Joe Gaetjens, l`uomo al quale riuscì l`impossibile

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Joe Gaetjens, l`uomo al quale riuscì l`impossibile
Diritto e Contaminazioni
GIUSTIZIA E LETTERATURA
Joe Gaetjens, l’uomo al quale riuscì
l’impossibile
venerdì 24 febbraio 2017
Vicari Davide Avvocato in Bologna
Dalla remota storia dell’impresa della nazionale americana di calcio, sì, proprio quella a stelle e
strisce, Davide Vicari cava con la memoria un dimenticato personaggio, protagonista nel 1950
di una epica e inaspettata sconfitta della superba Inghilterra. La rete decisiva venne segnata
da Gaetjens, haitiano che non sarebbe mai diventato cittadino U.S.A. Un immigrato che tale
rimase. E’ una storia che si gusta in un soffio e che attraversa dal verde del prato di gioco e
l’imponenza dei suoi spalti le colline e gli edifici di altri mondi. Facendoci vedere, come fosse
oggi, la miseria, l’orgoglio e la sopraffazione. Alla fine vincono i cattivi (oltre una memorabile
partita di pallone).
----------********---------Ai Campionati del mondo di calcio del 1950, che si disputano in Brasile, tra i partecipanti ci
sono due squadre tecnicamente e culturalmente agli antipodi, per tradizione e competenza di
gioco. Inghilterra e Stati Uniti.
I primi sono gli inventori della disciplina, ne hanno fondato le regole. Gli inglesi! Maestri
indiscussi, che per la prima volta si degnano di partecipare a un confronto internazionale.
I secondi sono gli allievi più scalcinati che si possa immaginare, bistrattati da tutti.
Quando si trovano di fronte, entrambe le squadre vi arrivano come seconda partita del torneo.
Gli inglesi hanno già vinto, gli americani hanno già perso la prima.
La loro partita dunque comincia come deve, con sei palle gol per i bianchi (di casacca) in poco
più di dieci minuti; hanno lasciato fuori Matthews per risparmargli fatiche inutili, ma ci sono
Wright, Finney, Mortensen, Mannion, Ramsey.
Sono tutti professionisti, mentre gli americani ne hanno uno solo, che possa dirsi tale: un certo
McIlenny, che ha giocato in terza divisione con una squadra gallese, il Wrexham, fino all'anno
prima.
E gli altri? Gli altri fanno scappar dal ridere, sono emigrati o figli di emigrati dall' Italia, dal
Belgio, dalla Germania, dall' Irlanda, dal Portogallo, dal Centro e Sud America.
C'è anche uno straniero, Joe Gatjens, un meticcio haitiano di padre belga, che ha chiesto la
cittadinanza statunitense e che non la otterrà mai: finora ha disputato due partite con la maglia
a stelle e strisce, di cui una non ufficiale. E' all'esordio.
Nella prima partita, con la Spagna, al suo posto ha giocato Craddock: gli altri dieci sono
sempre quelli, Borghi, Keough, Maca, McIlenny, Colombo, Bahr, i due Souza, amici di lunga
data ma non parenti, Pariani e Wallace, che a dispetto del nome anglicizzato è di origine
italiana.
Sono gli stessi undici che giocheranno anche l'ultima partita col Cile: del resto c'è poco da
cambiare, la rosa conta sedici elementi in tutto.
Gaetjens è sempre sorridente, sempre gentile: è di buona famiglia, peraltro troppo povera per
assicurargli sostentamento economico quando si è trasferito negli U.S.A. per seguire dei corsi
di ragioneria alla Columbia University di New York.
Si è arrangiato facendo il lavapiatti e giocando come semiprofessionista in una squadretta; la
convocazione è abbastanza inattesa e lo riempie di soddisfazione, ma il tecnico USA, lo
scozzese Bill Jeffrey, è di fatto obbligato a chiamarlo per un semplice quanto decisivo motivo:
Joe è l'unico centravanti disponibile o, meglio, è il meno peggio.
Nel resto della Selezione americana ci sono un postino, un insegnante, un autista di pompe
funebri già eroe di guerra,il portiere Frank Borghi, un ex partigiano belga, Maca, ora impiegato
in una ditta di carta da parati, un macellaio, un operaio metallurgico, Pariani, che ha rinviato il
matrimonio di una settimana per giocare i Mondiali e che racconta che la futura moglie non si è
arrabbiata troppo.
Gli inglesi attaccano per obbligo, quasi di malavoglia.
Non hanno fretta, sanno che vinceranno e che, fatto il primo gol, seppelliranno gli avversari di
alter realizzazioni.
Si sono molto lamentati per come è ridotto il campo e continuano a farlo mentre giocano,
evidenziando con gesti di stizza i rimbalzi irregolari del pallone; gli americani invece gradiscono
molto il terreno di gioco, che dichiarano essere uno dei migliori tra quelli sui quali si sono
esibiti.
Gli americani sono tutti poveracci figli di poveracci, che si difendono coi denti così come coi
denti tirano la vita e che per poterli usare, i denti, se ne sono dovuti andare da casa; il pubblico
è tutto per loro, sarà che l’Inghilterra è una pericolosa rivale del Brasile per la vittoria finale,
sarà che ci sono tre italiani, anche se nati a Saint Louis, e in Brasile ne sono emigrati tanti altri,
di italiani, sarà che questo stadio è pieno di disgraziati, sarà che per gli inglesi è difficile fare il
tifo.
Manca poco alla fine del primo tempo e quello più impostato atleticamente, Bahr, batte da fuori
area.
Williams, il portiere inglese, si muove per fermare il tiro, ma la traiettoria è deviata in tuffo di
testa da Gaetjens, che poi finisce con la faccia nel fango e non vede la rete più incredibile,
entusiasmante, meravigliosa della storia del calcio.
Diecimila persone si alzano ed urlano, urlano con tutte le loro forze: sono congestionati, felici,
in uno stato di totale esaltazione.
Gli americani tornano composti a centrocampo, si stringono la mano sorridendo; gli inglesi
imprecano non più di tanto, c'è tempo.
C'è anche Frank Borghi, però, che nella ripresa para tutto, e l' arbitro Dattilo, italiano, che nega
un rigore per un fallo di Colombo su Mortensen, ma come si fa a darlo, paisà?
E' punizione dal limite e Mullen di testa la caccia dentro.
No, Borghi intercetta e respinge.
- E' dentro - urlano gli inglesi.
- Fuori - gli americani.
Per Dattilo hanno ragione, non è gol.
Pochi minuti, poi finisce.
USA 1 - Inghilterra 0.
Il pubblico è tutto in campo, porta in trionfo Borghi e Gaetjens: sa che con questa sconfitta l'
Inghilterra, spauracchio numero uno del Brasile, è ormai eliminata.
L' Inghilterra non si riprende, viene sconfitta anche dalla Spagna e in effetti torna a casa.
Negli Stati Uniti la vittoria contro gli inglesi non ha un grosso riscontro: il soccer è poco seguito
e la Nazione sta entrando in guerra contro la Corea del Nord.
Gli inglesi invece dissimulano bene la vergogna: in un primo momento l'incredibile sconfitta
viene trasformata dai loro giornali in una vittoria per 10-1, in quanto lo 0-1 è considerato un
errore dovuto ad un refuso causato dalla distanza dei luoghi.
Quando si conosce la verità sono palpabili dapprima sconcerto e disagio, poi predomina la
stizza che traspare da piccole cose, quali l' attribuire la marcatura a Souza o non pubblicare la
foto della rete.
Gaetjens non torna negli Stati Uniti e non ne diventa cittadino: i maliziosi francesi gli offrono un
contratto e là giocherà qualche anno nelle serie inferiori.
Tornato ad Haiti disputa una partita con la nazionale della sua vera patria e perde 4-0 contro il
Messico; di lì a poco si ritira e apre una lavanderia a Port Au Prince.
L'
Isola di Hispaniola, densa di ricchezze naturali nonostante sia ispida come le montagne che la
percorrono, fu occupata ad est dagli spagnoli e ad ovest dai francesi, dando origine
rispettivamente alla Repubblica Dominicana e ad Haiti, quest'ultimo primo paese dell'America
Latina ad ottenere l'indipendenza il 31 dicembre 1803.
La terra ad Haiti è intrisa di sangue e una maledizione sembra perseguitare i suoi abitanti.
Gli indigeni che la popolavano al momento della sua scoperta si sono estinti o mescolati coi
neri importati per coltivare la canna da zucchero, il tabacco e il caffè; sotto il caldo atroce dei
tropici gli schiavi provenienti dall' Africa garantiscono una resistenza maggiore.
Dal Continente nero hanno portato le loro tradizioni e i loro riti misteriosi: l'evangelizzazione
forzata li ha condotti a sovrapporre i loro dei a quelli cristiani, facendo sprigionare l' inquietante
sintesi in cerimonie paurose, cristallizzate nella dottrina voodoo.
Le condizioni climatiche, l'incoraggiamento dei padroni e una indubbia predisposizione hanno
contribuito a mantenere elevato il numero degli individui, a dispetto dell'alto tasso di mortalità;
anzi gli stessi signori francesi, attratti dalle grazie delle giovani nere, hanno contribuito ad
incrementare la popolazione di un considerevole numero di mulatti.
Prima della Rivoluzione Francese le rivolte e le fughe erano all' ordine del giorno ed erano
risolte con oscena brutalità dai proprietari terrieri e dalle forze dell'ordine; le torture erano così
efferate che i ribelli, preventivamente, se catturavano qualche bianco gli riservavano la stessa
orribile sorte.
Quando le sommosse erano domate, l'unica salvezza consisteva nel rifugiarsi sulla Cordigliera,
sconfinando nel territorio spagnolo e dando vita a comunità quasi primitive nelle quali
convenivano fuggiaschi da tutta l' isola.
Le idee di libertà, uguaglianza e fraternità provenienti dalla Madre Patria causarono speranze
ed eccitazione dapprima nei sangue misto, poi anche tra la popolazione di colore, o meglio tra
le sue frange più evolute.
I cambiamenti successivi, col primo generale Bonaparte e la sua difesa del Nuovo contro la
Restaurazione, provocarono nelle colonie uno scombussolamento tale che le ribellioni e i
massacri diventarono la normalità.
L'eroe nazionale, Toussaint Louverture, un colto ex cocchiere diventato un invincibile
Napoleone nero, diede al suo popolo (combattè sia i bianchi sia i mulatti) libertà e
indipendenza; tradito, fu preso prigioniero e finì i suoi giorni in un gelido carcere nelle
montagne francesi al confine con la Svizzera.
Guerre, deportazioni, espulsioni dall'isola continuarono fino al 1805, quando l'efficiente
generale Dessalines ordinò e mise in pratica lo sterminio di tutti i bianchi presenti ad Haiti; chi si
salvò dalla pulizia etnica lo fece fuggendo e perdendo ogni suo avere.
Lo Stato, diventato interamente nero, non seppe sfruttare le risorse del territorio e l'economia
nazionale precipitò in quel profondo declino dal quale non si è mai più risollevata.
Haiti è ed era e forse sempre sarà un' isola di pezzenti, malvisti e disprezzati anche dai vicini
della Repubblica Dominicana, certo non granchè più benestanti ma senz'altro preoccupati dagli
eccessi della dominazione negra, che patirono svariate volte nel corso del 1800.
Negli anni '30 del secolo successivo almeno ventimila haitiani che avevano sconfinato in cerca
di sopravvivenza vennero eliminati con forca, fuoco e machete dall' esercito e dai volontari civili
dominicani.
Per distinguerli dai neri locali si dice che, prima di giustiziarli, i soldati facessero loro nominare
la parola perejil, prezzemolo: chi non la nominava bene (ovvero la pronunciava con accento
francese) veniva decapitato.
Joe Gaetjens è nato in questo momento storico, il 19 marzo 1924.
Suo padre, come detto, era belga, la madre nera.
Joe ha girato il mondo, è stato felice, cordiale com'era.
E' tornato a casa e ha trovato i Tontons Macoutes, gli eredi degli sterminatori del secolo prima,
la polizia segreta del dittatore Duvalier, Papa Doc.
Non si era mai occupato di politica, ma i suoi fratelli sì: e chi si occupa di politica non può dire
bene di Duvalier.
L' hanno ammazzato nel luglio 1964, forse il 10: hanno ucciso un simbolo, una persona per
bene che aveva sempre anteposto la correttezza a ogni vantaggio.
In gioventù una volta aveva restituito il salario di calciatore perchè aveva giocato male; durante
la sua vita aveva sempre aiutato i bisognosi, pur non essendo mai stato ricco.
A lui bastavano piccole cose, il ricordo del Maracanà, coltivare le rose nel giardino, la moglie e i
figli.
Dicono che a un Tonton interessasse la sua lavanderia, dicono che un suo fratello avesse
partecipato ad un attentato...
Nel 2000 il governo haitiano ha emesso un francobollo in suo ricordo.
I Duvalier non ci sono più, la miseria e la desolazione sono rimaste.
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