Diapositiva 1 - Dipartimento di Fisica

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Diapositiva 1 - Dipartimento di Fisica
FISICA PER I BENI CULTURALI
VII – Spettroscopia Raman
P. Sapia
Università della Calabria
a.a. 2009/10
Collocazione spetrale dei raggi IR
Spettroscopia RAMAN
La spettroscopia Raman è forse la tecnica di analisi molecolare più
potente tra quelle attualmente disponibili per l’analisi dei beni culturali
Essa
può
fornire
informazioni
sulla
composizione molecolare, i
legami, l’ambiente chimico,
la fase e la struttura
cristallina dei campioni in
esame, ed è quindi adatta
all’analisi di materiali in più
forme: gas, liquidi e solidi
amorfi o cristallini
Spettroscopia RAMAN
La tecnica sfrutta un fenomeno fisico
scoperto nel 1928 dal fisico Indiano C.V.
Raman, che gli valse il premio Nobel nel
1931. Egli scoprì che una piccola frazione
della radiazione diffusa da certe
molecole aveva energia diversa da quella
della radiazione incidente, e che la
differenza di energia era legata alla
struttura
chimica
delle
molecole
responsabili della diffusione: l’effetto
Raman, appunto
Spettroscopia RAMAN
Il principio su cui si basa la tecnica Raman è la diffusione di una
radiazione monocromatica incidente sul campione. Le informazioni
ottenibili derivano dal modo con cui questo fenomeno avviene
Quando una radiazione monocromatica
incide sulla superficie di un oggetto, la
radiazione può essere:
θ
• assorbita se ha energia pari ad una
possibile transizione ad un livello
energetico superiore (es. Uv-vis, IR);
• riflessa se
materia;
non
interagisce
con
la
• diffusa se interagisce senza causare
transizioni energetiche
θ
Diffusione della Luce
Considerando l’interazione luce-materia in termini di particelle, possiamo
immaginarla come una collisione tra i fotoni e le particelle che formano il
campione irraggiato. I fotoni che interagiscono con le particelle del
campione e vengono retrodiffusi possono essere di due tipi:
• se la diffusione avviene per interazione elastica , cioè senza
trasferimento netto di energia, i fotoni (ovvero la radiazione diffusa)
hanno la stessa energia di quelli incidenti: questo fenomeno è noto come
diffusione Rayleigh e costituisce l’evento più frequente
• se la diffusione è conseguenza di una interazione anelastica , cioè con
trasferimento di energia dal fotone ad una particella o viceversa, il
fotone diffuso ha energia rispettivamente minore o maggiore di quello
incidente: questo è la diffusione Raman o effetto Raman, che avviene
su un numero assai limitato di eventi, circa 1 su 106
Diffusione della Luce
Sia nelle interazioni elastiche, che generano la diffusione Rayleigh (a), sia
in quelle anelastiche (b, c), possiamo immaginare che le molecole colpite
passino ad uno stato energetico virtuale hν0, non quantizzato, da cui
decadono emettendo fotoni. L’interazione anelastica ha due possibilità:
• la molecola decade ad uno stato
vibrazionale
eccitato
hν0-hν1,
emettendo un fotone ad energia
minore di quello incidente (b)
• la molecola già presente in uno
stato vibrazionale eccitato hν1
decade dallo stato virtuale allo
stato fondamentale emettendo un
fotone
ad
energia
hν0+hν1,
maggiore di quella incidente (c)
Spettro RAMAN
Lo spettro Raman di una molecola irraggiata da luce monocromatica è
caratterizzato da tre tipi di segnali:
• la radiazione Rayleigh, nettamente la più intensa dello spettro, avente la
stessa lunghezza d’onda della radiazione incidente ed energia hν0
• i segnali corrispondenti alle interazioni anelastiche in cui sono emessi
fotoni ad energia minore di quelli incidenti: le cosiddette linee Stokes,
con energia hν0-hν1
• i segnali corrispondenti alle interazioni anelastiche in cui sono emessi
fotoni ad energia maggiore di quelli incidenti: le cosiddette linee
antiStokes , con energia hν0+hν1
A temperatura ambiente, il livello vibrazionale fondamentale è più
popolato, quindi le linee Stokes sono più intense delle anti-Stokes.
Inoltre, le linee Stokes e quelle anti-Stokes sono simmetriche rispetto
alla linea Rayleigh (differiscono entrambe di hν1 rispetto alla Rayleigh)
Spettro Raman: esempio
Spettro Raman: informazioni ottenibili
Le informazioni che lo spettro Raman di una molecola può dare discendono
quasi esclusivamente dalle righe Stokes. La radiazione Rayleigh non
fornisce alcuna informazione in quanto ha la stessa energia in ogni
campione; le righe anti-Stokes sono generalmente di intensità troppo
bassa per essere rivelate e possono essere sfruttate soltanto per
indicare la temperatura del campione in base al rapporto con l’intensità
delle righe Stokes
Le righe Stokes, invece, sono legate ai gruppi funzionali della
molecole del campione e ai loro modi di vibrazione, in maniera analoga
alla spettroscopia infrarossa (pur con meccanismi diversi), e sono
quindi sfruttate a scopo diagnostico per identificare qualitativamente
i composti presenti nel campione; anche nella spettroscopia Raman
l’aspetto quantitativo è scarsamente preso in considerazione in quanto la
disomogeneità della superficie analizzata può inficiare la riproducibilità di
una misura
Confronto Raman-IR
Le due tecniche sono più complementari che competitive. Innanzitutto, i
fenomeni che stanno alla base delle tecniche sono diversi (assorbimento
selettivo di radiazioni che provocano transizioni energetiche nell’IR,
diffusione anelastica della luce nel Raman). Inoltre le cosiddette regole di
selezione, che determinano quali modi di vibrazione sono attivi e quali no,
sono diverse: nell’IR sono assorbite energie che provocano cambiamenti
nel momento di dipolo di una molecola, mentre nel Raman è richiesto un
cambiamento della sua polarizzabilità, proprietà legata alla possibilità di
distorsione della nuvola elettronica. In conseguenza di ciò, alcuni modi di
vibrazione sono attivi nell’IR e non nel Raman e viceversa
A vantaggio della tecnica Raman sono il fatto che l’acqua e il vetro non
causano interferenze, diversamente dall’IR, e che le linee dello spettro
Raman sono generalmente più strette e quindi più semplici da identificare.
A vantaggio della tecnica IR è invece il fatto che gli spettri siano
solitamente più ricchi di segnali e quindi la tecnica risulta di più generale
applicazione
Esecuzione di una misura Raman
Per ottenere lo spettro Raman di un campione si utilizza una sorgente
monocromatica con lunghezza d’onda nel vicino UV, nel visibile o nel vicino
infrarosso (NIR). Attualmente sono impiegate sorgenti LASER; alcuni
esempi sono i seguenti:
• Laser UV, 244 o 325 nm
• Laser ad Argon, 488.0 nm o 514.5 nm
• Laser a He-Ne, 632.8 nm
• Laser a rubino, 694.3 nm
• Laser Nd-YAG (ittrio–alluminio–granato drogato con neodimio), 1064 nm
La radiazione laser è focalizzata sul campione; le radiazioni diffuse dalla
superficie sono raccolte, rivelate dal detector e mostrate sotto forma di
spettro
Utilizzo di laser diversi
È importante sottolineare che lo spostamento Raman, per un dato legame
ed un determinato modo di vibrazione, è indipendente dalla l di
eccitazione, cioè dalla lunghezza d’onda del laser, ma dipende
esclusivamente dalla differenza tra due stati vibrazionali per un dato
legame. Gli spettri Raman espressi in unità di Raman shifts sono in teoria
identici con qualunque laser vengano prodotti e sono confrontabili anche
se prodotti con strumenti Raman diversi
Tuttavia, per motivi non semplici da spiegare, è possibile che l’utilizzo di
laser diversi su uno stesso campione generi segnali Raman nelle stesse
posizioni ma con intensità diverse: ad esempio, nella caratterizzazione di
pigmenti, si verifica sperimentalmente che il laser verde (514.5 nm) è più
adatto nell’ottenere spettri di pigmenti blu e verdi, mentre il laser rosso
(632.8 nm) è più adatto per pigmenti rossi e gialli. In certi casi questa
differenza è talmente marcata che alcuni pigmenti non forniscono alcun
spettro se non sono irraggiati con il laser più opportuno
Microscopia Raman
Negli spettrometri Raman dotati di
microscopio
l'area
interessata
dall’analisi può essere limitata a
poche unità fino ad alcune centinaia
di µm2, a seconda del laser e
dell'obiettivo utilizzati. Gli obiettivi
normalmente impiegati sono 10x,
20x, 50x, 80x e 100x
A fronte di questa capacità di
risoluzione
spaziale
risulta
obbligatorio sapere esattamente
dove si sta effettuando la misura
per evitare errori macroscopici; per
questo motivo i microscopi Raman
sono dotati di una telecamera
coassiale con il laser, che permette
di visualizzare l'area su cui si sta
puntando
Microscopia Raman
Analisi di un pigmento di aspetto macroscopicamente grigio
L’immagine al microscopio con obiettivo 100x (1000 ingrandimenti)
chiarisce l’importanza dell’utilizzo del microscopio nell’analisi Raman: i
singoli grani possono essere caratterizzati separatamente
Spettrometri Raman
Come per la spettroscopia infrarossa, anche in quella Raman sono
utilizzati due tipi di strumenti: quelli dispersivi, in cui la radiazione
diffusa
dal
campione
viene
dispersa
sequenzialmente
con un sistema monocromatore chiamato
reticolo, e quelli a Trasformata di Fourier
o FT-Raman, in cui lo spettro Raman è
raccolto contemporaneamente su tutto
l’intervallo
di
interesse
utilizzando
l’algoritmo matematico omonimo
La focalizzazione del Laser sul campione è
possibile attraverso un sistema ottico
semplice (specchi o lenti) oppure, come
detto in precedenza, attraverso l’impiego
di un microscopio
Schema di uno strumento Raman dispersivo
Spettrometro FT-Raman da banco
Inconveniente: rivelatore al Germanio raffreddato con azoto liquido (negli
strumenti dispersivi è un CCD)
Analisi senza vincoli di ingombro
Uno dei vantaggi dell’impiego di strumenti Raman portatili rispetto agli
strumenti da banco è la possibilità di effettuare analisi su campioni molto
ingombranti, che non potrebbero essere inseriti nel comparto
portacampione di uno strumento da banco: l’utilizzo di una sonda esterna
consente di non avere vincoli
Nell’esempio
illustrato
è
effettuata un’analisi su un
manoscritto
di
dimensioni
notevoli, che non potrebbe
essere alloggiato su uno
strumento da banco
Analisi in situ di affreschi
Nell’esempio
effettuata
illustrato
è
Un’altra applicazione limitata agli strumenti portatili è l’analisi degli affreschi. La
caratterizzazione dei pigmenti è molto importante per collocare storicamente il manufatto e
per decidere il miglior intervento restaurativo. In questo caso, se non è possibile effettuare un
prelievo di campione, l'uso di uno spettrometro Raman portatile costituisce il modo più sicuro
per identificare i pigmenti
Analisi di oggetti inamovibili
L’analisi in situ può essere applicata vantaggiosamente alla caratterizzazione di oggetti che,
per il loro valore, non possono essere movimentati
Risoluzione spaziale
Tra le tecniche di analisi molecolare, la spettrometria
Raman è quella dotata di migliore risoluzione spaziale:
può arrivare a distinguere due punti distanti 1 µm
Applicazioni per i beni culturali
• Materiali coloranti
– caratterizzazione di pigmenti e coloranti
– caratterizzazione di leganti
• Ceramiche
– caratterizzazione di pigmenti su superfici
– caratterizzazione di fasi cristalline ⇒ T cottura
• Lapidei
– caratterizzazione di fasi cristalline
• Organici
– sostanze di varia natura (adesivi, ornamentali, residui, ecc.)
• Identificazione di prodotti di degradazione
– su superfici pittoriche
– su vetri, ceramiche, metalli, lapidei
Per quanto riguarda la lettura degli spettri Raman, lo spettroscopista esperto
sa interpretare lo spettro in termini di gruppi funzionali, mentre l'utente può
riconoscere la sostanza che ha prodotto lo spettro Raman in base al
confronto con una banca dati. Esistono in letteratura molti database di spettri
Raman, di cui alcuni di interesse per il campo dei beni culturali:
• www.chem.ucl.ac.uk/resources/raman/index.html
• archivio di spettri Raman di pigmenti, uno dei primi e più importanti siti
web dedicati all’analisi di pigmenti, gestito dallo University College
London e in particolare dal Prof. R.J Clark, forse il massimo esperto di
Raman e pigmenti
• www.fis.unipr.it./~bersani/raman/raman/spettri.htm
• archivio di spettri di minerali, riferimento importante sia per i pigmenti
sia per i materiali lapidei
• minerals.gps.caltech.edu/files/raman/Caltech_data/index.htm
• archivio di spettri di minerali del California Institute of Technology
Per valutare la capacità diagnostica della spettrometria Raman è sufficiente
confrontare gli spettri ottenibili da pigmenti rossi aventi composizione chimica
differente
Spettri Raman di tre forme cristalline dell’ossido di titanio: anatasio
(tetragonale), brookite (ortorombica) e rutilo (tetragonale)
Spettri TiO2
70000
Intensità
60000
50000
Anatasio
40000
Brookite
30000
Rutilo
20000
10000
0
0
200
400
600
800
Raman shift (cm-1)
1000
1200
Analisi di manoscritti
Un'applicazione interessante del Raman è quella dell'analisi dei manoscritti: è possibile
effettuare la misura direttamente sull'oggetto, rivelando gli inchiostri e i leganti utilizzati.
La misura è fatta mediante una sonda che porta la radiazione laser sul campione e
raccoglie il segnale Raman emesso dal materiale analizzato (sx) oppure ponendo il
manoscritto nel portacampione di uno strumento da banco (dx), se la geometria lo
permette. In entrambi i casi il campione non subisce danni
Autenticazione di pietre preziose
La spettrometria Raman è
impiegata nel riconoscimento (e
quindi nell’autenticazione) di
pietre preziose. Grazie al suo
elevatissimo potere diagnostico,
è diventata tecnica di routine
nei grandi laboratori di analisi
gemmologica
Oltre all’identificazione di gemme, è possibile
determinare la composizione di inclusioni naturali
in pietre, di inclusioni artificiali (impiegate per
riempire cavità) e di collanti (impiegati per unire
due o più frammenti di pietra in modo da ottenere
fraudolentemente una pietra più grossa)
Autenticazione di papiri egiziani
L’analisi Raman è stata spesso utilizzata per identificare falsi documenti. Nel caso qui
descritto, sei papiri appartenenti ad una collezione privata sono stati portati a Londra
nel 1998 per essere messi all’asta. Essi erano attributi all’epoca di Ramsete II (XIII
secolo a.C.) e all’epoca di Cleopatra (I secolo a.C.)
L’autenticazione è legata all’identificazione di
pigmenti compatibili con l’epoca egiziana. L’analisi è
stata effettuata da R.J. Clark dell’UCL di Londra
Autenticazione di papiri egiziani
Insieme ai sei papiri sospetti
è stato analizzato un papiro
autentico della XVIII dinastia,
quella
di
Ramsete
II,
proveniente
dal
Petrie
Museum, per avere un
confronto
sui
pigmenti
utilizzati che dovrebbero
costituire un gruppo piuttosto
ristretto.
Autenticazione di papiri egiziani
Colore
Pigmento
Bianco Anatasio
Calcare
Blu
Blu Egiziano
Blu di ftalocianina
Blu oltremare sintetico
Blu di Prussia
Bronzo rame
Giallo Giallo Hansa
Nero Carbone
Oro
lega rame-zinco
Rosso a base organica
Ocra rossa
Orpimento
PR 112 (β-naftolo)
Pararealgar
Verde Malachite
Verde di ftalocianina
Anno
1923
antico
antico
1935
1828
1704
antico
1910
antico
antico
?
antico
antico
1939
antico
antico
1936
Papiri
Cleopatra Ramsete Lotus Nefertari Coppia 3 Regine Petrie
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
Come si nota dalla tabella, nei papiri da autenticare (sfondo giallo) l’analisi delle parti
colorate ha mostrato la presenza di pigmenti incompatibili con l’attribuzione temporale
dei documenti, a differenza del papiro autentico (sfondo verde)
Autenticazione di papiri egiziani
Nelle parti colorate in rosso, l’unico pigmento
utilizzato in epoca Egiziana e qui identificato è
l’ocra rossa; non ci sono tracce di vermiglio,
orpimento o realgar, tre pigmenti di diffuso
impiego, nè di pararealgar, un prodotto della
degradazione fotolitica del realgar, che si
identifica invece nel papiro autentico Petrie
insieme all’orpimento. Si registra invece la
presenza di un colorante di natura organica
che corrisponde al composto Pigment Red
112, a base di β-naftolo
Autenticazione di papiri egiziani
Nelle parti colorate in blu non si rileva in alcun caso,
tranne che per il papiro Petrie, la presenza di Blu
Egiziano, il più classico dei blu in epoca Egiziana,
ma sono identificati alcuni pigmenti di epoca
moderna. In due casi si identifica la presenza di Blu
oltremare, tuttavia l’immagine al microscopio
evidenzia che esso è composto da piccole particelle
di dimensioni uniformi e forma circolare regolare,
una caratteristica tipica del pigmento di origine
sintetica e non di quello di origine naturale ottenuto
dal minerale lapislazzuli. Quest’ultimo pigmento,
infatti, si ottiene per macinazione meccanica del
minerale e non può avere a livello microscopico le
caratteristiche descritte; inoltre è noto che in Egitto
il lapislazzuli era utilizzato come pietra decorativa
più che come pigmento
Studi di degradazione
Nella figura è riportata un'immagine da un foglio di un evangelario bizantino del XIII secolo: in alcuni
volti dei personaggi dipinti compare la tinta rosa, ottenuta miscelando i pigmenti Cinabro (rosso) e
Bianco piombo (bianco); in altri invece, il colore rosa è stato sostituito da un colore scuro, dovuto al
solfuro di piombo nero che si forma per conversione del Bianco piombo, come è evidenziato dagli
spettri Raman ottenuti analizzando il manoscritto. Come hanno sottolineato alcuni periodici
commentando lo studio effettuato da R.J. Clark sul manoscritto, si può parlare di “Angeli dalla faccia
sporca”
Bianco piombo  Galena
2PbCO3·Pb(OH)2 + H2S → PbS
Studi di degradazione
Sulle pitture murarie, spesso si sviluppano
in condizioni favorevoli colonie di
microorganismi la cui attività metabolica
porta alla formazione di croste che alterano
la cromaticità degli affreschi: si parla di
biodegrado
La specie Dirina massiliensis (forma
sorediata) è la responsabile del biodegrado
degli affreschi rinascimentali di Palazzo
Farnese a Caprarola, sui quali essa si è
sviluppata anche in presenza di cinabro
(HgS), pigmento contenente mercurio che
è un elemento altamente tossico per la
maggioranza delle altre specie viventi
Gli spettri Raman di due punti all'interfaccia
lichene-affresco mostrano la presenza di
ossalato di calcio monoidrato e di
carotenoidi, sintomo di attività biologica da
parte dei licheni
Ancora sulle misure in riflettanza
Se il campione non è trasparente alle radiazioni è necessario lavorare in
riflettanza, registrando cioè lo spettro delle radiazioni IR riflesse dalla
superficie del campione. Si può misurare la riflettanza speculare, cioè le
radiazioni riflesse con identica angolazione (sx) oppure la riflettanza
diffusa, cioè le radiazioni riflesse ad angoli differenti (dx)
θ
θ
Mentre le misure in trasmittanza richiedono quasi sempre il prelievo di
un’aliquota di campione, quelle in riflettanza si prestano ottimamente ad
essere effettuate su superfici e quindi, in teoria, sono applicabili in situ
Misure in riflettanza
Escludendo un limitato numero di eccezioni, gli oggetti di indagine
nel campo dei beni culturali sono opachi. Risulta quindi più utile la
modalità di analisi in riflettanza, nella quale si registra lo spettro
della radiazione diffusa dalla superficie del campione, inclusa o
esclusa la componente riflessa (ovvero la riflettanza speculare)
La modalità in riflettanza è
applicabile
all’analisi
di
superfici e quindi ha molte
applicazioni (fatta salva la
relativa
povertà
di
informazione rispetto alle
tecniche IR e Raman); può
essere applicata in situ
I0
Ir
Spettri UV-vis in riflettanza
Nelle misure in riflettanza i massimi corrispondono a radiazioni
riflesse e quindi non assorbite dal campione; esse corrispondono al
colore macroscopicamente evidente del campione che risulta
essere complementare rispetto al colore assorbito dal campione
Spettro in riflettanza del
pigmento blu azzurrite: il
colore blu è giustificato
dalla radiazione diffusa
attorno a 460 nm; il
pigmento
assorbe
(e
perciò
mostra
come
minimo nello spettro in
riflettanza) la radiazione
complementare attorno a
600 nm
Spettri in riflettanza di pigmenti
In termini generali è possibile dividere i pigmenti in tre gruppi dal
punto di vista del loro spettro di riflettanza:
• Pigmenti che forniscono una curva di riflettanza a campana:sono
i pigmenti blu e verdi (Azzurite, Blu oltremare, Malachite,
Verdigris); in questo caso l'identificazione è agevole perchè il
massimo della curva è differente da pigmento a pigmento
• Pigmenti che forniscono una curva ad S: sono i pigmenti rossi,
gialli e marroni (Cinabro, Minio, Orpimento, Ocre); non ci sono
picchi caratteristici ma la presenza di un flesso dà la possibilità
di individuare un picco caratteristico nello spettro in derivata
prima, nuovamente differente da pigmento a pigmento
• Pigmenti che forniscono curve approssimativamente lineari: sono
i pigmenti bianchi, grigi e neri (Bianco piombo, Carbone); sia nello
spettro di riflettanza sia nello spettro in derivata prima sono
assenti massimi e quindi l’identificazione è più difficoltosa
Esempi
Spettri in riflettanza di un
pigmento verde (Malachite,
dx),
un
pigmento
rosso
(Cinabro, dx basso) e un
pigmento
bianco
(Bianco
titanio, sotto)
Pigmenti blu
Spettri in riflettanza di
pigmenti blu: Blu Oltremare
(dx), Blu di Prussia (dx basso)
e Smaltino (sotto)
Riconoscimento di pigmenti bianchi
Nell’esempio mostrato, tratto
da Bacci et al., Journal of
Cultural
Heritage,
vol.4,
pagine 329-336 (2003) sono
effettuate misure con la
FORS sul dipinto Il ritratto
della figliastra di Giovanni
Fattori (1889), per verificare
la presenza di ritocchi
posteriori
Tra i vari punti analizzati,
sono
interessanti
le
informazioni ottenibili dai
pigmenti bianchi (1 e 2 nella
figura)
←
↑
Confronto tra spettri
Nella figura di sinistra sono riportati gli spettri di riflettanza di tre pigmenti
bianchi: bianco piombo (a - linea tratteggiata), bianco zinco (b - linea
continua) e bianco titanio (c - linea tratteggiata e punteggiata)
Gli spettri in derivata prima (dx) permettono di discriminare i tre pigmenti e di
identificare i pigmenti impiegati nel dipinto nei due punti considerati 1 e 2
(rispettivamente linee d ed e)
Monitoraggio del degrado di un pigmento
Effetto dell’umidità sul massimo dello spettro in derivata
prima del Minio o Rosso Piombo
Monitoraggio di superfici metalliche
Spettri di riflettanza di 1) rame; 2) rame invecchiato 2 anni a
temperatura ambiente; 3) ruggine verde (composti di degradazione
del rame)