Il terremoto 5 anni dopo I milioni dell`ospedale per ripianare i debiti

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Il terremoto 5 anni dopo I milioni dell`ospedale per ripianare i debiti
Il terremoto 5 anni dopo
I milioni dell’ospedale per ripianare i debiti
L’AQUILA Liste d’attesa perenni, posti letto insufficienti, mesi e mesi (a volte anni), per
ottenere un doppler, una risonanza magnetica, un’ecografia. Per non parlare delle ore e ore
trascorse al pronto soccorso per essere visitati. Tutta colpa del terremoto? No, perché dopo il
sisma i soldi per ricostruire e far ripartire l’ospedale erano arrivati. Quarantasette milioni di
euro, grazie alla lungimiranza dell’allora manager Roberto Marzetti, che in tempi non sospetti
aveva pensato bene di stipulare una polizza assicurativa a copertura dei danni derivanti da
eventuali disastri naturali. Come il terremoto del 2009, che spazzò via la città dell’Aquila. Di
quei soldi liquidati dalla compagnia assicurativa, in realtà, all’ospedale aquilano ne sono
arrivati ben pochi. La causa, ancora una volta, è da ricercare nella solita rete di poteri che
hanno dovuto tenere conto di troppe richieste. Soprattutto, è da ricercarsi in quei silenzi da
parte di chi doveva parlare e non lo ha fatto, o quantomeno lo ha fatto giusto con un filo di
voce, e che non è riuscito a portare avanti le giuste aspettative di un territorio prima colpito dal
terremoto, poi scippato di quello che gli spettava. Quando si giocò la partita dei fondi,
Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila e presidente del comitato ristretto dei sindaci della Asl,
provò ad alzare la voce. Disse che bisognava assolutamente ricostruire l’ospedale, anche
imponendo l’apertura dei cantieri 24 ore al giorno, e che i soldi dell’assicurazione non
bastavano, perché ci volevano addirittura 73 milioni. Poi più niente. Accadde quando, a pochi
mesi di distanza dal sisma, il commissario regionale per il ripianamento del deficit sanitario,
Gianni Chiodi, decise che era giunta l’ora di mettere mano alla riforma delle Asl, accorpando in
entità provinciali le varie aziende sanitarie. È fu così che la Asl dell’Aquila divenne un corpo
solo con quella di Sulmona e quella di Avezzano. I quarantasette milioni di Marzetti furono
quindi versati nelle casse della Regione e utilizzati, udite udite, per ripianare il debito della
vecchia Asl di Avezzano. Un’altra parte di quei soldi fu utilizzata per sostenere i costi legati
alla decisione di sospendere per un certo periodo di tempo il pagamento del ticket sanitario a
carico dei terremotati. Un’iniziativa sulla cui opportunità si poteva e si può discutere, certo, ma
che comunque non doveva essere finanziata con i soldi che servivano per ricostruire
l’ospedale. Per inaugurare il San San Salvatore ci sono voluti 30 anni e la determinazione, ai
limiti dell’ostinazione, del manager dell’epoca, Paolo Menduni, che riuscì a scongiurare che
quella struttura diventasse l’ennesima incompiuta tutta italiana. Andare oggi in ospedale
significa confrontarsi con una realtà sempre più difficile, nonostante l’abnegazione del
personale medico, paramedico, dei portantini. Nei reparti manca lo spazio. I degenti vengono
sistemati su letti aggiunti in unità diverse da quelle dove sono ricoverati, a volte inviati in altri
ospedali. E il sindaco Cialente, che la legge indica come la massima autorità sanitaria
cittadina, in tutto questo come si pone? Difficile dirlo. Cialente, da una parte fa il sindaco,
essendo stato rieletto con il 61% dei consensi, ma dall’altra è dipendente della Asl dell’Aquila.
Era in aspettativa da quando fu eletto alla Camera dei Deputati. Circa un anno fa, usufruendo
legittimamente della possibilità che la legge gli attribuisce, ha deciso di tornare al lavoro
optando per il part time, sembra, per motivi di tipo economico e pensionistico. Lo stipendio da
sindaco non bastava più (4100 euro al mese), così ha chiesto di poter tornare al lavoro in
ospedale, dimezzandosi l’indennità da primo cittadino. Del resto, quando si è abituati ai
compensi e benefit della Camera dei Deputati (per due mandati), è difficile «riadattarsi» a
vivere con quattromila miseri euro. Forse, chi campa con 700 euro al mese, o chi un lavoro
non ce l’ha proprio, non sarà d’accordo, ma in questo frangente si tratta di un’osservazione
assolutamente non pertinente. Gli aquilani «poveri», e purtroppo sono sempre di più le
famiglie in difficoltà visto che il tessuto economico cittadino si è praticamente sgretolato,
chissà se riusciranno a capire. Un’altra ragione sarebbe legata ai contributi maturati per la
pensione. Dopo anni trascorsi in aspettativa, infatti, il sindaco aveva necessità di un riequilibrio
contributivo. Anche in questo caso il vitalizio da ex parlamentare, una volta raggiunta la soglia
dell’età pensionabile, potrebbe non bastare più a garantirgli un adeguato tenore di vita. Ora
alla Asl si occupa di risk management, e viene remunerato con circa 3200 euro mensili. Gli
spettano 24 ore mensili di permessi per portare a temine l’incarico elettivo che gli aquilani
tanto generosamente gli hanno riaffidato. La domanda è: può una città come L’Aquila, che
ogni giorno si confronta con problemi gravissimi, una città che a cinque anni dal terremoto
ancora non riesce a rivedere la luce, può una città così permettersi un sindaco part-time?
Cialente è un uomo dalle mille risorse, e sicuramente in quella metà tempo che il lavoro gli
consente riuscirà a risolvere ogni problema della città, anche di una città in coma come
L’Aquila.
E l’ospedale? L’ospedale San Salvatore aspetta che partano gli appalti, che tutto torni come
prima, ma è un’utopia, almeno nel breve-medio periodo. E sono già passati cinque anni. A
complicare la situazione si sono messe anche le ditte che avevano vinto l’appalto per la
ristrutturazione del delta chirurgico, tanto da spingere il manager Giancarlo Silveri a diffidarle. I
cittadini «pazienti» aspettano di poter tornare ad avere, finalmente, un ospedale degno di
questo nome, che ai tempi d’oro della sanità aquilana vantava centri di eccellenza che tutto il
Centro Sud invidiava.
Angela Baglioni