Impatto del danno renale acuto - Casa di Accoglienza Santa Rita da

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Impatto del danno renale acuto - Casa di Accoglienza Santa Rita da
Impatto del danno renale acuto - tutti gli organi bersaglio del danno renale acuto – dialisi - disfunzione
multiorgano
L’insufficienza renale acuta (AKI) è una complicanza comune nei pazienti critici e spesso ne peggiora gli
esiti. Anche se molti farmaci hanno dimostrato d’indurre benefici in modelli preclinici, nessun agente
specifico ha dimostrato generare miglioramenti negli esseri umani. Inoltre, nonostante i notevoli
progressi nelle tecniche dialitiche sul paziente acuto, emodinamicamente instabile o in shock, il
trattamento è ancora associato a un tasso di mortalità inaccettabilmente alto. Possiamo ridurre la
mortalità AKI-correlata attraverso la dialisi? Per rispondere a questa domanda, la ricerca ha cominciato a
chiarire le interazioni tra insufficienza renale acuta e altri organi complessi come cuore, polmoni, milza,
cervello, fegato e intestino (Grams ME, et al. The distant organ effects of acute kidney injury. Kidney Int,
2012). Questa review fornisce un puntuale aggiornamento su tali interazioni evidenziando anche i
potenziali bersagli terapeutici per migliorare i risultati dei pazienti colpiti da insufficienza multiorgano
associata all’AKI. Tuttavia, ciò che ne emerge è un quadro molto critico in cui il paziente rimane ad
altissimo rischio. La prima risposta che ne deriva è che nonostante i notevoli progressi nella terapia di
sostituzione renale nei pazienti emodinamicamente instabili in terapia intensiva, le complicazioni
dell’AKI aumentato in modo significativo la mortalità nei pazienti critici. Questo perché altri fattori,
diversi dalla perdita della funzione renale, sembrano contribuire agli scarsi risultati. In sostanza, i
pazienti critici che richiedono anche la dialisi hanno una mortalità notevolmente superiore rispetto ai
pazienti con la sola insufficienza renale allo stadio terminale (Clermont G, et al. Renal failure in the ICU:
comparison of the impact of acute renal failure and end-stage renal disease on ICU outcomes. Kidney
Int. 2002). Questo dato supporta fortemente la premessa che l’AKI indotta da disfunzione di altri organi
giochi un ruolo cruciale, specialmente nei pazienti critici. Si pensi, ad esempio, al danno polmonare
acuto o alla sindrome da distress respiratorio (ARDS) in cui l’insufficienza renale acuta, attraverso diversi
meccanismi, tra cui una maggiore infiltrazione dei neutrofili, ha un impatto significativo sulla gestione
del fallimento polmonare. Inoltre l’aumento dei livelli di creatinina sierica, oliguria e la quantità di
antibiotici necessari, prolungano il tempo di svezzamento dalla ventilazione meccanica. Oppure alla
sindrome epatorenale (HRS) che è una delle più gravi complicanze che si sviluppano nei pazienti con
cirrosi e che riporta tassi di sopravvivenza del 10% a 90 giorni dalla diagnosi. In alcuni casi il trapianto di
fegato è riuscito a far recuperare la funzione renale nei pazienti con HRS, tanto che i reni di donatori con
HRS potrebbero anche essere utilizzati per trapianto.
Ma spesso la sindrome epato-renale è associata a complicanze neurologiche che aumentano i tassi di
mortalità e la durata del ricovero dei pazienti in condizioni critiche. La cosiddetta encefalopatia uremica
sembra essere più grave e comune nell’insufficienza renale acuta. Tuttavia, poco si sa circa il
meccanismo attraverso cui le condizioni di uremia acuta causano alterazioni neurologiche. Si sa però che
l’effetto a lungo termine delle interazioni rene-cervello può persistere, probabilmente a causa di una
alterata funzione della barriera emato-encefalica o alterazioni delle cellule endoteliali progenitrici (Wu
VC, et al. In acute kidney injury, indoxyl sulfate impairs human endothelial progenitor cells: modulation
by statin. Angiogenesis 2013). Stesso discorso vale nelle interazioni rene-cuore nei pazienti con AKI. Le
sindromi cardio-renali hanno portato a molti studi clinici che hanno valutato l’impatto della disfunzione
renale sui risultati dei pazienti con insufficienza cardiaca (Cruz DN, et al. Epidemiology and outcome of
the cardio-renal syndrome. Heart Fail Rev. 2011).
Oltre al declino acuto della gittata cardiaca (sindrome di bassa gittata), la congestione renale causata da
un sovraccarico di liquidi è stata recentemente suggerita come un possibile meccanismo dell’AKI nel
fallimento cardiaco (Prowle JR, et al. Fluid management for the prevention and attenuation of acute
kidney injury. Nat Rev Nephrol. 2014). Ci si potrebbe chiedere quale ruolo può avere in questi casi il
trapianto combinato di cuore-rene (HKT), ma tale evenienza è stata fonte di notevole discordia tra
cardiologi e nefrologi negli ultimi anni. La disfunzione renale di per sé (creatinina sierica ≥ 2 mg/dL)
viene, infatti, considerata un fattore di rischio importante per morbilità e mortalità nel trapianto di
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cuore e, nei casi di insufficienza renala acuta in pazienti critici, il rischio è indubbiamente maggiore.
Inoltre, il rischio associato al trapianto cardiaco nei pazienti con malattia renale allo stadio terminale
(ESRD) è considerato da molti (anche se non da tutti), proibitivo (Kumar V, et al. To transplant a kidney
with the heart or not. That is the real question. American Journal of Transplantation 2014). Ci
potrebbero essere però altre strade, recentemente, i cambiamenti nelle dinamiche mitocondriali sono
stati segnalati per avere un ruolo nell’apoptosi cardiaca indotta da AKI, questo suggerirebbe che la
frammentazione mitocondriale da fissione può essere un nuovo bersaglio terapeutico nella disfunzione
cardiaca indotta dall’insufficienza renale acuta (Sumida M, et al. Regulation of mitochondrial dynamics
by dynamin-related protein-1 in acute cardiorenal syndrome. J Am Soc Nephrol. 2015). Insomma, è
chiaro che quando al grado di disfunzione del singolo organo si associa la disfunzione di altri organi, il
rischio di mortalità aumenta drammaticamente. E, anche se in alcuni casi il trapianto multiorgano
potrebbe rappresentare una possibile soluzione, questo studio fa capire che nelle disfunzioni
multiorgano AKI-correlate, anche il trapianto multiorgano ha dei limiti tanto che il numero dei trapianti
realizzati rimane esiguo.
Quindi, considerando che la dialisi da sola non ha ridotto in modo significativo i tassi di mortalità nei casi
di AKI nel paziente critico, il miglioramento, soprattutto in terapia intensiva, richiede sia un trattamento
specifico per il rene sia una gestione specifica degli altri organi.
Questo, secondo gli autori, deve indirizzare verso nuove strategie terapeutiche per abbassare l’alta
mortalità nell’insufficienza multiorgano AKI-correlata che rimane una condizione molto difficile da
trattare nei pazienti in condizioni critiche.
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