Ricordando - Fondazione ISAL

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Ricordando - Fondazione ISAL
curae
Le notizie di Fondazione ISAL
Numero 4 - Maggio 2012 - Aut. Tribunale di Rimini n.13 del 10/11/2010 - Direttore Responsabile Stefano Cicchetti
Tonino
Ricordando
Guerra
L’affettuoso
racconto di
Sergio Zavoli
William
Raffaeli
Associazione
Amici di Isal Rimini
Banche di Credito
Cooperativo
In memoria del nostro poeta
“Era il cantore della pace
e della bellezza, educato,
generoso e gentile” >>
Al via il progetto di ricerca
sul dolore cronico centrale,
donata un’importante
apparecchiatura >>
Insieme per dare un aiuto
concreto, una collaborazione
tra medici e soci con eventi
e momenti di scambio >>
TERAPIA DEL DOLORE,
UNA SPERANZA DALLA TMS
L’associazione Amici
di ISAL di Rimini ha
donato una stimolazione
magnetica transcranica
al Centro specialistico
diretto dal professor
Raffaeli. Al via progetto
di ricerca sul dolore
cronico centrale.
Arriva dalla solidarietà una speranza per il trattamento del
dolore. Una stimolazione magnetica transcranica (Tms) è
stata donata dall’associazione territoriale Amici di ISAL di
Rimini al Centro specialistico diretto dal professor William
Raffaeli. All’ospedale Sol et Salus di Torre Pedrera, la Tms servirà per un progetto di ricerca sul dolore cronico centrale.
“La neurostimolazione mi ha ridato
la gioia di vivere.”
Valeria era passata dal vivere una vita al massimo a non viverla quasi per niente: “Non riuscivo più
a fare tutte le attività che amavo e questo per me era la cosa più devastante”. Fu allora che il suo
dottore le consigliò la terapia di neurostimolazione, che consiste nell’utilizzo di lievi impulsi elettrici
che bloccano il segnale del dolore, consentendo ai pazienti una migliore gestione del dolore stesso.
Oggi Valeria può finalmente dire, “come tutte le persone ho dei giorni no, ma sono nettamente più
belli rispetto a quei pochi giorni in cui stavo bene prima della terapia. Ora non vedo l’ora di vivere
la mia vita”.
I sistemi di neurostimolazione possiedono certificazione FDA e sono indicati per ridurre alcune
tipologie di dolore cronico, migliorando la qualità di vita dei pazienti.
Il sollievo dal dolore varia da individuo a individuo.
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“La sperimentazione riguarda chi non ha benefici dai trattamenti farmacologici – spiega
il professor Raffaeli –. Cercheremo di spostare
più in là le conoscenze e di aprire un sentiero
verso la cura”.
La raccolta di fondi per l’acquisto della Tms è durata oltre
due anni. “È stato un lavoro capillare – dice Franco Stefani,
presidente dell’associazione Amici di ISAL di Rimini –, giorno dopo giorno abbiamo raccolto piccole e grandi cifre, organizzando cene, spettacoli e mercatini”. Già utilizzata nel
trattamento della depressione, la Tms permette di stimolare
in maniera non invasiva le cellule cerebrali. “Oggi abbiamo
una barriera nella cura del dolore centrale che colpisce fino
al 30% delle persone dopo un ictus o una lesione del sistema nervoso – continua Raffaeli –. È un dolore persistente
anche dopo tre anni e questa macchina è l’unica che sembra offrire un’opportunità di cura. Ma certezze – sottolinea
– ora non ne possiamo dare”.
Coinvolto nella ricerca anche il professor Antonello Bonci,
direttore scientifico del National Institute on Drugs Abuse e
membro del Comitato scientifico della Fondazione Isal, che
negli Stati Uniti sta conducendo un’importante sperimentazione sull’optogenetica.
“È una tecnica rivoluzionaria, che si avvale della
biologia molecolare e della stimolazione laser
per attivare o inibire gruppi scelti di cellule cerebrali – spiega -. Da un punto di vista clinico,
potrebbe essere impiegata nella cura del dolore, del Parkinson, dell’Alzheimer e poi per epilessie e dipendenze”.
Nella Foto da sisnistra: Prof. William Raffaeli (Presidente Fondazione ISAL), Prof. Antonello Bonci, MD (Direttore Scientifico del
National Institute on Drug Abuse, National Institutes of HealthBaltimore, Maryland)
Costellazioni
Le parole e il senso
capovolto del dolore
Sergio Gridelli
Gli esseri umani manifestano reazioni anche molto diverse
rispetto al dolore fisico. Credo di poter affermare l’esistenza
di una soglia di sopportazione o, se si preferisce, di sensibilità
soggettiva nei confronti della sofferenza. Ogni uomo avverte
di patire le proprie pene più di chiunque altro, in quanto essere unico e irripetibile. In questo senso, il “mal comune, mezzo gaudio” piuttosto che definire una presunta condivisione
intersoggettiva del dolore, appare come il tentativo di trovare conforto nel sapere di appartenere a una comunità, socializzante e inclusiva. Una rete di relazioni dove anche il dolore,
per quanto diverso da individuo a individuo, è il catalizzatore
di una storia dove nessuno è solo, ma è la parte integrante
di un tutto. Nelle circostanze dove il dolore è la condizione
con la quale fare conti tutti i giorni, è inevitabile porsi l’interrogativo della sua unica congiunzione all’aspetto fisiologico.
Oppure, per altra via, se sia possibile anche cogliere una dimensione meno biologica, ma contemplata dentro il legame
sociale e, più in generale, inquadrata nel modo con cui gli
individui elaborano la loro esperienza del mondo.
Di fatto, sono molto più di un’ipotesi sia il beneficio che il
sollievo derivanti dalle relazioni dialettiche con la propria famiglia, dallo scambio di parole amorevoli con i medici delle
cure palliative, dal confronto con la cerchia delle amicizie più
strette. Questi rapporti, basati essenzialmente sul linguaggio, fanno comprendere come l’intimità del dolore abbia anche una sua valenza extra-corporea con la quale interagisce,
trovandone spesso giovamento.
Se la teoria aristotelica aveva già intuito un nesso logico fra
il dolore e l’emozione, con il meccanicismo il dolore è stato
riportato alla sua qualità di “semplice” messaggio corporeo
conseguente a una o più sollecitazioni sensoriali. In sostanza,
per molto tempo il dolore è stato inteso come il traguardo
di una stimolazione fisiologica psicologicamente scollegata.
Sulla base di questo paradigma si è costruito un tentativo,
se non addirittura una teoria compiuta, per trovare la causa di ogni malanno e rendere così “sopportabile” la morte,
attraverso la sua destrutturazione in molteplici spiegazioni
biologiche. Successivamente, con lo sviluppo delle discipline
comportamentali, si è compreso come il dolore non potesse
essere relegato alla sola valenza fisiologica, pur tenendo in
considerazione la sua “necessaria ineluttabilità” in qualità di
indicatore di alterazioni o pericoli per l’organismo. Ne consegue anche che non provare dolore in assoluto renderebbe gli
uomini estremamente vulnerabili, con grave pregiudizio per
la continuazione stessa della specie.
Tuttavia, nel momento stesso in cui si ammette l’esistenza di
un’interpretazione non solo biologica del dolore, si scopre il
suo uso sociale: le pene da espiare cristianamente, la sofferenza fisica come soglia da attraversare per una nuova iniziazione, la detenzione del potere e, di fatto, il suo rovescio
“banale” secondo la geniale intuizione della Arendt.
Se l’etere ha segnato, verso la metà del XIX secolo, l’inizio su
basi scientifiche del “non sentire il dolore”, ancora oggi il suo
terreno di sconfitta pare essere il linguaggio. Cioè, una sor-
ta di impossibilità a nominarlo specificatamente, al di fuori
della sua definizione omnicompresiva e generica. Siamo di
fronte a una narrazione spesso inaccessibile dall’esterno. Una
condizione che sembra vivere solo di metafore: una coltellata, una fiammata, un morso. Tutte esemplificazioni estreme
del dolore che si sta provando, anche nel caso in cui non si
siano mai subite personalmente. Forse, giungendo da altre
traiettorie del pensiero, Virginia Wolf aveva già posto l’attenzione sulla difficoltà, se non impossibilità, della conversione
linguistica del dolore. Da un lato l’amore, in qualche modo
“decifrabile” con i versi di Shakespeare, dall’altro il dolore che
“prosciuga” tutte le parole, a tal punto da doverne inventare
di nuove.
Ma la diagnosi si basa, in larga parte parte, sul linguaggio e
sulla costruzione di un senso che inevitabilmente deve appoggiarsi sulla fiducia nelle parole. Ecco allora che il terapista
del dolore diventa anche “un archeologo del lessico”, un esploratore della semantica nascosta in ogni storia di sofferenza,
“un amico” che ascolta il paziente come un bambino che si
porta la conchiglia all’orecchio e “vede” le onde del mare.
Servono esperienza e delicatezza. C’è un lavoro che, inevitabilmente, si concretizza in reparto, ma ce n’è anche un altro,
altrettanto utile. Oggi, le grandi reti sociali danno l’opportunità di dilatare “i dialoghi” sul dolore, aggiungendo interpretazioni inedite e premonitrici di un nuovo modo di classificazione delle sofferenze. Allora, con gli opportuni strumenti
di indagine e mediante varie competenze, è pensabile la costruzione di una metodica per scandagliare i contenuti dei
principali social media. I 900 milioni di utenti di Facebook e
gli oltre 200 milioni di Twitter rappresentano un’occasione
formidabile per “trovare le parole del dolore”, e forse inventarne davvero di nuove.
In principio era il verbo. Probabilmente, ne sono convinto,
bisogna ripartire da lì.
Grünenthal
all’avanguardia nei prodotti per il trattamento del dolore
Grünenthal aspira a diventare la società più attenta ai bisogni del paziente nonché rimanere leader
nell’innovazione terapeutica. Oggi rappresentiamo l’azienda farmaceutica in grado di offrire il portfolio
prodotti più completo per il trattamento del dolore.
Questo è un risultato importante, che abbiamo raggiunto solo attraverso una costante vicinanza ai bisogni dei pazienti e del medico, nonché attraverso importanti
investimenti nella ricerca farmacologica. Investiamo quasi il 20% del nostro fatturato annuo a livello globale in ricerca, ricerca che rappresenta una vera e propria
mission. Vogliamo incrementare il valore investito al fine di garantire, ogni 5 anni, il lancio di un’innovazione. A tal proposito, mi piace ricordare, due dei nostri
più recenti progetti: Instanyl, il primo fentanyl in formulazione spray che rappresenta una vera innovazione dal punto di vista tecnologico e una nuova molecola,
tapentadolo, che per la sua unicità in termini di caratteristiche farmacologiche, rappresenta la nuova generazione di analgesici centrali, che proprio un settimana
fa ha completato positivamente l’iter di registrazione presso AIFA e che prevediamo di lanciare sul mercato entro la fine dell’anno. Sono convinto nell’affermare
che abbiamo tutti i requisiti necessari per rafforzare la nostra leadership nella terapia del dolore. Raggiunto questo obiettivo, potremo veramente garantire una
maggiore qualità di vita per i nostri pazienti, cambiando in positivo la loro vita e quella delle loro famiglie.
Thilo Stadler, Amministratore Delegato Grünenthal Italia.
Tonino
Ricordando
Guerra
“era tutt’uno con questo piccolo
mondo trasformato nell’universo
dalle sue poesie, ognuna con
l’infallibile precisione, cioè l’inimitabile
alleanza degli occhi e del cuore”
Sergio Zavoli
Presidente Onorario Fondazione ISAL
Tonino Guerra, il 16 marzo, aveva compiuto novantadue anni. Il
daffare che si erano dati a Santarcangelo e Pennabilli nel dividersi
i festeggiamenti del poeta è stato commovente. Fortunati i luoghi - direbbe Cesare Pavese - che si contendono una creatura in
cui riconoscersi, poter vantare qualcosa di comune, scambiarsi il
borgo, le case di pietra, i coppi inverditi dalle piogge, le porte con il
battente di ferro e un paio di scalini incurvati, al centro, dove strisciano i piedi, e l’odore del pane che sale per le stradine facendo
di corsa il giro breve del paese. Tonino era tutt’uno con questo
piccolo mondo trasformato nell’universo dalle sue poesie,
ognuna con l’infallibile precisione - cioè l’inimitabile alleanza degli occhi e del cuore - di un poeta che porta i pensieri e le
cose a un’altezza sorprendente.
So come sia irrituale festeggiare il raggiungimento di un traguardo così raro, e capisco come non abbia senso compiacersi dell’autorità raggiunta e consolandosi col vecchio elogio della saggezza. Tonino, per giunta, non amava gli abbandoni crepuscolari,
gli ingannevoli riti del consenso, sapeva fare l’uso appropriato di
un’ironia mille miglia lontana dalle tentazioni melodrammatiche,
le tonalità foscoliane, le piogge sui pineti dannunziani. Ma anche
dal folclore innocente, affettuoso, “sempre un po’ in bilico” ammoniva Pascoli, “tra ciò che è e quanto benevolmente appare”.
Ma qui è un’altra cosa, ha altre storie e altre tenerezze. Noi non
siamo chi poté dire, di fronte all’amico morto, con la stessa
solennità di Garcia Lorca afflitto per la perdita di Ignazio:
“Tarderà a nascere, se nascerà, un altro come te”: noi siamo
solo i tuoi amici, Tonino, che hanno avuto la fortuna di conoscerti, accanto alle persone che hanno vissuto, con te, lo
scambievole privilegio di amarsi.
Ricordo come, appena ritornato dalla Germania, percepivi gli
odori che il Marecchia portava giù dalla vallata, e ascoltavi le
voci che ricucivano le distanze per riavvicinare persone e case,
uomini e cose: i sentimenti del tempo e della vita, del passato e
del presente, separati e riuniti su quello stesso simbolico binario
dove, nel ’43, c’era un vagone colmo di gente seduta sui pianali
con i portelloni ancora aperti, le SS su e giù lungo il treno, le gambe a penzoloni, le lucciole tra le siepi che già accendevano le loro
minuscole lanterne nel buio viola di luglio. Due estati e due inverni, poi il ritorno. I tedeschi avevano lasciato penzolare le gambe
anche dai capestri, come a Rimini, con quella morte di ferragosto
che ciondolava al triste vento delle cetre, scriverà altrove Quasimodo; e qui avemmo quel verso di Guido Nozzoli che diceva: “E il
sole portò le croci nelle lacrime azzurre delle madri”.
Era tornato il poeta e la gente si passava le notizie non più di
nascosto, dalle finestre, nei vicoli, ma in piazza, in compagnia di
quella luce splendente e solitaria che nei giorni “del sole e del grano”, di Alfredo Panzini, sarebbero diventati della fuga e della morte. Come arrivò, tutti vollero vederlo, dirgli qualcosa di pubblico e
di privato, confondendo il rito festoso del ritorno con l’ininterrotta
pena dell’attesa. E allora sapemmo che le poesie più belle erano
nate dai compagni di sventura, i quali reclamavano ogni sera un
racconto fantastico che accendesse ricordi e speranze, sostando
sulle immagini più temerarie, come l’idea di scrostare dai pali del
lager i grumi di vernice e poi scaldarli in un tegamino e aspettare
che dal loro disfarsi apparisse qualche stellina di grasso per aggiungere al corpo, così credettero, un po’ di energia.
Il giorno in cui presentò I bu, i buoi, la sua prima raccolta di
poesie, si seppe che a Santarcangelo di Romagna un poeta
scriveva in dialetto versi del tutto nuovi rispetto alla romagnolità ridondante, inneggianti a un luogo, il canalone del
Marecchia, che ha l’acqua più limpida della Terra, ospita le
piante più ingegnose per utilità e bellezza, e dove, a tender
bene l’orecchio, si ode persino il rumore della neve.
Quei versi faranno il giro del vento e dei paesi. Una domenica
arriverà a Santarcangelo, da Los Angeles, una rappresentanza
dell’Associazione degli sceneggiatori statunitensi, la più accreditata e influente del pianeta cinematografico, per consegnare al
poeta il Premio alla carriera Jean Renoir . La motivazione va letta,
anche qui, per dire qual è stato e rimarrà il giudizio del grande cinema: “Al leggendario Tonino Guerra, uno dei più grandi sceneggiatori dei nostri tempi, che da sei decenni scrive storie per i più
importanti registi del mondo”. Mai, pur tra mille riconoscimenti,
aveva ricevuto un premio che sancisse, con questa sorta di epigrafe, l’esemplare qualità della sua opera. Uscito da un malanno, non
se la sentì di andare a Hollywood dove lo aspettavano per una
investitura assimilabile all’Oscar. Di rimando, da costa a costa,
inviò al luogo massimamente emblematico della cinematografia
internazionale un breve messaggio, ringraziando e rammaricandosi di non poter partire. Fu un evento da cui potemmo trarre lo
stesso orgoglio di quando Federico Fellini riceveva, a Los Angeles,
i suoi inarrivabili allori. Non si è mai parlato di una circostanza
singolare: solo dieci chilometri della medesima strada, da
Rimini a Santarcangelo, dividevano due creature venute al
mondo, per dir così, l’una accanto all’altra, e vissute per oltre
mezzo secolo sotto gli stessi riflettori. Fu Amarcord a celebrare una comunanza che riportò Federico e Tonino a casa,
sospinti dagli stessi ricordi e dalle nuove immaginazioni,
prolungando quella sorprendente contiguità.
Non so se questa nostra benedetta Romagna, curiosa e distratta, che si commuove a ciglio asciutto e abbonda negli affetti, così
ribalda e tenera, sfrontata e timida si sia mai stupita che un’aria
di collina e di riviera, profumata di poderi e di spiagge, un secolo
fa avesse salutato l’arrivo di due ingegni destinati, un giorno, a
incantare le più diverse genti del pianeta.
Non ho titolo per azzardare proposte, ma riunire in una piazza
quell’immaginazione per festeggiare un fenomeno che ha qualche tratto di straordinarietà mi parrebbe un modo di ricordare
l’arcana, ma tangibile ubiquità che ha unito i due protagonisti di
una leggenda pressoché universale.
Poi era salito a Pennabilli, una sorta di eremo civile, una dimensione fantastica da aggiungere a Santarcangelo, la patria mai
rinnegata; mentre Andrea, il figlio musicista, ricreava a Roma il
grande talento paterno, Tonino non aveva trovato a Cinecittà il
suo humus più naturale. Ma sarebbe impossibile non ricordare
la strabica amicizia di Tonino per la Romagna e la Russia, amate
alla pari, così simili da richiamarsi, l’un l’altra, attraverso i lasciti
poetici della civiltà contadina. Ai russi era presto piaciuta la poesia sottesa nella vita di Tonino, che resterà alla base del suo Dizionario fantastico.
Il giorno in cui, nel 1945, gli Alleati irruppero nel campo nazista dov’era rinchiuso, fu come se un colpo di vento fosse ve-
nuto a risvegliare un infrenabile bisogno di fuga, di novità; e
Guerra, affamato, confidò: “Per la prima volta, vedendo una
farfalla, non ho pensato di mangiarmela”.
Con I bu, nacque l’opera da cui cominciò la rigogliosa rinomanza
di Tonino. Gianfranco Contini, tra i più autorevoli critici letterari
del ‘900, lo collocò tra i poeti nei quali il dialetto è lo strumento
linguistico votato a una qualità espressiva pari a quella di un’opera in lingua.
Vorrei dare l’idea del viaggio compiuto nel mondo dai versi di Tonino Guerra limitandomi a ricordare che tra le decine delle grandi
personalità salite a Pennabilli, un giorno è spuntato, per dir così,
anche il Dalai Lama. Che in una piazzetta di paese si tenessero
sottobraccio, e nessuno se ne stupisse, un eroe mondiale dei diritti
umani e un poeta che racconta la vita annidata nella poesia del
mondo, era la sorprendente e reale favola civile vissuta sotto un
cielo che stava, alla pari, sulle alte balze del Tibet fino ai riposanti,
familiari declivi dell’Alpe romagnola.
“Il cielo”, diceva Tonino, “ha lo stesso colore in tutto il mondo,
in pace e in guerra”.
“Più poeta di tutti i poeti della terra – ha scritto Garcia Marquez
- è quello che parte dalla lingua del suo paese, la più arcaica e
primigenia, quella non delle origini, ma delle scaturigini”. Come
dire che attinge all’energia dei vulcani, nel cui grembo si è forgiata
la possibilità più alta del pensare e del dire: cioè la poesia, il testo
estremo.
Fu dunque l’uscita de I bu a dirci di un poeta che per novità di stile,
allegrezza e pensosità ricordava Ungaretti; il quale era certamente lontano da quella obiettivazione che in Tonino è il bisogno di
una realtà presa da qualche lucida falda della coscienza, dove lo
stesso Contini (si possa o no parlare di destra e di sinistra anche
a proposito di una sorta di hegelismo poetico) scova in Guerra la
parvenza di un “ungarettismo di sinistra”.
Al ritorno a Santarcangelo si era dato a un lavoro culturale e sociale, alla solidarietà con la parte più debole del paese, cioè alla
scelta degli attardati, per la difesa di una condizione violata non
solo nei diritti, ma anche nelle ricchezze povere, gelose e nascoste,
come la memoria, l’amore dei vecchi, la terra con la sua durezza e
la sua innocenza; e poi, l’odore della vita e della pioggia, del padre
e del vento, dell’alba e della madre. Mentre le ideologie si contendevano appartenenze e militanze, egli lasciava che ben prima dei
“muri” cadessero - e se ne compiaceva - lontananze cupe e fittizie,
avendo capito, per dirla con Rainer Maria Rilke, che “la comunione tra le cose e gli uomini è recessa in una comune profondità,
alla quale si abbeverano le radici di tutto ciò che è e cresce insieme”. Di qui la scoperta, nel nostro amico e poeta, di un sentimento
che per il Vangelo è addirittura una virtù: lo stupore. Esso appare
come la matrice di tutta l’evoluzione poetica di Guerra, una sorta
di continua seminagione in ogni luogo dove si abbeverano le radici rilkiane dell’esistenza. Una sorta di realismo esistenziale farà
da scenario - in chiave metaforica, lirica, favolistica - a un interminabile viaggio compiuto in una Romagna che si prolunga nella
Georgia, dove potrebbe essere nato, o nei luoghi di Faulkner e Dos
Passos, che Guerra non ha mai visto, eppure con i medesimi cimiteri di ferro battuto, i cancelli cadenti, i vialetti nudi, che stanno su
qualche gobba del Montefeltro, con le betulle chiare come i platani di Santarcangelo.
Belle, fra molte altre, le immagini di una campagna romagnola
scelte da Nevio Casadio per l’ultima, straordinaria testimonianza
su Tonino, su cui sembra essere appena passato lo stesso trattore
che solca un pezzo di Russia, o viceversa; e dei girasoli, al declino
del giorno, che chinano le loro cantaglorie dorate, dove si riconvoca la visionaria realtà del Dizionario fantastico edito da Capitani
- un accurato, fedele stampatore di Rimini - che dà forma di favola reale a un mondo altrimenti dimenticabile; con una naturale
dolcezza che si allunga nei vicoli, nelle botteghe, nelle case, non
per vivere con l’animo voltato indietro, ma perché non si perda
la superstite forza di cui siamo capaci, a cui oggi ci richiamano le
parole di Tolstoi: “Non fate niente che sia contrario all’amore”.
Tonino, ripetendo Mallarmé, ci ricordava che “l’incredulità
non ha genio”, che bisogna far posto anche a qualcosa destinato a durare, seppure intimidito e umiliato dalle nostre insicurezze per le cose difficili, o lievi e propizie, in cui puoi subito
credere, insieme con quelle che il dubbio ha diritto di lasciar
vivere. Un giorno, forse lo ricorderai, parlammo di un contadino
della val Marecchia che si chiamava Eliseo, aveva un’ottantina
d’anni e finiva il giorno, immancabilmente, nel camposanto sopra Pennabilli, con due cipressi a guardia di un cancelletto un po’
sbilenco. Una sera lo vide venire dal vialetto centrale, aspettò che
uscisse e cominciò a parlargli. Dopo avere girovagato tra le cose
di quaggiù e di lassù, fermatosi l’argomento sul dopo la morte,
alla domanda di Tonino, «Ma il Padreterno, Eliseo, c’è o non c’è?»,
Eliseo se ne uscì con un disarmante pezzo di bravura, rispettoso
insieme della ragione e della fede: «Cosa vuole! Se le dico che c’è,
così tutto d’un pezzo, mi sembra una bugia; ma se le dico che non
c’è mi sembra una bugia ancora più grande». E noi, di fronte a
quella chirurgica distinzione interiore – perché era meno, ma anche più, di un dubbio qualunque – riflettemmo che di Dio possono
parlare, quasi con la stessa gravità, sia Pascal sia Eliseo.
Gli raccontai che Federico, una volta, mi aveva detto: «Ma non
sei curioso di vedere come va a finire?» e Tonino, ogni tanto, mi
chiedeva se avesse aggiunto qualcos’altro. A Mosca – dove Lora,
la figura centrale del più complesso e favoloso percorso del nostro
Già s’incurvava il sole del mattino
e alzando gli occhi ho visto
dentro una sconsacrata chiesa della valle
il celeste impreciso appena acceso
dall’occhiata diritta di un rosone.
Alle impronte lasciate dagli ex voto,
ai rivoli di piogge disseccate,
ai radi oggetti sparsi mi volgevo:
un avanzo di panca, una cornice vuota,
l’odore secco dei legni con i tarli,
un abbandono inerte, innaturale,
senza idee di risveglio, libero
da abitudini e rimpianti.
Consunta la sua aria, neppure una farfalla
si sarebbe più alzata dove soltanto il vuoto
aveva casa; tutto era convertito
a quel silenzio, anche l’avidità degli occhi
ormai avvezzi al bianco dei cementi
e alle tegole rosse, tutte uguali,
distese come urli tra le miti arature
dei tetti bruni e sghembi, col tartaro macchiato
dalle borchie giallastre incise dagli inverni
sui paesi inventati dagli uccelli.
poeta, con premura, ostinatezza ed entusiasmo aveva mobilitato
il miglior cinema russo - presentammo In morte di Federico Fellini,
che avevo girato per la Tv. In quell’occasione il “poeta di Santarcangelo” mi disse: «Federico ha ragione, giri, vai, ritorni, parli
o stai zitto, ma poi ti adagi, con una piccola viltà, nella celebre frase secondo la quale, facendo l’ultima tara all’immaginazione, Pascal azzardò questa ipotesi straordinaria: “chi
cerca ha già trovato”».
Per l’inchiesta televisiva Credere, non credere, del periodo in cui la
Rai era anche un servizio pubblico, lo provocai sui problemi ultimi. «Camminando nella mia valle» rispose «spesso sosto davanti
ai piccoli rettangoli d’erba dove si trovano delle croci arrugginite,
senza nome. Mi sembra il punto giusto della morte. Sono contrario alle fotografie, alle statue, a tutta la messinscena di cimiteri
senza nessuna poesia. Nei nostri cimiteri della valle la morte è presente in modo più totale e dolce, è un respiro che resta nell’aria, un
volo. Ed è un rapporto col silenzio, e anche con la dimenticanza».
Finché confiderà: “Ho avuto sempre una gran voglia non di
sicurezze speciali, ma di visitare il tempo, perché ha dentro
tutto quello che mi stupisce, e che amo senza capirne bene
la ragione. Questa è una modernità che pensa solo ai numeri
e ai consumi. E per realizzare i suoi primati dimentica le ricchezze più grandi, a cominciare dalla bellezza”.
Quando l’animo geme anche nelle valli più in pace è tempo di temere. Tonino Guerra, da taluni chiamato “il poeta dell’ottimismo”,
a chi stoltamente lo riprovava rispose: «Che cosa volete che spetti
ai poeti se non anche l’arduo dovere della speranza? È tempo di
ragionare anche sulla incorruttibile bellezza di ciò che, per poco
che sia, siamo in grado di salvare con le nostre mani».
Il giorno in cui compì 75 anni, circondato dai sindaci della vallata, spaesato dai fiori che gli arrivavano da ogni parte, oltre che
dai messaggi speditigli da mezzo mondo, Tonino prese la parola
per lanciare, inatteso, un monito a chi distrugge i “borghi”, cioè
interrompe il legame con le voci, i colori, i suoni, i respiri del tempo
trascorso. La gente, voleva dire, ha il diritto di salvare la sua memoria. Lo guardavo mentre additava i paesi cresciuti sulle creste
incorrotte, l’apparire delle prime ferite di cemento, le insegne al
neon, le finestre fuori ordinanza, orlate dall’alluminio anodizzato,
qua e là l’offesa della plastica. E il “borgo” era lì che festeggiava il
suo cantore corrucciato un po’ per rabbia e molto per amore.
Voglio ricordarti così, Tonino, come quella volta che salutandoci
salii in macchina dove avevi voluto che trovassi, in dono, una formella di ceramica con queste tue parole:
“Quando in autunno / c’erano gli alberi nudi / una sera è arrivata / una nuvola di uccelli / stanchissimi / che si sono fermati sui rami. / Pareva fossero tornate le foglie, a dondolare
al vento”. «Attaccala a un ramo, non a un muro, ma fuori, dove
gira sempre un po’ d’aria», mi disse, «com’è la vita». Grazie della
tua. La piazza è colma di gente che ti ha amato anche da lontano.
Forse sapeva che tu credevi, in assoluto, al privilegio di essere nati.
A patto, aggiungevi, che poi si viva non per esistere, ma per vivere insieme. La piazza è circondata da manifesti in cui, sotto il
tuo viso, è stata riprodotta la tua temeraria, quasi indicibile
speranza: “Vincerà la bellezza”. Avevi una certezza: che tutto
quanto può essere vero è, per ciò stesso, possibile. Va cercato; non
c’è, solo se non lo cerchi, se non speri di trovarlo. Elias Canetti, che
tu amavi, aveva scritto, ricordo, entusiasmandoti: «Certe speranze, quelle pure, quelle che nutriamo non per noi stessi, quelle il cui
adempimento non deve tornare a nostro vantaggio, le speranze
che teniamo pronte per tutti gli altri, che procedono dalla bontà innata della natura umana, poiché anche la bontà è innata,
queste speranze di un giallo solare bisogna nutrirle, e difenderle,
quand’anche non dovesse mai giungere l’istante in cui si compiano. Perché nessun inganno è altrettanto sacro, e da nessun altro
inganno dipende a tal punto la nostra possibilità di non finire
sconfitti». “Credo anch’io in tutto ciò che suscita una speranza”
commentasti. Ecco perché questo mattino dolente e sereno, severo e assolato, ti somiglia. E non sembra neppure un addio.
In memoria di un
Poeta di nome Tonino
Insigne cantore della pace
e della bellezza
William Raffaeli, Presidente ISAL
In ricordo della visita a Tonino Guerra
nel Gennaio 2011
Ho visto un Uomo respirare a fatica e, nelle apnee del riposo,
aprire gli occhi al sogno della vita. Nel divano della casa arrocata nel pendio scosseso e vasto della Penna, a sfondo una
voce di donna che affeziona il russo con l’italiano, disteso, fino
a riposare, ho incontrato Tonino Guerra.
Maestro, so della sua storia, Poeta, so per letture, educato e
gentile con un generoso cuore, so per esperienza.
“Ogni righael ut vin bon” (ogni regalo ti viene buono / ti rende
qualcosa), mi disse mentre lo ringraziavo anche a nome della
Fondazione per la cortesia che ci aveva dimostrato, ideando
e regalandoci una sua frase quale “motto” del nostro operare contro il dolore che venne poi trascritta su pergamena e
consegnata ai giovani ricercatori in occasione del seminario
sulla “migrazione dei cervelli” tenutosi a Roma il 16 settembre
dell’anno scoso.
Mi raccontò che questo motto era del suo padre che da piccolo gli insegnò ad essere generoso, dicendogli appunto: regala ciò che puoi, perché ogni regalo è un investimento che ti
sarà reso al bisogno; lui rese il tutto nell’immediatezza del suo
amato dialetto romagnolo che ne aveva plasmato i sentimenti e creato quella base umana su cui si è espressa la sua visione
che lo ha reso famoso ed apprezzato a livello internazionale.
Tonino, pur romagnolo, era un uomo senza confini, così come
senza confini era e sarà la sua anticipazione, poetica e civica,
sul ruolo della Bellezza: il dono che il mondo ci rende nella
vita quotidiana.
Lui poeta, sceneggiatore aduso a cogliere gli attimi significanti, colse nella nostalgia della Bellezza l’etimo del significante
poichè, mi diceva, “Vedi un paesaggio, diviene Bello quando
si colora di una memoria che lo riconduce alla nostalgia di
luoghi amati. Montagne, voli di gabbiani, sono senso estetico
per quanto risvegliano la tua comprensione emozionale”.
Su questo tema del linguaggio emozionale capace di dare
senso alle cose, discutemmo per analizzare la semantica del
dolore, poi riprendemmo la rotta del dialogo tra “uomo ammalato e medico” e concordammo con buona maniera quale
cura gli era più adatta a placare il dolore, che rischiava di ottenebrarne i giorni della vecchiaia.
Si scherzò sulla piccola fatica del respiro e per dare respiro
all’uomo sono andato in esplorazione nella tana del suo sapere, saper evocare e saper fare, con la guida della tenerezza, la
sua moglie che ha fatto della casa una memoria della bellezza
di Tonino uomo, poeta e sognatore.
Sia “bella” quindi questa nostra concezione della Terra! Una
Bellezza di vita.
Questo noi gli rendiamo: la sua frase, stampata tra le due
farfalle disegnate con guizzo dal maestro, avrà il cielo su cui
posarsi, le pareti dei Centri di Terapia del Dolore, collegati a
ISAL e Federdolore-SICD, a ricordare che il Dolore si cura con
la scienza, ma non svanisce se non miscelato con l’ amore per
la persona e la sofferenza che ci sta di fronte.
La compassione e partecipazione con chi vive la sua vita
nell’attesa che la sua sofferenza sia curata e dunque nell’attesa dell’incontro con i medici algologi a cui affidano e attendono la loro speranza.
BANCA DELLA MAREMMA,
A GROSSETO LAVORI IN
CORSO PER LA NUOVA
SEZIONE
Procedono i lavori per la costituzione della sezione territoriale ISAL nella provincia di Grosseto. L’iniziativa nasce dalla
partnership instaurata tra la Banca della Maremma, promotrice dell’iniziativa a livello locale, e la Fondazione, a seguito
della visita a Grosseto del Prof. William Raffaeli.
Si tratta di un’attività fortemente voluta dalla dirigenza della Banca e dal suo Presidente, Francesco Carri, attuale Presidente anche dell’Istituto Centrale del Credito Cooperativo,
ICCREA Banca S.p.A.
Noi a Tonino Guerra, forse donammo qualche giorno senza
dolore, Lui ci ha regalato un nuovo atteggiamento per onorare il nostro lavoro.
Francesco Carri, Presidente BCC Banca della Maremma
La collaborazione si pone in linea con l’accordo stipulato a
livello nazionale tra la Fondazione ISAL ed ICCREA, testimonianza concreta dell’attenzione rivolta dal Credito Cooperativo verso il sociale e della coerenza del Gruppo bancario con
la propria Carta dei valori, interamente basata sul primato e
la centralità della persona.
Tonino Guerra e ISAL
Era da tempo che volevo conoscere Tonino Guerra e ogni volta
che vedevo le sue opere, le sculture nelle piazze di qualche paese, si rinnovava quel desiderio.
Un giorno un amico, Sauro, mi disse “ho appena letto una brevissima poesia di Tonino Guerra e sono rimasto davvero colpito per la semplice bellezza. Mi lesse la poesia che recitava così:
“e fiom le’ l’acqua cla porta aspass e zil”, il fiume è acqua che
porta a spasso il cielo.
Rimasi incantato; era come rendere in una breve rima quello
che non era ormai più nemmeno un linguaggio ma un segno
capace di illuminare come fa ogni lampo nel buio.
Un amico mi procurò il telefono di Tonino Guerra e con mia
moglie Barbara e mio figlio di pochi mesi mi recai a Pennabilli
dove risiedeva.
Entrai in un bar e un po’ incerto cominciai a comporre il numero del maestro. Ero molto imbarazzato perché sentivo che quel
gesto era un po’ invadente ma nonostante le titubanze restai in
attesa che dall’altra parte del filo qualcuno rispondesse.
Una voce bassa di persona anziana mi rispose con un breve e
scoraggiante mono sillabo “Si?” io continuai “mi scusi il signor
Guerra? Tonino Guerra?” e lui rispose un po’ burbero “Si, te chi
sei? Cosa vuoi?” “Buongiorno Maestro lei non mi conosce ma
vorrei tanto poterla incontrare” dissi di un fiato. “No non ricevo,
ho da fare!” fu la sua laconica risposta.
Mi venne in mente la poesia dei fiumi, così continuai “Maestro
ho letto la sua poesia e mi ha fatto l’effetto che fa il detersivo
dei piatti con l’unto come si vede nella pubblicità alla televisione dove il grasso improvvisamente lascia spazio al limpido e al
pulito”. Non so come mi venne in mente una frase del genere
ma questa cosa cambiò improvvisamente l’atteggiamento di
Tonino Guerra che allora mi rispose dicendo “Vin so!”, Vieni su.
Ci indicò la strada per raggiungere la casa dove abitava .
Ci venne incontro e senza dire una parola ci aprì il cancello del
suo giardino. Era molto vestito come se avesse dimenticato
che l’inverno era finito da un pezzo e portava un cappello di
velluto nero che dava al suo viso un ombra di severità.
Ci fece sedere ma prima volle vedere il bambino che mia moglie teneva in braccio “È una bestiolina”, disse dopo avere spostato la copertina che lo nascondeva alla vista.
Parlammo a lungo, ci raccontò la sua vita, il piacere della pittura e i maestri che aveva avuto nella sua lunga esistenza. Parlò delle pietre delle case diroccate della val Marecchia che lui
conosceva una ad una andandole a trovare periodicamente.
“Sento ancora la fatica che la povera gente faceva per campare”, disse. Ci parlò della prigionia in Germania e di come cominciò in quel lager a narrare storie. Servivano a portare sollievo a
qui poveri disgraziati che come lui condividevano quella sorte
e lo costringevano ad inventarne sempre di nuove.
Poi ci raccontò dei suoi viaggi e i paesi del mondo che aveva
visitato. “In Russia c’è una chiesa di legno che non ha nemmeno un chiodo”, raccontava aiutandosi con l’indice come per indicare quel ricordo.
La cosa che colpiva è che nei suoi racconti lui sapeva trovare
gli aspetti più segreti quelli che ogni posto conserva nell’animo più intimo, in attesa che venga svelato da chi come Tonino,
sarebbe stato in grado di coglierne il senso più profondo. “Un
viaggio non ho mai fatto”, disse all’improvviso “l’Argentina, si
voglio vedere l’Argentina. Gli chiesi il perché quel paese lo affascinava tanto. Lui rispose: “Lo sai mio zio partì molti anni fa
per sfuggire dalla miseria e raggiunse l’Argentina dopo molti
giorni di viaggio in nave. Mia zia piangeva pensando alla vita
grama che quel povero disgraziato doveva affrontare senza conoscere la lingua ne probabilmente la geografia di quel posto.
Finalmente dopo molti mesi arrivò una lettera dal Sudamerica.
Mia zia non sapeva leggere e mi chiese di leggerla senza avere
aperto la busta come se avesse paura che le parole scappassero via. La lettera conteneva una sola frase, l’unica scritta in
dialetto. E diceva semplicemente così: Maria... a so arvat in cheva! Maria... sono arrivato alla fine, dove però in cheva stava ad
indicare per il dialetto il superlativo assoluto della fine”. Tonino
non ci raccontò solamente quello che era scritto nella lettera
ma la recitò tenendo a lungo una sospensione dopo la parola
Maria per poi d’un fiato finire la frase scritta dallo zio. Non fu
semplicemente un racconto ma la vera rappresentazione di
uno stato d’animo che lui rivisse con emozione fino a fargli diventare gli occhi lucidi.
Ci salutammo ma prima volle regalare al bimbo un suo quadro
con una dedica “A Elia per i suoi tanti giorni nel 2000”.
Tornammo altre volte a fargli visita portando con noi vecchi
legni trovati in case abbandonate che lui trasformava in mobili
straordinari. In queste occasioni ci regalò altre stampe e in una
scrisse “A Moreno nella giornata della legna”.
Un giorno ISAL di cui sono volontario, organizzò un convegno
chiamato il “Dolore delle Donne” dove si sarebbe discusso appunto della specificità del dolore femminile con la presenza di
ricercatori ed esperti. Si voleva dare a quella manifestazione la
visibilità che meritava essendo probabilmente la prima organizzata per quella finalità. Mi venne in mente Tonino Guerra
per chiedergli se ci avesse fatto un manifesto che poteva descrivere quel tema. Lo chiamai al telefono e lui stette a sentire
la mia richiesta e le motivazioni che conteneva. Mi rispose con
il solito “Vin so!”, Vieni su.
Mi presentai a Pennabilli con il fotografo Stefano Ferroni ed
un vassoio di tagliatelle appena fatte da mia mamma, proprio
quelle buone con le uova dell’anatra.
L’altra mano conteneva un sugo di ragù dall’odore antico.
Tonino era seduto nel suo studio e senza dire una parola guardò le tagliatelle e il sugo che continuava a spandere il suo odore di buono.
“Metti tutto là che a mezzogiorno le mangio”, disse. Poi tirò
fuori due pitture meravigliose raffiguranti due dame con atmosfere orientali, bellissime. quello fu il regalo che con entusiasmo volle fare a ISAL per le sue finalità. Ci disse “Ma le donne
credevo che erano più forti degli uomini non mi aspettavo che
patissero tanto”.
Ci chiese le informazioni sul manifesto, poi volle raccontarci
anche di un manifesto visto a Roma nel suo ultimo viaggio
“Pensate cosa c’era scritto”, disse: “vi perde il vostro bagno?...
Parliamone!”, questa cosa lo fece ridere come un bambino.
Tonino Guerra fece altri regali a Isal e forse i suoi ultimi lavori
furono proprio per la nostra fondazione.
Si chiese a Tonino di scrivere una frase da regalare ai ricercatori
che nel Forum organizzato da ISAL a Roma del 28 settembre
2011 sarebbero stati premiati nella Sala delle Conferenze della
Camera dei Deputati per la loro attività scientifica sulla ricerca
e cura del dolore
Tonino scrisse una frase che gli venne in mente mentre era in
automobile assieme ad un amico.
“Ferma la macchina!”, disse improvvisamente, poi annotò sul
suo taccuino questa frase “il dolore e’ una farfalla nera che
riprende i colori con la bontà”.
Poi in seguito, Roberto Gamberini, un attivista della fondazione, gli chiese di illustrare quella frase e Tonino Guerra
fece, con la delicatezza che sapeva, due meravigliose farfalle:
una nera per raffigurare lo stato della sofferenza ed una con
colori caldi e delicati, che rappresenta la guarigione generata dalla bontà capace di diventare cura, azione e sapere.
Isal ha avuto il grande merito di iniziare un viaggio e nel suo
percorso incontrare persone stupende o straordinarie come
Tonino Guerra.
Ho sempre creduto che il dolore allontanasse gli individui,
invece scopro che avvicina quelli migliori perché sono quelli
che “sanno riconoscere una sola passione, quella della luce in
nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla
felicità” (Emille Zola).
Moreno Babboni
Consigliere Associazione ISAL Rimini
Oltre alla Banca, nella costituzione della sezione territoriale
ISAL di Grosseto saranno coinvolti vari attori locali provenienti dall’ambito medico-ospedaliero, dall’associazionismo,
dalla cooperazione sociale e dalla società civile tutta. L’obiettivo è quello di creare un organo di raccordo in cui ognuno
di essi metta a frutto le proprie risorse e competenze, al fine
di potenziare i servizi cittadini in tema di terapia del dolore
e migliorare, così, le condizioni di vita dei soggetti affetti da
dolore cronico. A tale scopo, la Banca ha instaurato un filo
diretto con la Direzione nazionale della Fondazione e con
il suo staff, che sta offrendo un supporto fondamentale sia
per quanto riguarda il procedimento burocratico relativo
alla costituzione dell’associazione, sia per ciò che attiene alla
programmazione ed alla promozione delle prime iniziative a
livello locale.
Tra queste vi è la partecipazione alla “seconda giornata nazionale contro il dolore”, programmata per il prossimo 13 di
ottobre, durante la quale verranno organizzati in alcuni punti
della città delle strutture per attività di sensibilizzazione sul
tema e di raccolta fondi mediante la vendita delle mele.
Insieme, per darti
un aiuto concreto
Il progetto di CartaBcc
e Fondazione Isal
Nasce in collaborazione con le Banche di Credito Cooperativo
l’organizzazione di eventi sul tema del dolore cronico, con momenti
di approfondimento e di scambio tra medici Isal e soci
La partnership tra CartaBcc
e Fondazione ISAL ha portato, ormai
da due anni, all’attivazione di un
call center dotato di un numero verde
( 800 10 12 88 ) per ricevere informazioni
sui centri di terapia del dolore più vicini
e avere un primo sostegno da un’équipe
medica specializzata. Attivo dal
lunedì al venerdì, dalle 10 alle 16,
è uno strumento per accedere ai
centri dedicati alla terapia del dolore,
ed ottenere diagnosi e terapia efficaci.
In occasione del tour di sensibilizzazione al dolore cronico
che sta toccando in questi giorni 14 tra le maggiori città italiane, la Fondazione propone alle BCC una grande opportunità: l’organizzazione di eventi dedicati alle varie tipologie di
dolore cronico, da tenersi presso le loro Sedi Istituzionali.
La Fondazione offre la partecipazione dei propri medici specialisti, in un’ottica di scambio costruttivo tra Soci e clienti
BCC. Inoltre supporterà tecnicamente le manifestazioni con
la realizzazione e l’invio di impianti grafici del programma e
di ulteriore materiale informativo.
800.10.12.88
Numero Verde contro il Dolore
SABATO
13 OTTOBRE 2012
Nelle Piazze Italiane
Il primo call center
per chi soffre di
dolore cronico
CartaBcc e Fondazione ISAL, insieme per darti un aiuto concreto. Perchè da noi, l’interesse più alto è per
la tua salute. Da oggi, per tutti i titolari di CartaBCC è attivo un servizio di call center specialistico sulla cura del
dolore. Attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 16.00. Grazie al sostegno di un’equipe medica, potrai
trovare la soluzione migliore al tuo problema. CartaBcc e Fondazione ISAL. Persone che aiutano Persone.
Per noi
la vita è gioia e
nessun dolore
2a Giornata Nazionale
contro il dolore.
CartaBcc e Fondazione ISAL:
una partnership a servizio dei Clienti e Soci BCC.
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La ricerca ha
un buon gusto
Sancita la collaborazione fra ISAL
e la Centrale del Latte
di Cesena
L’Associazione ISAL di Rimini e la Centrale
del Latte di Cesena hanno formalizzato
un accordo mediante il quale ISAL sarà
presente nelle principali piazze e
manifestazioni della Romagna con uno
stand attrezzato per la divulgazione delle
proprie attività e la distribuzione del buon
gelato fior di latte.
Con questa iniziativa ISAL si prefigge
di raggiungere più obiettivi:
far conoscere l’esistenza dei centri di cura
del dolore cronico come luogo di riferimento
per chi ne soffre, raccogliere fondi da destinare
al potenziamento del nuovo centro di ricerca
di Rimini, finanziare i propri progetti in collaborazione con i più prestigiosi centri di ricerca
internazionali.
Centrale del
Latte di Cesena,
oltre mezzo secolo di storia
Nel 1959 un gruppo di 12 allevatori di Cesena e Cesenatico diedero vita al “Consorzio Produttori Latte”, conferendo
tutta la loro produzione. Oggi, la Cooperativa è l’unica realtà autonoma del settore lattiero caseario nel territorio e
annovera una trentina di Soci, i quali conferiscono alla Centrale del Latte mediamente 30.000 litri di latte crudo al giorno, pari a 8.000.000 litri all’anno. Tutto il latte proviene da
aziende dislocate nel territorio romagnolo, nelle province
di Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e Ferrara.
La Centrale del Latte di Cesena è dislocata su una superficie
di circa 20 mila metri quadrati, sui quali sorge uno stabilimento funzionale e tecnologico. Il Consorzio conta attualmente 40 dipendenti e 20 agenti addetti alle vendita.
Rubrica
voci, parole, storie
Nascono sorrisi
che diventano
un ponte
verso gli altri
Ho conosciuto il significato del dolore,
della sofferenza fisica, nell’età più viva
e “immortale” di un essere umano.
A 19 anni, a causa di un banale incidente stradale, ho dovuto
rivoluzionare la mia vita, perché il dolore aveva rivoluzionato il mio tempo, le mie abitudini, la mia quotidianità.
Inizia così, come per molte persone colpite dal dolore cronico, un peregrinare di specialista in specialista, di struttura
in struttura.
Con una offerta minima di 2 euro si può far bene
alla ricerca e gustare il genuino gelato della Centrale del Latte di Cesena. Recentemente, con questa
iniziativa ISAL è stata presente al Paganello di Rimini e al Festival dell’Aquilone di Pinarella di Cervia.
Nella Foto da sisnistra: Roberto Gamberini (Consigliere Associazione ISAL Rimini), Prof. William Raffaeli (Presidente Fondazione
ISAL), Franco Stefani (Presidente Associazione ISAL Rimini)
Effettua giornalmente le consegne dei propri prodotti in
tutta la Romagna.
La lavorazione del latte viene effettuata con moderne tecnologie e sotto il costante controllo del laboratorio interno. In questo modo, si ottiene un prodotto garantito sotto
l’aspetto qualitativo, nutrizionale e igienico-sanitario. Il caseificio, presente all’interno della Centrale, si avvale di una
manodopera specializzata e di un’impiantistica all’avanguardia per la produzione di formaggi freschi e stagionati.
La Centrale del latte di Cesena è una delle poche aziende
italiane in grado di garantire ai consumatori la provenienza locale del latte utilizzato nei diversi prodotti, effettuando giornalmente la tracciabilità di tutto il latte, formaggi
e gelati commercializzati, indicando la provincia di provenienza vicino alla data di scadenza.
Per garantire il chilometro zero dei propri prodotti, la Centrale
del Latte di Cesena consente di verificare la tracciabilità su
www.centralelattecesena.it/tracciabilita.php
A volte consigliato da qualche conoscente, a volte perché la
ricerca diventa così spasmodica pur di star bene, che capita
anche di incontrare lo specialista non idoneo e di non trovare la sensibilità necessaria ad accoglierti e quindi poi, la speranza a credere che una vita senza dolore possa esistere.
Manca l’informazione. Ancora oggi, a 5 anni dalla mia malattia, mi ritrovo a parlare con persone che non sanno il significato della parola “dolore cronico”, né sono a conoscenza che
in Italia esistono centri di terapia del dolore e specialistici
che si occupano della sofferenza e non solo a livello oncologico, come erroneamente si pensa.
Ancora oggi, si incontrano difficoltà per accedere ai diritti
che ogni persona sofferente possiede e avere così i riconoscimenti equi.
In questi 5 anni, fatti di notti insonni, dolore, difficoltà a svolgere svariate attività, si sono modificate le priorità di vita,
ma soprattutto il modo di osservarla e viverla, questa vita
che, nonostante tutta la sofferenza e la difficoltà, è riuscita
a regalarmi, a concedermi sempre e comunque qualcosa di
positivo.
In questi 5 anni, ho deciso di mettere il dolore su un “piano”
diverso, fatto di aiuto volto verso agli altri, di concretizzazione di progetti e sorrisi nati per caso e finiti a creare un ponte,
una rete di attività e aiuto che ogni giorno diventa sempre
più salda e continua.
Credo così, che questo dolore, con cui dovrò convivere a
vita, mi abbia sicuramente modificato l’esistenza, ma mi abbia permesso in un momento così delicato e difficile, di aprire porte su aspetti importanti per l’essere umano sofferente,
perché è un diritto per tutti, non soffrire.
Elisa Mazzotti
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Devolvi il 5x1000 dell’IRPEF all’Associazione ISAL Onlus C.F. 91020540406
9[djhWb[Z[bbWjj[Z_9[i[dW#L_WL_ebed[Z_=Wjjeb_de"(&'#*-+((#CWhjehWdeZ_9[i[dW<9#J[b$&+*-$).&(/(
Non soffrire è un diritto di tutti, il tuo aiuto non è un semplice palliativo.
Da vent’anni, ISAL promuove la conoscenza, la ricerca e la formazione nell’ambito della terapia del dolore.
Esiste una
carta che
garantisce i
miei acquisti?
CartaBcc
La mia Carta è differente.
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SERVIZIO CLIENTI:
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Le Protezioni assicurative, gratuite per i titolari, sono offerte dalla polizza Acquisto Facile contratta da Iccrea Banca S.p.A. con ALA Assicurazioni S.p.A. – Gruppo Sara. Per termini, condizioni e modalità
di reclamo, il materiale informativo delle carte è reperibile presso la tua Banca di Credito Cooperativo o nel sito internet www.cartabcc.it nella sezione “I servizi > Coperture Assicurative CarteBcc e
Acquisto Facile”. E’ possibile approfondire le caratteristiche diversificate per ogni carta presso la tua Banca di Credito Cooperativo o nel sito internet www.cartabcc.it.
800101288
Numero verde per informazioni sui Centri di Terapia del Dolore,
esclusivamente dedicato ai titolari di CartaBCC,
attivo dalle ore 10 alle ore 16.00, dal lunedì al venerdì,
gratuito da rete telefonica fissa.