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GENNAIO 2009 DOSSIER TANZANIA Occhio agli aiuti BRASILE Nel Nordest dei contrasti MEDIORIENTE Cristiani a rischio estinzione MOZAMBICO Marxismo neoliberale 1 16-12-2008 11:34 anno 111° -1/2009 spedizione a.p.a.2. c.20/c, legge 662/93 - DRT/DCB Torino. “taxe perçue” tassa riscossa - contiene I. R. In caso di mancato recapito, il mittente chiede la restituzione, impegnandosi a pagare la relativa tassa. Copertina ok.qxd:Copertina Pagina 2 Paolo.qxd:52-Battitore-2 pag 16-12-2008 11:35 Pagina 2 ANTIOCHIA «I l sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» scrisse un grande oratore africano dei primi secoli cristiani, Tertulliano, osservando quanto succedeva ai suoi tempi. Questo è ben visibile anche negli Atti degli Apostoli. Dopo la lapidazione di Stefano e conseguente persecuzione contro i discepoli di Cristo, alcuni di essi, per evitare il peggio, fuggirono fino ad Antiochia di Siria (At 11,19), terza città dell’impero romano, dopo Roma e Alessandria, sede del governatore romano, con circa mezzo milione di abitanti greci, siriani, ebrei; incrocio di razze, culture, religioni. La persecuzione di Gerusalemme è come un vento che investe un giardino di fiori e dissemina il polline lontano. Questi cristiani profughi da Gerusalemme erano così entusiasti della loro fede che anche ad Antiochia continuarono non solo a praticarla, ma anche a diffonderla attorno a sé. Dapprima solo tra ebrei là residenti. Alcuni che erano di Cipro e di Cirene in nord Africa, però, cominciarono a parlare di Gesù anche ai non-ebrei, ai pagani. «Si misero a predicare anche ai pagani, annunziando loro il Signore Gesù. La potenza del Signore era con loro, così che un gran numero di persone credette e si convertì al Signore» (At 11,20-21). La predicazione del vangelo ai pagani è un passo molto importante nella crescita del cristianesimo: apre una nuova strada. Infatti agli inizi i cristiani di Gerusalemme erano tutti di origine ebraica e sembra pensassero che Gesù era venuto solo per gli ebrei. Fu l’entusiasmo di questi cristiani originari di Cipro e Cirene (abituati cioè a vivere la loro fede ebraica in un contesto più internazionale, a contatto coi pagani) ad aprire l’evangelizzazione verso i non-ebrei (greci o pagani). In seguito sarà soprattutto Paolo a continuare tale missione; ma è bene notare che l’inizio della missione tra i pagani fu opera di cristiani semplici, senza alcun mandato speciale degli apostoli, ma solo in forza della loro fede; così pure non si sa chi per primo abbia portato la fede cristiana a Roma: con tutta probabilità furono marinai, commercianti, schiavi, che venendo dall’Oriente per primi condivisero la loro fede nella capitale dell’impero; Pietro e Paolo arriveranno più tardi e consacrarono la chiesa con il loro martirio. Non occorre alcun titolo speciale per essere missionario. La chiesa è sana soltanto se i suoi laici sono evangelizzatori, nella famiglia, nel posto di lavoro, nella vita sociale. I primi e più efficaci missionari sono i genitori cristiani, i quali trasmettono la loro fede ai propri figli con parole e con l’esempio. La chiesa cattolica in Corea fu iniziata da un gruppo di laici che avevano conosciuto la fede cattolica da contatti con studiosi cinesi. In Giappone decine di migliaia di cattolici conservarono e trasmisero la fede ai loro figli, pur essendo rimasti senza sacerdoti per 200 anni. F 2 cogliere informazioni di prima mano su quanto sta avvenendo, viene mandato Barnaba, un cristiano di ampie vedute e grande empatia. Contento di quanto vede, egli incoraggia la giovane comunità a restar fedele al Signore e si ferma per aiutare nell’evangelizzazione. Vedendo il grande lavoro, ha un colpo di genio e pensa di chiamare un aiutante, Saulo di Tarso col quale per un anno e mezzo lavorerà ad istruire la comunità. La risposta dei pagani è così entusiasta che il gruppo di credenti in Gesù si impone all’attenzione dell’ambiente circostante: «Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26). In seguito giungono ad Antiochia informazioni sulla carestia che ha colpito la Giudea e quindi i cristiani di Gerusalemme. Con generosa solidarietà la comunità di Antiochia manda aiuti ai fratelli di Gerusalemme: «I discepoli allora decisero di mandare soccorsi ai fratelli che abitavano in Giudea, ciascuno secondo le sue possibilità. Così fecero: per mezzo di Barnaba e Saulo mandarono i soccorsi ai responsabili di quella comunità» (Atti 11,30-31). Questo quadretto della nascita della chiesa di Antiochia è un gioiello nel rappresentare cos’è la chiesa. La comunità nasce su iniziativa di credenti perseguitati che hanno il coraggio di andare oltre gli usuali confini geografici e culturali: parlano di Gesù ai pagani. La chiesa di Gerusalemme viene in soccorso a questa giovane comunità, mandando Barnaba segno di comunione con Gerusalemme e missionario capace di comprendere e istruire. Barnaba a sua volta cerca l’aiuto di un altro potenziale grande missionario, Saulo. Conseguenza di tale azione comune è la crescita della comunità che viene ora notata e chiamata per nome anche dall’ambiente esterno, «essi sono i cristiani». Conoscendo la difficoltà di Gerusalemme, la comunità di Antiochia manda aiuti: solidarietà, scambio di doni. Da Gerusalemme è arrivata la fede, a Gerusalemme arriva l’aiuto finanziario in tempo di difficoltà. Comunione di fede vuol dire anche comunione di beni. DOVE PAOLO IMPARA A FARE IL MISSIONARIO rattanto la comunità di Gerusalemme viene a conoscenza che ad Antiochia vi sono alcuni credenti in Gesù. Per rac- MC GENNAIO 2009 È anche notevole che Saulo, qui ad Antiochia, per la prima volta fa il missionario in team con Barnaba. Come non vedere in questo la sua preparazione, il suo tirocinio per la missione universale cui sarà inviato proprio dalla chiesa di Antiochia? «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati» (Atti 13,1-4). Sarà la comunità di Antiochia che manda Barnaba e Paolo in missione e tutti i viaggi missionari di Paolo inizieranno e si concluderanno in questa città, in questa chiesa che, essendo nata tra i pagani, sente più forte l’urgenza di evangelizzare i pagani nel mondo. Mario Barbero Predicazione di Paolo ad Antiochia. A i lettori ... L’UTOPIA CONTINUA ... I l titolo della storica Agenda Latinoamericana per l’anno 2009 è sicuramente curioso e stimolante: «Verso un socialismo nuovo – l’utopia continua». Il pubblico che da anni segue fedelmente questa pubblicazione sa bene che l’Agenda è in realtà ben più che uno strumento per segnare e ricordare appuntamenti, ma una vera e propria antologia di articoli (strutturati da sempre sul classico schema vedere-giudicare-agire), uno strumento ecumenico di analisi, riflessione e denuncia evangelica al servizio delle vittime della storia. Titolo stimolante, si diceva, per i due termini, volutamente associati, che lo compongono. Innanzi tutto socialismo. Fa una certa impressione ritrovarlo nuovamente sdoganato in forma esplicita, dopo esser stato screditato a più non posso in questi ultimi anni. Gli interventi parlano di «nuovo» socialismo, di rinnovato immaginario socialista, di socialismo alternativo. Che cosa sia questo socialismo e la sua valenza politica saranno da verificare a vari livelli, iniziando proprio dall’applicabilità di tale concetto allo stesso contesto del continente sudamericano. Resta infatti da dimostrare quanto l’apertura a sinistra di quasi tutti i suoi paesi più importanti (ad eccezione della Colombia) sia rappresentativa di o possa dialogare con questa nuova visione di socialismo che nasce dal basso, dai movimenti, dalle minoranze etniche e sociali e che non si lega in prima istanza a partiti politici tradizionali. C’ è da stare curiosamente in attesa. Il Sudamerica, oggi, è ansioso di proporre una nuova narrazione del mondo, quasi volesse offrire ai cinque continenti un piccolo assaggio di speranza latinoamericana, un «Yes, we can» che non sia soltanto uno slogan elettorale, ma un tentativo di risposta concreta ai grandi problemi che affliggono oggi l’umanità, in tutto il pianeta, non solo a Sud della California. È l’«utopia che continua». Quella utopia che, come scriveva a suo tempo Ernst Bloch, «non è fuga nell’irreale; è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione». È speranza, tensione dell’umano verso un mondo altro, migliore, una forza che manterrà la sua attrattiva e la sua vera carica rivoluzionaria nel momento in cui non si asservirà ai poteri forti, ma continuerà ad essere la lotta dei piccoli, dei poveri, delle vittime e di coloro che ad essi dedicano la vita: nient’altro che la logica del Regno di Dio. Anche di ciò si parlerà senz’altro nel Forum Sociale Mondiale e, soprattutto, nel Forum Mondiale di teologia e Liberazione che si terranno a Belem, nel Nord del Brasile, alla fine di questo mese. Speriamo che dagli stimoli amazzonici arrivi, magari con qualche corrente atlantica, una ventata di freschezza per la nostra stanca Europa e la sua ancor più stanca chiesa, entrambe, mi sembra, con molti problemi e ben pochi sogni nel cassetto. Chissà che, tenendo occhi, orecchi e cuore ben aperti ai segni dei tempi, non si possa trovare anche noi la nostra «agenda», etimologicamente: «Ciò che c’è da fare» per dare alla speranza anche un minimo di direzione. UGO POZZOLI MC GENNAIO 2009 3 1 | gennaio 2009 | anno 111 Ai lettori 3 6 ...L’utopia continua... di Ugo Pozzoli IL DOSSIER DEL MESE Il numero è stato chiuso in redazione il 5 dicembre 2008. La consegna alle poste di Torino è avvenuta prima del 10 gennaio 2009. Dai lettori 27 Cari missionari (lettere a MC) TESTIMONI 10 14 19 43 Giustizia e pace Missione diritti a cura della Redazione 14 Brasile Sogni in catene di Fabrizio Mola REPORTAGE COOPERAZIONE Medio Oriente Chiese vulnerabili a rischio estinzione di Biancamaria Balestra INSIDE TANZANIA Italia testo e foto di Romina Remigio È accaduto a Cornuda... di Giuliano Vallotto L’ALTRO MONDO 46 Zappa, kalashnikov e coca-cola di Marco Bello Africa Occidentale 53 IN QUESTO NUMERO Mozambico 46 Non solo Corano di Giulia Lanzarini Madre Terra 58 65 Contaminazione (profonda) di R.Topino e R.Novara Milano Degli zingari si può anche parlare bene di Giovanni Guzzi SOMMARIO 65 10 14 19 27 43 46 53 65 Italia Brasile Medio Oriente Tanzania Italia Mozambico Africa dell’Ovest Italia www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. 14 V 04-05 Sommario.qxd:04-05 Sommario 16-12-2008 11:38 Pagina 5 MENSILE DEI MISSIONARI DELLA CONSOLATA FONDATO NEL 1899 RUBRICHE 2 Anno paolino di Mario Barbero 8 Chiesa nel mondo di Sergio Frassetto 24 «Così sta scritto» (35/24) di Paolo Farinella 2 Direzione, redazione e amministrazione: Corso Ferrucci, n.14 - 10138 Torino tel. 011.4.400.400 - fax 011.4.400.459 E-mail: [email protected] Sito internet: www.rivistamissioniconsolata.it Direzione: Ugo Pozzoli (direttore editoriale - .492 ) Francesco Bernardi (direttore resp.) IN COPERTINA: bambina di Mambone (Mozambico); foto di Marco Bello. FOTOGRAFIE (i numeri indicano le pagine): A. Youkhanna (22) - Bello (4) - Internet (2,5,6,7,8,9,19,20,23,25,43,44,45,58,61,62,63,64) - Ismico (9) - Lelli-Masotti (4) - Mola (4) - Mushell (23) - Pozzi (20,21) - Pozzoli (10,11,12) - Scudiero (13). VI PORTIAMO NEI SEGUENTI PAESI: Redazione: Benedetto Bellesi - [email protected] Marco Bello - [email protected] Paolo Moiola - [email protected] Ugo Pozzoli - [email protected] Collaboratori: A.Antonelli, B.Balestra, M.Bandera, V.Confalonieri (med.), S.Calvani, C.Caramanti, D.Casali, M.Chierici, P.Farinella, A.Lano, E.Larghero (med.), V.Maddaloni, R.Novara, M.Pagliassotti, P.Pescali, S.Petrovic, G.Sattin (med.), R.Topino (med.), G.Vallotto Internet: Paolo Moiola (.458) e Marco Bello (.436) Archivio fotografico: Franca Fanton Progetto grafico: Kreativezone, Torino Grafico: Carlo Nepote Spedizioni ed arretrati: Angela e Miriam Stampa: Gruppo Grafico Editoriale G.Canale e C. S.p.a. Borgaro T.se -Torino 43 19 Conto corrente postale n. 33.40.51.35: si ringraziano vivamente i lettori che sostengono l’impegno di formazione ed informazione di «MISSIONI CONSOLATA ONLUS». Tutti i contributi o offerte sono deducibili dalla dichiarazione dei redditi. 53 4 Editore: MISSIONI CONSOLATA ONLUS Amministratore: Guido Filipello, tel. 011.4.400.400 Ufficio segreteria: Antonella Vianzone tel. 011.4.400.400, fax 011.4.400.411 27 Sped. a.p., a.2, c.20.c., legge 662/96 App. ecc. - Aut. tr. Torino - 15. 6. 48, prot. 79 Iscritto reg. naz. stampa- C./5060 1/3444 17. 10. 91 46 Associata alla FEDERAZIONE STAMPA MISSIONARIA ITALIANA Associata all’USPI I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (legge 675/1996). MC GENNAIO 2009 5 06-cari missionari.qxd:06-cari missionari-bis 16-12-2008 11:51 Pagina 6 Cari mission@ri Diritti di tutti e per tutti... Egregio Direttore, ho letto la dichiarazione dei diritti umani. Ritengo che a detta dichiarazione manchi qualcosa, una specie di principio, come filo conduttore di tutto quello che è possibile enunciare sui diritti umani. Ad esempio: «Ogni individuo nasce come titolare di tutti i diritti di questo mondo, ma ha pure il sacrosanto dovere di acquisire la capacità a esercitare un qualsiasi diritto ed esercitarli anche nel pieno rispetto dei diritti di ogni altro individuo». Il discorso sarebbe alquanto lungo, ma mi fermo a questo piccolo principio. Cosa ne dite ? Lucio Di Martino Aosta La Dichiarazione universale dei diritti umani ha sempre bisogno di essere completata con nuovi principi e proposte, ma soprattutto di essere implementata da tutti e per tutti gli esseri umani. «Monti sacri» e alpinismo estremo Cari missionari, dopo un’estate funestata da una sequenza tragica di incidenti in alta montagna (Himalaya, M. Bianco...) c’era proprio bisogno di un articolo come «Monti sacri» (M.C. 9/2008 pag. 10-14). C’è bisogno che qualcuno ci ricordi che le montagne, tutte le montagne, sono opera di Dio, create per unire e riappacificare, non per dividere o esasperare rivalità, tensioni, conflitti, guerre. È ora di finirla con certa letteratura, che si ostina a parlare di «Montagne del 6 MC GENNAIO 2009 diavolo», con l’alpinismo estremo, dove vince chi arriva prima o più in alto, con maggior frequenza o consumando la minor quantità di ossigeno delle bombole, sfidando le condizioni atmosferiche più avverse e l’anagrafe. A questo alpinismo, che mi rifiuto di considerare come attività sportiva gradita a Dio e conforme al vangelo, preferisco di gran lunga l’alpinismo non competitivo, dove contano poco o nulla arrivare primi, il cronometro, il termometro e l’altimetro, mentre contano molto arrivare insieme, arrivare tutti e in buone condizioni di salute; arrivare senza aver deturpato l’ambiente montano con escrementi, plastica, scatolame e rifiuti vari. Alle scalate dell’Everest, del K2 e altri «ottomila» che tanto fan parlare (e litigare...) scalatori, commentatori, scienziati, sponsor e governi nazionali, preferisco le iniziative di alpinismo sostenibile, come quelle intraprese da Carlo Alberto Pinelli, con la sua Mountain Wilderness in Afghanistan, martoriato da decenni di guerra. Con lo slogan «dal kalashnikov alla picozza», Pinelli e i suoi amici, italiani e afghani, stanno offrendo un’opportunità di riscatto a giovani e meno giovani, indicando una via d’uscita a chi fino a ieri non vedeva altra possibilità di affermazione al di fuori delle armi e dell’oppio; e stanno dando anche una lezione di stile a chi, sclerotizzato nell’adorazione degli «ottomila», sembra incapace di accorgersi di ciò che accade un po’ più giù… Apriamo occhi e orecchie e ascoltiamo i richiami di naturalisti e alpinisti poco famosi, ma che con tanta umiltà e pazienza stanno costruendo una speranza per le nuove generazioni e rimediando ai danni pedagogici ed ecologici fatti dai loro già celebrati colleghi. Luciano Montenigri Fano «Monti sacri» settimane bianche Cari missionari, spero vivamente che l’articolo di G. Casiraghi sul significato religioso della montagna (M.C. 9/2008 pag. 10-14) arrivi in tante scuole e venga letto da docenti, alunni e genitori. Sappiamo tutti che nelle scuole, specie alle superiori, montagna è uguale a settimana bianca: tanti la bramano, la raccomandano, la esaltano; ma sono tanti anche quelli che inve- ce la boicottano... Questi partono dal principio che nella scuola non deve esserci alcuna discriminazione, mentre la settimana bianca le discriminazioni le crea, perché è un lusso che molti non possono permettersi: più di 500 euro per 7 giorni, senza contare il costo degli sci, vestiario ecc… Per cui la settimana bianca non è certo fattore di unione tra gli alunni, tra i genitori, gli stessi docenti. Secondo me, però, ci sono altri due motivi per dire «no» alle settimane bianche, o almeno rivederne la modalità di approccio. Il primo riguarda l’impatto ambientale. Negli ultimi anni turismo sulla neve e sport invernali sono aumentati in maniera esponenziale, diventando un fenomeno di massa. Da tempo i naturalisti ammoniscono che le montagne non sono in grado di reggere l’impatto di tale invasione: contrariamente a ciò che molti pensano, quelli montani sono ecosistemi assai fragili; per esempio, riflettiamo mai sul fatto che rifiuti e immondizie abbandonate a 2-3-6 mila metri di altitudine hanno dei tempi di decomposizione e riciclo incomparabilmente più lunghi di quelli rilevabili in pianura? Il secondo motivo riguarda l’incolumità personale, sempre più a rischio su certe piste. Tutti vogliono cimentarsi nelle discese libere, fare snowboard, andare in motoslitta, alla ricerca di emozioni sempre più forti, col risultato che ogni anno si contano decine di morti e migliaia di incidenti e infortuni che pregiudicano la possibilità di riprendere una vita normale. In Svizzera - dove nel 2007 ci sono stati ben 70 06-cari missionari.qxd:06-cari missionari-bis 16-12-2008 11:52 Pagina 7 [email protected] mila incidenti e nel solo mese di dicembre le squadre di soccorso con elicotteri hanno compiuto 300 missioni, con un costo di 150 milioni di euro - è stato introdotto lo skivelox. In Italia, dall’1-1-05, c’è l’obbligo del casco per gli under 14 (pena la multa da 30 a 150 euro) e di strumenti elettronici per i fuoripista. Chiaramente però questi sono palliativi o poco più: la cosa più importante è educare le persone, in particolare i giovani, al rispetto di se stessi, degli altri, della natura. Voglio dare un consiglio alle autorità scolastiche, a cominciare dal ministro dell’Istruzione: prima di organizzare altre settimane bianche, le scuole invitino i volontari di Mountain Wilderness, si facciano dire da loro i rischi che il pianeta corre per colpa del- l’accanimento sciistico, sia invernale che estivo. Si facciano anche spiegare i motivi per i quali, negli ultimi 150 anni le nostre «madri delle acque» (così Mountain Wilderness chiama i ghiacciai) hanno visto la loro superficie ridursi del 33% e il loro volume diminuire di quasi il 50%, «trafitte da tralicci metallici, costellate di grandi rifugialberghi, solcate da cavi metallici e mezzi battipista che ne sconvolgono gli equilibri, spostando ingenti masse nevose in una triste gara per assicurarsi gli ultimi profitti prima della definitiva scomparsa delle nevi perenni...». Francesco Rondina Fano «CHE SULUKULE VIVA!» a Sulukule Platform, una vasta associazione composta da professori, volontari, giornalisti, commercianti e resiLdentiOng, del quartiere, ha aperto recentemente un Centro per bambini a Sulukule. In mezzo a tutte le macerie, detriti e sporcizie lasciate dalle ruspe e sfidando tutte le voci e gli annunci sulla fine di Sulukule, la Piattaforma continua a lavorare per la gente e i bambini del quartiere. Al motto «che Sulukule viva», la Piattaforma vuole con ogni mezzo mostrare al mondo e al comune di Fatih che, nonostante le tante case demolite e le tante persone costrette a sgombrare, Sulukule rimarrà finché ci sarà l’ultima persona e arderà l’ultima lampada. L’apertura del Centro ha voluto dimostrare che ci sono bambini a Sulukule! Lo scopo principale del Centro è aiutare i ragazzi a liberarsi dal trauma subito fin dall’inizio della cosiddetta riqualificazione del quartiere. Non sapendo quando le loro case saranno demolite, il rumore di ogni macchinario è un allarme spaventoso per le loro tenere orecchie. Molti hanno smesso di andare a scuola: hanno paura che, al ritorno, non troveranno più la loro casa, come se fosse in loro potere arrestare il processo di distruzione. Nel Centro hanno luogo ogni attività, senza alcuna obbligazione: i bambini possono scegliere ciò che piace loro. Arti plastiche, dramma, giochi all’aperto, con giocattoli Lego e puzzle, lezioni di lettura e scrittura... sono alcune delle attività guidate dai volontari. Lo scorso agosto, guidati da un attore professionale, i ragazzi hanno rappresentato per ben 5 volte il dramma di Giulietta e Romeo, ambientato a Sulukule; ed è stato vero successo. Nel Centro opera anche un ufficio di consulenza per i residenti di Sulukule per trattare relazioni e problemi con la municipalità di Fatih. I volontari redigono petizioni o danno consigli e assistenza legale, provocando anche cause giudiziarie contro la municipalità per le violazioni dei diritti umani. Grazie alla Piattaforma, Sulukule vive e speriamo che possa vivere e che lo lascino vivere. periamo che si riesca a fermare anche le altre ruspe che stanno facendo milioni di senza tetto in tutta Istanbul. A SKucukcekmece-Ayazma circa 2.500 famiglie sono state sfrat- valentemente famiglie provenienti dall’est e sud-est della Turchia, di origine kurda; le abitazioni saranno ristrutturate per farne prestigiose ville per gli eventi olimpici. La stessa sorte incombe sulla popolazione rom di Sulukule, perché il terreno è cresciuto molto di prezzo negli ultimi anni. Così i residenti di Sulukule, ivi presenti fin dai tempi di Bisanzio, devono dire addio non solo alle loro case, ma anche alla loro cultura e modi di vita. Anche Tarlabasi, altro distretto condannato al processo di trasformazione, attende la stessa sorte. Sembra tuttavia che la gente di Tarlabasi, guidata da una Ong locale, non lascerà la scena tanto facilmente: i residenti di questo quartiere hanno imparato bene la lezione da Ayazma e Sulukule e hanno cominciato a fare causa in tribunale con l’aiuto di bravi avvocati. In tutta la Turchia e specialmente a Istanbul, i distretti di riqualificazione urbanistica, uno per uno si stanno organizzando e lottano con ogni mezzo contro tale processo, con la disobbedienza civile e citazioni giudiziarie, visite al parlamento e ai deputati, con qualsiasi altro mezzo utile. I distretti di Istanbul si sono organizzati in un’unica grande coalizione (Istanbul Districts Platform) e hanno cominciato ad agire insieme. Turchi, rom, kurdi, siriani... differenti per etnicità, religione, affiliazioni politiche... ora sotto tutti mano nella mano contro le ruspe! Speriamo che abbiano successo e che trionfi «il diritto alla casa e residenza». Cihan Baysal tate e rilocate a Bezirganbahce; espropriate senza compenso, si sono indebitate e ridotte in miseria; 18 famiglie, senza denaro e senza un luogo dove andare, sono vissute in tende tutto l’anno. La costruzione dello stadio olimpico proprio vicino ad Ayazma, ha avviato l’esodo dei residenti del quartiere, pre- Con questa lettera la signora Cihan Baysal, ricercatrice nel campo dei diritti umani per la Istanbul Bilgi University, ci offre un aggiornamento sulla situazione della gente di alcuni quartieri di Istanbul, di cui Missioni Consolata ha raccontato nei numeri di maggio e giugno 2008. MC GENNAIO 2009 7 CHIESA NEL MONDO.qxd:02 2007-Chiesa nel mondo a cura di Sergio Frassetto CIPRO RELIGIONI E CULTURE IN DIALOGO e religioni sanno che parlare «L di guerra in nome di Dio è un assurdo ed è una bestemmia. Sono convinte che dalla violenza e dal terrorismo non nasce un’umanità migliore. Non credono al pessimismo dello scontro inevitabile tra religioni e civiltà. Nessuna guerra è mai santa. Solo la pace è santa!»: è questa la sintesi dell’Appello di Pace 2008 dei rappresentanti religiosi di oltre 60 paesi del mondo, letto durante la cerimonia conclusiva del meeting internazionale «Uomini e Religioni». Il meeting, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Chiesa Ortodossa di Cipro, si è svolto dal 16 al 18 novembre, a Cipro, sul tema «La Civiltà della Pace: Religioni e Culture in Dialogo». I leader religiosi hanno affidato l’Appello nelle mani di bambini di nazionalità diversa i quali, a nome di ogni 16-12-2008 11:53 Pagina 8 La Chiesa nel mondo generazione, lo hanno consegnato a loro volta agli ambasciatori e alle autorità partecipanti che rappresentavano le nazioni del mondo intero. Ingrid Betancourt Pulecio, che ha preso parte all’incontro, rivolgendosi alle nazioni ha detto: «Abbiate fede, non arrendetevi, perché noi, che abbiamo sofferto e abbiamo perso tutto, non abbiamo perso la speranza. Vi chiediamo di credere che un mondo migliore è possibile, che il bene vince sempre il male. Il vero cambiamento deve cominciare in ciascuno di noi. È dalla somma dei cambiamenti che ciascuno di noi è in grado di realizzare che potremo costruire un mondo migliore. Noi siamo i costruttori di un tempo nuovo, coloro che inaugurano un tempo nuovo dello spirito. Ne siamo certi, nel profondo dei nostri cuori, il nostro è il tempo opportuno perché i sogni diventino realtà. Con la fede tutto è possibile». (Fides) CINA GRANDE INTERESSE PER LA CHIESA uoi conoscere la Chiesa catto«V lica? Allora sei il benvenuto all’appuntamento alla cattedrale di Xi Kai»: è il testo dell’avviso pubblicitario apparso sui principali giornali della città di Tian Jin, promosso dalla comunità cattolica della cattedrale della città. Sotto al testo sono indicati data, luogo e orario degli incontri di catechismo che si svolgono presso la cattedrale. Da quando sono stati pubblicati questi annunci, il telefono della cattedrale ha dovuto affrontare un super lavoro. Il parroco afferma: «Anche se non abbiamo fatto un calcolo dettagliato, riceviamo comunque almeno 20 telefonate al giorno che chiedono ulteriori informazioni. Telefonano giornalisti, liberi professionisti, ma anche tanta gente comune. Dimostrano tutti un unico interesse: conoscere la Chiesa e la fede cattolica. Non ci importa il numero di quanti poi riceveranno il Ingrid Betancourt Pulecio, per sei anni prigioniera delle Farc in Colombia. 8 MC GENNAIO 2009 battesimo, per noi è importante diffondere la fede, il vangelo, la Parola di Dio, tutto il resto è nelle mani di Dio». La comunità della cattedrale si sta impegnando a fondo nell’evangelizzazione studiando e promuovendo nuovi modi di fare missione. Il portone della chiesa è aperto tutti i giorni e, a turno sacerdoti, religiose e volontari laici sono sempre pronti ad accogliere tutti con calore e con amore, rispondendo alle loro domande. Grazie a tale iniziativa, solo nell’anno scorso sono stati celebrati 706 battesimi. La parrocchia della cattedrale oggi conta oltre 30.000 fedeli. È una comunità molto vivace e utilizza la tecnologia moderna e i mass media per promuovere l’evangelizzazione. (Fides) COREA DEL NORD CON LO SPIRITO DI SAN FRANCESCO senza precedenti, i ISudnfratiun’iniziativa francescani della Corea del hanno istituito un «Centro di Servizi per la Pace» nel territorio della capitale nordcoreana Pyongyang. Il Centro, inaugurato di recente, ha un ruolo soprattutto umanitario e assistenziale: si occupa dei lavoratori di una fabbrica realizzata grazie a un progetto comune fra le due Coree. Inoltre distribuisce alimenti e cibo, cura la crescita dei bambini, si prende cura dei malati e opera per la formazione di contadini, cercando di rispondere alle esigenze delle fasce più povere della popolazione locale. «Porteremo al Nord lo spirito di fraternità, pace e servizio del Francesco di Assisi, che ha abbracciato il lebbroso del suo tempo, riconoscendo nei poveri e nei sofferenti i fratelli in cui Cristo si faceva presente», ha affermato padre Paul Kim Kwon-soon (nella foto), dell’ordine dei Frati minori che porta avanti l’iniziativa. «Spero che il Centro rappresenti una pietra miliare nell’opera di carità, riconciliazione, condivisione e cooperazione, affinché la popolazione di Nord e Sud Corea possa tornare a vivere insieme, nell’aiuto vicendevole» ha CHIESA NEL MONDO.qxd:02 2007-Chiesa nel mondo detto mons. Lazzaro You Heung-sik presidente della «Caritas Corea», nella cerimonia inaugurale. Si tratta di un evento molto importante in quanto è la prima istituzione ufficiale della Chiesa coreana nel territorio del Nord, a partire dalla storica divisione della Corea in due parti, dopo la guerra del 1950-1953. (Fides) 16-12-2008 11:53 Pagina 9 le minoranze religiose (cattolici, cristiani di varie confessioni, ma anche islamici ahmadi). Questa legge, infatti, darà un terribile potere di controllo, di tipo sovietico, sui gruppi religiosi. La nuova normativa proibisce qualsiasi attività religiosa non approvata, anche solo riunirsi per pregare o fare attività caritativa. Severe pene sono previste per i trasgressori. Necessaria l’autorizzazione per ogni attività missionaria, come pure per l’importazione di testi religiosi. I «piccoli gruppi religiosi» potranno svolgere attività religiosa solo per i loro fedeli, ma non mantenere luoghi di devozione «aperti a tutti». Absattar Derbisail, leader tra i nufti islamici, la considera una legge «molto positiva», che può colpire «le molte sette che hanno causato problemi in parecchie famiglie». (Asia news) KAZAKISTAN NO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA GIAPPONE 188 MARTIRI kazako ha approvato IsallaParlamento 24 novembre, almeno 30 mila nuova legge sulla libertà religioIlpersone hanno partecipato alla e c’è grande preoccupazione tra beatificazione di Pietro Kibe Kasui, gesuita, e di 187 martiri giapponesi uccisi tra il 1603 e il 1639. La cerimonia si è tenuta al Big N, lo stadio di baseball di Nagasaki, una città in cui i cristiani ammontano all’1% della popolazione, di circa 100 mila persone; a partecipare non solo gente del posto, ma fedeli di ogni parte del paese e anche stranieri provenienti da Corea del Sud, Taiwan e Filippine. La cerimonia è stata presieduta dal card. José Saraiva Martins, inviato del Papa e ex prefetto della Congregazione vaticana per le cause dei santi. «È stato un intenso cammino di preparazione materiale e spirituale che ci ha condotto verso l’evento» ha detto l’arcivescovo di Nagasaki Joseph Takami. Un percorso iniziato 25 anni fa, nel 1981, quando Giovanni Paolo II visitò il Giappone ed esortò a valorizzare la grande eredità dei suoi martiri. «Credo - ha aggiunto il prelato - che tutto l’interesse e l’attenzione suscitati nella popolazione, in un certo senso, possono aiutare la nostra opera di evangelizzazione: certamente la missione avrà nuova linfa e nuove speranze». (Misna) SUDAFRICA: NUOVO VICARIO APOSTOLICO l Santo Padre Benedetto XVI, in data 24 novembre 2008, ha nominato vicario apostolico di Ingwavuma (Sudafrica) padre José Luís Gerardo Ponce de León, Missionario della Consolata, assegnandogli la sede titolare vescovile di Maturba. Il padre José Luís Gerardo Ponce de León, è nato l’8 maggio 1961 a Buenos Aires (Argentina). Ha studiato con i missionari della Consolata a Buenos Aires e a Roma, mentre ha completato i corsi di teologia all’Università gesuita Javeriana, a Bogotà, in Colombia. Si è consacrato a Dio con la professione religiosa il 9 gennaio 1983 ed è stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1986. Dopo l’ordinazione sacerdotale, dal 1986 al 1993, è stato direttore dell’animazione missionaria e vocazionale e della rivista «Misiones Consolata»; quindi ha svolto il ruolo di formatore nel seminario filosofico. Nel frattempo ha ricoperto l’incarico di vice superiore regionale. Destinato al Sudafrica, tra il 1994 e il 1998, ha svolto servizio pastorale nella diocesi di Dundee, lavorando nelle parrocchie di Damesfontein/Mpuluzi, Piet Retief e Madadeni. Dal 1999 al 2004 è stato superiore regionale dei missionari della Consolata in Sud Africa e ha adottato la cittadinanza di questo paese mantenendo quella argentina. Nel 2005 ha assunto la cura pastorale della parrocchia di Daveytown (Johannesburg). Nello stesso anno ha partecipato al Capitolo generale della Consolata in Brasile. Nel 2006, dopo il Capitolo generale, è stato nominato segretario generale dell’Istituto a Roma e procuratore presso la Santa Sede. Il Vicariato apostolico di Ingwavuma ha una superficie di 12.309 km2 e una popolazione di 618 mila abitanti dei quali poco più di 20 mila sono cattolici. (IMC) I Mons. José Luís Gerardo Ponce de León, nuovo vicario apostolico di Ingwavuma. MC GENNAIO 2009 9 Scudiero Lorusso GPIC.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:55 Pagina 10 GIUSTIZIA E PACE a cura della Redazione Parlando ancora di diritti umani MISSIONE DIRITTI Sulla scia di «Diritti e Rovesci», monografia sui diritti umani pubblicata dalla nostra rivista lo scorso ottobre, due interviste per tener vivo l’argomento e illustrare due modi in cui i missionari della Consolata mettono questo tema nell’agenda delle loro attività di animazione e formazione. OGGI: LEZIONE DI DIRITTI UMANI Conversazione con Luca Lorusso, coordinatore del «settore scuola» del Centro di Animazione missionaria di Torino. Luca, facci un esempio del tuo lavoro di animazione e formazione ai diritti umani nelle scuole. È da alcuni anni che propongo nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado (le vecchie scuole medie inferiori e superiori) un percorso formativo dal titolo «I diritti dei minori», incentrato sulla «Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza» (1989). Insieme agli insegnanti, propongo ai ragazzi la lettura e l’elaborazione personale e di gruppo del testo del documento, offro un approfondimento su alcune violazioni di diritti e le loro cause e stimolo l’auto riflessione della classe su tale argomento. Ecco questo è un piccolo esempio di ciò che faccio. Come è nato questo tuo interesse? Perché lo fai? Sono un laico missionario della Consolata e mi occupo a tempo pieno di animazione missionaria. Benché già sporadicamente presenti nelle scuole attraverso testimonianze missionarie e incontri su popoli o paesi del cosiddetto Sud del Mondo, da qualche anno alcuni laici, tra cui il sottoscritto, hanno ricevuto il compito di pensare, progettare e attuare interventi di educazione alla Intercultura e mondialità in classe. 10 MC GENNAIO 2009 mondialità didatticamente qualificati e metodologicamente innovativi che sfruttino le testimonianze di chi vive direttamente l’incontro con altre culture e i contributi dell’«esperto» in materia. Tutto ciò al fine di poter permettere un accesso ancora più ampio della missionarietà alle scuole. Più concretamente, a chi ti rivolgi? Da ormai quattro anni incontro bambini, ragazzi, adolescenti di ogni zona di Torino e della provincia, dalle zone «bene» a quelle più periferiche, dalla prima cintura cittadina, ai piccoli comuni della provincia, di ogni estrazione sociale e provenienza geografica. I percorsi di educazione alla mondialità sviluppati in questi anni ci hanno permesso di approfondire molti degli aspetti sociali, culturali, ambientali che caratterizzano il mondo globalizzato in cui viviamo. Avendo presente questo contesto proponiamo nuovi stili di vita ai bambini delle elementari attraverso fiabe e giochi che aiutano a entrare nelle storie dei prodotti di consumo. Per esempio, riflettiamo coi ragazzi sulla difficoltà di stabilire a priori se sia migliore la qualità di vita di un ragazzo italiano o di un ragazzo africano attraverso il confronto tra le loro due giornate tipo. Oppure, offriamo loro strumenti ed elementi critici per comprendere i meccanismi della comunicazione massmediatica e dei condizionamenti che ne derivano; approfondiamo con i ragazzi le cause storiche e attuali dell’impove- Scudiero Lorusso GPIC.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:55 Pagina 11 MISSIONI CONSOLATA rimento di gran parte della popolazione mondiale o della diffusione di epidemie. Infine, condividiamo conoscenze e analisi sull’impatto ambientale del nostro stile di vita e sulle alternative possibili. Tutto per creare coscienza, allargare gli orizzonti, vivere in maniera libera e consapevole la nostra vita di tutti i giorni. Sono spazi importanti di comunicazione, condivisione e crescita nell’alterità, per molti ragazzi possibili soltanto in ambiente scolastico. Spero che chi sta pensando alla riforma della nostra scuola ne tenga conto. E come parli dei diritti umani? Direttamente o indirettamente, questo tema risulta presente in modo costante in tutti gli interventi: in qualsiasi incontro io faccia nelle scuole inevitabilmente arrivo a riflettere con i ragazzi sull’essere umano e sui diritti che, in ogni parte del mondo, vengono negati attraverso i vari tipi di violenza strutturale, economica, interpersonale, comunicativa. I miei interventi cercano di far emergere quanto i ragazzi già sanno e l’esperienza che possono aver personalmente maturato di un determinato diritto. Per educare ai diritti umani, quindi, non credo sia sempre necessario parlarne esplicitamente. L’umanità è lo sfondo, la passione e l’amore per essa, la voglia e la gioia di conoscerla in tutte le sue espressioni, l’impegno per sentirsene parte e per prendersene cura sono gli obiettivi a lungo e lunghissimo termine del mio lavoro nelle scuole. E i giovani come rispondono alle tue provocazioni? Vedi il maturare di frutti nel tuo lavoro? Come sempre accade in campo educativo, è molto difficile, se non impossibile, valutare a breve termine il raggiungimento di un obiettivo. Tanto più se la possibilità di relazione con i ragazzi si riduce a 6 o 8 ore distribuite su tre o quattro settimane. Certamente però ci sono vari «segni» che aiutano a comprendere se un intervento abbia o meno qualche possibilità di lasciare un’impronta significativa nell’immaginario dei ragazzi oppure no. Innanzitutto, è di Luca Lorusso, del Centro di animazione missionaria di Torino. fondamentale importanza il coinvolgimento dell’insegnante e, possibilmente, la sua condivisione delle idee proposte nel percorso. Occorre quindi la sua partecipazione attiva durante gli incontri, ma anche l’approfondimento che può offrire durante le ore di lezione della sua materia, in modo da aiutare la classe ad avere un approccio interdisciplinare a quanto riflettuto e a far sedimentare gli imput ricevuti durante il mio intervento in classe. Altri segni sono, ovviamente, l’empatia e la partecipazione degli studenti stessi, oltre alla qualità dei dibattiti, delle riflessioni, la passione con cui a volte nascono confronti tra di loro e con me. Spesso mi trovo stupefatto nel constatare quanto gli studenti siano sensibili e permeabili ai temi sociali, spesso mi trovo confermato nel pensiero che, nonostante la mancanza di informazione adeguata, o addirittura la presenza di informazione parziale, distorta, stereotipa e ideologica, i ragazzi desiderano profondamente un mondo migliore, non solo per se stessi, ma per tutti. Desiderano vivere una vita più umana, più sobria di quella proposta dai modelli dominanti, desiderano autenticità in un mondo che non fa altro che proporre amori, felicità, promesse, soddisfazioni inautentiche. Se nei ragazzi non ci fossero questi semi di amore per la vita e per il mondo, anche quando sconosciuti a loro stessi, il mio lavoro di animazione missionaria nelle scuole sarebbe vano. Proprio perché questi semi ci sono il mio lavoro si incardina con qualche speranza nel più ampio lavoro che la chiesa e la società devono fare con i più giovani: educare, cioè tirare fuori l’umanità grande che si dibatte dentro di loro e aiutarli a darle forma. A parte qualche caso isolato ho sempre avuto la fortuna di trovarmi di fronte bambini, ragazzi, giovani, insegnanti pieni di umanità e pieni di voglia di imparare qualche trucchetto nuovo per approfondirla, al contrario di ciò che i mass media vogliono farci credere sulla scuola e sulle giovani generazioni, e per fortuna ho sempre trovato persone che non avevano bisogno di un maestro che, in quanto «esperto», arrivasse a dispensare sapienza e buone maniere da acquisire a scatola chiusa e seduta stante, ma di una persona semplicemente capace di mettersi in ascolto e di proporre condivisione. C’è un argomento fra quelli che presenti che va per la maggiore? Uno dei temi che certamente suscita maggiore partecipazione e passione è il tema degli immigrati, soprattutto nei periodi in cui l’informazione nazionale spinge molto sui tasti dell’emergenza e della sicurezza. In questi casi, i condizionamenti della comunicazione di massa diventano particolarmente evidenti e le polarizzazioni rischiano spesso di assumere i connotati dei dibattiti televisivi in cui parlare non significa necessariamente essere ascoltato e ascoltare. Questo permette di stimolare dinamiche utili ad educare i ragazzi alla gestione di una discussione sempre, aperta alla modifica delle proprie opinioni, piuttosto che alla chiusa contrapposizione. Ad ogni buon conto, il grande tema dei diritti umani trova sempre terreno fertile, un terreno in continua mutazione, un terreno «liquido» che richiede sempre nuovi metodi di semina, ma pur sempre terreno adatto a far crescere piante (forse diverse da quelle che ci aspettavamo) che poi daranno frutti (forse diversi, forse migliori di quelli che avremmo voluto gustare). MC GENNAIO 2009 11 Scudiero Lorusso GPIC.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:55 Pagina 12 GIUSTIZIA E PACE CI VOGLIONO VISIONE E METODO Conversazione con padre Giovanni Scudiero, membro del direttivo internazionale di Pax Christi, e coordinatore della Commissione Giustizia e Pace della Regione italiana dei missionari della Consolata. Diritti umani violati, diritti umani promossi. Da sempre te ne sei occupato nel corso della tua esperienza missionaria, spiccatamente orientata alla promozione della giustizia e della pace. Dove nasce l’interesse alla pace nel vostro istituto, oltre che dal vangelo, ovviamente? Secondo le sensibilità proprie di ciascuno, si possono dare mille risposte a questa domanda, dalla più spiritualista a quella più marcatamente orientata allo sviluppo. Credo, però, che anche su questo tema meriti in qualche modo rifarsi al nostro fondatore e all’eredità spirituale che ci ha lasciato. Mi riferisco in modo particolare a una visione iniziale e quindi a un senso della missione che nel beato Allamano porta a universalizzare il senso di fraternità, ad allargarne i confini, non limitandolo esclusivamente alla città di Torino dove ha esercitato praticamente tutto il suo ministero sacerdotale, ma esportandolo all’Africa, al mondo. C’è in questo sguardo ampio una premessa fondamentale per un discorso sui diritti umani: di uguaglianza, di comunione, di solidarietà, di fraternità universale. E questo discorso si radica nel suo essere cristiano, un cristiano impegnato in modo specifico, ministeriale, nel servizio agli altri, a tutti gli altri, e quindi aperto alla missione. La sua espressione di solidarietà universale è, secondo me, una versione ante-tempus di quello che diventerà poi nel nostro istituto il discorso sui diritti umani. Abbiamo tutti diritto alla vita e fondamentalmente questo diritto nasce dal nostro essere uguali, di pari dignità; tutto ciò a prescindere da ogni differenza di tipo etnico, geografico o culturale. Il diritto alla pari dignità è un con- Giovanni Scudiero durante un laboratorio di formazione. 12 MC GENNAIO 2009 cetto che diventa totalmente insignificante se rimane un concetto astratto e non è vissuto nella reciprocità... senza trasformarsi in una maniera concreta di relazionarsi. Direi che nell’Allamano è importante questa visione iniziale, ma ancor più significativo è il metodo che ne deriva. A cosa fai riferimento quando parli di metodo? Il fondatore risponde da cristiano a questa esigenza di solidarietà: si organizza e soprattutto si cerca un collaboratore, nella persona del canonico Camisassa, che sembra avere doti straordinarie in certi aspetti più pratici, su un piano più umano e di sviluppo. L’Allamano non si va a scegliere un filosofo, un teologo, o un padre spirituale: va a cercare quello che lui sa in qualche modo di non essere, o di non essere a sufficienza. Si completa, scegliendosi una persona capace di interagire con la realtà concreta, dedicando tempo e cura al dettaglio dell’opera che l’Allamano aveva in testa. Questo sodalizio è stato in grado di compiere un’operazione fondamentale: leggere la realtà, i fatti, intuire e poi capire che tipo di struttura organizzativa fosse necessaria per svolgere l’azione pastorale ed evangelizzatrice, tanto in Italia quanto in missione. Questo metodo consisterebbe dunque soltanto nella scelta, diciamo così, del «personale»? Certamente no. Il fatto che lui si scelga questo tipo di collaboratore, riconduce secondo me a un’idea centrale nell’Allamano, che ancor prima di inviare gente in missione a- veva ben chiara in mente: l’importanza di formare la persona prima di fare e formare il cristiano. Ci sono tanti aspetti della vita del fondatore, tante scelte da lui fatte, che sottolineano questa sensibilità che lui ebbe. Pensiamo, per esempio, alI’affetto speciale che ebbe per i fratelli coadiutori, quei religiosi che dedicano la loro vita in modo particolare al lavoro e quindi all’edificazione dell’ambiente. O ricordiamo anche soltanto l’enfasi che pose sul lavoro, e soprattutto il lavoro manuale, come criterio formativo per i suoi missionari e le sue missionarie. Il «prima uomini e poi cristiani» non è assolutamente un concetto periferale nel fondatore. Fondamentale, ripeto, è la sua capacità di leggere la realtà, tanto qui in Italia come in Africa, in modo da orientare le proprie risposte verso obbiettivi mirati. È interessante notare come, mediante i corsi del convitto ecclesiastico, forma i giovani preti diocesani attraverso, anche, l’organizzazione di corsi di morale, sociologia, politica, per prepararli a rispondere alle esigenze più svariate in modo coerente ai bisogni espressi dal territorio. Per non parlare dell’attenzione data al mondo della comunicazione, dei media diremmo oggi. Questo stile lo applica a maggior ragione per i suoi missionari, che dovranno guardare la realtà con delle prospettive più ampie. Con loro instaura un rapporto formativo basato sul dialogo. Non soltanto si sente maestro nei confronti dei missionari che invia, ma egli stesso vuole imparare, vedere, co- Scudiero Lorusso GPIC.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:55 Pagina 13 MISSIONI CONSOLATA noscere. Vuole capire come una visione possa diventare realtà attraverso delle scelte concrete. Sa di non aver sempre la risposta pronta di fronte a una determinata esigenza o a una certa sfida e la consapevolezza della giustezza o meno di un criterio da applicare gli viene proprio dalla comunicazione costante con i missionari che lavorano sul campo, attraverso i loro diari e la loro corrispondenza: lettere dove lui viene a riflettere, pregare, discernere le scelte che verranno fatte, dando a una visione di missione una storia concreta. Voleva sapere tutto di tutti, si informava sull’andamento degli incontri, sulla situazione delle persone, voleva conoscere i nomi. Questo radicarsi profondamente nella storia locale, nella fattualità e nelle problematiche della gente dà vita a un annuncio incarnato in un contesto storico, rispondente in primis alla situazione di vita della gente. Una missione, quindi, improntata tantissimo sull’ascolto dell’altro... Sì. Del resto tantissimi testimoni ricordano la capacità di ascolto del nostro fondatore. Questa dell’ascoltare era una prassi che lui esercitava e che pretendeva nel limite del possibile che fosse praticata anche dai suoi missionari. Purtroppo, noi missionari non siamo così capaci di coltivare sempre questa mentalità di ascolto. Non sempre riusciamo a inserirci in un contesto storico concreto con gli «occhi vergini», ov- Durante una marcia per la pace da Perugia ad Assisi. vero senza pregiudizi, con la pazienza di inserirsi, ascoltare chi ne sa più di noi: gli anziani del posto, il confratello più esperto, ecc. Anzi, penso che questa nostra poca attenzione dedicata all’ascolto è quello che ci sta bloccando soprattutto nel nostro ad gentes oggi in Italia, nel nostro fare missione qui, da dove siamo partiti. Chi sono le persone in Italia che noi siamo pronti ad ascoltare? Oggi poi, sentiamo l’esigenza di «aguzzare l’orecchio» e dare al nostro ascolto una dimensione più ampia, che ci permetta di andare oltre la metodologia usata finora: quella della lettura concreta di una realtà al fine di rispondere a bisogni concreti e localizzati. Con il tempo siamo arrivati a capire i profondi legami che legano il locale con il globale, a cercare le radici di un problema che sembra riguardare una singola comunità in un contesto ben più ampio. Di fronte a un problema di mancanza di risorse in un determinato posto è giusto intervenire offrendo una mano tesa e un aiuto immediato pratico. Ma è anche fondamentale farsi, e fare anche in giro, qualche domanda sul perché di un servizio e o di un bene negati a una comunità che ne avrebbe diritto. E questo lo si fa? Non sempre. Del resto, ciò che più o meno da tutti si tende a fare è dare risposte semplici e immediate ai problemi concui dobbiamo quotidianamente confrontarci nella vita di missione. Manca l’ospedale, facciamo l’ospedale... Sono risposte semplici anche se, non nego, richiedono risorse e fatica. Sono semplici nella loro analisi e nella loro conclusione. Nella nostra storia missionaria non sempre abbiamo sottolineato l’importanza di una riflessione e un’analisi che penetrassero più in profondità, toccando non soltanto gli effetti di un problema, ma sfidandone le cause. Molte volte, la fretta e l’urgenza di risolvere un bisogno pratico (o quello che noi percepivamo come tale) ci ha distolto dal dovere di andare alla radice del nostro agire, alla ricerca delle vere cause, magari per il timore di imbarcarsi in percorsi verso i quali non ci sentivamo sufficientemente attrezzati e preparati. Oggi, invece, ci rendiamo conto che quelle risposte superficiali, isolate da un contesto culturale o non rispondenti alla sfida sociale che mette in pericolo o ferisce una comunità, rischiano di essere semplici cerotti su ferite che diventano sempre più grandi e profonde. Una promozione umana, seria, radicata in un contesto, che si pone prospettive di futuro alternativo non può, oggi come oggi, prescindere da un lavoro di coscientizzazione e formazione sui diritti fondamentali della persona; lavoro che in alcuni casi può anche assumere il ruolo di grido profetico e di denuncia. Significa dare alle nostre risposte uno sguardo più ampio, che non si fermi allo specifico problema locale, ma guardi più in là, alle radici del problema. Senza questo sguardo e alla domanda di giustizia che ne deriva le nostre opere ci renderanno necessariamente eterni. La gente continuerà a dipendere dal missionario capace di trovare soluzioni ai loro problemi più immediati, problemi che si rigenereranno in continuazione e avranno bisogno di sempre nuovi interventi, aggiustamenti, perfezionamenti e manutenzioni. ■ Per ulteriori informazioni: http://www.missionariconsolataitalia.it/animazione_scuola.html MC GENNAIO 2009 13 BRASILE testo e foto di Fabrizio Mola Vivere a Joaquim Gomes Quindici giovani del gruppo «Amici di Joaquim Gomes» di Piossasco (To) hanno speso le loro vacanze aiutando le suore di San Giuseppe di Pinerolo a realizzare i loro progetti nella cittadina brasiliana: un’esperienza indimenticabile, a contatto con situazioni disperate e nell’impegno di solidarietà nella lotta silenziosa per rivendicare diritti umani e dignità. a BR101, nel tratto in cui attraversa lo stato di Alagoas, si riduce ad appena due corsie di marcia che, nella stagione delle piogge, si tempestano di buche enormi sotto il continuo passaggio dei lunghi camion che, lungo questa L strada di 4.551 chilometri, attraversano il Brasile da nord a sud. Percorriamo questa interminabile pista di curve, che si insinuano tra le colline, e arriviamo al bivio che ci porterà finalmente alla cittadina di Joaquim Gomes. A indicarci l’arrivo è un enorme cartello su cui, anche da lontano, si può leggere a chiare lettere il nome del paese e, appena sotto, la scritta: «Construindo con Ela», ossia «Costruendo con Lei». Quel «Lei» è l’autocelebrazione di Cristina Brandão, donna senza scrupoli, arrivata all’improvviso nel paese pochi mesi prima delle elezioni amministrative e che ha trasformato il suo bagaglio di denaro in una scontata vittoria. Questa le ha permesso di acquistare, nel vero senso del termine, il titolo di sindaco, che da queste parti è, più che un incarico, un finanziamento con introiti assicurati, tramite un sistema di corruzioni e di deviazione di denaro pubblico conosciuto da tutti ma diffusamente impunito. Joaquim Gomes sarà la nostra ca- SOGNI IN CATENE 14 MC GEN- Brasile-Fabrizio.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:58 Pagina 15 MISSIONI CONSOLATA sa per più di un mese e sarà il nostro «campo base» nel viaggio tra le infinite realtà di contrasti, di ingiustizie e di diritti negati in questo Brasile in cui, ogni volta di più, aumenta il divario tra ricco e povero, tra progresso e arretramento, tra tecnologie e possibilità di accedere ad esse. Le guide che ci accompagneranno nel capire questo mondo saranno un gruppo di donne che in questo paese ci vivono da anni e che da anni lottano per affermare la giustizia, i diritti e la dignità di ogni persona, tramite un’instancabile azione di rivendicazione e di promozione umana e l’annuncio del messaggio di speranza del vangelo. Sono le suore di San Giuseppe di Pinerolo, in parte missionarie italiane e, ormai in maggioranza, giovani e determinate suore brasiliane. Il loro lavoro è quello di cercare di rimediare alle carenze che nel paese colpiscono la parte più debole della popolazione; una popolazione che attualmente risulta composta dalle donne, da qualche anziano e da moltissimi bambini. i uomini a Joaquim Gomes se ne vedono davvero pochi; la maggioranza di essi, infatti, è costretta a emigrare in altre regioni dove la manodopera è più richiesta, finendo in uno stato di semi schiavitù, in lontane ed estese piantagioni di canna da zucchero, da cui, in molti casi, non riescono più a tornare, lasciando così alla propria sorte moglie e figli. Nel solo anno 2007 da Joaquim Gomes sono partiti più di 3 mila uomini, su una popolazione di 22 mila abitanti, in cerca di un lavoro che permettesse loro di far sopravvivere le proprie famiglie; ma quasi sempre sono diventati vittime del meccanismo messo in atto dai fazendeiros, che, tramite esperti intermediari, riescono a incastrare migliaia di uomini rendendoli debitori dei loro datori di lavoro ancora prima di entrare in servizio. La strategia è molto semplice: a ogni lavoratore viene anticipato il denaro per i costi del viaggio, D e per pagarsi il vitto, gli attrezzi di lavoro e il proprio sostentamento; a nessuno è permesso lasciare il posto di lavoro fino a quando non avrà ripianato il debito col padrone. Un impegno quasi impossibile, con un lavoro sottopagato. Anche se qualcuno riesce nell’impresa, rimane ancora il problema di acquistare il biglietto del viaggio di ritorno, che permetta loro di percorrere i tre giorni di pullman che separano il Mato Grosso (terra solitamente di destinazione dei lavoratori stagionali) dalle loro famiglie in Alagoas. n assenza degli uomini, che raramente riescono a inviare denaro alle proprie famiglie, sono le donne che lottano per la sopravvivenza dei loro figli, portando avanti la casa e provvedendo alle loro necessità. Sono donne forti e provate dalla fatica giornaliera. Fin dalle cinque del mattino le sentiamo passare per le vie, fuori dalla porta della casa che ci ospita; le vediamo scendere al fiume; in testa portano enormi bacinelle con i vestiti da lavare, in mano qualche pentola e attorno i figli più grandi con in braccio quelli più piccoli, pronti per il bagno nell’acqua torbida che scorre lenta tra le colline del paese. Ancora prima dell’alba, gli uomini rimasti nel paese ci svegliano men- I tre, seduti in piazza, colpiscono con lunghe e forti strisciate del machete le pietre della pavimentazione, per preparare la lama alla lunga giornata nel taglio della canna. Poco dopo, passano vecchi pullman per caricarli e portarli nelle piantagioni, dalle quali torneranno soltanto quando farà notte. Dopo una giornata di lavoro, chi è più forte riesce a guadagnare di più, portando a casa appena un euro per ogni tonnellata di canna tagliata, sotto il sole cocente e con i vestiti che li coprono da capo a piedi per proteggersi dalle foglie taglienti. Li si vede scendere dai pullman uno ad uno e diramarsi nei vari quartieri, con passo rapido, machete in mano e borraccia a spalle; raggiungono le loro case di fango dove, consumato un misero pasto, torneranno finalmente a riposarsi per riacquistare le energie da consumare nella dura giornata successiva. Questa è la vita di un numero infinito di uomini, donne e bambini in centinaia e migliaia di paesi che sono sparsi, come Joaquim Gomes, nelle aree rurali di questa estesa regione del Brasile. E proprio da questa situazione siamo partiti e abbiamo potuto conoscere le altre differenti realtà che impregnano di contrasti questa terra. Tuttavia abbiamo potuto scorge- A sinistra: arcobaleno sulla cittadina di Joaquim Gomes; povertà e droga incatenano i sogni del giovane Thiago. A destra: una famiglia a Joaquim Gomes. MC GENNAIO 2009 15 Brasile-Fabrizio.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:58 Pagina 16 BRASILE COME VINCERE LE ELEZIONI l 5 ottobre 2008, Cristina Brandão ha vinto nuovamente le elezioni amministrative, riuscendo così a conquistarsi il secondo mandato da sindaco di Joaquim Gomes. Il successo è frutto di una campagna elettorale in cui la corruzione e l’illegalità hanno vinto ancora una volta. Ogni singola preferenza è stata infatti comprata giocando sulla miseria, sulla necessità e sull’inconsapevolezza della gente, che pur di ricevere una minima quantità di denaro, ha venduto il proprio voto al candidato disposto a offrire la somma maggiore. Tale pratica è molto diffusa nella regione ed è nota a tutti; ma a causa della paura raramente vengono denunciati i reati di corruzione; più raramente ancora alle denunce seguono processi e condanne. Per avere un’idea dei soldi investiti nella campagna elettorale in un paese come Joaquim Gomes, con poco più di 20 mila abitanti, basta sapere che la signora Cristina Brandão ha venduto una delle fazendas (fattorie agricole) comprate durante il suo precedente mandato. Tra i costi sostenuti vi sono quelli derivanti dalle numerose manifestazioni celebrative del sindaco stesso, dove, ad esempio, sono stati pagati centinaia di partecipanti per affollare le ripetute sfilate propagandistiche, in cui vigeva un tariffario ben preciso in base al tipo di partecipazione. Se si marciava a piedi, muniti di bandiera si riceveva infatti una certa somma di denaro; le tariffe aumentavano se si sfilava in bicicletta, in moto o in automobile. Un altro «investimento» effettuato dal sindaco per le nuove elezioni è stato quello di iscrivere nelle liste elettorali di Joaquim Gomes decine di persone che vivono nei quartieri poveri della capitale dello stato. Il giorno delle elezioni, il sindaco ha poi gentilmente messo a loro disposizione un pullman per raggiungere il paese, consegnando a ciascuno una banconota da 50 reali (circa 20 euro) prima di recarsi alle urne. La stessa somma di denaro è stata offerta per comprare il voto delle persone che vivono nel paese. Per evitare, però, che questi elettori accettassero più volte il denaro, la candidata a sindaco ha pensato bene di contrassegnare le tessere elettorali di chi aveva già ottenuto il suo «pagamento», in modo che fossero riconoscibili dalla sua équipe. Il giorno delle elezioni, però, è venuto alla luce questo fatto del contrassegno e le persone che avevano venduto il proprio voto, non si sono più presentate alle urne per paura di essere denunciate. Nei giorni successivi è stata quindi offerta loro una somma di denaro dieci volte superiore a quella ricevuta per il voto, al fine di comprare il loro silenzio. Il fatto fondamentale è però che, secondo la legislazione brasiliana, il voto è considerato obbligatorio. Per questo motivo attualmente le persone coinvolte in questa faccenda si ritrovano nel dilemma di pagare la sanzione per non essersi presentati alle urne o autodenunciarsi essendo rimasti implicati nell’operazione di acquisto e vendita dei voti. Le denunce di corruzione sono state presentate al Tribunale elettorale locale, che ha avviato subito il processo, convocando la neoeletta e una trentina di testimoni. Adducendo un certificato medico, l’imputata non si è presentata alla prima udienza né a quelle successive, ma la giustizia ha fatto ugualmente il suo corso: venerdì 29 novembre il giudice della zona elettorale, Gilvan Santana, ha annullato l’elezione della Brandão, con l’interdizione per tre anni da ogni incarico pubblico. Una vittoria significativa e incoraggiante, almeno per il momento. C’è, infatti, il rischio che il ricorso al Tribunale elettorale dello stato di Alagoas possa annullare la sentenza. I re, al tempo stesso, barlumi di intensa speranza, a partire dalle favelas della caotica capitale fino agli accampamenti di senza terra, isolati nella sperduta area del sertão. a capitale dello stato di Alagoas è Maceio, città con circa 800 mila abitanti, che si estende a metà tra l’oceano e la laguna. Verso l’oceano sorgono i quartieri più ricchi, dove si trovano palazzi e alberghi di lusso, boutique di alta moda e design, ristoranti e club, palestre e scuole, dove autisti privati L 16 MC GENNAIO 2009 attendono i figli delle famiglie benestanti alla fine delle lezioni. A pochissimi chilometri di distanza, verso la laguna, inizia invece l’ininterrotta serie di favelas dove migliaia di famiglie vivono in baracche costruite con pannelli di legno, cartoni, cartelli pubblicitari, lamiere e teli di nylon recuperati nelle aree circostanti. Visitiamo una di queste favelas, quella di Sururù de capote, così chiamata dal nome del mollusco che vive nella laguna lungo la quale sono situate le baracche. Vediamo adulti e bambini che si immergono continuamente in acqua, anche per alcuni metri, e portano in superficie masse di fango putrido, mischiato alle conformazioni di molluschi che, portate a riva, vengono passate alle donne per la pulitura. Piegate sull’acqua, immerse fino alle ginocchia, esse passano giornate intere a scrostare questa specie di cozze, che, una volta ripulite, vengono vendute ai ristoratori di lusso per un prezzo irrisorio: un secchio pieno di tali molluschi, frutto del lavoro giornaliero di un’intera famiglia, viene pagato l’equivalente di un euro circa. Ci accompagnano due giovani suore brasiliane, che operano in questo ambiente, e Vania, la coraggiosa leader della favela. Senza di lei è impossibile e, soprattutto, rischioso addentrarsi nei vicoli tra le baracche, che, oltre ad essere stretti da permettere il passaggio di una sola persona, sono spesso pieni di rifiuti e degli scoli delle fogne. Grazie a lei possiamo avere un’idea, anche se solo accennata e da osservatori, di cosa significhi nascere e sopravvivere da favelados in tali condizioni. Presentandosi subito con il suo fare deciso e fiero, Vania ci racconta la sua storia: è nata nella favela; sin da ragazzina è stata coinvolta nei giri della droga, prostituzione e narco- Brasile-Fabrizio.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:58 Pagina 17 MISSIONI CONSOLATA Alcuni bambini in una stretta via della favela di Maceio. Donne di Joaquim Gomes lavano i panni al fiume. traffico; ha avuto 12 figli, di cui sei morti prima ancora di nascere a causa della denutrizione e delle sostanze stupefacenti da lei assunte in gravidanza. Ma ora Vania è cambiata, il suo carattere e la sua voglia di lottare hanno fatto di lei una leader della favela: ha creato intorno a sé una comunità che si sostiene reciprocamente, forte nelle rivendicazioni per i propri diritti, superando la lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza in un crescente desiderio di rimanere uniti e solidali. Mentre giriamo nella favela, Vania interrompe i suoi racconti per richiamare i bambini che litigano, per leggere un documento a un uomo analfabeta che chiede il suo aiuto e consiglio, per spiegare alla gente chi siamo; nel frattempo il suo sguardo è sempre attento nell’osservare e vigilare su ogni cosa che succede intorno. Vania conosce la gente della favela e non ha paura di raccontarcene la vita: ci indica bambine di nove anni che, per un piatto di riso o di fagioli, si prostituiscono con i taxisti che passano nell’avenida, bambini drogati con la colla, che tornano dal centro della città, dove hanno passato la giornata a vagare e a borseggiare i passanti; ci racconta la storia di una ragazza che, dopo anni di lavoro come domestica in una famiglia benestante, è stata licenziata appena i padroni hanno scoperto che viveva nella favela... E tante altre storie di discriminazione, attuate anche da parte del governo e istituzioni, che non permettono ai bambini di studiare, di essere protetti, di avere un futuro e sperare nelle minime opportunità. Con fierezza ci racconta come la Caritas tedesca l’abbia mandata a Brasilia in aereo, lei, donna senza istruzione sempre vissuta nella favela, per denunciare davanti al governo le condizioni in cui vive la sua gente e rivendicare i diritti basilari. ella nostra visita siamo accolti in un’abitazione dove si consuma un altro dramma di sofferenza e disperazione. Un genitore, rimasto solo con due bambini piccoli, dopo aver perso la moglie e le figlie in morti violente, è costretto N MC GENNAIO 2009 17 Brasile-Fabrizio.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:58 Pagina 18 BRASILE Vania, la nostra guida nella favela. Suore di San Giuseppe di Pinerolo, presenti a Joaquim Gomes: da sinistra, suor Maria Teresa, suor Rosa e suor Daniela. Giovani del gruppo di Piossasco al lavoro in un progetto delle suore Giuseppine in Brasile. a sprangare la porta della baracca per impedirne l’entrata alla figlia di 12 anni, poiché la ragazza, che vive in strada, ogni volta che torna a casa cerca di portare via qualcosa, oggetti o alimenti, per scambiarli con una dose di droga*. Prima di lasciare la favela e salutare le frotte di bambini che ci hanno seguito nella nostra visita, ci aspetta l’incontro più inatteso. Nell’ultima baracca in cui siamo invitati a entrare ci attende infatti l’impatto con il paradosso più grande dell’amore materno, un incontro che, pur passando attraverso i nostri occhi, rimane incredibile per i nostri schemi mentali, sviluppati in un mondo che da qui sembra ancora più distante. Sdraiato per terra, su un sottile pezzo di gommapiuma, Thiago, un ragazzo di 13 anni, ci accoglie subito con un sorriso di felicità, ma il suo sguardo è perso nei drammi di una vita bruciata da droga e violenza. Un suo polpaccio è avvolto da una grossa catena, chiusa con un lucchetto, che lo tiene legato al tavolo di casa. La madre è al suo fianco e ci spiega che sono ormai venti giorni da quando ha deciso di tenere il figlio così legato per cercare in qualche modo di salvargli la vita. Thiago aveva solo nove anni quando cominciò a fare uso di crack e a essere coinvolto nei traffici di droga; ora, minacciato di morte a causa di conflitti e lotte tra bande, la sua vita è a rischio. La madre è sicura che se il figlio uscisse di casa, sarebbe ucciso in brevissimo tempo. Per proteggerlo e per allontanarlo dalla droga, ha chiesto aiuto ai servizi sociali, ma non ha ricevuto alcun aiuto; per cui ha messo in atto una soluzione così drastica, già usata con la sorella e sperimentata da altre madri nella favela verso i propri figli. Thiago ci racconta col sorriso in faccia la sua vita e, salutandoci, augura a se stesso di poterci vedere ancora; ci confida che vorrebbe andare in giro per il mondo, ma ammette con le sue stesse parole che tutto ciò rimarrà nei suoi sogni, confessando di essere ben consapevole che o a causa della droga o per mano dei suoi nemici la sua vita sarà davvero breve. n ragazzo così giovane, ma con occhi e sogni privi di speranza, richiama alla mente tutti gli altri contrasti e sofferenze incontrate nella breve esperienza in Brasile. Il suo volto rimarrà scolpito in modo indelebile nei nostri ricordi, insieme al senso di impotenza e ingiustizia che si prova di fronte a certi drammi. Eppure il sorriso di Thiago ricorda anche l’impegno di tante persone, come le suore Giuseppine e la signora Vania, che continuano nel loro servizio per dare vita e speranza a chi rischia di perderla, a chi non ne ha mai potuto godere pienamente, a chi, ancora così giovane, di tutto questo è stato derubato. ■ U * La ragazza di cui si parla è rimasta uccisa in una rissa fra ragazzi di strada alla fine di novembre 2008. 18 MC GENNAIO 2009 15-Oriente xtiano.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:59 Pagina 19 MEDIO ORIENTE di Biancamaria Balestra «Popoli e chiese dell’oriente cristiano» Da più parti il cristianesimo è considerato essenzialmente occidentale, dimenticando le antiche comunità cristiane fiorite nel Vicino Oriente, prima dell’espansione islamica. Il volume «Popoli e chiese dell’oriente cristiano» di Aldo Ferrari* vuole riparare a tale dimenticanza, presentando la loro tradizione storica e spirituale, la difficile situazione attuale di alcune chiese orientali, che rischiano di scomparire dalle loro sedi millenarie. elle tre sedi patriarcali in cui era suddivisa la chiesa delle origini, due si trovavano sulla riva orientale del Mediterraneo, nelle città di Alessandria e Antiochia. Nulla di strano che nei primi secoli della nostra era il cristianesimo fosse vivo soprattutto in prossimità dei luoghi che avevano visto la predicazione di Gesù e da cui era partita l’azione evangelizzatrice degli apostoli. Proprio dalla Palestina il nuovo credo si era irradiato lungo le strade dell’Impero Romano, fino ai suoi estremi D confini, e vi aveva trovato rapida diffusione, favorito da un clima culturale ricettivo, dalla tolleranza verso gli «dei stranieri», dall’ordine e dalla convivenza pacifica che la pax romana garantiva. È, invece, più difficile da capire perché il cristianesimo occidentale abbia finito per oscurare la memoria della chiesa orientale, da cui esso ha tratto le proprie origini. Ben venga, dunque, la nuova monografia curata dal professor Aldo Ferrari, Popoli e chiese dell’oriente cristiano, che dà la Sua beatitudine Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico melkita di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme (sopra), mentre celebra l’eucaristia nella basilica di Santa Maria in Cosmedin (a sinistra). possibilità di approfondire le ragioni di quest’oscuramento e riscoprire il patrimonio spirituale e culturale che in duemila anni la cristianità orientale non ha cessato di esprimere. Pur necessariamente incompleto, CHIESE VULNERABILI A RISCHIO ESTINZIONE MC GENNAIO 2009 19 15-Oriente xtiano.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:59 Pagina 20 MEDIO ORIENTE Incontro tra il patriarca Zakka I (rosso), capo della chiesa ortodossa siriana, il catholicos Aram I (nero), capo della chiesa ortodossa armena, e abuna Paulos (bianco), leader spirituale della chiesa ortodossa etiopica. per la difficoltà di contenere nello spazio di un volume la storia delle numerose comunità cristiane d’oriente, il panorama che ci è qui offerto si presenta di una sorprendente varietà: comprende le chiese copta ed eritrea in Africa, le chiese melkita, ortodossa e cattolica, e maronita nel vicino Oriente, la chiesa sira occidentale, ortodossa e cattolica, e sira orientale, assira e caldea, in Mesopotamia e Iran, le chiese armena, apostolica e cattolica, e georgiana ortodossa nel Caucaso. LA FRATTURA DOTTRINALE Come emerge chiaramente dalle pagine del volume, il quasi oblio in cui sono cadute le chiese orientali nella coscienza dei cristiani d’occidente si può spiegare con due ordini di ragioni: interne ed esterne alla chiesa. I primi secoli videro la chiesa, ancora unica e indivisa, impegnata in un intenso dibattito volto a stabilire i fondamenti del credo cristiano. Nel IV secolo fu affrontata la questione trinitaria e si arrivò a definire la formula della consustanzialità delle tre Persone. Già allora si corse il grave rischio di una spaccatura interna, a causa del 20 MC GENNAIO 2009 Nerses Bedros XIV, patriarca armeno cattolico del Libano. consenso suscitato dalle tesi del prete alessandrino Ario, il quale non riconosceva al Figlio una natura uguale a quella del Padre. Questo pericolo fu evitato con la convocazione del primo concilio ecumenico a Nicea nel 325. Non altrettanto felice fu l’esito delle controversie cristologiche, che nel V secolo contrapposero le scuole teologiche di Antiochia e Alessandria. La definizione dogmatica della duplice natura di Cristo, divina e umana, fu materia dei due concili di Efeso e Calcedonia, dove si scontrarono posizioni teologiche diverse. A Efeso, nel 431, fu condannato il patriarca Nestorio, che aveva portato alle estre- me conseguenze la teologia duofisita della scuola di Antiochia e chiamava Maria madre di Cristo, ma non madre di Dio. Il concilio di Calcedonia, 20 anni più tardi, si concluse con la riabilitazione della scuola di Antiochia e la condanna della dottrina professata da quella di Alessandria. Le diatribe cristologiche ebbero la nefasta conseguenza di aprire una frattura, non solo tra Oriente e Occidente, ma anche nella stessa cristianità orientale, che si divise in efesina e non efesina, calcedonese e non calcedonese. Non efesini sono i cristiani che fanno riferimento alla chiesa sira orientale, non calcedonesi sono i siri occidentali, gli armeni, i copti e gli eritrei. La «grande chiesa», cioè quella di tradizione calcedonese, sia greca che latina, chiamò nestoriani i primi e monofisiti i secondi, termini che, oltre a essere imprecisi, sono percepiti come offensivi dai diretti interessati. Oggi si è fatta strada la coscienza che quelle controversie nacquero più a causa di fraintendimenti nell’uso e interpretazione dei termini teologici, che di vere e proprie divergenze nel modo di concepire la natura di Cristo. «In realtà, il linguaggio teologico delle due scuole era profondamente diverso e questo impediva una reale comprensione delle reciproche posizioni» leggiamo nel saggio di Paola Pizzi sui cristiani melkiti; mentre Alessandro Mengozzi, autore del saggio sulla chiesa sira, parla di una «frattura linguistica, culturale e politica tra il centro dell’impero bizantino e regioni periferiche, ma culturalmente e socialmente vivaci, come l’Egitto, la Siria, la Mesopotamia o l’Armenia». E cita un passo di un teologo siro occidentale, che nel XIII secolo scriveva, con una perspicacia davvero sorprendente: «Dopo aver molto ponderato il problema, mi sono convinto che queste dispute dei cristiani fra loro (sulla cristologia) non riguardano nulla di sostanziale, ma piuttosto sono questioni di parole e termini, perché tutti confessano che Cristo nostro Signore è Dio perfetto e uomo perfetto, senza commistione, mescolanza e confusione delle nature». Dopo sette secoli questa stessa convinzione ha ispirato le dichiarazioni congiunte di fede firmate da Giovanni Paolo II e dai patriarchi della chiesa sira occidentale e della chiesa d’Oriente. Purtroppo, quelli che noi 15-Oriente xtiano.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:59 Pagina 21 MISSIONI CONSOLATA Beirut, chiesa greco ortodossa di san Giorgio. ora giudichiamo equivoci dovuti a consuetudini linguistiche diverse sono stati fonte di molti mali per i cristiani tutti. La presunzione di eresia ha inquinato i rapporti tra le chiese, aprendo un profondo solco d’incomprensione tra le diverse sponde del Mediterraneo. Rende bene l’idea di quali siano state le conseguenze di questa divisione il fatto menzionato da A. Camplani e A. Elli nel saggio sulla chiesa copta. Essi ricordano che, dopo aver tolto la Palestina ai musulmani, i crociati confiscarono i beni dei cristiani orientali, che consideravano eretici, e impedirono loro l’accesso ai luoghi santi. Quando nel 1187 i crociati furono sconfitti dal Saladino e costretti ad andarsene, «i copti accolsero con gioia la riconquista di Gerusalemme, perché veniva così loro concesso di riprendere, dopo quasi 90 anni, i pellegrinaggi al Santo Sepolcro». LA CONQUISTA ISLAMICA Alla frattura dottrinale, nel VII secolo si aggiunse quella causata dalla conquista araba. Questa volta fu l’intervento di una forza esterna a dividere tra loro le comunità cristiane. Il continuo stato di belligeranza tra la nuova potenza araba e l’Europa rese ancora più difficili i contatti tra una parte e l’altra del Mediterraneo, quando non li interruppe del tutto, e finì per isolare l’Oriente dall’Occidente cristiano, se si esclude il breve e controverso intervallo dei regni crociati. Dalla metà del VII secolo, i cristiani che vivevano nei territori dell’Impero Romano d’Oriente, con l’eccezione della penisola anatolica, si trovarono soggetti a un potere teocratico, quello dei califfi, che assegnava loro una condizione d’inferiorità rispetto ai sudditi musulmani. Anche se ciò, in linea di principio non significava il divieto del culto, essere, o meglio, rimanere cristiani diventava oneroso, e non solo perché si era gravati di maggiori tasse rispetto a coloro che si erano convertiti all’islam. Il rapporto tra le comunità cristiane e le autorità registrava continui alti e bassi: a periodi di convivenza pacifica si alternavano periodi di discriminazione, se non di vera e propria perse- cuzione. Ciò spiega la progressiva erosione del numero dei cristiani in terra islamica. Alla vigilia della conquista ottomana essi costituivano ormai meno del 10% della popolazione. Paradossalmente, fu proprio l’arrivo degli ottomani, che fino alla fine del XVII secolo furono percepiti dalla cristianità occidentale come una minaccia alla sua sopravvivenza, a migliorare la vita dei cristiani in Oriente. Sulla vita delle comunità cristiane influì positivamente il sistema dei millet istituito dal governo ottomano. Si trattava di una forma di autogoverno, che concedeva alle comunità religiose, ufficialmente riconosciute dalla Sublime Porta, una considerevole autonomia amministrativa. Questa nuova forma di organizzazione sociale diede ai cristiani maggiore stabilità e garanzie nei rapporti con le autorità islamiche e contribuì a una notevole ripresa demografica all’interno delle loro comunità. RESISTENZA E ISOLAMENTO Per i siri orientali l’isolamento dal resto dell’ecumene cristiano iniziò molto prima del VII secolo. La chiesa sira ebbe origine a Edessa, nell’alta Mesopotamia. In questa città già nella seconda metà del II secolo è documentata la presenza di una vivace comunità cristiana, che si contraddistingueva per l’uso liturgico di una variante locale di aramaico. Edessa si trovava all’estrema periferia dell’Impero Romano e una parte della comunità sira, quella orientale, che prese poi il nome di «Chiesa d’OMC GENNAIO 2009 21 15-Oriente xtiano.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:59 Pagina 22 MEDIO ORIENTE A sinistra, Aleppo, cattedrale maronita. A destra, mons. Paulos Faraj Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul (Iraq), rapito da milizie islamiche e trovato ucciso il 12 marzo 2008. riente», si trovò ben presto a svilupparsi all’esterno dei suoi confini, nelle terre dei persiani, arcinemici di Roma. Ciò rese difficili i contatti con gli altri centri cristiani e ostacolò la partecipazione dei rappresentanti di questa comunità ai concili ecumenici. Costretta a contare sulle sue sole forze, la Chiesa d’Oriente si organizzò in totale autonomia, nella fedeltà al legame originario con la scuola di Antiochia e alla sua teologia duofisita. Nonostante la precarietà in cui visse, seppe produrre uno straordinario slancio missionario, che portò i suoi monaci lungo le strade carovaniere fino in India, in Asia Centrale, in Mongolia e in Cina. Si pensi, ad esempio, che la fondazione della prima chiesa sira a Ch’ang-an, capitale della dinastia cinese dei T’ang, nonché punto di partenza della via della seta, risale al 638. Erano proprio gli anni in cui l’Impero Bizantino, da una parte, e quello persiano, dall’altra, stavano per essere travolti dalle schiere arabe. Anche nei pochi casi in cui i cristiani in Oriente non si trovarono in condizione di minoranza tra fedeli di altre religioni, il loro destino non è mai stato facile. Le chiese etiope, armena e georgiana hanno rappresentato delle isole di cristianesimo in territori sempre più islamizzati. Grazie alla sua posizione remota, lontana dal Mediterraneo e dalle grandi vie di passaggio, l’Etiopia riuscì a contenere l’espansione dell’islam, a prezzo, però, di un isolamento durato secoli. In Armenia e in Georgia il cristianesimo si affermò come religione nazionale dal IV secolo e si è mantenuto tale fino ai nostri giorni, ma ha dovuto opporre una strenua resistenza alla pressione dei vicini musulmani, cui gli armeni e, in parte, i georgiani, furono anche soggetti politicamente. La storia del cristianesimo in queste terre presenta un pesante bilancio di violenze e martirio. RISCHIO ESTINZIONE Leggendo questo volume, pagina dopo pagina, ci si rende conto di cosa abbia voluto dire essere cristiani in oriente. Rimanere nella chiesa è stata per gli orientali una scelta impegnativa, scomoda e mai scontata, ha spesso voluto dire vivere in condizioni d’inferiorità, con diritti limitati e limitate possibilità di sviluppo. Nonostante questo essi hanno saputo custodire intatta la propria fede e la bellezza delle loro liturgie. La chiesa occidentale non può ignorare questo prezioso patrimonio di spiritualità, se non a prezzo di un suo enorme impoverimento. Il secolo precedente ha fatto molto per il riavvicinamento tra le chiese, non solo nella ripresa di contatti tra le gerarchie, ma anche in termini di reale conoscenza reciproca, dopo secoli di silenzi. Tuttavia, molto rimane da fare. L’orizzonte dell’Occidente rimane ancora troppo autoreferenziale, e i Bodbe (Georgia), chiesa del monastero ortodosso dove sono conservate le reliquie di santa Nino, evangelizzatrice della popolazione georgiana. 22 MC GENNAIO 2009 15-Oriente xtiano.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 11:59 Pagina 23 MISSIONI CONSOLATA Mons. Dinkha IV, patriarca della Chiesa assira orientale, inaugura una scuola per cristiani assiri emigrati in Usa. cristiani non fanno eccezione, siano essi capi di stato o semplici cittadini. Spesso nelle questioni che riguardano l’Oriente, gli occidentali si muovono senza considerare quali conseguenze i loro interventi possono avere sul difficile equilibrio tra le minoranze cristiane e le società in cui sono inserite. Quando papa Giovanni Paolo II chiedeva accoratamente che al popolo iracheno fosse risparmiata l’esperienza di un’altra guerra, pochi capivano che il suo sguardo era rivolto con particolare preoccupazione alle comunità cristiane del Medio Oriente. Egli sapeva bene, infatti, che un conflitto avrebbe avuto su di loro gravi conseguenze, perché i cristiani sono visti come alleati dell’Occidente, con cui condividono la fede. La guerra ha provocato un vero e proprio esodo dei cristiani dall’Iraq e ne ha in pochi anni dimezzato la presenza nel paese. Anche in condizioni di pace, i cristiani in Oriente rimangono a Battesimo di un bambino, per immersione, nella comunità cristiana ortodossa a Toronto (Canada). tutt’oggi un gruppo sociale tra i più vulnerabili. Le tensioni internazionali e quelle interne ai rispettivi paesi si ripercuotono in modo particolare sulle loro comunità, spingendo molti a emigrare. L’emigrazione verso l’Occidente, iniziata già a fine Ottocento, ha assunto in questi ultimi decenni proporzioni sempre maggiori ed è difficile prevedere un’inversione di tendenza, finché permangono le condizioni che spingono i cristiani ad andarsene: mancanza di libertà, mancanza di sicurezza personale e precarietà economica. Il fenomeno è tale da far pensare all’estinzione dei cristiani, almeno in Medio Oriente. Se ciò accadesse sarebbe una perdita incalcolabile, non solo per il cristianesimo, ma anche per la stessa civiltà islamica, cui i cristiani hanno dato un contributo unico, nelle arti, nella letteratura, nel pensiero e nella modernizzazione. Ci sarà, dunque, un futuro per le chiese in Oriente? È la domanda con cui si concludono alcuni dei saggi. Per i loro autori, come per chiunque abbia conosciuto e incontrato la realtà di queste chiese, pare impossibile che tutto ciò possa sparire. E allora si trova conforto nel loro passato, che le ha condotte fino a noi, pur tra infinite e dolorose prove; si trova conforto nei piccoli segni di cambiamento, che sembrano far intravedere l’avvento di tempi più benigni. Ma anche questo non sarebbe niente, se non ci fosse la speranza, «forse la più mondana delle virtù teologali, quella intrecciata per natura alle vicende storiche di questo mondo e destinata con la fede a spegnersi a favore della carità nel mondo a venire» (A. Mengozzi). ■ *Aldo Ferrari, curatore del volume «Popoli e chiese dell’oriente cristiano» è professore di lingua e letteratura armena presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, responsabile del Programma di ricerca CaucasoAsia centrale dell’Istituto di studi di politica internazionale (Ispi) di Milano. MC GENNAIO 2009 23 Sta scritto (24).qxd:63- Sta scritto-Aprile 16-12-2008 12:01 Pagina 24 Così sta scritto a cura di Paolo Farinella (LC 24,46) biblista DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (35) LA PARABOLA DEL «FIGLIOL PRODIGO» (24) «DIO È AMORE» (Mt 23,26) «Ridammi la gioia della tua salvezza e rendimi stabile in uno spirito risoluto» C (Sal 51/50,14) oncludiamo il nostro lungo cammino in compagnia dell’evangelista Luca, il quale da par suo ci ha fatto conoscere profondamente cinque personaggi: un padre sconfinato che non esita a dare la vita per i figli; il figlio minore, sognatore e irrequieto, ma senza una propria progettualità tanto da finire subito in fallimento; il figlio «anziano», apparentemente tutto dolce e obbediente, ma nel suo cuore è tragico senza possibilità di redenzione; la persona di Gesù, che non smentisce la sua natura di rivoluzionario delle convenzioni religiose e sociali del suo tempo; e infine noi stessi, noi lettori, che dopo questo viaggio «dentro» la parabola del cosiddetto «figliol prodigo», non possiamo rimanere gli stessi di quando abbiamo cominciato. Ripercorriamo brevemente il cammino fatto con Luca e la sua parabola. Siamo partiti da alcune domande poste da un lettore: «Da dove Lc ha attinto questa parabola, non essendo apostolo? Come spunta questa meravigliosa “perla”, visto che è esclusiva di Lc e non compare negli altri evangelisti? L’ha pronunciata veramente Cristo?». Le domande sono radicali e dimostrano la poca frequenza, oltre la lettura di prassi, con la complessità della formazione dei vangeli e del NT. Un dato è certo: i cattolici conoscono poco, pochissimo, quasi niente le sacre scritture, che dovrebbero essere il fondamento della loro fede. Essi, infatti, sono molto religiosi, ma scarseggiano di fede e di conoscenza. Officiano, senza amare. PUNTO DI ARRIVO E DI PARTENZA: DOMANDE PERSONALI Di fronte a tali presupposti abbiamo proposto una carrellata veloce sulla formazione dei vangeli, spiegando che i vangeli non sono nati per tramandare aneddoti su Gesù, ma sono stati «predicati» per fare conoscere Gesù ai propri contemporanei. Da questa predicazione orale, fatta da persone innamorate di Gesù, sono nati i primi scritti come elenchi di miracoli, di parabole, di detti o sentenze ad uso in genere dei catechisti e dei predicatori. Questi documenti sparsi giravano per le chiese e cominciarono a essere abbinati come «Parola di Dio» alla lettura dell’AT nelle assemblee eucaristiche. A circa 30 anni dalla morte di Gesù, quando ormai Paolo aveva valicato i confini della Palestina e fondava chiese nell’attuale Turchia e in Grecia, l’evangelista Marco, per primo, inventa un genere letterario nuovo che chiama «vangelo», preso più tardi a modello da altri due progetti pensati da Matteo e da Luca. Nascono così i vangeli «sinottici» perché se si mettono in colonne affiancate Marco, Matteo e Luca, si possono leggere simultaneamente o, come si dice in gergo biblico, in «sinossi» che significa «con un colpo d’occhio». Lo schema dei vangeli «sinottici» è semplice: a) predicazione di Giovanni Battista; b) predicazione e attività di Gesù, prima in Galilea e poi in Giudea/Gerusalemme; c) passione, morte e risurrezione di Gesù. A questo schema, in epoca successiva, Mt e Lc aggiungono i primi due capitoli dei rispettivi vangeli che si chiamano in blocco «vangeli dell’infanzia», perché trattano di Gesù Bambino, ma visto e descritto alla luce della pasqua già avvenuta. L’evangelista Gv non segue questo schema, ma si pone su un piano più teologico, perché fa emergere una «cri- La parabola del figlio prodigo, infatti, penetra nel midollo della nostra anima e ci scarnifica fino all’osso come una spada tagliente (cf Eb 12,4). La lettura e il commento che abbiamo fatto ci obbligano a una presa di posizione personale nei confronti di Dio e dei nostri stili di vita. Le domande sono individuali. Chi è Dio «per me?». Il comportamento del padre che perdona senza chiedere in cambio nulla, un perdono gratuito, senza condizione mi scandalizza oppure mi rivela un «volto nuovo» di Dio che prima non immaginavo? Ritengo che il comportamento del padre sia «ingiusto» secondo i miei criteri della giustizia che spesso si avvicina fino a confondersi con la vendetta? A quale dei personaggi della parabola mi trovo più vicino? Per quali motivi? Ha senso la mia pratica religiosa, dopo avere vissuto questa parabola dal punto di vista del padre/Dio? Tutte queste domande e molte altre ancora tracimano dentro di noi perché la parabola lucana è uno spartiacque tra il «dio-idolo», che a volte ci costruiamo per giocare a fare i religiosi, e il «Dio-Misericordia» che trancia la logica umana, esigendo da noi uno stile di vita divino, in forza del principio evangelico: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48). Il cristianesimo è tutto qui: non è una morale, né un sistema di pensiero, né un’organizzazione, né una religione, ma è solo una «imitazione» che si trasforma in simbiosi di vita e prospettiva con una Persona. Se non impariamo nei nostri rapporti, contatti, pensieri, parole, ideali, atteggiamenti, ad agire come Dio, la nostra religiosità è un francobollo da cui è evaporata la colla. 24 MC GENNAIO 2009 CONOSCERE LA SCRITTURA E IL SUO CAMMINO Sta scritto (24).qxd:63- Sta scritto-Aprile 16-12-2008 stologia» alta: Gesù infatti fa lunghi discorsi che sono inverosimili storicamente, mentre sono essenziali per il progetto di Gv che ci presenta Gesù, l’uomo di Nazaret, come il «Lògos» eterno incarnato nella storia. Dopo questa premessa essenziale e didascalica, abbiamo parlato del capitolo 15 di Lc, che riporta tre parabole secondo le bibbie ordinarie, mentre abbiamo dimostrato che le parabole sono due, di cui la prima quella del pastore è ripetuta anche in versione femminile (la donna che perde e trova la moneta). Il capitolo 15 di Lc è uno spartiacque, il vertice di tutta la rivelazione del NT, dopo l’affermazione giovannea che «Il Lògos-carne/fragilità fu fatto» (Gv 1,14). Successivamente abbiamo presentato i protagonisti della parabola con una breve scheda storica dei pubblicani, scribi, farisei e sinedrio che fanno da sfondo e da pretesto alla parabola. LUCA 15: UNA NUOVA PROSPETTIVA Infine, abbiamo avanzato l’ipotesi, che ci sta a cuore e di cui siamo convinti: il capitolo 15 di Luca, compresa quindi la parabola del figliol prodigo, non è una invenzione di Lc, ma è un «midràsh» del capitolo 31 di Geremia. Abbiamo spiegato che il midràsh è un modo giudaico di esegesi che si basa sul principio che la scrittura si spiega con la scrittura. Lc prende il testo del profeta Geremia che appartiene all’AT e lo commenta non con un altro testo dell’AT, ma con due parabole messe in bocca a Gesù, dicendoci così che la parola di Gesù è sullo stesso piano dell’AT: è Parola di Dio. Gesù ha parlato ai suoi uditori di pecore, di monete e di figli: ne abbiamo molti esempi nei vangeli; ma nella forma espressa da Lc, l’intero capitolo è una costruzione per tradurre in forma cristiana il capitolo 31 di Geremia che parla di un pastore, di una donna e di due figli. Il contesto di Geremia è «la nuova alleanza» (Ger 31,31) che è la chiave di comprensione di tutta la vita di Gesù. Egli porta la novità di un Dio che trasforma la vendetta in perdono, l’esclusione in inclusione, l’emarginazione in elezione, il peccato in grazia, il rifiuto in accoglienza. La novità riguarda anche la religione: dagli atti esterni di culto pubblico o privato si passa all’adesione del cuore, all’etica dell’intenzione, alla purezza del cuore, al perdono senza condizione. In MC (Luglio/agosto 2006) scrivemmo: «Lc 15 è dunque un midràsh di Ger 31 o, se si vuole, una omelia che commenta il testo profetico. La comunità cristiana delle origini prima e Lc successivamente hanno riletto il capitolo 31 del profeta Geremia con gli occhi fissi su Gesù, tanto che l’evangelista nel redigere il capitolo, ha mante- 12:01 Pagina 25 nuto lo stesso ordine dei personaggi come si trovano nel profeta: un pastore, una donna, un padre con un figlio. Per potersi rendere pienamente conto di quanto profondo e attualizzante sia il rapporto tra Lc 15 e Ger 31, è necessario leggere il testo del profeta Geremia e quello di Lc in sinossi, cioè in modo speculare»: nello stesso numero mettemmo a disposizione dei lettori i due testi a confronto per vederne somiglianze e differenze. Noi cattolici siamo abituati a leggere il vangelo e il NT in genere con la nostra mentalità occidentale latina, senza alcun riferimento, se non in forme marginali, all’ambiente vitale dove questi scritti sono nati, sono stati pensati e sono stati messi su pergamena. IL GIUDAISMO, AMBIENTE VITALE DEL VANGELO A questo scopo, abbiamo insistito molto nel dire che corriamo il rischio di non capire il 90% del vangelo se ci limitiamo a leggerlo con le nostre categorie culturali e non ci sforziamo di situarlo nel suo ambiente vitale, culturale e religioso del suo tempo. Gesù è un ebreo, Maria è un’ebrea, Giuseppe è un ebreo della stirpe di Davide, gli apostoli sono ebrei osservanti, i primi cristiani sono ebrei figli di Abramo: non possono non pensare e non esprimersi da ebrei. Essi conoscono non solo la scrittura ebraica, che è Toràh, i Profeti e gli Scritti (corrispondenti ai nostri Sapienziali), essi conoscono anche e specialmente la «bibbia orale», che è tramandata solo oralmente attraverso la predicazione e la sinagoga con i Targum e i Midràsh. Affinché non andasse perduta, la maggior parte della predicazione orale fu messa per iscritto durante la diaspora tra il sec. II e il sec. VI d.C., ottenendo così i testi che conosciamo con il nome di Mishnàh, Talmud, Tosèphta, Ghemarà, che riportano i commenti alla scrittura di tutti i saggi d’Israele dal sec. III a.C. al sec. VI d.C. È un materiale immenso, certamente tardivo, ma che contiene materiale anche antico da valutare di volta in volta. Noi cattolici non conosciamo quasi nulla di tutto questo e spesso ci scandalizziamo, perché consideriamo il NT un frutto del tutto avulso dal mondo che lo ha generato e partorito. Finché non si ritornerà alla bibbia come libro fondamentale della nostra fede, basato nel contesto giudaico, il nostro cristianesimo sarà molto superficiale e anche falsato. Abbiamo presentato la parabola, cercando di evidenziarne il vocabolario peculiare, mettendo in risalto il comportamento del padre che riflette il modo di essere di Dio nei nostri confronti. S’è scoperto che il figlio maggiore è rappresentativo del mondo farisaico, che rigetta Gesù per difendere il proprio potere, e che il figlio mi- MC GENNAIO 2009 25 Sta scritto (24).qxd:63- Sta scritto-Aprile 16-12-2008 12:01 Pagina 26 nore ha tutte le caratteristiche dei pubblicani. Come questi, anche il minore non è giustificabile, ma nella logica della parabola non è determinante che egli chieda perdono, come spesso si legge nei commenti e negli usi liturgici di questa parabola, perché il cuore della pagina non è il figlio minore o maggiore, ma è l’accoglienza del padre/Dio, che previene i figli al di là dei loro meriti. In sostanza abbiamo visto che il significato ultimo della parabola è la tenerezza di Dio, che si commuove fino alle viscere se vede un figliolo che si sta perdendo in «un paese lontano»: egli allora spinto dal suo viscerale amore senza fondo e senza confini, perde se stesso pur di guadagnare il figlio/figli. Alla fine abbiamo scoperto con amarezza che riesce nel caso del figlio minore, ma fallisce nel caso del figlio maggiore. dell’opportunismo, del comportamento cioè di chi trama nell’acqua senza mai esporsi. Egli ha goduto, almeno crediamo di averlo bene chiarito, della partenza del figlio e già faceva i calcoli della «sua roba» alla morte del padre che aspettava con ansia. La sua vita è rovinata dal padre che accoglie il fratello e, come è stato assente per tutta la sua vita dalla vita del padre, così alla fine egli resta fuori del banchetto e non può indossare l’abito delle nozze. Egli che è rimasto sempre in casa, di fatto era partito da un pezzo ed era rimasto lontano, molto più lontano del paese dove è andato a gozzovigliare il fratello; il minore invece, andato fisicamente via da casa, è tornato perché nel suo cuore, anche a sua insaputa, era rimasto legato al padre di cui aveva inconsciamente nostalgia. LETTURA SCIENTIFICA E INSEGNAMENTO SPIRITUALE Abbiamo pure visto concretizzarsi la «legge» biblica del ribaltamento delle posizioni codificato nel Magnificat di Maria e la «legge della sostituzione» che percorre la bibbia dalle origini alla fine: l’ultimo prende il posto del primo e il secondogenito subentra nell’asse ereditario al primogenito. Strano e illogico, secondo i parametri umani, il Dio che è delineato nella parabola del figlio prodigo! Egli è un Dio senza dignità e senza rispetto per se stesso, perché, travolgendo ogni costume sedimentato e ogni razionalità, si «mette a correre» per venire incontro a chi non ha più speranza, a chi è morto e bandito dalla società e dalla religione. Egli è un Dio senza pudore che abbandona il tempio, le chiese, conventi e monasteri, dove i figli sono al sicuro e corre per le strade del mondo a cercare la pecora smarrita, la moneta perduta e il figlio traviato. A buon diritto il lettore può dire: egli viene per me. Un’attuazione pratica della parabola si ha nell’eucaristia, che è il commento sacramentale, o «midràsh sacramentale», della parabola della tenerezza del Padre che trasforma la vita del Figlio unigenito in parola, pane e vino perché i figli dispersi e smarriti possano rifocillarsi nell’ascolto, nel cuore e nel corpo per ritrovare il Volto di Dio, che in Gesù si manifesta e rivela a noi come Padre/Madre. È questo il senso ultimo della parabola della paternità sconfinata che sa rigenerare, perché ama senza scopo e senza interesse. Se dovessimo sintetizzare il capitolo 15 di Lc in una parola, non avremmo dubbi perché c’è una sola parola, come ci suggerisce Paolo in 1Cor 13, e questa parola è «Agàpē», il nome nuovo del Dio di Gesù Cristo: «Dio è Agàpē» (Gv 1Gv 4,8) che tradotto alla lettera si può rendere con «Dio è Amore a perdere». Abbiamo impegnato 15 puntate per commentare i singoli versetti della parabola lucana, mettendo in evidenza anche aspetti psicologici, oltre che esegetici, pastorali e spirituali: il nostro commento infatti non voleva essere solo un rendiconto asettico delle questioni letterarie o testuali, ma un momento di valutazione anche della nostra vita alla luce della parola di Dio, più profondamente compresa. Lo studio della bibbia più è scientifico più diventa spirituale, perché dandoci il senso genuino del testo scritto, ci permette di entrare nel messaggio autentico della rivelazione. All’interno del commento abbiamo imparato il significato del vitello grasso, il cui sacrificio ristabilisce i termini dell’alleanza qui tra figlio e padre e in termini più generali l’alleanza che in Gesù si stipula tra l’umanità e Dio, fermo restando il mestiere per eccellenza di Dio che è la misericordia. «I sandali, la tunica e l’anello» ci hanno svelato il senso nascosto nella tradizione giudaica di reintegro nell’eredità materiale, nella dignità personale e nell’identità filiale; siamo così arrivati a scoprire il capovolgimento delle situazioni di partenza: il figlio che ha chiesto la vita del padre per poterla sperperare nella dissolutezza e nell’impurità (paese lontano) ora si ritrova immerso in quella stessa vita che lo ha salvato dall’inferno della dannazione (porci) e dalla presunzione di se stesso. LA CONVERSIONE INTERESSATA Troppa retorica si è fatto attorno al figlio prodigo e alla sua conversione, tanto che è diventato un classico, durante la quaresima, imbastire una liturgia penitenziale dove lo si prende a modello di conversione e di pentimento. Il figlio minore invece è motivato dalla «necessità di sopravvivere» e la sua conversione, se c’è, avviene dopo, nel silenzio della parabola, quando il padre lo fa entrare nella sala del banchetto con la veste nuziale che gli cambia l’aspetto e quello che più conta il cuore. Ancora una volta è il padre il perno di ogni movimento. Abbiamo anche ridimensionato drasticamente il figlio maggiore, verso il quale si è di solito più indulgenti, perché apparentemente non ha mai dato dispiaceri al padre, restando sempre in casa. Il commento ha evidenziato la natura perversa di questo figlio, simbolo del fariseismo e 26 MC GENNAIO 2009 GLI ULTIMI PRECEDONO I PRIMI Nota. Dal prossimo numero cominceremo il commento al racconto delle nozze di Cana, sempre in chiave del contesto giudaico per scoprire il senso nascosto e poco conosciuto di questo racconto che è un commento all’alleanza del Sinai e a quanto l’ha preceduto. Ricordiamo di nuovo ai lettori la raccolta dei primi due anni di questa rubrica: PAOLO FARINELLA, Bibbia parole segreti misteri, Il Segno dei Gabrielli Ed. 2008, € 13,00. Chiedere in qualsiasi libreria cattolica o direttamente all’Editore: tel. 045 7725543 fax 045 6858595; e-mail: [email protected]. In primavera sarà pubblicato un volume con tutta la parabola del figlio prodigo. 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 DOSSIER 12:38 Pagina 27 MISSIONI CONSOLATA Reportage sulla cooperazione internazionale laica e religiosa INSIDE TANZANIA testo e foto di Romina Remigio 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:38 Pagina 28 DOSSIER n giornalista non è solo un rigoroso traduttore di informazioni, ma anche un cantastorie. La voce di chi non ha voce. Gli occhi di chi non può o non vuole vedere. Ha la possibilità e la capacità di potersi fermare. Fermarsi a riflettere, osservare, parlare, ascoltare e ascoltare. E questo ho scelto di fare per sei mesi di vita in Tanzania. Il mio rapporto con il Tanzania è stato da subito viscerale. Il 15 dicembre 2007 la prima sensazione è stata di soffocamento. Un vento caldo, umido mi ha bloccato le narici e i polmoni, ma il cuore era tornato a casa. «Inside Tanzania» non è solo un reportage. Ma un esperimento di sei mesi di vita a Mbagala, periferia di Dar Es Salaam, e in altri slum musulmano-integralisti, vivendo la quotidianità e gli effetti della cura antiretrovirale su malati di Aids/Hiv. Insieme. Come loro e con loro. Questo era il mio obiettivo. INTRODUZIONE U Dove gli aiuti... aiutano davvero Pur disponendo di enormi risorse le organizzazioni internazionali non riescono a raggiungere risultati soddisfacenti sia nel campo dello sviluppo che nella lotta all’Aids in Africa. Missionari e missionarie, invece, con scarsissimi aiuti e senza la ribalta mediatica, riescono a fare autentici miracoli a favore della popolazione. Lo evidenzia una giovane giornalista nel suo documentario «Inside Tanzania», elaborato in sei mesi di vita africana. n progetto di reportage U nato nel luglio 2007 con la mia collega Alessandra Sinibaldi per indagare come mai nonostante la mole mondiale di fondi stanziati da qualsiasi tipo di associazione, ente o struttura grande e piccola per progetti in Africa, questa terra continuasse a morire inesorabilmente. Un’inchiesta sulla cooperazione internazionale decentrata e non, laica e religiosa. Avevamo passato un mese a girare fotografando e lavorando senza freni. Interviste, riprese, traduzioni, visite, libri, incontri nei villaggi con musulmani, cristiani, protestanti, malati, dottori e scatti e scatti. 28 MC GENNAIO 2009 Una scena caratteristica in una via di Mbagala, periferia di Dar Es Salaam. S ono tornata in Tanzania il 15 dicembre 2007, stavolta sola. Alessandra ha dovuto subire un intervento al ginocchio. Il soggetto del reportage era lo stesso: indagare come vengono investiti e impiegati i fondi internazionali per la cura dell’Aids. Ma per fare ciò dovevo prima di tutto rendere «protagonisti», nel reportage e nella mia vita, la gente dei villaggi. Dovevo diventare una di loro. Rassicurarli e farmi conoscere. Sono stanchi di essere fotografati da jeep cariche di bianchi, che scattano per riportare a casa la foto del poverissimo africano. Ormai è un rito per molti volontari di onlus o associazioni fare il cosiddetto «giro turistico» per i villaggi, mascherato anche dal termine «ecoturismo» ora estremamente di moda, ma pochi sono gli esempi di eco-turismo nel senso etimologico. I masai sanno dai loro fratelli impiegati nei villaggi turistici e davanti a resort, rigorosamente vestiti con gli indumenti tradizionali e costretti a scimmiottare la loro cultura per affascinare il turista, 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:38 Pagina 29 MISSIONI CONSOLATA BASTA MOSCHE ...SUGLI OCCHI che molti bianchi realizzano foto che poi vendono a riviste, quindi vogliono essere pagati. Per sei mesi con la gente La maggior umiliazione per un fotoreporter è pagare il suo soggetto. È la via più semplice e veloce per non instaurare nessun tipo di contatto o fiducia, ma dalle foto questa sensazione salta agli occhi. Ho vissuto nella periferia più degradata, colpita da quella piaga che sta «fucilando» l’Africa da de- cenni. Senza acqua, senza luce, in «case» con lastre di lamiera infuocate, dove solo delle coraggiosissime missionarie operano la loro evangelizzazione. Nei campi, nelle moschee e madrase, davanti a un piatto di polenta e fagioli e davanti a un piatto vuoto, su stuoie, negli ospedali e nei dispensari. Ho vissuto sei mesi della mia vita seguendo famiglie che mi hanno accettato come figlia, sorella e amica, nella loro speranza di guerra all’Aids, scoraggiandomi e entusiasmandomi con e per loro. Vi- vere sei mesi, nella stagione più calda dell’anno, nella zona più calda, e satura di persone non è stato facile! Ma la voglia di raccontare attraverso la mia macchina e la mia stessa pelle questo spaccato di vita vera era più forte di qualsiasi malaria, malattia o paura. Incontri con realtà... speciali La curiosità, l’interesse giornalistico e, prima ancora, la voglia di capire e raccontare mi hanno fatto girare gran parte del Tanzania, MC GENNAIO 2009 29 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:38 Pagina 30 DOSSIER indagando e scoprendo le realtà molteplici di cooperazione. Ho conosciuto realtà di fede profonda, di ritmi di vita scanditi dalla parola di Dio. Da un Dio che scuote il corpo e la mente sostenendoti in lavori massacranti di aiuto gratuito. E ho visto realtà di egoismo e superficialità che sembrano giocare con la vita delle persone e con i soldi dei fondi mondiali. Ho conosciuto anche grandi associazioni come il «Cuamm», «Medici con l’Africa», il cui personale medico è attivo anche in strutture governative. Uno di questi medici è Mario Bat- tocletti, medico chirurgo, presso l’ospedale governativo di Iringa, a cui fa capo più di un milione di persone. Mario vive a Iringa con sua moglie e i suoi tre bambini. Quando sono andata a casa sua, ho scoperto un grandissimo professionista con il sogno di lavorare in Africa e salvare vite. Ed è quello che fa da mattina a sera, scontrandosi con la realtà confusa e purtroppo corrotta della società e dell’ospedale. Ma non si arrende. Poi ci sono i laici missionari e singoli volontari che fanno tanto In alto, suor Ida con la signora Anastasia, colpita da fortissime febbri malariche, ricoverata nell’ospedale di Mbagala, gestito dalle missionarie della Consolata. Mbagala: Dodo con coraggio e forza di volontà sfida e supera il suo handicap fisico. e lo fanno senza rumore, ma con creatività, ingegno e impegno. Più osservavo, giravo, conoscevo, e più sentivo che questo reportage stava diventando una missione. Una missione di informazione non solo sul Tanzania, stato sconosciuto se non per la bellezza dei suoi parchi e delle sue spiagge, ma sul mondo dei missionari che operano in un continente a noi ancora sconosciuto seppure ne siamo assuefatti. Assuefatti all’idea che i media ci hanno sempre proposto e continuano a propinarci, alla convinzione che come l’Iraq, l’Afghanistan, sono realtà irrisolvibili ma per quali fattori? Perché? Conosciamo solo il bimbo con la mosca nell’occhio e la pancia gonfia, la guerra in Somalia, i bambini soldati, le violenze in Congo, Ruanda, Darfur e le meravigliose spiagge di Zanzibar, Pemba, Sharm e Marsa Alam! Tra stereotipi e disinformazione Chi conosce l’Africa (non me ne vogliano i grandi esperti di geopolitica, cultura e tradizioni) è chi legge i giornali missionari che attraverso le voci, le testimonianze di missionarie, missionari, volontari e operatori di pace, che vivono trenta, quaranta, settanta anni la realtà, hanno la voglia e la pazienza di fermarsi ad ascoltare, aiutare e poi raccontare. Chi vive la quotidianità dei giornali, degli special televisivi ha imparato attraverso esponenti del mondo dello spettacolo, i noti «ambasciatori» a donare un euro attraverso l’sms all’Africa che non va mai 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:38 Pagina 31 avanti... a quell’Africa che muore di fame sempre e comunque. All’Africa fatta di uomini e padri che schiavizzano le mogli e i figli pur di non lavorare, a un popolo che muore di Aids perché superficiale e poligamo. E poi veniamo a scoprire che tutto il denaro mandato tramite sms, per il Darfur o per le famiglie colpite dallo tsunami non è mai arrivato a destinazione. È bloccato in una banca belga o svizzera, ma è solo questione di tempo, recita la smentita sui giornali, ma come non c’era un’emergenza? A me verrebbe da dire «tanto ci sono i missionari che, attraverso amici, parenti, benefattori e l’animazione, sono in grado di aiutare la gente, anche senza milioni di dollari!». Allora due sono le cose o i missionari, avendo la corsia preferenziale di dialogo con Lui, riescono a moltiplicare i soldi, come Qualcuno moltiplicava i pesci, o sono angeli straordinari prestati a noi comuni mortali per insegnarci a vivere. E l’interrogativo dominante: «Ma come mai, sono decenni che mandiamo, mandiamo e rimandiamo soldi attraverso queste grandi associazioni e la situazione è degenerata in un’emorragia acuta? Il dato certo è che se ne sono sentite tante. E la gente non si fida più o, se si fida, è perché la comunicazione di quella associazione è stata fatta seguendo le teorie e le tecniche migliori della comunicazione di massa. Una comunicazione che ha screditato e criticato in maniera velata ma fin troppo efficace, per anni, la cooperazione religiosa di congregazioni presenti da decenni che dopo sessanta, settanta, cento anni ora sembrano non essere più in grado di insegnare, curare e aiutare. Io da conoscitrice del mondo giornalistico la spiegherei attraverso due fattori. Primo fattore: sono religiosi. E in Italia sappiamo che qualsiasi persona sia religiosa o legata alla chiesa, da sempre sinonimo di sfarzo e di eccesso, non va più di moda. Pensateci! È vero che ci sono tanti laici che hanno una fede profonda, ma se siamo arrivati alla società attuale, sarà colpa dell’economia che non va, dei nostri governanti che non sanno fare il loro lavoro, dei media AMICA MZUNGU tracci e persone, persone e stracci. Sporcizia, zanzariere bucate, muri neri, porte e finestre arrugginite. Mi ritrovo a scavalcare cadaveri. S Gente sui letti e gente sotto i letti, su stuoie o materassi finiti. Lamenti, gemiti rauchi di chi non ha più voce. Occhi fuori dalle orbite che fanno rumore. Ti fissano, ti cercano, vogliono toccarti, ti chiedono: perché? Corpi finiti, pelle tesa, giovani vite troppo malate. Non c’è futuro per loro. Sono tutti malati terminali di Hiv, ma per i loro cari saranno tutti morti di diabete. Tuttora paura e discriminazione sono forti. E dire la verità è come vendere la pietà. Esco dall’ospedale di Temeke, uno dei due ospedali governativi di Dar Es Salaam, impotente. Gli occhi e le orecchie mi fanno male. Immagini di sguardi, sorrisi e corpi si affollano nella mia mente. Alla mia missionaria non servono parole per capire cosa provo. Il mio senso d’impotenza è il suo. Il mio dolore è il suo da anni. Per il governo sono solo malati. Per suor Ida sono persone che hanno bisogno di un conforto e un sostegno psicologico e religioso. Suor Ida scuote la mia mente, fissa in quelle immagini, con le mille cose da fare. Daladala (minibus), jeep e tassisti mi sfrecciano a destra e sinistra sulle uniche strade asfaltate dai giapponesi. Il mio corpo bolle su un sedile ormai bagnato. Salto cercando istintivamente di evitare la prossima buca tra l’asfalto nuovo e la vecchia non strada. Attraversiamo la Kilwa Road da mesi in rifacimento e non saranno solo i polmoni a risentirne, ma anche i miei capelli che diventeranno ogni volta sempre più rasta e di un giallo paglierino intenso. i dirigo all’Ocean Road, ospedale per la cura del cancro, l’unico in Tanzania, paese con oltre 60 milioni di abitanti. MTornerò spesso a visitare le mamme e giocare con i bambini prima di riuscire a scattare. Occhi sgusciati via e sorrisi maestosi per un occhio di capra. Pance gonfie, seni amputati, lesioni, fratture, bozzi di ogni tipo e dimensione. Oggi ho la macchina al collo e la mia fedele traduttrice. Mi riconoscono, mi chiedono da dove vengo. Di quale tribù sono. E inizio a scattare con la loro complicità. Sono l’amica mzungu (bianca) che già sa tutto. I bimbi mi corrono incontro. Ho giocato con loro, li ho abbracciati e baciati senza paura, reazione non comune in questa parte di mondo terrorizzata dalla trasmissione del virus, tanto più che io sono la mzungu. Il pregiudizio del bianco carico di dollari è duro a morire in una società dove cooperazione è significato, per anni, il bianco che regala dollari in base all’orrore delle miserie e dei drammi fisici. Occhi stanchi, spenti, vuoti, sgranati mi fissano. La mia amica mi invita a fare come lei. Ascoltarli, parlare con loro, far loro sentire che non sono soli. Che nonostante tutto questo dolore, c’è il Signore che li sostiene e li ama incondizionatamente. Lei ci riesce benissimo. È una sua dote innata. Io dalla mia parte ho una genetica vivacità dialettica, ma purtroppo non su questo argomento. Mi siedo sui letti, sulle lenzuola infette da un corpo malato. La meraviglia apre i loro cuori. Raccontano la vita, vengono da tutto il Tanzania. Hanno percorso centinaia di chilometri in bus. E io conosco quei bus! Hanno figli grandi e piccoli, mariti e campi che hanno dovuto lasciare e la preoccupazione è tanta. Parlano e ridono del mio kiswahili sgrammaticato. Le storie sono drammatiche e tristi fin dentro al midollo. Eppure li senti pregare. che attraverso la pubblicità presentano modelli sbagliati..., ma sarà anche colpa nostra, che abbiamo perso di vista i valori fondamentali di dignità, onestà e serietà e li abbiamo sostituiti con la corsa frenetica al raggiungimento del denaro. Una carissima amica missionaria, di una saggezza stravolgente, mi disse un giorno: «Voi andate avanti seguendo la regola delle tre S: sesso, successo e soldi». Noi giovani, usciti da poco dalle università, non possiamo che confermare che il fine delle lauree è gua- MC GENNAIO 2009 31 Visitando gli ospedali governativi MISSIONI CONSOLATA 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:38 Pagina 32 DOSSIER dagnare, guadagnare per permettersi tutto. Il secondo fattore per cui attualmente i missionari non hanno più il successo di una volta è che non sono dottori. Sono poche le vocazioni. Poche le missionarie dottoresse e i missionari dottori laureati. In un dispensario in capo al mondo, in una zona dove non c’è luce, acqua, ma solo povertà e malattia ci sono suore missionarie settantenni, solo infermiere, che lavorano 15-18 ore al giorno, insegnando e formando praticamente Clinical Officer, capaci di sostituirle un domani, ma per i nostri dottorini e dottori delle Ong, non vanno più bene. «Non sono preparate. Sono superficiali» mi sono sentita ripetere. Dove finiscono gli aiuti? Potrei fare un elenco delle strutture internazionali e associazioni che operano in Tanzania con metodologie e scopi diversi dai missionari. Ma non è il mio obiettivo. Con il mio reportage non ho affatto intenzione di osannare solo le missionarie della Consolata, poiché ho incontrato tante congregazioni cattoliche; mi ha molto colpito, per esempio, la realtà delle missionarie della Carità, le suore di Allamano Centre a Iringa, fondato e gestito dalle missionarie della Consolata. 32 MC GENNAIO 2009 Camion carichi di legname, esportato illegalmente dalle foreste attorno a Kibiti. Madre Teresa, che accolgono orfani anche con gravi handicap e anziani. Anche i protestanti anglicani e luterani, le associazioni di laici missionari o volontari fanno tanto e bene. Mi ha lasciato molto perplessa invece, il fatto che in uno stato dove il 10% della popolazione nasce con handicap fisici e mentali, nonostante la massiccia presenza delle Ong e associazioni di aiuto, non ci sia in tutto il Tanzania una struttura di ricovero per bambini, ragazzi e adulti che abbiano forti handicap mentali e fisici, una sorta di Cottolengo. Anzi le suore del Cottolengo ci sono in Tanzania, ma anziché mantenere il carisma che hanno in Italia, con il lavoro straordinario che portano avanti, in Tanzania si occupano della pastorale... forse anche il carisma oltre oceano subisce un cambiamento climatico, fisico! Ma non posso, inoltre, non sottolineare la diffidenza motivata delle persone quando si parla di offerte, donazioni e aiuti economici a istituti religiosi che magari sembrano sconosciuti o inaccessibili 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 33 MISSIONI CONSOLATA materialmente, perché talmente impegnati sul campo che sono fuori dalla comunicazione on-line, telefonica satellitare e per principi propri, fuori dalla pubblicità capillare. Mai nessun missionario della Consolata manderà cartoline, foto di bambini tristi e malati, a tutti gli italiani, augurando loro buon natale, buona pasqua, buona festa della mamma e del papà... per colpire il cuore e le menti degli italiani, popolo statisticamente tra i più sentimentali e sensibili al mondo in materia di aiuto, nonostante il materialismo dominante, direbbe qualcuno! Non sarò certo la prima a fare scoop o a dichiarare che istituzioni mondiali come l’Unicef, spendono l’85% delle loro entrate tra pubblicità e stipendi, lo stesso vale per la Croce Rossa e una miriade di associazioni, grandi e piccole, che ci mandano bollettini, cartoline, e-mail... chiedendo offerte. Con ciò non voglio dire che queste grandi realtà non abbiano fatto nulla di concreto negli anni, anzi! Il punto è però un altro: se si hanno a disposizione dieci, venti, cento milioni di dollari e l’85% viene investito non nell’istruzione, nella lotta all’Aids e alla malaria (che, non dimentichiamo, in Africa provoca la morte di un bambino ogni 5 minuti, ma piuttosto in stipendi, pubblicità, trasporti e tutto ciò che riguarda la gestione dell’istituzione, è evidente che non riusciremo a fermare un bel niente, a cambiare nulla. Ci saranno solo progetti che partiranno e avranno un iter di due anni, cinque anni, fino al momento in cui ci saranno i soldi decisi e stanziati. Il progetto non sarà rifinanziato e il dottore di turno a capo, andrà via e tutto tornerà come prima. Secondo lo stesso Mario Battocletti: «Il problema è la non cooperazione tra le realtà private in primo luogo tra loro, e poi con quelle statali. Non c’è una programmazione di governo, ma è pur vero che sempre più spesso ogni Ong tende a fare autonomamente e quindi c’è una dispersione di aiuti». Un approccio diverso Altra cosa che mi ha fatto riflettere e decidere di farmi portavoce dei missionari e in particolare del- In alto, il dottor Mario Battocletti con un paziente nell’ospedale governativo di Iringa. Sopra, suor Franca Lidia accoglie i malati nella clinica di Mbagala. le missionarie della Consolata, attraverso un reportage che fosse una missione di sensibilizzazione e informazione sulla realtà troppo scomoda delle grandi strutture di cooperazione, è la vita stessa e le strutture dei missionari rispetto alle altre. A livello igienico, sanitario, lavorativo ho visto e fotografato dispensari e centri gestiti da missionari, in villaggi senza acqua e luce, che non hanno nessuna carenza rispetto alle strutture delle Ong. Certo minor personale, ben pagato, logicamente non come quello delle «grandi», ma di gran lunga su- periore alla paga stabilita dal governo. I ritmi sono diversi. In un dispensario non c’è orario. A Mbagala, periferia di Dar Es Salaam, il dispensario delle missionarie della Consolata visita quotidianamente dalle 500 alle 600 persone. Non ho mai visto suor Franca Lidia Cochis, la suora che lo gestisce, mandar via qualcuno. Ho sentito invece dalle due di notte, passi silenziosi di mamme che si mettevano in fila, dopo aver percorso 20-30 km per far vedere i loro bambini alla sister, perché l’umanità è diversa. L’approccio e la cura sono diversi. Lo staff professionalmente competente visita, prescrive, fa iniezioni e dà le stesse medicine a prezzi inferiori. Suor Franca Lidia, con un immaginabile sforzo, gira tutta Dar Es MC GENNAIO 2009 33 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 34 DOSSIER 4 1 2 5 3 1. Un’infermiera nel dispensario delle missionarie della Consolata a Mbagala. 2. Un reparto dell’ospedale governativo di Temeke (Dar Es Salaam). 3. Bambino nato prematuro all’ospedale governativo di Iringa, dove manca l’incubatrice. 4. Camera di un asilo tenuto dalle Missionarie della carità. 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 35 MISSIONI CONSOLATA 6 7 5. Pazienti con gravi malattie agli occhi, curati nel dispensario di Kibiti. 6. Una corsia dell’ospedale governativo di Ocean Road (Dar Es Salaam). 7. Kibiti, lezione di suor Vivalda nel dispensario di maternità. 8. Mbagala, una famiglia in preghiera. 8 MC GENNAIO 2009 35 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 36 DOSSIER Salaam per comprare le medicine a prezzi inferiori dai Medical Store. Perché lo fa? Non ha uno stipendio. Non è più giovanissima. È guidata solo dalla fede e dalla scelta che ha fatto cinquant’anni fa, quando ha deciso di diventare una suora missionaria della Consolata. Cambiare: si può e si deve Non ho visto uffici e centri delle Ong nei villaggi di periferia delle grandi città, degradati e difficili per motivi di ordine non solo sociale e sanitario ma anche religioso, fatta eccezione per la zona di Iringa, realtà in cui c’è una maggiore concentrazione di strutture di cooperazione e sviluppo. Una consistente presenza di tali uffici l’ho vista, invece, nella parte ricca di Dar Es Salaam, davanti all’Oceano Indiano, dove la vita è altissima rispetto alla media della popolazione e il mare è un incanto. Ma questa scelta sarà stata solo una coincidenza! In una delle proiezioni del documentario con il quale sto girando l’Italia, con lo stesso scopo di sensibilizzare sulla realtà anche difficile e traumatica nella quale operano i missionari, perché è giusto non far vedere sempre e solo il bambino con la mosca negli occhi, ma in troppi pensano che la vita del missionario sia affascinante, in posti bellissimi, con ritmi di vita molto più tranquilli dei nostri, con meno preoccupazioni; allora il mio obiettivo è anche scuotere la gente, dicevo che mi ha colpito un commento di un padre. «Siamo tutti missionari. Dal momento del battesimo, siamo tutti missionari». Io non pretendo e non posso dare risposte e soluzioni ai problemi riguardanti il bisogno di fondi economici per la cura antiretrovirale o per le strutture dei missionari, ma mi chiedo e vi chiedo: nel momento in cui scegliamo di lavorare nell’ambito della cooperazione è perché abbiamo interesse e obiettivi a realizzare qualcosa che sia di aiuto a quello stato e alla sua gente perché in difficoltà. Quindi possiamo anche declinare l’invito a lavorare seguendo le norme e gli standard mondiali di marketing e pubblicità. Proviamo a fare i missionari! Abbiamo famiglie, figli da mantenere, non possiamo lavorare gratuitamente perché la vita è altissima, è chiaro e noto a tutti. Non dico di fare solo i volontari, ma anziché andare in una parte del mondo per fare carriera o ridurre gli anni che ci avvicinano alla pensione o per guadagnare quattromila, settemila euro al mese, con progetti destinati a salvare la vita di esseri umani, grandi e piccoli, fermiamoci a un guadagno di mille, mille e cinquecento euro e il resto investiamolo nella totalità del progetto. Per molti sarà un’utopia. La certezza è che continuando così non aiuteremo nessuno ma continueremo solo a riempirci la bocca di Africa, aids, malaria e morte, alimentando il binomio Africa=morte e a disperdere i fondi. Un esempio... Ho conosciuto una coppia di italiani a Dar Es Salaam che mi ha colpito particolarmente: un medico italiano, fisioterapista, Augusto Zambaldo, che dirige il reparto di riabilitazione dell’ospedale Ccbrt (Comprehensive Comunity Based Rehabilitation, Centro riabilitativo su base comunitaria del Tanzania) che lavora nell’ospedale specializzato per problemi alle ossa (Ccbrt, Comprehensive Community Based Rehabilitation Tanzania), costruito da una Ong tedesca, ottimo dal profilo medico, e sua moglie Laura, una graziosissima insegnante. Augusto Zambaldo vive da più di 20 anni in Tanzania con la sua famiglia. Ha lavorato per anni prima in Kenya e poi in Tanzania in strutture ospedaliere anche di missionari, preferendo vivere con uno stipendio molto più basso rispetto alla media dei suoi colleghi, con ritmi di vita altrettanto massacranti, animato solo dalla voglia di aiutare e sapeva di esserne in grado. Le figlie sono nate in Kenya, hanno studiato in Tanzania e ora una frequenta l’università in Italia. Augusto e Laura hanno scelto la strada più difficile. Non sono diventati mai ricchi, materialmente, ma credo che le emozioni che hanno vissuto in questi decenni sono state un’immensa ricchezza. Le difficoltà non sono state e non sono poche soprattutto per l’equilibrio familiare. Mi raccontavano che una delle figlie voleva tornare in Italia, perché la scelta di vivere in Tanzania aiutando gli altri, non era la sua, ma la loro, gli ripeteva. È normale che una ragazza giovanissima, nata e cresciuta in Africa, una volta arrivata in Italia, dove tutto sembra possibile e realizzabile con minor sforzo, voglia vivere nel bel paese! Augusto e Laura erano in crisi perché significava separarsi, dopo una vita vissuta sempre l’uno al fianco dell’altro. Augusto non concepiva l’idea di lasciare tutto e tornare, ma non poteva nemmeno dire di no a sua figlia. Il lavoro di un medico in quei posti è una missione. E per Augusto lo è. Laura aveva deciso di tornare in Italia per stare vicina alla figlia, ma Augusto sapeva che un figlio ha bisogno di entrambi i genitori. Non so cosa ha poi deciso Augusto, ma qualsiasi sia stata la sua scelta credo proprio che non sia stato semplice. Il dottor Augusto Zambaldo direttore del reparto di ortopedia nell’ospedale Ccbrt. 36 MC GENNAIO 2009 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 37 Suor Floriana Come, missionaria della Consolata mozambicana, e la signora Adija. I POLLI DI ADIJA onosco suor Floriana Come, missionaria della Consolata di origine mozambicana, già dal luglio 2007. C Fa parte della comunità della missione di Mbagala. Mi ha colpito subito per il suo impegno con i giovani. Ricordo serate a parlare fino a tardi, anche durante gli ultimi sei mesi, delle problematiche del mondo giovanile. Mi chiedeva, voleva capire, conoscere. Ma suor Floriana non si preoccupa solo di insegnare in molte classi di 140-170 studenti delle Secondary School di Dar Es Salaam; gestisce come direttrice didattica una scuola materna a Mbagala, con classi riempite dai bimbi del villaggio, logicamente senza vincoli di religione. Musulmani, cattolici, protestanti. È membro attivo della Pro-life in Tanzania, movimento mondiale per i diritti della vita; è impegnata con un’associazione di donne del villaggio che fanno vari lavori e per ultimo, ma non certo come importanza, cerca con un’accurata selezione di concedere microcrediti con le offerte che arrivano dai benefattori. sogli entro un determinato periodo di tempo o di anni. «È difficile concedere un microcredito - mi dice Floriana -. Non posso negarti che tanti non hanno restituito, ma una buona parte come queste donne che hai conosciuto, lo hanno fatto». L’entusiasmo, il sorriso della ragazza farmacista mi contagia. E così la donna che vende il carbone, sola con figli a cui non vuole solo assicurare un piatto di polenta e fagioli al giorno, ma anche un’istruzione, la possibilità di andare a scuola. Adija, la donna che alleva i polli, è diventata un’imprenditrice. Ha il marito malato, uno dei figli è nato con ritardi mentali e la figlia più piccola le è tornata a casa incinta. Ha un pollaio molto grande con più di 150 polli, la cui cura in Africa non è semplice; pole pole (piano piano) ha costruito un altro pollaio, ha risistemato la sua casa con il cemento e ha comprato un bel pezzo di shamba (terreno) che coltiva da sola con l’aiuto saltuario della figlia. Come tutte le altre, ha restituito il suo prestito a suor Floriana e ora: «Sono contenta, perché vivo bene, la mia famiglia sta bene, mangia bene e mi sento realizzata come donna, mamma e moglie» mi dice con un bagliore negli occhi. Farmacia realizzata grazie al microcredito di suor Floriana. i porta a visitare alcune donne: una farmacista, una signora che vende carbone, una mamma che alleM va polli. Ogni storia è impressionante per coraggio, forza e inventiva. La prima, dopo aver studiato come farmacista, lavorava in alcune duka (farmacie) di indiani, che detengono il monopolio del commercio farmaceutico e medico, ma come consuetudine sempre sottopagata e sfruttata. Ha una famiglia. Un marito che lavora ma vive la sua stessa condizione e lo sconforto aumentava. Chiede un prestito a delle banche di Dar Es Salaam, ma i tassi sono troppo alti, poi sente di una sister Floriana. La suora decide di aiutarla con un microcredito che non segue le logiche della cooperazione internazionale. Nel senso che i microcrediti concessi dalle strutture internazionali spesso chiedono dei tassi d’interesse sulla restituzione, che portano il richiedente ad affondare con le sue stesse mani. I microcrediti di suor Floriana sono prestiti che hanno un contratto, ma dove l’unico obbligo per il richiedente è restituire il prestito conces- Adija e il suo pollaio, realizzato mediante il microcredito di suor Floriana. MC GENNAIO 2009 37 Microcrediti MISSIONI CONSOLATA 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:39 Pagina 38 DOSSIER Iringa: una giornata con i volontari dell’Allamano Centre SCUOLA CON... BATTISCOPA Fondato e diretto dalle suore missionarie della Consolata, l’Allamano Centre comprende asili, scuole, ambulatori e assistenza medica, soprattutto con attività di prevenzione dell’Aids e di attenzione a famiglie e singole persone sieropositive. Oltre a una ventina di persone impiegate a tempo pieno (medici, infermieri, consulenti, addetti ai laboratori, ecc.), il Centro si avvale della collaborazione di 70 volontari che giornalmente assistono i malati a domicilio. U n odore di cipolla, misto a sudore e urina mi blocca le narici. Joseph è lì che aspetta solo di morire. La malattia è devastante. È devastato! Metastasi di pensieri mi bloccano il cervello. È troppo giovane. È un bravo ragazzo. Non si può morire così. Ma è sereno. Crede in Dio e mi dice che le missionarie della Consolata gli hanno fatto sentire l’amore di Dio e le volontarie dell’Allamano Centre lo aiutano. La moglie non c’è. È andata a prostituirsi, per una manciata di scellini, contagiando altri o andando con altri contagiati che a sua volta trasmetteranno il virus. Non c’è famiglia che non sia stata colpita dall’Aids. Il pombe, un fermentato alcolico, ubriaca la testa e l’anima. E il virus si propaga. L’amore e il sesso qui sono la stessa cosa. L’amore è libero per natura. Non ci sono preconcetti, non c’è protezione, non c’è contraccettivo mentale. «Siamo tutti malati. Il condom non ha fermato la trasmissione, anzi - mi dice Joseph -, quindi è inutile rinunciare. D ue ore nel bush con Concetta e i volontari dell’Allamano Centre, struttura per la cura e il sostegno a malati sieropositivi, ideata, realizzata e gestita dalle missionarie della Consolata, con l’aiuto di medici, psicologi e personale tanzaniano. Un caldo che ti scioglie il midollo. Non sento più le labbra arse dal caldo e il corpo. Sal- Dora, una paziente dell’Allamano Centre di Iringa. 38 MC GENNAIO 2009 Joseph, un malato terminale visitato a domicilio. tiamo buchi, attraversiamo campi desolati, mangiamo polvere. Concetta, una straordinaria italiana che ha scelto di vivere qui aiutando le missionarie della Consolata e i tanzaniani, tira dritto. Guida decisa nel bush. Ormai lo conosce bene. È da più di un anno che accompagna i volontari dell’Allamano Centre nel giro ai malati terminali, quelli che non hanno più la forza di andare al centro per prendere le medicine. Ogni giorno è un colpo al cuore. Bambini e giovani che vede morire, o trova già morti. Ma Concetta riesce a strappargli e strapparti un sorriso, sempre. E tutti le vogliono bene. Girare con lei è un diverti- 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:40 Pagina 39 MISSIONI CONSOLATA mento. Con un accento tipicamente campano parla in kiswahili. Dopo ore di sabbia, spine e campi di girasole, imbalsamati dal sole, arriviamo a casa di un altro malato. Anastasia. Cinque figli. Tre morti. Il marito già morto l’ha contagiata, forse senza saperlo. Una lamiera arrostita a 35°, girasoli a seccare. Un bimbo in lacrime ci viene incontro, spaventato e incuriosito. Vivono talmente distanti dalla città e così internati nel bush che avrà visto raramente i wazungu. Si avvicina, vuole toccare la mia macchina fotografica, ma si ferma a dieci centimetri dal mio ginocchio e immobile mi fissa. Mi sfiora un ginocchio continuando a fissarmi. Due grandi pupille nere mi sfondano il cuore. Ha solo tre anni e probabilmente è malato. T orniamo a casa e ci accoglie suor Luisella Benzoni. Una pazzesca suora missionaria che, oltre a prendersi cura di un asilo affollatissimo, insegna e si occupa di altre cento cose, come tradizione per le missionarie della Consolata. Luisella mi prende subito il cuore. Visito la sua scuola, che gestisce in tipico stile lombardo. Mi fa sorridere la sua precisione, la sua organizzazione in una realtà dove non esiste ordine. Non esiste la parola organizzazione. E lei lo sa bene e ride con me di questo. Due occhi blu e un accento bresciano che mi hanno fatto ridere e divertire per settimane. La sua serietà e organizzazione è direttamente proporzionale alla sua ironia e simpatia. Ma questa sua ironia, sono convinta, è una protezione contro la Concetta porta la frutta ai malati terminali di Aids con i volontari dell'Allamano Centre. Lo staff dell'Allamano Centre a Iringa. disperazione che vive e sente ogni giorno. La sua scuola è un asilo e scuola pre-elementare che ha bisogno di tanto, ma la sua cura e il suo amore lo fanno sembrare bellissimo. Personaggi della Walt Disney disegnati sui muri ci danno il karibu (benvenuto) e 130 bambini, bene ordinati, mi intonano l’inno del Tanzania, mi cantano la Vecchia fattoria, mimando gli animali e mi rendono partecipe in una loro lezione. Suor Luisella ha fatto una delle cose più difficili ma necessarie: insegnare alle maestre e ai bambini che la scuola è fondamentale ma per essere accessibile a tutti deve essere curata, un senso civico che manca da troppo tempo anche a noi italiani. Ho conosciuto le sue maestre che ridipingevano un battiscopa, una cosa del tutto estranea alla cultura africana. Questo dimostra quello che ho sempre pensato e sostenuto: l’Africa non ha bisogno di una scuola da terzo mondo, dove bisogna accontentarsi, dove la creatività fatta anche da poco, l’ordine, la pulizia sono solo eufemismi. Sotto, suor Luisella con i suoi bambini. A destra, una classe della scuola di suor Luisella. MC GENNAIO 2009 39 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:40 Pagina 40 DOSSIER E non finisce qui S ono ripartita da Dar Es Salaam il 21 maggio alle 21.20 con un volo della Swiss Air, dopo aver saltato per più di un’ora e mezza per le strade di Mbagala, nel taxi di Goldwin, accompagnata da due amiche speciali che hanno voluto addolcire quello che sarebbe stato il trauma della partenza. Era già notte, quando ho lasciato Mbagala, il villaggio che mi ha ospitato per mesi; anche la luce elettrica come sempre se n’era andata. Abbiamo caricato la macchina, illuminati solo da un cielo stellato straordinario, che mi ha augurato safari jema (buon viaggio). Ho salutato velocemente gli amici, le bibi (nonne) e zie con un inevitabile nodo alla gola. Su un sedile di velluto liso, cercavo di fissare nella mente, naso e orecchie immagini, odori e suoni di Mbagala. Arriviamo in aeroporto che già la gente è in fila per il check-in. Un vento caldo e umido mi attraversa e mi sbatte in faccia. Penso che sto per partire, sto per lasciare il Tanzania. Ogni passo verso il check-in mi tuona dentro come una pugnalata. Devo salutare le mie amiche e penso alle altre missionarie che mi hanno rapito il cuore, ma non riesco a reggere l’affetto dei loro sguardi. Carica di zaini, borse e con una zucca, che sarà motivo di discussione da Dar Es Salaam in Svizzera, perché sembra troppo stravagante girare con una grande zucca, le abbraccio ed entro. S alita sull’aereo avverto immediatamente la fredda consapevolezza di essere in Europa. Caos, musica e sorrisi africani sono stati prontamente sostituiti da distratti sguardi svizzeri. Un’italiana, contenta e convinta di aver trovato un’altra italiana, mi vomita tutto il suo risentimento nei confronti dei tanzaniani e del caos del Tanzania; me la cavo con un «sorry, I don’t speach italian» (spiacente, non parlo italiano) e, incollata al finestrino, l’iPod impiantato nelle orecchie, Romina Remigio, autrice di questo reportage, saluta la bibi Victoria, una nonna masai a Mbagala. 40 MC GENNAIO 2009 cerco di confondere pensieri e ricordi che affollano la testa. Lascio la pista di Dar Es Salaam con Elton John che canta Your song. Chiudo gli occhi sperando solo di addormentarmi e svegliarmi a Zurigo. Arrivo alle 6.45 in una Zurigo grigia, umida e fredda. Un aeroporto modernissimo, pulitissimo, fighissimo... tutto issimo. Ordinati e in un silenzio troppo fastidioso seguo i miei compagni di viaggio al controllo bagagli. Ci esaminano come fossimo terroristi. Gli apparecchi elettronici devono seguire un accurato controllo «svizzero». E io in tipico stile profuga: infradito africane, jeans stra-scoloriti e strappati, felpa ancor più scolorita, abbondavo di apparecchiature elettroniche. Mi sento due occhi addosso. Alzo lo sguardo e mi ritrovo di fronte una «donnona» che esamina attentamente le macchine fotografiche, obbiettivi, computer, come se una fotoreporter 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 12:40 Pagina 41 MISSIONI CONSOLATA Ho nostalgia della semplicità della vita quotidiana, delle strade dissestate, dei colori del Tanzania. ca, le grida dei bambini, i clacson delle macchine, la polvere e le buche! O sservo due africani, cercando nei loro occhi la mia stessa disperazione. Sono una delle ultime a salire sull’aereo. Nemmeno il cioccolatino svizzero, in puro cioccolato al latte finissimo, riuscirà ad addolcire l’ultima ora e mezza di viaggio. Sorvoliamo Roma. La guardo dall’alto. Bella come sempre, ma sono davvero arrivata! fosse un mercante d’armi. Accendo il telefonino che inizia a squillare all’impazzata per gli sms di amici che mi danno il benvenuto in Europa, tra sguardi urtati compostissimi vicini. Voglio il Tanzania! Voglio il caos, la musi- E ora sono qui, divisa tra due mondi, con la certezza che non posso tornare alla mia vita senza aiutare seriamente gli amici che hanno vissuto con me e le straordinarie missionarie capaci di prendere in mano il cuore dei più po- veri e disperati tra i poveri, accarezzarlo e dargli la forza e il coraggio di andare avanti, vivendo con loro e cercando di aiutarli con progetti reali, ma fuori moda per le istituzioni internazionali di cooperazione. Credenti o meno, atei o non atei, la mia considerazione oggettiva finale, è che aiutando i missionari sicuramente possiamo aiutare questo popolo a liberarsi dal giogo che lo soffoca da decenni. Romina Remigio, nata a Ortona (CH), laureata in Scienze della comunicazione di massa, fotografa professionista e freelance, si occupa di reportage sociale e culturale, realizzando lavori che l’hanno portata a girare gran parte dell’Europa e spesso a trovarsi nei posti dove le cose accadono. Ha pubblicato su varie riviste italiane ed estere, vinto numerosi concorsi fotografici locali, nazionali e europei. Attualmente vive tra Roma, Ortona e l’Est Africa, occupandosi di cooperazione internazionale e promuovendo mostre fotografiche a favore di progetti umanitari in Tanzania. Sta lavorando a un libro fotografico per il centenario di fondazione delle missionarie della Consolata, che uscirà entro il 2010 e sarà tradotto in sei lingue. MC GENNAIO 2009 41 27-TANZANIA.qxd:27-COSTA D'AV 16-12-2008 DOSSIER 42 MC GENNAIO 2009 12:40 Pagina 42 INSIDE TANZANIA FINE Dialogo- Vallotto.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 13:47 Pagina 43 ITALIA di Giuliano Vallotto Esperienza esemplare di incontro interreligioso «Non v’è costrizione in religione»: l’espressione, tratta da una sura del Corano, è stato il tema del sesto incontro-dibattito tra cristiani e musulmani nella diocesi di Treviso. L’originalità dell’esperienza sta nel fatto che tale incontro si è tenuto nella sala del municipio di Cornuda (TV), a promuoverlo e dirigerlo sono stati il sindaco e il vicesindaco. Il panorama e il municipio di Cornuda. stato sicuramente eccessivo il mio entusiasmo quando, in occasione dell’incontro interreligioso di sabato 27 settembre 2008, ho paragonato Cornuda alla Baghdad dei califfi. Ma, ne valeva la pena! Cornuda è un comune del trevigiano, di circa 6 mila abitanti, nella cui aula consigliare, il giorno successivo alla «Notte del destino», 27ª di Ramadan, si è svolto un incontro tra cristiani e musulmani sul tema della libertà religiosa. I due relatori principali furono Brunetto Salvarani, per la parte cattolica, e Adel Jabbar, per la parte musulmana. Il parroco di Cornuda, don Mauro Motterlini, ha presentato il messaggio vaticano di fine Ramadan ai musulmani presenti, consegnandone il testo all’imam della città di Treviso. È È ACCADUTO A CORNUDA... MC GENNAIO 2009 43 Dialogo- Vallotto.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 13:47 Pagina 44 ECUMENISMO Lo cheick Mahamoud Khalil, in qualità di ospite speciale delle comunità islamiche della provincia di Treviso durante tutto il mese di Ramadan 2008, ha esposto la dottrina musulmana circa i rapporti con le altre religioni. Il professor Ometto, un fervente cristiano sposato con una musulmana sciita, ha citato integralmente a memoria in arabo e interpretato filologicamente i versetti coranici che fanno riferimento alla libertà religiosa e da cui era stato tratto il tema della giornata: «Non v’è costrizione in religione». La città di Treviso sovente finisce nei giornali, soprattutto come prototipo dell’intolleranza e del becero rifiuto della convivenza con la comunità islamica. Il centinaio di persone, cristiani e musulmani in parti quasi uguali, che hanno partecipato durante tutto il pomeriggio a questo evento, costituisce una secca smentita all’omologazione giornalistica avvenuta in questi anni tra la città di Treviso, ma soprattutto i suoi rappresentanti politici, e il resto del territorio provinciale. Salvate le proporzioni tra ciò che è avvenuto a Cornuda e ciò che accadeva con frequenza alla corte dei califfi, dove si ripetevano con una certa regolarità incontri e dibattiti tra esponenti di varie religioni, non era infondato il nostro sentimento di sentirci per una sera un po’ anche cittadini di Baghdad. supplemento d’anima, il luogo di rigenerazione di energie e atteggiamenti che hanno in sé le potenzialità che occorrono per rendere più umana la nostra convivenza, basandosi su rapporti densi di profonda spiritualità. Inoltre il fascino indubbio che suscita un luogo di preghiera, nato all’interno di una società opulenta e apparentemente priva di Dio come quella occidentale, ci sembrava il clima più adatto per vivere insieme con i musulmani qualche ora del loro lungo percorso ascetico e spirituale. Queste furono le ragioni che ci avevano spinti per 4 anni di seguito a domandare ospitalità alla giovane comunità monastica di Marango (Venezia) per realizzare i nostri incontri. Essi si svolgevano con grande discrezione e impegnavano esclusivamente la ricerca e la coscienza delle persone che vi partecipavano. A partire dall’anno 2007 questi incontri hanno incominciato a svolgersi invece dentro un quadro pubblico, offerto direttamente da due amministrazioni comunali: Giavera e Cornuda. Ma se l’anno scorso questo significativo spostamento si riduceva a essere poco più di un’intuizione, quest’anno invece esso è frutto di una scelta ormai matura e ragionata. SESTO INCONTRO Il ragionamento che sta alla base di questo spostamento parte dalla semplice constatazione della realtà plurale delle nostre comunità paesane, comprese quelle più piccole. Sono molti i musulmani, buddisti, sik che ormai si sono radicati all’interno delle nostre comunità tradizionalmente cristiane. La presenza di queste persone di religione e cultura diversa ha acquisito in questi due decenni delle caratteristiche nuove. Non ci sono soltanto musulmani e sik; ci sono ormai delle comunità musulmane e sik, che progressivamente sono venute strutturandosi. Potremo a tal proposito fare un paragone con la presenza ebraica in Italia. Essa non si limita al fatto che ci siano nel nostro territorio, da sempre, un numero più o meno grande di ebrei, ma essa ha le caratteristiche L’esperienza di Cornuda non è la prima di questo genere nel territorio della diocesi di Treviso. È ormai da sei anni che alcuni cristiani e alcuni musulmani si danno appuntamento verso la fine del Ramadan per passare insieme mezza giornata, confrontandosi sulla base di esperienze religiose vissute dalle due parti e rompendo il digiuno della giornata all’ora stabilita. I primi quattro incontri, a partire dal Ramadan 2003, si sono svolti nella comunità monastica di Marango. Si pensava allora, e continuiamo a pensarlo anche oggi, che «il monastero» in sé è un luogo di incubazione di civiltà e di tempi nuovi. Esso si pone sui punti terminali di una civiltà in crisi, per aprirla a un nuovo futuro. 44 MC GENNAIO 2009 DAL MONASTERO ALL’AULA CONSIGLIARE Brunetto Salvarani, teologo laico, saggista, giornalista, è autore di molte pubblicazioni sul dialogo ecumenico e interreligioso e dirige la rivista «Cem Mondialità» e la collana della Emi «Le parole delle fedi». Adel Jabbar, sociologo, ricercatore nell'ambito dei processi migratori e interculturali, svolge attività di docenza per diverse università. La nostra voleva essere una sfida a una società che, pur fondata su un immenso potere scientifico, tecnologico ed economico, non è ancora in grado di affrontare e risolvere i problemi della convivenza. Noi di parte cristiana in maniera particolare abbiamo la convinzione che «il monastero» era e rimane il Dialogo- Vallotto.qxd:Madre laura copia 16-12-2008 13:47 Pagina 45 MISSIONI CONSOLATA di una comunità che ha una sua immagine, una sua rappresentanza, una sua struttura e visibilità anche a partire dai luoghi di culto che le sono propri. La stessa cosa potremmo dire di queste altre giovani comunità che si sono affermate tra noi. L’obiezione più frequente che viene rivolta, soprattutto alla comunità musulmana, è che essa tende ad accorpare nella dimensione religiosa anche quella civile e politica. Ciò è probabilmente vero in molti paesi a larga maggioranza musulmana, anche se non in tutti. Ma questo non è il caso dell’Italia. Ora è evidente che, nell’attuale panorama inedito offertoci dalla nostra società, occorre che qualcuno prenda l’iniziativa per costruire una piattaforma d’intesa, che si proponga di favorire la pace sociale tra gruppi caratterizzati da religioni e culture diverse e di confermare i valori fondamentali della nostra cultura civile, sociale e politica, in vista di una condivisione di essi da parte di tutti: sia i vecchi che i nuovi cittadini. Occorre perciò rimettersi all’iniziativa di un «terzo» attore, che non può essere nessuna delle comunità religiose in quanto inevitabilmente esse sarebbero di parte. Un attore che necessariamente abbia l’autorità di convocare tutti e che possa esigere da tutti il rispetto delle regole del gioco. Ai promotori dell’incontro è sembrato che questo potrebbe e dovrebbe essere il compito di un’am- ministrazione comunale, ma anche di ogni altro livello dell’amministrazione pubblica. La sua natura, infatti, può favorire un ruolo di «terzietà» che la può costituire moderatrice di un eventuale «tavolo delle religioni» in vista del bene comune e della pace sociale. A Cornuda è accaduto proprio questo: al centro del tavolo sedevano il sindaco e il vicesindaco e ai due lati i vari rappresentanti delle due comunità religiose, quella cattolica e quella musulmana. L’impressione che se ne ricavava era molto forte. La laicità di cui si offriva la prova non era quella dell’indifferenza dell’ente pubblico nei confronti dell’individuale scelta religiosa, ma quella di un’amministrazione comunale laicamente attiva, consapevole del proprio ruolo, senza alcuna invasione di campo. IL TEMA Il tema dell’incontro è stato ricavato da una sura del Corano : «Non v’è costrizione in religione», filologicamente tradotto dal prof. Ometto: «Non si può costringere nessuno ad abbracciare una credenza verso la quale si prova un netto rifiuto». Il tema della libertà religiosa è sicuramente un tema sensibile particolarmente in questi tempi in cui tutte le società, anche le più tradizionalmente omogenee, tendono a diventare pluraliste o a causa del mescolamento di popolazione o per l’incursione dei messaggi e degli stili di vita veicolati dai mass media. Il prof. Jabbar, rifacendosi al patto di Medina, ha ricordato la capacità che l’islam ha avuto, soprattutto agli inizi e in certi momenti storici, di mettere insieme culture e religioni diverse, facendole convergere verso un patto di cittadinanza che non costringeva all’assimilazione. Ad ascoltarlo si ricavava l’impressione che ci siano zone e tempi inesplorati dell’islam, che sarebbe utile riportare alla memoria sia per noi sia, a dire del prof. Jabbar, per i musulmani stessi. Il prof. Salvarani, oltre ad affermare la necessità e la convenienza del dialogo, ha parlato della libertà religiosa come condizione mai totalmente compiuta e che occorre continuamente porre in essere, perché essa non si situa mai in un punto di non ritorno. Più che una condizione già raggiunta è una continua conquista. Per questo sarebbe preferibile parlare, non solo di libertà come valore, ma di liberazione come processo e acquisizione di gradi sempre più elevati di libertà per tutti. Successivamente il parroco di Cornuda ha consegnato all’imam il messaggio vaticano, facendone una breve sintesi riguardante la famiglia come valore condiviso da cristiani e musulmani e come luogo «in cui si apprende il rispetto dell’altro, nella sua identità e nella differenza. Il dialogo interreligioso e l’esercizio della cittadinanza non possono dunque che beneficiarne». Alla conclusione dell’incontro ci fu una brevissima preghiera, durante la quale ognuno ha accolto con interiore partecipazione la preghiera dell’altro. Un momento brevissimo, ma efficace quanto un lampo nella notte. La rottura del digiuno, con i cibi che caratterizzano le varie abitudini alimentari e che erano stati generosamente offerti dalle diverse comunità etniche presenti, ha confermato l’impressione che ci eravamo detti al momento di lasciare l’aula consigliare: «Usciamo da quest’incontro con l’impressione di sentirci un po’ migliori di prima». ■ Don Mauro Motterlini, parroco di Cornuda, saluta il dottor Pietro Benetton, ex sindaco di Cornuda. MC GENNAIO 2009 45 MOZAMBICO Testo e foto di Marco Bello, da Lichinga Alla scoperta di … paesi, storie, persone: Mozambico (prima puntata) ZAPPA, KALASHNIKOV E COCA-COLA Una nazione ricca con l’economia in forte crescita. Un popolo povero che ha sofferto la colonizzazione e 30 anni di guerra. Uno degli ultimi regimi socialisti del continente, ma al tempo stesso aperto al neoliberismo. Il Mozambico è costretto ad accettare le imposizioni dei donatori internazionali, perché il bilancio dello stato dipende da loro. Intanto la democrazia fa piccoli passi in avanti, in attesa di un necessario decentramento amministrativo e di un migliore sfruttamento delle terre. MISSIONI CONSOLATA ichinga, Mozambico. Il boeing 737-200 della Lam (Lineas aereas moçambicanas) atterra nella capitale della provincia di Niassa. Sulla pista, ad attenderlo da un paio d’ore, decine di bandiere rosse, donne e uomini in abiti colorati, frenetici suonatori di tamburi e di bidoni di plastica. Sono alcune centinaia, arrivati con i camion dalle diverse zone della provincia, una delle più povere ma più fertili del paese. Sull’aereo c’è una folta delegazione che accompagna Felipe Paunde, segretario generale del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico), il partito al potere. Decollato la mattina dalla capitale Maputo, ha anticipato l’ora della partenza, lasciando a terra molti passeggeri «normali». È il penultimo giorno di campagna elettorale per le elezioni municipali, previste per il 19 novembre, in un paese che, a sedici anni dagli accordi di pace, fatica ancora a trovare una via verso lo sviluppo. Il segretario generale viene ad appoggiare il candidato alla presidenza del comune di Lichinga. Elezioni importanti in un paese enorme (800 mila kmq, due volte e mezza l’Italia, ma con un terzo di abitanti), dove il decentramento amministrativo, essenziale per governare un paese così grande, sta muovendo solo i primi passi. Mentre tutto o quasi, resta centralizzato a Maputo, capitale troppo lontana, situata all’estremo sud del paese (circa 2.300 km da Lichinga), incastrata tra il mare e il vicino ricco di sempre: il Sudafrica. Nella consultazione elettorale si affrontano soprattutto i due maggiori schieramenti: il Frelimo e la Renamo (Resistenza nazionale del Mozambico). Sono i vecchi nemici di sempre, della feroce guerra civile che ha insanguinato il paese dalla sua indipendenza dal Portogallo, nel 1975, alla firma degli accordi di pace a Roma nel1992. Oggi si affrontano con le urne, in un contesto di grande differenza di mezzi a disposizione. Il Frelimo al potere da 33 anni, ha dalla sua parte una macchina propagan- L distica ben rodata e mezzi economici a volontà. Non così i concorrenti. Quest’anno sono 43 i consigli municipali e i presidenti dei comuni (sindaci) che devono essere eletti. Di questi 10 sono nuovi, ovvero è la prima volta che si costituiscono. Segno che qualche piccolo passo avanti nel decentramento si sta facendo. Il segretario generale è appena sceso dall’aereo e rilascia la prima intervista. Intanto i passeggeri rimasti scendono e attoniti cercano di farsi largo tra la folla per raggiungere l’area recupero bagagli. LA GUERRA NON PERDONA Il paese oggi resta segnato da 500 anni di dominazione portoghese, ma anche da quasi tre decadi di guerra che contraddistinguono la sua storia recente. All’inizio degli anni ’60 quando la maggior parte dei paesi africani diventavano indipendenti, le colonie portoghesi si vedevano negato questo fondamentale passaggio. Nel 1964 l’intellettuale Eduardo Mondlane, in esilio in Tanzania, fonda il Frelimo e dichiara l’inizio della guerra d’indipendenza. Il conflitto è cruento e i portoghesi non mollano. Il Frelimo riesce a controllare vaste zone nel Nord del paese. È il 1975 i tempi sono maturi. L’anno prima la ribellione militare in Portogallo ha chiuso con i regimi dittatoriali di Salazar e del successore Caetano. Il Mozambico diventa indipendente, il Frelimo si vede conse- gnato il potere e Samora Machel è il primo presidente della repubblica popolare. Il regime opta per l’ideologia marxista-leninista e una sua applicazione piuttosto rigida. Nazionalizzazioni, emigrazioni forzate per popolare il nord e campi di rieducazione. I beni della chiesa sono confiscati e i missionari costretti a lasciare le missioni sono radunati nelle città. Negli stessi anni, portoghesi fuoriusciti appoggiati dalla Rhodesia di Jan Smith (l’attuale Zimbabwe) e dal Sudafrica dell’apartheid, organizzano una guerriglia controrivoluzionaria: la Renamo. La guerra fratricida è cruenta, i campi pullulano di mine e diventa difficile per i contadini far rendere la terra. Solo gli accordi generali di pace di Roma (4 ottobre 1992), con un importante ruolo giocato dalla chiesa, riportano la pace. Il Mozambico indipendente è devastato, e inizia allora i primi passi verso lo sviluppo. L’intervento dei donatori internazionali, di Fondo monetario internazionale (Fmi) e di Banca mondiale (Bm) sono massicci. ECONOMIA: MACRO E MICRO Negli ultimi 5 anni il paese ha presentato indicatori macroeconomici che rispecchiano un’economia dinamica: crescita del pil intorno al 78%, inflazione tenuta al 13,2% da un ambizioso piano governativo, buoni scambi commerciali. Ma il mozambicano medio continua ad avere una speranza di vita intorno ai 42 anni, mentre solo il 38,7% dei maggiori di Lichinga, 15 novembre 2008: il segretario generale del Frelimo, Felipe Paunde, arriva da Maputo. Di fianco: donna lavora la terra nei pressi di Maua (Niassa). MC GENNAIO 2009 47 MOZAMBICO Superficie: 799.380 kmq Capitale: Maputo Popolazione: circa 21 milioni di abitanti (stima 2006) Gruppi etnici: makua 47,3%, tsonga 23,3%, malawi 12%, shona 11,3%, swahili 9,8%, yao 3,8%, makonde 6,5%, meticci 0,5%, bianchi 0,1%, indiani 0,1%, altri Lingue: portoghese, makua, tsonga, makonde, shona, nyassa, chicheva, swahili, altre lingue bantu Religioni: culti tradizionali 25,8%, cattolici 23,8%, atei 23%, musulmani 17,8%, protestanti 7,8%, altri 1,7% Crescita demografica: 1,8% (2000-2005) Aspettativa di vita: anni 42 Mortalità infantile: 10,4% entro 1 anno, 15% entro i 5 anni di età Mortalità materna: 4,1 su 1.000 nati vivi (2004) Alfabetizzazione: 38,7% (dei maggiori di 15 anni) Ordinamento politico: Repubblica Indipendenza: 25 giugno 1975 (dal Portogallo) Capo di stato e governo: Armando Emilio Guebuza (con mandato di 5 anni) Reddito pro capite: circa 364 dollari Usa (2006) Debito estero: 5,121 miliardi di dollari (2005) Crescita Pil: +8 nel 2006, +7% nel 2007 Inflazione: 13,2% Indice di sviluppo umano (Onu): 172 su 177 paesi Risorse economiche: gas naturale, carbone, betonite, titanio, bauxite; industria: produzione idroelettrica (Cahora-Bassa), raffinerie, alluminio, agroalimentari, tessili, cemento; in crescita l’industria turistica; agricoltura di esportazione: canna da zucchero, cotone, palma da cocco, mogano, ebano, cedro; di sussistenza: cereali, patata dolce, manioca; allevamento, pesca. 15 anni risultano alfabetizzati. Una situazione socio-economica complessa che vede il paese al 172simo posto su 177 della classifica Onu basata sull’indice di sviluppo umano. Quanto basta per dire che è «tra i più poveri del mondo». «L’economia mozambicana, incluso il bilancio dello stato, continua a essere finanziata in larga parte dai donatori esteri. Un gruppo di 19 partner, tra cui Unione europea, Canada, Usa, Giappone, ma anche Fmi 48 MC GENNAIO 2009 e Bm». Chi snocciola l’elenco è Brazão Mazula, professore, già rettore della maggiore università del paese, la Eduardo Mondlane. Membro storico del Frelimo, che nel 1994 gli affidò l’organizzazione delle prime elezioni libere nel paese. Mazula si è formato come missionario della Consolata, diventando anche padre per poi uscire dall’Istituto. «Se il governo vuole gli aiuti internazionali, sono i donatori che decidono qual è la direzione che deve prendere il Mozambico per il suo sviluppo. Anche questi indicatori economici rispondono a un loro desiderio. A novembre una missione del Fmi ha valutato positivamente la performance dell’economia mozambicana». Ma il professore è realista: «Un'altra cosa è dimostrare che questa crescita economica ha un impatto sul benessere della gente. Non ci si può fermare a Maputo per dire che questo è il paese». Maputo è una città moderna, con centri commerciali, grosse vie con marciapiedi, palazzi, luci e vecchie case in architettura coloniale. Circolano molte automobili, anche costose. Ma come accade spesso in Africa, la capitale non è specchio della situazione e le condizioni di vita nell’«interno» sono molto diverse. POVERI IN UN PAESE RICCO «La povertà è reale - continua il professore - secondo dati ufficiali il 70% della popolazione è in stato di MISSIONI CONSOLATA indigenza e la maggior parte di essa risiede in campagna». Ma come vive e sopravvive il mozambicano medio, nel mezzo di questa situazione così grave, nel contrasto tra uno sviluppo economico effettivo e una povertà diffusa? «La popolazione è ancora orientata a un’economia di sussistenza. In particolare è importante la questione della terra per il contadino: se ha terra sufficiente, coltiva il suo mais, la manioca. Il problema sorge quando la legge mette a rischio la sicurezza della terra per il futuro. Togliere la terra al contadino è come togliergli la cittadinanza» insiste il professor Mazula. E continua: «Le politiche macro economiche degli ultimi anni portano alla privatizzazione delle imprese, ma anche della terra. Il contadino un giorno si trova di fronte un connazionale (o uno straniero), che gli presenta dei documenti e gli dice che la terra, suo unico sostentamento, fa parte di un’altra proprietà e non è più sua. «È questo che ag- grava la povertà». «Un esempio concreto sono i biocombustibili, come quelli ricavati dalla canna da zucchero. Le imprese produttrici hanno bisogno di migliaia di ettari. Se questi progetti non sono ben applicati i sacrificati saranno i contadini». Le potenzialità agricole del paese sono enormi e variano a seconda della regione e fascia climatica. La terra è fertile (in particolare al nord), bagnata da grandi fiumi e da una stagione delle piogge estesa, in media, da fine novembre a marzo. Le produzioni principali per uso a- A sinistra: pescatore sul fiume Save, nei pressi di Mambone. Sopra: donne prendono l’acqua da un pozzo in un villaggio vicino a Mambone. Sotto: venditrici di gamberetti nel mercato di Guiúa (Inhambane). limentare sono mais, manioca, sorgo, riso, legumi, patata dolce e banane. Per l’esportazione si produce canna da zucchero, tabacco, tè, cotone e palma da cocco. Ma la terra in generale non è ben sfruttata: resterebbero almeno 4 milioni di ettari da valorizzare. Inoltre ci sono ancora mine antiuomo nei campi (sono sempre all’opera squadre di «sminamento»). Molto diffusa è l’agricoltura famigliare di sussistenza. «La minaccia è che nella visione di economia di scala, si vuole trasformare il contadino in un lavoratore per grandi imprese agro-industriali. Un problema è che il nostro contadino è analfabeta. Non è un’operazione che si può fare da un giorno all’altro. C’è la questione dell’educazione». Gli interessi economici internazionali sono grandi e quindi ci sono molte pressioni sul governo: «DiMC GENNAIO 2009 49 MOZAMBICO pende da noi, dobbiamo accrescere la nostra capacità di negoziazione. Nessun investitore investe per perdere. Le istituzioni internazionali non vengono a fare la carità, ma affari. Dobbiamo avere capacità tecnica e di negoziazione, in modo che entrambi, noi e loro, possiamo guadagnare da questa situazione». Si ricorda che metà del bilancio dello stato è appannaggio dei donatori internazionali, mentre si parla di aiuti per 435 milioni di dollari nel 2008. Una parte dei quali per finanziare l’ambizioso «Piano d’azione per la riduzione della povertà assoluta (Parpa)». Da qui il ruolo della formazione superiore, per formare risorse umane in quantità e qualità, che conoscano le leggi, l’economia, il commercio internazionale. «È una nostra sfida. La stabilità economica e politica passa dall’educazione e dalla formazione del cittadino. Lo sviluppo, per me, è libertà di scegliere» continua il professore. Non solo educazione di base quindi, che Bm e Fmi «impongono e limitano», ma una formazione che porti il cittadino a essere meno manipolabile possibile e in grado di scegliere. «Il governo decide le politiche, ma dovrebbe negoziare con il cittadino. Al contrario, per la crescita economi- ca, il nostro governo rende conto di più ai donatori che ai mozambicani... perché da questi non vengono soldi». Sul piano dell’educazione il paese si è dato un piano strategico 20062011. «Questo mostra buona volontà. La coscienza che c’è qualcosa da cambiare: centrare lo sviluppo sul cittadino e non sui desideri delle istituzioni finanziarie internazionali. Non possiamo pretendere che tutte le persone vadano all’università... ma che ogni cittadino, a qualsiasi livello termini la sua formazione, sia in grado di lavorare o dare lavoro e di produrre ricchezza. Il ministero dell’educazione sta facendo uno sforzo, in questo senso». Il programma prevede la costruzione di 4.100 aule scolastiche in ambito rurale ogni anno e che in ogni distretto ci sia la scuola secondaria. VERSO IL MARXISMO NEOLIBERALE A partire dalla seconda metà degli anni ’80, il Frelimo ammorbidisce il modello socialista e inizia le riforme Sopra: scuola primaria a Guiúa, provincia Inhambane. A fianco: centro nutrizionale gestito dalle suore della Consolata a Massinga (Inhambane). 50 MC GENNAIO 2009 MISSIONI CONSOLATA per far spazio al mercato. Il cambiamento è favorito da un avvicendamento al vertice: Samora Machel, leader intransigente, muore in un misterioso incidente aereo nell’ottobre del 1986. Disastro in cui sarebbero implicati i servizi segreti sudafricani. Gli succede Joaquim Chissano, uomo diplomatico, comunicatore, che imposta la transizione e traghetta il paese alla pace. Il nuovo presidente, pragmatico, accetta le condizioni dei partner internazionali, come una nuova costituzione di fine 1990 che legalizza il multi partitismo (ancora rivista nel 2004). Si procede poi a una serie di privatizzazioni, non prive di scandali. Si forma così una nuova classe borghese legata al Frelimo, che si arricchisce grazie alle vendite dei beni statali. E la corruzione, fenomeno quasi sconosciuto per i dirigenti del partito all’indomani dell’indipendenza, aumenta. «La corruzione deve essere combattuta, ma occorre anche capire come è iniziato questo fenomeno nel nostro paese - denuncia Felipe Couto, missionario della Consolata, magnifico rettore dell’Università Eduardo Mondlane e persona influente nel Frelimo -. Noi eravamo l’unico partito: ci hanno imposto il multi partitismo. Poi ci hanno detto: dovete entrare nel Fmi, nella Bm, dovete aprirvi al neoliberismo economico. Così sono arrivate le agenzie internazionali e le Ong. Hanno iniziato a girare molti soldi. La corruzione dipende da noi, ma non solo». Nel novembre 2000 è assassinato il giornalista Carlos Cardoso, che portava avanti un’inchiesta sulla privatizzazione delle due più grandi banche del paese: il Banco Comercial de Moçambique e il Banco Austral. Ci sono stati alcuni arresti, ma i veri mandanti sono ancora liberi. Nelle elezioni del 2004 Chissano si ritira e gli succede Armando Guebuza (febbraio 2005), l’allora segretario generale. È un avvicendamento al vertice non privo di cambiamenti. Guebuza, oltre a essere numero uno di un partito comunista è anche uno dei più ricchi uomini d’affari mozambicani. La sua rete di business va dalla birra alle costruzioni, all’export, al traffico nel porto di Beira. In politica si rivela più tradizionalista. Subito cerca di imporre un mag- gior rigore: lancia la seconda fase della riforma del settore pubblico (2005-2011), che include un ambizioso programma di lotta alla corruzione. DONNE E INTEGRITÀ AL GOVERNO «Il programma del governo prevede quattro punti: riduzione della burocrazia, lotta alla corruzione, alla criminalità e alle malattie endemiche come l’Aids» ci racconta Vitória Diogo, ministro della Funzione pubblica. Testa alta e parlata chiara, quasi da campagna promozionale. Fiera Maputo: traffico sulla Avenida da Guerra Popular. La capitale è specchio di un’economia dinamica. di essere, donna e capo del maggior datore di lavoro del paese, con 167.000 impiegati. Nel governo mozambicano, ci sono otto donne ministro (incluso il premier) e si arriva a tredici con i viceministri. Anche nel parlamento, forte è la partecipazione femminile, circa il 30%. La «strategia di lotta alla corruzione» varata dal governo nell’aprile 2006 prevede, dice il ministro di «istituzionalizzare l’integrità» ovvero promuovere l’integrità come valore umano. «Tra il 2006 e il 2007 sono stati identificati 2.414 casi di corruzione, seguiti da processi disciplinari, di cui 813 espulsioni». Sicura, il ministro Diogo, elenca i risultati per quello che riguarda la «piccola corruzione». MC GENNAIO 2009 51 MOZAMBICO Di fatto la corruzione è ancora molto radicata a tutti i livelli e si può avvertire non appena si passa la dogana in aeroporto. C’è però anche una campagna pubblica, con tanto di manifesti, che invita la società civile e la gente in generale, a denunciare casi di pressioni e malversazioni dei funzionari. Ma il salario minimo legale è ancora molto basso: 1.950 meticais (65 euro) al mese, anche se si stanno studiando sistemi di incentivo. In un paese in cui il costo della vita (almeno in città) è simile a quello europeo. La benzina, madre di tutti i prezzi, in quanto influisce sui trasporti, arriva a costare anche 1,5 euro al litro, il gasolio 1,23. Il regime di stipendi bassi non facilita la riduzione di questa piaga. La strategia anti corruzione dipende dal Gabinetto centrale di lotta alla corruzione, di competenza del primo ministro, Luisa Diogo, sorella di Vitória. Secondo la classifica della corruzione, stilata ogni anno dall’Ong Transparency International, il Mozambico è sempre nella fascia dei paesi più corrotti al mondo: nel 2008 occupa il 128simo posto su 180. La riforma del settore pubblico, prevede inoltre il miglioramento delle prestazioni dei servizi, vuole «mettere il cittadino al centro», incentivare la buona governance e aumentare la professionalizzazione delle risorse umane. «Il funzionario per servire ogni 52 MC GENNAIO 2009 Vitória Diogo, ministro della Funzione pubblica del Mozambico. Sotto: manifestanti del partito al potere, durante la campagna elettorale di novembre. volta meglio il cittadino» è lo slogan ufficiale della riforma. Programmi questi molto amati (e sollecitati) dai donatori e che il governo cerca, tra mille difficoltà, di mettere in atto. LE PRIORITÀ Come decano dell’università, il professor Brazão Mazula identifica quattro aree importanti per far uscire il paese dalla povertà e portarlo verso lo sviluppo. Aree che identificano settori prioritari per la formazione di quadri del paese: educazio- ne integrata, formativa e critica, sanità, agricoltura e pesca (il mare è una ricchezza), turismo. Quest’ultimo, grazie alla posizione geografica e alle bellezze del paese (parchi naturali, spiagge da sogno, isole) è diventata la prima industria del paese. Gli investimenti dei vicini sudafricani in questo settore sono notevoli. Basti pensare che per i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica, i pacchetti turistici prevedono, dopo le partite, alcuni giorni sulle spiagge del Mozambico. Sul piano della salute l’emergenza maggiore è l’Aids. «I casi sono in costante aumento, non si riesce a frenare - racconta suor Raquel Gil Mas, missionaria dominicana, medico, che si spende ormai da anni sul tema -. In alcune province si parla del 27% di sieropositivi». Mentre i dati ufficiali sono intorno al 17% a livello nazionale. Un programma del governo fornisce farmaci antiretrovirali gratuitamente a tutti coloro che risultano positivi e si affidano alle cure di un centro. «Questo è un aiuto fondamentale perché riusciamo a far vivere tanta gente che altrimenti sarebbe già morta. Il problema è che arrivano da noi quando ormai sono in stato terminale». ELEZIONI MONOCROMATICHE Alle elezioni municipali di novembre il Frelimo ha stravinto, togliendo alla Renamo anche i cinque municipi storicamente sotto il suo controllo, e ottenendo la maggioranza nelle assemblee municipali e i sindaci. Tranne a Beira, seconda città del paese, dove succede a se stesso l’indipendente Daviz Simango, già Renamo. Il leader della Renamo, Alfonso Dhlakama ha da tempo perso in popolarità ma non vuole farsi da parte. Questa sconfitta, però, lo mette in seria difficoltà e si parla di avvicendamento alla testa del partito, il più grande, nonostante tutto, all’opposizione. «Ci sarà vera opposizione solo quando il Frelimo avrà una scissione al suo interno» sostiene qualche osservatore. Intanto, si attendono le elezioni presidenziali di fine 2009, nel perenne equilibrio tra compiacere ai donatori e autodeterminazione del proprio futuro. ■ AFRICA OCCIDENTALE di Giulia Lanzarini, foto di Marco Bello Cosa succede nelle scuole coraniche NON SOLO CORANO Affidati da piccoli al «Maestro» imparano a memoria il libro sacro. Ma non solo. La daara è una scuola di vita e di formazione integrale. Si insegnano valori come l’umiltà, la solidarietà e la convivenza pacifica. Ma quando il Maestro si trasferisce in città i rischi di sfruttamento e di mendicità sono elevati. Non bisogna generalizzare. o studio del «libro santo», il Corano, permette ai fedeli musulmani di orientarsi nel mondo e di conoscere la loro missione terrena, perché: «La parola di Dio è l’architettura del mondo, è il mondo stesso». Le tre strutture fondamentali nella L trasmissione del sapere religioso contenuto nel Corano sono: le moschee, all’interno delle quali secondo la tradizione profetica è sempre prevista una zona dedicata all’educazione dei fedeli; le associazioni religiose (dahira); le scuole coraniche. Nelle prime due il maestro riuni- sce attorno a sé i discepoli adulti e celebra e commenta alcuni passaggi dei testi fondamentali della religione islamica: il Corano, la Sunna e i testi delle scienze islamiche. Le scuole coraniche, invece, hanno lo scopo di formare i giovani allievi (generalmente di età compresa fra i 5 e i 15 anni) sia da un punto di vista morale che conoscitivo, per forgiare uomini e donne al servizio di Dio e delle sue leggi. L’Islam propone un’educazione omogenea del corpo e dello spirito, in coerenza con i dettami della religione. Per questo motivo l’insegnamento islamico è un processo di formazione e di trasformazione intellettuale, morale e spirituale, sulla base dei principi del Corano. In Senegal, la scuola coranica è la daara, termine che deriva dal nome La Grande moschea di Djenné, in Mali. Il maggiore edificio interamente costruito in bankò (fango e paglia). AFRICA OCCIDENTALE arabo dâr, che significa dimora, casa. Le famiglie affidano i bambini in tenera età a un maestro, con cui solitamente hanno legami di parentela o di conoscenza, e gli chiedono di adempiere alla formazione dei loro figli. I maestri religiosi sono considerati tra gli esseri più vicini a Dio, perché sono le guide degli uomini sul cammino della fede. Essi godono di un riconoscimento speciale in seno alle comunità religiose e sono considerati garanti dell’armonia sociale, nel rispetto delle norme coraniche. L’appellativo marabout (marabutto), attribuito ai maestri coranici, è originario della Mauritania e significa «uomo votato alla vita ascetica» per descrivere l’attitudine alla preghiera, allo studio e all’insegnamento che li contraddistingue. LA LINGUA SACRA Il bambino soggiorna presso il maestro per diversi anni, durante i quali percorre le varie tappe dell’insegnamento islamico, iniziando dalla recitazione mnemonica del Libro, atto di lode a Dio, per proseguire con lo studio di tutte le altre materie religiose, come la teologia, il diritto musulmano e la tradizione profetica. La pratica corretta della religione islamica, a cominciare dall’obbligo della preghiera cinque volte al giorno, presuppone, infatti, la memorizzazione dei versi coranici e la capacità di pronunciarli correttamente in lingua araba (celebrare la parola di Dio in modo scorretto è considerato un grave sacrilegio). Il Corano è un’opera colossale: è composto da 114 sure, raggruppate in trenta parti, ciascuna suddivisa in due porzioni, le hizb, ripartite in quarti, i rubu, articolati a loro volta in otto parti, i sumun, composte ciascuna da 17 o 18 linee. È evidente quanto sia ardua l’impresa di memorizzare integralmente tutta l’opera (necessario in passato per la rarità delle opere scritte), non solo per la quantità di versi che la compongono, ma soprattutto per la lingua in cui essa è scritta, di difficile accesso per le popolazioni non arabe. In quanto lingua della rivelazione divina, l’arabo classico è considerato dai popoli musulmani come l’alfabeto santo per eccellenza e come tale deve essere tramandata di generazione in generazione. Essa stessa è considerata uno strumento di accesso al soprannaturale. La sacralità della scrittura, secondo la percezione dei credenti musulmani, è confermata dalla progressiva sostituzione degli amuleti della tradizione africana con i sacchetti di cuoio contenenti un pezzo di carta con alcuni versi coranici, ma anche dalla tradizione popolare, la quale vuole che un foglio su cui siano scritti versi coranici resista alle fiamme. Il libro non può essere toccato se non dopo aver eseguito le abluzioni minori ed esso stesso viene sovente adoperato come amuleto contro la cattiva sorte. Per quanto riguarda lo studio dei contenuti, seconda tappa nel percorso formativo, la conoscenza del «libro» permette di scoprire la ricchezza delle indicazioni divine che regolano ogni aspetto della vita dell’individuo. Non solo da un punto di vista spirituale, nel suo rapporto con l’Onnipotente, ma anche per il ruolo che egli deve svolgere all’interno della società. Il libro racchiude tutta la legislazione musulmana rispetto alle questioni religiose, giuridiche, sociali ed economiche. L’educazione coranica, in senso ampio, comprende quindi non solo la nozione di istruzione, ma anche quella di formazione dell’allievo ed è considerata fondamentale nella vita di ogni musulmano. A SCUOLA DI SEMPLICITÀ La scuola coranica in cui i giovani discepoli vengono formati si trova quasi sempre all’interno della casa del maestro. L’austerità del luogo in cui viene dispensato l’insegnamento ha radici profonde e risponde a una scelta pedagogica ben precisa, che raramente cambia al variare delle possibilità economiche del marabout. Egli educa i propri allievi sotto un semplice riparo, una tettoia o un albero, e i bambini sono seduti a gambe incrociate su stuoie di paglia, le stesse che servono come giaciglio durante la notte. L’unico strumento di cui dispongono gli allievi, almeno per i primi anni di formazione destinati alla memorizzazione del Corano, è una tavoletta in legno su cui quotidianamente il maestro scrive i versi coranici da memorizzare nel corso della giornata. La giornata dei taalibe (dall’arabo tâlib, ossia studente) comincia all’alba con la recita della preghiera del mattino e si conclude con la preghiera della sera. Lo studio dei versi impegna l’allievo per diverse ore al giorno, in alternanza con le faccende domestiche e il lavoro agricolo. La distribuzione dei compiti fra gli studenti è proporzionale all’età di ognuno. Secondo la tradizione, il maestro possiede alcuni terreni coltivabili, fonti di sostegno per la sua famiglia e per tutti i suoi discepoli. Le famiglie degli allievi contribuiscono raramente e in minima parte al mantenimento dei Un esemplare delle tavolette utilizzate dagli alunni nelle scuole coraniche in Mali. 54 MC GENNAIO 2009 MISSIONI CONSOLATA nell’apprendimento e recupera il ritardo sul programma in tempi relativamente brevi. Nella stessa prospettiva, molti quadri senegalesi, sia del settore pubblico che privato, riconoscono negli anni trascorsi presso il loro maestro la chiave del loro successo sociale ed economico. Tra gli elementi di forza del sistema va segnalato, infatti, che la scelta della daara da parte delle famiglie è giustificata non solo dal desiderio di rispettare le indicazioni coraniche riguardo all’educazione dei giovani musulmani, ma anche dalla promozione sociale che questi studi assicurano. L’hafitz (colui che ha completato lo studio del Corano), nel sistema tradizionale, gode infatti di un grande prestigio sociale. Sopra: articoli religiosi in un mercato nel nord del Burkina Faso. Di fianco: nelle daara senegalesi si impara la convivenza e la solidarietà. bambini, che spetta invece al maestro stesso. Per definizione, infatti, il marabout beneficia del sostegno divino per adempiere alla sua missione e ciò rappresenta per le famiglie la garanzia più importante della buona sorte dei propri figli. Oltre a partecipare ai lavori agricoli, i bambini lasciano la daara negli orari dei pasti per percorrere il villaggio più vicino e chiedere del cibo di casa in casa, per necessità materiale, ma al tempo stesso affinché imparino il valore dell’umiltà. L’elemosina concessa ai piccoli costituisce una partecipazione reale della comunità alla formazione religiosa dei suoi giovani membri. PARERI A CONFRONTO Il modello della daara tradizionale presenta elementi di forza e di debolezza. Da un punto di vista pedagogico è riconosciuta l’efficacia della metodologia adottata riguardo allo sviluppo della memoria. Infatti, gli esercizi di memorizzazione ripetuti per diversi anni sembrano avere effetti prodigiosi sulla capacità di immagazzinare informazioni. È frequente incontrare allievi delle scuole coraniche che, avendo proseguito lo studio delle scienze islamiche, riescono a ricordare migliaia di versetti in lingua araba tra quelli che compongono le opere di teologia, di diritto e di grammatica. Tuttavia, diversi studiosi avanzano molti dubbi rispetto all’efficacia di questa metodologia educativa, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della capacità di rielaborazione dei concetti, inibita dalla predominanza della facoltà mnemonica su quella analitica. Va evidenziato che molti insegnanti della scuola pubblica elementare non sono dello stesso avviso, poiché la loro esperienza dimostra che, se l’allievo ha frequentato una daara per alcuni anni prima di essere introdotto nell’insegnamento laico, ha più facilità Dal punto di vista dell’educazione morale, la permanenza prolungata presso la daara (per diversi anni) vuole creare le naturali condizioni per l’assimilazione dei principi morali e delle norme sociali che il maestro e la realtà comunitaria trasmettono. FORMAZIONE INTEGRALE Contemporaneamente all’istruzione, il sistema educativo coranico si propone di sviluppare la personalità del bambino, stimolando lo spirito comunitario tra i taalibe della stessa daara che per anni condividono momenti di studio, di lavoro e di quotidianità. La solidarietà fra i bambini è una conseguenza naturale MC GENNAIO 2009 55 AFRICA OCCIDENTALE della convivenza prolungata in condizioni difficili, che stimolano l’unione, al fine di superare le avversità di tutti i giorni. A questo riguardo, tuttavia, sono pertinenti le considerazioni di P. Marty sull’autonomia pedagogica del maestro coranico, dalle cui qualità personali dipende interamente l’insegnamento dei principi morali, poiché non sottomesso a controlli esterni di strutture superiori. La lontananza fra bambini e genitori, che si protrae per anni, è in parte voluta dal sistema educativo della daara, che vede in questa separazione un fattore essenziale per il processo di crescita del giovane taalibe. Allo stesso tempo, i genitori si sentono autorizzati in molti casi ad abbandonare i bambini nelle mani del marabout, non facendogli visita per tutta la durata del soggiorno nella scuola e non informandosi del suo stato di salute. Questo fenomeno può essere in parte giustificato sulla base delle difficoltà economiche, che impediscono alla famiglia di affrontare il viaggio per raggiungere la zona in cui si trova la daara, e della tradizione che prevede l’affidamento totale del bambino a un parente per consolidare i legami tra i membri della famiglia, fenomeno valido a maggior ragione se il congiunto in questione è un maestro spirituale. Tuttavia, questi elementi di riflessione sulle cause del disimpegno genitoriale non trovano giustificazione nei testi sacri, poiché sia il Corano che la tradizione profetica insistono sulla responsabilità della famiglia, in primo luogo, rispetto all’educazione del bambino. Inoltre, non alleviano il dramma del sentimento di estraneità che si crea fra il bambino, allontanato troppo presto dal nucleo famigliare, e i genitori, che può essere accompagnato da frustrazione e senso di abbandono. Il rapporto affettivo con il maestro coranico può compensare solo in parte il vuoto lasciato dai genitori, poiché questi è responsabile di diverse decine di bambini tra i quali deve dividere le proprie attenzioni. STUDIO E LAVORO Riguardo alle prove che il bambino deve superare nel suo percorso 56 MC GENNAIO 2009 di formazione in seno alla daara tradizionale, è fondato il dubbio che possano essere eccessive per la giovane età dell’allievo, poiché il taalibe può raggiungere livelli di sofferenza che rischiano di inibirne lo sviluppofisico e intellettuale. La carenza di riposo, date le poche ore di sonno concesse fra la sessione serale di studio e la sveglia mattutina per pregare (si tratta solitamente di un tempo inferiore alle sei ore), e le rare occasioni di vacanza, possono sul lungo periodo indebolire il fisico del bambino. Solo una minoranza dei maestri è favorevole all’interruzione delle lezioni e al ritorno presso la famiglia, in occasione delle feste religiose della Korité, la festa della rottura del digiuno del mese di Ramadan (il nono mese dell’anno lunare) e della Tabaski, la festa del sacrificio (celebrata nel dodicesimo mese dell’anno lunare, in ricordo della fede di Abramo, pronto a sacrificare il suo stesso figlio per obbedire a Dio). Molto più comune è l’usanza di consacrare il riposo settimanale, dal mercoledì pomeriggio al venerdì Taalibe nel nord del Senegal: sono costretti a mendicare per dare un contributo alla propria daara. pomeriggio, e le ricorrenze religiose ai lavori domestici o al ripasso delle lezioni apprese. I maestri coranici ritengono in genere che una pausa possa interferire negativamente sulla concentrazione dei taalibe, che una volta rientrati alla daara dovranno spendere più energie per riprendere il ritmo di studio abituale. Per questa ragione molti allievi non rientrano presso la casa paterna, che una volta completato lo studio integrale del Corano. Riguardo ai metodi correttivi adottati, va rilevato che in alcuni casi è stata constatata una dismisura nel ricorso alle punizioni corporali. Poiché oltre al maestro, anche i taalibe più grandi sono autorizzati a punire il discepolo, gli atti di questi ultimi, a causa dell’immaturità, possono degenerare in gravi incidenti. LE SCUOLE MIGRANTI Le considerazioni fatte riguardano il sistema della daara tradizionale, che, per quanto austero, garantisce le condizioni essenziali di sicurezza e di crescita del bambino. Esse assumono, invece, una connotazione grave se analizzate alla luce dell’evoluzione che ha caratterizzato il sistema delle scuole coraniche nella se- MISSIONI CONSOLATA Aula di lezione di una scuola coranica nel Mali: la semplicità è un aspetto fondamentale. conda metà del XX secolo. Come abbiamo detto, l’insegnamento coranico tradizionale si sviluppa originariamente in ambito rurale, in una dimensione comunitaria di villaggio, dove i piccoli taalibe, anche al di fuori della daara, beneficiano del controllo e della protezione sociale, su cui si basano i rapporti fra le famiglie che abitano lo stesso territorio. Tuttavia, dopo l’indipendenza, esso non rimane indenne al fenomeno migratorio verso i centri urbani, che colpisce tutta la società senegalese. Alla fine degli anni ’70, infatti, la situazione economica nazionale si trasforma rapidamente, a causa di lunghi periodi di siccità che colpiscono il paese, obbligando i contadini ad abbandonare i loro villaggi e a spingersi verso i poli economici in cui dominano settori diversi da quello agricolo. L’esodo rurale, che spinge migliaia di persone verso le città, fa sì che le infrastrutture cittadine, ancora deboli, non riescano a contenere la pressione demografica, con un riversamento in direzione delle periferie dove si sviluppano distese di case abusive, le cosiddette fakkdekk, costruite con materiali di recupero, sprovviste di tutti i servizi e in cui la gente vive in condizioni igieniche e sanitarie precarie. In queste circostanze si sviluppa il fenomeno delle scuole coraniche migranti, le noorane kat. Poiché, come tutti gli altri contadini, i marabutti installati nelle campagne hanno grandi difficoltà ad assicurare l’alimentazione delle decine di bambini che hanno in affidamento, sono costretti a trasferirsi verso le zone urbane. Le scuole coraniche migranti si distinguono in due categorie: le scuole stagionali e quelle stanziali. Le prime si installano nelle periferie delle città solo durante i mesi della stagione secca, per cercare nei centri urbani i mezzi di sostentamento, poiché i terreni aridi non garantiscono più un raccolto sufficiente a coprire i bisogni di tutto l’anno. Durante la stagione delle piogge, nel periodo che va da giugno a set- tembre, il marabout e i suoi discepoli tornano nel villaggio originario per praticare l’agricoltura. Le scuole stanziali, invece, sono quelle in cui il maestro, proveniente da un’altra regione o dalle campagne, si trasferisce definitivamente con i suoi taalibe ai margini della città. Naturalmente il fenomeno migratorio non riguarda solo il nucleo famigliare del maestro, ma anche tutti i suoi discepoli, che egli porta con sé. Le famiglie stesse dei taalibe incitano il marabutto a trasferirsi, identificando nella migrazione l’unica soluzione di sopravvivenza per i loro figli ed, eventualmente, un’occasione di inserimento nel mercato del lavoro, che il villaggio non offre e che potrebbe portare beneficio a tutta la famiglia. SFRUTTAMENTO E MENDICITÀ Le conseguenze della migrazione verso i centri urbani sulle condizioni di vita dei taalibe sono spesso drammatiche, poiché la principale fonte di reddito del marabutto diventa la mendicità degli allievi, che ogni giorno, oltre a occuparsi del proprio nutrimento, devono assicurare una certa cifra che permetta al maestro e alla sua famiglia di sopravvivere. È evidente che in questo contesto il rischio di sfruttamento del bambino è elevato. Egli si trova in un contesto estraneo, meno protetto rispetto alla realtà comunitaria di villaggio, esposto a nuovi pericoli, legati al traffico automobilistico, al rischio di abuso, alle condizioni igieniche e alimentari penose. Le violenze subite dei taalibe che praticano la mendicità attirano sempre di più l’attenzione dell’opinione pubblica, che chiede allo stato e agli organismi internazionali di intervenire per tutelare la salute fisica e mentale del bambino, pur conservando la tradizionale trasmissione del sapere religioso attraverso le scuole coraniche. Il contesto urbano è inoltre più soggetto al fenomeno di installazione di scuole coraniche create da falsi maestri, che vedono nell’insegnamento una possibile fonte di reddito. In questi casi il bambino trascorre tutta la giornata per strada a raccogliere l’elemosina e, se interrogato sul verso coranico che sta imparando, risponde a stento e con una pronuncia scorretta i primi versi della fâtiha, la prima sura insegnata nelle scuole coraniche. In generale, il traguardo della memorizzazione del libro in questi casi non viene mai raggiunto. In questi casi estremi, che non devono essere generalizzati a tutto il sistema delle scuole coraniche, il taalibe non beneficia né di un’istruzione in materia religiosa né di un accompagnamento nel suo processo di crescita e di formazione ai valori morali e sociali. Al contrario, le situazioni che vive quotidianamente possono compromettere profondamente il suo sviluppo, creargli traumi fisici e psicologici che lo accompagneranno per tutta la vita. ■ MC GENNAIO 2009 57 NOSTRA MADRE TERRA Seconda puntata: l’inquinamento delle falde ob va R di ra L’acqua, un bene vitale in grave pericolo er to a nn Topi no e Rosa No CONTAMINAZIONE (profonda) Contaminazione da nitrati e fitofarmaci, ma anche da arsenico, cromo, materiali radioattivi: le acque di falda sono in grave pericolo. Esse rappresentano il 50% del totale, ma in Italia il 28% di esse risulta ormai contaminato. Nonostante l’inadeguatezza dei controlli, i casi di inquinamento sono all’ordine del giorno. Per capire la gravità del problema, va ricordato che l’acqua dolce non è una risorsa illimitata. Spetta ai cittadini aprire gli occhi ed agire di conseguenza. ell’articolo precedente (MC, settembre 2008) ci siamo occupati dell’inquinamento, che contamina buona parte dei fiumi della terra. In questa puntata, vedremo invece come anche le falde idriche sotterranee non stiano affatto bene di salute, anzi in certi casi la situazione è oltremodo drammatica. Ricordiamo che, in Italia, le acque di falda rappresentano il 50% del totale (che è di 70 miliardi di m³) delle acque fornite annualmente dagli acquedotti nazionali, mentre il 15% proviene dai corsi d’acqua superficiali e il 35% dalle sorgenti. A livello mondiale, le falde idriche profonde racchiudono circa 45.000 km³ di acqua, proveniente dalle precipitazioni atmosferiche e a loro è affidata una importante funzione di riserva. L’infiltrazione d’acqua nel sottosuolo dipende dalla consistenza del terreno, ma anche dal grado della sua cementificazione, che è senz’altro un fattore limitante. Il tempo per il riciclo delle falde è lunghissimo, circa 1.400 anni, contro i 20 giorni dei fiumi. È evidente che la percolazione di sostanze inquinanti nelle falde può ridurre drasticamente la disponibilità di acqua, oltre che compromettere pericolosamente la salute di milioni di persone. Purtroppo, le capacità autodepuratrici degli ecosistemi acqua- N 58 MC GENNAIO 2009 tici sono diventate spesso insufficienti, a causa della contaminazione sempre maggiore di sostanze poco o per nulla biodegradabili. In Italia, secondo i dati forniti dall’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), relativi all’ultimo triennio, il 28% delle acque di falda risulta contaminato. Oltre la metà dei pozzi esaminati ha mostrato segni di compromissione, nelle nove regioni, che hanno aderito alla campagna di monitoraggio chimico. In particolare sono risultate più inquinate le falde del nord Italia, cioè delle regioni più industrializzate e dedite all’agricoltura di tipo intensivo, soprattutto per la presenza di erbicidi come l’atrazina (vietata a partire dagli anni ’80, ma tuttora presente nei terreni, data la sua scarsa biodegradabilità), la terbutilazina, il bentazone, utilizzato specialmente nelle risaie (quindi presente in elevata quantità nelle acque del pavese e del vercellese) e il metolaclor, utilizzato in quantità industriale nelle grandi distese di mais dell’area padano-veneta. L’invasione dei nitrati Il problema dell’inquinamento delle acque di falda con prodotti fitosanitari è duplice, poiché, se da un lato l’uso di tali prodotti è inquinante per le falde, dall’altro si rischia di avere la compromissione della qualità dei prodotti agricoli, come conseguenza dell’irrigazione con acque di falda contaminate. In Piemonte, l’inquinamento delle falde da fitofarmaci è in costante aumento dal 2000 e attualmente oltre un quarto dei campioni relativi alle falde superficiali risulta contaminato, come il 7% dei campioni relativi alle falde profonde (è stata riscontrata la presenza di 18 principi attivi, su un totale di 60 molecole ricercate); in particolare risulta contaminato il 60% dei campioni esaminati, in provincia di Vercelli e il 10% in provincia di Cuneo. Questo fatto induce a pensare che non tutti gli agricoltori rispettino la normativa regionale e nazionale circa il divieto di utilizzo di determinate sostanze, come atrazina e bentazone, altamente dannose per la salute uma- na. Oltre alle sostanze suddette, un gravissimo problema per le acque di falda è rappresentato dalla presenza di nitrati, che in molti casi (talvolta anche nell’acqua potabile) arrivano a superare i limiti di legge, fissati in 50 mg/l. I nitrati derivano dai fertilizzanti azotati, dai reflui dei grandi allevamenti e dagli scarichi civili non opportunamente depurati e in alcune aree, come la pianura padana, caratterizzata da agricoltura e allevamenti intensivi, essi raggiungono livelli record d’inquinamento. Questo problema è molto esteso in Europa, di conseguenza la Commissione europea ha emanato una direttiva in materia (Direttiva nitrati 91/676). Alla contaminazione da composti azotati contribuiscono anche le piogge acide, che riportano al suolo e alle acque i contaminanti dispersi nell’atmosfera. In Italia si sono avuti gravi casi di contaminazione da nitrati in Piemonte, Lombardia, Toscana, Marche e Campania. Emblematico è il caso di Fano (Ancona), rifornita per anni con acqua potabile, in cui sono stati riscontrati livelli di nitrati fino a 150 mg/l. I danni da nitrati sono conosciuti fino dal 1945, quando è stato riportato, per la prima volta, su Jama un caso letale di intossicazione. In particolare un’alta concentrazione di nitrati nell’acqua rappresenta un grave problema per i lattanti, soprattutto nei primi tre mesi di vita, poiché i nitrati, a opera della flora batterica intestinale, si trasformano in nitriti, che vengono assimilati e sono in grado di alterare l’emoglobina, con conseguente difficoltà di trasporto dell’ossigeno ai tessuti. I nitrati possono peraltro causare seri danni anche nella popolazione adulta, poiché i nitriti, da essi derivanti, possono formare nitrosamine, specialmente a livello dello stomaco, per reazione con amine secondarie di origine alimentare e alcune di queste sostanze sono dei potenti cancerogeni. In particolare, degli studi condotti in Danimarca, Inghilterra, Ungheria, Italia, Cile, Colombia e Cina hanno associato l’esposizione ai nitrati con una maggiore frequenza dei tumori gastrici. «Di tutto, di più»... nelle nostre acque Oltre ai fitofarmaci e ai nitrati, nelle acque di falda italiane si trovano, spesso in quantità di molto superiori ai limiti di legge, sostanze residue di attività industriali di vario genere. In questi casi, le cause di contaminazione sono legate sia alle acque di processo, che a quelle di raffreddamento degli impianti. È particolarmente pesante l’impatto ambientale dell’industria chimica, dove gli inquinanti presenti nelle acque di processo variano, a seconda del tipo di produzione; ad esempio, gli effluenti della produzione di detersivi sono contaminati da tensioattivi e da fosfati, quelli delle resine sintetiche da solventi e da sostanze organiche, mentre quelli dell’industria degli inorganici di base contengono metalli pesanti. Altri settori, che vanMC GENNAIO 2009 59 NOSTRA MADRE TERRA Glossario no dalla siderurgia all’industria alimentare, possono contribuire in diverso modo all’inquinamento delle acque. Ad esempio le sostanze adoperate per la sterilizzazione dei cibi possono agire come inibitori, nei processi di biodegradazione dei sistemi acquatici. Molto spesso le cause di contaminazione chimica delle falde sono correlate con lo smaltimento sul suolo o nel sottosuolo degli scarichi industriali, effettuato in modo abusivo, o in mancanza di collettori idonei. Negli ultimi anni i casi più gravi d’inquinamento industriale delle falde si sono avuti per perdita di liquidi dagli impianti stessi, o da serbatoi interrati, oppure da rifiuti sepolti nel sottosuolo. Vale la pena di ricordare alcuni casi di gravissimo inquinamento ambientale, che si sono verificati in Italia ne- gli ultimi anni. In Maremma, nella provincia di Grosseto 22 siti, corrispondenti a circa 300 ettari, sono stati contaminati da arsenico e da mercurio, finiti nei pozzi dell’acqua potabile, mentre polveri di pirite, piombo, cadmio e manganese sono stati accumulati nei terreni coltivabili (Corriere della Sera, 12/05/2001). Le attività dell’Eni: chi inquina, non paga Queste sostanze derivano dall’attività di industrie, come l’Eni e la Tioxide, produttrice di biossido di titanio. Oltre ad esse è stata rilevata la diossina proveniente dall’inceneritore di Scarlino (Grosseto), appartenente alla società «Ambiente S.p.A.» dell’Eni, entrato in funzione nel 1999 e sorto sui tre forni, in cui si arrostiva la pirite ARTA: Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente. ATRAZINA: è un principio attivo usato come erbicida, appartenente alla classe delle cloro tiazine. È adatto al diserbo principalmente di mais, sorgo e canna da zucchero. Presenta elevata persistenza ambientale, con conseguente rinvenimento nelle acque superficiali e di falda. È assai poco biodegradabile. In Italia ed in altri Paesi europei, il suo uso è proibito dal 1992, data la sua possibile azione cancerogena. BENTAZONE: è un erbicida, che inibisce la fotosintesi clorofilliana, causando la deplezione delle riserve di carboidrati e la perdita dell’integrità della membrana dei cloroplasti (organuli cellulari deputati alla fotosintesi clorofilliana). BEQUEREL: unità di misura dell’attività di una sostanza radioattiva. BIOSSIDO DI TITANIO: per il suo elevato potere coprente e la sua grande inerzia chimica, è attualmente il prodotto più impiegato come pigmento bianco (bianco di titanio) nelle pitture e vernici, nella carta, nei laminati plastici, nelle fibre tessili, nella gomma, nei prodotti ceramici, negli inchiostri e nei cosmetici. CESIO: alcuni suoi isotopi radioattivi si formano nelle reazioni di fissione nucleare e sono probabilmente pericolosi, perché vengono fissati dagli organismi vegetali ed animali. Nell’incidente di Chernobyl del 1986 è stato uno dei principali responsabili della contaminazione radioattiva. COLIFORMI: sono un gruppo di microorganismi a forma di bastoncello, gramnegativi, aerobi ed anaerobi facoltativi, non sporigeni, che fermentano il lattosio, con produzione di gas e di acido. I coliformi fecali di origine umana sono delle Enterobatteriacee. Essi rappresentano un indubbio indice di contaminazione delle acque. Tra questi batteri sono comprese le Salmonelle, che sono delle Enterobatteriacee responsabili di malattie infettive di tipo gastroenterico, oltre che, in alcuni casi, di malattie setticemiche a sede extraintestinale. CROMO ESAVALENTE: i composti, da esso derivati, hanno largo impiego nella produzione di vernici, vetri, ceramiche ed inoltre nella concia delle pelli, nell’industria tessile, per la colorazio- 60 MC GENNAIO 2009 (minerale impiegato nella produzione dell’acido solforico). La Iarc (International agency for research on cancer) classifica l’arsenico come «cancerogeno di gruppo 1» e, secondo un suo studio, per valori di tale sostanza compresi tra 0,35 e 1,14 mg /l nell’acqua, è molto elevato il rischio di tumori a vescica, rene, cute, polmone, fegato e colon. Nell’acqua di un pozzo di Scarlino è stata rilevata una concentrazione di arsenico pari a 3,3 mg/l. Sono stati avvelenati una quindicina di pozzi, che fino al 1997 hanno pescato dalle falde idriche sotterranee. I 3 pozzi, che per 25 anni hanno servito Follonica sono stati chiusi e in uno di loro il mercurio superava di 50 volte i limiti di legge. Arsenico e mercurio penetrati nelle falde della provincia di Grosseto, Argentario compreso, derivano dalla la- ne dei tessuti, nella preparazione di diversi prodotti chimici e nei trattamenti di superficie di metalli meno nobili (cromatura) per le sue proprietà antiruggine. La maggior parte dei composti del cromo presenta una tossicità relativamente elevata per tutti gli organismi viventi. FLUORURI: composti del fluoro con metalli e non-metalli. Nel primo caso si possono considerare sali dell’acido fluoridrico, come il fluoruro d’alluminio, usato nella raffinazione dell’alluminio. I fluoruri con i non-metalli comprendono una serie di composti molto reattivi, che il fluoro forma con gli altri alogeni, con il boro e con il silicio. FOSFATI: sali degli acidi fosforici. Sono degli ottimi concimi, poiché il fosforo costituisce un elemento essenziale per lo sviluppo delle piante. IPERCHERATOSI: abnorme aumento dello spessore dello strato corneo dell’epidermide, in alcune zone della cute. Può essere causato da diversi fattori, tra cui l’azione dei raggi ultravioletti. In questo caso si parla di cheratosi attinica, che è una precancerosi. METOLACLOR: principio attivo di protezione del mais, efficace soprattutto contro le infestazioni da graminacee. NITRATI E NITRITI: sali dell’acido nitrico solubili in acqua, ossidanti allo stato fuso, ma non in soluzione acquosa. I nitrati dei metalli alcalini, a temperature elevate perdono ossigeno, trasformandosi in nitriti. Il nitrato di sodio è il componente principale del nitro del Cile, che era l’unica fonte di fertilizzanti azotati prima della diffusione dei concimi chimici sintetici. Il nitrato d’ammonio ed il nitrato di calcio sono impiegati come fertilizzanti azotati. Il nitrato d’argento è impiegato in chimica analitica, per riconoscere e dosare gli alogeni. Il nitrato di potassio o salnitro è usato nella polvere da sparo, nella fabbricazione dei fiammiferi e dei fuochi d’artificio. NITROSAMINE: nitrosoderivati con attività carcinogenetica per l’uomo, in cui agiscono sia per inalazione, che per ingestione. Sembra accertato che i nitrosoderivati si formano nell’organismo, attraverso il metabolismo di nitroderivati e di ammine. PLUTONIO: è un metallo notevolmente reattivo, come l’uranio. Il MISSIONI CONSOLATA vorazione della pirite, che prima Montedison e poi Eni hanno accumulato a cielo aperto in vere e proprie colline di rifiuti tossici, poggianti su acquitrini, come quelli del Casone e del Padule di Scarlino, dove l’acqua è ormai di tutti i colori. Qui la pirite è stata accumulata in vecchie vasche di acido solforico, che ha facilitato la cessione all’ambiente di arsenico e di mercurio, come spiega Roberto Barocci di Italia Nostra, docente di Economia e Assetto del territorio e autore di Arsenico (Stampa Alternativa). Inoltre, la Coldiretti ha accusato l’Eni di avere ceduto gratuitamente agli agricoltori, come materiale sterile e inerte, gli scarti della lavorazione della pirite, da utilizzare nel rifacimento del fondo delle strade interpoderali. L’Eni si è sempre difesa, sostenendo che gli scarti della pirite non hanno ceduto metalli pesanti all’acqua in quantità tossica ed è stata sostenuta in tal senso dall’Arpat, secondo la quale l’arsenico e le altre sostanze in quell’area ci sono da sempre e ne costituirebbero una caratteristica geologica. Tale conclusione avrebbe evitato all’Eni i costi di bonifica. Di diverso avviso è stato però il Pubblico ministero (Pm) di Grosseto Vincenzo Pedone, che ha decretato il sequestro dell’inceneritore di Scarlino, ha definito il degrado ambientale del comprensorio Follonica-Scarlino come «fatto notorio e addirittura eclatante, per ciò che attiene alla gravissima compromissione delle risorse idriche», ha anche constatato l’assenza di controlli pubblici e ha inviato l’avviso di garanzia al direttore e all’amministratore delegato di Ambiente S.p.A. Nel frattempo, alcune pericolose discariche dell’Eni hanno cambiato proprietà. Dal Piemonte all’Abruzzo Altri casi d’inquinamento delle falde sono, ad esempio, quello del rinvenimento nella falda di Aosta, nel giugno 2004, di eccedenze, rispetto ai limiti fissati dal D. Lgs. 152/99, di cromo esavalente, di fluoruri, di nichel, di solventi clorurati come tetracloroetilene e cloroformio e di solventi aromatici. Tali sostanze sono correlabili soprattutto con l’attività della Cogne Acciai Speciali di Aosta e inoltre, specialmente per la presenza in falda di ferro e manganese, con la discarica di Brissogne. Altri casi sono l’inquinamento da cromo esavalente nella falda di Asti, quello recentissimo (maggio 2008) sempre da cromo esavalente a biossido di plutonio è impiegato come combustibile nucleare, in miscela con il biossido di uranio. Allo stato elementare è particolarmente adatto come materiale fissile, per armi nucleari. REDOX: abbreviazione di ossido-riduzione; si tratta di una reazione,in cui avvengono in contemporanea l’ossidazione di un composto e la riduzione di un altro. Il primo composto, cioè, acquisisce elettroni, mentre il secondo li cede. SOLVENTI AROMATICI: solventi contenenti nella loro molecola degli anelli aromatici a 6 atomi di carbonio. Hanno un caratteristico odore (da cui il nome) e sono cancerogeni. Tra loro abbiamo il benzene, il toluene e lo xilene, comunemente definiti benzolo, toluolo e xilolo. SR-90 O STRONZIO-90: isotopo radioattivo dello stronzio. Si forma nelle esplosioni nucleari e, attraverso la catena alimentare, può entrare nell’organismo umano, dove tende a fissarsi nelle ossa e nei denti, causando l’insorgenza di gravissime malattie da radiazione.Trova applicazioni come tracciante in medicina ed in biologia. TENSIOATTIVI: sostanze che, sciolte in piccola quantità in soluzioni acquose, ne diminuiscono la tensione superficiale, aumentandone il potere bagnante. Come conseguenza si ha un aumento delle proprietà schiumogene, detergenti, emulsionanti, disperdenti e della capacità di penetrazione in materiali porosi delle soluzioni acquose contenenti tensioattivi. TERBUTILAZINA: diserbante utilizzato sul mais. È un «non classificato» per i rischi umani, ma è stata documentata la sua incidenza sui tumori mammari dei topi. È altamente tossico per gli organismi acquatici quindi, a lungo termine, può avere effetti negativi sull’ambiente acquatico. TRIZIO: isotopo radioattivo dell’idrogeno, che presenta un nucleo con un protone e due elettroni. Si forma in quantità più o meno rilevanti in tutti gli impianti nucleari, sia durante la fissione dell’uranio, sia nei reattori raffreddati ad acqua pesante, in seguito all’irraggiamento neutronico del deuterio. Può dare origine a diverse reazioni nucleari, sfruttabili per ottenere energia termonucleare, in modo controllato. Può essere usato in chimica, medicina e biologia, come tracciante radioattivo. Inquinamento del fiume Merse in provincia di Grosseto. MC GENNAIO 2009 61 NOSTRA MADRE TERRA La Cogne Acciai Speciali di Aosta. Spinetta Marengo (Alessandria), quello da arsenico a S. Antonino di Susa (Torino). Il caso più grave in Italia e forse in Europa è però quello dell’inquinamento delle falde di Bussi e della Val Pescara in Abruzzo, un disastro ambientale di proporzioni inimmaginabili per le potenziali conseguenze sulla salute di 500.000 cittadini, che hanno usufruito per anni dell’acqua inquinata prelevata dal campo pozzi S. Angelo di Bussi. I valori degli inquinanti tossici e cancerogeni in falda hanno raggiunto punte di 300.000 volte i limiti di legge per il cloroformio, di 420.000 volte per il tetraclorometano, di migliaia o decine di migliaia di volte per altre sostanze pericolose, tra cui mercurio, cloruro di vinile, tricloroetilene, tetracloruro di carbonio, ecc. Queste sostanze, secondo il Pm Aceto, che ha condotto l’inchiesta, al termine della quale ha inviato 33 avvisi di garanzia, sono state riversate nel fiume Pescara fino al 1963 e successivamente stipate in megadiscariche, lungo i fiumi Tirino e Pescara. Anche in questo caso si tratta degli scarti di lavorazioni della Montedison. L’inchiesta è nata da una denuncia del WWF, basata sui referti di analisi condotte e pagate privatamente da tale associazione, già nel 1997 (ripetute nel 2007) e seguite da analisi dell’Arta nel 2004, a seguito delle quali i pozzi S. Angelo, che servivano l’area metropolitana di Chieti-Pescara, sono stati chiusi nel 2005 e riaperti parzialmente nel 2007, dopo l’utilizzo di filtri 62 MC GENNAIO 2009 a carbone attivo (tali pozzi, a monte dei quali si trova una grande industria chimica, erano attivi dal 1990). La vicenda è resa ancora più grave, se possibile, dal fatto che l’Istituto superiore di Sanità aveva espresso un parere, in cui dichiarava le acque emunte da questi pozzi come «non idonee al consumo umano»; ma, secondo il pm Aceto, nessun sindaco o amministratore e nemmeno la Direzione sanitaria dell’Asl hanno reagito con la dovuta fermezza; anzi, quest’ultima ha appoggiato in pieno l’operato del responsabile del Sian (Servizio igiene alimenti e nutrizione) dell’Asl, ora indagato. Peraltro, secondo il magistrato, i responsabili della Montedison erano a conoscenza dell’inquinamento delle falde e delle conseguenze sui pozzi destinati all’acquedotto già dal 1992. I 33 avvisi di garanzia sono stati emessi nel maggio 2008. Contaminazione radioattiva? Presente! In mezzo a tutti questi veleni, potevamo farci mancare una contaminazione radioattiva delle falde? No, naturalmente; infatti il 17 agosto 2006 l’assessorato all’Ambiente della regione Piemonte ha reso pubblica la contaminazione radioattiva delle falde a Saluggia, dove dall’intercapedine della piscina dell’impianto Eurex, contenente un deposito di materiali radioattivi, c’è stato un rilascio di acqua contaminata dal radionuclide Sr-90. Peraltro, già nel giugno 2004, la So- gin (esercente dell’impianto Eurex) aveva comunicato che la piscina presentava una fuoriuscita di liquido radioattivo, con una contaminazione della parete esterna della sua intercapedine di 1.000 Bq/dm². A Saluggia gli impianti nucleari e la piscina della Eurex si trovano proprio sopra le falde acquifere, che meno di 2 Km a valle alimentano i pozzi dell’acquedotto del Monferrato, che porta l’acqua a più di cento comuni nelle province di Torino, Asti e Alessandria. Va detto che, per incidenti di questo tipo, siamo in buona compagnia. In Francia, infatti, nel maggio 2006 è stata rilevata radioattività nelle falde acquifere della Normandia 7 volte superiore al limite imposto da una legge europea di 100 Bq/l. In questa zona è stato costituito un deposito di rifiuti radioattivi provenienti dalle 58 centrali nucleari francesi, ma anche dalla Germania, Olanda, Belgio, dal Giappone, Svizzera e Svezia (nonostante sia illegale per la legge francese stoccare materiali radioattivi provenienti dall’estero). L’acqua della falda è risultata contaminata da trizio, che è un indicatore di futura contaminazione da altri radionuclidi, come stronzio, cesio e plutonio, sostanze cioè sicuramente cancerogene. È invece di quest’anno, luglio 2008, l’incidente francese di Tricastin, dove sono stati registrati anomali valori di uranio nell’acqua di falda. Secondo la Criirad (Commissione di ricerca e di informazione indipendente sulla radioattività), tale contaminazione è da attribuire, più che all’incidente occorso all’impianto di Tricastin, alla presenza di materiale radioattivo di una precedente installazione militare, che aveva funzionato in quella zona tra il 1964 e il 1996 per la produzione di armi atomiche, grazie all’arricchimento dell’uranio. I residui della lavorazione vennero interrati, senza particolari precauzioni e l’acqua piovana ha potuto scorrere a contatto delle scorie, disperdendo l’uranio nel terreno. La fuoriuscita di uranio nella falda di Tricastin ammonta a 74 Kg. Occhio alle acque minerali A leggere cose come queste, si potrebbe pensare che forse è meglio MISSIONI CONSOLATA bere acqua minerale, anziché del rubinetto, ma prima di farlo, è bene considerare il fatto che esiste un decreto legge del 29/12/2003, dell’allora ministro della Salute Sirchia, sulle acque minerali, il quale ha introdotto una soglia di tolleranza per svariate sostanze tossiche ad alto rischio. Le aziende produttrici di acque minerali possono così immettere sul mercato dei prodotti, che prima sarebbero stati fuorilegge e che contrastano con le normative europee. In pratica, grazie a questo decreto esiste una lunga lista di sostanze, tra cui tensioattivi, oli minerali, antiparassitari, policlorobifenili, idrocarburi, ecc., per le quali, al di sotto della soglia di rilevabilità strumentale, le aziende produttrici possono continuare a dichiarare come esenti da ogni tipo d’inquinamento le acque minerali che producono. Nel giugno 2003, la procura di Torino avviò un’inchiesta, da cui emerse che 23 delle 28 marche di acqua minerale analizzate non rispettavano l’obbligo di legge di essere completamente prive delle sostanze tossiche suddette; successivamente il numero delle marche non in regola è salito a 86. La differenza tra le quantità di sostanze ammesse per le acque minerali, rispetto all’acqua potabile, è dovuta al fatto che le minerali vengono considerate «bevande», come il vino ad esempio, e quindi sono soggette a una normativa meno restrittiva, di quella per l’acqua potabile. Se consideriamo la possibile contaminazione da piombo, il valore soglia del vino è molto superiore a quello dell’acqua potabile, perché si ritiene che il consumo quotidiano della bevanda vino debba essere decisamente inferiore a quello dell’acqua. Così vengono messe in vendita acque contaminate «a norma di legge». Inquinamento naturale da fluoruri e da arsenico Esistono, inoltre, in parecchie aree geografiche della terra, dei casi d’inquinamento delle falde, talora anche per cause naturali e non solo antropiche, che hanno portato milioni di persone in condizioni di salute drammatiche. Si tratta delle contaminazioni delle falde da fluoruri e da arsenico. L’inquinamento da fluoruri ha determinato la comparsa di fluorosi scheletrica, una malattia che danneggia soprattutto gli arti in crescita e che può arrivare a compromettere anche la spina dorsale e il sistema nervoso, in milioni di bambini in India, ma anche in Cina, in Niger, in Etiopia, laddove cioè sono state installate pompe manuali nei villaggi, per fornire alle popolazioni acqua sicura, cioè non contaminata, come le acque superficiali, da coliformi e da altri agenti patogeni responsabili di gravissimi casi di colera, tifo e diarrea. I fluoruri sono sostanze normalmente presenti nelle rocce granitiche Fiume inquinato dagli scarichi industriali: uno tra i casi infiniti. del sottosuolo di gran parte dell’India e di altre aree geografiche e possono sciogliersi lentamente nelle acque di falda, senza peraltro allontanarsi molto dallo strato granitico. Ciò significa che risultano contaminate solo le acque dei pozzi profondi, mentre quelle dei pozzi superficiali risultano pulite. Purtroppo, però, i continui prelievi d’acqua, alla lunga determinano un abbassamento delle falde e la necessità di scavare pozzi più profondi. L’inquinamento più grave è però quello da arsenico, che ha provocato quello che dall’Oms viene definito «il più grave avvelenamento della storia dell’umanità», che riguarda soprattutto il Bangladesh e il delta del Gange. A causa di tale avvelenamento, il futuro della popolazione del Bangladesh è gravemente compromesso. Ma l’arsenico ha colpito anche altre zone del delta del Gange, come il Bengala occidentale in India e parte del sud del Nepal. Questo problema è presente anche nelle falde di Argentina, Cile, Messico, Cina, Vietnam, Taiwan, Nepal, Myanmar, Cambogia, Ungheria, Romania e di parecchie zone del sud-ovest degli Stati Uniti. In Bangladesh, negli anni ’70, per limitare i casi di dissenteria e di colera, l’Unicef ha promosso la diffusione di pompe manuali a tubo, che nel giro Una fabbrica del polo industriale di Bussi sul Tirno in Abruzzo. MC GENNAIO 2009 63 NOSTRA MADRE TERRA La prevenzione dell’inquinamento delle falde acquifere comincia con il monitoraggio delle acque dei fiumi. di pochi anni sono diventate sempre più numerose. Negli stessi anni iniziava la cosiddetta rivoluzione verde, cioè un programma di agricoltura intensiva, soprattutto di riso, leguminose e ortaggi vari, che ha comportato l’uso di grandi quantità di fertilizzanti e pesticidi, nonché di acqua. L’acqua estratta dalle pompe, molto spesso contaminata da arsenico, viene utilizzata in grande quantità a scopo irriguo, per cui questo minerale entra nella catena alimentare. Di solito i primi sintomi dell’avvelenamento cronico da arsenico si avvertono dopo una decina di anni di esposizione e si manifestano soprattutto come ipercheratosi, disturbi cardiovascolari e circolatori, tumori polmonari, renali, epatici, ma soprattutto cutanei. L’avvelenamento acuto si manifesta invece con i sintomi di una forte gastroenterite. Si calcola che, attualmente, muoiano circa 3.000 persone all’anno, tra coloro che hanno ingerito per anni acqua e cibi contaminati, ma sarebbero almeno 65 milioni le persone esposte a rischio e 200.000 coloro che presentano i sintomi dell’arsenicosi. Le prime tracce di arsenico nelle falde del Bangladesh sono state rilevate nel 1993, ma solo dal 1995 è iniziata l’analisi sistematica dei pozzi, un ventennio dopo la posa delle prime pompe a tubo. Queste ultime sarebbero fortemente responsabili di questa situazione, perché altererebbero le condizioni redox del terreno, favo64 MC GENNAIO 2009 rendo il rilascio di arsenico. Purtroppo, per anni non vennero effettuate accurate analisi dell’acqua estratta dalle pompe, cioè in pratica l’arsenico non veniva cercato, e ciò ha portato all’avvelenamento silenzioso di milioni di persone. Attualmente esiste una diatriba tra scienziati, circa l’origine di tale avvelenamento. In pratica ci sono scienziati, che sostengono l’origine esclusivamente naturale dell’arsenico nel terreno: secondo costoro il minerale si sarebbe formato nelle rocce della catena himalayana, da cui nasce il Gange e sarebbe stato trascinato a valle, fino al delta, dove verrebbe estratto dalle pompe. Questa tesi, in qualche modo, assolve l’operato delle multinazionali e dell’Unicef. Secondo gli scienziati indiani, invece, la quantità eccessiva di arsenico nel terreno sarebbe strettamente correlata all’uso massiccio di fitofarmaci, indispensabili per la coltivazione intensiva del riso, in quanto è stata osservata una correlazione tra arsenico e fertilizzanti organo fosforici. La prima tesi è il frutto di ricerche condotte dalla British Geological Survey e dalla McDoland Ltd (Regno Unito); tali ricerche sono state finanziate dalle agenzie internazionali e dalle multinazionali, che hanno una possibile responsabilità nell’avvelenamento da arsenico, per cui il loro risultato potrebbe essere viziato. È vero che l’arsenico è un elemento naturale, che può trovarsi in discreta quantità, ad esempio sotto forma di arseniopirite, in certe aree geografiche, ma secondo i geologi indiani, nel delta del Gange non esiste una quantità di arseniopirite tale da giustificare un avvelenamento di così vaste proporzioni. Una certa esperienza nel campo della ricerca ci porta a pensare che sia più corretta la tesi degli scienziati indiani. Tra l’altro uno studio condotto al Massachusetts Institute of Technology (Mit) da Charles F. Harvey, docente di ingegneria civile e ambientale, è giunto alla conclusione che le pompe a tubo alterano in modo drammatico il flusso delle acque sotterranee, modificando la chimica delle falde e determinando il rilascio di arsenico, a seguito della degradazione microbica del carbonio organico, trascinato nelle falde dalle stesse pompe. Il dovere di «aprire gli occhi» Dai casi d’inquinamento delle falde appena visti appare chiaro che quasi sempre ci si dimentica che il sistema dell’acqua dolce è un sistema chiuso. L’acqua dolce non è illimitata, quindi non ci si può permettere di renderla in parte inutilizzabile, perché inquinata. Non possiamo lasciare un’eredità così pesante alle generazioni future. Soprattutto non possiamo dimenticare che l’acqua fa parte di noi, di tutti noi, quindi è inaccettabile che per il profitto di qualcuno, tantissimi si ritrovino a fronteggiare situazioni estreme. E non è accettabile che chi deve controllare chiuda gli occhi, davanti a disastri, come quelli appena visti. O che chi deve fare ricerca non ricerchi la verità, ma un modo per sollevare da ogni responsabilità coloro, a cui ha deciso di asservirsi. ■ FONTI: Un pianeta senz’acqua, Fred Pearce, il Saggiatore, 2006. www.legambienteonline.it/news20 00/falde.htm http://lescienze.espresso.repubblica .it/articolo/Arsenico_nell_acqua_in_ Bangladesh/1288312 www.fao.org www.sos-arsenic.net MILANO di Giovanni Guzzi - foto di Lelli-Masotti «Il viaggio musicale dei Gitani» al MITO Settembre Musica 2008 A Milano, dal 7 al 12 settembre, la seconda edizione del MITO (Festival Internazionale della musica organizzato dai comuni di Milano e Torino) ha dato risalto alla cultura dei Gitani, con un «viaggio musicale» dal Rajasthan all’Andalusia, passando per Pakistan, Iran, Turchia, Balcani. Un’occasione per superare pregiudizi e stereotipi verso un popolo affascinante per la sua storia e cultura millenaria. DEGLI on è usuale per una rivista missionaria occuparsi di musica, in particolare di una manifestazione in prevalenza dedicata alla musica «classica». Pur a distanza di tempo, diventa quasi un obbligo farlo quando, nell’ambito di essa, si colgono aspetti che la rendono interessante anche oltre lo specifico valore musicale. Il riferimento è alla seconda edizione di «MITO Settembre Musica, il N ZINGARI SI PUÒ ANCHE PARLARE BENE MILANO Nella pagina precedente, esibizione di musicisti e danzatrici del Rajasthan (India). A sinistra, gitani della Tunisia partecipano al «Viaggio musicale». per lo più, si svolge in prestigiosi teatri quali la Scala e gli Arcimboldi di Milano o il Regio e l’Auditorium Rai di Torino; frequenta Conservatori, storici circoli dove si fa cultura, luoghi ricchi di arte e architetture monumentali; e non trascura il sacro di chiese e basiliche che offrono a credenti e non credenti momenti di significativa elevazione spirituale. Si tratta evidentemente di un contesto che appare quanto di più lontano possa esistere dalla realtà di vicende drammaticamente tragiche e Festival Internazionale che, dal 2007, vede l’esperienza trentennale della storica rassegna torinese estendersi al capoluogo lombardo e ad altre importanti città attorno alle due metropoli. Quasi un intero mese di spettacoli che ha proposto oltre 230 eventi di musica - classica, contemporanea, jazz, pop, rock, etnica -, rassegne cinematografiche, incontri di «arte e musica», cicli monografici. È stato appunto uno di questi ultimi, il «Viaggio musicale dei Gitani» a offrirci lo spunto per scriverne su Missioni Consolata. Pur ponendosi l’obiettivo di coinvolgere un pubblico più ampio rispetto a quello che usualmente frequenta le sale da concerto, il MITO resta un festival di musica colta che, Sopra, gitani delle montagne afghane e pakistane fanno risuonare la loro musica millenaria nel Teatro dell’Arte di Milano. A sinistra, esibizione dei gitani della Romania nel Teatro Ventaglio Smeraldo di Milano. di quotidiana disperazione di vita ai margini delle nostre città, che i media ogni giorno, continuamente, descrivono quando si occupano di coloro che, semplificando, chiamiamo «zingari». Sia chiaro, nessuno nega i problemi e le difficoltà che il porsi in relazione con queste persone presenta, né in questa sede si vogliono commentare in alcun modo i provvedimenti presi dalle autorità o quelli che si vorrebbe prendessero. 66 MC GENNAIO 2009 MISSIONI CONSOLATA Tuttavia, il fatto che nell’ambito di un festival con le caratteristiche descritte fosse ospitata, non marginalmente ma, anzi, promossa come una rassegna di rilievo, un’intera settimana dedicata a questo particolare viaggio musicale, ci è parsa già di per sé una notizia degna di rilievo. Un’occasione per parlare dei popoli nomadi anche in positivo. Non per nulla la musica è, forse, il linguaggio umano che più accomuna e commuove; anche nel senso letterale di «muovere con»,predisponendo ragione ed emozione al rapporto con l’altro. osì è stato oltremodo significativo che, nella stessa manifestazione, sui cui palchi si sono avvicendate grandi orchestre internazionali come la London Symphony e l’Orchestre National de France, ad aprire la sezione del «Viaggio musicale dei Gitani» sia stata, nel salone d’onore della Triennale di Milano, proprio la «Banda del villaggio solidale». È, quest’ultima, un gruppo musicale costituitosi nell’ambito della milanese Casa della Carità: istituzione voluta dal cardinal Martini, per aiutare le persone in difficoltà a superare la propria condizione di disagio. Don Virginio Colmegna, presidente dell’omonima fondazione che la sostiene, ricordando il migliaio di persone di 80 nazionalità accolte dalla struttura in un triennio, ha presentato l’ensemble definendolo: concreta manifestazione di un operare che vuole promuovere e far crescere l’espressione culturale dei diversi mondi ospitati; nella convinzione che dando visibilità alle rappresentazioni artistiche e musicali delle culture immigrate si possa aumentare il livello di comunicazione positiva e favorire la coesione sociale. C e foto pubblicate in queste pagine descrivono perciò un viaggio sonoro, cominciato con saltimbanchi, musicisti e danzatrici appartenenti alle ultime caste erranti del Rajasthan (India del nord) e origine stessa del popolo Rom; gente che ha conosciuto lo scintillio delle pietre preziose di antichi palazzi come la ruvidezza delle rocce del deserto. L Un viaggio proseguito con i Gitani che hanno attraversato il Medio Oriente per arrivare fino in Tunisia. Fra questi, quelli dell’Alto Egitto tuttora tramandano nella musica l’epopea del mondo beduino del X secolo; in Turchia, invece, sono maestri di clarinetto e a loro si deve la conservazione del repertorio festivo e virtuosistico delle danze regionali, oltre all’aver posto il loro strumento in posizione preminente in tutti i Balcani. a terza tappa ha ricondotto il pubblico in Asia, con artisti arrivati dalle montagne di Pakistan e Afghanistan, che hanno portato al MITO la loro tradizione millenaria (risalente al 4.000 a.C.), L Danza andalusa di Carmen Cortez, accompagnata da musica gitana e chitarra flamenca. mostrandone anche le somiglianze con quelle dell’antica Grecia evidenziate, ad esempio, nel comune uso del flauto a due canne. I contributi dall’Europa sono, invece, venuti in primo luogo da due tradizioni della Romania. Quella dei discendenti delle famiglie di «ursari» (ammaestratori di orsi) superstiti all’olocausto e alle persecuzioni della polizia comunista, che si esibiscono nel canto accompagnato da percussioni rudimentali e dal ballo delle donne che fanno roteare gonne e scialli coloratissimi. E quella dei «lăutari», i migliori musicisti popolari di Romania. Fino alla metà del XIX secolo essi erano schiavi del principe regnante, raccolti in corporazioni professionali fondate nel XVII secolo; oggi vedono rinascere l’interesse del pubblico per la loro musica, i cui stili si adattavano alla realtà storica e ambientale dei gruppi sociali cui era destinata: contadini, operai, intellettuali... Immancabile è poi stato il passaggio attraverso l’icona della donna gitana nella musica colta occidentale: principalmente identificata nel mito della Carmen di Bizet, ma presente, affascinante e ambigua, anche in Verdi, Brahms, Leoncavallo, Liszt... fino alla grazia del chitarrista Django Reinhardt, che sedusse la Francia degli anni Trenta. Il «Viaggio musicale dei Gitani» non poteva, infine, che concludersi con la chitarra flamenca e il cante jondo (canto profondo) che, partiti dai locali e dai porti di Siviglia, Cadice e Jerez de la Frontera negli anni ’40 del 1800, e pur restando fedeli alla tradizione, continuano però a evolversi, conservando la capacità, descritta da Federico Garcia Lorca, di trasportare il pubblico sul margine dell’abisso. Una ricchezza dunque, quella qui tratteggiata, seppur sinteticamente, che merita di essere più conosciuta, perché il nostro giudizio su un popolo e sulla sua cultura, pur non disconoscendo le difficoltà che sono reali, non sia limitato a stereotipi negativi. ■ MC GENNAIO 2009 67 Copertina ok.qxd:Copertina 16-12-2008 11:34 Pagina 1 PER SOSTENERE I Missionari della Consolata L’ISTITUTO MISSIONARI DI MARIA SS. CONSOLATA, con sede a Torino in C.so Ferrucci 14, può ricevere EREDITÀ e/o LEGATI nelle forme sotto indicate: Per nominare l’ente EREDE di ogni sostanza: «... lascio all’Istituto Missionari di Maria SS. Consolata, con sede in Torino, Corso Ferrucci 14, a titolo di legato l’immobile sito in..., la somma di Euro..., titoli, o altro, per i fini istituzionali dell’Ente». Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore, datato e firmato. PER INFORMAZIONI: Istituto Missionari di Maria SS. Consolata, Ufficio Legale Corso Ferrucci, 14 10138 TORINO Tel. 011/4.400.400 M ale 50% nam. post e in abbo Spedizion Con Missioni Consolata Onlus nale di ione Tribu - Iscriz n. 3447 Torino: «... annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale l’Istituto Missionari di Maria SS. Consolata, con sede in Torino, devolvendo quanto posseggo, per i fini istituzionali dell’Ente». (e/o indicando la destinazione specifica in terre di missione) Se si tratta di un legato: 1/1984 del 6/1 EREDITÀ E LEGATI CONSOLATA ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) opera nei campi dell’evangelizzazione e della promozione umana in molti paesi del Sud del mondo e in Italia. Ogni mese le due pubblicazioni edite dalla ONLUS, M ISSIONI C ONSOLATA e A MICO , offrono reportages di prima mano, inchieste, interviste esclusive, documenti fotografici originali, rubriche e molto altro ancora. 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Ai fini fiscali, per godere dei benefici, occorre conservare per 5 anni la ricevuta del CCP o del bonifico bancario, che dimostri il versamento effettuato. PER INFORMAZIONI: Tel. 011/4.400.400 - Fax: 011/4.400.411 E-mail: [email protected] MESSE PER LA CELEBRAZIONE DI SANTE MESSE: si usi il conto corrente postale numero 18377101, intestato a «ISTITUTO MISSIONI CONSOLATA» (NON quello intestato a «Missioni Consolata Onlus»). missioni consolata Rivista dei Missionari della Consolata fondata nel 1899 Corso Ferrucci, 14 - 10138 Torino Tel. 011/4.400.400 Fax 011/4.400.459 E-mail: [email protected] www.missioniconsolataonlus.it MISSIONI CONSOLATA ONLUS PER OFFERTE: CCP 33.40.51.35