1 IO E TE TRA LA GENTE assemblea nazionale OFS d`Italia Assisi

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1 IO E TE TRA LA GENTE assemblea nazionale OFS d`Italia Assisi
IO E TE TRA LA GENTE
assemblea nazionale OFS d’Italia
Assisi, 25-27 ottobre 2013
Fratelli e sorelle carissimi,
viviamo l’esperienza di una nuova assemblea nazionale, la terza di questo mandato, alla quale
siamo stati convocati da Chi ci ha chiamati per primo, un’opportunità che ci è donata dal Signore
per crescere…come seme che attende un terreno capace di accoglierlo e custodirlo, dal quale
generare una pianta forte e rigogliosa, capace di frutti abbondanti.
Con questa relazione, che vi esprimo a partire dall’esperienza di servizio vissuta da questo
Consiglio nazionale, piuttosto che scendere nel dettaglio e nei tecnicismi dei singoli impegni vissuti
(avremo tempo per farlo nelle prossime assemblee precapitolari) vorremmo sollecitare una
riflessione riservata a noi responsabili regionali e nazionali; sarà una relazione in qualche modo
atipica per un’assemblea nazionale, che tiene inevitabilmente conto del momento storico e del
tempo di preparazione al prossimo Capitolo elettivo; una condivisione suscitata dall’ultima frase
dell’art. 1 della nostra Regola, che ci descrive come chiamati a: “rendere presente il carisma di san
Francesco nella vita e nella missione della Chiesa”:
Quel “presente” interpella con forza e sollecita a una risposta pronta che non può adagiarsi su un
passato glorioso né su un futuro ancora da costruire. Siamo chiamati a rendere presente il carisma di
san Francesco nella vita e nella missione della Chiesa “oggi”, in un esercizio che in realtà di per sé
è già anticipo di futuro.
Ma di cosa si compone il nostro oggi? Come rendiamo presente il nostro carisma oggi?
Conosciamo fratelli e sorelle che vivono una vita santa, capaci di opere straordinarie; così come
Fraternità locali capaci di una testimonianza viva e vitalizzante, realtà creative, missionarie, luce e
sale per il mondo…ma in realtà sembrano piccoli pianeti indipendenti, seppur luminosi, ma
immersi in una galassia anonima…
Sembra infatti mancare la stessa vivacità evangelica nella vita complessiva dell’Ordine, forse
vittima di una certa schizofrenia che rende asincrone le dinamiche tra governo e base. Le realtà vive
sembrano fare storia a se, quasi impossibilitate ad affidarsi a un certo accompagnamento per non
perdere il proprio spirito, per non spegnere la propria luce. Più che di accompagnamento potremmo
parlare di un inseguimento, ma non è questo quello che ci compete.
Quanta fatica facciamo per coinvolgere in un comune sentimento missionario! Possiamo chiedere
delegati, offerte, ma la risposta della maggior parte della base sembra sempre almeno distratta…
In realtà è ancora distante la comunione che abbiamo dichiarato di voler realizzare come tappa
consecutiva a quella dell’unità e che si forma nel respiro armonioso e nel percorso condiviso verso
la medesima direzione, nella condivisione della comune missione e nel desiderio della stessa meta.
È un compito che spetta a noi responsabili, ma…in cosa deve consistere il nostro servizio?
Credo sia indispensabile approfittare di questa occasione per fermarci a riflettere su questo…
L’impegno a rendere presente il carisma nella vita e nella missione della Chiesa, ci proietta verso un
popolo che è “altro e oltre” noi, che va al di là delle pareti della nostra struttura e ci impone una
presa di coscienza seria e responsabile dell’attualità della Chiesa e del mondo. Un’attualità che
cambia repentinamente, che oggi ci trova dinanzi a una realtà ecclesiale e sociale assolutamente
diversa rispetto a quella che cercavamo di leggere e interpretare lo scorso anno da La Verna.
La rinuncia di Papa Benedetto XVI e l’elezione di Papa Francesco hanno costituito un fatto epocale,
che in pochi mesi ci ha costretto a sensazioni di smarrimento ed esaltazione; un percorso donatoci
dallo Spirito, che ci ha in qualche modo confermato nella direzione che avevamo già tentato di
balbettare, e spronato a perseguire un percorso di sempre maggior fedeltà a un carisma che è atteso
oggi più che mai.
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Il nuovo Vescovo di Roma continua a tracciare l’identikit del francescano secolare…il carisma di
san Francesco per le strade del mondo…non siamo forse noi? Non è forse quello che dice il primo
articolo della nostra Regola? E a seguire anche gli altri…
Il tessuto sociale è sempre più lacerato per le conseguenze di una crisi che ha coinvolto e sconvolto
soprattutto gli anelli più deboli delle comunità. Le famiglie, le persone sole, gli anziani, i bambini, i
malati, gli abitanti delle periferie, i naufraghi in cerca di speranza, quelli che si affidano al mare e
quelli che si affidano alle strade delle nostre città…attendono prima di tutto un incontro con i
“testimoni della speranza”…non dovremmo forse essere noi? Non ci invita forse anche a questo la
nostra Regola?
Dobbiamo chiederci se i nostri propositi, tutto il lavoro che stiamo facendo, le energie che stiamo
impiegando, i documenti, i testi che stiamo producendo, lo statuto che stiamo approvando, ci stanno
conducendo qui o se, piuttosto, non siamo noi stessi tra i naufraghi, nella periferia, in cerca della
speranza…una speranza che dobbiamo recuperare a partire dall’incontro personale e comunitario
con Cristo…non un incontro fugace, episodico, ma uno “stare con” che offre le risposte e le
motivazioni che mancano al nostro teorizzare e che difficilmente possiamo trovare nelle nostre-mie
tante parole. Un incontro, quello con Gesù Cristo, nel quale a mio parere risiede la soluzione dei
nostri problemi e da’ significato al tema di quest’assemblea, a quel “Te” che realizza il passaggio
dall’ideologia alla fede viva e vissuta in Cristo, come un Io e Te…tra la gente!
Non credo ci sia bisogno di un OFS che, assecondando lo stile che già accompagna troppe realtà
ecclesiali e non, si limiti a proclami, annunci, comunicati, eventi episodici…questi vanno
benissimo, ma non possiamo limitarci a dialogare nei macrosistemi in base alla sensibilità di un
Ministro o di un Consiglio nazionale o regionale, o di una commissione. Il nostro primo compito è
quello di permettere a ciascun membro della Fraternità nazionale (quindi anche a noi stessi) di
rendere concreti certi proclami, di darne testimonianza viva attraverso una presenza concreta e
fedele alla nostra vocazione, al Vangelo vissuto al modo di Francesco – non a Francesco.
Non serve presentare il progetto di un bell’edificio se poi non si utilizzano i mattoni per
costruirlo…i mattoni sono fondamentali! Sono questi che possono cambiare il mondo…realizzare
la casa che accoglie…la comunione che cerchiamo è questa, e consiste nel fare in modo che i
mattoni partecipino al progetto comune. Abbiamo forse troppi architetti, troppi progettisti…pochi
mattoni da poter utilizzare in certi tipi di costruzione.
Il mondo non vuole più sentir parlare di Dio, vuole vedere la sua presenza nelle persone che dicono
di seguirlo!
A questa concretezza dovremmo far riferimento col nostro servizio…evitando di cadere
nell’ideologia per vivere nella fede.
Il Papa ha richiamato con forza al rischio dell’ideologia tra i cristiani:
Nelle ideologie non c'è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre.
Quando un cristiano diventa discepolo dell'ideologia, ha perso la fede, non è più discepolo di Gesù,
è discepolo di questo atteggiamento di pensiero. E per questo Gesù dice loro: 'Voi avete portato via
la chiave della conoscenza’. La fede diventa ideologia e l'ideologia spaventa, l'ideologia caccia via
la gente, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Si diventa rigidi, moralisti, eticisti,
ma senza bontà. Ma perché un cristiano può diventare così? Cosa succede nel cuore di un cristiano
che diventa così? Semplicemente una cosa: quel cristiano non prega. E se non c'è la preghiera, tu
chiudi sempre la porta. La chiave che apre la porta alla fede è la preghiera. Quando un cristiano
non prega, succede questo, e la sua testimonianza è una testimonianza superba. Chi non prega è un
superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione.
Chiediamo al Signore la grazia di non smettere di pregare per non perdere la fede, per rimanere
umili. E così non diventeremo chiusi, e non chiuderemo la strada al Signore.
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Parto da queste parole del Papa che credo possono interpellarci nel profondo e richiamarci al rischio
di essere noi stessi discepoli dell’ideologia, come di chi chiude la porta con tante prescrizioni, che
vive la propria vocazione con rigidità, nel moralismo, nella paura di perdere…
L’essere qui oggi a san Damiano, luogo suggestivo, una delle culle del francescanesimo, ci permette
di rifarci e se possibile di ripartire proprio dalla preghiera, da quella che san Francesco rivolse al
Padre davanti al crocifisso: Alto e glorioso Dio, illumina il cuore mio, dammi fede retta, speranza
certa, carità perfetta.
Vorrei che certe riflessioni interpellassero noi personalmente; evitiamo di farle nostre per gettarle
sulle spalle di altri. La prima vera conversione spetta a noi…guide illuminate; ma non dai riflettori
del mondo o di una Chiesa d’elite, ma dall’unica Luce da cui dobbiamo farci abitare.
Durante la celebrazione del Transito di san Francesco qui in Assisi, il Cardinale che ha presieduto la
liturgia ha citato un detto dei minatori che recita più o meno così:
“Per far luce in una miniera mi basta una lampada, ma per far luce in me devo bruciare dentro”.
Ecco, il tempo che ci è stato donato con questo mandato ci ha donato grazie enormi, esperienze
forti, ma rimango convinto che se vogliamo davvero incidere nella vita e nella missione della
Chiesa dobbiamo accettare di “bruciare dentro”, innanzitutto noi responsabili, farci abitare da quella
Luce che può davvero renderci guide illuminate.
Non vi sembri un tornare indietro, ma anzi un prendere consapevolezza dalle esperienze vissute, un
rispondere alle istanze della Chiesa di oggi, un trovare la chiave di innesco che dia concretezza alle
tante belle proposte che abbiamo espresso.
Abbiamo spesso detto di dover dare risposte ai bisogni dell’OFS; ultimamente però ho la
sensazione che confondiamo i bisogni con le aspettative. Noi desideriamo un OFS vivo, presente,
socialmente efficace – questa è un’aspettativa; ma se non riconosciamo quali sono i bisogni che
abbiamo per realizzare questa aspettativa, rischiamo di muoverci a vuoto.
Nella mia riflessione mi ha accompagnato la prima lettera ai Tessalonicesi; san Paolo saluta gli
abitanti di Tessalonica con parole molto dolci, rivolte a una comunità che non vive situazioni gravi,
ma che ha bisogno di completare la formazione cristiana. Paolo li elogia ricordando l’operosità
della loro fede, la fatica della loro carità e la fermezza della loro speranza.
Vorrei allora soffermarmi e condividere la mia riflessione su ognuna di queste tre affermazioni
legate alle virtù teologali:
OPEROSITA’ DELLA FEDE
Il “Te” che è in Cristo! Una chiamata personale per una promessa rivolta a un popolo
Abbiamo bisogno di vivere una fede operosa!
La fede equivale alla risposta personale a una parola, a un Tu che chiama per nome e ti rivolge una
promessa.
Una chiamata a uscire dalla propria terra per aprirsi a una vita nuova, per affrontare un esodo verso
un futuro inatteso, da scoprire, con coraggio, non una volta per sempre, ma giorno dopo giorno.
La chiamata a uscire dalla propria terra, non è rivolta alla struttura OFS in modo impersonale,
perché la fede è dono per la persona.
Per questo, per il bene dell’intera Fraternità nazionale, è indispensabile che i suoi responsabili si
rendano disponibili a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio.
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L’esito del cammino dell’OFS si poggia sulla capacità dei propri responsabili di vivere una fede
viva, di abbandonarsi nell’Amore pieno, che è la fede in Cristo, nel suo potere efficace, nella sua
capacità di trasformare il mondo e di illuminare il tempo.
Dobbiamo chiederci con onestà se a questo esodo al quale siamo chiamati preferiamo la “schiavitù”
delle nostre sicurezze.
All’esodo del popolo d’Israele avrebbe partecipato solo il 20% del totale; gli altri hanno preferito
rimanere nella schiavitù, hanno scelto di accontentarsi: di un pasto, di un luogo dove posare il
capo…per questi non valeva la pena rischiare un viaggio verso una meta non definita.
Non si tratta di un 20% migliore dell’80%. Dio ha rivolto la chiamata al popolo più povero e
lacerato…questo dimostra che l’eletto, colui che è chiamato a proporre il rinnovamento, la salvezza
al popolo più grande, è sempre quello che sta più in basso degli altri.
Verifichiamo però innanzitutto dove vorremo essere noi:
un viaggio del genere apre a imprevisti di ogni tipo; può determinare cambiamenti, può ridurmi a
uno tra tanti, apre all’imprevedibilità del progetto di Dio, può farmi tornare in quelle che per noi
sono “retrovie”…e questo per noi può essere doloroso e lo rifiutiamo. Ti seguo, ma dove voglio io..
Può capitare di accettare di avviarsi perché non riusciamo a dire no alla proposta (per vergogna, per
orgoglio), ma di trovarci lungo il cammino afflitto dalla nostalgia e dal desiderio di tornare
indietro…diventiamo apatici, ci estraniamo, non vogliamo più far parte di questo gruppo di
viaggiatori…è una situazione che può capitare facilmente, ma l’Antico Testamento ci racconta
vicende interessanti al riguardo; ci parla dell’intervento di Dio…il momento della solitudine e della
fatica è sempre dietro l’angolo, come quello della tentazione, ma c’è una risposta di Chi ha
chiamato…bisogna ascoltare il dolore e la Sua Parola.
Consideriamo che il nostro servizio, quando è vissuto nell’offerta totale al viaggio, esalta certe
fatiche, espone più facilmente alla tentazione…ma lì è la grazia, nella cura…è meraviglioso veder
avvicinare il Dio fatto uomo che viene a cercarti nella tua periferia esistenziale e ti riporta nel
cammino…ma bisogna farsi trovare!
Consideriamo poi anche l’aspetto profetico che deve accompagnare il nostro servizio di “guide
illuminate”:
è possibile che molti nostri fratelli scelgano di rimanere in terra d’Egitto; decidano che non vale la
pena e non è vantaggioso affrontare un certo tipo di viaggio…non sentono di avere la forza.
Vale la pena ostinarsi? Direi di no! E chi parte non è meglio di chi rimane…solo, se è la strada che
ci ha suggerito il Signore, percorre la via indicata al francescano secolare.
Dobbiamo fare attenzione al rischio di cercare a tutti i costi di piacere a chiunque, di essere attraenti
per tutti…la proposta di rinnovamento determina certe reazioni…è il vento dello Spirito che mette a
soqquadro. Il cammino – il rinnovamento - si può accettare o rifiutare; dipende dalla disponibilità a
“farci nuovi”, a vivere la nostra conversione e a proporla agli altri. Ma è indubbio che se vogliamo
accogliere vino nuovo, c’è bisogno di otri nuove…è inutile versare vino nuovo in otri vecchie!
Facciamo attenzione quando cadiamo nella ricerca del consenso, quando diciamo: vogliono questo,
perché dobbiamo dare altro? Quello stesso brano del Vangelo di Luca termina così: “nessuno che
beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: ‘il vecchio è gradevole’. (Cfr Lc 5,33-39)
Vincendo la nostra paura di perdere credito, di rimanere isolati, senza amici intorno che mi
attribuiscano ruolo e valore…dobbiamo riconoscere il valore che è nel vino nuovo e proporlo, farlo
assaggiare con una proposta di vita…la vita che incontro quando il mio “Io” incontra quel “Te” che
è in Cristo, vino nuovo.
Questa è la fede che diventa operosa, che agisce perché crede, si fida e ambisce alla meta, continua
il cammino, con coraggio, accettando che la verità è in quel “Te”, che seguendo Lui mi verrà
realizzata la promessa:
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A Onesti, in Romania, nel terreno confinante con la nostra missione, c’era una donnina anziana che
trascorreva i suoi giorni nella cura di un fazzoletto di terra apparentemente inutile che però,
evidentemente, per lei aveva un valore enorme, il valore della sopravvivenza, costituiva per lei una
promessa...un’attesa.
L’ho osservata per ore piegata sulla schiena a raccogliere sassi, sassolini, da quel terreno che
avrebbe dovuto accogliere il seme da cui deve nascere il frutto necessario per ricevere e donare
vita…
Quanta pazienza, quanta buona volontà…nessun lamento, nessuna ira, nessuna distrazione…quanta
dedizione, quanta fede! Mi ha messo in profonda crisi! I sassi impedivano al terreno di essere
accogliente per il seme…il desiderio della meta, dei frutti della terra, l’hanno resa operosa, cioè:
paziente, costante, fiduciosa…l’ha fatta chinare, nell’immagine più bella del servo…di chi sa che
per servire è impossibile rimanere in piedi.
È vero che (come in questi ultimi venti mesi alcuni tra voi mi hanno detto), per vivere il passaggio
che ci siamo proposti, ci vuole tempo…è vero! La vecchietta in Romania me lo ha confermato, ci
vuole molto tempo per togliere sassolini da un terreno e per veder spuntare i primi germogli, tempo
e pazienza, soprattutto se a farlo è un corpo provato dagli anni – come il nostro - ma la sua operosità
mi ha pure detto che è possibile e che c’è un tempo per compiere questa operazione…c’è una
stagione per togliere i sassi, una per arare il terreno, una per seminare e una per raccogliere…non
possiamo lasciare che il tempo passi e che si superi la stagione. Questo è il tempo! Ma bisogna
essere operosi e credere…non efficientisti e né perfezionisti.
Ammesso quindi che ci vuole tempo, annullato il desiderio di vedere risultati che diano lustro al
nostro operato, credo che più che affliggerci in uno scetticismo che è più tipico dello schiavo che
preferisce rimanere in terra d’Egitto, ci voglia molto meno tempo per avviare il cammino.
Anzi, questo richiede un tempo minimo…un “SI”, fiducioso, anche incerto, titubante, ma fermo…il
“SI” di Maria…il “SI” degli Apostoli, il “SI” di Francesco…questione di pochi istanti…non basta il
“SI” della Professione per dirsi in cammino…il “SI” di cui parlo è risposta a un incontro, e va
ripetuto ogni giorno, dall’ascolto alla sollecitazione dello Spirito al quale bisogna farsi docili. Poi il
cammino, passo dopo passo…a piedi nudi come amo ripetere…quello si è lungo, faticoso,
ignoto…ma per chi lo affronta avendo Cristo come compagno di viaggio, è davvero entusiasmante,
vivo, appassionato, e soprattutto, ci salva…
Mi permetto a questo punto una domanda fondamentale alla quale c’è bisogno di dare una risposta
convinta: Crediamo davvero di aver bisogno di rinnovarci? Che l’OFS abbia bisogno di
rinnovarsi? E se si, attraverso quali percorsi? Spetta a noi responsabili accompagnare in
questo percorso? Come? Dobbiamo condividere queste risposte per non sbagliare, per discernere
la volontà di Dio, e poi per non cadere nell’errore di Giona…
Ci sono timori inespressi? Abbiamo paura che rinnovarsi snaturi l’OFS e le sue origini? La sua
identità? Abbiamo la Regola? A mio parere le pagine della Regola, ogni articolo, ogni parola,
richiedono un’operosità che appartiene solo a chi sceglie di aprirsi alla novità dello Spirito e si fa
creativo…Luce!
Io rimango convinto che l’OFS non è una struttura statica, nella quale “conservare” tutto, ma Chiesa
in cammino, popolo di Dio, fraternità di persone come corpo in movimento, anticipo di futuro,
veicolo verso la promessa, che si nutre della fede dei suoi membri (È l’atto di fede del singolo che
si inserisce in una comunità, nel “noi” comune di un popolo che, nella fede, è come un solo uomo,
“il mio figlio primogenito”, come Dio chiamerà l’intero Israele. Lumen Fidei). Non c’è una fede
dell’OFS o nell’OFS c’è una fede dei singoli che va a vantaggio dell’OFS e da questo della
missione della Chiesa.
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Non c’è una memoria da difendere come qualcosa di fisso nel passato, come origine statica –
tradizione - da esaltare, perché la memoria di cui parliamo è memoria di una promessa, che è quindi
capace di aprirsi al futuro, di illuminare i passi lungo la via. (cfr Lumen Fidei)
Proviamo invece ora a riflettere sul servizio della “guida illuminata”, del profeta…della fatica della
carità:
LA FATICA DELLA CARITÀ
Io e te…il servizio nasce dalla cura fraterna
La fatica più importante riguarda il passaggio dall’ “io” al “te”, dal servirsi dell’altro al servire
l’altro.
Si tratta di uscire fuori di se e assumersi la vera responsabilità del fratello, accoglierlo. La nostra
Regola ci descrive spinti dallo Spirito a vivere la perfezione nella carità. La perfezione, che nel
Vangelo troviamo riferita al giovane ricco: “se vuoi essere perfetto, va…” presuppone una
spoliazione, un distacco, una libertà e uno svuotamento che è determinante se davvero si vuole
accogliere.
Il responsabile non è chi fa osservare le leggi o chi è deve difendere la struttura dell’Ordine. È colui
il quale ha a cuore il bene dell’altro e, nel nostro caso specifico, si impegna a favorire nell’altro il
cammino di realizzazione della propria vocazione francescana distaccandosi dalla ricerca del
proprio bene.
La carità è amore, di un amore che è estasi, ma non di un momento di ebbrezza, di esaltazione
temporanea, di un cammino che sia esodo permanente dell’io chiuso in se stesso verso la sua
liberazione nel dono di se, verso il ritrovamento di se, cioè verso la scoperta di Dio. (Deus Caritas Est)
Sentirsi amati, toccati e sanati dalla misericordia di Dio è l’esperienza indispensabile per entrare in
questa dimensione d’amore.
Si va alla periferia dell’altro solo se riusciamo a farci raggiungere noi nella nostra periferia.
Se lasciamo che ciò avvenga, se ci lasciamo trovare, amare per quello che siamo realmente, allora
potremo andare, abbracciare, accogliere, amare, esercitare la responsabilità. Ma è questo che costa
fatica!
Costa fatica passare dall’esercizio del governo all’esercizio della carità…
Costa fatica passare dalla ricerca del mio bene alla ricerca del bene dell’altro…
Chi è l’altro? Chi sono i destinatari del nostro servizio?
Come detto prima, l’attesa deve passare attraverso la lettura e la cura dei bisogni.
L’OFS di per se non esiste senza le persone. Ciò che conta sono le persone a cui è affidata la
missione, persone inserite in un cammino di salvezza, personale e comunitario.
Guardiamo alla cura delle Fraternità locali dell’OFS:
Conoscete meglio di me certe realtà, straordinarie da un lato, esempi incredibili, di persone fedeli a
una vocazione pluridecennale…sono queste in gran parte le cellule prime dell’Ordine. Ovviamente
conosciamo le eccezioni, certamente ci sono Fraternità più giovani, ma non per questo migliori; ora
però vorrei iniziare a parlare delle Fraternità composte dalle persone più anziane, quelle solitamente
più statiche, che poi comunque costituiscono la maggioranza.
Dobbiamo fare attenzione a non passare dal servizio a queste Fraternità al servirsi –
inconsapevolmente - di questi fratelli e sorelle più anziani.
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Credo sia necessario pensare a percorsi diversi, proposte diverse, modi diversi di servirle, piuttosto
che preoccuparsi di regolarizzare giuridicamente la Fraternità.
È possibile che dal rispetto delle norme e dei criteri per la celebrazione dei Capitoli elettivi, delle
visite fraterne o degli altri aspetti normativi, si debba passare alla cura delle persone, alla risposta
giusta per il loro bene, e non parlo di offerta che corrisponde alla ricerca di consenso.
Sappiamo di situazioni giuridicamente complesse, dove è difficile trovare nuovi Ministri, convocare
Capitoli elettivi, esercitare il minimo dei requisiti normativi dettati dal nostro Ordine. Dovremmo
forse evitare di esercitare questo peso formale su certe realtà, lasciando che vivano in pace il loro
essere francescani a loro modo, rendendoci prossimi con una presenza che sia semplicemente cura
della persona. Anche questo è esercitare la responsabilità. Non so a cosa servirebbe imporre il
rispetto di certe norme senza alcuna finalità francescanamente utile alla missione della Chiesa.
Ci accorgiamo da soli che certe proposte, certe nostre convocazioni ad assemblee regionali,
rischiano di servire più a noi che a loro. Cosa significa per noi fissare la S. Messa nel pomeriggio
per il timore che se ne vadano prima? Vogliamo continuare così? Per chi? Abbiamo paura di
rimanere in pochi?
Fate caso al fatto che, nonostante nelle nostre Fraternità il maggior numero dei fratelli ha un’età
molto avanzata, quasi mai abbiamo pensato a qualche proposta per gli anziani, qualcosa che
trattasse di loro, parlasse a loro…è segno di attenzione all’OFS e disattenzione alla
persona…dobbiamo pensarci…è un servizio doveroso che guarda al bene…è carità fraterna!
Di fronte a certe situazioni, le nostre opzioni sono solitamente:
1) conservativa: produciamo per tutti quello che desiderano la maggior parte delle persone
2) progressista: produciamo per tutti quello che serve a lanciare l’OFS nel mondo (ma quale
OFS? Con quali francescani secolari?)
Esiste in realtà una terza opzione, ma costa fatica, la fatica della carità: curare le persone più
anziane e impegnarsi per favorire la crescita dei nuovi senza pensare che debbano coincidere
modalità e proposte. Riguardo ai più anziani, affidiamoci all’esempio dei ragazzi della GiFra.
Quando c’è l’opportunità, agli anziani fanno meglio loro, che non hanno la pretesa di andare a
insegnargli nulla, di governare una Fraternità, ma solo di stare insieme alle persone, di fare festa, di
fare Fraternità…il nostro atteggiamento spesso è quello dei superiori che vanno a regolare le
situazioni critiche di un Ordine; il rischio e che ci approcciamo alla Fraternità OFS, non a persone.
È indubbio che in questo modo cambia di gran lunga l’impegno dei Consigli regionali e del
Consiglio nazionale, non è solo più dinamico, ma più pensato, più affidato al discernimento, alla
carità fraterna, alla ricerca del bene dell’altro nella direzione delle aspettative dell’OFS, perché è
indubbio che l’OFS si compone dei più anziani ma anche dei più giovani (non parliamo solo di età
anagrafica), che possono avere ambiti e percorsi missionari e di promozione evangelica diversi.
Dobbiamo imparare ad essere più creativi, a non chiuderci di fronte a realtà diverse dal solito, che
non corrispondano al classico modello omologabile. Apriamoci, apriamoci…
Rimanere fermi sulla gestione di un certo tipo di OFS che so bene quanto possa assorbire, può
condurci in una spirale soffocante, che non avrebbe altra via d’uscita che la morte, che arriverebbe
insieme a quella anagrafica. Il rischio è quello di dover continuare a legiferare per rispondere alle
problematiche di un OFS che è ben diverso da ciò che dovrebbe essere e che esprime situazioni che
stridono incredibilmente con ogni buon proposito di presenza nella vita e nella missione della
Chiesa di oggi.
Tutto ciò toglie spazio e cuore all’oggi e al domani e pone nella posizione di difesa di un ideale di
OFS che non si realizzerà mai se non nelle persone che accettano il viaggio…
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Rimango convinto che l’OFS si edifichi attraverso un servizio svolto nella cura delle persone, fuori
di se, nell’incontro tra l’io e il te; questo aiuta, fa circolare amore, accoglienza, misericordia,
pace…sono certo che questo ci permetterebbe di legiferare meno per difenderci da certe insane
creatività.
Confrontiamoci, sollecitiamoci nella cura dell’altro, parliamo insieme di come è meglio accogliere
e amare, custodire sofferenze e farle proprie nella carità! In questo senso devo esprimere un mea
culpa a nome di tutto il Consiglio nazionale, perché noi stessi, che ci eravamo prefissati di essere
più vicini ai Consigli regionali attraverso un contatto personale per il confronto, la condivisione, lo
scambio di pensieri e consigli, non siamo riusciti nell’intento e certamente non abbiamo favorito la
miglior diffusione della comune proposta e la costruzione della tanto attesa comunione.
Per riuscire a vivere questo tipo servizio, per acquisire la capacità di leggere con equilibrio e carità
fraterna ogni situazione, tutti i responsabili – ferma l’esperienza di fede personale - avrebbero
bisogno di vivere la loro presenza nei Consigli nello stile tipico della Fraternità, attraverso modalità
che permettano un incontro, un’apertura, un’accoglienza reciproca che sia cura l’uno dell’altro.
Si tratta di un diverso percorso e se possibile ancora più difficile, di fatica nella carità. È un
percorso al quale nemmeno la Fraternità locale di appartenenza può sostituirsi.
Purtroppo abbiamo tutti la tentazione di mostrare una certa immagine di facciata, di una perfezione
che non può corrispondere alla nostra realtà di persone deboli, fragili, talvolta rintanate nelle nostre
periferie esistenziali. Ammettendo questa realtà e permettendoci reciprocamente di venirci a
recuperare, costruiremmo un legame fraterno che ci aprirebbe a una dinamica di condivisione
certamente favorevole alla realizzazione di un servizio adeguato.
Non è così facile, ma dobbiamo imparare a vivere il servizio a partire da questa attenzione
reciproca, dobbiamo osservarci, lasciarci avvicinare, imparare ad uscire dalle cerchie degli amici.
Questo aspetto delle amicizie è per certi versi devastante, perché ci chiude in un recinto
impenetrabile che ci toglie la possibilità di relazionarci nella carità e nell’amore nei confronti di
tutti con lo stesso equilibrio, e incide sulla possibilità di giungere a risultati più fruttuosi.
Facciamo fatica a lavorare con chi non riteniamo nostro amico; con chi cioè non ci stima
abbastanza e non ha un buon criterio di noi, con chi ne sa più o meno di me…questo accade in ogni
commissione. Provate a pensare di dover costituire ora una commissione per lavorare
sull’argomento che volete voi; non sempre si scelgono le persone che hanno indubbie capacità, ma
quelle che non ci danno fastidio, che mi lasciano il mio ruolo dominante…è un atteggiamento
umano, nulla di così sconvolgente, lo viviamo tutti, però nel nostro contesto dovremmo dargli una
lettura nuova, evangelica, propositiva, improntata nella carità che guarda al bene del destinatario
prima che al mio…per questo costa fatica. Una fatica che però dobbiamo accompagnare insieme,
non giudicare, ma accogliere e rispettare, pur senza assecondarla.
È indubbio comunque, che oggi buona parte del rinnovamento dell’OFS passa attraverso questa
capacità di condividere e lavorare insieme.
La cura fraterna, in un Consiglio, è garanzia di successo per il Consiglio stesso, perché ci aiuta ad
uscire dai personalismi e ci dispone in un atteggiamento di apertura e libertà. È una garanzia per il
benessere spirituale di ognuno di noi; sappiamo quanto il nostro impegno possa risultare faticoso
per il corpo e per lo spirito. In un Consiglio dovremmo saper ascoltare e anticipare queste fatiche,
dovremmo osservarci meglio, con la libertà di chi ama e la disponibilità di chi si lascia amare per
quello che è senza timore di essere giudicato.
Sapete quanto io confidi nel ruolo dell’assistente in questo senso; ne abbiamo assoluto bisogno!
Ognuno di noi può essere per l’altro l’appiglio utile per non cadere, sarebbe doloroso allungare la
mano e non trovarne un’altra…sarebbe sterile un servizio che non passa attraverso questo rapporto
di carità fraterna, perché sarebbe privato del contributo di ciascuno, ed è un dolore, per tutti…una
fatica.
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LA FERMEZZA DELLA SPERANZA
Io e te…tra la gente
La Speranza è pienezza della fede, è vita che si apre come strada nuova davanti ai nostri piedi.
Ci è stata donata la Speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il
presente, anche se faticoso, possiamo accettarlo in forza di una meta tanto grande da giustificare il
cammino.
In cosa affidiamo la nostra Speranza? Qual è la speranza dell’OFS?
Potrei sintetizzare al massimo affermando che se, a mio parere, riuscissimo a vivere l’operosità
della fede e la fatica della carità nelle considerazioni già esposte, saremmo la speranza a cui anche
la nostra Regola ci richiama e realizzeremmo il mandato affidatoci dal primo articolo della Regola.
Ma la dimensione di cui parliamo non è mai definita in pienezza, appartiene a un cammino che si
muove a partire dall’incontro con Cristo, su cui fondiamo la nostra speranza.
La fermezza di questa speranza incoraggia, dobbiamo aprirci a una dimensione più ampia, di
maggior respiro, quella che già appartiene ai fratelli e alle sorelle che continuano incessantemente a
zappare intorno all’albero di fichi che rappresenta il nostro OFS…gente che guarda al positivo, al
futuro, attende il frutto, non continua a soffermarsi sui rami privi di germogli, ma attende che
sboccino quelli nuovi e zappa per questo.
Potrei ora esprimere aspettative, attese, che costituiscono una speranza, come a dire: speriamo che
l’OFS…ma ho e abbiamo già sperimentato che, oltre la macrostruttura e il dialogo virtuale affidato
ai mezzi di comunicazione di cui possiamo servirci per esprimere certe proposizioni, difficilmente
le proposte di un OFS che si proietti definitivamente oltre e viva pienamente inserito nella missione
della Chiesa a vantaggio della società potranno essere accolte, comprese, condivise e vissute da altri
oltre quelli che le propongono.
Coloro che edificano e costruiscono la Fraternità, che danno testimonianza di speranza sono quelli
che amano, che perdonano, che ascoltano, che sono pieni di delicatezza, che servono gli altri, li
nutrono, pregano per loro.
Sono quelli che vivono con passione il servizio, che al di là dei propri impegni personali passano il
giorno col cuore rivolto al bene dei fratelli, con senso di responsabilità pensano a progettio che
vanno “oltre”, sono propositivi, creativi, non si isolano nei loro dolori o progetti personali e
partecipano docilmente e armoniosamente all’unico progetto condiviso, non lavorano da soli, su
binari paralleli…
Una Fraternità non è veramente una buona Fraternità se non quando ognuno si rende conto che ha
terribilmente bisogno del dono degli altri, e cerca lui stesso di diventare più limpido, più lucido e
più fedele nell’esercizio del suo dono proprio. Così ognuno, al suo posto, costruisce la Fraternità
nella speranza.
In modo tutto particolare dovremmo prendere esempio dagli ultimi, dai poveri, dai nostri
malati…sono le persone più libere capaci di vedere con maggior chiarezza i bisogni, la bellezza e le
sofferenze della Fraternità. Lasciamoci visitare dai nostri malati, lasciamoci raggiungere nelel
nostre periferie…
Per sapere se la nostra Fraternità è fedele alla sua visione originale bisogna chiederlo a chi è nella
sofferenza e la offre per l’OFS. Sono questi che sentono se l’autorità viene esercitata bene, se la
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Fraternità è fedele o no. Per questo bisogna essere attenti a loro; hanno quasi sempre la risposta
migliore alle domande che la Fraternità si pone.
La speranza non può affidarsi a un OFS efficiente e organizzato, ma al cuore dei suoi membri, mi
permetto di dire, dei suoi responsabili, se sanno prendersi cura dei propri fratelli non facendone
proprietà ma oggetto di cura amorevole, soprattutto dei vecchi e dei giovani.
È incredibile notare come un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi giovani non
avrà mai né memoria né futuro…è un pericolo di fronte al quale ci richiama il Papa, che ricorda
come anche i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi.
Questa Chiesa del funzionalismo può diventare una tentazione! Senza memoria e senza promessa la
Chiesa non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati
e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa. Ne sappiamo qualcosa
anche noi.
Ma in cosa consiste per noi questa memoria e questa promessa?
Nell’attingere al bagaglio spirituale originario, non a un certo tipo di tradizione che risulterebbe
incomprensibile e anacronistica, ad un Ofs che nasceva dedito alla cura delle persone, per stare tra
la gente; così come nell’apertura al nuovo rappresentato dai giovani e dalle loro istanze, dalle
sollecitazioni che ci giungono dall’esterno, che sono tutte dono dello Spirito. Dalle realtà che si
formano con modalità inconsuete, da istanze formative diverse…
Questa nuova visione permetterà alla nostra unione, al nostro “io” e “te” di uscire da un involucro
impenetrabile e di stare “tra la gente” con una presenza fraterna che sarà essa stessa segno di
speranza e saprà esprimersi nella creatività di chi si è lasciato plasmare dall’incontro fondamentale.
La nostra non può essere una testimonianza di rassegnazione, né di afflizione, così come ci ricorda
san Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: “Voi non dovete affliggervi come gli altri che non
hanno speranza” (1Tes 4,13).
Lasciamo che la zizzania conviva sul nostro terreno insieme all’erba buona, ma non
preoccupiamoci di togliere la prima con un’attività tutta formale, quella tipica di chi cerca di far
corrispondere tutto a criteri solo giuridici che non abbiano respiro evangelico; con un’attività quindi
che rischierebbe di sradicare anche l’erba buona.
Spesso siamo tentati di guardare prima all’erba cattiva che c’è oggi sul terreno e a cercare tutti i
mezzi possibili per sopprimerla ponendo paletti e divieti, mentre dovremmo imparare dal padrone
del campo, da Dio, che sa guardare sul grano, che è futuro. Lì dovrebbe essere la nostra
preoccupazione dell’oggi, nella proiezione verso il futuro, nell’attesa del germoglio nuovo.
Tenere lo sguardo fisso sul propositivo, sull’apertura a ciò che deve ancora venire, ci fa
ridimensionare il resto, i problemi, gli atteggiamenti difensivisti.
Dobbiamo spronarci a saper cogliere ciò che c’è di vitale e fruttuoso, di promettente, guardare ai
giovani con una prospettiva diversa, che anche lì non cerchi il difetto, ma accolga e tragga il
positivo. Dobbiamo scorgere i tanti semi che Dio ha seminato in noi…questo è il bene che va
difeso, custodito e nutrito di un amore grande, di fede, di carità, misericordia, libertà.
Dobbiamo vivere di questo slancio verso la novità, con lo sguardo rivolto a un futuro nel quale non
ci proiettiamo sprovvisti, ma ricchi di un’esperienza che appartiene a un cammino che dura da anni.
Lo stesso capitolo elettivo che vivremo nel prossimo mese di giugno e che iniziamo ad anticipare
già da oggi con una proiezione costruttiva, deve farci guardare avanti cogliendo ciò che è bene,
aprirci a ciò che è costruttivo, al futuro, alla novità.
La nostra preoccupazione non sia sin da ora in chi dovrà essere eletto, partiremmo col piede
sbagliato con valutazioni personali circa l’operato di uno o dell’altro. Un Capitolo non è
promozione o bocciatura di chi ha lavorato sino ad oggi!
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Nessuno di noi consiglieri nazionali merita di essere rieletto perché ha lavorato bene, né di non
essere rieletto perché ha lavorato male. Il nostro mandato terminerà a giugno e saremo tra gli altri,
in una disponibilità che dobbiamo imparare ad assumere tutti e sempre, nonostante questo concetto
continui a fare ancora molta fatica a passare nelle regioni. Notiamo quanto sia difficile far accettare
una modalità diversa, libera, aperta al futuro e alla novità, non imbrigliata nella paura…
Si tratta di aprirsi a una logica di speranza, di guardare in avanti, di anticipare la strada, il
progetto…solo quello ci dirà chi potrà accompagnarci come guida e animatore. Altre modalità, le
solite modalità, soffocano la speranza, la spengono, si preoccupano più della zizzania che del seme
buono.
E allora l’elezione sarà una proposta nuova per una persona cui si chiederà di divenire
nuova…togliamo dai nostri vocabolari le parole: riconferma, traghettamento…chi è chiamato è
chiamato a un’avventura nuova, che richiede di rinnovarsi e di vivere in pienezza il tempo che gli è
affidato…che senso ha rimanere per traghettare? Se si è eletti, ci si riconosca “ultimo” come il
popolo d’Israele, e si dia tutto quello che si ha per camminare verso la promessa, per “muovere
passi” oggi, nel “presente” della vita e della missione della Chiesa…e sia speranza, presenza viva di
un OFS che decide definitivamente di voltarsi all’esterno e di porsi tra la gente!
…cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni
cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo
Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. (1 Tes 5, 15-20)
Dio ci benedica!
Remo Di Pinto
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