Iniziative Lana - Liceo Classico D`Azeglio

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Iniziative Lana - Liceo Classico D`Azeglio
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BIBLIOTECA “LEONE GINZBURG”
Perché intitolare la biblioteca del Liceo D’Azeglio a Leone Ginzburg?
Perché il nome di Leone è legato indissolubilmente alla nostra scuola e alla nostra biblioteca. Negli
anni tra il 1924 e il 1927 in cui, studente del corso liceale A (dove aveva come compagni Norberto
Bobbio e Giorgio Agosti), frequenta il D’Azeglio, Leone aiuta il professor Monti, docente di
italiano nel corso B e bibliotecario, nel servizio settimanale in biblioteca. È lui a far conoscere libri
importanti ai suoi compagni: Vittorio Foa ricorda, parlando a Carlo Ginzburg, che proprio suo padre
Leone gli aveva messo in mano il “Breviario di estetica” di Benedetto Croce, libro che la nostra
biblioteca ancora conserva.
“La biblioteca degli studenti, diretta appunto da Monti, è un primo punto d’incontro. È Leone a
consigliare la scelta dei libri: egli suggerisce ai compagni la lettura dei libri di Croce. Intorno a
Monti e tra gli allievi delle due classi si costituisce la “confraternita”, come più tardi la chiamerà
Massimo Mila, degli allievi del D’Azeglio.” (Luisa Mangoni, prefazione a Leone Ginzburg, Scritti,
Einaudi, p. LXVIII)
Leone nasce ad Odessa nel 1909, terzogenito di una famiglia ebrea di commercianti e industriali. La
famiglia è solita trascorrere le vacanze in Italia, in Versilia, ed è a Viareggio che nel 1914 la coglie
la notizia dello scoppio della prima guerra mondiale. Leone non tornerà più in Russia. Dopo i primi
anni trascorsi tra Viareggio e Roma, e dopo aver frequentato le scuole elementari, nel 1919 Leone si
trasferisce con la famiglia a Torino, per seguire il fratello Nicola, iscritto al Politecnico. Leone
frequenta il ginnasio al Gioberti. Poi, dal 1921 al 1923 è a Berlino, dove studia alla scuola russa.
Tornato a Torino, si iscrive al D’Azeglio, rivelandosi uno studente molto dotato.
“Pur avendo poco più di quindici anni non era un ragazzo come tutti gli altri (..) metteva soggezione
e incuteva rispetto (…) Aveva una buona pronuncia, assai migliore della nostra (…) parlava adagio,
ma era come se scrivesse; parlava insomma, noi dicevamo, come un libro stampato. Quando Cosmo
(il suo insegnante di italiano), che lo rivelò e ne fece il capoclasse, rivolgeva qualche domanda a
tutta la scolaresca, sapevamo benissimo che Leone ci avrebbe tolto d’imbarazzo: alzava la mano, e
rispondeva per tutti, quasi sempre con una precisione che suscitava il compiaciuto consenso del
professore e l’ammirato stupore dei compagni. Componeva con facilità.” (Norberto Bobbio,
introduzione a Leone Ginzburg, Scritti, Einaudi, pp. XLVII-XLI)
Leone comincia, negli anni liceali, a scrivere racconti, traduce “Taras Bulba” di Gogol, inizia la
traduzione di “Anna Karenina”, collabora al “Baretti”.
Nel 1927 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma nel 1928, dopo aver sostenuto alcuni esami, si
trasferisce a lettere dove si laurea nel 1932 con una tesi di letteratura francese su Maupassant.
Intanto si è avvicinato agli ambienti dell’antifascismo, grazie a compagni e professori. Partecipa
attivamente alle riunioni degli ex-dazeglini col professor Monti. Molti suoi amici nel 1929 sono
arrestati per aver firmato una lettera di solidarietà a Croce, duramente attaccato da Mussolini e
definito “imboscato della storia” perché aveva pronunciato in Senato un discorso contro i Patti
Lateranensi. Ginzburg però quella lettera non l’aveva firmata, forse perché non d’accordo sulla sua
formulazione, forse perché, come apolide, preferiva non dedicarsi direttamente all’attività politica.
Le sue posizioni contrarie al regime erano però nette: Bobbio ricorda che “quando venne a Torino,
il suo giudizio sul regime era già dato e scontato. L’ambiente torinese, in cui si trovò a vivere e con
cui prese a poco a poco contatto, contribuì a rafforzarlo e precisarlo.” (Norberto Bobbio, id., p. LIX)
Tramite i professori Cosmo e Monti, Leone era venuto, in particolare, a contatto con la tradizione
gobettiana.
Leone ottiene la cittadinanza italiana nel 1931: a partire da quel momento la sua attività di uomo di
cultura (è collaboratore delle rivista “La cultura” e di altre riviste, traduttore dal russo) si
accompagna a quella di convinto antifascista. Nel 1932 è a Parigi, per approfondire i suoi studi, e ne
approfitta per allacciare rapporti con i fuoriusciti antifascisti; nell’estate, a Torino, è fra gli
animatori del gruppo clandestino di Giustizia e Libertà.
Nel dicembre 1932 ottiene la libera docenza in letteratura russa, cui dovrà rinunciare quando, nel
gennaio del 1934, sarà esteso ai liberi docenti l’obbligo del giuramento di fedeltà al regime, che
Leone rifiuta di prestare. Intanto, nel novembre del 1933, è iniziata l’avventura della Giulio Einaudi
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editore, casa editrice fondata da tre ex-dazeglini: Giulio Einaudi, Cesare Pavese e lo stesso Leone
Ginzburg.
Nel 1934 il gruppo torinese di GL è decimato dagli arresti della polizia fascista: finiscono in carcere,
oltre a Leone, Augusto Monti, Giuseppe Levi (il padre di Natalia, futura moglie di Leone), Carlo
Levi. Leone viene condannato dal Tribunale speciale a quattro anni di reclusione: rimarrà in carcere,
a Civitavecchia, fino al marzo del 1936. Rilasciato, sorvegliato speciale, gli viene impedita ogni
collaborazione a giornali e riviste. Si dedica allora, con Pavese, a tempo pieno all’attività editoriale
per la casa editrice Einaudi.
Nel 1938 sposa Natalia Levi da cui ha tre figli, Carlo, Andrea, Alessandra.
In conseguenza delle leggi razziali gli viene revocata la cittadinanza italiana e, dopo lo scoppio
della guerra, viene confinato in un piccolo paese degli Abruzzi, Pizzoli, dove vive con la famiglia
dal 1940 al 1943, continuando, tra enormi difficoltà, il lavoro editoriale.
Caduto il regime fascista è a Roma dove prende contatti con esponenti del Partito d’Azione, erede
di GL. Il 27 agosto 1943 partecipa a Milano alla fondazione del Movimento Federalista Europeo
con Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Vittorio Foa, Franco Venturi.
Tornato a Roma, entra in clandestinità dopo l’otto settembre e l’occupazione tedesca di Roma. Cura
la pubblicazione del giornale clandestino “L’Italia libera”, organo del Partito d’Azione. E nella
tipografia in via Basento 22, dove si stampa il giornale, viene arrestato il 20 novembre. Trasferito a
Regina Coeli e riconosciuto, viene consegnato ai tedeschi e torturato (durante gli interrogatori gli
viene fratturata la mascella). Sandro Pertini ricorda di averlo visto pesto e sanguinante e racconta
che Ginzburg gli avrebbe detto che “non bisognerà, in avvenire, avere odio per i tedeschi.”
Alla fine di gennaio è trasferito nell’infermeria del carcere dove muore nella notte tra i 4 e il 5
febbraio 1944.
Leone Ginzburg, in 35 brevi e intensissimi anni di vita, considerando anche i periodi di isolamento
trascorsi in carcere e al confino, ha saputo essere un intellettuale a tutto tondo, un suscitatore di
cultura e di idee: i suoi scritti e le sue traduzioni hanno ancora un valore ai nostri giorni; la casa
editrice Einaudi ancora oggi si riconosce in lui, nelle sue scelte editoriali, nel suo progetto di “fare
bene i libri”; conservano tutto il loro valore le sue posizioni politiche, emblematica l’adesione al
progetto del Movimento Federalista Europeo, nella direzione di un’unità europea di cui ancora oggi
si sente più che mai l’urgenza.
Ma di Leone vogliamo ricordare soprattutto l’amore per i libri, lo scrupolo con cui correggeva le
bozze, i progetti di collane editoriali e di nuove pubblicazioni. Perché un libro “buono” che passa di
mano in mano diffonde idee “buone”. I “buoni” libri sono strumenti per pensare e diventano quindi,
necessariamente, strumenti politici. Libri ben fatti, con serietà e scrupolo filologico: “Non crediate
che le Vostre edizioni si vendano perché lo Struzzo è simpatico alla gente: si vendono perché sono
accurate e leggibili: quando ci siano libri mezzi corretti e mezzi scorretti, quando il rispetto del
lettore venga meno, il lettore Vi abbandonerà”, scrive Leone a Giulio Einaudi il 27 ottobre 1941.
Libri che trasmettono, tutti, implicitamente un messaggio civile, come quelle lezioni al D’Azeglio
negli anni Venti dove non si parlava direttamente di politica, ma si insegnava a leggere gli autori e a
ragionare con la propria testa contro ogni faciloneria e ogni forma di malafede.
“Le sudate carte a cui con tanta passione si era dedicato fin dalla metà degli anni Venti, poco più
che adolescente, erano state per Leone anche, soprattutto, una scuola di vita.” (Angelo d’Orsi, “Un
suscitatore di cultura”, in “L’itinerario di Leone Ginzburg” a cura di Nicola Tranfaglia, Bollati
Boringhieri, p. 111)
Bobbio conclude la sua introduzione agli Scritti di Leone con il tono del rimpianto, della nostalgia e
di un certo pessimismo: “Ma Leone è morto senza dire la sua ultima parola, senza dire addio a
nessuno, senza concludere la sua opera, senza lasciarci un messaggio.” (Id., p. LXV) A noi pare,
invece, che il messaggio ci sia, forte e chiaro: basta prendere in mano un libro, ad esempio Anna
Karenina di Tolstoj, tradotto da Leone e con prefazione di Natalia, ancora pubblicato da Einaudi,
attualmente nella collana Einaudi tascabili, e anche un giovane d’oggi, uno studente del suo
D’Azeglio, ritrova qualcosa di lui, le sue parole, il suo amore per la letteratura e la cultura.