L`amore è tutto: è tutto ciò che so dell`amore Da

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L`amore è tutto: è tutto ciò che so dell`amore Da
Dal libro di Michela Marzano
L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore
Ed. UTET 2013
Da bambina, l’amore lo sognavo (cap.1)
Da bambina, l’amore lo sognavo. Passavo ore e ore a perdermi nelle pagine fitte di storie
perfette, oppure a giocare con le bambole che vestivo da regine e principesse. Sognavo
giorni senza crepe, come se l’armonia fosse possibile. Come se l’amore potesse riparare
tutto.
La vita non poteva accontentarsi di litigi e di fratture. Doveva luccicare. Come l’acqua
del mare in primavera.
Da ragazzina, sognavo di scrivere la storia dei miei genitori. Un “e vissero per
sempre felici e contenti” che cozzava inesorabilmente contro il grigio di quei giorni rigati
dalla malinconia.
Ero certa che un giorno avrei incontrato un uomo capace di riparare tutto. E mi
ostinavo. Non mi fermava nemmeno l’urto con il reale, quando ero costretta a tapparmi le
orecchie per coprire le urla della casa.
Mi sentivo diversa. Diversa da mamma che aveva smesso di crederci. Diversa da
papà che non ci aveva mai creduto. Diversa anche da mio fratello, che era come me, ma
aveva deciso di chiudere porte e finestre buttando via tutto l’amore.
Ero convinta che a me non sarebbe successo.
Che bastava impegnarsi.
Che con la forza di volontà si poteva vincere qualunque ostacolo.
Anche quando la tristezza mi travolgeva e in pochi attimi ero sopraffatta dall’ansia.
Ansia di prestazione e di perfezione. Ansia di diventare subito grande. Ansia di non essere
capace di meritare quell’amore gigantesco di cui, come tante altre adolescenti, riempivo le
pagine del mio diario, prendendo in prestito frasi e parole dai romanzi e dalle raccolte di
poesie che si accumulavano sul comodino.
Non cinquanta sfumature. Mille. Anzi un milione. Perché i colori pastello non bastano mai
per raccontare la fatica che si deve fare per togliere dai suoi occhi quella insopportabile
tristezza.
“E poi chi lo dice che il principe azzurro non esiste?” urlavo a mio padre, che non riusciva
proprio a capire cosa mi passasse per la testa. Cosa volevo dalla vita? Perché non mi
accontentavo di quello che già avevo?
“Va bene, sono ridicola, e allora? A te che te ne importa?”
“Quando sarai grande mi darai ragione.”
Era sempre così che finiva. Come potevo contraddirlo? Che ne sapevo io del mondo dei
grandi?
Era sempre così che finiva. Con quel dubbio che fosse lui ad avere ragione. Prima
d’incaponirmi e ricominciare tutto da capo.
Oggi lo so, tante cose che mi sono successe sono la conseguenza più o meno inevitabile
di quei pomeriggi passati a costruire reami di carta.
Quando credevo alla bacchetta magica e alla bella addormentata nel bosco.
E aspettavo solo il momento di svegliarmi tra le sue braccia, felice e contenta di
quell’amore immacolato.
Se lui e lei si incontrano, come fa lui a non capire che la risposta a tutti i suoi perché è lì,
immediatamente presente?
Oggi lo so che la vita, con le fiabe, non c’entra niente.
Che lui non può essere la risposta a tutto quello che non abbiamo avuto.
Che non c’è amore senza attesa e senza errori.
Che l’esistenza è piena di crepe.
Che non basta impegnarsi e fare il proprio dovere.
L’impegno e la volontà, con l’amore, non hanno nulla a che fare. Anzi, più ci si impegna,
più tutto va a rotoli. Perché prima o poi l’altro finisce con il rimproverarti tutto ciò che hai
fatto. Una lista infinita, piena di quello che hai detto, preteso, sperato, voluto, recriminato.
Te lo rinfaccia e se ne va via.
E tu non sai più che cosa fare, che cosa dire, che cosa pretendere, che cosa sperare, che
cosa recriminare.
Si resta soli con le proprie paure. Soli con un’altra lista, ugualmente infinita, piena di
domande senza risposte.
Che cosa avrei potuto fare di più? Dove ho sbagliato?
Oggi lo so che la vita, con le fiabe, non c’entra proprio niente. E che il “per sempre”
dell’amore è come il “per sempre” del coniglio bianco di Alice nel paese delle meraviglie:
dura un secondo. Quell’attimo in cui ci s’incontra e ci si promette tutto ciò che non si è in
grado di mantenere; quell’attimo in cui lui o lei scivolano nel vuoto che si portano dentro;
quell’attimo che può anche durare tutta la vita, “finché morte non ci separi”, davvero “per
sempre”, ma solo a patto di accettare che l’altra persona sia un oceano di dolore come
noi. Perché l’unica cosa che s condivide veramente è l’abisso in cui ci getta il desiderio.
“Quindi hai finito col dare ragione a tuo padre?” mi chiede Francesca, la mia amica
d’infanzia, che questa volta però proprio non capisce dove voglio andare a parare.
“Che c’entra? Non ho mica rinunciato all’amore. E’ sempre e solo per amore che ci si
alza la mattina e si torna a casa la sera. E’ sempre e solo per amore che si stringono i
denti e si tira avanti. E’ sempre e solo per amore che si scrive, si parla, si agisce, ci si
agita, si spera”.
”Ma di che amore parli?”
“Di quello che arriva quando non ti aspetti più nulla. E lui penetra nel tuo cuore
all’improvviso, come una bomba a scoppio ritardato.”
“Chi? Il principe azzurro?”
(libera scelta e trascrizione a cura di Giovanni Corallo)