prologo - Susanna Cenni

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prologo - Susanna Cenni
PRESENTAZIONE
Cari lettori,
quello che avete tra le mani è il mio diario di un anno un po’ speciale.
Il mio nono anno, per la precisione, un anno pieno di novità che mi hanno portato a
vedere la vita in modo molto diverso.
Mentre infatti mio fratello cresceva nella pancia della mamma, coperto dalla sua calda
pelle, scoprivo che anche molti altri animali facevano la stessa cosa e che le piante
stesse attendevano la primavera per rinascere.
E’ in questo modo che i miei genitori mi hanno spiegato tante cose del mondo,
spingendomi ad osservare la natura che mi circonda con occhi nuovi, ad accettare le
sue evoluzioni, ad assecondare il ciclo della primavera e dell’inverno, della nascita e
della morte.
Ed alla fine di questo fantastico viaggio, mi sono sentito meno solo.
PROLOGO
Tutto è cominciato un pomeriggio di Luglio, quando ho saputo che Martino, mio
fratello, era entrato (anche se ancora non ho ben capito come) nella pancia della
mamma.
Eravamo tutti così felici che sorridevamo con le lacrime agli occhi ogni volta che ci
scambiavamo uno sguardo!
Io avevo sempre desiderato un fratellino (o una sorellina), ma ora che stava
arrivando…cominciavo a preoccuparmi di tutto quello che sarebbe cambiato nella
nostra vita.
Già mi immaginavo la mamma tutta indaffarata a cambiare i pannolini e a preparare
insipide minestrine verdi, mentre il babbo avrebbe sprecato il suo tempo a fare il
solletico sulla pancia di quel piccolo mostro piagnucoloso per farlo sorridere.
E che ne sarebbe stato delle coccole dei nonni? E’ vero che già da un paio di anni non
sono più il loro unico nipote, dato che è arrivata quella peste di mia cugina Alice, ma
l’idea di retrocedere al terzo posto era veramente un pensiero insopportabile…
Così ho cominciato a farmi sempre più piccolo e bisognoso di cure per mimetizzarmi
in questa ondata di nuovi arrivi che sembravano essere così interessanti agli occhi dei
grandi. Per un po’ ho addirittura preteso di tornare a dormire nel lettone con il babbo
e la mamma!
Fino a quando non ce l’ ho fatta più e una sera sono scoppiato a piangere, e mentre
piangevo, tutte le mie paure uscivano dalla bocca insieme ai singhiozzi, mentre la
mamma cercava di consolarmi carezzandomi il viso.
Abbiamo parlato come non ci capitava più da tanto tempo, lei seduta sul bordo del
letto ed io rintanato sotto le coperte, più per la vergogna di dire quello che mi passava
per la testa che per il freddo.
- Non avrete più tempo per me! – gridavo dentro al cuscino – Vorrei che questo
fratello o sorella non nascessero mai!
- Non essere sciocco Cosimo – mi rimproverava dolcemente la mamma – l’amore dei
genitori per i figli non è una torta da dividersi tra fratelli, per cui più figli ci sono
meno amore tocca a ciascuno! Il nostro amore per te è infinito, come lo sarà quello
per chi verrà dopo di te, e non dovrai dividerlo con nessuno. Quello che divideremo
sarà probabilmente il tempo, e tutti dovremo adattarci un po’, anche tu .-
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Non so se quella sera ho proprio capito il senso di tutto quello che la mamma mi ha
detto, ma la musica che accompagnava quelle parole per il momento mi aveva
tranquillizzato.
Una cosa però adesso mi era chiara: la vita per me non sarebbe stata più la stessa!
UNA GRANDE IDEA
Gli effetti benefici di quella sera non sono comunque durati a lungo, e ben presto la
tristezza e la malinconia mi hanno di nuovo circondato, tanto da non riuscire più ad
andare a dormire da solo (e per un bambino di nove anni come me non era una cosa
normale).
La mamma e il babbo si davano il cambio seduti sul letto, e ognuno di loro riempiva la
stanza di parole che mi sembravano giuste, dolci e colorate ma che io non riuscivo a
far entrare nel cervello e nel cuore, chiuso com’ ero nella mia gelosia.
Fino a quando qualcuno ha avuto un’ idea geniale:
- Perché da oggi non provi a scrivere un diario di quello che ti sta succedendo - mi
hanno detto un giorno i mie genitori - Vedrai che poi sarà divertente poter rileggere
tutto ciò che è successo in questi lunghi mesi di attesa che ci aspettano, e magari
sorridere insieme di ciò che ora ti spaventa così tanto!. All’inizio non mi è sembrata proprio una bella idea (mi puzzava troppo di lezioni per
casa) , ma poi ho cominciato a divertirmi a fare alla mamma tutte le domande che mi
venivano in mente e mi piaceva un mondo che lei passasse tanto tempo con me.
Insieme a lei ho incominciato a riempire le pagine di questo diario con ciò che di più
interessante ci proponevano le nostre giornate, ho imparato a leggere in me le
emozioni per poterle poi descriverle ad altri, a meravigliarmi prima e poi a
comprendere quello che la natura ci fa vedere ogni giorno, per non averne più paura.
Abbiamo parlato di come nascono i bambini, ma dato che ho la fortuna di abitare in
campagna con tutta la mia numerosa famiglia, anche di uova e di pulcini, di agnelli e
di puledri, di come nascere sia la prima fatica di ogni essere vivente e nello stesso
tempo la gioia più bella!
Sono stato nel bosco con la nonna Flora, che mi ha insegnato a riconoscere le piante
del sottobosco e cento tipi di funghi diversi; con mio nonno Rodolfo ho raccolto i
marroni caduti dagli stessi castagni sotto i quali li coglievano cento anni fa i suoi
genitori, rivivendo poi davanti al fuoco l’emozione di sentirle gemere sulla brace e di
tentare di sbucciarle ancora fumanti.
Ho tagliato la legna con il babbo e mentre le formiche ci salivano sui guanti
arrabbiatissime, ho imparato cosa siano capaci di fare anche gli animali più piccoli
per difendere le loro larve che sono (come mi ha detto il babbo) ‘il futuro di tutto il
formicaio’.
Quando poi è arrivata la primavera, tutta la natura si è svegliata: le querce centenarie
che stanno davanti a casa hanno rimesso per l’ennesima volta le foglie, le viti hanno
ingrossato le loro gemme, il frutteto si è colorato di tanti petali che sembrava nevicato
e mio fratello Martino è nato.
E in quel momento, che mi era sembrato all’inizio così spaventoso, ho capito che la
mia esistenza non sarebbe stata stravolta da un evento così naturale, ma che anzi
sarei stato molto più ricco di prima: in fin dei conti, da quel giorno, avevo un fratello
anch’io!
L’idea di tenere un diario aveva funzionato.
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“CALENDIARIO” DI UN FRATELLO GELOSO
“ Chi ha fratelli ha da spartire, come chi nasce ha da morire “
Antico proverbio contadino
SETTEMBRE
Oggi finalmente mi sono deciso ad iniziare il mio “calendiario”.
So bene che questa parola non esiste, ma la voglio usare lo stesso perché rende bene
l’idea di quello che voglio fare, tenere cioè un diario non dei miei giorni, ma delle mie
stagioni che si inseguono saltando da un mese all’altro durante l’anno, senza troppo
badare alle ore e ai minuti.
In questo modo vi racconterò per ogni mese i miei pensieri, i colori delle mie giornate,
le cose che fanno gli animali che vivono nella nostra fattoria e quelle che fanno i miei
genitori nell’attesa che nasca mio fratello (o sorella, visto che al momento ancora
nessuno sa cos’è). In queste pagine troverete insomma un po’ di quello che può
accadere in campagna ad un bambino di nove anni come me.
Perché ho scelto Settembre per iniziare? Intanto perché mi ci è voluto un po’ per
decidermi e un po’ perché per me ogni Settembre cominciano molte cose: la scuola, la
vendemmia, l’autunno e… un nuovo anno visto che sono nato il sedici settembre
1994!
Ormai le vacanze estive sono finite e tra pochi giorni tornerò a scuola. Quest’anno
sono iscritto alla quarta classe elementare e tutti mi hanno detto che sarà piuttosto
impegnativa. Ci mancava anche questa; chissà se con tutte le novità che ci sono in giro
ci sarà ancora qualcuno disposto ad aiutarmi con i compiti a casa!
Come ho già detto il sedici è il mio compleanno e come tutti gli anni lo festeggerò con
i miei amici e parenti nella vigna, portando dolci, panini e bibite sul carrello trainato
dal trattore, pulito e addobbato per l’occasione.
E’ un modo un po’ strano di fare una festa, ma in questo modo io ed i miei amici
possiamo giocare liberamente a pallone o rincorrerci tra i filari, andare ad esplorare il
canneto o a vedere i pesci nel fosso, tutte cose che in casa non si possono fare.
Inoltre, nel frattempo, la mamma, il babbo, i nonni e gli zii possono andare avanti con
la vendemmia per tutto il pomeriggio, senza perderci di vista.
Quest’anno poi noi bambini siamo abbastanza grandi da tenere in mano le forbici
senza farci del male, per cui penso che potremo provare anche a dare una mano!
Quando il carrello sarà pieno d’uva, il babbo metterà in moto il trattore, tra l’invidia
dei miei amici che vorrebbero salirci su come faccio io, e la porterà alla cantina. E’ un
viaggio lungo e faticoso, ma lì l’uva diventerà prima mosto (cioè succo di uva
schiacciata) e poi vino (dopo aver fermentato nei tini) e avrà raggiunto il suo
traguardo.
E’ bello capire da dove nascono le cose, come si trasformano e perché, ti fa sentire più
intelligente!
Quando mio fratello o mia sorella saranno abbastanza grandi, gli spiegherò tutto
questo, come il babbo ha fatto con me, così anche lui o lei saranno un po’ più
intelligenti.
IL LETTINO
La scuola ormai è iniziata da una settimana, ed io ho ritrovato tutti i miei compagni di
classe dell’anno scorso, ad eccezione di Esmeralda che si è trasferita in città.
Ho fatto il conto di quanti tra di loro hanno un fratello o una sorella ed ho scoperto
che siamo la maggioranza! Questo mi ha un po’ tirato su il morale.
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Per il momento le lezioni per casa non sono molte e posso stare fuori a giocare per
quasi tutto il pomeriggio, che in Settembre è ancora molto lungo.
La mamma e il babbo sono indaffaratissimi: si sono messi in testa che è l’ora di dare
un aspetto nuovo alla nostra casa, in previsione del nuovo arrivo, ed hanno deciso di
partire proprio dalla mia camera!
Così le pareti sono diventate azzurre mentre pesciolini e conchiglie di tanti colori si
inseguono in fila intorno alla stanza; il mio letto e l’armadio si sono scambiati il loro
posto mentre Pietro, il pesce rosso che da più di tre anni nuota nel suo acquario sulla
cassapanca che mi fa da comodino, guardava boccheggiando la danza impazzita di
tutti i miei giochi, libri ed oggetti vari che per quasi dieci anni erano rimasti
ordinatamente al loro posto.
Ora che la tempesta è passata, devo dire che la mia camera è più bella. E’ piaciuta
tanto anche alla mia nonna Paola (la mamma del mio babbo) che in genere non fa
tanti complimenti…però non riesco ad abituarmi all’idea di quel lettino in più che tra
poco comparirà in quell’angolo vuoto, vicino alla finestra.
Forse è per questo che quando spengo la luce la sera la stanza si riempie di fantasmi,
l’armadio sussurra mentre i vestiti appesi dietro la porta sembrano muoversi,
lasciandomi solo il tempo di strizzare forte gli occhi e urlare: - Mammaaaa!UN FINE SETTIMANA A CAVALLO
Per questo fine settimana, mia zia Eleonora, che è la sorella di mia mamma, mi ha
invitato a dormire a casa sua, dove ci sarà anche Niccolò, nipote di mio zio Bernardo,
che ha pressappoco la mia età.
Ho già conosciuto Niccolò quest’estate e l’idea di rivederlo mi piace davvero!
In fin dei conti siamo quasi compagni di sventura: lui ha addirittura un fratello e due
sorelle!
Come quest’estate mia zia ci ha promesso di farci due giornate intere di equitazione,
tra lezioni di teoria in scuderia e pratica in maneggio.
Nella nostra azienda agricola infatti abbiamo ancora tre dei sei cavalli che hanno fatto
parte della nostra famiglia per vent’anni (quindi anche prima di me) e con cui mia
mamma, ma soprattutto mia zia, facevano concorsi di salto ostacoli e lezioni di
equitazione agli ospiti del nostro agriturismo.
Ora, dopo aver riempito il salotto di coppe e coccarde, sono a riposo e pascolano tutto
il giorno in un grande recinto tra gli olivi, ma sono veramente felici quando qualcuno
li striglia a dovere e li sella, come ai vecchi tempi; mia zia dice che glielo legge negli
occhi.
Quando ci vedono arrivare non mancano mai di salutarci con un brontolio delle narici
o con un nitrito, anche perché sono golosi e si aspettano sempre qualche cosa da
mangiare. Con la mano tesa gli porgiamo un pezzo di carota che loro delicatamente
afferrano con le labbra; il loro fiato caldo ti inumidisce la mano mentre i lunghi peli
tattili delle labbra (che servono cioè per ‘tastare’ le cose) ti solleticano il palmo.
Sono animali a volte imprevedibili, ma quando hai imparato a capire il loro semplice
linguaggio, sono capaci di sorprenderti per la loro sensibilità ed intelligenza. E’ prima
di tutto questo che la zia ci vuole insegnare, a capire ed avere rispetto, per non averne
timore e saperci difendere dai pericoli. Lei dice che questo sistema funziona un po’
con tutto nella vita!
Io chiaramente ho con i cavalli più dimestichezza di Niccolò, che vive in città e non ha
animali in casa, ma devo dire che nonostante tutto se la cava: in un paio di pomeriggi
anche lui ha imparato a strigliare, spazzolare e sellare Moritz , che per la sua taglia
ridotta è il più adatto a noi dei nostri cavalli. Moritz infatti è un Avelignese
purosangue, uno cioè di quei biondissimi cavalli di montagna tozzi ma fortissimi,
adatti per le passeggiate e per il trasporto di piccoli carichi attraverso i sentieri alpini.
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All’apparenza è docilissimo, ma in realtà nasconde un caratterino niente male;
quando sei in sella passa i primi dieci minuti cercando di capire cosa sei in grado di
imporgli di fare e se ritiene che tu non sia abbastanza in gamba per lui, fa il furbo,
approfittando di ogni scusa per portarti a spasso come e dove vuole lui.
Allora, quando succede, la zia gli si avvicina tanto da toccare con il suo naso il muso di
Moritz e guardandolo negli occhi gli ricorda chi è che comanda, e lui torna un
agnellino (almeno per un po’).
Non ho mai visto nessuno della mia famiglia picchiare un animale: a volte sembriamo
piuttosto una casa di pazzi, dato che salutiamo le galline e le ringraziamo per le uova,
salviamo le lucertole che rimangono intrappolate nei secchi vuoti, brontoliamo i cani
con frasi del tipo “se ti rivedo fare una cosa del genere mi arrabbio sul serio” oppure
spaventiamo con la voce gli storni per allontanarli dal ciliegio che stanno svuotando
dalle ciliegie, ben sapendo che tra un attimo saranno di nuovo tutti lì.
Del resto è così che oggi possiamo godere della piena fiducia dei nostri animali (e
anche di quelli selvatici che non hanno alcun timore ad avvicinarsi alla casa) tanto da
possedere tre intere generazioni di boxer da tartufi, addestrati da mia mamma e da
mia nonna Flora, con il gioco e con la pazienza, e osservandoli mentre sono al lavoro,
ti accorgi che lo fanno solo per renderti felice e per essere coccolati da te.
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OTTOBRE
Ottobre è il mese dei miei colori preferiti: il giallo, il rosso e l’arancione infatti
coprono in poco tempo le colline che circondano il mio paese e la grossa quercia che
sta davanti alla mia finestra di camera lascia ingiallire le sue foglie: ma c’è un albero
che batte tutti nella gara dei colori. Le sue foglie tonde e lisce si tingono del rosso e
dell’arancio più smaglianti, e quando arriva per loro il momento di farsi cadere a
terra, lasciano il posto a dei magnifici frutti rosso acceso, che sono i cachi, più grossi
di una mela, morbidi e dolcissimi.
Vedere un albero di cachi ( il vero nome è Diospyros kaki mi ha detto la nonna Flora,
che è una appassionata di piante ed animali) quando ha perso tutte le foglie e dai suoi
rami pendono solo i grossi frutti, è un vero spettacolo: sembra un albero di natale già
addobbato!
Comunque non tutte le piante in autunno ingialliscono: nel bosco e nella campagna
molti alberi e cespugli rimangono verdi per tutto l’anno. I cipressi , per esempio, che
stanno ritti agli angoli dei campi a segnare i confini, lungo le strade delle ville o
intorno ai cimiteri; i ginepri, che vivono nei boschi più poveri di terra, tra i sassi,
tempestati di piccole bacche verdi (quelle nuove) e nere (quelle più vecchie e mature)
che si usano per ricavarne un liquore (il ‘gin’ appunto) o, in cucina, per dare il giusto
aroma alla selvaggina.
E poi i pini, gli abeti, le ginestre (che in estate fanno quei bei grappoli di fiori gialli) e
gli allori, con le cui foglie la nonna prepara il sugo di carne e con i cui rami la mamma
a Natale intreccia ghirlande e centrotavola per le feste.
Nei nostri campi coltivati invece resiste colorato di verde-grigio per tutto l’anno,
l’olivo: anzi fra un po’ sarà proprio lui il protagonista delle nostre giornate, perché in
Novembre, come tutti gli anni, inizia la raccolta dei suoi frutti, le olive, per farne un
buonissimo olio.
Ma la vera sorpresa del mese di Ottobre saranno anche quest’anno, se tutto va bene, i
funghi!
Dato che la mamma non potrà venire con noi, la nonna mi ha già chiesto se me la
sento di andare solo con lei, e io le ho detto di sì tutto contento: sarà una vera
sfacchinata, ma con la nonna Flora l’avventura è assicurata!
Arrivare nel bosco non è difficile, ma se si vuole essere sicuri di trovare i porcini (che
in termine scientifico si chiamano Boletus, come mi ha insegnato sempre la nonna
Flora) bisogna camminare un bel po’: la nonna conosce tutti i posti migliori, ma a
volte si dimentica la strada o confonde i sentieri, per cui mi sento un po’ come un
esploratore su un’isola sconosciuta.
- Ecco, Cosimo, guarda bene sotto quel castagno, che lì, io, li ho trovati tutti gli annimi ha detto ad un certo punto la nonna.
Così mi sono avvicinato piano piano all’albero che lei mi indicava, frugando con gli
occhi tra le foglie, che poi sono dello stesso colore delle cappelle dei porcini.
- Io lo vedo da qui- mi ha detto sorridendo la nonna, e io stavo quasi per arrendermi
quando… l’ho visto! Anzi li ho visti, perché, riuniti come una vera famigliola, altri due
facevano capolino tra le foglie secche pochi centimetri più in là!
Li abbiamo colti tagliando loro la base del gambo (che va lasciata nel punto dove si
trovano perché così possono riprodursi - e noi rispettiamo il bosco - mi ha detto la
nonna) e li abbiamo ammirati: la loro cappella era marrone e straordinariamente
vellutata, il loro gambo chiaro e sodo, la loro spugna (la parte sotto del cappello)
freschissima.
- Questo lo mangiamo condito in insalata con qualche scaglia di parmigiano – ha
detto la nonna, ma io ero così appagato dall’averlo trovato che mi importava così poco
di tutto il resto!
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- Andiamo adesso, che la strada da fare è ancora tanta e voglio passare a vedere un
paio di posticini per arricchire il nostro paniere – Mi ha esortato la nonna, e siamo
ripartiti.
Alla fine della giornata (ed era proprio la fine perché siamo arrivati alla macchina che
si stava facendo buio) avevamo riempito i nostri cestini di ogni tipo di funghi, tutte
varietà che la nonna conosce molto bene: c’erano gallinacci, mazze di tamburo,
trombette da morto, russule coloratissime di tante varietà e qualche altro porcino. E
mentre la nonna vagheggiava quasi parlando tra sé e sé di zuppe, sughi e arrosti a
base di funghi con cui imbandire la tavola del prossimo compleanno suo e di mia
mamma (che sono nate nello stesso mese di Ottobre e che come da tradizione
festeggiamo tutti insieme nello stesso giorno), io mi sono addormentato in macchina
sulla strada del ritorno.
Quella notte ero troppo stanco ed anche i fantasmi della mia camera mi hanno
lasciato in pace.
TANTI AUGURI!
Oggi è il compleanno della mamma, il giorno vero, il 13 di Ottobre, ed io l’ho svegliata
facendole gli auguri: lei mi ha abbracciato forte trascinandomi sul lettone e insieme
abbiamo fatto le coccole. Le ho detto che le voglio tanto bene e mentre lei mi baciava
ho sentito le lacrime riempirmi gli occhi dall’emozione. Per non farmi vedere sono
rimasto stretto a lei così a lungo da toglierle il respiro, per poi scappare in bagno a
lavarmi il viso.
Penso che lei se ne sia accorta, perché quando mi ha raggiunto mi ha accarezzato
dolcemente dandomi un supplemento di baci: - non devi mai vergognarti di voler
bene, anche se l’emozione ti tradisce e ti fa sembrare debole. Volere bene e riceverlo
sono due cose bellissime!-.
Subito dopo mi sono chiesto se sarò capace di commuovermi anche per questo nuovo
fratellino!
In attesa di festeggiare insieme a tutta la famiglia il doppio compleanno, Domenica
prossima, con un ricco pranzo, oggi ci limiteremo a preparare un dolce su cui mettere
le candeline ( che sono veramente tante rispetto alle mie).
La mamma ha pesato gli ingredienti mentre io montavo i tuorli con lo zucchero ed il
babbo imburrava la tortiera: il risultato di tanto lavoro frenetico è stato un bella torta
della nonna con ripieno di crema, ricoperta da mandorle e pinoli tostati e zucchero a
velo.
Le candeline ci stavano a malapena e accenderle tutte non è stato facile: la mamma ha
chiuso gli occhi per un momento ed ha espresso in silenzio il suo desiderio.
Sono quasi sicuro che nel suo desiderio c’eravamo tutti quanti, anche se lei non me lo
ha voluto svelare.
Tanti auguri a te, mamma!
IL GENERALE
Ottobre è quasi finito ormai, e le giornate si sono già accorciate di un bel po’; l’aria si è
fatta più tersa e al tramonto del sole si fanno le nuvolette di vapore dalla bocca.
La mamma ha cominciato ad accendere la stufa a legna ogni sera, e io mi incanto
davanti al vetro a guardare quelle lingue di fuoco che piano piano consumano i
tronchetti e ripenso a quanto lavoro è costato questa primavera il taglio del bosco.
Mi ricordo che ho pianto quando il babbo e altri due signori hanno tagliato una grossa
quercia che stava lì da non so quanti anni; poi però il babbo mi ha spiegato che era
stata la forestale a consigliargli di cominciare proprio dagli esemplari più vecchi e
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malati, in modo da “rinnovare” il querceto, lasciando spazio a più giovani piante da
seme, da scegliere tra gli esemplari più vigorosi.
Così la quercia è caduta a terra con un gran tonfo e le motoseghe l’hanno ridotta in
tanti piccoli pezzi. Quando le motoseghe si sono zittite il babbo mi ha portato vicino
ad una fetta del tronco ed ha continuato la sua lezione:
-Vedi quanti anelli ci sono ? Ognuno di questi rappresenta un anno di vita della
pianta. E vedi questa macchia più scura che copre la zona centrale ? Ti dice che la
quercia era malata da tempo e che molto presto sarebbe morta comunque. Adesso, al
suo posto, crescerà quella lì, che fino ad ora è rimasta sotto la sua ombra e non si è
potuta sviluppare, ma che già dalla sua forma dimostra di poter diventare presto la
regina di questa parte del nostro bosco. –
Mentre il babbo parlava mi sono accorto che migliaia di formiche impazzite uscivano
dalla corteccia della povera vecchia quercia, già pronte a cercarsi un nuovo
condominio, una nuova pianta moribonda di cui approfittare per ripararsi.
Ora che la vecchia quercia brucia nella stufa e mi scalda le mani, sento di doverla
ringraziare pezzo per pezzo e di doverle gli onori che spettano ad un glorioso generale
morto in battaglia.
Mentre ero assorto in questi pensieri, d’un tratto è squillato il telefono : - rispondo io
– Ho urlato alla mamma che era fuori a stendere gli ultimi panni della giornata. – Sì
nonno, dimmi…domani mattina ?…Certo che vengo!…A domani!Era mio nonno Rodolfo: mi ha chiesto se voglio andare con lui a raccogliere gli ultimi
marroni della stagione, prima che i cinghiali se li mangino tutti!
Altra avventura in arrivo!
L’ALBERO DEL PANE
Brr…Questa mattina fa proprio freddo! Il cielo è sereno, ma il sole non scalda ancora.
Scendo per fare colazione e vedo Ella, la nostra cucciola boxer “da tartufi”, con il naso
schiacciato al vetro della porta che cerca con tutto il suo repertorio di moine di farci
capire che vuole entrare.
- Anche Ella ha sentito che questa mattina fa più freddo - mi dice la mamma dandomi
il buongiorno con un bacio rumoroso sulla guancia.- Falla pure entrare, ma bada che
abbia le zampe pulite!Le apro la porta e lei mi salta subito addosso, leccandomi il viso, che è il suo modo per
salutarmi con affetto (del resto poco fa non ha fatto più o meno la stessa cosa anche la
mamma?) e mi si piazza al fianco, seduta, in attesa di qualche pezzo della mia
colazione.
- Guarda che il nonno ha già telefonato, e fra dieci minuti sarà qui. Finisci tutto il latte
e mangia le fette di pane e marmellata che ti ho preparato, che altrimenti a
mezzogiorno non ci arrivi! - mi ha detto la mamma mentre io perdevo tempo a
giocare con Ella.
Così mi sono concentrato sulla colazione, e non è stato difficile, visto che le
marmellate che fa mia mamma sono veramente speciali: fichi, more, ribes, prugne,
albicocche e da quest’anno anche uva nera ‘chianti’ finiscono tutte le estati in piccoli
barattoli che riempiono la dispensa e i cesti natalizi che prepariamo per amici e
parenti, insieme ad una bottiglia del nostro olio d’oliva.
Ma ecco… il nonno è arrivato: salto in macchina e partiamo.
Il bosco dei marroni (che sono un tipo di castagno particolare che fa appunto i
marroni che sono più grossi e più buoni delle comuni castagne) non è molto lontano,
ma da quando i contadini hanno abbandonato i poderi di queste colline più scomode,
i rovi e le altre piante infestanti hanno invaso tutto.
Sono sparite le terrazze ordinate di olivi e viti, i muretti a secco si sono sgretolati e il
bosco più selvatico si è fatto avanti: così, insieme al bosco, avanzano anche i cinghiali
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e i caprioli, le lepri e le volpi, che a me piacciono tanto, ma che a sentire mio nonno
fanno “più danno della grandine”.
Così, per raggiungere i grossi castagni ci facciamo strada con il falcetto camminando
quasi carponi: comincia a farmi caldo, anche se il sole penetra appena tra le foglie.
- Ecco, siamo arrivati- Ansima il nonno dopo un po’ – Mettiti i guanti e cerca i ricci
pieni, che poi li apriamo con i piedi!E già mi immagino seduto per terra come uno scimpanzé a trafficare con mani e piedi
per averla vinta su queste piccole casseforti vegetali che nascondono in genere tre
marroni addossati l’uno all’altro.
Mi accorgo subito che non siamo arrivati primi: ci sono molti ricci aperti ed alcuni
frutti sono rosicchiati.
- Te lo avevo detto che se non venivamo oggi non trovavamo più nulla! Tra cinghiali e
scoiattoli c’è poco da stare allegri!- Ha borbottato il nonno con un sorriso amaro.
Io non ho detto niente perché in verità penso che abbiano più diritto loro di mangiarsi
le castagne, i tartufi e la frutta del bosco, dato che nel bosco ci vivono: per noi in fin
dei conti le castagne oggi non sono più necessarie per sopravvivere, come lo erano
invece una volta quando con la loro farina gli abitanti della montagna ci facevano il
pane, che era una delle poche cose che riuscivano a portare in tavola.
Siamo tornati a casa con un solo cestino pieno. Abbiamo disteso i marroni al sole per
farli asciugare (cosa che il nonno dovrà ripetere per qualche giorno) e alla fine
saranno pronti per essere mangiati, bruciati sulla brace del camino (da cui appunto il
nome di bruciate) oppure lessati in acqua leggermente salata aromatizzata con semi
di finocchio selvatico ( prendendo il nome di ballotte).
La nonna Paola me ne ha preparato un sacchetto di già pronte per essere cotte. Torno
a casa con questo trofeo in mano, e le distendo sul tavolo di cucina.
- Mentre tu finisci di fare i compiti per casa, io le incido, così le prepariamo per
quando rientra il babbo - mi ha detto la mamma.
Distesi sulla piastra del forno della stufa, i marroni hanno cominciato a gemere e a
fischiare, mentre la buccia si apriva come un sorriso lungo il taglio del coltello: il loro
aroma si è diffuso ben presto nella nostra grande cucina e chiudendo gli occhi mi sono
fissato in mente il loro profumo, che è poi il profumo di questo mese, fatto di legna e
di castagne.
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NOVEMBRE
Oggi pomeriggio siamo stati al cimitero, come facciamo tutti gli anni, a trovare la
sorellina di mia mamma, Elettra, che è nata e morta nello stesso giorno.
E’ una cosa che è successa tanto tempo fa, di cui non parliamo quasi mai, ma
quest’anno la mamma mi è sembrata più triste: forse perché pensa a mio fratello che
deve nascere e a quante cose possono accadere ai bambini quando sono così piccoli ed
indifesi.
Nel cimitero di S. Quirico ci sono solo pochissime lapidi (saranno al massimo una
ventina) protette da un muro in pietra, da cui in parte si è staccato l’intonaco, che si
unisce in una piccolissima cappella in rovina, dove non si può neanche più entrare. Il
cancello è in ferro arrugginito e cigola forte quando viene aperto. Alcune croci sono
così vecchie che non si riescono a leggere nemmeno i nomi dei defunti e l’erba (che
per l’appuntamento con la ricorrenza dei morti è appena stata tagliata) ha dolcemente
ricoperto tutto come una soffice coperta. Eppure non è un cimitero triste: tutto
intorno, sui prati, pascolano le pecore di Marco (un mio compagno di classe che abita
poco più in su) e il suono dei loro campanelli accompagna i pensieri di chi sta lì come
noi ad occhi chiusi per pregare, o solo per ricordarsi di qualcuno.
Ogni volta che siamo stati qui, non abbiamo mai incontrato nessuno, anche se dai
fiori freschi capivi che altri erano passati prima di noi; così non capita mai di sentire
chiacchierare o di dover sopportare qualcuno con la radio accesa che annoiato aspetta
sul cancello che la visita sia finita, mentre il venditore di fiori spenna i parenti
smemorati giunti all’ultimo momento.
- Quando morirò, vorrei essere sepolta qui – Ha detto la mamma andando via, mentre
il babbo la stringeva al suo fianco carezzandole la pancia che comincia a vedersi sotto
il maglione.
- Ma se voi morite, io rimango solo con mio fratello? - ho chiesto preoccupato.
L’ESTATE DI SAN MARTINO
Oggi la mamma e il babbo sono particolarmente agitati. Questa notte erano loro a non
riuscire a dormire: dalla mia camera ho visto la luce accesa e li ho sentiti parlare a
lungo sussurrando, senza riuscire a capire cosa si dicessero.
Questa mattina, mentre mi preparavo per andare a scuola, ho capito che la mamma
aspettava una telefonata importante a cui era interessato anche il babbo.
Ci siamo salutati come al solito, ed ognuno è partito per la sua giornata di impegni.
Scendendo per la stradina sterrata che porta alla fermata del pulmino, mi sono
goduto i primi raggi di sole: l’erba ai lati era bagnata di guazza, ma non faceva freddo.
Certo, perché oggi, 11 Novembre, è l’Estate di S. Martino, uno strano periodo
dell’anno in cui, come mi dice sempre la mia bisnonna Leonia che ha quasi novanta
anni, il clima è spesso mite: “ L’ estate di S. Martino dura tre giorni e un pochino”.
La mia bisnonna Leonia è un vero personaggio: conosce un sacco di detti e di
filastrocche che immancabilmente, quando incomincia a recitare, non ricorda come
finiscano. Conosce bene anche tutti i modi per fare arrabbiare la mia nonna Paola, che
vive con lei da quando ha sposato mio nonno Rodolfo.
Da quando però è costretta dai dolori a stare seduta quasi sempre in poltrona davanti
alla televisione, mi sembra che si stia spegnendo un po’ per giorno. Avrei voluto
conoscerla da giovane, per capire veramente com’èra.
Una volta mi ha fatto vedere una foto di quando era giovane, accanto a suo marito
Azelio, che io non ho mai conosciuto: tenevano accanto a sé i loro due figli, in una
bella immagine di famiglia…già, una famiglia con due figli…ed erano così felici!
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Quando oggi sono tornato da scuola, mia mamma mi aspettava sulla porta di cucina:
mi sono seduto per fare merenda, e mentre mi versavo un bicchiere di latte, mi ha
finalmente spiegato il mistero di tanta agitazione notturna:
- Cosimo, ti ricordi che due settimane fa sono andata all’ospedale a fare delle analisi
un po’ speciali e che poi sono dovuta stare a letto per un paio di giorni?
- Si, mi ricordo anche del cerotto sulla pancia – Ho risposto pronto.
- Ecco, oggi mi hanno telefonato dall’ospedale per dirmi che dall’esame risulta che tuo
fratello sta bene, che i risultati degli esami precedenti erano sballati e che è proprio
un maschio, come ci aveva già anticipato il dottor Corti - Meno male! - Ho esclamato contento, perché l’idea di avere una sorella che
somigliasse anche lontanamente a mia cugina Alice mi terrorizzava: tutte quelle
moine e quelle bizze da femmina!
In quel momento è arrivato anche il babbo che, aprendo la porta ha esclamato:
- Eva, ma tu sai che giorno è oggi?- No, che giorno è?- Ha risposto la mamma sorpresa da quell’ingresso insolitamente
gaio.
- E’ S. Martino…e penso che a questo punto abbiamo trovato anche il nome per questo
piccolo in arrivo - Ha sentenziato deciso il babbo come se avesse sognato i numeri del
Lotto.
- Beh, in fin dei conti è un bel modo per festeggiare la notizia definitiva dell’arrivo di
un nuovo maschietto in famiglia. D’ altronde se fosse stata femmina non avremmo
voluto chiamarla Marta ? E tu Cosimo , cosa ne dici?Io ho detto che andava bene, anche se mi sarebbe piaciuto di più Francesco, ma ho
lasciato perdere visto che loro erano così felici.
Finalmente il mio rivale ha un nome.
OLIO ‘NOVO’ FINALMENTE !
Oggi i colori di Ottobre si sono definitivamente spenti e la pioggia è diventata la
protagonista un po’ noiosa delle nostre giornate. A volte capita che piova
ininterrottamente anche per parecchi giorni e tutto diventa più faticoso: alzarsi dal
letto, scendere a piedi alla fermata per prendere il pulmino con l’ombrello che
gocciola e le scarpe che si inzuppano. E poi, quando torno a casa mi piazzo davanti
alla grande porta finestra della cucina, mentre le gocce rigano il vetro, in attesa di uno
spiraglio di sole che mi permetta di uscire.
- Finché le colline di fronte sono coperte da un cappello di nuvole il tempo non
cambierà! – Ha sentenziato a pranzo mia mamma. Ed ha avuto ragione anche questa
volta, perché il sole non si è visto per tutto il resto del giorno.
A cena il babbo era preoccupato per le olive: - Se continua così non riusciremo
nemmeno ad entrare nel campo dal fango che ci sarà – ha detto pensieroso.
Ma il sole è tornato a splendere, qualche giorno più tardi e la stagione dell’olio nuovo
si è aperta anche quest’anno.
La raccolta delle olive è, insieme alla vendemmia e alla raccolta del fieno, uno dei
momenti più impegnativi della vita della nostra azienda agricola: è un lavoro lungo,
faticoso e a volte pericoloso, ma come tutti i lavori di raccolta porta con sé una certa
aria di festa.
Dato che la nostra è un’azienda biologica, le olive vanno colte solo a mano, con l’aiuto
di scale e rastrellino, e schiacciate ( veramente si dice frante, da cui ‘frantoio’, il luogo
dove si estrae l’olio dalle olive) entro pochi giorni dalla raccolta. Anche questo
contribuisce a fare del nostro olio extra vergine d’oliva un ottimo olio, ma rende le
cose certo più laboriose!
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Salire e scendere dalle scale, stendere e ritirare le reti su cui si fanno cadere le olive,
metterle nelle cassette, trasportarle in cantina, controllare che rimangano fresche ed
asciutte e, finalmente, trasportarle al frantoio: questa è la vita dei miei genitori e di
mio nonno che gli dà una mano, per la gran parte del mese di novembre.
Io per il momento stacco con il rastrellino quelle che riesco a raggiungere da terra, ma
più per gioco che per impegno: dopo poco infatti mi annoio e finisco la giornata
rincorrendo il cane tra gli olivi.
Molto più interessante è invece accompagnare il babbo e la mamma al frantoio.
E’ un posto caldo e umido, dove lavorano a ciclo continuo ( cioè senza fermarsi mai,
neanche di notte) tanti macchinari diversi messi in fila: c’è una specie di ventilatore
che separa le foglie dalle olive, poi una getto leggero d’acqua che le lava e, più in là un
mulino a martelli che le spezza grossolanamente iniziando la vera lavorazione.
Ma il pezzo forte del frantoio sono le macine: due ruotone enormi di pietra che
girando su di un grande vassoio, riducono le olive in poltiglia.
Una volta le macine erano mosse dagli animali (buoi, cavalli o asini), mentre ora sono
collegate ad un motore elettrico.
Dalle macine la pasta di olive e noccioli passa nella gramolatrice, che la lavora a
lungo, per favorire la separazione dell’olio: una volta pronta, la pasta viene distribuita
sui dei dischi che vengono poi impilati e pressati fino a farne gocciolare fuori tutto il
liquido (nei frantoi tradizionali a pressione) oppure finisce in una serie di separatori
(in quelli più moderni). Comunque sia, il passaggio finale è quello alla centrifuga (o
separatore finale) che separa, appunto, l’olio dall’altra parte di liquido contenuta
nelle olive ( che si chiama acqua di vegetazione).
Insomma alla fine dei conti, si entra in frantoio con 10 quintali di olive (che sono 50
casse di olive) per uscire con 3 fusti d’olio da 50 litri, se tutto va bene!
- Certo che ogni volta che vedo l’olio uscire dalla bocca del separatore, con quel suo
colore verde acceso, vien da dimenticarsi di tutta la fatica fatta e mi pregusto solo il
piacere di una bella fetta di pane abbrustolito condita con questo miracolo - si
consolano tra loro i miei genitori, mentre io, seduto su di una seggiolina stento a
restare ad occhi aperti, dato che fra una storia ed un’altra si sono fatte le tre del
mattino.
Il ritorno a casa è sempre una sorta di trionfo: si telefona subito ai nonni per metterli
al corrente della resa ( cioè di quanto olio abbiamo ottenuto per quintale di olive
portate) e ci si da appuntamento al primo giorno libero per l’assaggio ufficiale : pane
abbrustolito a iosa, fagioli lessi, polenta o minestra di pane il tutto condito da
generosi fili di olio nuovo. Solo mia zia Silvia, la mamma di mia cugina Alice non lo
assaggia mai, perché dice che non le piace perché ha un sapore troppo forte; a volte ha
ragione, perché certi anni è così pizzichino che si fa fatica a tenerlo in bocca, ma se ci
perdi tanto tempo ed energie dietro, finisci per apprezzarlo sempre, - un po’ come si
fa con i propri figli- dice sempre la mamma.
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Ninna nanna d’autunno
L’autunno è volato, l’inverno è alle porte
Il sole è più basso, il vento più forte.
I cavalli hanno il pelo già fitto sul corpo,
la lepre rosicchia qualche cosa nell’orto.
Dormon le piante ormai senza vestito
soltanto il cipresso veglia impettito
che sotto la terra coperta di bruma
il seme, paziente attenda la luna.
La casa si scalda di fuoco e bambini
i vecchi raccontano davanti ai camini,
la mamma mi abbraccia di tenero amore
mentre in lei batte già un altro piccolo cuore.
Ninna nanna Martino, ninna nanna d’autunno
Che il vento ti culli portandoti il sonno
La pioggia ti suoni una nenia gentile
Le foglie cadendo ti lascin dormire.
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DICEMBRE
“ Natale al sole, Pasqua al tizzone”
Oh, finalmente è Dicembre!
Mancano solo 23 giorni alle vacanze di Natale e anche io, come tutti i miei compagni
di classe, sto facendo il conto alla rovescia sul diario.
Quando la mamma lo ha visto mi ha detto che anni fa si usava regalare ai bambini il
“calendario dell’avvento” dove tante finestrelle, una per ogni giorno che precedeva il
Natale, nascondevano ciascuna un cioccolatino. Così, ogni mattina, i bambini
potevano aprire una finestrella ( e ovviamente mangiarsi il contenuto!) , e sapevano
sempre quanti giorni mancavano al Natale.
Oggi, in verità, l’aria delle feste comincia così presto, che si perde un po’ il senso del
tempo: al supermercato è un pezzo che ci sono i pandori e i panettoni sugli scaffali!
Così si finisce per non capirci più niente; il Natale arriva e se ne va ogni anno sempre
più velocemente perché oggi nessuno ha tempo di aspettare. I grandi non aspettano
nel rimpinzarsi di dolci e tortellini, i piccoli non aspettano ad aprire i regali, i nonni
non aspettano più i nipoti a casa per giocare a tombola.
Per fortuna la nonna Paola invece mette sempre la tombola nello stesso posto, vicino
alla scatola con le palline e le luci colorate per l’albero e le statuine del Presepe: così
per prepararlo, basta che io vada con il babbo a prendere il muschio fresco nel bosco,
insieme all’agrifoglio e al pungitopo, che hanno quelle belle bacche rosse, con il quale
la mamma e la nonna adornano la casa.
Preparare l’albero e fare il Presepe sono sempre stati un mio compito, ma quest’anno
mi hanno appioppato anche mia cugina Alice: così, mentre io sistemavo gli addobbi,
lei li tirava giù tutta soddisfatta balbettando parole incomprensibili. Alla fine, con
tutta quella confusione, mi è venuto anche mal di testa!
Non posso pensare a quando ci sarà anche mio fratello: mi sembrerà di essere Babbo
Natale con una schiera di gnomi aiutanti!
A proposito di Babbo Natale, devo dire che per tutti questi anni non ho avuto nessun
dubbio che a portare i regali ai bambini fosse proprio lui, con tutto il tradizionale
contorno di gnomi , slitta e renne!
Tutte le vigilie preparavo nel camino spento un piatto con le posate, un po’ di frutta,
un bicchiere di vino e magari qualche biscotto, in modo che potesse rifocillarsi e
riprendere il viaggio dopo avermi portato i doni che avevo richiesto con una lunga
letterina scritta in bella calligrafia molti giorni prima.
Ero così incrollabile nella mia convinzione che mi pareva di sentirlo, la notte del
ventiquattro, mentre si calava dal camino o camminava sul tetto!
Quest’anno però sento che qualche cosa è cambiato: ho chiesto alla mamma se Babbo
Natale esiste davvero e lei mi ha fatto uno strano discorso sull’età, dicendo che dieci
anni sono tanti e che Babbo Natale non si meraviglierà affatto se io non gli credo più…
Che dove non arriva più Babbo Natale, ci pensano i genitori…E così via.
Non credo di essermi chiarito molto le idee, anche perché alcuni dei miei amici
sostengono di sapere per certo che Babbo Natale non esiste!
Poi però ho sorriso dentro di me, pensando che anche se io sono troppo grande per
ricevere i suoi regali, riceverò comunque ancora per parecchi anni la sua visita, perché
dovrà portare quelli per mio fratello!
E vai! Finalmente Martino mi è utile in qualcosa!!!
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ESERCITO CON RIPIENO
Il giorno della vigilia è dedicato alla preparazione della sfoglia per le lasagne, ma
soprattutto ai tortellini che mia mamma ha imparato a fare dalla sua mamma ed un
po’ anche da un’altra mia bisnonna, che io però non ho mai conosciuto. Quando sono
finiti, sembrano un esercito schierato di centinaia di soldatini, tutti allineati sulla
spianatoia (che è l’asse di legno dove si impasta la farina con le uova e dove si stende
la sfoglia con il matterello) che attendono pazienti di tuffarsi, l’indomani, nel brodo di
cappone.
Nel pomeriggio rimane giusto il tempo di finire il ‘nostro’ degli alberi di Natale, che
ogni anno mia mamma addobba in modo diverso: un anno con gli angioletti fatti di
pasta di sale, un altro con le pigne raccolte nel bosco e dipinte con colori pastello e
fiocchi colorati. Quest’anno l’ho aiutata a confezionare degli angioletti, delle candeline
e dei cappellini di Babbo Natale con dei cartoncini colorati: è stato divertente lavorare
insieme con forbici, colla e cartone e l’effetto finale non è niente male!
Così la sera si fa proprio vigilia, nel senso che la mamma è così stanca che si mangia
quel che c’è. Poi, finito di sparecchiare, si preparano i pacchettini per il giorno dopo,
quando ci ritroveremo tutti a pranzo dai nonni: belli, ‘puliti’ (come dice la mia
bisnonna Maria che abita a Treviso e purtroppo vedo di rado) e carichi di regali.
Alle dieci e mezza, la sera della Vigilia, in paese si celebra la Messa di Natale, e se non
c’è qualcuno malato in famiglia, ci andiamo tutti.
In questa occasione la chiesa è sempre stracolma, anche se il prete si lamenta tutte le
volte del fatto che lo sia ‘solo’ per le feste importanti o per i funerali: ma io penso che
sia già una bella cosa che la gente di un intero paese si incontri quando hanno qualche
cosa da festeggiare o qualcuno da consolare, fosse anche solo qualche volta l’anno.
La mamma mi ha raccontato che parecchi anni fa cantava con la zia Eleonora nel coro
di questa stessa chiesa e che un anno hanno cantato anche per il Papa, nello stadio
Comunale di Firenze! Però! Avrei voluto esserci anch’io e invece c’era mio zio Matteo,
fratello di mia mamma, che aveva circa cinque anni e che riuscì a passare tra i coristi
nascosto sotto la pelliccia di mia nonna, che si spacciava per una soprano per
accompagnare le sue due figlie. Mio zio se ne vergogna ancora!!
UN NUOVO AMICO
-Cosimo…Cosimo…- mi ha sussurrato la mamma nell’orecchio questa mattina per
svegliarmi – Guarda fuori dalla finestra!
E mentre mi sforzavo di aprire gli occhi ancora immersi nel sonno, ho realizzato che
nella mia camera c’era una strana luce, più forte, più azzurra del solito e che da fuori
non proveniva alcun rumore. Mi sono messo in ginocchio sul letto e ho guardato oltre
il vetro: un passerotto incredulo si era posato su di un ramo della quercia e, nel volar
via, lo aveva scrollato di una spolverata di soffice…neve.
Sì! Era neve!. Neve sui muretti di pietra che delimitano la vecchia concimaia, neve
sulla catasta della legna, neve sugli alberi e sui sassi ai bordi dei campi, neve…sul naso
di Ella che rivolta in su, verso la finestra della mia camera, mi scodinzolava
invitandomi a giocare con lei.
Povera Ella! Lei è nata ad Aprile e questo suo primo inverno è veramente pieno di
sorprese!
Tiro fuori dall’armadio una felpa più pesante, un paio di calzini di lana e in pochi
secondi sono già sceso in cucina, pronto per fare colazione.
- Il babbo è rimasto a casa dall’ufficio questa mattina? – azzardo io sperando di non
sbagliarmi.
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- Sì, Cosimo, non è potuto andare perché la strada è piena di neve. Comunque si è
alzato presto per scendere dai cavalli a controllare se stavano tutti bene. Anzi, fai
colazione e poi scendi anche tu, può darsi che abbia bisogno di una mano!Ho annuito felice mentre mi ficcavo due biscotti alla volta in bocca per fare più presto,
e quasi mi strozzavo per bere il latte.
Mi sono infilato giacca, cappello , scarpe e guanti e sono uscito quasi dimenticando di
salutare la mamma, che mi ha rincorso fino alla porta; fuori Ella mi aspettava caricata
a molla, pronta a saltarmi addosso, ma io l’ ho sorpresa lanciandole con una palla di
neve. Lei ha cercato di afferrarla come se fosse una delle sue palle di gomma ed è
rimasta di stucco quando le si è sciolta in bocca.
Le scarpe scricchiolavano sulla neve immacolata mentre, scendendo verso le scuderie,
osservavo le tracce degli animali che erano passati prima di me: leggeri ghirigori di
uccelli si alternavano a orme più marcate di una lepre, che alle prime luci dell’alba,
doveva aver lasciato la tana per cercare qualche cosa da mangiare intorno a casa o
dentro all’orto.
Ero così intento a guardare per terra che mi sono accorto solo all’ultimo momento che
un capriolo, immobile in mezzo alla stradina bianca, ci stava osservando: è stato un’
attimo ! Non ho fatto in tempo ad afferrare il collare di Ella, e lei si è gettata
all’inseguimento. Ma il capriolo aveva già saltato il balzo di sassi scomparendo nel
bosco, e ad Ella non è rimasto che annusare freneticamente le sue tracce lasciate sul
terreno.
Certe cose ti possono capitare solo qui o nei cartoni animati, ho pensato ancora
impressionato da quell’ incontro; e nell0 stesso istante è comparso il babbo.
- Sai che c’era un capriolo, proprio qui, dove sono adesso? E’ scappato perché Ella gli
si è avventata contro, ed ha avuto paura - ho detto tutto eccitato.
- Sarebbe scappato comunque, i caprioli sono animali diffidenti anche nei nostri
confronti! – Mi ha risposto il babbo.
Quella sera, quando stavo per addormentarmi, al posto dei soliti fantasmi è apparso
lui, il mio capriolo: dalle sue narici usciva una nuvola di vapore e il suo mantello
splendeva di una luce dorata. Mi ha guardato per un’ istante e poi, annusando l’aria
ha allungato il collo verso di me: io ho teso la mano verso di lui ed ho sfiorato il suo
muso…e mi sono addormentato con un nuovo amico!
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“Candelora, Candelora, dell’inverno semo fòra
Ma se piove e tira vento dell’Inverno semo dentro”
GENNAIO
Oggi è la Befana ( o Epifania).
Come mi aspettavo ha lasciato nel camino della nonna una calza piena di dolci (lo sa
che io sono molto goloso) tra i quali ho trovato però anche un nuovo gioco per il
computer. In più, ha voluto fare la spiritosa e sul fondo della calza mi ci ha messo
anche un pannolone da neonati: la nonna ha suggerito che, forse, era un messaggio
per dirmi che sa già di Martino e che aspetta di conoscerlo il prossimo anno.
Spero bene che non intendesse prendermi in giro per i miei ultimi atteggiamenti un
po’ troppo da lattante, perché non sono proprio in vena di scherzi!
Con la Befana si chiudono purtroppo anche le mie vacanze: per fortuna quest’anno
sono in pari con i compiti che mi avevano dato le maestre, grazie alla mamma che
ogni mattina mi ha aiutato (e un po’ anche costretto) a farle. Così adesso sono libero e
mi posso godere in pace l’ultima giornata di festa.
Mentre ieri tirava un vento gelido che pareva volesse strapparti via le orecchie dalla
testa, oggi è una tiepida giornata di sole.
In questo periodo la mamma e il babbo sono impegnati nei lavori di potatura del
vigneto, e io…che faccio?
Temo che nei programmi dei miei ci sia l’intenzione di portarmi con loro, ma potare è
un lavoro abbastanza noioso; si va tutto il giorno su e giù per i filari tagliando i rami
nati dalle vecchie viti la scorsa Primavera e lasciando al loro posto dei piccoli
moncherini dalle cui gemme nasceranno i “tralci” (questo è il nome dei lunghi rametti
flessibili da cui penderanno foglie e grappoli). Così tento di giocare d’anticipo
proponendo un’ alternativa:
- Mamma, posso andare da Jacopo a giocare, mentre voi siete in vigna? Mi ha detto
che per Natale ha ricevuto un sacco di giochi nuovi e vorrebbe mostrarmeli! Jacopo è un mio compagno di classe che abita nel poggio di fronte al nostro, e noi con
i nostri terreni coltivati a vigneto e noceto arriviamo fino a casa sua, una grande casa
colonica gialla, piena di belle stanze e di divani, di mobili antichi e di quadri (la
mamma di Jacopo infatti fa la pittrice). Da quest’anno inoltre giochiamo nella stessa
squadra di pallavolo, per cui ci frequentiamo più spesso.
- Va bene - mi ha risposto la mamma – a patto che con una così bella giornata non vi
chiudiate in casa, ma stiate un po’ fuori a giocare, magari provando tra di voi i nuovi
esercizi di palleggio che vi ha insegnato la vostra allenatrice -.
Uffa! – ho solo avuto il coraggio di pensare dentro di me - possibile che la mamma
debba sempre trovarmi qualche cosa di ‘utile’ da fare in ogni occasione? –
Per lei il concetto di ‘tempo perso’ non esiste e obbliga sempre tutti (per prima se
stessa) ad usare al massimo ogni minuto della giornata, che inizia immancabilmente
presto la mattina.
A volte sogno di essere Pippi Calzelunghe, che viveva da sola con i suoi animali e
senza nessuno che le dicesse cosa fare!!!
Poi la guardo, mentre è di schiena all’acquaio, con quel suo pancione che la costringe
ad insoliti movimenti da contorsionista per raggiungere il rubinetto o per rimettere le
stoviglie nella piattaia appesa al muro, e sento di essere stato un po’ egoista.
La abbraccio schiacciandomi delicatamente al grembiule umido che le si chiude a
malapena sui fianchi e lei mi bacia sui capelli.
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- Adesso và a prepararti…e porta con te anche Ella. Lo sai che se ti vede andare via
non fa che mugolarti dietro -.
Cambiate le scarpe, stacco il guinzaglio dal suo gancio, in cantina, e mi precipito fuori
fischiando: Ella mi corre incontro scendendo i gradini delle scale a cinque a cinque e
gettandosi al mio collo con la lingua fuori, pronta a mollarmi uno dei suoi umidi
‘baci’.
- Stai giù! – le intimo con voce severa, e lei si prepara di fronte a me, seduta. Le infilo
collare e guinzaglio e ci avviamo verso la collina di fronte da cui vedo già scendere di
corsa Jacopo; ci incontreremo al fosso delle rane, dove d’estate rane e rospi fanno i
loro concerti mentre i cinghiali in branco si rotolano nelle sponde fangose per
ripulirsi dai parassiti. Quando mio nonno Gilberto viveva ancora con mia nonna
Flora, ci venivo spesso e con la sua Land Rover rossa guadavamo il fosso in un punto
dove l’acqua è più bassa: mi diceva che avrebbe voluto farci un vero e proprio
laghetto, con tanto di pesci!
Poi lui un giorno se n’è andato negli Stati Uniti. La mamma e la nonna da allora non
ne hanno più parlato volentieri.
Il nonno però mi telefona spesso; la mamma me lo passa velocemente, e lui mi chiede
come va…a scuola, a pallavolo, a casa…In realtà non so mai cosa raccontargli: vorrei
dirgli tante cose…vorrei che lui mi portasse ancora in giro con la sua Land Rover
rossa, o sulla ruspa, come quando avevo tre anni!
Ogni tanto nella cassetta della posta, che sta all’inizio della nostra stradina sterrata,
trovo una sua busta o un pacchetto per me, come per Natale, ed io mi sento
emozionato e felice.
Chissà, forse un giorno le cose si aggiusteranno.
UNA FAMIGLIA PER ELLA
Questa mattina mi sono svegliato che fuori era ancora buio: Ella piagnucolava ai piedi
del mio letto, come faceva quando era ancora cucciola e voleva venire a dormire con
me, sotto le coperte.
Questa volta però voleva convincermi a seguirla di sotto, in cucina: ho sceso le scale di
legno a piedi nudi e con gli occhi ancora chiusi, ho sbattuto contro una seggiola, infine
l’ ho raggiunta alla porta, mentre lei aspettava impaziente di uscire, annusando forte
dalle fessure.
Quando ho aperto, è guizzata fuori abbaiando e dall’ombra è uscito un cagnolino
sconosciuto: si sono scodinzolati e si sono annusati a vicenda, mentre io tremavo dal
freddo, in pigiama e con i piedi rattrappiti sul cotto freddo della cucina.
- Vieni dentro adesso, Ella! E’ solo un cane. Domani, alla luce del giorno, lo saluterai
meglio!- Le ho urlato sottovoce, per non svegliare i miei (sopratutto mio babbo, che
non è molto paziente con gli animali di giorno, figuriamoci se lo svegliano la notte!),
ma era come se Ella non mi sentisse.
Dietro di me intanto si era ricompattata la mia famiglia: - Mettiti questi – mi ha detto
la mamma porgendomi un paio di calzettoni, mentre il babbo si infilava la giacca e
usciva a recuperare la nostra cucciola, brontolando tra sé e facendo alzare al cielo gli
occhi della mamma.
- Cosimo, ma che ti è saltato in mente di aprire Ella! Lo sai che da qualche giorno è in
calore!- In calore? Si, ma se non so che vuol dire…
- In calore vuol dire che ormai non è più una cucciolina, ma che sarebbe pronta a
trovarsi un marito e ad avere dei cuccioli…E penso proprio che quel cagnolino là
fuori, stasera, le stia facendo una seria proposta di matrimonio! -.
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Mi sono sentito arrossire le guance, per aver avuto bisogno di quella nuova lezione
sulla vita di coppia dei cani! Matrimonio…cuccioli…calore…? Mah, speriamo che per
gli uomini le cose si svolgano molto più lentamente, altrimenti rischio di non capirci
nulla!
Sono tornato a letto confuso dagli eventi e dal sonno, mentre la mamma preparava il
caffè al babbo, che era tornato con Ella al guinzaglio.
Ella ha mugolato fino al mattino: avrebbe voluto seguire quel cagnolino così gentile e
affettuoso, comparso dal nulla, ma qualcuno aveva deciso di no, e lei ora era chiusa in
casa con il suo istinto.
Ho sofferto con lei per molti giorni, per i sui occhi lucidi, per la sua ciotola che
rimaneva sempre piena, per il suo umore sempre più triste; fino a quando, un giorno,
Ella è tornata quella di sempre, giocherellona e interessata alla nostra vita, desiderosa
di uscire, ma non di scappare.
- Mamma, Ella è tornata ad essere la nostra cucciola! - No, Cosimo. Ella ora è adulta, anche se per il momento non sente più l’istinto di
formare una famiglia. Questo istinto si farà vivo ancora in futuro e tanti nuovi
promessi sposi torneranno a farle visita.
- Vuoi dire che formare una famiglia è un’ istinto che hanno tutti gli animali ?- Che hanno tutti gli esseri viventi, noi compresi! Fare una famiglia vuol dire far
sopravvivere al tempo la propria specie. I cuccioli di Ella, se li avrà, porteranno avanti
i geni della sua razza, come del resto tu e Martino porterete avanti la nostra storia di
uomini e donne, così come faranno poi i vostri figli. In fin dei conti, a pensarci bene, anche le piante che spargono a terra i loro semi, lo
fanno al solo scopo di far nascere altre piante simili a loro, per poter essere sempre
presenti su di un campo o in un bosco!
- Ma mamma, io non voglio diventare grande! Voglio rimanere sempre con voi, così
come siamo adesso! - ho detto sconsolato.
- Anche Ella pensava di voler rimanere sempre la solita cucciola, ma come vedi, al
momento giusto, ha cambiato idea e questa notte avrebbe seguito quel cagnolino,
senza pensarci su tanto.
Ci sarà un momento giusto anche per te, lo capirai da solo, e allora sarai pronto a
prendere le tue decisioni importanti. Nel frattempo goditi la tua vita di bambino, che
a diventare adulti c’è tempo! Quando, la sera, il babbo è tornato, l’ ho chiamato in camera mia con la scusa dei
compiti: c’erano alcune cose da ‘uomini’ che volevo sapere.
- Babbo, ma tu come hai fatto a capire che volevi fare una famiglia con la mamma?gli ho chiesto a bruciapelo.
Lui ci ha pensato un’ attimo, come se fosse passato troppo tempo per ricordarselo (ed
in effetti i miei genitori stanno insieme da vent’anni, da quando cioè frequentavano lo
stesso liceo), ed infine mi ha detto:
- All’inizio la mamma ha attirato la mia attenzione per la sua bellezza; quando poi l’ho
conosciuta meglio, ho apprezzato la sua intelligenza e serietà. Così non mi ci è voluto
molto per capire che non dovevo farmela scappare. Siamo cresciuti insieme, e quando
siamo diventati veramente adulti, solo allora ho capito che era lei la donna della mia
vita, e sei arrivato tu. Non so quante delle cose che ho fatto, le abbia veramente decise
io e quante siano accadute così, per caso o per istinto, ma di tutte ora sono felice! - Pensi che troverò anch’io una fidanzata bella come la mamma?- Ho azzardato.
- Ma certo, amore mio – Ha detto la mamma facendo d’improvviso irruzione in
camera mia - se l’ ha trovata tuo padre…- E sono scoppiati a ridere abbracciandosi
forte e lasciandosi cadere dolcemente sul mio letto.
Sembravano due bambini, ed io mi sono unito con gioia ai loro giochi: ero felice di
vedere che anche se la vita li aveva fatti diventare adulti prima e poi genitori, dentro
erano rimasti un po’ quelli di sempre!
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UNA STRANA ECO
Oggi è il 20 Gennaio e sono ormai passati sette mesi da quando abbiamo saputo che la
mamma aspetta mio fratello Martino.
Ieri pomeriggio, lei ed io abbiamo sfogliato insieme un libro che parla proprio di
bambini e dove ci sono delle strane foto fatte a loro prima di nascere, mentre sono
ancora nella pancia delle loro mamme! Nelle prime immagini sembravano tutti
piccoli girini immersi nell’acqua di uno stagno.
Devo dire che mi hanno fatto un po’ impressione.
Più avanti, abbiamo trovato anche la foto di un bambino della stessa età di Martino:
aveva gli occhi chiusi e la pelle che sembrava ricoperta di sapone, teneva le mani con
le dita strette a pugno vicino al viso e le gambe rannicchiate al corpo.
Dalla sua pancia partiva un tubicino arrotolato (la mamma mi ha spiegato che si
chiama ‘cordone ombelicale’) che lo faceva sembrare un’astronauta sospeso tra le
stelle, in missione nello spazio.
Nel libro c’era anche scritto che Martino può già sentire alcuni rumori, ma che la
maggior parte delle sensazioni gli arrivano attraverso la mamma: se lei si spaventa
anche lui sobbalza, se lei è felice anche Martino si rilassa.
E’ per questo motivo che tutti si raccomandano che io non la faccia urlare, altrimenti
avremo un bambino pestifero!
Così per sperimentare questa teoria, ci siamo messi a cantare piano piano una ninna
nanna, una di quelle che la mamma cantava sempre anche a me, ed ha funzionato!
La sua pancia, dopo qualche minuto, ha smesso di ‘bollire’ sotto le spinte dei calci di
mio fratello e si è distesa, sollevandosi ed abbassandosi morbidamente al ritmo del
suo respiro.
Comunque, l’esperienza più straordinaria è quella di riuscire a ‘toccare’ mio fratello
attraverso la pelle della mamma e seguirne i movimenti!
Basta appoggiare una mano sul pancione e aspettare: a volte si sente qualche cosa che
ti sfiora delicatamente, a volte invece ricevi un colpo più forte e se guardi la pelle della
pancia la vedi che si deforma e si stira in tutte le direzioni.
- Ti sta facendo male , mamma? – le chiedo un po’ preoccupato.
- No, figurati…anzi, mi fa il solletico. E poi sono contenta di sentire che si muove,
perché vuol dire che sta bene. Questi per Martino sono esercizi di ginnastica molto
importanti: si sta allenando alla vita che lo aspetta fuori. Anche tu ti muovevi tanto
quando eri dentro di me. Io e il babbo stavamo delle mezz’ore la sera ad ‘ascoltare’ i
tuoi movimenti cercando di capire se quel bozzolo sulla pancia fosse la testa, un piede
oppure una mano. E intanto ci sforzavamo di immaginare il tuo aspetto: sarà biondo
o moro? Avrà i miei occhi o i tuoi? Era una cosa veramente piacevole Anche a me piace stare a sentire la mamma quando parla dei tempi in cui io non c’ero
ancora, e mi sforzo di immaginare come fosse la loro vita senza me e tutto mi sembra
così strano!
- Tra qualche giorno andrò a fare un’altra ecografia- mi ha detto ad un certo punto la
mamma chiudendo il libro – ti va di venire a vedere tuo fratello?.
A vederlo?! Ma come è possibile…Certo, sono curioso ma…vederlo già ora..non mi
farà impressione?
- Si…va bene!- ho risposto alla fine dei miei ultimi, velocissimi, pensieri.
- Molto bene, allora Lunedì prossimo vengo a prenderti un po’ prima a scuola.
Ricordami di scriverti la giustificazione sul diario La mamma si è alzata con un po’ di fatica dalla sedia a dondolo e io sono rimasto lì a
pensare. Lunedì avrei visto Martino per la prima volta, sarebbe stata una giornata da
ricordare!
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Lunedì è arrivato: come stabilito, sono uscito prima da scuola, sotto gli sguardi
invidiosi dei miei compagni a cui avevo raccontato con orgoglio della mia
destinazione di quel pomeriggio.
La maestra, sorridendo più del solito, mi ha accompagnato alla porta, dove la mamma
mi stava aspettando.
- Arrivederci Cosimo…Arrivederci signora e…auguri!- E la porta a vetri si è richiusa
dietro di noi.
Siamo arrivati all’ambulatorio in perfetto orario (la mamma è una sempre
preoccupata di fare tardi) e non abbiamo fatto neanche in tempo a smaltire il fiatone
accumulato per le due rampe di scale, che il dottore ci ha chiamato.
Sapeva già che ci sarei stato anch’ io: mi ha fatto un grande sorriso, mi ha stretto la
mano chiamandomi ‘ometto’ e mi ha preparato uno sgabello vicino ad un grosso
computer.
La mamma si è distesa sul lettino con la pancia scoperta e mentre il dottore ci passava
sopra una specie di ‘mouse’, sullo schermo, in una tempesta di puntini, è apparso
qualcosa.
- Vedi, questa è la testa – mi ha informato il dottore – qui ci sono gli occhi..e queste
sono le mani strette in due pugnetti…Qui c’è il torace con tutte le costole…e qui il
cuore…Senti? Questo è il suo battito cardiaco…E d’improvviso la piccola stanza si è riempita di un forte tam-tam, sommerso in un
rumore di onde del mare: era come se a modo suo Martino mi stesse dicendo qualche
cosa…mi volesse far capire che lui c’era già e che la lontananza tra noi era solo
apparente.
La mamma mi ha guardato, distogliendo lo sguardo dal monitor: anche se la stanza
era quasi buia deve essersi accorta che ero diventato tutto rosso per l’emozione, e mi
ha chiesto se andava tutto bene.
Ho annuito con la testa per dirle di sì, perché le parole non riuscivano a passare dalla
gola strozzata, mentre fissavo lo schermo che si sfuocava sempre più.
Quando siamo usciti, la mamma mi stringeva forte: io mi sentivo un baccalà, ma
presto mi sono ripreso ed ho cominciato a tempestarla di domande, ritornando il
bambino chiacchierone di sempre.
Ella ci stava aspettando in macchina e quando ci ha visto si è messa a saltare tra i
sedili.
L’ ho fatta sedere al mio fianco lasciando che mi inumidisse il viso con un paio dei
suoi baci (sentivo proprio di averne bisogno), mentre con la mano la accarezzavo sul
collo.
Quando ci siamo seduti tutti insieme a tavola per la cena, ho raccontato tutti i dettagli
della giornata al babbo, che per motivi di lavoro non era potuto venire con noi,
cercando di non tralasciare nulla. Anche lui mi pareva emozionato e ha voluto
prendermi in braccio, mentre aspettavamo che la pasta si cuocesse. Alla mamma non
restava che aggiungere qualche dettaglio sulla sua salute e su quella di Martino
riportando le parole del dottore.
Adesso sono a letto. La luce della luna filtra dalla tenda della finestra.
Da lontano mi sembra ancora di sentire quel suono…tam…tam…tam …e quelle onde
del mare...
A presto Martino!
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FEBBRAIO
Febbraio è il mese più corto dell’anno, lo sanno tutti, ma qui in campagna sembra che
non finisca mai!
Le giornate passano lente e fredde, a volte cade una pioggerellina gelata, a volte il
vento soffia forte spazzando le foglie secche mentre il sole, velato dalle nuvole,
scompare ancora troppo presto dietro le colline; anche l’erba spuntata dalle lepri e dai
caprioli è stremata dal ghiaccio.
Gli olivi sono più grigi ed immobili del solito, sul loro vecchio tronco le rughe
sembrano più profonde.
La terra seminata pare pelle nuda, mentre gli alberi nei boschi coprono come peli radi
le colline.
Gli uccellini (passerotti, pettirossi e capinere) si fanno sempre più audaci,
avvicinandosi a casa per rubare qualche briciola, mentre nel bosco gli animali
selvatici lottano in silenzio per superare l’inverno.
I cavalli passano il tempo giocherellando con le pagliuzze di fieno nei loro box,
sbadigliano, si stiracchiano e a volte si nitriscono tra loro per spezzare la noia.
Quando entro nelle scuderie, gli faccio lo stesso effetto che fa a me un cartone
animato quando sono costretto a casa dalla febbre: mi osservano ansiosi, aspettandosi
che li apra o che li delizi con qualche mela o carota, mentre il vapore del loro respiro
si condensa in nuvolette bianche.
Se mi avvicino al loro muso, mi annusano forte tra i capelli, a volte li prendono tra le
labbra, ma non mi fanno male. Vorrebbero solo che io giocassi un po’ con loro!
Poi, quando vedono che me ne sto per andare, diventano nervosi e cominciano a
grattare con lo zoccolo per terra per farmi capire che vogliono uscire.
- Domani il tempo dovrebbe rimettersi al bello – li conforta il babbo mentre spinge a
fatica sul terreno melmoso la carriola piena di trucioli sporchi – Un po’ di pazienza e
potrete uscire di nuovo al pascolo! Allora si rimettono a mangiare, che è l’attività a cui dedicano la maggior parte del loro
tempo!
In questi giorni la mamma sembra più stanca del solito: il pancione è così cresciuto
che fa fatica a respirare anche solo per aver fatto due passi e capita che mi chieda più
spesso di darle una mano. Io ne sono contento perché mi pare di essere diventato più
importante per lei!
Ho imparato a programmare la lavatrice e a stendere i panni, mi rifaccio (quasi) tutti i
giorni il letto e tento di piegare il pigiama bene come fa lei; porto a spasso Ella e mi
sforzo di rispondere sempre di sì, anche se non è così facile!
Anche il babbo si è fatto più premuroso e la sostituisce, nei lavori in campagna, in
tante cose che lei non si sente più di fare, e si meraviglia di come lei riuscisse prima a
fare tutto.
In cambio la mamma, passando molto tempo a casa, mi segue di più nelle miei
impegni: mi aiuta tutti i giorni a fare i compiti e due volte alla settimana rimane
un’ora e mezzo in palestra, seduta sulla panca di legno, a guardarmi mentre mi alleno
a pallavolo.
La domenica invece, alla partita, mi ci accompagna il babbo, che è uno sportivo
accanito. In realtà la sua passione sarebbe il calcio, che ha praticato per tanti anni, ma
si diverte un mondo lo stesso e fa un tifo incredibile (qualche volta anche troppo,
tanto che finisco per vergognarmi un po’ di tutto quell’entusiasmo!).
La nostra vita insomma è già un po’ cambiata, ma non potrei dire in peggio: è
cambiata e basta, e non è stato difficile adattarsi a questo nuovo equilibrio.
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Comincio a pensare di essermi preoccupato forse troppo all’inizio di questa storia:
comunque staremo a vedere.
UN MATRIMONIO CON I FIOCCHI
Domani parto per la montagna. No, non vado in settimana bianca…ancora meglio!
Vado a Cortina D’Ampezzo, famosissima località sciistica delle Dolomiti bellunesi, al
matrimonio di mia zia Eleonora e di mio zio Bernardo, che finalmente hanno deciso
di sposarsi.
Perché a Cortina? Perché mia zia Eleonora (la dovreste conoscere!) è un tipo
moooolto speciale, e sposarsi qui da noi per lei sarebbe stata una cosa troppo banale!
Così ha organizzato tutto per una cerimonia “ con i fiocchi “, nel vero senso della
parola, e invitato i parenti e i suoi amici più cari a questa piacevole trasferta.
Nel frattempo però, la mamma è rimasta incinta di mio fratello, così non potrà venire
ed io ho rimediato un passaggio dalla nonna Flora e dallo zio Matteo, che mi terranno
con loro per quattro giorni. Lo zio mi ha promesso di farmi provare lo snow-board, e
io questa notte me lo sono anche sognato!
Le valigie sono già pronte: lupetti, felpe, calzoni di pile, magliette di lana, calzini
pesanti, guanti, cappello e completo da sci sono tutti ordinatamente impacchettati,
divisi per giorno, luogo, condizione atmosferica ed abbinamento di colore, con tanto
di etichetta con istruzioni scritte, una per ogni sacchetto! Tutta opera certosina di mia
mamma, anche lei un tipo mooolto speciale! Certe volte mi chiedo come facciano ad
essere sorelle!!!
Mia mamma è mora, responsabile, quando andava a scuola otteneva sempre la borsa
di studio; per anni ha frequentato l’università collezionando molti trenta e lode, ma
non è mai diventata architetto, anche se ha mantenuto intatta la passione per il
disegno. Pensate che è passata dai progetti alle illustrazioni per bambini di testi
educativi sul mondo agricolo.
Da quindici anni poi lavora senza sosta, insieme ai nonni e al babbo, nella gestione
dell’azienda agrituristica di famiglia con grande successo.
Come mamma è organizzata ed efficiente, qualche volta un po’ troppo esigente e
spesso brontolona: ma è la mia mamma preferita!!!!
Mia zia invece è bionda, va a cavallo sotto la pioggia, dipinge quadri ed affreschi su
muro, suona il suo pianoforte a coda, fa fotografie in bianco e nero, alleva boxer,
riempie la casa di cesti ed ultimamente confeziona video di scuola di cucina per
stranieri, in cui si fa riprendere mentre, in perfetto inglese, spiega la ricetta per la
pasta fatta in casa!
(Strano perché la pasta, io, l’ ho sempre vista fare a mia mamma, e non a lei!)
Eppure, forse proprio perché sono così diverse, mia zia Eleonora è sempre stata la
mia passione: il suo grande sorriso, i suoi modi così ‘avvolgenti’ (mia zia dà i baci più
rumorosi e gli abbracci più stretti che io conosca) mi hanno conquistato fino da
quando ero piccolissimo. Le sue apparizioni nella mia vita di bambino sono sempre
state radiose, le sue idee su come perdere tempo sempre così vicine alle mie, le sue
attività ricreative sempre così artistiche.
Le zie sono delle figure magiche: appaiono nei momenti più impensati, proponendo
avventure proibite fatte di scorpacciate di torte al cioccolato o ravvivando pomeriggi
piovosi con cinema e pop-corn. Quando sono libere dai loro sempre numerosi
impegni, si dedicano a te anima e corpo, ti fanno rovistare nelle loro borse dal
contenuto variopinto e ti permettono di annusare tutte le boccette di profumo che
affollano le mensole dei loro bagni. Se poi hai la fortuna di essere il loro primo nipote,
ti sommergono di regali strepitosi, tutti quelli che i tuoi genitori ti avevano detto che
non potevi avere: le scarpe da ginnastica ultimo grido, il gioco elettronico uguale a
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quello del tuo compagno di banco, la felpa del tuo colore preferito, che è anche il
colore di moda.
In fin dei conti loro non sono i tuoi genitori, per cui non hanno il dovere di educarti
ad ogni costo, ma di divertirsi e di farti divertire il più possibile nel tempo che
passano con te!
Ad un certo punto ti può capitare di perderle per un po’, perché arriva un cugino o
una cugina, ma non bisogna disperarsi; alla fine hanno sempre un momento da
dedicarti, per abbracciarti e strapazzarti di solletico, in nome dei tanti pomeriggi
passati insieme!
Quando sto con le mie zie per una giornata intera però la sera mi gira la testa e sento
il bisogno di tornare a casa, per buttarmi sul letto a pancia in su e rivivere le
avventure del giorno fino a che non mi si chiudono gli occhi…
Tornando al matrimonio, sono certo che sarà una bellissima festa e che mi divertirò
un mondo a salire e scendere con la motoslitta dal rifugio, dove andremo tutti a
mangiare polenta e capriolo e mille altre specialità di montagna per il ‘pranzo di
nozze’.
Inoltre potrò fare a pallate di neve con la squadra dei nipoti di Bernardo, tra cui anche
il mio amico Niccolò, di cui vi ho già parlato…Se solo fossero potuti partire anche i
miei!
ZORRO, COMPARE ORSO E PETER PAN
Febbraio è ormai alla fine e martedì prossimo sarà l’ultimo di carnevale, anche detto
Martedì Grasso.
‘Ultimo’ perché con martedì si chiudono i festeggiamenti ed inizia il periodo di
preparazione alla pasqua, la Quaresima, periodo di riflessioni e rinunce.
Carnevale è una strana festa: è insieme allegra e triste, gioiosa e agitata e mi ricordo
che, quando ero piccolo, mi faceva quasi un po’ paura.
Tutti gli anni volevo che la mamma mi confezionasse un vestito nuovo con cui
travestirmi, così lei e la zia Silvia si mettevano all’opera, tirando fuori dai rimasugli
della ‘bottega’ di merceria che avevano i miei bisnonni Azelio e Leonia, dei veri
capolavori carnevaleschi fatti in casa. Dalle loro mani e dal lavoro frenetico della
macchina da cucire (che penso abbia più o meno l’età della mia nonna) sono usciti
negli anni una tuta da Dalmata a pois, completa di coda ed orecchie; un vestito ed un
cappello con tanto di sonaglio, in panno verde, da Peter Pan; una pelliccia da orso
fatta di mille striscioline di velluto marrone di varie tonalità ed infine un mantello ed
un paio di calzoni di fodera nera da Zorro.
Il bello era che, una volta finito il vestito, non volevo più indossarlo né andare alla
festa che il circolo ricreativo del nostro paesino mette in piedi tutti gli anni. Ed erano
pianti e urli, tanto è vero che nelle foto di quegli anni ho sempre uno sguardo
corrucciato.
Con il tempo comunque sono cambiato: ho imparato ad accettare la confusione e gli
scherzi degli altri bambini, i coriandoli in bocca e la schiuma da barba sul costume,
così mi sono divertito molto di più.
Uno degli ultimi ‘capolavori’ che io e la mamma abbiamo confezionato, è stato una
copia del ‘cappello parlante’ che avevo visto al cinema nel primo film di Harry Potter.
La lavorazione del nostro cappello è durata pressappoco quanto quella del film: per
prima cosa abbiamo costruito, sulla base della mia circonferenza cranica, una
struttura di cartone rigida, su cui poi abbiamo pazientemente sistemato, strato per
strato ritagli di carta di giornale bagnata alternata a spennellate di colla diluita.
Dopo vari pomeriggi dedicati all’incollaggio, il cappello aveva finalmente assunto la
giusta consistenza: non restava che farlo seccare…ecco…appunto, peccato che
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seccando sia diminuito di almeno due taglie, per cui alla fine non l’ ho potuto
nemmeno indossare!!
Così si è limitato ad occupare per qualche tempo un posto in una mensola della mia
camera. Mi è dispiaciuto molto non averlo potuto adoperare perché era venuto
proprio bene!
Un paio di anni fa invece, abbiamo passato Carnevale in un modo un po’ diverso.
Insieme a Gabriele (un mio amico e compagno di scuola) ed ai suoi genitori, siamo
andati a Viareggio, sede dello storico carnevale, ad assistere ad una delle sfilate di
‘carri allegorici’. Questi non sono altro che degli immensi mostri dinoccolati di
cartapesta dai colori sgargianti che si muovono goffi al suono di musiche assordanti,
sfilando sul lungomare tra due ali di folla impegnata a chiamarsi, fotografarsi,
sgranocchiare dolciumi e ripararsi dal freddo ( che se non piove si fa sentire).
Abbiamo mangiato panini e patatine fritte seduti sulle panchine del corso, in attesa
dell’arrivo dei carri.
Ad ogni boccone il numero delle persone che ci circondavano aumentava finché,
quando finalmente i carri sono arrivati, la folla è diventata una bufera di coriandoli
impazziti che, come sospinti dal vento, vagavano senza meta ora di qua, ora di là, al
loro inseguimento.
C’erano bambini in maschera accompagnati da genitori sorridenti e un po’ annoiati
che sgambettavano dai loro passeggini, mentre un numero ingente di zorri, damine,
uomini-ragno, tartarughe-ninja ed eroi spaziali si inseguivano sparandosi con le
bombolette appiccicose stelle filanti.
Non mancavano poi nonni preoccupati che stringevano per mano nipotini ribelli che
si dimenavano per liberarsi e poter partecipare a quella corrida improvvisata, come
fanno i cuccioli al guinzaglio quando li porti fuori le prime volte.
Seguivano schiere di piccoli in lacrime per scherzi ricevuti o adulti occupati a fare
qualche paternale a figli un po’ troppo irrequieti, venditori ambulanti di ogni cosa e
vigili intenti a mantenere con fatica un minimo d’ordine.
In fin dei conti i carri di cartapesta sono solo una parte dello spettacolo del Carnevale!
Gabriele e i suoi a Viareggio ci vanno tutti gli anni e a più di una sfilata, perché sono
dei veri appassionati: del resto loro lì ci hanno vissuto qualche anno, quando lui era
ancora piccolo, per cui il Carnevale l’ hanno respirato insieme all’aria di mare.
Gabriele ha avuto anche la fortuna di entrare nei capannoni dove costruiscono i carri
e di quella visita conserva in camera sua due trofei a cui tiene molto: una manona
gigante tutta rosa e la testa di un personaggio secondario di non so che carro.
Sarebbe piaciuto molto anche a me vedere come prendono forma quelle statue
immense tra le mani di veri e propri artisti della cartapesta! Altro che il mio cappello
parlante!
Non so ancora se quest’anno mi travestirò o meno, mi sembra quasi di essere ormai
troppo grande per queste cose: penso che lascerò presto il mio posto a Martino … mi
immagino già il figurone che farà indossando il mio costume da Dalmata!
ALLARME RIENTRATO
Nel mese di Febbraio si chiude anche il primo quadrimestre scolastico per cui è
periodo di pagelle!!!
Non che questo mi terrorizzi, ma non mi sento del tutto tranquillo. Ho cercato di
confrontare i miei risultati delle verifiche di grammatica e di geometria con quelli dei
miei compagni, ma non sono veramente sicuro di essere stato tra i migliori.
So di non essere proprio un ‘secchione’, e di essere uscito a giocare qualche volta di
troppo, e così ora non so di preciso cosa aspettarmi.
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In più, le promesse di ricchi premi fatte da zie e nonni, mi fanno sentire più in colpa
che mai!
A volte preferirei che gli altri non si aspettassero sempre tanto da me, che mi
credessero un pochino meno intelligente, un pochino meno affidabile, un pochino
meno maturo, insomma un pochino meno ‘bravo bambino’, così sarebbe più facile
accontentarli!
- Cosimo! Sei pronto? E’ l’ora di andare!- Mi ha urlato il babbo, che per l’occasione
delle pagelle si è preso il pomeriggio libero.
- Arrivo! – Ho risposto dal bagno, mentre finivo di aggiustarmi il ciuffo di capelli ritti
sulla testa con una dose massiccia di gel. Chissà se ci sarà anche l’Eleonora Piccioli,
una mia compagna di classe tutta boccoli e guance rosse, a ritirare la sua pagella…
Mentre uscivo finalmente dal bagno, ho incrociato sul pianerottolo la mamma che
scendeva le scale, infagottata nella sua giacca a vento che non le si chiude già più: mi
ha guardato i capelli ma non ha detto nulla, si è seduta sugli ultimi gradini e mi ha
tirato a se dicendo:
- Ora è tardi per essere preoccupato. Qualsiasi cosa ci sia scritta su quella pagella non
cambierà quello che sei, se mai ti aiuterà a riflettere su quello che potrai fare per
migliorare, se ce ne sarà bisogno, la prossima. – e mi ha baciato sulla fronte.
Come al solito la mamma aveva trovato il modo per mettere a frutto anche questa
occasione e nello stesso momento era riuscita a rassicurarmi e ad impartirmi una
lezione.
Così siamo saliti in macchina alla volta della scuola.
Appena entrati, le gambe hanno cominciato a tremare mentre percorrevo il lungo
corridoio verde, stretto tra i miei genitori come Pinocchio fra i gendarmi!
Le maestre ci hanno accolto in classe sorridendo e stringendoci le mani, dopodiché ci
siamo tutti ‘accomodati’ sulle piccole seggiole che usiamo normalmente noi alunni.
Guardavo le maestre appollaiate su quelle ridicole seggioline parlare di me e mi
tormentavo le mani sudate, mentre la mamma, sotto il banco, mi accarezzava le
ginocchia per rassicurarmi.
Ho cercato di tradurre tra me e me in parole semplici ciò che stavano dicendo ai miei,
ma non era facile, e quando sono uscito non ero proprio sicuro che i miei voti fossero
stati un successone.
Invece mi sbagliavo! La mia era stata una delle migliori pagelle della classe e i miei
genitori non nascondevano la loro soddisfazione!
- Le mastre sono molto contente di te, Cosimo, anche se si sono raccomandate che tu
curi di più la lettura – mi ha detto la mamma, con un certo sorriso compiaciuto.
Anche il babbo pareva orgoglioso di me: con la sua mano ruvida mi ha accarezzato la
testa scompigliandomi i capelli che io con tanta cura e altrettanto gel, mi ero sforzato
di far rimanere dritti sulla testa, passando un quarto d’ora davanti allo specchio.
Insomma, era andato tutto bene…peccato solo che l’Eleonora Piccioli non c’era: avrei
voluto salutarla prima che lei partisse per il mare e magari chiederle se voleva venire
qualche volta da me a fare i compiti per le vacanze, o magari a vedere i cavalli…
Mentre tornavamo a casa, visto che eravamo in tema di studi, mi sono chiesto che
cosa avrei fatto da grande.
Per il momento non ho una vera materia preferita, anche se disegnare è la mia vera
grande passione.
La mamma mi ha detto che più avanti potrò scegliere una scuola dove si imparano
tutti i segreti del disegno e ci si può dedicare solo quello, ma che per il momento devo
continuare a studiare un po’ di tutto.
Intanto, appena ho un po’ di tempo libero, prendo album e matite e mi sistemo sul
tavolo di cucina mentre la mamma indaffarata mi gira intorno, e comincio a
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disegnare: animali, personaggi dei cartoni, velieri tra le onde solcate dai delfini,
astronavi e razzi spaziali guidati da mostri incredibili…
-Mamma, mi disegni tu la zampa di questo cavallo, per favore? L’ ho già cancellata tre
volte!-Ma se sei bravissimo! – protesta lei mentre si asciuga le mani bagnate sfregandole
sul grembiule - Comunque dà qua…ecco…così può andare? E mentre lei è piegata sul foglio, guardo con ammirazione la sua mano scorrere
dolcemente sulla carta, senza incertezze e da quel tratto comparire proprio quella
gamba che mancava.
Ninna nanna d’inverno
Ninna nanna Martino, ninna nanna invernale,
riposa bambino che domani è Natale,
gli Angeli in coro son pronti a cantare
e la neve in silenzio continua a fioccare.
L’inverno è arrivato col suo manto di gelo,
la terra ha tremato di un brivido vero.
Anche l’erba si è tinta di un verde più spento,
gli animali si arrendono ai morsi del vento.
Eppur c’è nell’aria qualcosa di strano,
un cuore che batte, caldo, lontano
che invita ogni cosa a farsi coraggio,
a coglier del sole ogni tiepido raggio.
Il risveglio è vicino, il seme germoglia,
nella pancia Martino si fa sulla soglia,
mentre tutti lo aspettano con un nodo alla gola.
Finita la notte, sorge sempre l’ Aurora!
Ninna nanna Martino, ninna nanna invernale,
Che il mio fratellino possa sognare
Un mondo di pace, di luce e armonia,
un mondo a colori com’è casa mia.
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MARZO
Marzo è un mese famoso perché tutti pensano alla primavera, alle rondini, al sole ai
fiori…ed invece, anche oggi, se ti affacci alla finestra il paesaggio sembra lo stesso di
Febbraio. Ecco, però…appunto…sembra! E proprio nella differenza tra ‘essere’
inverno e ‘sembrare’ inverno, sta il segno della primavera.
Le piante sembrano le stesse, ma se le guardi da vicino, noti che le gemme si sono
ingrossate; gli uccelli sono ancora stremati dagli stenti dell’inverno, eppure si
abbandonano a qualche danza tra i rami; i cavalli indossano ancora il loro pelaccio
invernale, ma si grattano e si rotolano per disfarsene al più presto, mentre si godono i
nuovi fili d’erba che spuntano timidi e chiari e si sdraiano al sole, come se non
volessero perdersi neanche un raggio di quella calda energia che gli è mancata nei
mesi scorsi.
Ella ha abbandonato il trapuntone davanti alla stufa, dove ha pisolato pigramente
tutto l’inverno e adesso corre di qua e di là tutto il giorno, anche sotto la pioggia:
sembra quasi che sappia che questo tempaccio umido non durerà ancora per molto.
La primavera insomma è come una promessa di tempi migliori, e siccome è la natura
a farla, ci puoi sempre contare!
Come posso sicuramente contare sul fatto che in questo mese nascerà anche mio
fratello!
Eh sì, ormai ci siamo! I nove mesi stanno finendo e siamo tutti in fibrillazione.
La mamma ormai ‘dondola’ ( sì perché a vederla muovere non sembra che cammini)
da una parte all’altra della casa, preoccupata che tutto sia pronto per quando dovrà
andare in ospedale: ecco che il freezer si riempie di porzioni di ragù e di non so cosa
altro per quando io e il babbo saremo a casa da soli (premura inutile, tanto poi finisce
come sempre che andiamo a mangiare dalla nonna Paola), la lavatrice sforna di
continuo panni lavati e candeggiati per la gioia del ferro da stiro che spiana a velocità
mai vista chilometri quadrati di pieghe.
- Ricordati di mettere questa maglietta solo con quei calzoni e di rispettare gli
abbinamenti di colore – si raccomanda la mamma mentre impila su di un lato del
tavolo le maglie appena stirate, anche se sa benissimo che tanto approfitterò della sua
assenza per mettermi quello che voglio.
- Ma quanto rimarrai in ospedale? – le chiedo preoccupato guardandola riempire la
valigia con l’occorrente per lei e per i primi giorni di Martino.
- Se tutto va bene, solo pochi giorni, amore mio.
- E potrò venirti a trovare ogni giorno? - Certo! Ogni volta che vorrai. - Anche quando c’è scuola? – E ci siamo messi a ridere di gusto, mentre lei mi invitava
a sedermi sulle sue ginocchia, o almeno sullo spazio rimasto libero davanti al suo
pancione ingombrante.
In questa baraonda di attività tanto particolari, qualche giorno fa, abbiamo tirato giù
dall’armadio le scatole dei miei vestitini di quando ero piccolo piccolo, alla ricerca di
qualche tutina che potesse andare bene anche a Martino.
E’ stato come sfogliare un vecchio album di fotografie!!
Ogni pezzo faceva tornare alla mente della mamma un episodio della mia vita che
pensava di aver dimenticato: - Questa è dovuta andartela a comprare la zia il giorno
che sei nato, perché le tutine che ti avevo portato erano troppo grandi – mi ha detto
stendendo davanti ai miei occhi un microscopico pigiamino di spugna color carta
zucchero. – queste scarpine invece te le ha regalate la zia Eleonora quando viveva
ancora ad Alessandria – e via discorrendo.
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Abbiamo tirato fuori bodini, magliette, pigiami, calzini e accessori di tutte le forme e
colori, ad ognuno dei quali era stato abbinato un immaginario cartellino che, come in
un quadro vivente, conteneva volti e circostanze da ricordare.
E il bello era che in ogni episodio di quel magico guardaroba io ero stato il
protagonista: era a me che avevano regalato qualche cosa, era a me che quelle cose
stavano piccole o grandi…Ed io, accidenti, non mi ricordavo più nulla di quel periodo
grandioso in cui tutti avevano occhi solo per me!!
Non immaginavo che dentro a quelle scatole potessero starci anche tanti pezzi della
mia storia!
Purtroppo quel tempo era passato per sempre, ora era arrivato il turno di Martino e
poco importava se non se ne sarebbe mai ricordato: ora la ‘star’ era lui!
UNO STRANO MAL DI PANCIA
Oggi non andrò a scuola, perché questa notte non ho mai dormito: sono sceso almeno
venti volte per vomitare, anche se ieri sera a cena non avevo mangiato che tè e
biscotti.
- Sarà stato qualche cosa che hai mangiato ieri a scuola, oppure un colpo di freddo…mi ha detto la mamma posandomi la mano sulla fronte per sentire se avevo anche la
febbre. - Scendo a farti una camomilla calda…tu aspettami qui sotto le coperte. Così mi sono goduto tutte quelle premure pensando con dolore che sarebbero potute
anche essere le ultime per parecchi mesi…forse per anni. Ed ecco arrivare un‘ altro
strizzone di pancia.
- Mamma – le ho piagnucolato malinconicamente quando è tornata in camera mia
con la tazza fumante in mano – posso fare a meno di andare a scuola domani? - Non mi sembra il caso di perdere un giorno di scuola per un po’ di mal di pancia
senza febbre. E poi, domani devo andare in ospedale: ho appuntamento con il dottor
Corti per decidere se fare il cesareo o meno. Non posso rimanere a casa. - Potrei venire con te… e poi domani ci sarebbe la supplente per tutta la mattina. Dai,
mamma !!
Lei ha storto un po’ la bocca e ci ha pensato su un pochino, ma alla fine le è scappato
un “va bene, ma adesso dormi”.
Mi ha spento la luce del comodino ed è scivolata via, alla luce blu della luna che
filtrava dalla tenda della finestra.
L’ospedale è proprio uno strano posto: sembra un formicaio impazzito quando
cadono le prime gocce di pioggia di un temporale estivo.
Le persone vanno e vengono per lo più affannate, alcune preoccupate altre sollevate;
qualcuno brontola per il ticket troppo alto, altri chiedono gentilmente informazioni ad
un vetro oltre il quale una signora si sforza di capire quello che vogliono.
Tutti hanno una gran fretta, sgomitano, alcuni ti passano avanti con le scuse più
strane, ma la maggior parte sembra rassegnata al fatto che lì dentro il tempo scorre a
modo suo.
Anche la mamma cerca di affrettare il passo e l’effetto è quello di una grossa anatra
che sculetta in testa al suo codazzo di anatroccoli, solo che di anatroccolo dietro lei ne
ha uno solo, ed anche un po’ cresciutello.
Mi fa cenno di sbrigarmi, mentre io mi soffermo all’edicola per dare un’occhiata
all’ultimo Topolino, così la raggiungo ed insieme entriamo in una piccola sala
d’aspetto, gremita di altre signore ‘panciute’.
Che spettacolo! Ora la mamma non mi sembra più così strana, anche se la sua pancia
supera di gran lunga tutte le altre.
E’ proprio per questo che oggi siamo qui, perché Martino è davvero un po’ troppo
cresciutello ( quando il dottore lo ha misurato nell’ultima ecografia ha detto che era
29
proprio un ‘vitellino’!) per essere partorito normalmente, per cui probabilmente le
dovranno fare un bel taglio nella pancia e tirarlo fuori di lì.
Comunque la mamma non mi sembra poi tanto preoccupata di farsi tagliare, anzi dice
che sarà sicuramente meglio che rivivere l’esperienza fatta con me, che pure ero un
po’ più piccolo di mio fratello.
- Eva! Buongiorno, come stai?– Le ha detto sorridente il dottor Corti, affacciandosi
puntuale come sempre nella sala d’attesa. – Vieni, facciamo le ultime misurazioni e
poi decidiamo; ho chiesto che ci fossero anche alcuni miei colleghi La mamma mi ha chiesto di aspettarla lì seduto, assicurandomi che non avrei dovuto
aspettare molto.
Infatti così è stato perché dopo appena un quarto d’ora il cesareo era già stato fissato:
il ‘vitellino’ sarebbe nato il venerdì seguente, il 12 Marzo.
Che strano modo di nascere, tutto programmato, senza l’ansia dell’attesa; ci si da
appuntamento il tal giorno alla tal ora e via…di lì a pochi minuti nasci, senza dolore
per nessuno, neanche per i parenti che hanno potuto dormire comodamente nel loro
letto, farsi la doccia, vestirsi di tutto punto, prendersi mezza giornata di permesso ed
assistere alla nascita del loro ultimo nipotino aspettando per non più di un’ora
comodamente seduti sulle poltroncine della sala d’attesa.
- Me lo aspettavo che sarebbe stato un cesareo, però devo dire che ora che è stata
fissata anche la data, mi sento un po’ scossa – mi ha detto la mamma uscendo
dall’ospedale, e mi parlava come se fossi stato tanto adulto da poterle dare un
conforto. Così mi sono sforzato di vincere la mia eccitazione e di trovare qualche frase
intelligente e rassicurante da dire:
- Mi pare che venerdì sia perfetto: il giorno dopo il babbo è a casa dal lavoro, io non
ho scuola…verremo a trovarti ogni cinque minuti!- ma subito mi sono corretto – anzi,
‘a trovarvi’.Già, perché dovevo cominciare a pensare seriamente anche a Martino.
E’ NATO, E’ NATO, E’ NATOOOOOOO !!!!!!!
Il ‘vitellino’ è nato ieri mattina, come previsto, e tutto (o quasi) si è svolto secondo i
piani dell’”operazione fratellino” congegnata dai miei e magistralmente interpretata
dai parenti: mancava solo che sincronizzassero gli orologi, come nei film di
spionaggio!!!
Così, come da copione, ieri mattina mi sono svegliato dalla nonna Paola, che mi ha
ospitato per la notte in modo da permettere al babbo di accompagnare l’indomani
mattina di buon’ora la mamma in ospedale.
Alle otto meno dieci ho preso il pulmino e sono andato comunque a scuola, sapendo
che quando fossero giunte notizie dell’ imminente nascita di mio fratello, la zia e i
nonni sarebbero passati a prendermi (avevo già la richiesta firmata dal babbo nello
zaino).
E così è stato: alle 10 la mamma è entrata in sala operatoria dopo una mattinata di
preparativi, mentre io venivo contemporaneamente prelevato da scuola.
Viaggio tranquillo e velocità di crociera sulla grande station-wagon del nonno, con la
nonna Paola intenta a controllare l’emozione che le balenava negli occhi, mentre il
nonno mi sorrideva dallo specchietto retrovisore fumando la sua prima sigaretta da
quando aveva smesso di fumare.
Ormeggiata al parcheggio l’ammiraglia, ci siamo uniti alla zia Silvia e allo zio Luca che
facevano del loro meglio per tenere tranquilla mia cugina che saltellando li
bombardava di domande nel suo idioma quasi incomprensibile:
- Ma doè tzia Beva? Doè Mittino?-
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Abbiamo riempito il primo ascensore disponibile e più salivamo, più era difficile
contenere l’emozione. Finalmente le porte si sono aperte sui volti sorridenti della
nonna Flora e della zia Eleonora, che ci avevano preceduto di poco.
- Allora ci siamo!!! E sono volati abbracci e lacrime, mentre ci dirigevamo verso le sale operatorie nella
speranza di intravedere qualche cosa o di avere qualche notizia dal babbo che era
chiuso lì dentro, con tanto di soprascarpe in plastica azzurre.
Poi finalmente le porte scorrevoli si sono aperte ed è riapparsa la mia nuova famiglia:
la mamma, distesa sul lettino a ruote spinto da una infermiera, sorrideva venendoci
incontro, mentre il babbo le camminava al fianco tenendole la mano libera dagli aghi
e dai tubicini…ma mio fratello dov’era? Ho guardato con aria interrogativa la zia
Silvia, che ha avuto mia cugina da poco, e lei mi ha indicato una specie di carrello per
dolci da cui sbucava una palla di peluria nera…cavolo…quello era mio fratello???
Una specie di piccolo scimpanzé in miniatura dormiva rattrappito in una tutina
azzurra troppo grande per lui, con gli occhi chiusi e l’espressione corrucciata. Le sue
mani erano strette a pugno come le avevo viste quel giorno nello schermo del
computer, ma ora lui era lì, tanto vicino a me che se non fosse stato per il vetro che ci
divideva, avrei potuto toccarlo, sentire la sua pelle, udire il suo respiro lieve, annusare
il suo odore per non poterlo dimenticare più, come fanno tutti gli animali di questo
pianeta!
Ho sentito una fitta forte nel cuore che non dimenticherò, come se l’avessi sempre
conosciuto, ed ho capito che essere fratelli è molto più che somigliarsi, avere i genitori
in comune e vivere nella stessa casa: è sentirsi un pezzo dello stesso puzzle, un
ingrediente di una stessa ricetta, la metà di una figurina rara, il giocatore di una stessa
squadra, il migliore compagno di banco di una vita.
- Cosimo…amore mio…allora, hai visto tuo fratello? Cosa ne pensi? Sei emozionato
vero?- mi ha detto la mamma dopo avermi tirato a se abbracciandomi forte.
Ho annuito imbarazzato tornando tra le braccia del babbo che mi cingevano stretto e
le mani dei parenti che si accanivano su quel che restava del mio ciuffo ingelatinato.
- E’ un incrocio tra una rana e una scimmia pelosa - ho detto io suscitando il sorriso di
tutti – ma penso che mi ci affezionerò lo stesso!
La mamma sembrava felice, anche se un po’ provata dall’intervento e dai postumi
dell’anestesia: tutto era andato bene, Martino era sano e in carne e lei in pochi giorni
sarebbe tornata in forze per occuparsi di lui in diretta e di noi in differita!
Ma ora aveva bisogno di riposare e noi l’abbiamo salutata uno ad uno, mentre mia
cugina cercava di convincere mia zia ad aprire la porta della nursery dove mio fratello
e gli altri neonati riposavano, per dare il suo cicciotto a Martino:
- Voio dae ciuccio a Mittino, senò pange! Questo per quanto riguarda i fatti.Se poi volete sapere come mi sento, beh…mi sento
un po’ confuso!
Questa notte ho dormito con il babbo nel lettone e prima di addormentarci abbiamo
parlato un bel po’:
- Babbo, io vorrei che fossero già a casa!- gli ho detto mentre cercavo un posto
comodo dove appoggiare la testa sul suo petto.
- Anche io lo vorrei, tanto, ma è bene che Martino e la mamma stiano ancora qualche
giorno in ospedale. E poi, non stai bene a casa solo con me?- Certo che sto bene ! – e mi sono stretto a lui come un calamaro gigante.
- Speriamo che nel dormire non ti somigli, perché non so se ce la farei a ricominciare
altri quattro o cinque anni di sonni spezzati.- mi ha detto poi strofinando la sua mano
ruvida sulla mia guancia.
- Ero proprio così rompiscatole la notte?31
- Diciamo che non era facile che tu dormissi da sera a mattina senza svegliarti: una
volta c’erano i mostri, un’altra il piumone spiegazzato, quella dopo avevi il mal
d’orecchi…insomma c’è voluta un bel po’ di pazienza.Abbiamo parlato ancora per un po’, finché il sonno ci ha interrotti con le parole sulle
labbra.
Non ho ricordi di aver sognato, e questa mattina mi sono svegliato con uno strano
sorriso sulla faccia che non se n’è andato nemmeno lavandomi il viso. Ma la cosa
buffa era che anche il babbo aveva lo stesso identico sorriso, e quando ci siamo
incontrati in cucina mi sono messo a ridere.
- Ti sei vestito come ti aveva detto la mamma? Altrimenti ti dice qualche cosa appena
ti vede!- Ha scherzato lui mimandola in una delle sue tiritere che mi guadagno
quando non le do ascolto.
- Signorsì, tutto secondo gli ordini – ho risposto alzandomi i gambuli dei calzoni per
far notare i calzini perfettamente coordinati al resto.
- Bene, allora sbrighiamoci a fare colazione e andiamo a trovarli, che saranno lì ad
aspettarci Ella si è alzata pigramente dal suo tappeto per accucciarsi accanto alla mia sedia: da
ieri cerca la mamma girando per casa un po’ stordita ed ora sembrava chiedermi
spiegazioni di quella strana assenza:
- Non ti preoccupare – le ho detto carezzandola sulle grinze della pelle sopra gli occhi
– la mamma tornerà presto con una sorpresa.
Già, chissà cosa penserà lei di quella piccola scimmietta paffuta!
In camera però la mamma non c’era. Il babbo un po’ preoccupato mi ha detto che
forse era in bagno, ma io ho guardato nella nursery e mancava anche Martino.
- Accidenti ! – Ha esclamato poi, guardando il display del suo cellulare – mi pareva di
averlo sentito squillare, ma poi non ho guardato se mi avevano cercato. Era la
mamma…chiamata non risposta…ore 10.06! In quel momento è entrata un’infermiera dicendoci che Martino era stato portato su
in pediatria, e che la mamma ci aspettava lì.
Il babbo mi ha preso la mano e stringendomela più del solito mi ha portato agli
ascensori. Era silenzioso e si mordeva nervoso le labbra, mentre guardava la luce
verde della pulsantiera in attesa che si aprissero le porte.
- Non ti preoccupare – mi ha detto, ma la sua voce pareva passasse per un vecchio
megafono di latta – molti bambini hanno bisogno di qualche giorno di adattamento
prima che il loro organismo lavori a pieno ritmo Eppure capivo che non era tranquillo.
L’ascensore ci ha scaricati nell’atrio di un altro reparto. Era più pulito e colorato degli
altri e sulle pareti si rincorrevano a grandezza naturale i personaggi delle favole
Disney.
- Aspettami un attimo qui per piacere, guardo se la mamma è qui Ma proprio in quel momento la mamma è comparsa dietro la porta a vetri in
compagnia di un dottore in camice bianco: sembrava stanca dentro la sua camicia da
notte svuotata del pancione e dolorante per la ferita, eppure mi ha sorriso mentre
gesticolava per farmi capire che sarebbe uscita di lì a poco ma che adesso doveva
parlare con il babbo.
Ho avuto paura. All’improvviso mi sono ricordato di quando il chirurgo veterinario
dal quale avevamo portato Cipria, la nostra vecchia cagna boxer, chiamò la mamma in
disparte per dirle che l’operazione non era riuscita e che Cipria si era addormentata
per sempre.
No, non volevo crederci…Martino…eppure…
- Cosimo, mi dispiace…non possiamo andare a trovare tuo fratello perché è sotto una
lampada speciale e deve starci il più possibile. Ha un po’ di ittero, una cosa molto
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comune nei neonati…ma che fai? Piangi? Oh, amore mio…mi dispiace…ti abbiamo
fatto preoccupare! – e tutti e due mi si sono fatti intorno per consolarmi.
- Non puoi toccarlo, ma puoi vederlo dalla saletta qui accanto, perché dove si trova
adesso può entrare solo la mamma – mi ha detto il dottore con un grosso sorriso
rassicurante e mi ha indicato una stanza azzurra, piena di nuvolette e di gabbiani di
legno appesi al muro.
Un grande vetro ci divideva da una sfilza di culle parcheggiate in buon ordine, dove
piccole scimmiette di tante dimensioni si dedicavano alle attività più diverse: c’era chi
dormiva a dispetto di quelli che strillavano a squarciagola, chi poppava in collo alla
sua mamma e chi succhiava il biberon da un’infermiera. Sopra ognuna delle culle
tutte uguali c’era un cartellino colorato in rosa o in azzurro, con il nome del
malcapitato occupante.
Niccolò e Damiano erano due piccolissimi gemellini nati prematuri, che erano da
poco usciti dall’incubatrice; Noemi era una bella bambina dagli occhi a mandorla e il
carnato scuro. Più in là ho trovato anche un Cosimo, nato lo stesso giorno di Martino.
- Visto? Quello lì si chiama Cosimo. In questi giorni ho fatto amicizia con la sua
mamma, che ha partorito insieme a me ed anche con la mamma di Iacopo, quel
bambino laggiù che divide con Martino la lampada. Ed infatti, un po’ in disparte, ecco comparire la testa pelosa di mio fratello, fasciata
con una buffa mascherina: coperto dal solo pannolino se la dormiva beato sotto un
lampadone di luce blu.
Poverino però, mi faceva un poco pena, mi sembrava ancora più piccolo e indifeso.
- Mamma – le ho chiesto speranzoso – tra quanto tornerai a casa?- Tra una settimana penso…per cui vedi di fare il bambino grande e di dare una mano
al babbo con i cavalli…e ricordati di non rimanere indietro con i compiti! Potevo stare tranquillo: era tutto come al solito!!!
Accidenti alla mia ansia!!
Ninna nanna di Primavera
Il sole è tornato giocando nel cielo
Tra greggi di nuvole e vento leggero;
la terra si copre di soffice verde,
il cavallo il suo pelo invernale già perde.
Le api, danzando, vanno in cerca di fiori
da cui cresceranno frutti gustosi.
Ogni cosa in campagna ritorna alla vita
tutti già sanno che la pausa è finita.
Gli animali son presi da danze ed amori,
gli uomini intenti a mille lavori.
La mamma passeggia con me sotto il sole
Martino le dorme leggero sul cuore.
Ninna nanna Martino, nanna di Primavera
carezzi la culla una brezza leggera,
le foglie brillanti ti danzino intorno,
gli uccelli fischiando invochino il sonno.
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APRILE
“ Terzo Aprilante Quaranta durante “
Finalmente un po’ di pace!
Era da un po’ che volevo ricominciare a scrivere, ma qui le cose non girano più come
una volta.
Sono ormai tre settimane che mio fratello ha fatto irruzione in casa, e da allora non si
dorme, non si mangia, non si riescono a fare i compiti, non si può contare su un
passaggio in macchina per andare a giocare da un amico… riesco a malapena a farmi
accompagnare agli allenamenti di pallavolo!!!
Mi chiedo se durerà ancora per molto, altrimenti sarò costretto ad accettare l’invito
dei miei nonni a passare qualche giorno (e qualche notte) da loro in attesa che si
calmino le acque.
In verità, stando a quello che mi ripetono di continuo i miei genitori, Martino non si
sta comportando poi così male, dato che si sveglia “solo ogni QUATTRO ORE” per
essere cambiato e per mangiare, ma per me sono sufficienti per sentirmi ogni mattina
più stanco!
Comunque quando lo guardo non riesco ad arrabbiarmi e mi fa molta tenerezza
mentre agita le mani nell’aria o quando si attacca soddisfatto, con gli occhi chiusi, al
seno della mamma.
Ora ho imparato anche a cambiargli il pannolino e mentre sta disteso sul fasciatoio gli
parlo sottovoce e lui mi fa un mare di smorfie e di gorgheggi; mi hanno spiegato che
ancora la sua vista non è buona, ma io giurerei che lui mi riconosce!
Quando attacca a dormire, non lo svegliano nemmeno i miei amici che con la scusa di
venirmi a chiamare per uscire, si fermano a prendermi un po’ in giro: - Cosimo, hai
già poppato?- oppure - Prima di uscire a giocare cambiati il pannolino!!Ma io non me la prendo poi tanto perché sono veramente orgoglioso di avere un
fratello, anche se per il momento in ‘formato scimmietta’ , mentre molti di loro sono
figli unici.
Solo Federigo mi batte, perché lui ha ben due fratelli ed una sorellina!
Ora però vi devo lasciare, perché si sta facendo tardi e la mamma la sera è più stanca e
nervosa del solito. Le ho promesso di sistemarmi la camera prima di cena e di
scendere alle scuderie con il babbo per dare da mangiare ai cavalli.
A proposito di animali, non siete curiosi di sapere come ha reagito Ella all’arrivo di
Martino?
Bè, liberi di non crederci, ma lo ha letteralmente adottato, eleggendolo dopo una
profonda annusata, a suo cucciolo onorario: adesso sta tutto il giorno acciambellata
sotto alla sua carrozzina e quando lui si sveglia lei ci viene a cercare mugolando, per
avvertirci!
La mamma mi ha detto che è un atteggiamento abbastanza frequente tra le cagne,
quello di essere così possessive nei confronti di un ‘cucciolo d’uomo’, forse perché il
loro pianto è in fondo così simile a quello di tutti i piccoli del mondo!
Così mi sono venuti in mente Romolo e Remo e Mowgli.
Penso che la nostra boxer si stia guadagnando il titolo di Zia Ella!
LA REGINA E IL PASTORE
Aprile è proprio un mese dispettoso: rassomiglia ad un vecchio dispotico che vuole
sempre avere ragione. Se decidi di uscire lui fa piovere, mentre se non te l’aspetti è
capace di elargirti una tiepida giornata di sole.
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Il verde si sta facendo ogni giorno più deciso, mentre qua e là macchie di tenero rosa
rigano le colline: sono i pescheti fioriti e i meli e i peri quasi centenari che sono
rimasti tra i filari di vecchie viti coltivate maritate (così si dice di quelle che non si
sostengono ai fili dei moderni filari, ma a piante vive) oppure ai bordi dei boschi.
Il babbo ha appena finito di potare le milleduecento piante di noci e ciliegi da legno
(quelli che stanno sotto la casa di Jacopo) e la mamma ha messo qualche ramo reciso
in un grosso vaso bianco, da dove hanno appena finito di dare luce alla casa le
giunchiglie e ai narcisi selvatici che io e il babbo avevamo raccolto per lei alla nascita
di Martino, lungo il fosso delle rane.
Ormai anche il nostro frutteto è già tutto in fiore e lo spettacolo è davvero bello: ogni
albero, che solo poche settimana fa sembrava morto, ora è tutto ricoperto di fiori dalle
sfumature diverse di bianco e di rosa e le api si buttano a capofitto in danze sfrenate
indicando alle loro compagne sorgenti inesauribili di nettare e polline.
Già, le api.
Devo confessare che non ne sapevo quasi niente fino a qualche mese fa, quando ho
avuto la fortuna di seguire la mamma in uno dei minicorsi che una sua cara amica, la
Laura, organizza nelle scuole, con lezioni in classe e visite in fattoria per mostrare dal
vivo a bambini e maestre come funziona la vita in campagna.
A questa iniziativa ha collaborato anche la mamma, creando i disegni per un
bellissimo ‘Diario di Campo’ e aiutando la Laura a fare qualche lezione teorica e
qualche uscita.
Così una mattina mi sono aggregato ad una quarta elementare di Borgo S.Lorenzo, ed
insieme a loro abbiamo visitato l’azienda e il laboratorio di un’ apicoltore, cioè di un
allevatore di api.
Dopo averci fatti sedere tutti intorno a lui, Luca (questo il nome del nostro ‘maestro
per un giorno’) ci ha mostrato con molta pazienza tutti i suoi ferri del mestiere: la
maschera e la tuta per proteggersi dai fastidiosi pungiglioni e il soffietto per fare il
fumo che stordisce leggermente le api, cosa indispensabile per poter mettere le mani
dentro le loro casette di legno(le arnie) fatte dall’uomo, di cui ci ha mostrato la
struttura, semplice ma nello stesso tempo geniale.
E mentre spiegava, ogni suo gesto ti faceva capire quanto lui ci tenesse a quel lavoro, e
quanto ammirasse le sue api per tutto quello che sapevano fare e quanto fosse a loro
grato.
Ma la cosa più emozionante è stato poter vedere le api da vicino!
Luca e sua moglie hanno infatti appositamente costruito un riparo per i bambini da
dove, attraverso un grande vetro, puoi vedere le api che lavorano e l’ape regina che
dirige indisturbata il suo reame fatto di migliaia di api operaie!
E il bello è che non sono in gabbia loro (come allo zoo) ma sei in gabbia tu e loro
libere, come dovrebbe essere se vuoi veramente capire come si comportano gli
animali. Mentre ci spiegava come funzionano i rapporti tra le api, le loro diverse
mansioni, i loro cicli riproduttivi, le api gli si posavano addosso e lui diceva che lo
facevano per avvisarlo che lo avrebbero sopportato ancora per poco.
Altro che le tigri dei circhi: quelle sì che erano spiriti liberi!
Insieme poi lo abbiamo seguito nel laboratorio, dove, grazie ad una centrifuga, estrae
dalle piccole celle di cera il miele così come lo hanno deposto le api. In seguito lo
lascerà maturare per ripulirlo dalle impurità, per poi confezionarlo in graziosi vasetti
di vetro.
Prima di salutare Luca e i bambini, la mamma ha comprato due barattoli di miele,
uno di acacia ed uno di castagno, scegliendoli tra i quattro o cinque tipi diversi che
Luca produce durante l’anno.Ce ne era anche uno dal nome buffo di millefiori, che è
quello che si fa nel periodo in cui ci sono talmente tanti fiori in giro che le api vanno
un po’ da tutti a prendere il nettare.
- Assaggiali e sentirai che differenza!- mi ha detto Luca dandomi un pizzicotto sulla
guancia.
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In verità pensavo che scherzasse, il miele è miele mi dicevo, ma quando a casa è
arrivata l’ora della merenda ho appoggiato sul tavolo i due barattoli, mi sono tagliato
due fette di pane ed ho cominciato ad osservare: intanto il colore non era lo stesso, il
miele di acacia era decisamente più chiaro mentre quello di castagno appariva più
scuro (ambrato mi ha suggerito la mamma) e più denso tanto che il primo, una volta
spalmato sul pane colava dai buchi, mentre il secondo rimaneva più o meno al suo
posto.
I sapori poi erano del tutto diversi!
- Assaggia prima l’acacia e poi il castagno, ma vedrai che a te piacerà di più il primo,
perché il secondo è un po’ forte e si sposa meglio con una fettina di formaggio che con
il pane della tua merenda- mi ha spiegato la mamma mentre assisteva alla mia piccola
degustazione, pronta a darmi ogni supplemento di informazioni.
Alla fine del bicchiere di latte in effetti sul piatto è rimasta una buona parte della fetta
più scura che è finita immancabilmente tra le fauci di Ella che ha visibilmente gradito,
anche senza fettina di pecorino!
A proposito di pecorino!
Oggi la mamma si è battuta d’improvviso il palmo della mano sulla fronte ed ha
esclamato:
- Acc… per domenica avevo pensato di mettere in tavola una forma di pecorino fresco.
Potresti fare tu un salto da Marco a prenderne una piccolina? Puoi andarci in
bicicletta, oppure senti il babbo se ti accompagna, e già che ci sei, vedi se per caso ha
anche un po’ di ricotta per i ravioli.- Potrei andarci con il babbo e fermarmi un po’ a giocare da lui?- Le ho chiesto
miagolando come faccio sempre quando voglio strapparle un sì.
- Se non fai storie quando torniamo a prenderti…d’ accordo .Sono volato in camera a prendermi il k-way, la mamma mi ha messo in mano i soldi
per il pecorino e il contenitore per la ricotta e il babbo ha fatto manovra con la
macchina.
Marco non abita che due colline più in là (una in più di Jacopo); il suo babbo alleva le
pecore di razza sarda, come del resto faceva il suo nonno, e la sua mamma, la Lorella,
manda avanti la mungitura ed il laboratorio di trasformazione. In uno dei suoi cicli di
lezioni, la Laura ha portato da lei varie classi, perché vedere fare il formaggio è molto
interessante, anche per i più piccoli.
Marco, avvisato del nostro arrivo, ci aspettava sul cancello: è un bambino cordiale e
sorridente, ma allo stesso tempo sa essere serio e competente in quello che è il
mestiere di tante generazioni della sua famiglia.
Ho lasciato nelle mani del babbo i soldi e il canestro per la ricotta, in modo da non
perdere nemmeno un minuto di gioco, e l’ho salutato mentre già correvamo verso
l’ovile a vedere gli agnelli prima che il sole calasse del tutto.
Sul filo spinato che regge la rete del grande recinto, tanti piccoli batuffoli di lana e di
crine sventolavano al vento radente, rassegnati a trascorrere lì appesi chissà quanti
altri inverni.
La sera, quando sono tornato a casa, la gialla forma di pecorino riposava, già lavata,
nella moscaiola (un stipetto appeso al muro tipico delle cucine coloniche, che al posto
dei lati in legno e del vetro dello sportello ha delle pareti in rete fittissima, fatte
appunto per non far passare le mosche). Ne sarebbe uscita solo per il pranzo di
Pasqua, vicina al famoso barattolo di miele di castagno o magari con qualche
prematuro baccello (da noi baccelli di fave, sale e pecorino sono un abbinamento
tradizionale).
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TRADIZIONI RISPETTATE
Eccoci ormai alla Pasqua e, come vuole la tradizione, oggi piove a dirotto !!
Del resto è piovuto il tre di Aprile per cui, come dice il proverbio che ho scelto per
rappresentare questo mese, del sole non se ne parlerà per almeno quaranta giorni!
Ma per fortuna la tradizione verrà rispettata anche in tutto il resto: innanzi tutto le
uova colorate, poi il pranzo tutti insieme con tanto di uovo sodo benedetto, infine
fiumi di cioccolato e regalini per i più piccoli, che quest’anno sono tre!
L’unica cosa che mancherà a casa nostra sarà l’agnello, che la mamma si rifiuta tutti
gli anni di mettere in tavola, perché dice che è una crudeltà!
Anch’io sono d’accordo, e penso che molti altri la penserebbero come noi se potessero
vedere in questa stagione dalla finestra della propria camera, come faccio io, gli
agnellini candidi che saltellano in coppia dietro la loro mamma, e potessero sentirla
mentre li chiama con un lungo belato malinconico non appena spariscono alla sua
vista.
- Mamma, mi aiuti a bucare il guscio delle uova per piacere, così posso svuotarle e poi
dipingerle nel pomeriggio – le ho detto questa mattina mentre facevo colazione un po’
più tardi del solito perché sono già cominciate le vacanze pasquali.
Ma lei non deve avermi sentito perché aveva le palpebre socchiuse davanti alla tazza
fumante di caffellatte.
- Come hai detto? Scusami ma questa notte ho dormito veramente poco e mi devo
essere appisolata per un momento!- Dicevo se pomeriggio possiamo dipingere insieme le uova- le ho riassunto, ma già
capivo che avere il suo aiuto non sarebbe stato facile. Sarebbe stata la prima Pasqua
con uova decorate solo da me!!
Intanto lei si era già alzata per salire di corsa da Martino che l’aveva chiamata a modo
suo attraverso quella specie di Walkie-Talkie azzurrino che fa sembrare il suo pianto
ancora più disperato di quanto non sia.
Mi sono avvicinato alla madia, su cui sta appoggiata quella specie di radiolina, e mi
sono messo ad ascoltare: prima il pianto…poi i passi sull’assito scricchiolante…quindi
il silenzio…un risolino compiaciuto…tante coccole dolci sussurrate…qualche sciocco
di bacio…poi un lungo BZZZZZZZZZZZZZZ.
La diretta si era bruscamente interrotta ed i miei occhi improvvisamente annebbiati.
Ho pensato rabbioso che forse avrei avuto più successo se avessi fatto le mie richieste
urlando attraverso quell’aggeggio!
Era meglio che uscissi a prendere un po’ d’aria, anzi…un po’ d’acqua.
‘Lei’ non si è nemmeno accorta che uscivo senza giacca: per fortuna per Ella invece
esisto ancora, per cui non ha esitato un momento a seguirmi, felice che qualcuno
rischiasse un raffreddore per uscire con lei.
Ho sbattuto la porta e ho cominciato a correre giù tra gli olivi, mentre le gocce di
pioggia mi bagnavano mescolandosi al sale delle lacrime, e più correvo più avevo
voglia di correre e di volare via, come fa la poiana al mattino che si butta dal crinale
verso valle sfiorando le cime di quegli stessi olivi e poi risale lentamente stendendo le
sue ali possenti, osservando la terra rimpicciolirsi sotto di se.
Invece ho finito il fiato davanti alle criniere imperlate di goccioline di Filosofo e
Moritz, che mi guardavano perplessi affacciati alle loro tettoie, pronti a scappare se
avessi dato cenni di ricominciare quella mia folle corsa.
Invece ho dato un calcio ad una pozzanghera e, avvilito, sono risalito verso casa.
Al diavolo le uova colorate; quello che non mi andava giù era che le mie esigenze non
contassero più nulla.
- Ma dove sei stato? Senza giacca poi…vuoi prenderti qualche cosa proprio ora che
siamo finalmente tutti insieme a casa? Vieni a sederti davanti alla stufa che prendo un
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asciugamano e una felpa asciutta- mi ha urlato la mamma dalla porta a vetri della
cucina vedendomi tornare sotto la pioggia.
Così mentre mi toglievo le scarpe piene d’acqua, lei è salita in camera, questa volta
per me.
UNA SCATOLINA DI VELLUTO BLU
Questa mattina, Domenica di Pasqua, stranamente il tempo non è poi così male: il
cielo sembra una grossa coperta fatta di toppe di stoffe a colori diversi e tira un bel
vento che pare di essere al mare.
- Non durerà – Ha sentenziato la mamma sbadigliando mentre riorganizzava le idee
sul da farsi per il pranzo, in attesa che la nonna Flora scendesse da noi per darle una
mano.
Di lì a cinque minuti Creola (la boxer da tartufi di mia nonna che è il triplo della Ella
perché lei le da troppo da mangiare) è comparsa al vetro della porta finestra di cucina,
segno che la nonna, cui lei è attaccatissima, soprattutto da quando ha perso la sorella,
non era lontana.
Infatti eccola comparire con il suo smanicato imbottito da cui spuntava un bel
maglione di lana fatto a mano, comprato in uno dei suoi leggendari viaggi in Irlanda.
Eh già, perché il grande sogno della nonna Flora è quello di affittare un piccolo
cottage proprio sulle sponde irlandesi dell’oceano, dove passare qualche mese
durante l’anno a dipingere e scrivere libri. Pensate che in Irlanda c’è già stata cinque
volte ed in uno di questi viaggi l’abbiamo accompagnata anche io e la mamma. Che
spettacolo! L’Irlanda è piena di paesaggi bellissimi e anche molto diversi tra loro se la
si gira tutta. Mi ha già detto che se sarò promosso con dei bei voti mi ci porta anche
quest’anno, non insieme alla mamma, che è impegnata con Martino, ma con mia zia
Eleonora (il che è garanzia di divertimento!).
- Ciao Cosimo! Anche tu sei già alzato? Buona Pasqua, amore bello!- e mi ha dato un
bacio sulla guancia.
- Buona Pasqua anche a te, nonna – e, dopo averle reso il bacio sulla sua guancia
ancora fresca, ho lasciato libero il tavolo, prossimo laboratorio per ravioli, sughi e
tortini.
- Buon lavoro! Io torno in camera a fare un po’ di compiti – ho annunciato con fare
serio.
- Ottima idea - mi ha detto la mamma che è sempre visibilmente contenta quando do
prova di sapermi ben destreggiare tra i miei doveri – ma ricordati di scendere in
tempo se vuoi apparecchiare: vorrei che fosse tutto pronto prima che arrivino gli altri.
Poi, visto che sali dai un’occhiata se il babbo e Martino dormono ancora…Sono salito cercando di non far scricchiolare la scala sotto il mio peso per non
spezzare l’incanto: mio fratello finalmente dormiva dopo averci fatto passare una
notte quasi in bianco mentre mio babbo russava leggermente, sdraiato sul letto con
una mano ancora attaccata alla culla.
Ho fatto dietro front e mi sono chiuso in camera, ma… i libri potevano aspettare!
Senza fare rumore ho tirato fuori dall’armadio una grossa scatola di cartone, dove
tengo i calzini invernali, e l’ho appoggiata sul letto: ho infilato la mano sicuro di
trovare quello che cercavo, ed infatti ne ho presto tirato fuori un piccolo cubo di
velluto blu. L’ ho appoggiato con delicatezza sul tavolo e l’ ho aperto lentamente, per
vederlo ancora: che bell’anello! Era il regalo che io ed il babbo avevamo scelto per la
mamma, come ricordo per la nascita di mio fratello. Alla luce della mattina sembrava
brillare ancora di più e prendere i colori del cielo.
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D’improvviso ho sentito uno scricchiolio ed ho temuto di aver rovinato la
sorpresa…un rumore alla mia porta che si è aperta e … Ella ha infilato il suo muso
rugoso in camera facendomi tirare un sospiro di sollievo.
- Vieni qui – Le ho detto battendomi la coscia – Tu che sei una donna, cosa ne pensi
di questo?- e le ho fato annusare ridendo sottovoce il prezioso cofanetto.
Sotto il suo sguardo pigro, ho confezionato il pacchetto con della bella carta colorata,
mi sono quasi portato via una falange per arricciare il nastro con le forbici e mi sono
messo al lavoro per preparare un bigliettino degno del regalo che accompagnava.
Ho fatto tre montagnette di briciole di gomma da cancellare sulla mia scrivania
prima di ottenere quello che volevo, ma adesso, distesa sul foglio c’era tutta la mia
famiglia, sorridente e variopinta, che augurava “Buona Pasqua a tutti” e “benvenuto”
a Martino.
Nel frattempo però avevo fatto tardi: l’ora di apparecchiare la tavola era già passata,
mio fratello si era svegliato ed era già stato incartato in una tutina più ricamata del
solito e dalla cucina giungevano già le voci degli altri parenti invitati.
Ovviamente era Martino a tenere banco, passando tra le braccia di zie e nonne come
preso dal ritmo di un valzer viennese.
Mi ci sono voluti ben due colpi di tosse perché tutti si accorgessero di me. Intanto il
dado di velluto attendeva il suo momento nella tasca del mio gilè di pile nuovo, regalo
della zia Eleo al ritorno da Cortina.
Al momento opportuno avrei fatto trovare il regalo alla mamma e mi sarei goduto in
prima fila il suo stupore!
Il pranzo è iniziato tra mille chiacchiere e mia cugina che faceva traballare tutto
saltando sul suo seggiolino appeso al tavolo. Alla fine i soliti schieramenti: uomini alla
stufa e donne all’acquaio, cosa che fa imbestialire non poco la mamma e che quindi in
casa nostra non succede mai, ma che oggi ha sopportato di buon grado, dato che
l’esercito di donne tuttofare era veramente poderoso.
Ed io che ovviamente non sono una donna di casa, ma nemmeno un uomo da divano,
sono rimasto seduto a guardare. Sembrava che in cucina fosse entrata Mary Poppins:
piatti, bicchieri, posate, pirofile e tegami roteavano per la stanza fino a raggiungere il
proprio posto, mentre spugnette insaponate distribuivano abbondanti porzioni di
schiuma profumata ovunque. In men che non si dica tutto è tornato a posto…
- Ma questo tegamino non lo avevo appena messo via – ha sussurrato la mamma
mentre tirava su dallo strofinaccio disteso sul tavolo un vecchio pentolino di
alluminio, rivolto in giù per scolare. E nel farlo è apparso il mio pacchettino colorato.
La mamma mi ha guardato, interrogativa…poi deve aver intuito ed ha rivolto lo
sguardo in cerca di quello del babbo, che era già fisso su di lei da molto tempo; si è
asciugata meglio le mani sul grembiule, più per prendere tempo che perché fossero
veramente bagnate, ed ha finalmente aperto il suo regalo.
Non è riuscita a dire nulla, anche se giurerei di aver sentito un – Che pazzia !-, ma ci
ha stretto entrambi forte a se.
- Ti ricordo che sono anche vent’anni che stiamo insieme…forse valeva la pena di
festeggiare entrambe le cose con un regalo un po’ speciale! Devo dire che anche il mio bigliettino ha riscosso un grande successo, rafforzando la
mia idea di dedicarmi in futuro all’arte del fumetto.
Beh, il resto della giornata è trascorso pigramente tra pezzetti di uovo di cioccolata sul
divano e qualche tentativo di uscire nella corte a fare due tiri con il pallone tra una
goccia di pioggia e l’altra di una giornata che volgeva ormai decisamente alla fine.
Ora sono seduto sul divano con il diario appoggiato sulle gambe incrociate: Ella è qui
davanti a me e dorme russando così forte che faccio fatica a pensare (sarà colpa di
tutta la cioccolata che è riuscita a farsi dare corrompendo gli invitati con i suoi occhi
umidi).
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Martino e la mamma sono a letto, in attesa dell’ora giusta per la prossima poppata e il
babbo sta facendo l’ultimo carico di legna nella stufa, in modo che il suo tepore si
prolunghi per la notte. E’ l’ora di andare a dormire.
Buona prima Pasqua Martino!
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MAGGIO
“ Mìgnole di Maggio dell’olio un’assaggio “
Maggio è un mese brillante: finite le piogge abbondanti di Aprile, sembra che ogni
pianta voglia sfoggiare la sua livrea più sgargiante. Nei campi il grano è già verde
scuro, i prati promettono un fieno fitto e nutriente e le foglie degli alberi, ormai
cresciute, nascondono piccolissimi frutti in miniatura che cresceranno e matureranno
al sole dei mesi a venire.
Anche i cavalli luccicano al sole, perché sono ormai coperti dal solo pelo estivo, rinato
dal mantello ispido e fitto che hanno perso con fatica, grattandosi agli alberi o
rotolandosi nel fango.
Gli insetti si contano a mille controluce, poco prima del tramonto che ormai segna
anche l’ora di cena. Anche le formiche sono tornate all’attacco e cercano con ogni
mezzo di entrare in casa e cacciarle è un’ impresa vana: tanto vale aspettare con
pazienza che passino questi venti giorni e spariranno d’improvviso, come
d’improvviso sono comparse.
La mia bisnonna di Treviso dice sempre che Maggio è il mese della “Madonna e delle
rose”, che infatti iniziano a sbocciare copiose in ogni angolo, ma c’è un altro fiore che
nei nostri giardini non manca mai e proprio in Maggio cresce con una velocità
impressionante: l’iris florentina.
Oltre alla versione da giardino, dai fiori grossi e variopinti, fino a non molti anni fa i
contadini ne coltivavano sul bordo dei boschi o sul ciglio dei muretti, una varietà più
rustica, dal fiore viola chiaro, quasi azzurro, chiamato giaggiolo (iris pallida) del
quale raccoglievano poi la radice (detta rizoma).
Dopo la raccolta, la radice veniva mondata (cioè privata della buccia superficiale) a
mano e poi fatta asciugare al sole e venduta ai grossisti (giaggiolài) che lo spedivano
in Francia, in Inghilterra e perfino in Cina per profumare il tè. Cosa che per l’epoca
era veramente una grande impresa!
Veniva usato in cosmetica ed in farmacia, ma con il tempo questo mercato si è
esaurito.
La nonna Paola mi ha raccontato che, tutte le estati, era normale vedere le donne
delle grandi famiglie contadine, quelle che per motivi diversi non erano adatte ai
lavori più pesanti dei campi, riunirsi nelle aie o sotto la loggia delle case coloniche,
sedute su basse seggioline a pelare con un coltellino dalla punta uncinata(roncolino)
queste piccole patate allungate e rugose (gallòzzole) precedentemente messe a mollo
in una bigoncia e poi trasferite in una cesta. Anche la mamma se ne ricorda ancora.
Il lavoro proseguiva poi con l’essiccatura al sole, su stuoie o cannicci, che tutte le sere
venivano ricoverati per non raccogliere l’umidità della notte.
Peccato che tante cose non esistano più, anche se ne sono arrivate tante di nuove che
hanno reso la vita in campagna meno triste e faticosa di un tempo.
- Ci mancherebbe solo una bella balla di giaggiolo da mondare stasera…- mi ha detto
la mamma sbuffando con una cesta di panni sporchi da infilare in lavatrice – o di fare
il bucato con la cenere nel bollitore a legna!Non ho replicato, ma so che anche a lei dispiace che certe cose si stiano perdendo, del
resto non è forse anche per questo che viviamo qui?
PASSEGGIATE MIRACOLOSE
Con le giornate che si sono fatte più calde e i suoi due mesi, la mamma ha cominciato
ad inserire una lunga passeggiata nella dieta di mio fratello: dice che il sole ai bambini
fa meglio di tante vitamine in gocce!
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Così, dopo pranzo, ce ne andiamo a spasso noi tre soli (perché il babbo è al lavoro) per
i campi o nel sentiero che attraversa il bosco e in questi momenti tutto mi sembra
tornato come prima, se non fosse per quel fagottino imbottito che se la dorme tra le
braccia della mamma.
Si parla di me, della scuola, degli amici, della stagione di pallavolo che sta per
finire…ogni tanto ci sediamo, perché la mamma deve riprendere fiato e perché, dice
lei, che se suda troppo senza bere finisce per avere meno latte per Martino.
Anche Ella è tutta contenta e ci trotterella intorno accennando ogni tanto ad annusare
il terreno con forza, come fa quando è a ‘caccia’ di un bel tartufo.
- Vedi, vuole farmi capire che non vede l’ora di iniziare la stagione di raccolta: solo
che io quest’anno sarò un po’ fuori forma! Penso che dovrai portarcela tu qualche
volta, altrimenti perderà allenamento e ‘mestiere’ - mi ha detto la mamma indicando
la nostra boxer alle prese con una carica di formiche che le stavano pizzicando
agguerrite il muso, disturbate nel loro formicaio dal suo naso invadente.
Abbiamo riso di gusto, ma le risate hanno svegliato Martino dal suo torpore: la
mamma ha dato un’occhiata all’orologio e, fatti due calcoli velci, ha stabilito che era
l’ora di rientrare perché quel risveglio era probabilmente il frutto della fame.
Con un fischio ho richiamato Ella che, ci ha raggiunti al piccolo trotto con la testa alla
stessa altezza delle spalle ed il codino basso, come fa quando è visibilmente delusa.
- Ti ci porterò io a cercare i tartufi, non ti preoccupare…- e già mi immaginavo con lo
zappetto (una piccola zappa che il babbo ha creato appositamente per la mamma) in
mano e il gilè con le tasche piene di crocchette, il premio che Ella si attende per ogni
tartufo trovato.
Quando mi sono affacciato in cucina, la mamma non c’era già più. Era salita in
camera a cambiare Martino e ad allattarlo: meglio approfittarne per stare un altro po’
fuori, prima che, tornando tra noi, mi chiamasse a fare le lezioni.
- Chissà se le uova sotto la chioccia si sono già schiuse…- ho pensato. Valeva la pena
fare un salto nel pollaio per dare un’occhiata.
Ho aperto il cancellino di legno del loro recinto e il nostro piccolo stormo di galline
variopinte mi è piombato sui piedi tra beccate reciproche date per stabilire chi
dovesse stare in prima fila: ‘Furbina’ che è la leader tra loro, le ha messe tutte in riga,
mentre il gallo, un po’ discosto, fissava Ella al di là della rete, sapendo per istinto che
‘lei’ rappresentava il pericolo.
Mi sono tolto dalla tasca il torsolo della mela che avevo mangiato a merenda e gliel’ho
buttato più in là, in modo da poter entrare indisturbato nella loro casetta di legno,
dove, da più o meno quaranta giorni, sta volontariamente in esilio su di un comodo
covo di paglia, la piccola chioccia mugellina, che è una razza di piccole galline dalle
penne multicolori che sono particolarmente brave nel covare le uova e nell’accudire i
pulcini, anche di altri volatili.
Mi sono avvicinato a lei lentamente, parlandole sottovoce e con delicatezza l’ho
accarezzata sulla schiena, mentre gonfiava per istinto il suo piumaggio, per farsi
vedere più grossa ed agguerrita possibile, emettendo un sommesso brontolìo. Ho
aspettato che lei mi accettasse ed ho alzato con una mano le sue morbide piume,
tremando un po’ all’idea di una sua fulminea beccata, e…piiiii…piiii…piiiiiiiii. Da
sotto un’ala è spuntato un microscopico pulcino dello stesso colore della mugellina.
La beccata è arrivata ed io ho capito che il mio tempo di visita era scaduto!
Sono uscito richiudendo con cura la porta, ho cambiato l’acqua agli altri inquilini del
pollaio ed ho urlato la bella notizia alla mamma, uscita in quel momento a tirare su i
panni dal filo.
- E’ nato uno dei pulcini e mi pare che anche le uova della gallina nera si stiano
schiudendo!- ho riferito trafelato.
- Era l’ora, poverina! Cominciava a fare troppo caldo per rimanere ancora chiusa tutto
il giorno lì dentro.Vai a prendere la lampada e prepara la scatola con il maglione di
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lana che ho messo da parte; io intanto vado a prendere il pulcino - mi ha ordinato
abbandonando sul muretto i panni asciutti e dirigendosi verso il pollaio. Ne è tornata
subito dopo con le mani giunte con Ella che le saltellava intorno, molto incuriosita dal
sommesso pigolìo che ne usciva; le ho aperto la porta chiudendo la cagna fuori e lei si
è chinata per depositare in quella artigianale ma efficace incubatrice, quel piccolo
scricciolo pennuto, che dopo aver fatto finta per un attimo di essere morto, ha
cominciato a reclamare a gran voce qualche cosa che somigliasse alla sua mamma.
Così la mia le ha sistemato intorno una manica del maglione e con il polsino gli ha
coperto la testa, mettendolo pian piano tranquillo.
Questa è un’operazione che si usa fare con i pulcini via via che escono dall’uovo, in
modo da impedire che la chioccia, presa dalla frenesia di occuparsi di quelli già nati
ed asciutti, smetta di covare quelli che ancora hanno bisogno dal suo calore per uscire
dal loro guscio.
Quando poi tutti sono nati, vengono subito rimessi sotto la chioccia che inizia così la
sua nuova fatica di madre-maestra.
E’ bello vedere come la sua scolaresca fatta di grandi pulcini gialli e piccoli scriccioli
marroncini, segua attentamente le sue lezioni: questo si mangia e questo no…questo
va preso al volo e questo scovato sotto terra…qui si beve e in questa polvere si fanno le
pulizie…E tutti a fare le stesse cose!
C’è però una cosa che nessuna gallina è mai riuscita ad insegnare ai suoi pulcini: come
scappare alla volpe.
Mi ricordo che una notte d’estate si è intrufolata non so come nel pollaio, lasciandoci
solo il grosso gallo nero ( che nella lotta ci ha lasciato tutta la sua bellissima coda) ed
una coppia di mugelline che erano solite dormire sui rami di un albero.
Ricordo anche che io e la mamma abbiamo pianto e lei aveva giurato di non volerle
più tenere, ma poi ha cambiato idea, anche se vive nel terrore che succeda di nuovo.
Per qualche tempo la volpe l’ ho odiata, poi una sera ci ha tagliato la strada mentre
con il babbo tornavo dagli allenamenti: ci ha fissato con le sue orecchie grandi e
appuntite, magra sotto il suo pelo rossiccio, spaventata nel cono di luce di luce dei fari
che la abbagliavano. Ho pensato ai suoi piccoli che probabilmente la stavano
aspettando affamati in una delle tante tane che ci sono nel bosco, e alla fine che
avrebbero fatto se lei , quella sera, non fosse tornata a casa.
Non era cattiva, era solo la sua sopravvivenza e quella dei suoi piccoli a farla agire
così. Era una delle leggi della natura ed io dovevo incominciare ad accettarle!
IL CIUCCIO
Domani si inizia il taglio del fieno maggese, così detto perché, appunto, si fa di
maggio, quando l’erba è più fine e ricca di sostanza nutrienti per gli animali.
Sono diversi giorni che il babbo dedica il dopocena ad ingrassare e mettere a punto gli
arnesi che gli serviranno nel prossimo mese e mezzo: barra falciante, ranghinatore e
pressatrice.
- Comincerò con il campo dell’erba medica, così il prossimo taglio sarà pulito da altre
erbe - ha accennato il babbo questa sera a tavola prima di mettersi in bocca la prima
forchettata di spaghetti – ne verranno come al solito almeno quattrocento presse!
- Quest’anno ti dovrai arrangiare il più possibile - ha detto la mamma sconsolata –
perché Martino non ne vuol sapere di stare da solo con le nonne!
- Tutto il contrario di me! – ho azzardato io che dei miei primi anni di vita conservo
in realtà pochissimi ricordi.
La mamma ha annuito con la bocca piena e con la mente deve aver fatto un salto
indietro di dieci anni, a quando cioè mi lasciava molto tempo ‘in trasferta’ dalla nonna
Paola, per poter continuare ad occuparsi, insieme alla nonna Flora ed alla zia
Eleonora, degli ospiti dell’agriturismo e dei lavori in campagna.
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- Sono stati anni difficili per tutti, ma per fortuna tu eri un bambino
accondiscendente…anche se poi, la sera volevi tutta l’attenzione possibile!
Non so di preciso cosa voglia dire ‘accondiscendente’, ma dal tono e dalla carezza
della mamma deve essere una qualità che io ho dimostrato di avere in più di mio
fratello.
Ed in effetti, dai racconti che mi sono stati fatti, i miei primi passi in questo mondo
sono stati piuttosto movimentati: non facevo mai due pasti di seguito nello stesso
posto sin da quando ero stato svezzato ed il mio guardaroba, unito a tutti gli accessori
utili ad un bambino piccolo,passava da una casa all’altra, a seconda delle stagioni.
Avevo ‘tre di tutto’, uno per ciascuna casa, quella mia (dove non stavo quasi mai),
quella della nonna Paola (dove stavo quasi sempre) e la grande casa colonica della
nonna Flora, dove c’erano “l’ospiti” (come dicevo io). Ma soprattutto avevo un ciuccio
in ogni tasca, perché quella è sempre stata la mia grande consolazione!
- Perché Martino non vuole il ciuccio? – ho chiesto come se questo lo facesse
sembrare un marziano.
- Forse perché non ne sente la necessità – Ha tentato di chiudere lì la mamma, presa
dalla carne che friggeva rumorosamente nell’olio.
- O forse perché ha sempre te a portata di mano – ho insistito io.
- Probabilmente hai ragione, e se ci penso, mi dispiace di non averti potuto dedicare
tutto il mio tempo…eravamo più giovani ed inesperti, io e tuo padre, pieni di impegni
e di voglia di fare…e poi sembrava che tu ci stessi così volentieri dalla nonna…- si è
lasciata andare mia mamma abbassando le spalle, vinta dal ricordo ancora doloroso
di quegli errori – Spero però, con il tempo, di aver rimediato almeno un po’…
- Ma certo! Io non me lo ricordo mica più – ho mentito, perché mi dispiaceva vederla
così triste.
- E’ per questo che ci tengo tanto a stare più tempo possibile con voi adesso, anche se
mi rendo conto che forse per te è un po’ tardi…- Non è mai troppo tardi! – ha sentenziato il babbo, ridendo, per sdrammatizzare, e la
cena è proseguita quasi come al solito.
In verità, mi è capitato spesso in questi anni di bambino di sentirmi un po’ triste, ma
in un modo strano, di una tristezza spesso improvvisa, di cui non riuscivo a spiegarmi
le ragioni, ma che aveva radici profonde nel mio cuore. Così a volte, per scacciarla mi
arrabbiavo con chi mi stava vicino, senza sapere il perché: forse mi sentivo solamente
un po’ trascurato (anche se non mi mancava proprio nulla, anzi…) e le eccessive
premure degli altri, non rimpiazzavano quelle dei miei, che mi mancavano tanto.
Con questo non voglio dire che dai miei nonni ci sia stato male, tutt’altro…ci sono
momenti in cui mi mancano tanto quelle ‘trasferte’…è che quando si è così piccoli un’
ora in cui aspetti che la mamma ti venga a riprendere può sembrarti un mese…o
quando ritarda dieci minuti alla recita di fine anno pensi che ti abbia dato un’altra
volta il bidone.
Insomma, lei non c’è stata SEMPRE E COMUNQUE e questo mi ha costretto a
pensare a lei come ad una conquista da ricominciare ogni giorno e non ad una
presenza fissa.
E’ vero, ora lei c’è ed io la asfissio di richieste (anche le più inutili), ma non cambierà
quello che è stato.
Comunque sono sopravvissuto! Anzi, ora che tutto mi sembra così lontano, sono più
sereno, anche se ogni tanto divento molto geloso di tutte le attenzioni che vedo
riservate a mio fratello e reagisco come uno sciocco, facendo un sacco di scene e
sbattendo le porte.
Nello stesso momento però, quando lui piange, mi fa così pena che sono il primo a
correre alla sua culla o ad offrirmi per portarlo a fare un giretto in carrozzina.
Strano… è come se mi sembrasse di essere lui e non volessi fargli passare quel che ho
passato io!
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GIUGNO,
“ Lucciola, lucciola vien da me, ti darò il pan del re,
il pan del re e della regina, lucciola, lucciola vien vicina!”
Giugno è uno dei miei mesi preferiti, primo perché finisce la scuola, secondo perché
in paese inizia la Sagra del Tartufo ed io sono impegnato tutti i fine settimana a
servire in tavola assieme alla maggior parte dei miei amici di qui; terzo perché le
giornate sono così lunghe che riesco a fare un sacco di cose!
Per quanto riguarda la campagna, oltre al taglio del fieno, che prosegue per tutto il
mese a fasi alterne, dato che quando piove non si può fare nulla e tra il taglio e la
pressatura passano alcuni giorni, ci si dedica a numerose altre attività.
C’e innanzitutto da seguire l’orto, con i pomodori che crescono a vista d’occhio legati
alle loro impalcature di canna di palude, le zucche che hanno già sotto le foglie tanti
fiori gialli (che la mamma e la nonna friggono coperti da una sostanziosa pastella di
uovo e farina) e le prime zucchine, e poi peperoni e melanzane, rucola e insalate,
ravanelli e cetrioli, fagiolini… “l’orto vuole l’omo morto” ci dice sempre la bisnonna
Sosempreilproverbiogiusto, quando mio babbo si lamenta per il mal di schiena
dovuto all’eccesso di lavoro di zappa!
I pulcini sono già grandicelli ed hanno cambiato le piume in penne, partendo dalle ali,
per cui ora si avventurano in bassi voli sperimentali sotto gli occhi attenti della
chioccia.
Anche il nostro pulcino è cresciuto, il 12 compie tre mesi, un traguardo importante ha
detto la pediatra: finiranno le colichine che lo tenevano sveglio e lagnoso interi
pomeriggi e le notti diventeranno più tranquille.
In verità Martino ha già cominciato, un paio di settimane fa, a dormire tutta la notte
(dalle otto la sera alle sei la mattina) e ci è sembrato un vero miracolo! Tanto che le
prime volte il babbo e la mamma si svegliavano lo stesso nel cuore della notte a
controllare se fosse ancora vivo!
I suoi lineamenti sono cambiati, ora sembra meno una scimmia e più un bambino, e i
complimenti si fanno ogni giorno più splendidi: - Che occhioni! Che sguardo attento!
Guarda come segue il mio dito…io penso che cominci a riconoscermi – e lui, per tutta
risposta scoppia a piangere, dando ad intendere che non t’ha riconosciuto proprio per
niente.
L’altro giorno siamo andati per la prima volta con lui al supermercato ed è stato
tranquillissimo: sembrava interessato alle luci e agli scaffali ingombri di roba
colorata…ha pianto solo quando un’amica di mia mamma gli si è avvicinata per fargli
i complimenti. La mamma è diventata tutta rossa e ha cercato di sdrammatizzare
dicendo che era stanco…che era l’ora della pappa…e altre fesserie del genere, ma io
sapevo che più semplicemente mio fratello non amava che sconosciuti gli si
avvicinassero così tanto.
La sua amica ha salutato e se ne è andata, visibilmente scocciata di essere stata
bocciata senza appello, mentre io avevo impiegato meno di un secondo a calmarlo e a
farlo sorridere con una sola linguaccia.
Martino mi riconosceva, non c’era dubbio, e gli stavo simpatico!
- Devo dire che i sorrisi divertiti che Martino fa a te, no glieli ho visti fare a nessuno –
mi ha detto la mamma mentre la aiutavo a mettere in macchina i sacchetti della
spesa.
- Forse perché quando ce l’hai in braccio, io sono proprio alla sua altezza – ho
sminuito io di risposta
- No, penso che ci sia di più…molto di più. E’ come se avesse capito, da quello che noi
gli facciamo, i ruoli ciascuno. Io sono (la mamma)…mangiare, pulire, cambiare,
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dormire; lui è (il babbo)…cambiare, giocare, passeggiare, dormire; lui è (mio fratello)
scherzare, giocare, saltare, urlare, solleticare…Che mi vedesse già come un compagno di avventure elettrizzanti mi pareva un po’
troppo, ma questo ruolo non mi dispiaceva affatto, a patto che non mi avesse preso
per il buffone di corte!
Del resto mi vedevo bene anche come insegnante (finalmente qualcuno a cui fare
qualche predica) o come ‘istigatore’ al malanno, di cui ridere insieme ma di cui non
prendersi la responsabilità…insomma avrei potuto dividere con lui la pressione delle
attenzioni dei miei e magari nel confronto con i suoi pregi e difetti, farci anche una
bella figura, cosa difficile quando si è figli unici, perché il tuo avversario è il bambino
perfetto che non esiste!
Forse il futuro mi avrebbe riservato delle belle sorprese!
UNA NOTTE DA BRIVIDO
tic…tic…tiritic…tic…tic
Quel rumore mi era entrato negli orecchi mentre dormivo, ma faceva fatica ad aprirmi
gli occhi…tic..tiritic…tic
Eppure dovevo veder…AAAAHHHHHH…chi c’era alla finestra!
Mi sono alzato a sedere nel letto, mentre la paura mi aveva fatto ghiacciare i piedi!
C’era qualcuno che mi fissava dal vetro della finestra… Ma la mia camera è al primo
piano!!!!
Quegli occhi spaventosi luccicavano alla debole luce della luna mentre un dito munito
di un’unghia mostruosa picchiava sul vetro nella mia direzione.
Il mostro aveva grosse orecchie cadenti che teneva schiacciate al vetro ed un sottogola
d’ermellino, bianco e nero, come i giudici dei film.
Ho raccolto tutto il mio coraggio (che già normalmente non è molto, figuratevi in quel
momento) e sono sgattaiolato fuori dalla mia camera per fiondarmi in quella dei miei:
- Babbo, babbo – ho implorato scotendolo forte, tanto che si è svegliato sobbalzando
– c’è qualcuno alla mia finestra che vuole entrare!!! - Alla tua finestra? Ma come e poss…Aspetta che vediamo! Ed insieme siamo tornati in camera mia che era ancora immersa nel buio: quell’essere
diabolico era ancora lì emettendo minacciosi messaggi di morte nel suo linguaggio
alieno…tic…tic…tiritic…tic
D’improvviso, con un intuito fantastico, il babbo ha afferrato la piccola lampada del
mio comodino e schermandola con una mano ha diffuso un debole raggio per
illuminare quella creatura inquietante e…
- Guarda! E’ solo uno splendido barbagianni che si è posato sul tuo davanzale!
Probabilmente seguendo la sua preda si è imbattuto sulla tua finestra e lì ha deciso di
riposarsi: lui da fuori, con il riflesso della luna, non poteva vedere all’interno della tua
stanza buia e non si è certo accorto di te , altrimenti avrebbe avuto più paura lui di te
di quanta non ne hai avuta tu di lui! – mi ha spiegato.
Quando il babbo ha tolto la mano dalla lampadina e la luce si è fatta più forte i suoi
occhi si sono illuminati d’oro ed in un turbinio di penne, se ne è volato via.
Peccato! Ora che sapevo chi era, avrei voluto osservarlo meglio.Era stata un’occasione
unica, dato che sono animali molto schivi.
- Una volta ne ho visto uno prendere il volo dalle travi del tetto di uno dei fienili
abbandonati del nostro vicino: è stato uno spettacolo vedere un animale così grosso e
pesante di quanta forza sia capace di concentrare nelle ali per potersi librare in aria –
mi ha raccontato poi rimettendomi a letto.
- E’ stato un’incontro davvero emozionante: mi sento ancora confuso – ho ammesso,
mentre gli occhi erano fissi alla cornice della finestra che ora era come un quadro
vuoto.
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- Beh, buona notte ( per quel che ne rimane ormai!) – mi ha sospirato il babbo ad un
orecchio baciandomi la guancia.
- Buona notte – e mi sono girato dall’atra parte.
Ho faticato un po’ per riaddormentarmi ripensando a quelle stupide storie che girano
a riguardo di gufi e civette che si dice che portino iella o che siano presagio di morte,
quando si posano sul davanzale di una casa.
La verità è che, nei tempi passati, quando la luce elettrica non era così diffusa nelle
campagne e le notti normalmente passavano al buio, le sole finestre illuminate erano
quelle dove si vegliavano i malati o i moribondi: così questi poveri uccelli, attratti dai
bagliori di una candela o di un lume ad olio, finivano per avvicinarsi. L’ indomani
magari il moribondo moriva (non certi per colpa della civetta o del gufo) ed ecco che
si stabiliva che la iella l’avevano portata loro.
Povere bestie! Noi che ci reputiamo signori dell’universo, abbiamo collezionato nei
secoli una tale serie di false verità da far fare la figura dell’intelligentone ad un
batterio! Meno male che prima o poi nasce qualcuno che non si accontenta di quello
che dicono tutti e scopre, studiando le cose da vicino, la verità.
Forse da grande oltre che il fumettista, potrei fare lo scienziato o il
naturalista…vedremo… per ora Buona Notte.
LUCI D’ESTATE
Da noi Giugno è anche il mese di inizio della stagione di raccolta del Tartufo nero
scorzone (il suo nome scientifico è tuber aestivum) che nonostante il suo nome riporti
alla mente i tuberi, con le patate non ha niente a che fare, dato che è in tutto e per
tutto un fungo, anche se ipogeo ( che vuol dire che nasce e vive sotto terra).
La vita del tartufo è veramente affascinante: si nutre attraverso le radici delle piante
che lo ospitano (sono praticamente parassiti) ed in cambio gli donano preziosi
zuccheri che queste da sole non saprebbero assorbire dal terreno. Insomma è una vita
in coppia che aiuta tutti e due, un po’ come una famiglia!
Anche noi a casa, abbiamo iniziato la stagione di raccolta, anche se la mamma fa
veramente fatica a stare dietro alla Ella:
- Cerca…cerca…sì…bravissssssima…ssssì.. c’è…c’è – la incita per darle coraggio
sempre con le stesse parole, che sono diventate il loro vocabolario personale.
Lei mi tiene per mano, dietro di sé, perché Ella non è abituata a tanti spettatori, ma è
pronta a lasciarmi ogni tanto il suo posto accanto al costato ansimante della nostra
cucciolona, quando comincia a grattare la terra segnando con precisione il punto dove
cercare. Così, come lei mi ha insegnato, allungo la mano sotto il suo muso, e mentre
lei scava di nuovo, io vaglio attentamente la terra smossa; infine, accarezzandola con
riconoscenza, la allontano delicatamente ed estraggo quella pallina nera ricoperta di
punte fatte come diamanti.
Ella vorrebbe mangiarselo, ma accetta di buon grado il cambio con una manciata delle
sue crocchette preferite, finite le quali riparte saltando tra le fitte piante del
sottobosco.
Proprio in onore di questo frutto dei nostri boschi, così ricercato da molti buongustai,
da venticinque anni nel nostro paese si organizza, come ho già detto, la Sagra del
Tartufo, l’unica vera festa che movimenti un po’ la vita da queste parti, per cui potete
immaginare con quale trepidazioni ognuno di noi la aspetti.
Si chiama così perché i suoi ‘ingredienti’ principali sono il tartufo e il ballo liscio,
un’accoppiata vincente che richiama gente anche da molto lontano.
Alla Sagra lavora quasi tutto il paese: chi in cucina tra sughi e pasta fumante, chi alla
griglia fatta sulle braci dove si cuociono a dovere bistecche, salsicce e costoline di
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maiale (le ‘rosticciane’), chi a spalmare i crostini e ad affettare il tartufo, onore che
spetta solo ai più anziani e fidati.
Tutti danno una mano, alla fine c’è sempre qualche litigio, ma ogni anno ci si ritrova,
puntuali.
Ed è proprio per onorare il mio impegno di cameriere volontario che questa sera ho
fatto la doccia prima del solito: entro le sette dovevo essere in piazza, o il mio posto lo
avrebbero dato a qualcun altro.
Con i piedi ancora umidi sono salito in camera dove i miei vestiti preferiti mi stavano
aspettando già pronti sul letto: maglietta arancione (il mio colore preferito) jeans e
felpa coordinata che si sono sostituiti in un batter d’occhio al mio accappatoio azzurro
ormai fradicio. Quindi, con le scarpe da ginnastica in mano, sono sceso in bagno per
un ultimo ritocco ai capelli.
- Mamma! Che fine ha fatto il tubetto di gel?…mamma!…- le ho chiesto senza avere
risposta – Strano – ho pensato lì per lì, e mi sono affacciato in cucina. Deserta. Anche
Ella non era accucciata al suo solito posto.
Poi mi è venuto il sospetto che…Sono uscito dalla porta di cucina e mi sono messo in
ascolto, ma nulla. Allora mi sono avviato per la strada, verso il bosco ed eccoli là!
La mamma con il suo ormai inseparabile fagotto ‘marsupiato’ sul petto, e Ella che le
correva intorno, naso a terra.
- Mamma, sapevo che ti avrei trovato qui!- Cosimo! Guarda cosa ha trovato Ella- e frugandosi in tasca, ne ha tirato fuori tre bei
tartufoni neri, ancora sporchi di terra.
- E brava la nostra cucciolina!- ho urlato soddisfatto tenendo tra le mani le guance
morbide e umide di Ella che intanto aveva già appoggiato le sue zampe sulle mie
spalle impolverandomi senza pietà la maglia pulita.
Anche Martino sembrava contento, non so se dei tartufi, della passeggiata nel bosco,
delle feste del cane o di vedere me: probabilmente di tutte queste cose insieme. Gli ho
schioccato un bacio sulla fronte che gli ha fatto chiudere gli occhi dallo spavento,
quindi ho voluto il mio dalla mamma.
– Io vado giù alla Sagra in bicicletta, altrimenti faccio tardi- l’ho avvertita.
- D’accordo, ma stai attento. Ci vediamo dopo cena, quando ho sistemato Martino.
Salutami i nonni.Così, mentre lei risaliva lentamente dondolando verso casa con la mano gonfia di quei
tre preziosi trofei, io ho raggiunto la mia bici e mi sono fiondato per la discesa con il
rischio di distendermi rovinosamente tra i sassi.
L’aria fresca e azzurra profumava di erba e di fiori, mentre le rondini in volo radente
sul fieno appena tagliato fischiavano battendo veloci le ali a caccia di insetti. Il sole
appoggiato sulle colline, tendeva le sue dita rosa tra le nuvole sparse nel cielo come
brandelli di zucchero a velo.
Pedalavo veloce e più mi avvicinavo alle case, più il profumo della carne alla brace mi
solleticava il naso: le luci erano già accese sui tavoli di legno coperti dalle tovaglie di
carta, mentre decine di persone, come api sul miele ronzavano intorno in cerca di un
posto.
Di lì a poco ero già in servizio, sotto gli occhi vigili dei nonni che dal bancone della
cucina mi tenevano d’occhio. Avevo già servito tre tavoli quando l’orchestra ha
attaccato a suonare e la pista da ballo si è popolata di poche timide coppie di ballerini,
desiderosi di vincere l’umidità della sera che cominciava a farsi sentire. Piano piano
altre coppie vecchie e giovani si sono messe in moto, roteando all’unisono.
Sono rimasto incantato a guardare, cercando di seguire i loro passi, fino a che una
voce sottile alle mie spalle non mi ha riportato alla realtà:
- Ciao Cosimo, anche tu qui stasera?- Oh, ciao Eleonora…ma non dovevi partire per il mare?- le ho risposto mentre una
vampata di caldo mi arroventava le guance (imbarazzante reazione emotiva che ho
ereditato dalla mamma).
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- In verità i miei hanno deciso di partire lunedì, sai, per via del traffico…così sarò alla
sagra anche domani sera…Guarda c’è anche Jacopo: perché non andiamo insieme a
prendere un gelato?Era ovvio che avrei volentieri fatto a meno della compagnia di Jacopo in quel
momento, ma l’idea del gelato con l’Eleonora non era male; mi sono slacciato il
grembiule e l’ho riconsegnato alla nonna dicendole che saremo andati al bar a
prendere un cornetto (e che quindi mi servivano i soldi per ‘due’ gelati). Lei è andata a
prendere la borsa ed è tornata con i soldi e con il nonno che rideva sotto i baffi: come
se non fossero stati ragazzini anche loro!
Mentre ringraziavo sono sbucati anche il babbo e la mamma con carrozzina al seguito,
così addio ‘privacy’…Per fortuna invece le attenzioni di tutti si sono spostate in fretta
su mio fratello, alla sua prima uscita ‘di piazza’, ed Eleonora ed io siamo sgattaiolati
per i fatti nostri.
Ho trascorso una bella serata: dopo Jacopo sono arrivati anche Marco, Pietro,Mirco,
Samuele ed Alessio così abbiamo giocato a pallavolo nel campo da calcetto appena
inaugurato fino a quando il babbo non mi è venuto a chiamare.
- Ciao Cosimo - mi ha detto Eleonora salutandomi – ci sarai anche domani sera?- Certamente! - ho azzardato io, come se avessi già il permesso dei miei in tasca –
buona notte! – e ci siamo avviati a piedi verso casa.
Le stelle nel cielo mi sembravano brillare più del solito mentre la luna, ora che
eravamo fuori dal paese, era l’unica luce che rischiarasse la terra.
La mamma e il babbo si davano il cambio nello spingere la carrozzina sulla strada
deserta: dentro Martino dormiva profondamente, come fanno tutti i bambini così
piccoli quando sono sazi e puliti.
Io invece procedevo a zig-zag in sella alla mia bicicletta, nel tentativo di agguantare
qualche lucciola che attraversava lampeggiando la strada.
E’ sempre uno spettacolo vederle a centinaia riempire i campi e danzare tra l’erba al
suono dei grilli: e se cerchi di seguirne una con lo sguardo finché è accesa, appena si
spegne ti accorgi di averla già persa.
Mmmh…Spero che non finisca così anche con Eleonora!
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Ninna nanna d’Estate
Il giorno rovente par bruciare la terra,
le crepe nei campi son ferite di guerra;
il fieno è tagliato, il grano è maturo
la lucertola cerca refrigerio nel muro.
Nell’orto bagnato la verdura è una festa,
la frutta raccolta già riempie la cesta.
Soltanto al tramonto si tira un sospiro,
e la notte son mille le lucciole in giro.
Or la casa è in silenzio, fino al mattino,
soltanto la mamma culla Martino
contando le stelle che son sopra di loro,
al canto notturno dell’usignolo.
Ninna nanna Martino, ninna nanna d’Estate
Le stelle cadenti han code dorate
La luna ti illumina con raggi d’argento
Il tuo sonno di bimbo non tardi un momento.
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LUGLIO
Quando il nostro agriturismo funzionava a pieno regime grazie al ‘team’ imbattibile
costituito dalla nonna Flora ai fornelli, la mamma alle camere e la zia Eleo alle più
disparate attività di intrattenimento (equitazione, pianoforte, chiacchierate in inglese
e tedesco ecc.) il mese di Luglio era un mese veramente impegnativo!
Gli ospiti finivano per riempire totalmente le nostre giornate, dato che l’agenda
cominciava a registrare il tutto esaurito già da Maggio, ed io riuscivo a prendermi un
po’ di vacanza solo rifugiandomi qualche pomeriggio dai nonni, fino almeno a quando
non sono stato un po’ più grandicello e non ho potuto dare una mano anch’io.
Del resto, come dare torto alle decine di persone che in tanti anni hanno dormito e
mangiato da noi?
Qui, nella casa colonica della nonna, dai muri spessi ottanta centimetri, trovavano
naturale refrigerio dopo lunghe giornate passate nella calura fiorentina, provati da
estenuanti tour culturali tra un museo e l’altro o delusi da uno shopping impossibile
tra le vetrine griffate del centro o tra i tavolini di esosi locali più o meno tradizionali.
E quando il tramonto cominciava ad avvolgere la casa (e finalmente le mosche noiose
decidevano di lasciarci libero il campo), veniva servita la cena nella corte interna, in
una unica lunga tavolata che invitava i nostri ospiti a fare amicizia: così la sera
passava tranquilla tra chiacchiere, crostini, tagliatelle tirate a mano dalla mamma,
verdure dell’orto, ottime carni e dolce fatto in casa, tutto servito con contorno di
spiegazioni meticolose della mamma sulle origini dei piatti o sulle particolarità delle
materie prime ed accompagnati dal nostro Chianti.
Quasi sempre la nonna era invitata a svelare i segreti delle sue ricette e qualche volta
anche ad aprire la sua cucina nel pomeriggio per vere e proprie lezioni; erano
soprattutto gli americani a chiederlo, veri e propri appassionati di tutto ciò che
riguarda la cucina italiana.
Dopo il caffè, sorseggiato nella vecchia concimaia convertita a terrazza illuminata da
tante candele, la maggior parte si ritirava per la notte ringraziandoci per la cena,
qualcuno preparava l’itinerario per il giorno dopo e solo pochi temerari si
incamminavano alla luce della luna lungo il sentiero del bosco, tornando quasi subito,
un po’ impauriti, chiedendo spiegazione dei rumori più strani, in genere istrici a
caccia di tartufi o caprioli disturbati nel sonno dai loro passi!
Senza contare poi che al mattino lo spettacolo della natura che si sveglia lascia sempre
a bocca aperta tutti quegli sfortunati cittadini che aprono gli occhi al rumore del
traffico sotto casa o al frastuono del camion ‘tritarifiuti’ che svuota i cassonetti!
In verità è successo anche che qualche ospite (particolarmente assuefatto ai rumori
della città) non sia riuscito a chiudere occhio a causa dello ‘strano silenzio’ che con il
calar della sera circonda in genere la nostra casa, oppure per l’insistente cinguettio
notturno dell’usignolo che tutti gli anni fa il suo nido sulla grossa quercia centenaria
vicina. Eccezioni, certo, che hanno fatto sorridere tutti noi, ma che ti fanno capire
quanto sia il nostro modo di vivere a rischiare di diventare col tempo esso stesso
un’eccezione.
Comunque sia, a parte l’idea che della campagna si possono essere fatti i nostri ospiti,
serviti di tutto punto e rifocillati a dovere come si conviene quando si è in vacanza,
questo non è un mese facile né per gli uomini (che lavorano) né per gli animali e le
piante.
La siccità è sempre in agguato: di giorno il sole secca la terra spaccandola fino in
profondità mentre le foglie si afflosciano, vinte dalla calura e dal vento.
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Solo le piante da frutto che il babbo ancora annaffia per dar loro qualche possibilità di
‘diventare grandi’ sembrano godersi l’estate e ripagano tutti noi con i primi piccoli
raccolti.
- Guarda che bel cestino di albicocche ha portato il babbo dal frutteto - ha detto tutta
orgogliosa la mamma l’altro giorno mostrandomi il suo tesoro; ed infatti, spaurite
dentro ad una cesta molto più capiente del necessario, c’erano una decina di belle
albicocche arancioni piene di lentiggini, che secondo i miei avrebbero dovuto ripagare
di tre anni di attenzioni. Come dice il proverbio: “Chi si contenta, gode”!
Nell’orto è una gara continua contro le erbacce, le lumache e gli storni, che sembrano
divertirsi un mare a bucare tutti i pomodori appena diventano rossi e a rasare le
bietoline, la rucola e le altre insalatine di cui va ghiotta la mamma.
- Se non fossi contraria alla caccia per principio, giuro che penserei di comprarmi un
fucile!!!- Ha inveito tra i denti stamattina la mamma, mentre osservava dal cancellino
dell’orto i risultati dell’ultimo raid di questi furbissimi pennuti – Cavolo! Sono passati
anche sotto la rete! – e se ne è venuta via sconsolata.
I cavalli, dal canto loro, passano tutto il giorno assopiti all’ombra delle tettoie,
tatticamente disposti uno a fianco all’altro: uno di testa, uno di coda e il terzo ancora
di testa. In questo modo il proprietario della coda scaccia le mosche dalla testa del suo
vicino e viceversa.
Uno dei tanti stratagemmi che la natura insegna alle sue creature per sopravvivere!
Quando il caldo si fa veramente insopportabile, la zia Eleo li tira fuori dal recinto e gli
fa una bella doccia. Loro all’inizio sembrano infastiditi dagli spruzzi, come quando sei
costretto a farti la doccia fredda prima di tuffarti in piscina, ma quando il pelo è ormai
bagnato li vedi che si sentono riavere: abbassano il collo e tendono la testa con le
narici strizzate verso il getto d’acqua lasciandosi strofinare dalla mano della zia. Icaro
addirittura alza le labbra e succhia l’acqua direttamente dalla canna, come se fosse
una cannuccia tuffata nella sua bibita preferita!
Finita la doccia la zia li ‘stecca’ (struscia cioè sul loro corpo una stecca flessibile che
strizza il pelo) e li lascia andare liberi uno ad uno: e volete sapere loro dove vanno di
corsa? A rotolarsi sulla terra polverosa!
- Che stupidi – ho pensato io la prima volta che ho partecipato alla loro toilette estiva,
ma la zia mi ha spiegato che in questo modo di ricoprono di una crosta sottile di creta
che li protegge meglio dalle mosche.
Del resto non è quello che ho visto fare mille volte agli elefanti nei documentari alla
televisione?
Anche gli altri animali le studiano tutte per non morire di caldo: le galline aprono le
ali per disperdere meglio il loro calore, le lucertole si rintanano negli anfratti dei muri
e le api, facendo vibrare tutte insieme le loro piccole ali all’interno dell’alveare,
mettono in funzione il loro ‘condizionatore’ che funziona così bene da mantenere la
temperatura ideale per le larve e per la regina che sta sempre chiusa lì dentro.
Ma è solo al calar della sera che si riesce a tirare un sospiro di sollievo, e le sere
d’estate sono tra le più belle dell’anno; le cicale che hanno cantato durante le ore più
calde si spengono piano piano, mentre la mamma riapre porte e finestre, rimaste
chiuse alla calura del giorno.
I panni appesi al filo, ormai secchi, cominciano a sventolare alla brezza della sera e se
ti fermi ad ascoltare a favore di vento, sentirai provenire dalle altre case sparse le
grida festose dei bambini che escono di nuovo a giocare.
Il giallo accecante delle stoppie del fieno e il riflesso bianco dei sassi roventi che
durante il giorno parevano gli unici colori della campagna, lasciano lentamente un po’
di spazio al verde degli alberi e delle siepi spinose che circondano i campi, mentre il
cielo si fa ogni minuto di un azzurro più intenso fino a quando non compaiono le
prime deboli stelle, presagio di una notte luminosa e di un nuovo giorno sereno.
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IL REGALO
Oggi martino compie quattro mesi, ed è il bambino più buffo e simpatico che abbia
mai visto: è già capace di stare a quattro gambe e tenta spesso di tirarsi su con le
braccia. In questo è certo più precoce di me che non ho mai voluto saperne di
‘gattonare’ e di starmene da solo seduto a giocare.
Insomma mi somiglia sempre meno, eppure sento di volergli bene sempre di più!
La mamma ha passato dei mesi piuttosto difficili, durante i quali abbiamo fatto di
tutto per sopportarla (anche se a lei non lo abbiamo detto), ma adesso ride più spesso,
anzi, sembra che il suo carattere si sia un poco addolcito. A volte capita che non se la
prenda dei disastri miei e di mio fratello, dei contrattempi che una volta la facevano
andare su tutte le furie, delle disattenzioni croniche del babbo.
Spesso ci fermiamo insieme a guardare Martino che dorme, in silenzio assoluto, e mi
stringe a se con un sottile sorriso sulle labbra.
- E’ in questi momenti che ti senti la persona più ricca del mondo – mi ha detto ieri
sera, prendendomi addirittura sulle ginocchia, mentre guardavamo la vallata che si
stendeva davanti a noi, seduti sul vecchio tronco davanti alla casa della nonna, che da
anni ci fa da panchina.
Martino era seduto ai suoi piedi, intento a strappare un ciuffo d’erba e a portarlo alla
bocca, mentre intorno a noi già avanzavano tremolando le prime ombre del bosco.
- Vuoi dire che sei contenta di avere tutta questa terra?- Le ho chiesto incerto.
- Voglio dire che tu e tuo fratello siete il regalo più bello che io abbia mai ricevuto!Mi ha risposto lei sorpresa che avessi potuto scambiare la sua commozione materna
con il gusto dell’essere proprietari di 28 ettari di terra.
- Adesso andiamo, che c’è da apparecchiare la tavola – mi ha poi esortato
riprendendosi in collo mio fratello che protestava vivacemente, sempre con il ciuffo
d’erba ben stretto nella mano cicciottina.
Siamo così scesi in cucina e abbiamo trovato il babbo con i capelli ancora bagnati
dalla doccia appena fatta.
- Oggi è stato un caldo veramente infernale…povero piccolo, chissà quanto hai patito!e ha sollevato Martino dalle braccia della mamma, che è subito schizzata, finalmente
libera, tra i fornelli e l’acquaio.
- Babbo, ho voglia di andare al mare! I miei amici sono già tutti partiti…- ho trovato il
coraggio di dire mentre apparecchiavo la tavola sotto la pergola d’uva che si intreccia
appena fuori della cucina.
- Avrei voglia anch’io di una bella vacanza – ha aggiunto la mamma uscendo con una
terrina di insalata di farro e un vassoio di fiori di zucca fritti (i miei preferiti!).
- Beh, lo sapete che io chiudo l’ufficio solo per Ferragosto…se volete che andiamo al
mare tutti insieme, dovrete aspettare ancora un po’ – ma si capiva che, se avesse
potuto, sarebbe partito domani, un po’ perché anche lui era stufo di lavorare e un po’
perché vorrebbe sempre accontentarci, anche se la mamma quando è arrabbiata dice
che ‘delle nostre esigenze lui non se ne accorge mai’!
Così la cena è trascorsa fantasticando sulle nostre prossime vacanze marine: chissà
cosa farà Martino sulla sabbia…Chissà se avrà paura dell’acqua…Chissà se dormirà in
un posto nuovo… Insomma questo rompi scatole era riuscito a monopolizzare anche
il futuro!!!
- Cosimo, perché non vai a sentire se la nonna ha voglia di unirsi a noi per il gelato?Così sono partito a razzo per la porta accesa della sala da pranzo della nonna.
- Nonna! – ho chiamato affacciandomi.
- Sono qui…arrivo!- mi ha risposto lei venendomi incontro con dei libri in mano stavo cercando le guide sull’Irlanda…Sai, mi devo preparare l’itinerario per il mio
prossimo viaggio. Allora hai chiesto alla mamma e al babbo se puoi venire anche tu?CAVOLO! Il mio regalo di promozione più bello era finalmente arrivato!!!!
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- Certo che vengo!- E le sono saltato al collo rischiando di far cadere tutta la biblioteca
che teneva tra le braccia – E a te va di venire giù da noi a prendere il gelato? Almeno
lo dici tu alla mamma che vengo in Irlanda con te!Abbiamo attraversato insieme la corte lastricata da enormi pietre bianche che di notte
prendono il colore della luna, mentre la Creola giocava con la Ella tendendole finti
agguati dal muretto basso che delimita l’aia.
Sotto il cono di luce della vecchia lampada di latta appesa al centro della pergola, la
mamma e il babbo chiacchieravano a bassa voce, per non svegliare Martino che,
approfittando del fresco della sera, era già partito per il mondo dei sogni.
- Vieni mamma che altrimenti si squaglia tutto: noce e limone vero? - Si, grazie – ha risposto lei sedendosi sulla panca e senza mettere molto tempo in
mezzo, come è suo costume, ha aggiunto:
- Che ne direste se portassi questo giovanotto in Irlanda con me? La mamma è rimasta con il cucchiaio per aria, mentre il babbo la guardava con aria
interrogativa: sembrava che Ermione Granger si fosse divertita in uno dei suoi
esercizi di magia sempre perfettamente riusciti. Ho temuto che vi fosse qualche
impedimento, invece la risposta è stata un sì in coro che mi ha riempito di gioia.
Evviva, si parte!!
Finito il gelato, la tavola si è riempita di cartine geografiche, opuscoli e depliants,
tutto il tesoro di conoscenze che la nonna ha raccolto nei suoi viaggi precedenti; lei,
con gli occhialini sul naso, leggeva brani tratti dalle guide turistiche mentre io
cercavo, facendo scorrere l’indice sulla cartina lungo strade e fiumi, località dai nomi
illeggibili (almeno per me). Fissavo la carta alla luce giallastra della lampada di latta,
mentre le falene ed altri piccoli insetti vi svolazzavano intorno nervose ed ignare della
loro prossima brutta fine.
Ma mentre correvo con lo sguardo lungo le coste del Connemara e della penisola del
Dingle, saltando da lì sulle isole Araan, perdendomi tra le pianure del Kerry per
raggiungere le fredde spiaggie del nord… la carta cominciò ad animarsi!
Vedevo alte scogliere battute dal vento ed immerse nella schiuma del mare alzarsi
pian piano al suono stridulo dei gabbiani magicamente immobili sullo strapiombo;
foche grassocce invece si dondolavano da una pinna all’altra mentre riposavano sugli
scogli; dolci colline si gonfiavano come le bolle del pane appena messo in forno,
attraversate da rigagnoli d’acqua e tempestate da fitti greggi di pecore; splendidi laghi
si riempivano di acque colorate dei colori del cielo, ora azzurre ora nere, mentre strani
cesti immersi per metà catturavano rosse aragoste; tetri castelli merlati prendevano
posto sulle alture rocciose e dalle loro porte uscivano cavalieri dalle armature
scintillanti e dalle insegne colorate; città e paesi si animavano di vita mentre nei porti
le
navi
dalle
grandi
vele
attraccavano
o
erano
pronte
a
partire…Cosimo…Cosimo…erano i folletti del bosco che soffiavano il mio nome nel
vento…Cosimo…Cosimo
- Cosimo – mi ha svegliato il babbo dondolandomi il braccio – ti sei addormentato
sulla cartina della nonna! Vieni che ti porto a letto Mi sono appoggiato a lui mentre sulla carta tutto tornava a posto e gli ultimi cavalieri
alzavano a fatica i ponti levatoi.
- Babbo – ho detto con la voce impastata di chi non è del tutto sveglio – vi dispiace se
vado via da solo con la zia e la nonna? - Perché dovrebbe dispiacerci? Se tu ti diverti noi siamo contenti! Del resto penso che
viaggiare sia uno dei modi più intelligenti di divertirsi! – mi ha risposto lui sorridente.
In quel momento è comparsa anche la mamma ed io ho sentito che mi sarebbero
mancati da morire!
- Buonanotte!- Buonanotte Cosimo!-
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RICORDI D’ IRLANDA
Caro diario, quanto mi sei mancato!
In verità non mi sei mancato solo tu in tutti questi giorni che sono stato lontano da
casa; mi sono mancati la mamma e il babbo, la Ella, i cavalli, le galline…e, sì, lo devo
proprio ammettere…MI E’ MANCATO MARTINO!!!!!
Non che abbia avuto tempo per annoiarmi con la nonna e la zia impegnate a farmi
conoscere tutti i più bei paesini della verde Irlanda, ogni strapiombo mozzafiato della
sua costa, ogni stradina sperduta tra le brughiere del nord (anche perché qualche
volta ci è capitato di perderci lungo l’itinerario), qualche castello e centinaia tra
‘dolmen’, ‘menhir’ e croci celtiche, tutte testimonianze in pietra, più o meno lavorata e
decorata, delle civiltà passate che hanno tessuto la storia di questa terra.
Abbiamo dormito in case accoglienti, in fattorie piene di cavalli purosangue e di
mucche pezzate, mangiato salmone e scampi fraschissimi nei ‘pub’ (che da qualche
anno sono aperti anche ai ragazzini, come da noi) e incontrato gente sorridente e
cordiale.
Nonostante tutto comunque, quando ieri mattina ci siamo alzati in volo da Dublino e
la città si è fatta sempre più piccola, mi sono sentito sollevato al pensiero di tornare a
casa. Quando poi ho visto i miei che mi aspettavano al di là della transenna
all’aereoporto di Pisa, non ce l’ho fatta a trattenere le lacrime; Martino era cresciuto
un sacco e se ne stava seduto sul suo passeggino a guardarsi lo spettacolo del mio
ritorno.
Mi ha riconosciuto subito salutandomi con uno dei suoi strilli acuti che fanno
svegliare di soprassalto Ella. Ho frugato nel mio zaino e ne ho tirato fuori un
sacchettino frusciante che gli ho messo tra le manine. Insieme ne abbiamo estratto
una morbida pecorina di lana bianca, con tanto di quadrifoglio verde ricamato sulla
coscia (il quadrifoglio è il simbolo dell’Irlanda). Ovviamente lui l’ha immediatamente
messa in bocca sputandola subito dopo schifato, suscitando una risata generale.
- Adesso andiamo: ci racconterete tutto per strada – ci ha detto ad un certo punto il
babbo dopo che tutti avevano abbracciato e baciato tutti (anche più di una volta)
arrivando ad un numero considerevole di smancerie e di frasi fatte, tipo ‘il volo…tutto
bene?’… ‘…il tempo è stato bello?’… ‘Qui non è mai piovuto!’… ‘E Cosimo si è
comportato bene?’… ‘A casa, tutto a posto? La Creola sta bene?’ etc. etc…
Inutile dire che in autostrada, dopo aver grossolanamente riassunto solo una minima
parte del viaggio, mi sono addormentato, risvegliandomi solo quando Ella, salita in
macchina, ha cominciato a lavarmi il viso con i suoi baci. La nonna non c’era più
(sicuramente era andata a farsi lavare il suo dalla Creola) ed il babbo mi stava
scaricando le valigie.
I grilli erano sempre al loro posto, come la luna e l’usignolo sulla quercia: sono salito
in camera quasi ad occhi chiusi, ho recuperato una maglietta pulita e sono andato a
letto dispensato dalla doccia da una smorfia compiacente della mamma, troppo
stanca anche lei per mettersi a fare polemica.
- Da domani ci si rimette in fila ‘sir’- mi ha sussurrato mettendo a letto Martino, che
succhiava rumorosamente il suo ciuccio di gomma.
Le luci della casa si sono spente una dietro l’altra, Ella si è acciambellata in fondo al
mio letto e dopo un sospiro profondo si è addormentata. Ho chiuso gli occhi e mi sono
gustato il silenzio della mia camera, l’odore delle mie cose: domani avrei fatto
colazione senza uova e bacon, avrei messo i calzoni corti e fatto qualche giro in
bicicletta, avrei visto qualche amico, forse avrei anche trovato il coraggio di fare il
numero di telefono dell’ Eleonora per sapere se la mia cartolina le era gia
arrivata…con un sorriso ho poggiato la mia guancia sul cuscino, mentre Ella
cominciava a russare!
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AGOSTO
“Chi non semina non raccoglie”
Tra Luglio ed Agosto in campagna è il tempo della mietitura: il mare verde d’erba che
in primavera ondeggiava al vento in cento bagliori diversi, in questi lunghi mesi è
cresciuto, è maturato in grosse spighe gialle dai semi rigonfi che adesso si piegano agli
impietosi raggi del sole, attendendo solo di essere tagliati.
Una volta in realtà la mietitura cominciava anche prima, dato che le operazioni
necessarie erano svolte tutte a mano e richiedevano settimane e settimane di lavoro,
possibilmente con il bel tempo.
La mietitura e la battitura (operazione che prende il nome dal fatto che per separare i
chicchi dalle spighe il grano veniva ‘battuto’) sono quindi sempre stati momenti
faticosi ma al contempo festosi della vita contadina. Era il momento di raccogliere il
frutto di un lungo lavoro ma soprattutto di assicurarsi le scorte per l’inverno
progettando un nuovo anno di vita.
L’aia, quel fazzoletto lastricato con cura che si apriva tra la capanna e la casa colonica,
si rianimava al via vai dei carri carichi fino all’inverosimile di ‘mannelli’ (mazzi di
spighe) raccolti sui campi sin dalle quattro del mattino, mentre su assi di legno
inclinate si procedeva a ‘batterli’ per separare i primi chicchi. L’operazione di
‘battitura’ veniva poi perfezionata con lunghi bastoni fatti di due pezzi uniti da una
corda ( detti ‘correggiati’). Ciò che risultava veniva separato poi dalla ‘loppa’ (residui
polverosi della spiga) ed infine vagliata con appositi setacci.
Oggi tutto è reso più facile e veloce dalle ‘mietitrebbia’ meccaniche.
Sono macchinari mostruosi, dall’aspetto di preistorici dinosauri rosso fuoco: li vedi
apparire nei campi all’improvviso, con il loro codazzo di rondini ed altri uccelli che
sembrano cibarsi della polvere che sollevano senza sosta. A passo lento ma
implacabile divorano il frumento con enormi bocche dentate e riempiendo, in cambio,
i campi di ordinate file di paglia già pressata.
Un bel cambiamento!!!
Eppure nei volti degli agricoltori di oggi, cotti al sole come quelli di un tempo, puoi
leggere ora la stessa soddisfazione, ora la stessa preoccupazione per un raccolto
prezioso che potrebbe rovinarsi all’arrivo di un temporale improvviso o per un
moderno guasto meccanico.
Ed oggi come allora, nel caso in cui tutto proceda per il meglio, la battitura del grano è
occasione di festa. La nonna Paola mi ha raccontato che, quando lei era bambina e
suo padre fattore di Roveta (una grossa tenuta vicino a Firenze) si usava imbandire la
‘cena della battitura’: era il momento in cui gli operai, i braccianti, le massaie, i
bambini, si ritrovavano nell’aia intorno ad un lungo tavolone fatto di assi appoggiate
alle bigonce capovolte per consumare uno dei pasti più ricchi della stagione; presto
sarebbero tornate le lunghe notti d’inverno, molto più fredde e buie delle nostre.
All’inizio era brodo di oca, colli ripieni, verdure bollite e pane a volontà, poi col tempo
(e le migliori condizioni economiche) iniziarono a comparire sulle tavole gli arrosti di
animali da cortile per arrivare addirittura alla bistecca (ma qui siamo già ai giorni
nostri!).
La nonna mi ha detto che per le donne della cascina era l’occasione attesa per
sfoggiare i tessuti delle loro tovaglie e fare bella figura:
- Una buona massaia si riconosce anche dalla forgia della tovaglia che mette in tavoladiceva sempre il mio bisnonno Faustino, buon uomo ma pur sempre fattore!
A Roveta poi, famosa all’epoca per le sue acque minerali, proprio in occasione della
mietitura, i proprietari facevano distribuire decine di bottigliette delle loro bibite ai
lavoranti, il che faceva notevolmente ingrossare le fila degli aspiranti ‘mietitori’ che
ogni anno si presentavano al fattore in cerca di impiego.
Fa sorridere il pensiero di quanto poco bastasse una volta per far girare il mondo!
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Di quella realtà oggi sono rimasti solo i ricordi della nonna Paola (i miei due bisnonni
sono morti entrambi) e due o tre bottigliette di vetro spesso e rugoso come una buccia
di arancia, all’interno delle quali ci stava la celebre ‘aranciata roveta’, che lei conserva
nella vetrina in salotto.
Ah, no, dimenticavo: mio babbo deve ancora avere da qualche parte la raccolta di
tappini con le effigi dei giocatori di calcio dell’epoca, tra i quali quelli della mitica
Nazionale Italiana vincitrice dei Campionati del Mondo 2934 e 1938 che si ritrovava
per il periodo di ritiro premondiale proprio nell’albergo di Roveta.
E la sua raccolta comprendeva anche l’introvabile Pincopallino, pezzo unico che il mio
bisnonno-fattore teneva chiuso in un cassetto del comò, in modo che nessuno dei
compratori delle acque minerali del suo ‘padrone’ potesse mai completare la
collezione!
E poi si dice che oggi le regole del commercio sono spietate!!! Chissà quanti poveri
ragazzetti degli anni 40 (che oggi saranno tutti per lo più dei nonni) hanno dato fondo
alle proprie risorse per tentare la sorte del tappino mancante!!!
MARE E MAREMMA
AHHH…Caro diario, in questo momento sono sdraiato sul mio telo di spugna
colorato, con i capelli ancora umidi e il sale si sta ormai indurendo sulla pelle. Davanti
a me ci sei tu, che sei diventato quasi un amico vero: ti cerco ogni volta che mi
succede qualche cosa di speciale e ti confido volentieri i miei segreti. Ormai passo più
tempo con te che con i miei vecchi giochi preferiti, e di questo non mi pento mai. Non
so alla fine cosa potrai pensare di me, ma stare con te tutto questo tempo mi è proprio
piaciuto.
Ti sfoglio prima di riempire qualche nuova pagina, come si fa con i ricordi prima di
addormentarsi e il crepitio della carta deformata dalle lettere è diventato il suono
familiare del tuo arrivo. Tu ci sei mentre ti parlo, mi ascolti e prendi nota, ti ricordi di
tutto e mi sarai testimone in futuro, quando io non ricorderò neanche più cosa ho
scritto.
Il tempo stringe, le pagine bianche sono in minoranza: tra poco anche loro
suoneranno la musica della nostra amicizia ed il gioco volgerà alla fine…Coraggio
amico mio, preparati ad ascoltare anche queste avventure!!
…
Da quando sono nato, ma i miei giurano che è da quando sono nati loro, per noi il
mare è sinonimo di Maremma Toscana: una vasta parte del sud della nostra regione
che si affaccia sul Tirreno, prima terra di paludi, malaria e briganti, poi di fertile
agricoltura in seguito alle opere di bonifica dei secoli scorsi.
Il mio bisnonno Faustino (sempre quello che faceva il fattore) fu mandato proprio qui
all’inizio del secolo a svolgere il servizio di leva come finanziere, e mia nonna si
ricorda ancora di quando suo padre le raccontava di quegli anni, fatti di miseria,
malattie ed ingiustizia.
Ora grandi campi coltivati di tutti i colori (il verde-azzurro dell’erba medica, l’oro del
frumento, il verde scuro del tabacco e del mais, il rosso dei pomodori, il giallo dei
meloni…) si alternano a fitti boschi di querce popolati di cinghiali e caprioli, a colline
punteggiate di olivi secolari, ai filari geometrici degli eucalipti frangivento, agli infiniti
labirinti dei vigneti e alle colline nude dei pascoli dove si muovono pigre le grandi
mucche bianche dalle corna ‘a lira’ o i robusti cavalli maremmani, vanto delle stirpi
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locali di mandriani, detti ‘Butteri’, che ne hanno domato la forza ed il coraggio
facendone insostituibili compagni di lavoro per centinaia di stagioni.
E su ogni collina una casa colonica, piccola o grande, ricca o umile ma sempre
ricovero per chi questa terra ha dovuto prima strapparla alla palude per poi coltivarla
con dedizione e fatica per renderla quella che è oggi.
E ogni cento colline e cento coloniche, ecco ergersi un paese, più alto, sulla campagna:
paesi ancora cinti di mura, le cui pietre raccontano di Etruschi e Romani, di medioevo
e comuni, ma anche di uomini donne e bambini che ancora ci abitano, di stradine
dove le finestre parlano con i loro panni stesi e il basilico nei vasi.
Ma per tornare ad oggi, non è che in Toscana o nell’Italia tutta non vi siano altri posti
migliori dove trascorrere le vacanze; la nostra è piuttosto una specie di tradizione,
una di quelle abitudini che non ti impediscono di provare anche altri posti (l’Italia la
conosciamo un po’ tutta così come buona parte dell’Europa), ma che ti regalano la
sensazione di sentirti in sintonia con un luogo, che in parole povere, ti fanno sentire a
casa tua anche se sei in vacanza.
- Guarda, stanno ristrutturando quella colonica che ci piaceva tanto – Ha detto il
babbo appena usciti da uno dei tanti paesini dell’entroterra tra Siena e Grosseto.
- Visto? Hanno piantato una vigna nuova qui – ha esclamato qualche chilometro più a
sud, lungo l’Aurelia, mia madre, sempre attenta a quel che succede nelle aziende
agricole, anche quelle degli altri!
E così tra un ‘gurda qui’ e un ‘guarda là’, siamo arrivati in vista del mare, dopo un paio
di soste (io soffro il mal d’auto…) e una bella sudata, dato che il Doblò che ci ha
prestato la nonna per far entrare tutto l’occorrente per mio fratello (lettino,
passeggino, vettovaglie, pannolini…) non ha l’aria condizionata.
La brezza del mare entrava dai finestrini mista all’odore pungente dei pini marittmi,
mentre le loro radici affioranti dall’asfalto della stradina che portava al campeggio ci
facevano sobbalzare sui sedili.
Martino si è svegliato con i capelli arricciati dal sudore chiedendo spiegazioni di
quello sconquasso improvviso: ha teso le braccia verso la mamma, ma poi si è
accontentato di me che gli stavo seduto al fianco e mi ha gorgheggiato qualche cosa.
- Coraggio bambini, ormai siamo arrivati – ha detto sorridendo la mamma mentre
cercava di mantenere al loro posto le piccole cose appoggiate sul cruscotto.
I suoi capelli lunghi e lisci erano ormai sfuggiti alla presa della pinza e le
volteggiavano impazziti per il vento intorno al viso nonostante i tentativi di riporli in
ordine dietro all’orecchio: il babbo la osservava sorridendo nel vederla una volta tanto
in difficoltà nel tenere ‘ogni cosa al suo posto’, ma il suo era un sorriso affettuoso che
si sarebbe trasformato subito in un aiuto, se non fosse stato meglio in quel momento
tenere le mani ben salde sul volante: su quel Doblò stava racchiusa tutta la sua
ricchezza.
Sistemati i bagagli nella nostra casetta (uno dei bungalow del piccolo villaggio) , mi
sono infilato il costume e sono corso lungo la pineta verso il vialetto in cemento che
porta alla spiaggia: il fitto tappeto di aghi di pino attutiva i mie passi mentre correvo
schivando le pigne cadute – Farò una bella raccolta di pinoli quest’anno – ho
sussurrato a mezza voce mentre le tortore tubavano dagli alti rami della pineta e
parevano darmi il benvenuto.
Il rumore del mare era debole e morbido, e adesso che potevo finalmente vederlo il
suo colore si confondeva all’orizzonte con quello del cielo: era una splendida mattina
di bassa marea, di quelle in cui non soffia un alito di vento e la sabbia più scura del
fondale affiorava increspata formando delle isolette al di là della battigia.
In spiaggia c’era ancora poca gente, solo qualche nonno piantava l’ombrellone per il
resto della famiglia ancora intenta a fare colazione: ho affondato i miei piedi bianchi
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nella sabbia ancora fresca ed ho raggiunto la riva dove un filo di perle e d’argento si
muoveva ritmicamente segnando una cresta di microscopiche onde.
Laggiù, al largo dietro una cortina di foschia, dovevano esserci il Giglio, l’Elba e più in
là le piccole Formiche, ma sarebbero rimaste nascoste ancora per un po’. Solo
l’Argentario da una parte e Telamone dall’altra parevano sempre al loro posto.
- Cosimo! Finalmente sei arrivato –
- Miky! – ho esclamato contento di ritrovare quel bambino minuto e
abbronzantissimo che era stato compagno di pomeriggi anche l’anno prima – speravo
proprio di rivederti! Ma come facevi a sapere che sarei venuto? - E stato facile! Ho detto al direttore che mi avvisasse se i tuoi prenotavano…e così è
stato! Che ne dici di venire con me? Mi potresti aiutare ad aprire gli ombrelloni - Certo – e ci siamo avviati chiacchierando per svolgere insieme quell’incombenza
mattutina – anche perché voglio dirti subito che c’è una grossa novità! - Quale? - Quest’anno ho un fratello tra i piedi!- Ma va! Questa si che è una notizia! Così adesso tutti pannoloni, pappine e biberon!- Non mi prendere in giro anche tu, per favore! Spero solo che queste vacanze al mare
mi portino un po’ di libertà – ho detto speranzoso infilandomi sotto la stoffa ruvida
dell’ombrellone ancora addormentato.
Dopo una decina di ombrelloni sono arrivati anche i miei, e la nostra famigliola di visi
pallidi si è sistemata ingombrando i pochi metri quadrati d’ombra a sua disposizione
con il corredo classico di ogni estate al mare: paletta, secchiello, pallone, maschera e
boccaglio, borsa termica, creme solari, macchina fotografica, parei e bandane si
accalcavano le une sugli altri come in un bazar arabo mentre i teli colorati si
srotolavano al sole, pronti a partire portando in volo eventuali Aladini.
Martino guardava stupito quella grossa bacinella per il bagnetto che gli stava davanti
(leggi il mare) sgambettando con forza, mostrando così tutta la sua intenzione ad
avvicinarsi all’acqua; il babbo ha aperto il lettino e ha tentato di sfogliare il giornale,
ma la mamma lo ha assalito con una lista di una trentina di incombenze da svolgere
subito (sembra quasi che lo faccia apposta!) mentre con la testa infilata nel borsone
cercava non so cosa.
Visto che le operazioni andavano per le lunghe, ho chiesto il permesso di andarmene a
fare una passeggiata lungo il mare.
Non che mi piaccia poi così tanto camminare per camminare, ma sono un
appassionato raccoglitore di conchiglie: a casa ne ho una vera collezione, che in parte
ho regalato al mio pesce rosso. Alcune vengono addirittura dalle spiagge Irlandesi,
piccolo souvenir di uno dei viaggi della nonna Flora.
Mia mamma invece raccoglie rami sbiancati dalla salsedine ed insieme ci divertiamo a
vederci qualche cosa, un po’ come si fa con le nuvole: abbiamo portato a casa serpenti,
coccodrilli, lontre, uccelli dai colli lunghissimi, improbabili giraffe e dinosauri
magrissimi! Comunque sono belli e se li annusi sanno ancora di mare.
In fondo il mare è bello anche per questo: non c’è niente di speciale da fare, eppure
ognuno trova il modo per divertirsi (a parte mio babbo che vorrebbe solo leggere in
pace il suo giornale!) con cose semplici, quasi primitive, che danno un grande senso di
libertà. Libertà di essere quasi nudi, di non avere scarpe, di rincorrere i pesci, di
entrare e uscire dall’acqua, di asciugarsi al sole, di sedersi per terra, di sporcarsi con
la sabbia, di costruire castelli meravigliosi che non sopravvivranno alla marea della
notte!
…
Domani purtroppo si torna a casa! Il tempo è davvero volato tra giochi di spiaggia e
partite di pallavolo in acqua (durante le quali ho dato il meglio di me), lunghe
camminate ed interminabili set di ping pong, bagni fantastici con la maschera,
durante i quali ho pescato (per poi ributtarli ovviamente subito in acqua) un timido
59
paguro e una delicata stella marina: non sono mancate neanche le punture di zanzara
e un eritema solare da grattarsi anche la notte, ma comunque il bilancio di questi
quindici giorni è stato ampliamente positivo.
Martino si è tinto di un rosa acquerello, ha incrementato notevolmente il suo appetito
ed ha scoperto di essere una piccola star del villaggio: dal suo passeggino ha
dispensato sorrisi e baci pieni di bolle a tutti i passanti che gli hanno risposto con frasi
di circostanza e lui sembrava divertirsi un mondo!
La mamma e il babbo mi hanno lasciato più libero dello scorso anno, forse anche
perché con un bambino più piccolo in casa io ora sembro ‘mooolto’ cresciuto!
Ogni tanto si rubavano un bacio ridendo alle mie guance arrossate, ma io ero
contento!
Adesso vi lascio perché ho promesso che prima di cena avrei finito di fare le mie
valigie, invece sono già le sei e sono ancora in spiaggia: le famiglie più numerose se ne
sono già andate, molti ombrelloni sono spariti ed i gabbiani reclamano i loro spazi
volteggiando radenti sulle onde.
Tra un po’ il sole raggiungerà Telamone e lo arderà di un rosso fuoco. Il cielo si
spegnerà pian piano al blu della notte mentre il mare, brontolando profondamente,
accoglierà la scia bianca della luna.
Tutto sembrerà immobile ed eterno; solo le luci del porto e i raggi lontani del faro
scandiranno il tempo della notte.
IL TEMPORALE
- Corri Ella, corri!!- Gridavo ansimante mentre fuggivo tra i covoni di paglia che,
impettiti come soldati, erano stati fino ad un minuto prima nostri compagni di gioco.
Gli stecchi di paglia ancora infissi sul terreno mi graffiavano a sangue le caviglie e più
di una volta ho rischiato di cadere inciampando su fili striscianti di rovo; Ella, cento
volte più agile di me, correva saltando le profonde crepe del terreno, guidata
dall’istinto che le diceva di fuggire.
Le colline lontane erano ormai tormentate dalla furia degli eventi, nere di rabbia ma
pronte a difendersi: dal cielo bagliori di luce annunciavano la battaglia imminente
mentre, più lontano, sciabole di fuoco fendevano le nuvole scaricando a terra colpi
mortali.
Si udì dall’alto un rombo fortissimo e i primi proiettili cominciarono a cadere, sparsi,
senza colpirci. I cavalli avevano rivolto la groppa al vento e con la testa abbassata
attendevano gli eventi, mentre code e criniere erano pettinate dal vento.
- Corri Ella o stavolta finisce male!!Inseparabili come due eroi in missione ci arrampicavamo ormai stanchi lungo le file
di olivi che piangevano già lacrime d’argento ai colpi andati a segno, mentre le gambe
bruciavano ad ogni passo di più.
Quando eravamo ormai quasi in salvo mi sono voltato: le nuvole di piombo avevano
coperto l’intera volta del cielo e il fronte della tempesta ci era ormai così vicino da
sentirne l’alito freddo.
Abbiamo fatto giusto in tempo a mettere piede sull’aia che la grandine ha cominciato
a flagellare ogni cosa: le grosse foglie di zucca nell’orto sono state le prime ad
accasciarsi ai suoi gelidi colpi, poi è stata la volta dei frutti e della mamma che si
ostinava a voler mettere in salvo il bucato. Le ho aperto la porta della cucina mentre
fuori si scatenava il finimondo: da un giorno di luce era scesa la notte, una notte
furiosa di ghiaccio e vento.
Una colonna d’acqua ormai si stava abbattendo su di noi e le povere cose che stavano
al di la del vetro erano sconquassate dalla sua furia. A stento riuscivo a riconoscere le
sagome degli oggetti che normalmente vivono intorno alla casa; gli alberi secolari
scricchiolavano come quelli di un vecchio veliero nell’ occhio del ciclone, l’acqua
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correva sulla strada saltando sui sassi rotolati più a valle e gli uccelli, che pochi minuti
prima volavano radenti a terra fischiando, ora erano spariti, rintanati in attesa che la
furia passasse.
Ella mugolava impaurita da sotto il tavolo nonostante le mie carezze.
-Passerà presto, vedrai- ho tentato di consolarla, ma lei tremava come una foglia.
D’improvviso uno schianto accecante mi ha smentito e la luce se ne è andata.
Ora anch’io ero rintanato sotto al tavolo mentre la mamma cercava qualche candela
nel cassetto della credenza.
- Cosimo, ti ricordi dove abbia…eccole eccole le ho trovate – e si è spostata verso i
fornelli da dove è apparsa una corona di fiammelle azzurre. Una seconda fiammella di
colore più caldo si è accesa e dietro di lei la mamma è sparita alla volta del quadro
elettrico.
- Niente da fare, non dipende da noi. Dovremo aspettare che riparino il guasto per
avere di nuovo corrente. Speriamo che il temporale diminuisca la sua furia altrimenti
chissà quanto ci vorrà!Fuori la pioggia furiosa aveva imbrattato tutti i vetri: sulla soglia le formiche che
impazzite avevano tentato di farsi una strada al sicuro, erano state spazzate via.
Nonostante niente fosse cambiato nelle condizioni del tempo, Ella era uscita da sotto
il tavolo e guardava con me dal vetro. Qualche cosa le aveva detto che il peggio era
passato e che presto sarebbe potuta uscire.
Infatti così è stato: con la velocità con cui il temporale era venuto, ci stava lasciando
squarciando il cielo che si era fatto azzurro intenso: grossi nuvolosi ora grigi, ora
bianchi lo popolavano ancora, ma si affrettavano a rincorrere il nuovo fronte, più in
là. Le foglie rimaste appese agli alberi piangevano le compagne stese a terra e sui rami
ricomparvero saltellando gli uccellini, ora intenti ad asciugarsi scotendosi come
piumini.
Ella ha grattato alla porta per uscire ed io l’ho seguita, indifferente alle ultime goccie.
La luce del sole falciava l’aria ancora densa di umidità tracciando uno dei suoi
arcobaleni più grandi, e la luce del giorno era tornata a splendere.
I campi fumavano per il vapore, i sassi lavati luccicavano come pietre preziose ed
ovunque potevi sentire l’odore del bosco. Anche gli uccelli più timidi erano tornati a
cantare.
D’improvviso Ella si è fermata, naso a terra, guardando fisso sul di un mucchio d’erba.
Il mucchio pareva respirare lentamente, poi qualche cosa si è mosso…e ne sono usciti
spaventati cinque fagianotti ormai quasi adulti, ma di certo alla loro prima esperienza
con il temporale.
- Ella qui!!- Le ho urlato abbastanza imperiosamente da convincerla a non muovere
un passo – Lasciali in pace. Penso che per oggi abbiano preso abbastanza paura! Ma nel sorridere alla mia stupida battuta ho allentato un po’ la presa sul collare e Ella
mi è scappata all’inseguimento dei poveri pennuti. Per fortuna sono riusciti ad
abbozzare una sorta di volo planare al di là della siepe di biancospino, bloccando così
le mire venatorie di Ella.
- Brutta! Vieni subito qui! – le ho gridato rosso in viso per la corsa.
Lei mi ha guardato e si è fatta piccina piccina abbassando la testa e scodinzolando
quel pallino di coda che le sta in fondo alla schiena. I suoi occhi umidi invocavano la
mia pietà, ma era solo una commedia perché era talmente certa della sua imminente
assoluzione che le molle nelle sue gambe erano già caricate per il prossimo gioco.
La tempesta aveva colpito un po’ ovunque, le vigne, i campi mietuti, il bosco, ma per
fortuna era durata troppo poco per fare dei danni molto seri; comunque l’aria era
cambiata in una brezza pungente che il sole del tramonto non avrebbe fatto in tempo
a scaldare.
Con tutta la confusione di quel pomeriggio insomma pareva che la natura avesse
voluto ricordarci che in lei tutto si muove, tutto finisce e ritorna, che i caldi giorni
d’estate avrebbero presto lasciato il posto all’autunno.
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FICHI MORE E BOLLE D’ACQUA
- Blob…blob…blobIl pentolone ha cominciato finalmente a gorgogliare.
Con il mio naso tuffato nel vapore guardo le bolle salire in superficie attraverso il
canovaccio di lino: il vetro dei barattoli tintinna leggermente dal fondo con un rumore
sottile e familiare per questo periodo dell’anno.
- Attento a non scottarti!…Passami per favore un altro po’ di zucchero che ho messo in
pentola più fichi di quanto credessi - mi ha detto la mamma mescolando
vigorosamente con il mestolo di legno una purea verde, tanto che sembra una strega
alle prese con una pozione magica a base di ramarro!
In verità dentro a quella pentola c’è una delle sue marmellate, quella di fichi bianchi,
molto apprezzata anche dai nostri ospiti dell’agriturismo.
Martino ci sta osservando dal suo seggiolino con un piccolo cucchiaio di legno in
mano che sbatte ritmicamente sul tavolo.
- mmmm…nnnnn…ggggg…- si sforza di dirci qualche cosa, ma per il momento non gli
esce niente di meglio. Ha gli occhi scuri e profondi. Ogni tanto compare sulla sua
bocca grande un sorriso birichino che lo mette in contatto con il mondo.
Ormai mi sembra che lui ci sia sempre stato tra noi e non mi sorprendo più a pensare
come sarebbe stato se non fosse mai arrivato: c’è e basta (e a volte avanza!).
Tornando alle marmellate, sono giorni che in cucina non si vedevano altro che
barattoli, coperchi, passaverdura, chili di zucchero e cestini di mele cotogne, tutto
l’occorrente cioè per il ‘piccolo marmellataio’: senza considerare che i quindici giorni
del ‘piccolo passatadipomodoraio’ si erano appena conclusi, mettendo in dispensa le
ultime bottiglie di passata di pomodoro che si sono ordinatamente allineate nel piano
basso della madia, tutte dotate di etichetta adesiva con data ed ingredienti.
Adesso sarà la volta delle dei fichi, che dovranno serrare le fila accanto ai vasetti
arancioni pieni di albicocche e a quelli rosso intenso dei ribes.
Ma la mia marmellata preferita è quella di more ‘passate’ (sì, perché altrimenti tutti i
loro semini mi si conficcano tra i denti) ed è la mia preferita anche perché l’addetto
alla raccolta della materia prima sono io e vi assicuro che è una vera faticaccia!
Ci si riempiono tutte le braccia di spine, si rischiano decine di incontri ravvicinati con
ragni grossi più di una noce, a volte succede di strappare il sacchetto e vedere tutto il
raccolto rotolare via, ma alla fine è una vera soddisfazione.
Ella, neanche a dirlo, partecipa a modo suo alla raccolta pappandosi le more basse
direttamente dai rametti, e vi meravigliereste nel vedere con quanta perizia e
delicatezza esegue le sue operazioni.
Eppure nel nero delle more è racchiuso un triste presagio: sono l’ultimo frutto dolce
dell’estate e le poche superstiti, rinsecchite, nei prossimi mesi porteranno un po’ di
conforto agli uccellini che si poseranno sui loro rami spinosi nelle brume autunnali.
Tutto cambierà il suo aspetto: i campi verranno rivoltati dagli aratri come coperte dal
lato invernale, mentre le vigne, spogliate finalmente dell’uva, tireranno un sospiro di
sollievo addormentandosi poco a poco, cullate dal tintinnio della pioggia sulle loro
foglie secche. Le rondini cominceranno a decorare come tante perline i fili della luce
in attesa di partire all’inseguimento della bella stagione.
Nel bosco le roverelle si faranno di nuovo di mille colori: solo gli olivi
accompagneranno ancora i contadini per qualche mese prima di potersi gustare un
meritato riposo.
E i cavalli? Finita la lotta quotidiana con le mosche e i tafani, sapranno godersi la fine
dell’estate da veri intenditori. Filosofo verrà sicuramente sellato da mia zia Eleonora
per qualche breve lezione d’equitazione a mio zio Bernardo, Moritz farà finta di avere
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mal di pancia per non farsi montare e Icaro aspetterà paziente che la zia abbia un
pomeriggio libero tutto per lui, per portarlo in passeggiata, come facevano quando
entrambi erano più giovani.
Ma a parte questo, si dedicheranno a mangiare, mangiare, mangiare cosa che riesce
assai bene a tutti e tre!
E io? Beh, mi sto già preparando all’idea che l’estate sia finita: ho ancora qualche
cosina da fare prima di rientrare a scuola, per cui, finite le marmellate, so già come
dovrò occupare il mio tempo. E’ l’ora di pensare al futuro!
Ninna nanna per sempre
E’ di nuovo Settembre, un anno è passato
da quando ho saputo che saresti arrivato.
Son stati momenti d’angoscia e paura
ma da allora ho vissuto la più bella avventura.
Oggi io guardo i tuoi occhi lucenti,
il tuo volto paffuto, i tuoi piccoli denti
e ti scocco un sorriso a cui tu già rispondi,
le tue frasi più belle sono sguardi profondi.
Fatico a pensarmi ormai senza di te:
della vita da solo non rimpiango granchè.
Siamo il giorno e la notte, la pace e la guerra
vicini e contrari come il cielo e la terra.
Ma qualcosa di unico brucia ogni apparenza:
nel tuo essere vive la mia stessa sostanza.
La vita crescendo ci terrà forse divisi,
il tempo incalzante solcherà i nostri visi;
forse avremo anche in sorte ineguali fardelli,
ma di certo saremo per sempre fratelli.
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CONCLUSIONE
Caro Diario,
come avevo previsto le tue pagine vuote sono rimaste veramente poche.
Del resto pochi sono anche i giorni che ormai mi separano dal mio decimo
compleanno, il che vuol dire che siamo stati insieme quasi 365 giorni, 12 mesi o
quattro stagioni che dir si voglia!
E’ stato un anno importante, che mi ha messo alla prova, in cui sento di essere
cambiato per sempre, di non essere insomma più un bambino.
Ho imparato a soffrire per la gelosia, ma anche ad amare in modo diverso: ho
cominciato a capire il perché della nascita e della morte che sono la natura stessa di
tutto ciò che vive.
Mi sono arrabbiato e commosso, ho riso a crepapelle e pianto a dirotto, ma
soprattutto ho pensato: a me stesso, alla mia famiglia al perché delle cose che mi
circondano e di quelle che mi sono venute addosso all’improvviso.
E pensando ho capito che l’arrivo di mio fratello non era la fine di qualche cosa, ma
semplicemente l’inizio di una storia nuova a cui partecipava un attore in più.
Martino mi ha conquistato di giorno in giorno, in lui ho scoperto qualche cosa di me,
nel confronto con lui ho apprezzato di più i lati positivi del mio carattere che a lui
mancano e ho capito quanto sia affascinante sentirsi simili e diversi!
Caro Diario, chissà quante altre volte nella vita sentirò di aver fatto un passo avanti
così grande: eppure ora mi sorprendo di esserci riuscito e ringrazio anche te di avermi
aiutato.
Non so se avrò mai il coraggio di aprirmi con un altro, di raccontarmi come ho fatto
con te, ma so che, se ne sentirò in futuro il bisogno potrò sempre aggiungerti qualche
pagina, per tenerti aggiornato sulle mie scoperte più grandi, su i miei traguardi
raggiunti come sulle mie sconfitte più dolorose, sulle gioie vissute e sui dolori che
certo la vita saprà riservarmi.
E a voi cari lettori, a cui mi sono rivolto nella premessa, a cui devo la pazienza di
avermi letto, un saluto speciale perché senza l’immagine di voi che, rimboccati sotto le
coperte o spaparanzati in riva al mare, leggevate delle mie piccole avventure, non
avrei mai scritto niente.
Ma sopratutto grazie ai miei genitori, che ci hanno voluto così fortemente nella nostra
famiglia e che lavorano ogni giorno per riempire la nostra vita di cose vere e di
sentimenti preziosi.
E un bacione grande a Martino che, senza saperlo, è stato la causa di tutto.
…
Ora che ho finito i ringraziamenti scritti, fatti per chi sa leggere, una coccola extra per
Ella, che è davvero speciale come l’ho descritta in queste pagine, e un abbraccio forte
alla mia campagna, che mi circonda da quando ero solo un’idea e che ogni giorno mi
osserva con gli occhi di un capriolo, mi sorveglia con il volo di una poiana, mi parla
con i bisbigli del bosco e mi culla al ritmo del vento.
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Ninna nanna d’Autunno
L’autunno è volato, l’inverno è alle porte
Il sole è più basso, il vento più forte.
I cavalli hanno il pelo già fitto sul corpo,
la lepre rosicchia qualche cosa nell’orto.
Dormon le piante ormai senza vestito
soltanto il cipresso veglia impettito
che sotto la terra coperta di bruma
il seme, paziente attenda la luna.
La casa si scalda di fuoco e bambini
i vecchi raccontano davanti ai camini,
la mamma mi abbraccia di tenero amore
mentre in lei batte già un altro piccolo cuore.
Ninna nanna Martino, ninna nanna d’autunno
Che il vento ti culli portandoti il sonno
La pioggia ti suoni una nenia gentile
Le foglie cadendo ti lascin dormire.
Ninna nanna d’Inverno
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Ninna nanna Martino, ninna nanna invernale,
riposa bambino che domani è Natale,
gli Angeli in coro son pronti a cantare
e la neve in silenzio continua a fioccare.
L’inverno è arrivato col suo manto di gelo,
la terra ha tremato di un brivido vero.
Anche l’erba si è tinta di un verde più spento,
gli animali si arrendono ai morsi del vento.
Eppur c’è nell’aria qualcosa di strano,
un cuore che batte, caldo, lontano
che invita ogni cosa a farsi coraggio,
a coglier del sole ogni tiepido raggio.
Il risveglio è vicino, il seme germoglia,
nella pancia Martino si fa sulla soglia,
mentre tutti lo aspettano con un nodo alla gola.
Finita la notte, sorge sempre l’ Aurora!
Ninna nanna Martino, ninna nanna invernale,
Che il mio fratellino possa sognare
Un mondo di pace, di luce e armonia,
un mondo a colori com’è casa mia.
Ninna nanna di Primavera
Il sole è tornato giocando nel cielo
Tra greggi di nuvole e vento leggero;
la terra si copre di soffice verde,
il cavallo il suo pelo invernale già perde.
Le api, danzando, vanno in cerca di fiori
da cui cresceranno frutti gustosi.
Ogni cosa in campagna ritorna alla vita
tutti già sanno che la pausa è finita.
Gli animali son presi da danze ed amori,
gli uomini intenti a mille lavori.
La mamma passeggia con me sotto il sole
Martino le dorme leggero sul cuore.
Ninna nanna Martino, nanna di Primavera
carezzi la culla una brezza leggera,
le foglie brillanti ti danzino intorno,
gli uccelli fischiando invochino il sonno.
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Ninna nanna d’Estate
Il giorno rovente par bruciare la terra,
le crepe nei campi son ferite di guerra;
il fieno è tagliato, il grano è maturo
la lucertola cerca refrigerio nel muro.
Nell’orto bagnato la verdura è una festa,
la frutta raccolta già riempie la cesta.
Soltanto al tramonto si tira un sospiro,
e la notte son mille le lucciole in giro.
Or la casa è in silenzio, fino al mattino,
soltanto la mamma culla Martino
contando le stelle che son sopra di loro,
al canto notturno dell’usignolo.
Ninna nanna Martino, ninna nanna d’Estate
Le stelle cadenti han code dorate
La luna ti illumina con raggi d’argento
Il tuo sonno di bimbo non tardi un momento.
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