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Il libro - pro e contro
Ma l'avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché Margaret Mazzantini
ha scritto un coraggioso romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra.
La pace è l'aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e
oltraggiosa. L'assedio di Sarajevo diventa l'assedio di ogni personaggio di questa vicenda di
non eroi scaraventati dal calcio della Storia in un destino che sembra in attesa di loro come un
tiratore scelto. Il cammino intimo di un uomo e di una donna verso un figlio, il loro viaggio di
iniziazione alla paternità e alla maternità diventa un travaglio epico, una favola dura come l'ingiustizia, luminosa come un miracolo.
Dopo Non ti muovere, con una scrittura che è cifra inconfondibile di identità letteraria, Margaret
Mazzantini ci regala un romanzo-mondo, opera trascinante e di forte impegno etico, spiazzante
come un thriller, emblematica come una parabola. Una catarsi che dimostra come attraverso
tutto il male della Storia possa erompere lo stupore smagato, sereno, di un nuovo principio. Una
specie di avvento che ha il volto mobile, le membra lunghe e ancora sgraziate, l'ombrosità e gli
slanci di un figlio di oggi chiamato Pietro.
Circolo di
l'umanità degli uomini e delle donne che racconta. Il sospetto che ci sia troppo
di tutto, in questo libro più ancora che negli altri precedenti, sembra lecito. Non
di meno, il lettore di mestiere noterà che questo racconto sovreccitato, carico
di allegorie transitive, personaggi in cui non è tuttavia impossibile una qualche
identificazione, e immagini anche crudeli, può anche piacere.
lettura
“E. Baldoni”
Il libro passa le cinquecento pagine durante le quali l’autrice riesce addirittura a rivelarci che
la guerra esiste, la gente muore, e a Sarajevo c’erano i cecchini che sparavano. Sorprendente!
Davvero! Dopo averlo saputo non saremo più gli stessi, così come ci cambierà la vita riconoscere che prima della guerra Sarajevo era una città diversa e ci si innamorava, mentre dopo si
moriva, e nelle strade si poteva capitare sotto il tiro di un cecchino che si divertiva a non uccidere subito, ma a ferire le sue vittime. E’ qui che c’è la grande liberazione catartica dovuta
all’apparizione della verità: l’uomo è sadico, bastardo, e un filino stronzo. Ma va? Da tempi della
preistoria erano tutti convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili tra cherubini svolazzanti e
sorridenti? Se avete dei dubbi non temete ora c’è l’autrice che ci informa che l’uomo è cattivello, e bisogna prestare molta attenzione, ci apre gli occhi alla verità. Lo stile? Forse si salverà lo
stile? Da escludere: prolisso, lento, zuccheroso, fa venire il diabete.
Qualche esempio: «…crostacei, cozze alla buzara, con aglio e pan grattato, e quel formaggio
saporito fatto con il latte di capre che brucano gli arbusti sulle rocce. E caraffe di vino locale».
«Resta, s’infila dentro. Come mare che ha viaggiato e violentemente si ricongiunge a se stesso.
Scava indietro negli anni trascorsi per scolarsi il buco del tempo nella gola impudica di questo
sguardo straziante e gioioso» e infine: «a cinquantatré anni è facile pisciare lacrime incontinenti»
24 settembre 2009
L’autrice
Figlia dello scrittore Carlo Mazzantini e di una pittrice irlandese, Margaret Mazzantini è
nata il 27 ottobre del 1961 a Dublino (Irlanda). Vive a Roma dove alterna la passione
per la letteratura al suo lavoro di attrice sia teatrale che cinematografica. Si è infatti
diplomata all'Accademia nazionale d'arte drammatica nel 1982. Nello stesso anno, ha
esordito sul palcoscenico interpretando "Ifigenia" nell'omonima tragedia di Goethe.
Seguiranno altre importanti produzioni, sempre all'insegna di testi fondamentali, come
"Tre sorelle" di Cechov (1984-85), "Antigone" di Sofocle (1986), "Mon Faust" di Paul
Valéry (1987, con Tino Carraro), "Bambino" (1988) di Susan Sontag e "Praga Magica"
di Angelo Maria Ripellino (1989).
Notevole anche la sua presenza sulla scena cinematografica, abbastanza sorprendente se si considera che la Mazzantini è una scrittrice di sentimenti, malgrado i suoi
temi sappiano anche essere forti come un pugno nello stomaco (com'è il caso del
penultimo libro "Non ti muovere", e anche di quest’ultimo).
La troviamo in pellicole "serie" come "Festival" di Pupi Avati (1996) ma anche in pellicole scanzonate come "Il barbiere di Rio" (1996) di Giovanni Veronesi (a fianco di
Diego Abatantuono) e "Libero burro" del marito Sergio Castellitto.
Già nel periodo 1992-93, fra l'altro, sempre assieme a Castellitto, ha interpretato "A
piedi nudi nel parco" di Neil Simon.
Nel 1995 il compagno la dirige nella pièce "Manola", da lei scritta e interpretata, insieme all'amica Nancy Brilli. La commedia viene replicata con successo anche nel 1996
e nel 1998. Scrive poi "Zorro. Un eremita sul marciapiede ", diretto e interpretato
dall'inseparabile marito.
Con il suo romanzo d'esordio, "Il catino di zinco" (1994), ha vinto il Premio Selezione
Campiello e il Premio Opera Prima Rapallo-Carige.
Il suo libro "Non ti muovere" (2001) ha vinto il Premio Strega, sbaragliando i concorrenti e divenendo uno dei più clamorosi e salutari casi letterari degli ultimi anni.
Del 2004 è il suo ultimo lavoro: "Zorro ".
Il libro (“Venuto al mondo”)
In questo romanzo di oltre cinquecento pagine ci sono passi come questo: “Da questa
collina gli sniper sparavano, giocavano con le loro vittime, colpivano una mano, un
piede… Alcuni miravano ai testicoli, a una tetta, avevano tutto il tempo di uccidere,
così prima si divertivano un po'. Per me era come sparare sui conigli, disse uno di loro
in un'intervista. Non si sentiva colpevole, non capiva nemmeno perché ci fosse tutto
quell'interesse intorno a lui, non era pazzo o sadico o altro. Aveva semplicemente
perso il senso della vita. La pietà muore insieme al primo che uccidi. Era morto anche
lui, per questo sorrideva. Sulla via del ritorno chiamo Giuliano. Cammino incollata al
cellulare con un dito nell'altro orecchio, perché adesso c'è traffico, puzza, rumore.
'Amore'. 'Amore'”.
In una dozzina di righe si parla di amore e di pietà, del senso della vita e di morte. La
sintassi è rapida, e intanto la lingua impiegata non si priva di studiato eccesso nell'aggettivazione. Dandone conto su “La Repubblica”, Franco Marcoaldi ha parlato di
“coraggiosa generosità”; che è una maniera, a sua volta generosa, per indicare lo
sconcerto che il lettore può provare di fronte a una prosa del genere. Questo è forse
uno dei punti di questo libro, il più ampio nella produzione di Mazzantini. Qui non ci si
rivolge all'utenza, peraltro in diminuzione, dei lettori colti. La scrittrice romana
sembra pensare a un pubblico più vasto, quello magari dei due milioni di lettori
che si appassionarono a Non ti muovere, con cui vinse lo Strega sei anni fa. A
questo, che è davvero il lettore comune, vanno a genio i temi grandi: quelli letti
nel breve estratto citato sopra e il tema tipico di tutta la produzione di Mazzantini, che è la maternità. Di maternità e, più in genere, di genitorialità si occupa
molta narrativa italiana di successo degli ultimi tempi. Rispetto agli altri autori,
però, la Mazzantini presenta una differenza evidente: è donna e madre.
A questo si affianca un altro dato di realtà: la presenza nella sua vita di un
padre come Carlo Mazzantini, personaggio simbolico della storia d'Italia. E in
Venuto al mondo si parla proprio di maternità e di storia.
Il racconto si sviluppa come un lungo flash-back, un racconto di ricordi di
Gemma, ora donna cinquantenne che vive a Roma, madre di un figlio, Pietro,
e sposata a un ufficiale dei Carabinieri, Giuliano.
Gemma, all'inizio del romanzo, riceve una telefonata da Sarajevo. È Gojko,
amico bosniaco conosciuto nel 1984, ai tempi dell'Olimpiade invernale. Lì si
sta allestendo, dice Gojko, una “mostra per ricordare l'assedio” (testuale), e
nella mostra ci sono foto di Diego, primo marito e grande amore di Gemma,
oltre che padre di Pietro, suo unico figlio e compagno sulle prime giustamente
scettico di questo viaggio a ritroso nella vita della madre. La storia fra la giovane studentessa italiana e il fotografo slavo è un colpo di fulmine cui si sovrappongono intanto gli eventi della guerra, poi il conseguente bisogno di fuga,
infine la sterilità di lei – e insieme la necessità di essere madre.
Fallita ogni sorta di tentativo, Gemma ricorre alla soluzione più cruenta che
possa immaginarsi per una donna desiderosa di maternità: fa concepire suo
figlio a un'altra donna, che si accoppia al marito. Si chiama Aska, è una trombettista punk di Sarajevo tanto più tragica in quanto, paradosso della scrittura
d'invenzione, del tutto inverosimile. La madre per procura viene retribuita e la
coppia torna a Roma, ma Diego non sopporta il rientro alla normalità. La guerra è diventata un'esigenza e Gemma, moglie fedele, non può non seguire il
suo uomo. Diego, sarà inutile aggiungerlo, muore, e il romanzo si chiude su
un gruppo di famiglia in un interno, con Giuliano (nuovo compagno di vita) e
Pietro, il figlio di un desiderio forse colpevole. Come si vede, il romanzo è affollato di temi e di persone: perché Mazzantini ha un buon talento nel rendere