata dall'art. 823 cod. civ. per il demanio pubblico, per il quale i beni del
demanio "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi,
se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano".
Gli interpreti hanno seguito varie strade per dare consistenza e fondamento
giuridico all'incommerciabilità del terreno soggetto ad uso civico.
Da una parte hanno parlato di terre in dominio collettivo, la cui negoziazione
presupponeva l'assenso di tutti i cives, ipotesi irrealizzabile perché il principio si
fondava sul criterio del "nemine discrepante", nel senso cioè che nessun membro
della collettività civica nel momento negoziale poteva mancare, né essere di contrario avviso;6 ed altresì perché al Comune e all'associazione agraria veniva riconosciuta non rappresentanza negoziale della collettività, ma soltanto la qualificazione
di centro d'imputazione per il godimento collettivo delle terre e per l'inizio di determinate procedure tutte intese alla conservazione degli usi civici.
Da un'altra parte hanno affermato trattarsi di nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto, evidentemente facendo leva su una sorta di fondamento di demanialità dell'oggetto stesso7.
Da un'altra parte ancora si è parlato di vendita di cosa altrui, sul presupposto del dominio collettivo sul terreno, coinvolgente tutti i cives come comunità e
come singoli.
5
V. Cass. 12 dicembre 1953, n. 3690, in Giur. Cass. civ., 1953, V, 396 con nota di CERVATI; Cass. 30
marzo 1951, n. 698, ivi, 1951, I, 650; Cass. 5 gennaio 1950, n. 51, ivi, 1950, II, 1215; Cass. 12 ottobre
1948, n. 1739, ivi, 1948, III, 354. V. peraltro Cass. 8 novembre 1983, n. 6589, che parla di "perdita della natura di beni demaniali", mostrando in questo modo di assimilare in modo totale i beni soggetti ad
uso civico ai beni demaniali. V. anche Cass. 28 settembre 1977, n. 4120, che parla di "conoscenza della
demanialità". V. infine Cass. 15 giugno 1974, n. 1750 che parla, per la legittimazione, di "trasformazione
del demanio in allodio".
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Afferma espressamente che, spettando la titolarità dei diritti di uso civico alla popolazione, occorres-
se la deliberazione di tutti i cittadini riuniti in pubblica assemblea, nemine discrepante, affinché la popolazione non si privasse dei suoi secolari diritti senza un'apprezzabile contropartita, Cass. 11 febbraio
1974, n. 387, in Giur. it., 1974, I, 1, 1910. L'opinione è comunemente seguita in dottrina: v. per tutti
PETRONIO, Op. cit., pag. 940; CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova 1983, pag.
383.
7
V. per tutte Cass. 28 novembre 1977, n. 4120, in Giust. civ., 1978, I, 967.
7
E non è mancato, proprio sulla base della riflessione che precede, chi ha parlato non di nullità, bensì di inefficacia dell'atto nei confronti della collettività dei cives.8 E' questa una tesi singolare, il cui intento è certamente quello di salvaguardare gli atti notarili posti in essere malgrado l'esistenza di uso civico, e pertanto quello
di escludere per il notaio l'applicazione dell'art. 28 legge notarile (sulla base del rilievo che soltanto l'atto nullo, come ritiene una diffusa dottrina soprattutto di parte
notarile, è tale da rendere applicabile l'art. 28 legge notarile); ma una tale teoria
dimentica di valutare l'interesse dei soggetti che hanno stipulato l'atto notarile,
soggetti che vedrebbero gli effetti negoziali posti in essere, in costante bilico dell'incertezza che accompagna la negoziazione del terreno di uso civico; in altre parole,
sul piano delle certezze negoziali, quali prospettive potrebbero garantire i notai appellandosi al principio dell'inefficacia dell'atto nei confronti dei soggetti titolari dell'uso civico, soggetti che costituiscono un'intera collettività?
La giurisprudenza della Cassazione sembra prevalentemente orientata a ritenere che l'atto in violazione delle norme della legge del 1927 sugli usi civici sia
nullo per impossibilità dell'oggetto, ciò per l'incommerciabilità del terreno soggetto
ad uso civico ed afferma che un atto del genere sia nullo insanabilmente in tutti i
casi, senza possibilità di sanatoria. Volendo in questo modo trovare un punto di riferimento normativo nel codice civile, può affermarsi che la norma applicabile sia
l'art. 1418, 2.° comma del cod. civ., per il quale produce nullità del contratto la
mancanza nell'oggetto di uno dei requisiti previsti dall'art. 1345, vale a dire il requisito della possibilità giuridica.9
4. Finalità della legge del 1927.
Una volta precisato che i punti cruciali della tematica dell'uso civico per i notai sono quello della corretta individuazione della loro esistenza e quello della qualificazione come nullità dell'atto di trasferimento del terreno di uso civico, vanno ora
individuate le fattispecie che gli interpreti sono portati a qualificare come fattispecie
di eccezione alla regola che il terreno assoggettato ad uso civico non è suscettibile
di negoziazione giuridica. E per fare ciò occorre partire da determinate premesse
che riguardano le leggi fondamentali in materia, che sono la legge 16 giugno 1927,
n. 1766 sul riordinamento degli usi civici e il pedissequo regolamento di esecuzione,
approvato con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332.
8
Cfr. in questo senso ANDRINI, Usi civici ed attività notarile, in Vita not., 1991, 802 e segg.
9
Si muove sulla base della predetta considerazione di carattere dogmatico DI SALVO, Forme di sana-
toria delle occupazioni dei terreni del demanio civico, in Nuovo dir. agr., 1990, pag. 119.
8
Detti provvedimenti legislativi, tuttora in vigore e che rappresentano il fondamento normativo sul quale soprattutto la giurisprudenza ha costruito la tematica
dei vincoli imposti dal legislatore per gli usi civici, aveva di mira non la sopravvivenza degli usi civici, ma la loro liquidazione. Essa era strutturata in modo da rispettare
le seguenti regole:
a) gli usi civici dovevano essere distinti in usi civici su terre private e usi civici su terre di dominio della collettività;
b) gli usi civici su terre private dovevano essere assoggettati a liquidazione,
sotto forma o della fissazione di un canone atto a compensare il diritto di uso civico
non più esercitato a favore della popolazione, oppure con il distacco di una parte del
terreno, da destinare al Comune (si parlava in tal caso di liquidazione con distacco
o scorporo). Soltanto in via eccezionale, per le provincie ex pontificie (Ancona, Ascoli Piceno, Bologna, Ferrara, Forlì, Macerata, Perugia, Pesaro, Ravenna, Roma), si
prevedeva la c.d. liquidazione invertita: cioè tutto il terreno veniva trasferito alla
collettività, mentre a vantaggio del proprietario privato veniva stabilito un canone
compensativo;
c) gli usi civici su terre di dominio della collettività (si parla usualmente di
terre "di natura civica" o di "demani civici") dovevano essere regolati nel modo seguente:
- nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente, l'uso civico
era destinato a durare indefinitamente (eccezionalmente questi beni potevano essere utilizzati diversamente od alienati dietro autorizzazione amministrativa);
- nelle terre utilizzabili a coltura agraria il fondo agricolo era destinato ad essere quotizzato, cioè ripartito per quote ed assegnato alle famiglie di coltivatori diretti del Comune, a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un
canone che poteva essere affrancato: il terreno diveniva di proprietà privata e poteva essere commercializzato soltanto a seguito di affrancazione del canone (pertanto nel tempo questi terreni erano destinati ad essere liberati dall'uso civico, in
evidente sintonia con le nuove esigenze di ancorare le terre a chi le coltivasse effettivamente, ricavandone il massimo di produttività).
Apparentemente semplice, l'operazione di liquidazione degli usi civici è divenuta difficoltosa da una parte per la complessità dei riscontri affidati ai tecnici incaricati di effettuare le perizie, da un'altra parte per la scarsezza degli apparati burocratici destinati alla bisogna, una volta di pieno dominio di commissari per gli usi civici (ad un tempo giudici ed apparati amministrativi); e successivamente, dopo il
decentramento burocratico realizzato con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, con un
frazionamento di compiti tra commissario per gli usi civici e le Regioni.
9
5. Attività negoziale su terreni privati soggetti ad uso civico.
Prima preoccupazione del notaio deve essere quella di distinguere i terreni di
proprietà privata da quelli di proprietà collettiva (appartengano questi al Comune,
alla università agraria, ad altra associazione di coltivatori, all'intera collettività civica). Come pervenire alla classificazione dei terreni di proprietà privata assoggettati
ad uso civico? E' stato dichiarato che l'allibramento delle terre comunali nel catasto
onciario è sicuro indice della loro demanialità10.
Le terre private gravate da uso civico possono trovarsi in una delle seguenti
situazioni:
a) procedura di liquidazione dell'uso civico non ancora iniziata o tuttora in
corso;
b) procedura di liquidazione dell'uso civico già conclusa o con lo scorporo di
una parte del terreno a favore del Comune, oppure con l'imposizione al privato proprietario di un canone a favore del Comune, canone che può essere affrancato o
meno, fermo restando che l'estinzione dell'uso civico e la piena privatizzazione del
fondo agricolo potrà aversi soltanto con l'affrancazione del canone, mediante il versamento, in unica soluzione, di una somma pari a venti volte l'importo del canone
stesso.
Nell'ipotesi sub a) l'uso civico non è stato ancora liquidato, ma trattandosi di
terreno di dominio privato, il terreno stesso è commerciabile, poiché nessuna norma né della legge del 1927, né del regolamento del 1928 ne prevede l'inalienabilità.
E' peraltro chiaro che l'alienazione del terreno, pur valida sul piano civilistico, non
sarà tale da estinguere gli usi civici, che continueranno ad insistere sul fondo, limitandone il dominio, ma non impedendo l'esercizio di facoltà, come la facoltà di alienazione, che possono convivere con l'utilizzazione del fondo per gli usi della collettività locale. I notai vengono consigliati in tal caso di far emergere dal testo del rogito gli usi civici gravanti sul terreno;11ciò a dimostrazione dell'esigenza di informare
la parte acquirente delle limitazioni cui essa va incontro con l'atto di acquisto.
In questo caso si assiste ad un fenomeno molto simile al diritto reale limitato
su terreno altrui, ancorché soltanto di recente la dottrina sia pervenuta ad una simile conclusione, mentre in passato l'uso civico insistente sul terreno privato veniva
10
V. in questo senso Comm. Usi Civici Napoli, senza data, in Boll. Usi civici, 1947, II, 120.
11
Così Nota Assessorato Agricoltura e foreste Regione Lazio, 11 giugno 1990, prot. 3375.
10
qualificato come attinente al diritto dominicale, alla stessa stregua di un condominio
con facoltà differenziate, analogo alla comunione di diritto germanico.12
Tende comunque a farsi strada, sulla base del superamento dei "miti" che
hanno per tanto tempo contornato la trattazione degli usi civici, l'opinione che l'uso
civico, sia nella sua dimensione di uso civico su terreno alieno, sia nella sua forma
più impegnativa di uso civico su terreno della collettività, non attenga ad un diritto
di dominio, bensì ad un diritto di uso: in ogni caso, cioè, l'uso civico sarebbe caratterizzato dalle utilità del terreno, ancorché fatte assurgere a nesso stretto con la res
che tali utilità garantisce; è come se l'utilità del terreno sia stata considerata alla
stessa stregua della proprietà del terreno stesso.13
Nell'ipotesi sub b) se si è verificata l'affrancazione, con il pagamento della
somma pari a venti volte il canone di natura enfiteutica, il terreno può considerarsi
del tutto liberato dagli usi civici, con la conseguenza che in tal caso il terreno sarebbe alienabile, suscettibile di utilizzazione diversa (anche edilizia) ed assoggettato
a tutte le norme codicistiche che disciplinano il privato dominio.
Se invece l'affrancazione non si è ancora verificata, il bene, pur trasferibile,
deve ancora ritenersi assoggettato ad uso civico e sarebbe opportuno, sul piano del
più lineare esercizio della professione notarile, che il notaio indicasse l'esistenza degli usi civici in atto, per informarne adeguatamente soprattutto la parte acquirente.
Va in proposito sottolineato che la legge del 1927 (art. 7) parla di "canone di
natura enfiteutica", espressione che, peraltro, secondo l'opinione della giurisprudenza, non significa "canone enfiteutico",
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tant'è che da parte della dottrina si ri-
V. su questi concetti v. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica, cit., pag. 228 e segg.; detto Autore cita,
a sostegno della vecchia dottrina che l'uso civico su terre private dovesse considerarsi come "proprietà
frazionaria o divisa, cioè come due distinte piene proprietà, due quote senz'altro dominicali: l'una in capo
al soggetto già titolare formale del dominio, l'altra alla popolazione e, per essa, all'ente esponenziale:
comune o associazione agraria": FILOMUSI GUELFI, Diritti reali, Roma, 1902, pag. 129; FERRARA, Tracce della comunione di diritto germanico nel diritto italiano, in Riv. dir. civ., 1909, pag. 498. E lo stesso
Autore cita, a sostegno di analoga opinione della giurisprudenza, in modo particolare, Cass. Roma, 22
gennaio 1907, in Riv. un., 1907, I, pag. 161. Mentre a sostegno dell'opinione, più recente, che l'uso civico su terre aliene vada riguardato alla stessa stregua di un diritto reale di godimento, sempre lo stesso
Autore cita CANNADA BARTOLI, Natura giuridica del provvedimento di liquidazione degli usi civici mediante compensi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1967, pag. 535; nello stesso senso v. GIANNINI, Sull'esistenza
degli usi civici di caccia, in Riv. dir. sportivo, 1950, 101 e ss.; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo ,vol. II, Napoli 1984, pag. 728.
13
V. in questo senso PETRONIO, voce Usi civici, Enc. diritto, vol. XLV, 1992, pag. 952, il quale ne trae
un'interessante riflessione in ordine alla portata dell'assegnazione a categoria ai fini della alienabilità,
come si vedrà più avanti.
14
V. in questo senso Cons. Stato, 21 ottobre 1953, n. 852; App. Roma, Sez. Usi civici, 12 dicembre
1950, in Giur. compl. cass. civ., 1951, I, 801, con nota di JANNITTI PIROMALLO.
11
tiene che non trovi applicazione la disciplina codicistica: ad es. l'art. 972 (infatti il
mancato pagamento del canone non dà luogo a devoluzione), l'art. 960 (non sussiste l'obbligo di migliorare il fondo proprio dell'enfiteuta), l'art. 970 (non sussiste la
prescrizione per non uso ventennale prevista per il diritto dell'enfiteuta).15
Resta da chiarire un ultimo punto: che accade se il privato abbia costruito un
fabbricato sul proprio terreno assoggettato ad uso civico, nella fase in cui l'uso civico non sia stato ancora liquidato e il bene non sia stato affrancato da esso? Si può
in linea di massima rispondere che se la costruzione sia avvenuta su una parte delimitata del fondo, in modo da non pregiudicare l'esercizio dell'uso civico, il
manufatto possa legittimamente essere negoziato. Il problema si sposta sotto il
profilo della legge 47 del 1985 sul condono edilizio, tenuto conto dell'art. 4 che fa
obbligo al sindaco di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi allorquando la
costruzione sia avvenuta su area disciplinata dalla legge del 1927 (e bisogna ora
aggiungere anche il richiamo al vincolo paesaggistico previsto dalla legge 22 giugno
1939, n. 1497, per effetto del richiamo che ne fa l'art. 1 della legge 8 agosto 1985,
n. 431: c.d. Decreto Galasso).
Soltanto per le costruzioni ultimate entro il 1° ottobre 1983 ed oggetto di
procedimento di sanatoria, dopo la legge 13 marzo 1988, n. 68, che ha convertito
in legge il D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, è stata prevista la possibilità di superare il
vincolo di uso civico, attribuendo ai soggetti pubblici proprietari del terreno di uso
civico il compito di concedere la disponibilità dell'uso del suolo; la norma appare
congegnata in modo da ricomprendere in essa l'ipotesi che l'uso civico cada su area
di proprietà del Comune o di altro ente pubblico, non l'ipotesi che cada su terreno di
proprietà dei privati, dal che si può desumere che la norma sulla concedibilità della
sanatoria potesse verificarsi regolarmente nel caso di terreno privato. Apparirebbe
infatti incongruo, da parte del legislatore, consentire l'assenso all'utilizzazione edificatoria di terreno di uso civico di proprietà pubblica e non consentire analogo assenso per terreno di proprietà privata.
In ogni caso va sottolineato che, per quanto attiene al versante degli usi civici, non può affermarsi, in linea di principio, che vi sia un divieto di utilizzazione edificatoria del terreno di proprietà privata se possa dimostrarsi che l'utilizzabilità di
esso per uso civico sia garantita.
15
V. in questo senso JANNITTI
PIROMALLO, Natura giuridica dei canoni demaniali, in Giur. compl.
cass. civ., 1951, I, 801; sostanzialmente nello stesso senso v. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica, cit.,
pag. 245, il quale peraltro afferma che ciò non esclude che il canone debba essere rivalutato, ad impedire un danno per i diritti delle popolazioni.
12
6. Attività negoziale su terreni di proprietà pubblica (terre di natura civica
o demani civici).
Una stima effettuata qualche anno fa sui terreni di natura civica assoggettati
ad uso civico ha dato il risultato che i terreni predetti rappresentano un decimo circa dell'intero territorio nazionale (oltre tre milioni di ettari), e sono caratterizzati dai
cinque sesti di proprietà del Comune e dal restante sesto di proprietà delle Comunità agrarie.16
Si parla in questo caso di beni collettivi, di terreni cioè appartenenti all'intera
collettività, cioè agli abitanti del luogo, sia come gruppo che come singoli. Va chiarito che la collettività non costituisce un soggetto giuridico e che i beni appartengono
ai singoli, che ne sono comproprietari.17 Peraltro il Comune, o l'associazione agraria, non ha un dominio sul bene, ma si limita a rappresentare la comunità di abitanti locale e ad esercitare, per conto della relativa popolazione, una serie di poteri e di
facoltà caratterizzati prevalentemente da una regolamentazione del relativo esercizio, ma in qualche misura aventi attinenza con l'utilizzazione del dominio. In questi
ultimi casi, peraltro, è prevista la concorrente presenza di altri organi pubblici (prima il Ministero dell'agricoltura e successivamente, con il decentramento delle funzioni statuali, le Regioni, il cui scopo è quello di rappresentare al massimo livello
pubblicistico le istanze della popolazione, in analogia all'abrogato potere regio).
Ricordato che le terre civiche sono incommerciabili, imprescrittibili e insuscettibili di mutamento di destinazione, per quanto più sopra affermato; precisato
che su questa linea si è posto l'indirizzo costante della giurisprudenza della Suprema Corte, sulla base di una serie di riflessioni non sempre perspicue sul piano dei
concetti, e certamente rigorose nell'interpretazione della scarna normativa recata
dalla legge del 1927; si tratta ora di passare in rassegna le fattispecie eccezionali
che giustificano la commerciabilità dei beni in discorso, fattispecie che possono essere così riassunte: a) legittimazione; b) assegnazione a categoria e successiva autorizzazione amministrativa; c) quotizzazione ed affrancazione; d) conciliazione.
Per un verso o per l'altro ognuna di queste fattispecie si sostanzia in un procedimento che ha come risultato l'emanazione di un provvedimento amministrativo
16
V. in tal senso VENZI, La problematica economica della gestione delle terre soggette ad uso civico, in
REGIONE LAZIO, Terre collettive e usi civici tra Stato e Regione, Atti del Convegno organizzato a Fiuggi
nei giorni 25-27 ottobre 1985, Roma, 1985, pag. 225 e segg., che riporta una tabella sulla consistenza
della proprietà collettiva in Italia dovuta a MEDICI, Proprietà collettive, demani, usi civici, in Rivista di
economia agraria, 1948.
17
V. in tal senso CERULLI IRELLI, Op. cit., pag. 302 e segg.
13
finale, per effetto del quale il bene da proprietà collettiva si trasforma in proprietà
privata: si parla di bene demaniale che si trasforma in bene allodiale, cioè in proprietà privata.
a) Legittimazione.
La legittimazione è disciplinata dagli artt. 9 e 10 della legge n. 1766 del
1927 e dagli artt. 25 e 26 del relativo regolamento adottato con R.D. n. 332 del
1928. essa presuppone il possesso di terre civiche abusivo, dovuto ad occupazione
abusiva contro ogni logica, oppure ad occupazione a seguito di atto formale di alienazione peraltro non legittima e comportante la nullità dell'acquisto.
Trattasi certamente di un meccanismo di acquisizione della proprietà solitaria del bene civico contro ogni logica giuridica, se non quella di privilegiare in qualche modo chi di fatto utilizza la terra, ricavando da essa, per il tramite di una coltura creativa di migliorie agrarie, un effettivo beneficio. Prova ne sia che una dottrina
parla espressamente di espropriazione del bene collettivo, legittimata da un'estesa
applicazione di uno strumento creato dal legislatore del 1927 come eccezione ad
una regola diversa, e in pratica estesosi ampiamente prevalentemente per inerzia
dei commissari per gli usi civici che, anziché utilizzarlo in consonanza con l'interesse
generale e, sotto questo aspetto, ritenerlo come espressione di un provvedimento
discrezionale della pubblica autorità, l'hanno applicato indefettibilmente per assecondare l'interesse dei privati illegittimi possessori.18
Il relativo procedimento avviene nel modo seguente: si fa una perizia istruttoria, che, previo riscontro da parte del Commissario per gli usi civici, va pubblicata
in Comune; successivamente si ha l'ordinanza di legittimazione di competenza del
commissario per gli usi civici; il provvedimento di legittimazione del commissario va
approvato dal Ministero di grazia e giustizia sentita la Regione.19
18
V. in questo senso CERVATI, Appunti circa la legittimazione delle terre d'uso civico, in Riv. dir. agra-
rio, 1963, 294 e segg.
19
Il provvedimento ministeriale (decreto) rappresenta la sostituzione dell'originario decreto del Capo
dello Stato, dopo che la competenza del Capo dello Stato è stata fortemente ridotta, ed attribuita ai vari
Ministeri, dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13: v. in tal senso PETRONIO, voce "Usi civici", Enc. diritto,
cit., pag. 935, nt. 41. Invece la competenza del Ministero di grazia e giustizia è subentrata a quella del
Ministero dell'agricoltura, dopo la soppressione di quest'ultimo per effetto della legge 4 dicembre 1993,
n. 491, che ha riordinato le competenze regionali e statali in materia agricola e forestale, creando il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali ed attribuendo appunto al Ministero di grazia e giustizia
"le competenze in materia di commissariati agli usi civici...in attesa del riordino generale della materia
degli usi civici" (art. 5).
14
La procedura di legittimazione ha rappresentato un punto nodale nella diatriba tra Stato e Regioni sull'interpretazione da dare al D.P.R. n. 616 del 1977 sul
trasferimento alle Regioni di determinate funzioni statali, ma può affermarsi che la
tesi prevalsa sia quella che tutta la competenza debba ritenersi ripartita come segue. Vi è una prima fase, di spettanza del commissario per gli usi civici, che si conclude con ordinanza; vi è una seconda fase, che si ripartisce tra Regione (che si esprime con un parere) e Stato (già Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'agricoltura ed ora soltanto decreto del Ministero di grazia e giustizia).20
Ancorché non si manchi di precisare che tutta la fase preparatoria dell'ordinanza commissariale debba ormai ritenersi attribuita alla regione, che dovrà trasferirla al commissario per gli usi civici soltanto per consentirgli di emettere ordinanza.21
Condizioni per disporre la legittimazione sono: che il possesso del terreno
duri almeno da dieci anni, che la zona occupata non interrompa la continuità del
terreno, infine che l'occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie, circostanza, quest'ultima, che viene ritenuta sussistere soltanto con riferimento
a miglioramenti di natura stabile e obbiettiva, tali da aumentare la capacità di reddito del fondo.22E non manca legislazione regionale per la quale le migliorie degne
di considerazione possono essere attinenti soltanto a miglioramenti agrari.23
Si afferma solitamente che la legittimazione non rappresenti un diritto del
possessore abusivo che si trovi nelle condizioni di legge per poterne usufruire, perché la valutazione discrezionale da parte del commissario per gli usi civici e della
20
Cfr. art. 66 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 che reca la seguente norma: "l'approvazione della legitti-
mazione di cui all'art. 9 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica d'intesa con la regione interessata."
21
V. in questo senso ESPOSITO, Intesa ed atto di approvazione nel procedimento di legittimazione di
terre di uso civico, in Foro amm., 1990, II, 803. L'opinione di questa dottrina era stata favorita da Corte
Costituzionale 10 ottobre 1979, n. 121, in Giur. cost., 1979, I, 837, la quale aveva riconosciuto come
legittimo alla regione Campania il potere di conferire l'incarico di dirigere l'ufficio amministrativo del
commissariato per gli usi civici ad un funzionario della regione. Ed era stata in qualche misura supportata dalle riflessioni di altra dottrina: DE MARTIN, Sui limiti ingiustificati alle competenze delle regioni ordinarie in tema di legittimazioni delle occupazioni di terre di uso civico, in Le regioni, 1988, 1724; LETTERA, Usi civici ed uso produttivo delle terre pubbliche, in Nuovo dir. agr., 1986, 25. Da ultimo questa conclusione appare accolta anche dalla giurisprudenza della Cassazione, che di recente ha stabilito che dopo
l'entrata in vigore del D.P.R. n. 616 del 1977, le legittimazioni sono state sottratte alla potestà commissariale e devolute alle Regioni (Cass. 10 dicembre 1993, n. 12158).
22
In tal senso v. ROMANO CASTELLANA, Legittimazione delle abusive occupazioni di terre d'uso civico,
in Riv. dir. agr., 1950, I, 208.
23
Cfr. in questo significato legge regionale Campania 17 marzo 1981, n. 11 (art. 4).
15
pubblica amministrazione nel concedere la legittimazione testimoniano sull'esistenza di una semplice aspettativa da parte del privato, fermo restando, come più volte
sostenuto dal Consiglio di Stato, che la pubblica amministrazione nel diniego della
richiesta di legittimazione deve motivare il provvedimento negativo.24
Una volta ottenuta la legittimazione, sorge a favore del possessore abusivo
un diritto soggettivo di natura privatistica, mentre i beni perdono la natura di beni
assoggettati a proprietà collettiva ed il diritto di uso civico degrada, secondo l'interpretazione della giurisprudenza, al rango di diritto affievolito.25 E' stato anche chiarito che il provvedimento commissariale di legittimazione delle occupazioni abusive
"conferisce al destinatario la titolarità di un diritto soggettivo perfetto di natura reale sul terreno che ne è oggetto, costituendone titolo legittimo di proprietà e di possesso".26
Giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che la legittimazione
determini il venir meno dell'uso civico e, in primo luogo, il venir meno dell'inalienabilità del terreno, tant'è che appare ricorrente, specie nella giurisprudenza, la considerazione della legittimazione come ipotesi radicale di cessazione dell'uso civico e
di riacquisto della commerciabilità dei terreni che vi erano assoggettati.27
Non mancano, in giurisprudenza, lineari applicazioni della costruzione che
precede, come quella che il terreno acquistato per legittimazione non deve ritenersi
sottratto ad esecuzione immobiliare;28o l'altra che il terreno oggetto di possesso
abusivo, in attesa della legittimazione, può essere oggetto di preliminare di vendita
condizionato al sopravvenire della legittimazione, perché, ha chiarito la Cassazione,
"ove la condizione non si verifichi, l'impegno di vendere viene caducato, mentre, nel
caso opposto, non può farsi questione di incommerciabilità della res, ormai appartenente al legittimato;"
29
o ancora l'altra che il possessore destinatario della legit-
timazione, divenendo proprietario, perde l'originaria veste di conduttore di contratto
24
Vedila citata in PETRONIO, Op. cit., pag. 939, nt. 72.
25
Cfr. Cass. 8 novembre 1983, n. 6589.
26
Così espressamente Cass. 23 giugno 1993, n. 6940.
27
V. per la giurisprudenza, Cass. 8 novembre 1983, n. 6589; Cass. 15 giugno 1974, n. 1750, in Giust.
civ., Mass., 1974, 785, la quale fa un confronto tra la fattispecie della legittimazione e quella dell'assegnazione per riparto, che si vedrà più avanti, proprio facendo leva sulla distinta commerciabilità del terreno soggetto ad uso civico; Cass. 8 maggio 1973, n. 1234, in Giust. civ., 1973, I, 705, la quale chiarisce che il divieto di alienazione delle terre quotizzate, stabilito dall'art. 21 della legge n. 1766 del 1927
"non è applicabile ai terreni trasformati da demaniali in allodiali per effetto della legittimazione delle occupazioni attuata ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge n. 1766 del 1927". V. per la dottrina PETRONIO,
Op. cit., pag. 939; CERULLI IRELLI, Op. cit., pag. 354; CERVATI, Appunti, op. cit.
28
29
Come afferma espressamente Cass. 15 giugno 1974, n. 1750, cit.
Così Cass. 8 maggio 1973, n. 1234, in Giust. civ., 1973, I, 705.
16
di locazione, con il conseguente venir meno a suo carico dell'obbligo di restituzione
del bene che avesse per ipotesi ricevuto in locazione da parte del concedente.30
b) Assegnazione a categoria e successiva autorizzazione amministrativa.
La disciplina sull'utilizzazione e sulla disponibilità delle terre c.d. civiche, cioè
appartenenti alla collettività civica, spesso sinteticamente qualificate dagli interpreti
come "demanio civico", è normativamente stabilita dagli artt. 11 e segg. della legge
1766 del 1927. Essa può essere così sintetizzata: i terreni utilizzabili come bosco o
pascolo sono destinati a restare di proprietà collettiva, mentre i terreni utilizzabili
per la coltura agraria sono destinati ad essere ripartiti tra i coltivatori locali e successivamente a divenire proprietà privata dei singoli assegnatari.
Per avere un'idea dell'ampiezza del fenomeno e della sua articolazione, si ricorda che, a fronte di un patrimonio di terreni di uso civico calcolato nella misura di
circa 3 milioni di ettaro, localizzati nel 40 per cento dei Comuni italiani, poco più di
un quinto (circa 700 mila ettari) è costituito da terreni suscettibili di coltura agraria.31
1. Assegnazione a categoria.
Data la divaricazione di disciplina che si verifica tra le due categorie di terreno di uso civico, si comprende come sia importante la c.d. "assegnazione a categoria", cioè il provvedimento amministrativo che determina l'inserimento del terreno
in una o nell'altra disciplina. Sia dottrina che giurisprudenza danno infatti massimo
risalto al provvedimento stesso, che solitamente si avvale di un piano tecnico di
massima, seguito da un piano specifico sempre di carattere tecnico (ma appare
consentito effettuare l'assegnazione a categoria anche senza piano tecnico allorquando risulti da sicuri elementi a quale delle due categorie debba essere assegnato il terreno: ex art. 37 regolamento n. 332 del 1928) e che si conclude con un
provvedimento in precedenza di competenza del commissario per gli usi civici ed
attualmente di competenza della Regione.
Fino all'assegnazione a categoria il bene appartiene alla collettività e pertanto il divieto di alienazione, l'imprescrittibilità e il divieto di mutamento di destinazione del bene appaiono più rigorosi. Con l'assegnazione a categoria il regime del bene
30
V. Cass. 23 giugno 1993, n. 6940.
31
Notizie in questo sono state fornite da VENZI, La problematica economica, cit., pag. 226.
17
si biforca: i boschi e i pascoli continuano ad appartenere alla collettività e l'ente esponenziale della collettività stessa (Comune nella stragrande maggioranza dei casi) potrà alienarli soltanto con autorizzazione della Regione (in precedenza ministeriale); i terreni suscettibili di coltura agraria saranno assegnati in enfiteusi e potranno, dopo l'affrancazione, essere alienati dall'assegnatario.
Si comprende pertanto il rigore interpretativo della massima contenuta in
Cass. 22 novembre 1990, n. 11265, per la quale "il contratto con il quale il Comune
alieni un terreno incluso nel demanio di uso civico è affetto da nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto, ove non sia stato in precedenza reso formale atto di determinazione della categoria di appartenenza del bene, considerato che, in difetto di
tale atto, quel demanio civico resta soggetto a vincolo d'indisponibilità, non derogabile in forza del mero provvedimento (regionale o ministeriale) di autorizzazione alla vendita".32
Si assiste, peraltro, ad un tentativo di ammorbidimento della funzione costitutiva che si è ritenuto avere il provvedimento di assegnazione a categoria nella
procedura di alienazione del bene civico: da una parte affermandosi che l'assegnazione a categoria è indispensabile soltanto quando il bene non sia ontologicamente
classificabile in una delle due categorie previste dall'art. 12 della legge del 1927,
perché in
caso contrario l'assegnazione a categoria rappresenta un mero atto di
accertamento dichiarativo la cui mancanza produce soltanto un vizio formale dell'autorizzazione ad alienare;33da un'altra parte affermandosi che la mancata assegnazione a categoria, sostanziandosi in un provvedimento parziale di procedimento
amministrativo, pur determinando la nullità della vendita, possa essere convalidata
con provvedimento successivo, specialmente ora che la convalida, secondo i principi
del diritto amministrativo, verrebbe ad essere adottata dalla stessa autorità (la regione) competente ad emettere il provvedimento di assegnazione34 (si ricorderà che
nel passato il provvedimento di assegnazione a categoria era di competenza del
commissario per gli usi civici, mentre il provvedimento di autorizzazione era di
competenza del Ministero dell'agricoltura).
Se fosse esatta quest'opinione, se ne potrebbe ricavare il seguente principio:
una volta mancante l'assegnazione a categoria, con la conseguente nullità dell'atto
di alienazione posto in essere malgrado la sua mancanza, la nullità negoziale che in
via rigoristica ne ricava la Cassazione, potrebbe essere superata con il seguente
32
Vedila riportata in Foro it., 1990, I, 3396; nello stesso senso v. Cass. 10 novembre 1980, n. 6017, in
che parla di "immobili inalienabili per difetto della preventiva assegnazione a categoria".
33
Così espressamente Corte Costituzionale 25 maggio 1992, n. 221, in Le regioni, 1993, 457.
34
V. in tal senso Corte Costituzionale 25 maggio 1992, n. 221, cit.
18
procedimento logico: la mancanza di assegnazione, sostanziandosi nella carenza
procedimentale di un provvedimento amministrativo, determina l'annullabilità del
provvedimento autorizzativo, che a sua volta determina la nullità dell'atto di alienazione posto in essere senza il rispetto delle norme eccezionali che giustificano il
passaggio del bene collettivo a bene allodiale. Se peraltro, in via successiva, l'autorità amministrativa competente (la regione) ricreando l'assegnazione a categoria ex
post convalidasse la precedente autorizzazione, sul presupposto che la convalida
opera sempre ex tunc, la nullità verrebbe a perdere ex tunc il meccanismo invalido
che l'ha determinata, riacquistando la sua validità con effetto dall'atto precedente.
Non si deve pensare che in questo modo si avrebbe una convalida di atto
nullo in ipotesi non prevista dalla legge, perché, come ha chiarito la Corte Costituzionale,35 la convalidazione "non tanto determina la convalida del negozio autorizzato, quanto rimuove retroattivamente la ragione d'invalidità del negozio, il quale
risulta non già convalidato, bensì stipulato validamente fin dall'origine". Non per
niente detta sentenza della Corte Costituzionale è stata commentata con una nota
dal seguente titolo: "Alienabilità delle terre civiche: la Corte Costituzionale fa un
passo avanti".36
Sulla falsariga dell'orientamento estensivo predetto si è mossa qualche Regione, disponendo la possibilità di convalida delle autorizzazioni all'alienazione di
terre civiche non previamente assegnate a categoria, lasciando il consiglio regionale
libero di valutare discrezionalmente l'inerenza ad interesse pubblico dell'opportunità
di concedere la convalida, e purché la convalida riguardasse atti di alienazione stipulati in precedenza entro una certa data (così art. 7 legge regionale Abruzzo 3
marzo 1988, n. 25).
Mentre altre regioni sembrano sottovalutare l'esigenza di preventiva assegnazione a categoria, caricando la facoltà di alienazione del terreno civico su normative di piano regolatore o comunque edilizio: stabiliscono, cioè, che la regione
può autorizzare la cessione di terreno civico allorquando esso sia in sintonia con un'utilizzazione edificatoria prevista e consentita da normativa edilizia di piano .37
35
Corte Costituzionale 25 maggio 1992, n. 221, cit.; Corte Costituzionale 27 maggio 1992, n. 237, in
Giur. comm., 1992, 1826 e segg., commentata da GATTAMELATA, Legislazioni regionali e Corte costituzionale: verso una gestione differente dei terreni di uso civico, ivi, 1993, 4419.
36
Si esprime in questo modo MARTINI, in Le regioni, 1993, 450 e segg.
37
V. legge regionale Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, che autorizza l'alienazione per finalità pubbliche te-
nendo conto dei piani paesaggistici o di assetto del territorio (art. 6); legge regionale Campania 17 marzo 1981, n. 11, che prevede l'alienazione per i suoli edificatori utilizzati per insediamenti residenziali o
produttivi (art. 10); legge regionale Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, che prevede l'autorizzazione da parte
della giunta regionale per l'alienazione di terreni che abbiano acquistato carattere e destinazione edifica-
19
2. Autorizzazione amministrativa.
Con riferimento ai terreni di categoria a) (boschi e pascoli) la legge del 1927
(art. 12) stabilisce che i Comuni e le associazioni non potranno, senza autorizzazione ministeriale (ora regionale) "alienarli o mutarne la destinazione". La dottrina si è
interrogata sulla stranezza di questa norma che, proprio per i beni di categoria a)
destinata a restare in proprietà collettiva, prevede una possibilità ancorché limitata
di alienazione.38 Ma non sembra che detta norma pecchi d'incongruità, se si pensi
che, a fronte di una categoria di beni votata alla proprietà collettiva, e quindi disciplinata in termini di rigorosa inalienabilità, la legge del 1927 si è opportunamente
preoccupata di introdurre eccezioni a tale disciplina.
Nel suo rigore interpretativo la giurisprudenza della Cassazione ha affermato
che l'autorizzazione all'alienazione possa avvenire soltanto per il contratto di compravendita, come può desumersi anche dall'art. 24 della legge n. 1766 del 1927,
che parla di "prezzo di vendita dei terreni dichiarati alienabili", e non riguardi né il
contratto di enfiteusi,39 né il trasferimento di diritti reali limitati.40
La giurisprudenza ha anche chiarito che l'autorizzazione non possa perfezionare una vendita già fatta, ma debba essere preventiva;41 la giurisprudenza collega
tecnicamente questa conclusione al rilievo che l'autorizzazione costituisce strumento necessario per la "sdemanializzazione" del bene. Se peraltro si segue l'impostazione data dalla Corte Costituzionale, secondo la quale appare possibile, senza intaccare i principi codicistici sulla nullità dell'atto, convalidare ex post un atto carente
di autorizzazione con un'autorizzazione successiva, sembra che il rigore giurisprudenziale possa essere in qualche misura ridotto. Si potrebbe, per questa strada, verificare quanto si è verificato per la carenza di autorizzazione all'acquisto ex art. 17
toria in conformità al piano regolatore vigente (art. 5); legge regionale Lombardia 24 maggio 1985, n.
52, che stabilisce l'alienabilità a condizione che gli strumenti urbanistici prevedano diversa destinazione
del terreno (art. 4); legge regionale Umbria 17 gennaio 1984, n. 1, che prevede l'alienazione qualora i
terreni abbiano perso l'originaria destinazione agro-silvo-pastorale sulla base degli strumenti urbanistici
adottati dai Comuni interessati (art. 5).
38
Cfr. PETRONIO, Op. cit., pag. 940, nt. 81.
39
Vedi la precedente giurisprudenza, sintetizzata da FLORE-SINISCALCHI-TAMBURRINO, Rassegna di
giurisprudenza sugli usi civici, Milano, 1956, pag. 62 e segg.; cui adde Cass., Sez. Unite, 14 marzo 1959,
n. 759, in Riv. dir. agr., 1959, II, 149.
40
In tal senso Cass. 12 dicembre 1953, n. 3690, in Giur. compl. cass. civ., 1953, VI, 561, con nota di
CERVATI, A proposito dei demani di uso civico e della loro incommerciabilità.
41
V. Cass. 20 dicembre 1940, n. 3117, in Sett. Cass., 1941, 240; Cass., Sez Unite, 14 marzo 1959, n.
759, in Riv. dir. agr., 1959, II, 149.
20
cod. civ., che la giurisprudenza ha qualificato come condizione di efficacia dell'atto
negoziale, come tale suscettibile di essere recuperata con autorizzazione successiva, rivestente efficacia ex tunc.42 Va da sé che in tanto appare possibile muoversi
per questa strada in quanto si abbandoni l'opinione giurisprudenziale che collega la
natura dell'uso civico alla natura di bene demaniale.
Il procedimento per ottenere l'autorizzazione alla vendita del bene era strutturato, nell'impianto della legge del 1927, in modo da coinvolgere il Comune (autorità richiedente l'autorizzazione), il commissario per gli usi civici (autorità preposta
alla valutazione degli aspetti tecnico-giuridici della richiesta e a corredarla di un
proprio parere), il Ministero dell'agricoltura, che poteva esprimersi con piena discrezionalità, tanto che si affermava che i cittadini non avessero in proposito diritti soggettivi, ma soltanto interessi legittimi.43
Attualmente è da ritenersi che il procedimento sia tutto impostato in capo alla Regione, cui spetta concedere l'autorizzazione sulla base della richiesta del Comune o della associazione o università agraria. Infatti molte regioni hanno legiferato in materia, stabilendo da un lato la ripartizione della competenza in proposito tra
gli organi e gli uffici regionali, e, da un altro lato, ampliando compiti autorizzativi
ben oltre gli stretti confini segnati dalla legge del 1927.
In difetto di autorizzazione l'atto è nullo radicalmente, come comunemente
affermato in giurisprudenza;44 mentre la dottrina ha tentato di dare giustificazione
sistematica a detta regola, ravvisando nell'autorizzazione ministeriale il successore
dell'istituto analogo del potere sovrano, cui veniva riconosciuta la facoltà di sintetizzare racchiudendola, la decisione dell'intera collettività di cives, e pertanto riconoscendo all'autorizzazione stessa un valore costitutivo che sarebbe apparso strano
con riferimento ad un comune provvedimento autorizzativo della pubblica amministrazione secondo le regole generali del diritto pubblico.45
c) Quotizzazione ed affrancazione.
La c.d. quotizzazione, cioè la ripartizione dei terreni del demanio civico assegnati a coltura agricola (categoria b) fra i coltivatori diretti del luogo, con obbligo di
42
V. per questi concetti Cass. 16 novembre 1962, n. 12280; Cass. 24 gennaio 1992, n. 810; Cass. 10
dicembre 1977, n. 5350; Cass. 4 giugno 1976, n. 2027, in Giur. it., 1978, I,1,657.
43
Cfr. Cass. 6 giugno 1950, n. 1424, in Foro it., 1951, I, 1069; Cons. Stato, 12 febbraio 1949, in Riv.
amm., 1949, 340.
44
Cass., Sez. Unite, 14 marzo 1959, n. 759, in Riv. dir. agr., cit.
45
V. in questo senso CERULLI IRELLI, Op. cit., pag. 383.
21
migliorie e l'imposizione di un canone, determina la creazione di un diritto soggettivo, in capo al coltivatore, qualificabile come enfiteusi. Peraltro fino all'affrancazione
del canone enfiteutico il bene non è alienabile dall'assegnatario.
Quanto precede è la sintetica disciplina desumibile dagli artt. 13 ("i terreni
indicati alla lettera b dell'art. 11 sono destinati ad essere ripartiti...fra le famiglie
dei coltivatori diretti del Comune o della frazione..."), 19 ("l'assegnazione delle unità fondiarie risultanti dalla ripartizione è fatta a titolo di enfiteusi, con l'obbligo delle
migliorie..."), 21 ("non sarà ammessa l'affrancazione se non quando le migliorie saranno state eseguite...Prima dell'affrancazione le unità suddette non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo") della legge n. 1766 del 1927.
Va subito affermato che la c.d. quotizzazione si è dimostrata inadeguata allo
scopo cui essa mirava e sostanzialmente improduttiva, sia per la lunghezza del procedimento che la riguarda, sia perché a seguito del trasferimento alle Regioni delle
funzioni proprie dello Stato alcune Regioni ne hanno bloccato la concretizzazione,
sia infine perché, probabilmente, il fenomeno della quotizzazione è stato in larga
misura superato dall'istituto della legittimazione del possesso illegittimo.46
La giurisprudenza della Cassazione ha statuito con il consueto rigore utilizzato in questa materia, che il bene assegnato in enfiteusi non cessa di essere "bene
demaniale", fino all'affrancazione del canone e che pertanto qualsiasi negozio giuridico con effetti reali, prima dell'affrancazione, debba considerarsi nullo di pieno diritto. La Cassazione ha collegato questa nullità con le finalità pubblicistiche che intende perseguire la legge di liquidazione degli usi civici ("miglioramento delle terre
ed incremento della produzione agricola nazionale"), il che postula che non possa
effettuarsi l'affrancazione fino a che non siano accertati i miglioramenti agrari sul
fondo; e determina altresì che soltanto dopo l'affrancazione l'enfiteuta diventi proprietario pieno e che il fondo da demaniale si trasformi in "allodiale".47
Tuttavia la giurisprudenza apre una porta per mitigare la rigidità della nullità: dire che l'atto sia nullo per incommerciabilità dell'oggetto non significa affermare che non sia consentito un negozio di natura obbligatoria e non reale, come la
vendita di cosa altrui, allorquando il negozio non abbia come effetto un trasferimento immediato. Ad avviso della Suprema Corte, cioè, la vendita obbligatoria non rientra fra le cessioni o alienazioni previste dall'art. 21 della legge del 1927, cioè tra le
46
Cfr. in questo senso PETRONIO, Op. cit., pag. 941; CERULLI IRELLI, Op. cit., pag. 370.
47
Cfr. in questo senso Cass. 7 maggio 1968, n. 1404, in Foro it. 1968, I, col. 1440, con nota di GROS-
SI.
22
disposizioni a carattere reale immediato, "le quali solo contrastano con il sistema
della legge e con gli scopi di essa".
48
Sempre su questa direttrice, la Cassazione ha anche disposto che il preliminare di vendita del fondo è valido anche prima dell'affrancazione, che il passaggio
del possesso al terzo in tal caso è consentito e che in tale ipotesi le migliorie possono essere realizzate dal terzo con beneficio per l'assegnatario.
49
E la dottrina si è preoccupata di mantenere aperta questa porta di mitigazione dell'interpretazione rigorosa della precedente giurisprudenza sulla base della seguente riflessione: se si ha un contratto di cessione obbligatoria del fondo assoggettato ad uso civico, il contratto non prende in considerazione il rapporto di enfiteusi creato in capo all'assegnatario, bensì quello che sarà il futuro rapporto dominicale di proprietà piena sul bene, rapporto che allorquando, a far data dall'affrancazione, verrà regolarmente costituito, fin da tale data sarà regolarmente commerciabile e pertanto non assoggettabile ai vincoli negoziali concernenti il "bene demaniale". Di qui la conclusione che il contratto con effetti obbligatori posto in essere
tra l'enfiteuta e il terzo, anche nella fase di passaggio dall'assegnazione in enfiteusi
all'affrancazione, non appare invalido perché non urta contro il principio dell'incommerciabilità del bene.
50
La dottrina si è spinta ben oltre dette conclusioni: sulla base del rilievo che
la legge del 1927 si limita a stabilire un divieto negoziale, ma non ne precisa le
conseguenze sanzionatorie allorquando un soggetto non vi si adegui, si è chiesta se
il divieto sancito dall'art. 21 della legge 1766 non possa essere considerato in maniera differente dalla nullità: ed ha affermato, ancorché come ipotesi ricostruttiva
da approfondire ulteriormente, che potrebbe parlarsi di inefficacia; ha ritenuto,
cioè, l'espressione contenuta nell'art. 21 predetto "espressione neutra, che può tradursi tanto nella nullità quanto nella temporanea inefficacia o nell'inefficacia sospesa; o in mera inopponibilità dell'atto al concedente, ferma restando la produzione
48
V. in tal senso Cass. 7 maggio 1968, n. 1404, cit., in termini generali sull'inapplicabilità del divieto
previsto dall'art. 21 della legge 1766 del 1927 per i negozi giuridici con effetti obbligatori ed in ispecie
sull'inapplicabilità del divieto ivi previsto alla vendita di cosa altrui. Per la verità soltanto di recente la
Suprema Corte è andata di contrario avviso, nel senso risultante dal testo, mentre in passato essa aveva
ritenuto con rigore la nullità dell'atto di cessione avvenuto prima dell'affrancazione: v. in quest'ultimo
senso Cass. 30 agosto 1960, n. 2400, in Foro it., Rep., 1960, voce "Diritti promiscui", n. 29; Cass. 10
ottobre 1957, n. 3728, ivi, 1957, voce cit., n.42.
49
V. Cass. 4 agosto 1979, n. 4536, la quale afferma che anche nel caso ipotizzato è garantita la realiz-
zazione del miglioramento del fondo perseguita dalla legge del 1927.
50
Cfr. in questo senso RESCIGNO, Parere al Consiglio notarile di Roma in data 27 novembre 1985, per
quanto ne consta ancora inedito.
23
del vincolo negoziale dell'irrevocabilità del consenso per i soggetti dell'atto di autonomia privata".51
Altra dottrina mostra di essere più rigorosa, in sintonia con il vecchio orientamento della giurisprudenza e fa discendere tale rigore dalla considerazione che
l'enfiteusi non sarebbe istituto di diritto privato, bensì istituto di diritto pubblico: "il
rapporto a carattere reale dell'assegnatario verso il fondo è tuttavia retto da regime
amministrativo, come rapporto concessorio avente ad oggetto l'utilizzazione di un
bene pubblico".52 Ciò comporta, evidentemente, che il bene non possa costituire
oggetto di negoziazione senza chiamare in causa la pubblica amministrazione; ma a
ben vedere, allorquando i privati abbiano l'avvertenza di negoziare non gli aspetti
pubblicistici del rapporto, bensì quelli privatistici, rinviando l'effetto della contrattazione al momento successivo nel quale il bene diventerà di proprietà privata, si può
affermare che neppure questa rigorosa impostazione dottrinale sia in contrasto con
la dottrina più possibilista sopra esposta.
In conclusione, data la ben nota prudenza operativa del notaio, si suggerisce
a questo di attenersi alla rigorosa interpretazione giurisprudenziale e di prestarsi
eventualmente a ricevere attività negoziale soltanto nell'ipotesi che il negozio abbia
effetti obbligatori, mirando a chiarire in atto che di tali effetti si tratta, allo scopo di
non impingere in modo diretto contro il divieto dell'art. 21 più volte citato.
Quanto alla procedura per realizzare l'affrancazione, né la legge del 1927, né
il regolamento del 1928 ne parlano, limitandosi essi a stabilire che l'affrancazione
può essere richiesta soltanto dopo che l'autorità (prima, l'ispettorato agrario provinciale ed ora la corrispondente autorità regionale) abbia accertato l'esistenza di
miglioramenti agrari in linea con le previsioni del piano tecnico varato.
d) Conciliazione.
L'art. 29 della legge 1766 del 1927 stabilisce che in ogni fase del procedimento potrà essere promosso, sia d'ufficio che per iniziativa delle parti, un esperimento di conciliazione.
La legge non chiarisce gli effetti della conciliazione, ma la giurisprudenza afferma che essa converte in bene allodiale, in favore del conciliato o legittimario, il
51
Così espressamente RESCIGNO, cit.
52
Così CERULLI IRELLI, Op. cit., pag. 372.
24
bene demaniale;53e la qualifica atto di disposizione dei diritti controversi con immediata efficacia una volta intervenuta l'approvazione prevista dalla legge.54
La dottrina, a sua volta, esprime l'avviso che la conciliazione, nella sostanza,
è un contratto di diritto privato che si instaura tra il singolo ed una collettività rappresentata dal Comune, contratto sottoposto alla condizione sospensiva dell'approvazione dell'autorità superiore (prima il commissario per gli usi civici ed oggi, è da
ritenersi, la regione); e precisa che l'efficacia della conciliazione omologata viene
equiparata alla sentenza o ad una decisione definitiva, alla stessa stregua della
transazione.55
Nel testo della legge del 1927 la conciliazione doveva essere omologata dal
commissario per gli usi civici e sottoposta ad approvazione ministeriale. Dopo il trasferimento delle competenze statuali alle regioni oggi si discute se la conciliazione
non debba intendersi interamente trasferita alle regioni, ad evitare un controllo della regione su un organo dello Stato, quale continua ad essere il commissario per gli
usi civici.
56
6. Legislazione regionale.
Prima di concludere va dato conto del fatto che numerose regioni, dopo il
trasferimento alle regioni delle funzioni statuali per effetto del D.P.R. n. 616 del
1977, hanno legiferato in materia di usi civici. Va peraltro subito anticipato che le
leggi regionali si sono concentrate prevalentemente nell'individuazione degli organi
competenti a decidere in materia.
Tuttavia non sono mancate leggi regionali che, da un lato, hanno ampliato la
sfera dell'autorizzazione, estendendola anche ai fenomeni di utilizzazione edilizia del
terreno soggetto di uso civico; e, dall'altro lato, hanno ampliato entro certi limiti i
vincoli d'incommerciabilità del bene.
Meritano un'attenzione particolare, sotto il primo punto di vista, la legge regionale del Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, intitolata appunto "regime urbanistico dei
terreni di uso civico"; e, sotto il secondo punto di vista, la legge regionale Abruzzo
53
Così Cass. 12 aprile 1933, n. 1267, in Foro it., Mass., 1933, col. 279; v. anche Cass. 23 luglio 1966,
n. 2006, in Giur. it., 1968, I, 1, 100.
54
Si esprime in tal senso Cass. 3 febbraio 1962, n. 210, in Giust. civ., 1962, 656.
55
V. in tal senso ZACCAGNINI-PALATIELLO, Gli usi civici, Napoli, 1984, pag. 198. Di analoga opinione è
la giurisprudenza, la quale afferma che la conciliazione avviene tra il proprietario (evidentemente in fattispecie di conciliazione nata in un procedimento di liquidazione di usi civici su terreno privato) e la collettività, rappresentata appunto dal Comune:cfr. Cass. 2 febbraio 1962, n. 210, cit.
56
V. in tal senso PETRONIO, Op. cit., pag. 947, nt. 150.
25
3 marzo 1988, n. 25, che agli artt. 4 e seguenti disciplina la commerciabilità dei
beni civici.
La legge regionale del Lazio n. 1 del 1986 si muove sulla falsariga delle seguenti riflessioni, esposte dall'allora commissario per gli usi civici del Lazio in un
convegno di studi:57 si parte dalla constatazione che molte terre civiche, site specialmente in zona contigua agli abitati, hanno subito utilizzazione edificatoria, talvolta per scopi speculativi, ma molte volte per la costruzione della prima casa, e
talvolta altresì con ricomprensione dell'area in piani regolatori o con costruzione regolarmente assentita dal sindaco; per rilevare che l'unico modo di collegare la legge
47 sul condono edilizio con i vincoli di uso civico è quello di sanare l'abuso e di autorizzare l'alienazione della costruzione avvenuta su terreno civico, caricando sul
prezzo d'acquisto l'imposizione di un prezzo adeguato dal quale ricavare l'acquisto
di altro terreno sul quale trasferire l'uso civico esistente sul terreno alienato.
Su questa impostazione, la legge regionale Lazio n. 1 del 1986 prevede che
la giunta regionale possa autorizzare l'alienazione di terreni di proprietà collettiva
quando questi abbiano acquistato carattere e destinazione edificatoria in conformità
al piano regolatore o altro strumento edilizio; l'alienazione può avvenire al valore
venale dell'area che tenga conto dell'incremento di valore derivante dalla destinazione edificatoria, con il sistema del pubblico incanto o con attribuzione della proprietà di singoli lotti agli utenti, che si obblighino a destinare il lotto all'edificazione
della prima casa ovvero alla edificazione di manufatti artigianali necessari per lo
svolgimento della propria attività. In alternativa alla cessione della proprietà è prevista la concessione del diritto ad edificare (artt. 5-7 legge regionale predetta).
Della legge regionale dell'Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 merita richiamare
brevemente l'art. 6, che disciplina la materia dei mutamenti di destinazione e dell'alienazione delle terre civiche. Detta norma stabilisce, per un verso, che l'alienazione
possa avvenire soltanto se non sia possibile realizzare il mutamento di destinazione
del bene civico; amplia, per un altro verso, le ipotesi di interesse pubblico che possono giustificare il mutamento di destinazione, stabilendo che esso può andare oltre
l'ambito prettamente agrario previsto dall'art. 41 del regolamento n. 332 del 1928,
per interessare, genericamente: "finalità pubbliche o di interesse pubblico, tenendo
conto anche dei piani paesistici o di assetto del territorio" (con chiaro riferimento ad
un'utilizzazione edificatoria del terreno).
57
Così FEDERICO, Usi civici e sanatoria degli abusi edilizi, in REGIONE LAZIO, Terre collettive e usi civi-
ci tra Stato e Regione, cit., pag. 163 e segg.
26
Detto articolo, poi, prescrive che nel contratto di alienazione deve essere
contenuta la clausola di retrocessione delle terre all'alienante se l'opera per la quale
la cessione viene autorizzata non venga eseguita, nonché il diritto di prelazione a
favore dell'alienante stesso.
Si pone subito un problema: il notaio deve tener conto di questa legislazione
regionale che, in qualche misura, viene ad incidere, modificandone la trama, sulla
legge dello Stato? E ciò sotto un duplice profilo: ne deve tener conto anche se sorga
il dubbio che la legge regionale si ponga in contrasto con qualche principio generale
desumibile dalla legislazione nazionale, tradendo in tal modo (sempre sul piano del
dubbio) l'art. 117 della Costituzione e peccando pertanto d'illegittimità costituzionale? O, sotto altro profilo, apparirebbe giustificata questa legislazione regionale anche se venisse ad incidere sulla validità dei negozi giuridici, materia notoriamente di
stretta appartenenza dello Stato, per le sue implicazioni che vanno ben oltre l'ambito regionale?
Va subito detto che il notaio non dovrebbe preoccuparsi di approfondire questi dubbi, perché la legge regionale, ancorché incostituzionale, deve essere applicata fino a che l'incostituzionalità non ne sia dichiarata dalla Corte Costituzionale,
sempre con effetti ex post. Il notaio, cioè, può sicuramente impostare i propri atti
facendo stretta osservanza anche delle leggi regionali.
7. Conclusioni e suggerimenti per il notaio.
Prima preoccupazione del notaio appare quella di accertare se si tratti di bene sottoposto a vincolo di uso civico. E' da ritenersi che a tal fine rappresentino una
sorta di campanello d'allarme determinate locuzioni, come "livello", "università agraria", "collettività agricola".
Una volta accertato che ci si trovi di fronte a terreno sul quale insiste uso civico, compito del notaio appare quello di stabilire se il terreno sia di proprietà privata, oppure di proprietà pubblica. Evidentemente a tale fine giocherà un ruolo decisivo l'intestazione catastale del bene, perché i beni pubblici o sono di proprietà di una
collettività rappresentata dal Comune, o da una frazione, oppure appartengono ad
una associazione agraria (qualificata o meno come "università agraria") e pertanto
l'intestazione catastale appare indicativa.
Trattandosi di bene di proprietà privata, il notaio potrà sempre stipulare atti
concernenti detto bene, ma avrà l'accortezza di accertare se l'uso civico sia stato
estinto o meno, preoccupandosi di informarne le parti e di corredare il contenuto
dell'atto con clausole adeguate.
27
Trattandosi di bene di proprietà pubblica, appare opportuno che il notaio si
attenga alle seguenti regole:
- fino all'assegnazione a categoria il bene è ritenuto assolutamente incommerciabile ;
- dopo l'assegnazione a categoria a) (boschi e pascoli) il bene è destinato
per sempre a restare di proprietà pubblica, salva la compravendita per esigenze di
pubblico interesse, opportunamente adottata dal comune ed approvata dalle regione;
- dopo l'assegnazione a categoria b) (coltura agraria) il bene è posseduto in
enfiteusi dal singolo, che peraltro potrà alienarlo soltanto dopo l'affrancazione del
canone enfiteutico; ferma soltanto in tal caso l'ipotesi di preliminare di vendita o di
vendita ad effetti obbligatori, sulla base di nuove tendenze giurisprudenziali assecondate dalla dottrina.
- il bene comunque, anche cioè prima dell'assegnazione a categoria, è commerciabile nell'ipotesi di legittimazione da parte del possessore abusivo;
- analogamente il bene è commerciabile a seguito di procedimento di conciliazione.
Giovanni Casu
(Riproduzione riservata)
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