Scenari alternativi. Una lettura critica del World

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Scenari alternativi. Una lettura critica del World
MATTIOLI
& SCALIA
a cura di Gianni Mattioli
e Massimo Scalia
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Scenari alternativi
Da parecchi anni il mondo ambientalista critica puntualmente gli scenari per l’energia
e la CO2 elaborati dalle varie agenzie internazionali; per restare in casa nostra si guardi al motivato rifiuto di quegli scenari nel documento di Legambiente del 2002 per Johannesburg.
Forse rispondendo a quei rilievi, ma sicuramente attenta ai più recenti pressanti appelli rivolti dalla comunità scientifica e alla loro incidenza - si pensi agli impegni assunti dal G8 a Gleneagles,
nel luglio 2005 -, la IEA, dopo aver licenziato il suo tradizionale Rapporto per il 2006 lo ha accompagnato con un World Energy Outlook (novembre 2006), nel quale oltre al consueto scenario business as usual, ne propone altri due, tutti e tre anticipati nei loro tratti essenziali da QualEnergia (Il
futuro sarà sostenibile di R.Vigotti).
Lasciamo perdere il secondo scenario, quello degli investimenti differiti - nel quale è peraltro ottimistico ipotizzare un rialzo di solo il 30% del prezzo del greggio al 2030, quando cioè saranno in pieno dispiegamento gli effetti del picco della curva di Hubbert - per fare alcune osservazioni in margine a quello “alternativo” che sconta, a fronte di una riduzione del 10% della domanda di
energia prevista al 2030, un aumento del 28% rispetto a oggi delle emissioni globali di CO2.
UNA LETTURA
CRITICA
DEL WORLD
ENERGY
OUTLOOK 2006
La prima. Non ha molto senso chiamare alternativo uno scenario che prevede un aumento di oltre un quarto delle emissioni globali: significa accettare conseguenze climatiche i cui effetti
sull’economia e sulla società sono quelli così efficacemente rappresentati dal rapporto Stern. Tutte
le curve di scenario - energia, CO2 - dipenderanno drasticamente dai livelli che si saranno raggiunti entro i prossimi 7-8 anni, con particolare attenzione al 2012; anno di riferimento perché decolli,
e per tutti i Paesi, la seconda fase di Kyoto. Occhio alla Cina, che sta raggiungendo gli Usa per le
emissioni e ha superato 1 Tep pro capite. Per quella data la Cina dovrebbe aver completato la vorticosa fase di crescita dei consumi energetici, iniziata nel 2000, con tassi simili a quelli che hanno
caratterizzato in un decennio molti Paesi industriali; da rilevare l’analogia proprio con l’Italia degli
anni ’60, un Paese con forte incidenza dell’agricoltura e con una significativa quota di idroelettrico,
che passava a una fase di forte industrializzazione e di crescita del trasporto individuale.
La seconda. L’unico scenario importante è quello che non è stato prodotto: lo scenario
obiettivo di Kyoto. È l’unico strumento in grado di incidere in tempi utili è il risparmio energetico,
come a una sola voce hanno proclamato per il G8 di S.Pietroburgo le Accademie delle Scienze dei
12. Uno scenario obiettivo deve incorporare un – 20% al 2020 rispetto ai consumi attesi, per tutta
l’area OCSE, non per la sola UE; anche per fornire una qualche misura dei comportamenti devianti. Cina e India devono aderire a pieno alla seconda fase di Kyoto ed essere messe in grado di realizzare su vasta scala il sequestro della CO2 per i grandi impianti che bruciano carbone, a partire
dalle centrali termoelettriche. La UE sembra volersi impegnare su questa tecnologia, che non può
avere certo come priorità ampliare l’uso del carbone in Europa; in Italia sarebbe poi davvero ridicolo, anche se Enel e MAP sembrano sprovvisti del corrispettivo senso (siamo infatti i più vergognosamente indietro su Kyoto rispetto agli europei del G8). Inutile ripetere che nello scenario obiettivo le FER costituiscono un’endiadi con l’uso efficiente dell’energia.
La terza. Perché lo scenario obiettivo possa essere realistico non ci si può affidare solo al mercato, come peraltro gli sconvolgimenti climatici stanno insegnando. Le convenienze hanno, certo, un
ruolo fondamentale, ma è l’ora di agire, oltre che pensare, globalmente. Il vincolo ambientale deve
pesare sulle politiche energetiche di tutto il Pianeta, come in buona sostanza sta accadendo nella UE.
E, oltre alle implementazioni degli organi costituiti presso la Conferenza delle Parti, una qualche utilità potrebbero averla una sorta di segretariato delle Nazioni Unite preposto allo scenario obiettivo
(un’idea di cinque anni fa che volentieri ricicliamo) e un ruolo che le Ong potrebbero esercitare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, da un lato in rapporto al segretariato Onu e dall’altro per la costituzione delle Esco e di una borsa nella quale quotare i titoli di efficienza energetica. ■
GENNAIO/FEBBRAIO 2008