Ricordando - Fondazione ISAL
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Ricordando - Fondazione ISAL
curae Le notizie di Fondazione ISAL Numero 4 - Maggio 2012 - Aut. Tribunale di Rimini n.13 del 10/11/2010 - Direttore Responsabile Stefano Cicchetti Tonino Ricordando Guerra L’affettuoso racconto di Sergio Zavoli William Raffaeli Associazione Amici di Isal Rimini Banche di Credito Cooperativo In memoria del nostro poeta “Era il cantore della pace e della bellezza, educato, generoso e gentile” >> Al via il progetto di ricerca sul dolore cronico centrale, donata un’importante apparecchiatura >> Insieme per dare un aiuto concreto, una collaborazione tra medici e soci con eventi e momenti di scambio >> TERAPIA DEL DOLORE, UNA SPERANZA DALLA TMS L’associazione Amici di ISAL di Rimini ha donato una stimolazione magnetica transcranica al Centro specialistico diretto dal professor Raffaeli. Al via progetto di ricerca sul dolore cronico centrale. Arriva dalla solidarietà una speranza per il trattamento del dolore. Una stimolazione magnetica transcranica (Tms) è stata donata dall’associazione territoriale Amici di ISAL di Rimini al Centro specialistico diretto dal professor William Raffaeli. All’ospedale Sol et Salus di Torre Pedrera, la Tms servirà per un progetto di ricerca sul dolore cronico centrale. “La neurostimolazione mi ha ridato la gioia di vivere.” Valeria era passata dal vivere una vita al massimo a non viverla quasi per niente: “Non riuscivo più a fare tutte le attività che amavo e questo per me era la cosa più devastante”. Fu allora che il suo dottore le consigliò la terapia di neurostimolazione, che consiste nell’utilizzo di lievi impulsi elettrici che bloccano il segnale del dolore, consentendo ai pazienti una migliore gestione del dolore stesso. Oggi Valeria può finalmente dire, “come tutte le persone ho dei giorni no, ma sono nettamente più belli rispetto a quei pochi giorni in cui stavo bene prima della terapia. Ora non vedo l’ora di vivere la mia vita”. I sistemi di neurostimolazione possiedono certificazione FDA e sono indicati per ridurre alcune tipologie di dolore cronico, migliorando la qualità di vita dei pazienti. Il sollievo dal dolore varia da individuo a individuo. WWW.FONTANOT.IT / WWW.BLOG4STAIRS.IT St. JUDE MEDICAL, the nine-squares logo and MORE CONTROL. LESS RISK. are trademarks of St. Jude Medical, Inc. or its affiliates. ©2012 St. Jude Medical. All Rights Reserved. 1HXURVWLPROD]LRQHLQGG “La sperimentazione riguarda chi non ha benefici dai trattamenti farmacologici – spiega il professor Raffaeli –. Cercheremo di spostare più in là le conoscenze e di aprire un sentiero verso la cura”. La raccolta di fondi per l’acquisto della Tms è durata oltre due anni. “È stato un lavoro capillare – dice Franco Stefani, presidente dell’associazione Amici di ISAL di Rimini –, giorno dopo giorno abbiamo raccolto piccole e grandi cifre, organizzando cene, spettacoli e mercatini”. Già utilizzata nel trattamento della depressione, la Tms permette di stimolare in maniera non invasiva le cellule cerebrali. “Oggi abbiamo una barriera nella cura del dolore centrale che colpisce fino al 30% delle persone dopo un ictus o una lesione del sistema nervoso – continua Raffaeli –. È un dolore persistente anche dopo tre anni e questa macchina è l’unica che sembra offrire un’opportunità di cura. Ma certezze – sottolinea – ora non ne possiamo dare”. Coinvolto nella ricerca anche il professor Antonello Bonci, direttore scientifico del National Institute on Drugs Abuse e membro del Comitato scientifico della Fondazione Isal, che negli Stati Uniti sta conducendo un’importante sperimentazione sull’optogenetica. “È una tecnica rivoluzionaria, che si avvale della biologia molecolare e della stimolazione laser per attivare o inibire gruppi scelti di cellule cerebrali – spiega -. Da un punto di vista clinico, potrebbe essere impiegata nella cura del dolore, del Parkinson, dell’Alzheimer e poi per epilessie e dipendenze”. Nella Foto da sisnistra: Prof. William Raffaeli (Presidente Fondazione ISAL), Prof. Antonello Bonci, MD (Direttore Scientifico del National Institute on Drug Abuse, National Institutes of HealthBaltimore, Maryland) Costellazioni Le parole e il senso capovolto del dolore Sergio Gridelli Gli esseri umani manifestano reazioni anche molto diverse rispetto al dolore fisico. Credo di poter affermare l’esistenza di una soglia di sopportazione o, se si preferisce, di sensibilità soggettiva nei confronti della sofferenza. Ogni uomo avverte di patire le proprie pene più di chiunque altro, in quanto essere unico e irripetibile. In questo senso, il “mal comune, mezzo gaudio” piuttosto che definire una presunta condivisione intersoggettiva del dolore, appare come il tentativo di trovare conforto nel sapere di appartenere a una comunità, socializzante e inclusiva. Una rete di relazioni dove anche il dolore, per quanto diverso da individuo a individuo, è il catalizzatore di una storia dove nessuno è solo, ma è la parte integrante di un tutto. Nelle circostanze dove il dolore è la condizione con la quale fare conti tutti i giorni, è inevitabile porsi l’interrogativo della sua unica congiunzione all’aspetto fisiologico. Oppure, per altra via, se sia possibile anche cogliere una dimensione meno biologica, ma contemplata dentro il legame sociale e, più in generale, inquadrata nel modo con cui gli individui elaborano la loro esperienza del mondo. Di fatto, sono molto più di un’ipotesi sia il beneficio che il sollievo derivanti dalle relazioni dialettiche con la propria famiglia, dallo scambio di parole amorevoli con i medici delle cure palliative, dal confronto con la cerchia delle amicizie più strette. Questi rapporti, basati essenzialmente sul linguaggio, fanno comprendere come l’intimità del dolore abbia anche una sua valenza extra-corporea con la quale interagisce, trovandone spesso giovamento. Se la teoria aristotelica aveva già intuito un nesso logico fra il dolore e l’emozione, con il meccanicismo il dolore è stato riportato alla sua qualità di “semplice” messaggio corporeo conseguente a una o più sollecitazioni sensoriali. In sostanza, per molto tempo il dolore è stato inteso come il traguardo di una stimolazione fisiologica psicologicamente scollegata. Sulla base di questo paradigma si è costruito un tentativo, se non addirittura una teoria compiuta, per trovare la causa di ogni malanno e rendere così “sopportabile” la morte, attraverso la sua destrutturazione in molteplici spiegazioni biologiche. Successivamente, con lo sviluppo delle discipline comportamentali, si è compreso come il dolore non potesse essere relegato alla sola valenza fisiologica, pur tenendo in considerazione la sua “necessaria ineluttabilità” in qualità di indicatore di alterazioni o pericoli per l’organismo. Ne consegue anche che non provare dolore in assoluto renderebbe gli uomini estremamente vulnerabili, con grave pregiudizio per la continuazione stessa della specie. Tuttavia, nel momento stesso in cui si ammette l’esistenza di un’interpretazione non solo biologica del dolore, si scopre il suo uso sociale: le pene da espiare cristianamente, la sofferenza fisica come soglia da attraversare per una nuova iniziazione, la detenzione del potere e, di fatto, il suo rovescio “banale” secondo la geniale intuizione della Arendt. Se l’etere ha segnato, verso la metà del XIX secolo, l’inizio su basi scientifiche del “non sentire il dolore”, ancora oggi il suo terreno di sconfitta pare essere il linguaggio. Cioè, una sor- ta di impossibilità a nominarlo specificatamente, al di fuori della sua definizione omnicompresiva e generica. Siamo di fronte a una narrazione spesso inaccessibile dall’esterno. Una condizione che sembra vivere solo di metafore: una coltellata, una fiammata, un morso. Tutte esemplificazioni estreme del dolore che si sta provando, anche nel caso in cui non si siano mai subite personalmente. Forse, giungendo da altre traiettorie del pensiero, Virginia Wolf aveva già posto l’attenzione sulla difficoltà, se non impossibilità, della conversione linguistica del dolore. Da un lato l’amore, in qualche modo “decifrabile” con i versi di Shakespeare, dall’altro il dolore che “prosciuga” tutte le parole, a tal punto da doverne inventare di nuove. Ma la diagnosi si basa, in larga parte parte, sul linguaggio e sulla costruzione di un senso che inevitabilmente deve appoggiarsi sulla fiducia nelle parole. Ecco allora che il terapista del dolore diventa anche “un archeologo del lessico”, un esploratore della semantica nascosta in ogni storia di sofferenza, “un amico” che ascolta il paziente come un bambino che si porta la conchiglia all’orecchio e “vede” le onde del mare. Servono esperienza e delicatezza. C’è un lavoro che, inevitabilmente, si concretizza in reparto, ma ce n’è anche un altro, altrettanto utile. Oggi, le grandi reti sociali danno l’opportunità di dilatare “i dialoghi” sul dolore, aggiungendo interpretazioni inedite e premonitrici di un nuovo modo di classificazione delle sofferenze. Allora, con gli opportuni strumenti di indagine e mediante varie competenze, è pensabile la costruzione di una metodica per scandagliare i contenuti dei principali social media. I 900 milioni di utenti di Facebook e gli oltre 200 milioni di Twitter rappresentano un’occasione formidabile per “trovare le parole del dolore”, e forse inventarne davvero di nuove. In principio era il verbo. Probabilmente, ne sono convinto, bisogna ripartire da lì. Grünenthal all’avanguardia nei prodotti per il trattamento del dolore Grünenthal aspira a diventare la società più attenta ai bisogni del paziente nonché rimanere leader nell’innovazione terapeutica. Oggi rappresentiamo l’azienda farmaceutica in grado di offrire il portfolio prodotti più completo per il trattamento del dolore. Questo è un risultato importante, che abbiamo raggiunto solo attraverso una costante vicinanza ai bisogni dei pazienti e del medico, nonché attraverso importanti investimenti nella ricerca farmacologica. Investiamo quasi il 20% del nostro fatturato annuo a livello globale in ricerca, ricerca che rappresenta una vera e propria mission. Vogliamo incrementare il valore investito al fine di garantire, ogni 5 anni, il lancio di un’innovazione. A tal proposito, mi piace ricordare, due dei nostri più recenti progetti: Instanyl, il primo fentanyl in formulazione spray che rappresenta una vera innovazione dal punto di vista tecnologico e una nuova molecola, tapentadolo, che per la sua unicità in termini di caratteristiche farmacologiche, rappresenta la nuova generazione di analgesici centrali, che proprio un settimana fa ha completato positivamente l’iter di registrazione presso AIFA e che prevediamo di lanciare sul mercato entro la fine dell’anno. Sono convinto nell’affermare che abbiamo tutti i requisiti necessari per rafforzare la nostra leadership nella terapia del dolore. Raggiunto questo obiettivo, potremo veramente garantire una maggiore qualità di vita per i nostri pazienti, cambiando in positivo la loro vita e quella delle loro famiglie. Thilo Stadler, Amministratore Delegato Grünenthal Italia. Tonino Ricordando Guerra “era tutt’uno con questo piccolo mondo trasformato nell’universo dalle sue poesie, ognuna con l’infallibile precisione, cioè l’inimitabile alleanza degli occhi e del cuore” Sergio Zavoli Presidente Onorario Fondazione ISAL Tonino Guerra, il 16 marzo, aveva compiuto novantadue anni. Il daffare che si erano dati a Santarcangelo e Pennabilli nel dividersi i festeggiamenti del poeta è stato commovente. Fortunati i luoghi - direbbe Cesare Pavese - che si contendono una creatura in cui riconoscersi, poter vantare qualcosa di comune, scambiarsi il borgo, le case di pietra, i coppi inverditi dalle piogge, le porte con il battente di ferro e un paio di scalini incurvati, al centro, dove strisciano i piedi, e l’odore del pane che sale per le stradine facendo di corsa il giro breve del paese. Tonino era tutt’uno con questo piccolo mondo trasformato nell’universo dalle sue poesie, ognuna con l’infallibile precisione - cioè l’inimitabile alleanza degli occhi e del cuore - di un poeta che porta i pensieri e le cose a un’altezza sorprendente. So come sia irrituale festeggiare il raggiungimento di un traguardo così raro, e capisco come non abbia senso compiacersi dell’autorità raggiunta e consolandosi col vecchio elogio della saggezza. Tonino, per giunta, non amava gli abbandoni crepuscolari, gli ingannevoli riti del consenso, sapeva fare l’uso appropriato di un’ironia mille miglia lontana dalle tentazioni melodrammatiche, le tonalità foscoliane, le piogge sui pineti dannunziani. Ma anche dal folclore innocente, affettuoso, “sempre un po’ in bilico” ammoniva Pascoli, “tra ciò che è e quanto benevolmente appare”. Ma qui è un’altra cosa, ha altre storie e altre tenerezze. Noi non siamo chi poté dire, di fronte all’amico morto, con la stessa solennità di Garcia Lorca afflitto per la perdita di Ignazio: “Tarderà a nascere, se nascerà, un altro come te”: noi siamo solo i tuoi amici, Tonino, che hanno avuto la fortuna di conoscerti, accanto alle persone che hanno vissuto, con te, lo scambievole privilegio di amarsi. Ricordo come, appena ritornato dalla Germania, percepivi gli odori che il Marecchia portava giù dalla vallata, e ascoltavi le voci che ricucivano le distanze per riavvicinare persone e case, uomini e cose: i sentimenti del tempo e della vita, del passato e del presente, separati e riuniti su quello stesso simbolico binario dove, nel ’43, c’era un vagone colmo di gente seduta sui pianali con i portelloni ancora aperti, le SS su e giù lungo il treno, le gambe a penzoloni, le lucciole tra le siepi che già accendevano le loro minuscole lanterne nel buio viola di luglio. Due estati e due inverni, poi il ritorno. I tedeschi avevano lasciato penzolare le gambe anche dai capestri, come a Rimini, con quella morte di ferragosto che ciondolava al triste vento delle cetre, scriverà altrove Quasimodo; e qui avemmo quel verso di Guido Nozzoli che diceva: “E il sole portò le croci nelle lacrime azzurre delle madri”. Era tornato il poeta e la gente si passava le notizie non più di nascosto, dalle finestre, nei vicoli, ma in piazza, in compagnia di quella luce splendente e solitaria che nei giorni “del sole e del grano”, di Alfredo Panzini, sarebbero diventati della fuga e della morte. Come arrivò, tutti vollero vederlo, dirgli qualcosa di pubblico e di privato, confondendo il rito festoso del ritorno con l’ininterrotta pena dell’attesa. E allora sapemmo che le poesie più belle erano nate dai compagni di sventura, i quali reclamavano ogni sera un racconto fantastico che accendesse ricordi e speranze, sostando sulle immagini più temerarie, come l’idea di scrostare dai pali del lager i grumi di vernice e poi scaldarli in un tegamino e aspettare che dal loro disfarsi apparisse qualche stellina di grasso per aggiungere al corpo, così credettero, un po’ di energia. Il giorno in cui presentò I bu, i buoi, la sua prima raccolta di poesie, si seppe che a Santarcangelo di Romagna un poeta scriveva in dialetto versi del tutto nuovi rispetto alla romagnolità ridondante, inneggianti a un luogo, il canalone del Marecchia, che ha l’acqua più limpida della Terra, ospita le piante più ingegnose per utilità e bellezza, e dove, a tender bene l’orecchio, si ode persino il rumore della neve. Quei versi faranno il giro del vento e dei paesi. Una domenica arriverà a Santarcangelo, da Los Angeles, una rappresentanza dell’Associazione degli sceneggiatori statunitensi, la più accreditata e influente del pianeta cinematografico, per consegnare al poeta il Premio alla carriera Jean Renoir . La motivazione va letta, anche qui, per dire qual è stato e rimarrà il giudizio del grande cinema: “Al leggendario Tonino Guerra, uno dei più grandi sceneggiatori dei nostri tempi, che da sei decenni scrive storie per i più importanti registi del mondo”. Mai, pur tra mille riconoscimenti, aveva ricevuto un premio che sancisse, con questa sorta di epigrafe, l’esemplare qualità della sua opera. Uscito da un malanno, non se la sentì di andare a Hollywood dove lo aspettavano per una investitura assimilabile all’Oscar. Di rimando, da costa a costa, inviò al luogo massimamente emblematico della cinematografia internazionale un breve messaggio, ringraziando e rammaricandosi di non poter partire. Fu un evento da cui potemmo trarre lo stesso orgoglio di quando Federico Fellini riceveva, a Los Angeles, i suoi inarrivabili allori. Non si è mai parlato di una circostanza singolare: solo dieci chilometri della medesima strada, da Rimini a Santarcangelo, dividevano due creature venute al mondo, per dir così, l’una accanto all’altra, e vissute per oltre mezzo secolo sotto gli stessi riflettori. Fu Amarcord a celebrare una comunanza che riportò Federico e Tonino a casa, sospinti dagli stessi ricordi e dalle nuove immaginazioni, prolungando quella sorprendente contiguità. Non so se questa nostra benedetta Romagna, curiosa e distratta, che si commuove a ciglio asciutto e abbonda negli affetti, così ribalda e tenera, sfrontata e timida si sia mai stupita che un’aria di collina e di riviera, profumata di poderi e di spiagge, un secolo fa avesse salutato l’arrivo di due ingegni destinati, un giorno, a incantare le più diverse genti del pianeta. Non ho titolo per azzardare proposte, ma riunire in una piazza quell’immaginazione per festeggiare un fenomeno che ha qualche tratto di straordinarietà mi parrebbe un modo di ricordare l’arcana, ma tangibile ubiquità che ha unito i due protagonisti di una leggenda pressoché universale. Poi era salito a Pennabilli, una sorta di eremo civile, una dimensione fantastica da aggiungere a Santarcangelo, la patria mai rinnegata; mentre Andrea, il figlio musicista, ricreava a Roma il grande talento paterno, Tonino non aveva trovato a Cinecittà il suo humus più naturale. Ma sarebbe impossibile non ricordare la strabica amicizia di Tonino per la Romagna e la Russia, amate alla pari, così simili da richiamarsi, l’un l’altra, attraverso i lasciti poetici della civiltà contadina. Ai russi era presto piaciuta la poesia sottesa nella vita di Tonino, che resterà alla base del suo Dizionario fantastico. Il giorno in cui, nel 1945, gli Alleati irruppero nel campo nazista dov’era rinchiuso, fu come se un colpo di vento fosse ve- nuto a risvegliare un infrenabile bisogno di fuga, di novità; e Guerra, affamato, confidò: “Per la prima volta, vedendo una farfalla, non ho pensato di mangiarmela”. Con I bu, nacque l’opera da cui cominciò la rigogliosa rinomanza di Tonino. Gianfranco Contini, tra i più autorevoli critici letterari del ‘900, lo collocò tra i poeti nei quali il dialetto è lo strumento linguistico votato a una qualità espressiva pari a quella di un’opera in lingua. Vorrei dare l’idea del viaggio compiuto nel mondo dai versi di Tonino Guerra limitandomi a ricordare che tra le decine delle grandi personalità salite a Pennabilli, un giorno è spuntato, per dir così, anche il Dalai Lama. Che in una piazzetta di paese si tenessero sottobraccio, e nessuno se ne stupisse, un eroe mondiale dei diritti umani e un poeta che racconta la vita annidata nella poesia del mondo, era la sorprendente e reale favola civile vissuta sotto un cielo che stava, alla pari, sulle alte balze del Tibet fino ai riposanti, familiari declivi dell’Alpe romagnola. “Il cielo”, diceva Tonino, “ha lo stesso colore in tutto il mondo, in pace e in guerra”. “Più poeta di tutti i poeti della terra – ha scritto Garcia Marquez - è quello che parte dalla lingua del suo paese, la più arcaica e primigenia, quella non delle origini, ma delle scaturigini”. Come dire che attinge all’energia dei vulcani, nel cui grembo si è forgiata la possibilità più alta del pensare e del dire: cioè la poesia, il testo estremo. Fu dunque l’uscita de I bu a dirci di un poeta che per novità di stile, allegrezza e pensosità ricordava Ungaretti; il quale era certamente lontano da quella obiettivazione che in Tonino è il bisogno di una realtà presa da qualche lucida falda della coscienza, dove lo stesso Contini (si possa o no parlare di destra e di sinistra anche a proposito di una sorta di hegelismo poetico) scova in Guerra la parvenza di un “ungarettismo di sinistra”. Al ritorno a Santarcangelo si era dato a un lavoro culturale e sociale, alla solidarietà con la parte più debole del paese, cioè alla scelta degli attardati, per la difesa di una condizione violata non solo nei diritti, ma anche nelle ricchezze povere, gelose e nascoste, come la memoria, l’amore dei vecchi, la terra con la sua durezza e la sua innocenza; e poi, l’odore della vita e della pioggia, del padre e del vento, dell’alba e della madre. Mentre le ideologie si contendevano appartenenze e militanze, egli lasciava che ben prima dei “muri” cadessero - e se ne compiaceva - lontananze cupe e fittizie, avendo capito, per dirla con Rainer Maria Rilke, che “la comunione tra le cose e gli uomini è recessa in una comune profondità, alla quale si abbeverano le radici di tutto ciò che è e cresce insieme”. Di qui la scoperta, nel nostro amico e poeta, di un sentimento che per il Vangelo è addirittura una virtù: lo stupore. Esso appare come la matrice di tutta l’evoluzione poetica di Guerra, una sorta di continua seminagione in ogni luogo dove si abbeverano le radici rilkiane dell’esistenza. Una sorta di realismo esistenziale farà da scenario - in chiave metaforica, lirica, favolistica - a un interminabile viaggio compiuto in una Romagna che si prolunga nella Georgia, dove potrebbe essere nato, o nei luoghi di Faulkner e Dos Passos, che Guerra non ha mai visto, eppure con i medesimi cimiteri di ferro battuto, i cancelli cadenti, i vialetti nudi, che stanno su qualche gobba del Montefeltro, con le betulle chiare come i platani di Santarcangelo. Belle, fra molte altre, le immagini di una campagna romagnola scelte da Nevio Casadio per l’ultima, straordinaria testimonianza su Tonino, su cui sembra essere appena passato lo stesso trattore che solca un pezzo di Russia, o viceversa; e dei girasoli, al declino del giorno, che chinano le loro cantaglorie dorate, dove si riconvoca la visionaria realtà del Dizionario fantastico edito da Capitani - un accurato, fedele stampatore di Rimini - che dà forma di favola reale a un mondo altrimenti dimenticabile; con una naturale dolcezza che si allunga nei vicoli, nelle botteghe, nelle case, non per vivere con l’animo voltato indietro, ma perché non si perda la superstite forza di cui siamo capaci, a cui oggi ci richiamano le parole di Tolstoi: “Non fate niente che sia contrario all’amore”. Tonino, ripetendo Mallarmé, ci ricordava che “l’incredulità non ha genio”, che bisogna far posto anche a qualcosa destinato a durare, seppure intimidito e umiliato dalle nostre insicurezze per le cose difficili, o lievi e propizie, in cui puoi subito credere, insieme con quelle che il dubbio ha diritto di lasciar vivere. Un giorno, forse lo ricorderai, parlammo di un contadino della val Marecchia che si chiamava Eliseo, aveva un’ottantina d’anni e finiva il giorno, immancabilmente, nel camposanto sopra Pennabilli, con due cipressi a guardia di un cancelletto un po’ sbilenco. Una sera lo vide venire dal vialetto centrale, aspettò che uscisse e cominciò a parlargli. Dopo avere girovagato tra le cose di quaggiù e di lassù, fermatosi l’argomento sul dopo la morte, alla domanda di Tonino, «Ma il Padreterno, Eliseo, c’è o non c’è?», Eliseo se ne uscì con un disarmante pezzo di bravura, rispettoso insieme della ragione e della fede: «Cosa vuole! Se le dico che c’è, così tutto d’un pezzo, mi sembra una bugia; ma se le dico che non c’è mi sembra una bugia ancora più grande». E noi, di fronte a quella chirurgica distinzione interiore – perché era meno, ma anche più, di un dubbio qualunque – riflettemmo che di Dio possono parlare, quasi con la stessa gravità, sia Pascal sia Eliseo. Gli raccontai che Federico, una volta, mi aveva detto: «Ma non sei curioso di vedere come va a finire?» e Tonino, ogni tanto, mi chiedeva se avesse aggiunto qualcos’altro. A Mosca – dove Lora, la figura centrale del più complesso e favoloso percorso del nostro Già s’incurvava il sole del mattino e alzando gli occhi ho visto dentro una sconsacrata chiesa della valle il celeste impreciso appena acceso dall’occhiata diritta di un rosone. Alle impronte lasciate dagli ex voto, ai rivoli di piogge disseccate, ai radi oggetti sparsi mi volgevo: un avanzo di panca, una cornice vuota, l’odore secco dei legni con i tarli, un abbandono inerte, innaturale, senza idee di risveglio, libero da abitudini e rimpianti. Consunta la sua aria, neppure una farfalla si sarebbe più alzata dove soltanto il vuoto aveva casa; tutto era convertito a quel silenzio, anche l’avidità degli occhi ormai avvezzi al bianco dei cementi e alle tegole rosse, tutte uguali, distese come urli tra le miti arature dei tetti bruni e sghembi, col tartaro macchiato dalle borchie giallastre incise dagli inverni sui paesi inventati dagli uccelli. poeta, con premura, ostinatezza ed entusiasmo aveva mobilitato il miglior cinema russo - presentammo In morte di Federico Fellini, che avevo girato per la Tv. In quell’occasione il “poeta di Santarcangelo” mi disse: «Federico ha ragione, giri, vai, ritorni, parli o stai zitto, ma poi ti adagi, con una piccola viltà, nella celebre frase secondo la quale, facendo l’ultima tara all’immaginazione, Pascal azzardò questa ipotesi straordinaria: “chi cerca ha già trovato”». Per l’inchiesta televisiva Credere, non credere, del periodo in cui la Rai era anche un servizio pubblico, lo provocai sui problemi ultimi. «Camminando nella mia valle» rispose «spesso sosto davanti ai piccoli rettangoli d’erba dove si trovano delle croci arrugginite, senza nome. Mi sembra il punto giusto della morte. Sono contrario alle fotografie, alle statue, a tutta la messinscena di cimiteri senza nessuna poesia. Nei nostri cimiteri della valle la morte è presente in modo più totale e dolce, è un respiro che resta nell’aria, un volo. Ed è un rapporto col silenzio, e anche con la dimenticanza». Finché confiderà: “Ho avuto sempre una gran voglia non di sicurezze speciali, ma di visitare il tempo, perché ha dentro tutto quello che mi stupisce, e che amo senza capirne bene la ragione. Questa è una modernità che pensa solo ai numeri e ai consumi. E per realizzare i suoi primati dimentica le ricchezze più grandi, a cominciare dalla bellezza”. Quando l’animo geme anche nelle valli più in pace è tempo di temere. Tonino Guerra, da taluni chiamato “il poeta dell’ottimismo”, a chi stoltamente lo riprovava rispose: «Che cosa volete che spetti ai poeti se non anche l’arduo dovere della speranza? È tempo di ragionare anche sulla incorruttibile bellezza di ciò che, per poco che sia, siamo in grado di salvare con le nostre mani». Il giorno in cui compì 75 anni, circondato dai sindaci della vallata, spaesato dai fiori che gli arrivavano da ogni parte, oltre che dai messaggi speditigli da mezzo mondo, Tonino prese la parola per lanciare, inatteso, un monito a chi distrugge i “borghi”, cioè interrompe il legame con le voci, i colori, i suoni, i respiri del tempo trascorso. La gente, voleva dire, ha il diritto di salvare la sua memoria. Lo guardavo mentre additava i paesi cresciuti sulle creste incorrotte, l’apparire delle prime ferite di cemento, le insegne al neon, le finestre fuori ordinanza, orlate dall’alluminio anodizzato, qua e là l’offesa della plastica. E il “borgo” era lì che festeggiava il suo cantore corrucciato un po’ per rabbia e molto per amore. Voglio ricordarti così, Tonino, come quella volta che salutandoci salii in macchina dove avevi voluto che trovassi, in dono, una formella di ceramica con queste tue parole: “Quando in autunno / c’erano gli alberi nudi / una sera è arrivata / una nuvola di uccelli / stanchissimi / che si sono fermati sui rami. / Pareva fossero tornate le foglie, a dondolare al vento”. «Attaccala a un ramo, non a un muro, ma fuori, dove gira sempre un po’ d’aria», mi disse, «com’è la vita». Grazie della tua. La piazza è colma di gente che ti ha amato anche da lontano. Forse sapeva che tu credevi, in assoluto, al privilegio di essere nati. A patto, aggiungevi, che poi si viva non per esistere, ma per vivere insieme. La piazza è circondata da manifesti in cui, sotto il tuo viso, è stata riprodotta la tua temeraria, quasi indicibile speranza: “Vincerà la bellezza”. Avevi una certezza: che tutto quanto può essere vero è, per ciò stesso, possibile. Va cercato; non c’è, solo se non lo cerchi, se non speri di trovarlo. Elias Canetti, che tu amavi, aveva scritto, ricordo, entusiasmandoti: «Certe speranze, quelle pure, quelle che nutriamo non per noi stessi, quelle il cui adempimento non deve tornare a nostro vantaggio, le speranze che teniamo pronte per tutti gli altri, che procedono dalla bontà innata della natura umana, poiché anche la bontà è innata, queste speranze di un giallo solare bisogna nutrirle, e difenderle, quand’anche non dovesse mai giungere l’istante in cui si compiano. Perché nessun inganno è altrettanto sacro, e da nessun altro inganno dipende a tal punto la nostra possibilità di non finire sconfitti». “Credo anch’io in tutto ciò che suscita una speranza” commentasti. Ecco perché questo mattino dolente e sereno, severo e assolato, ti somiglia. E non sembra neppure un addio. In memoria di un Poeta di nome Tonino Insigne cantore della pace e della bellezza William Raffaeli, Presidente ISAL In ricordo della visita a Tonino Guerra nel Gennaio 2011 Ho visto un Uomo respirare a fatica e, nelle apnee del riposo, aprire gli occhi al sogno della vita. Nel divano della casa arrocata nel pendio scosseso e vasto della Penna, a sfondo una voce di donna che affeziona il russo con l’italiano, disteso, fino a riposare, ho incontrato Tonino Guerra. Maestro, so della sua storia, Poeta, so per letture, educato e gentile con un generoso cuore, so per esperienza. “Ogni righael ut vin bon” (ogni regalo ti viene buono / ti rende qualcosa), mi disse mentre lo ringraziavo anche a nome della Fondazione per la cortesia che ci aveva dimostrato, ideando e regalandoci una sua frase quale “motto” del nostro operare contro il dolore che venne poi trascritta su pergamena e consegnata ai giovani ricercatori in occasione del seminario sulla “migrazione dei cervelli” tenutosi a Roma il 16 settembre dell’anno scoso. Mi raccontò che questo motto era del suo padre che da piccolo gli insegnò ad essere generoso, dicendogli appunto: regala ciò che puoi, perché ogni regalo è un investimento che ti sarà reso al bisogno; lui rese il tutto nell’immediatezza del suo amato dialetto romagnolo che ne aveva plasmato i sentimenti e creato quella base umana su cui si è espressa la sua visione che lo ha reso famoso ed apprezzato a livello internazionale. Tonino, pur romagnolo, era un uomo senza confini, così come senza confini era e sarà la sua anticipazione, poetica e civica, sul ruolo della Bellezza: il dono che il mondo ci rende nella vita quotidiana. Lui poeta, sceneggiatore aduso a cogliere gli attimi significanti, colse nella nostalgia della Bellezza l’etimo del significante poichè, mi diceva, “Vedi un paesaggio, diviene Bello quando si colora di una memoria che lo riconduce alla nostalgia di luoghi amati. Montagne, voli di gabbiani, sono senso estetico per quanto risvegliano la tua comprensione emozionale”. Su questo tema del linguaggio emozionale capace di dare senso alle cose, discutemmo per analizzare la semantica del dolore, poi riprendemmo la rotta del dialogo tra “uomo ammalato e medico” e concordammo con buona maniera quale cura gli era più adatta a placare il dolore, che rischiava di ottenebrarne i giorni della vecchiaia. Si scherzò sulla piccola fatica del respiro e per dare respiro all’uomo sono andato in esplorazione nella tana del suo sapere, saper evocare e saper fare, con la guida della tenerezza, la sua moglie che ha fatto della casa una memoria della bellezza di Tonino uomo, poeta e sognatore. Sia “bella” quindi questa nostra concezione della Terra! Una Bellezza di vita. Questo noi gli rendiamo: la sua frase, stampata tra le due farfalle disegnate con guizzo dal maestro, avrà il cielo su cui posarsi, le pareti dei Centri di Terapia del Dolore, collegati a ISAL e Federdolore-SICD, a ricordare che il Dolore si cura con la scienza, ma non svanisce se non miscelato con l’ amore per la persona e la sofferenza che ci sta di fronte. La compassione e partecipazione con chi vive la sua vita nell’attesa che la sua sofferenza sia curata e dunque nell’attesa dell’incontro con i medici algologi a cui affidano e attendono la loro speranza. BANCA DELLA MAREMMA, A GROSSETO LAVORI IN CORSO PER LA NUOVA SEZIONE Procedono i lavori per la costituzione della sezione territoriale ISAL nella provincia di Grosseto. L’iniziativa nasce dalla partnership instaurata tra la Banca della Maremma, promotrice dell’iniziativa a livello locale, e la Fondazione, a seguito della visita a Grosseto del Prof. William Raffaeli. Si tratta di un’attività fortemente voluta dalla dirigenza della Banca e dal suo Presidente, Francesco Carri, attuale Presidente anche dell’Istituto Centrale del Credito Cooperativo, ICCREA Banca S.p.A. Noi a Tonino Guerra, forse donammo qualche giorno senza dolore, Lui ci ha regalato un nuovo atteggiamento per onorare il nostro lavoro. Francesco Carri, Presidente BCC Banca della Maremma La collaborazione si pone in linea con l’accordo stipulato a livello nazionale tra la Fondazione ISAL ed ICCREA, testimonianza concreta dell’attenzione rivolta dal Credito Cooperativo verso il sociale e della coerenza del Gruppo bancario con la propria Carta dei valori, interamente basata sul primato e la centralità della persona. Tonino Guerra e ISAL Era da tempo che volevo conoscere Tonino Guerra e ogni volta che vedevo le sue opere, le sculture nelle piazze di qualche paese, si rinnovava quel desiderio. Un giorno un amico, Sauro, mi disse “ho appena letto una brevissima poesia di Tonino Guerra e sono rimasto davvero colpito per la semplice bellezza. Mi lesse la poesia che recitava così: “e fiom le’ l’acqua cla porta aspass e zil”, il fiume è acqua che porta a spasso il cielo. Rimasi incantato; era come rendere in una breve rima quello che non era ormai più nemmeno un linguaggio ma un segno capace di illuminare come fa ogni lampo nel buio. Un amico mi procurò il telefono di Tonino Guerra e con mia moglie Barbara e mio figlio di pochi mesi mi recai a Pennabilli dove risiedeva. Entrai in un bar e un po’ incerto cominciai a comporre il numero del maestro. Ero molto imbarazzato perché sentivo che quel gesto era un po’ invadente ma nonostante le titubanze restai in attesa che dall’altra parte del filo qualcuno rispondesse. Una voce bassa di persona anziana mi rispose con un breve e scoraggiante mono sillabo “Si?” io continuai “mi scusi il signor Guerra? Tonino Guerra?” e lui rispose un po’ burbero “Si, te chi sei? Cosa vuoi?” “Buongiorno Maestro lei non mi conosce ma vorrei tanto poterla incontrare” dissi di un fiato. “No non ricevo, ho da fare!” fu la sua laconica risposta. Mi venne in mente la poesia dei fiumi, così continuai “Maestro ho letto la sua poesia e mi ha fatto l’effetto che fa il detersivo dei piatti con l’unto come si vede nella pubblicità alla televisione dove il grasso improvvisamente lascia spazio al limpido e al pulito”. Non so come mi venne in mente una frase del genere ma questa cosa cambiò improvvisamente l’atteggiamento di Tonino Guerra che allora mi rispose dicendo “Vin so!”, Vieni su. Ci indicò la strada per raggiungere la casa dove abitava . Ci venne incontro e senza dire una parola ci aprì il cancello del suo giardino. Era molto vestito come se avesse dimenticato che l’inverno era finito da un pezzo e portava un cappello di velluto nero che dava al suo viso un ombra di severità. Ci fece sedere ma prima volle vedere il bambino che mia moglie teneva in braccio “È una bestiolina”, disse dopo avere spostato la copertina che lo nascondeva alla vista. Parlammo a lungo, ci raccontò la sua vita, il piacere della pittura e i maestri che aveva avuto nella sua lunga esistenza. Parlò delle pietre delle case diroccate della val Marecchia che lui conosceva una ad una andandole a trovare periodicamente. “Sento ancora la fatica che la povera gente faceva per campare”, disse. Ci parlò della prigionia in Germania e di come cominciò in quel lager a narrare storie. Servivano a portare sollievo a qui poveri disgraziati che come lui condividevano quella sorte e lo costringevano ad inventarne sempre di nuove. Poi ci raccontò dei suoi viaggi e i paesi del mondo che aveva visitato. “In Russia c’è una chiesa di legno che non ha nemmeno un chiodo”, raccontava aiutandosi con l’indice come per indicare quel ricordo. La cosa che colpiva è che nei suoi racconti lui sapeva trovare gli aspetti più segreti quelli che ogni posto conserva nell’animo più intimo, in attesa che venga svelato da chi come Tonino, sarebbe stato in grado di coglierne il senso più profondo. “Un viaggio non ho mai fatto”, disse all’improvviso “l’Argentina, si voglio vedere l’Argentina. Gli chiesi il perché quel paese lo affascinava tanto. Lui rispose: “Lo sai mio zio partì molti anni fa per sfuggire dalla miseria e raggiunse l’Argentina dopo molti giorni di viaggio in nave. Mia zia piangeva pensando alla vita grama che quel povero disgraziato doveva affrontare senza conoscere la lingua ne probabilmente la geografia di quel posto. Finalmente dopo molti mesi arrivò una lettera dal Sudamerica. Mia zia non sapeva leggere e mi chiese di leggerla senza avere aperto la busta come se avesse paura che le parole scappassero via. La lettera conteneva una sola frase, l’unica scritta in dialetto. E diceva semplicemente così: Maria... a so arvat in cheva! Maria... sono arrivato alla fine, dove però in cheva stava ad indicare per il dialetto il superlativo assoluto della fine”. Tonino non ci raccontò solamente quello che era scritto nella lettera ma la recitò tenendo a lungo una sospensione dopo la parola Maria per poi d’un fiato finire la frase scritta dallo zio. Non fu semplicemente un racconto ma la vera rappresentazione di uno stato d’animo che lui rivisse con emozione fino a fargli diventare gli occhi lucidi. Ci salutammo ma prima volle regalare al bimbo un suo quadro con una dedica “A Elia per i suoi tanti giorni nel 2000”. Tornammo altre volte a fargli visita portando con noi vecchi legni trovati in case abbandonate che lui trasformava in mobili straordinari. In queste occasioni ci regalò altre stampe e in una scrisse “A Moreno nella giornata della legna”. Un giorno ISAL di cui sono volontario, organizzò un convegno chiamato il “Dolore delle Donne” dove si sarebbe discusso appunto della specificità del dolore femminile con la presenza di ricercatori ed esperti. Si voleva dare a quella manifestazione la visibilità che meritava essendo probabilmente la prima organizzata per quella finalità. Mi venne in mente Tonino Guerra per chiedergli se ci avesse fatto un manifesto che poteva descrivere quel tema. Lo chiamai al telefono e lui stette a sentire la mia richiesta e le motivazioni che conteneva. Mi rispose con il solito “Vin so!”, Vieni su. Mi presentai a Pennabilli con il fotografo Stefano Ferroni ed un vassoio di tagliatelle appena fatte da mia mamma, proprio quelle buone con le uova dell’anatra. L’altra mano conteneva un sugo di ragù dall’odore antico. Tonino era seduto nel suo studio e senza dire una parola guardò le tagliatelle e il sugo che continuava a spandere il suo odore di buono. “Metti tutto là che a mezzogiorno le mangio”, disse. Poi tirò fuori due pitture meravigliose raffiguranti due dame con atmosfere orientali, bellissime. quello fu il regalo che con entusiasmo volle fare a ISAL per le sue finalità. Ci disse “Ma le donne credevo che erano più forti degli uomini non mi aspettavo che patissero tanto”. Ci chiese le informazioni sul manifesto, poi volle raccontarci anche di un manifesto visto a Roma nel suo ultimo viaggio “Pensate cosa c’era scritto”, disse: “vi perde il vostro bagno?... Parliamone!”, questa cosa lo fece ridere come un bambino. Tonino Guerra fece altri regali a Isal e forse i suoi ultimi lavori furono proprio per la nostra fondazione. Si chiese a Tonino di scrivere una frase da regalare ai ricercatori che nel Forum organizzato da ISAL a Roma del 28 settembre 2011 sarebbero stati premiati nella Sala delle Conferenze della Camera dei Deputati per la loro attività scientifica sulla ricerca e cura del dolore Tonino scrisse una frase che gli venne in mente mentre era in automobile assieme ad un amico. “Ferma la macchina!”, disse improvvisamente, poi annotò sul suo taccuino questa frase “il dolore e’ una farfalla nera che riprende i colori con la bontà”. Poi in seguito, Roberto Gamberini, un attivista della fondazione, gli chiese di illustrare quella frase e Tonino Guerra fece, con la delicatezza che sapeva, due meravigliose farfalle: una nera per raffigurare lo stato della sofferenza ed una con colori caldi e delicati, che rappresenta la guarigione generata dalla bontà capace di diventare cura, azione e sapere. Isal ha avuto il grande merito di iniziare un viaggio e nel suo percorso incontrare persone stupende o straordinarie come Tonino Guerra. Ho sempre creduto che il dolore allontanasse gli individui, invece scopro che avvicina quelli migliori perché sono quelli che “sanno riconoscere una sola passione, quella della luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità” (Emille Zola). Moreno Babboni Consigliere Associazione ISAL Rimini Oltre alla Banca, nella costituzione della sezione territoriale ISAL di Grosseto saranno coinvolti vari attori locali provenienti dall’ambito medico-ospedaliero, dall’associazionismo, dalla cooperazione sociale e dalla società civile tutta. L’obiettivo è quello di creare un organo di raccordo in cui ognuno di essi metta a frutto le proprie risorse e competenze, al fine di potenziare i servizi cittadini in tema di terapia del dolore e migliorare, così, le condizioni di vita dei soggetti affetti da dolore cronico. A tale scopo, la Banca ha instaurato un filo diretto con la Direzione nazionale della Fondazione e con il suo staff, che sta offrendo un supporto fondamentale sia per quanto riguarda il procedimento burocratico relativo alla costituzione dell’associazione, sia per ciò che attiene alla programmazione ed alla promozione delle prime iniziative a livello locale. Tra queste vi è la partecipazione alla “seconda giornata nazionale contro il dolore”, programmata per il prossimo 13 di ottobre, durante la quale verranno organizzati in alcuni punti della città delle strutture per attività di sensibilizzazione sul tema e di raccolta fondi mediante la vendita delle mele. Insieme, per darti un aiuto concreto Il progetto di CartaBcc e Fondazione Isal Nasce in collaborazione con le Banche di Credito Cooperativo l’organizzazione di eventi sul tema del dolore cronico, con momenti di approfondimento e di scambio tra medici Isal e soci La partnership tra CartaBcc e Fondazione ISAL ha portato, ormai da due anni, all’attivazione di un call center dotato di un numero verde ( 800 10 12 88 ) per ricevere informazioni sui centri di terapia del dolore più vicini e avere un primo sostegno da un’équipe medica specializzata. Attivo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 16, è uno strumento per accedere ai centri dedicati alla terapia del dolore, ed ottenere diagnosi e terapia efficaci. In occasione del tour di sensibilizzazione al dolore cronico che sta toccando in questi giorni 14 tra le maggiori città italiane, la Fondazione propone alle BCC una grande opportunità: l’organizzazione di eventi dedicati alle varie tipologie di dolore cronico, da tenersi presso le loro Sedi Istituzionali. La Fondazione offre la partecipazione dei propri medici specialisti, in un’ottica di scambio costruttivo tra Soci e clienti BCC. Inoltre supporterà tecnicamente le manifestazioni con la realizzazione e l’invio di impianti grafici del programma e di ulteriore materiale informativo. 800.10.12.88 Numero Verde contro il Dolore SABATO 13 OTTOBRE 2012 Nelle Piazze Italiane Il primo call center per chi soffre di dolore cronico CartaBcc e Fondazione ISAL, insieme per darti un aiuto concreto. Perchè da noi, l’interesse più alto è per la tua salute. Da oggi, per tutti i titolari di CartaBCC è attivo un servizio di call center specialistico sulla cura del dolore. Attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 16.00. Grazie al sostegno di un’equipe medica, potrai trovare la soluzione migliore al tuo problema. CartaBcc e Fondazione ISAL. Persone che aiutano Persone. Per noi la vita è gioia e nessun dolore 2a Giornata Nazionale contro il dolore. CartaBcc e Fondazione ISAL: una partnership a servizio dei Clienti e Soci BCC. F_\h[iYe$ F_Xkede$ F_l_Y_de$ +&Wdd_Z_Xedj} 2T A,96 Ac p[he i_]d_ÓYW WYgk_ijWh[ fheZejj_ Y^[fhel[d]edeZWbb[ij[ii[j[hh[_dYk_ l_l_jk$7bbW9[djhWb[Z[bBWjj[Z_9[i[dW ki_Wce iebe _b Xked bWjj[ hecW]debe Yed jhWYY_WX_b_j} Z_ eh_]_d[ YedjhebbWjW$ F[hY^ bW l_Y_dWdpW kd lWbeh[ Y^[ \W X[d[ Wb jke j[hh_jeh_e$ ; WdY^[ W j[$ La ricerca ha un buon gusto Sancita la collaborazione fra ISAL e la Centrale del Latte di Cesena L’Associazione ISAL di Rimini e la Centrale del Latte di Cesena hanno formalizzato un accordo mediante il quale ISAL sarà presente nelle principali piazze e manifestazioni della Romagna con uno stand attrezzato per la divulgazione delle proprie attività e la distribuzione del buon gelato fior di latte. Con questa iniziativa ISAL si prefigge di raggiungere più obiettivi: far conoscere l’esistenza dei centri di cura del dolore cronico come luogo di riferimento per chi ne soffre, raccogliere fondi da destinare al potenziamento del nuovo centro di ricerca di Rimini, finanziare i propri progetti in collaborazione con i più prestigiosi centri di ricerca internazionali. Centrale del Latte di Cesena, oltre mezzo secolo di storia Nel 1959 un gruppo di 12 allevatori di Cesena e Cesenatico diedero vita al “Consorzio Produttori Latte”, conferendo tutta la loro produzione. Oggi, la Cooperativa è l’unica realtà autonoma del settore lattiero caseario nel territorio e annovera una trentina di Soci, i quali conferiscono alla Centrale del Latte mediamente 30.000 litri di latte crudo al giorno, pari a 8.000.000 litri all’anno. Tutto il latte proviene da aziende dislocate nel territorio romagnolo, nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e Ferrara. La Centrale del Latte di Cesena è dislocata su una superficie di circa 20 mila metri quadrati, sui quali sorge uno stabilimento funzionale e tecnologico. Il Consorzio conta attualmente 40 dipendenti e 20 agenti addetti alle vendita. Rubrica voci, parole, storie Nascono sorrisi che diventano un ponte verso gli altri Ho conosciuto il significato del dolore, della sofferenza fisica, nell’età più viva e “immortale” di un essere umano. A 19 anni, a causa di un banale incidente stradale, ho dovuto rivoluzionare la mia vita, perché il dolore aveva rivoluzionato il mio tempo, le mie abitudini, la mia quotidianità. Inizia così, come per molte persone colpite dal dolore cronico, un peregrinare di specialista in specialista, di struttura in struttura. Con una offerta minima di 2 euro si può far bene alla ricerca e gustare il genuino gelato della Centrale del Latte di Cesena. Recentemente, con questa iniziativa ISAL è stata presente al Paganello di Rimini e al Festival dell’Aquilone di Pinarella di Cervia. Nella Foto da sisnistra: Roberto Gamberini (Consigliere Associazione ISAL Rimini), Prof. William Raffaeli (Presidente Fondazione ISAL), Franco Stefani (Presidente Associazione ISAL Rimini) Effettua giornalmente le consegne dei propri prodotti in tutta la Romagna. La lavorazione del latte viene effettuata con moderne tecnologie e sotto il costante controllo del laboratorio interno. In questo modo, si ottiene un prodotto garantito sotto l’aspetto qualitativo, nutrizionale e igienico-sanitario. Il caseificio, presente all’interno della Centrale, si avvale di una manodopera specializzata e di un’impiantistica all’avanguardia per la produzione di formaggi freschi e stagionati. La Centrale del latte di Cesena è una delle poche aziende italiane in grado di garantire ai consumatori la provenienza locale del latte utilizzato nei diversi prodotti, effettuando giornalmente la tracciabilità di tutto il latte, formaggi e gelati commercializzati, indicando la provincia di provenienza vicino alla data di scadenza. Per garantire il chilometro zero dei propri prodotti, la Centrale del Latte di Cesena consente di verificare la tracciabilità su www.centralelattecesena.it/tracciabilita.php A volte consigliato da qualche conoscente, a volte perché la ricerca diventa così spasmodica pur di star bene, che capita anche di incontrare lo specialista non idoneo e di non trovare la sensibilità necessaria ad accoglierti e quindi poi, la speranza a credere che una vita senza dolore possa esistere. Manca l’informazione. Ancora oggi, a 5 anni dalla mia malattia, mi ritrovo a parlare con persone che non sanno il significato della parola “dolore cronico”, né sono a conoscenza che in Italia esistono centri di terapia del dolore e specialistici che si occupano della sofferenza e non solo a livello oncologico, come erroneamente si pensa. Ancora oggi, si incontrano difficoltà per accedere ai diritti che ogni persona sofferente possiede e avere così i riconoscimenti equi. In questi 5 anni, fatti di notti insonni, dolore, difficoltà a svolgere svariate attività, si sono modificate le priorità di vita, ma soprattutto il modo di osservarla e viverla, questa vita che, nonostante tutta la sofferenza e la difficoltà, è riuscita a regalarmi, a concedermi sempre e comunque qualcosa di positivo. In questi 5 anni, ho deciso di mettere il dolore su un “piano” diverso, fatto di aiuto volto verso agli altri, di concretizzazione di progetti e sorrisi nati per caso e finiti a creare un ponte, una rete di attività e aiuto che ogni giorno diventa sempre più salda e continua. Credo così, che questo dolore, con cui dovrò convivere a vita, mi abbia sicuramente modificato l’esistenza, ma mi abbia permesso in un momento così delicato e difficile, di aprire porte su aspetti importanti per l’essere umano sofferente, perché è un diritto per tutti, non soffrire. Elisa Mazzotti :WbbWjkWj[hhW"WbbWjkWjWlebW$ IYefh_bWfhel[d_[dpWZ[_deijh_fheZejj_ik0 Devolvi il 5x1000 dell’IRPEF all’Associazione ISAL Onlus C.F. 91020540406 9[djhWb[Z[bbWjj[Z_9[i[dW#L_WL_ebed[Z_=Wjjeb_de"(&'#*-+((#CWhjehWdeZ_9[i[dW<9#J[b$&+*-$).&(/( Non soffrire è un diritto di tutti, il tuo aiuto non è un semplice palliativo. Da vent’anni, ISAL promuove la conoscenza, la ricerca e la formazione nell’ambito della terapia del dolore. Esiste una carta che garantisce i miei acquisti? CartaBcc La mia Carta è differente. t"DRVJTUP'BDJMF4PEEJTGBUUJPSJNCPSTBUJ t"DRVJTUP'BDJMF5FS[PBOOPEJHBSBO[JBHSBUVJUP t"EEFCJUPQPTUJDJQBUPJODPOUPDPSSFOUF t4FMBVTJOPOMBQBHIJTVQFSBUBVOBTPHMJBEJVUJMJ[[POFHMJBDRVJTUJMBDBSUBÒHSBUVJUB t$MVC$BSUB#DD*MDJSDVJUPEFJWBOUBHHJFEFHMJTDPOUJEJ$BSUB#DD SERVIZIO CLIENTI: EBMM*UBMJB800.99.13.41EBMMFTUFSP+39 06.87.41.99.04 BUUJWJEBMMFPSFBMMFPSF EBMMVOFEÖBMMBEPNFOJDBHJPSOJTVFTDMVTFMFGFTUJWJUËOB[JPOBMJ XXXDBSUBCDDJU Le Protezioni assicurative, gratuite per i titolari, sono offerte dalla polizza Acquisto Facile contratta da Iccrea Banca S.p.A. con ALA Assicurazioni S.p.A. – Gruppo Sara. Per termini, condizioni e modalità di reclamo, il materiale informativo delle carte è reperibile presso la tua Banca di Credito Cooperativo o nel sito internet www.cartabcc.it nella sezione “I servizi > Coperture Assicurative CarteBcc e Acquisto Facile”. E’ possibile approfondire le caratteristiche diversificate per ogni carta presso la tua Banca di Credito Cooperativo o nel sito internet www.cartabcc.it. 800101288 Numero verde per informazioni sui Centri di Terapia del Dolore, esclusivamente dedicato ai titolari di CartaBCC, attivo dalle ore 10 alle ore 16.00, dal lunedì al venerdì, gratuito da rete telefonica fissa.