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Scarica il N.1 della rivista in PDF - Rivista Rocca
Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Perugia
€ 2.70
01
1 gennaio 2017
Cuba
dopo Fidel Castro
post referendum
e adesso?
ecologia
la corsa
delle rinnovabili
Rapporto Censis
la fiducia/sfiducia
degli italiani
criopreservazione
umani
in sospensione
Ora di religione
alla ricerca
di una terza via
Rocca 2016
indice per tematiche
i nodi reali dell’economia
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
ISSN 0391 – 108X
Rocca
sommario
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1 gennaio
2010
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Ci scrivono i lettori
52
Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Vignette
Il meglio della quindicina
54
Maurizio Salvi
Cuba
Dopo la morte di Fidel Castro
56
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
Il lavoro che uccide
57
Roberta Carlini
Economia
Nodi reali e soluzioni concrete
58
Ritanna Armeni
Dopo il referendum
E adesso?
58
Fiorella Farinelli
Rapporto Censis
A chi, a cosa gli italiani danno più fiducia
59
Oliviero Motta
Terre di vetro
Invidie
59
Rocca 2016
Indice per Tematiche principali
Flavio Pajer
Ora di religione
Alla ricerca di una terza via
Pietro Greco
Cambiamenti climatici
La corsa delle rinnovabili
Giovanni Sabato
Criopreservazione
Umani in sospensione
Claudio Cagnazzo
Società
L’epopea di Renzi
Marco Gallizioli
Che cos’è la religione
Naciketas: «attraversamento» e «ricerca
della verità»
Lidia Maggi
Spezzare le catene
Una storia delle politiche suicide
Carlo Molari
Teologia
Lutero cattolico, strade attuali dell’ecumenismo
60
60
61
62
63
Stefano Cazzato
Maestri del nostro tempo
Georges Bensoussan
Memoria varia
Ilenia Beatrice Protopapa
Nuova Antologia
Alain de Botton
E che il vuoto resti vuoto per sempre...
Enrico Peyretti
Fatti e segni
Come l’ago della bussola
Paolo Vecchi
Cinema
Per mio figlio
Roberto Carusi
Teatro
I fili spezzati
Renzo Salvi
Rf&Tv
Selfie
Mariano Apa
Arte
Soffici
Michele De Luca
Fotografia
Fotografia in trincea
Alberto Pellegrino
Fotografia
Steve McCurry
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Sempre connessi?
Libri
Carlo Timio
Rocca schede
Organizzazioni in primo piano
Miga (Agenzia multilaterale di garanzia degli
investimenti)
Luigina Morsolin
Fraternità
Per il Togo una «Casa della Misericordia»
ORA DI RELIGIONE
alla ricerca
di una terza via
Flavio
Pajer
L
’ora di religione è sotto processo.
Non è una novità. Da anni si susseguono dibattiti pro e contro l’ordinamento concordatario vigente.
Dibattiti spesso inconcludenti, a
volte controproducenti, perché le
barricate finiscono per cristallizzare le posizioni e trascinare nel discredito, se non
nel ridicolo, un problema serio che si gioca
sulla pelle di milioni di ragazzi. Solo una
cifra: dalla scuola italiana escono ogni anno
un milione di alunni pressoché analfabeti
dal punto di vista religioso; vent’anni fa erano mezzo milione. E questo perché l’unica
offerta di cultura religiosa – limitata alla
sola religione cattolica – funziona tuttora,
come si sa, sull’improvvido principio del
«prendere o lasciare». E molti lasciano, effettivamente: ne hanno il diritto. Che diventa di fatto un diritto all’analfabetismo religioso. Di fronte al quale la scuola dovrà pur
riconoscere, prima o poi, la sua parte di
complicità, e lo stato la sua parte di latitanza. Né la chiesa di maggioranza potrà ignorare più a lungo la macroscopica crescita
della diversità religiosa nella società italiana. E allora un interrogativo è d’obbligo: di
quale «religione» hanno bisogno i ragazzi
per vivere nella presente e futura società?
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i patti diplomatici concordatari?
I patti diplomatici di trent’anni fa non bastano più. Le soluzioni educative uscite da
quei patti meno ancora. D’altronde l’ipotesi opposta, quella di scardinare radicalmente l’intero sistema, azzerandolo, non appare ragionevolmente plausibile. Tra l’immobilismo di chi resiste sullo status quo e l’avventurismo degli abolizionisti o di chi vor34
rebbe ripartire da zero, resta da vagliare,
in primo luogo, se il profilo di istruzione
religiosa preconizzato dalla revisione concordataria abbia davvero espletato tutte le
sue potenzialità, e, in secondo luogo, se
accanto e oltre la logica concordataria non
sia arrivato il tempo, anzi l’urgenza, per lo
stato di assumere una più piena e autonoma responsabilità in fatto di alfabetizzazione dell’intera popolazione scolastica sull’universale esperienza simbolico-religiosa
dell’uomo, intesa in termini di antropologia (inter)culturale, di storia, di etica comparata, prima che in chiave di teologie confessionali.
Serve dunque trovare, in positivo, una terza
via. Un primo spunto costruttivo ce l’offre
il pedagogista Lino Prenna, che, in due sue
recenti pubblicazioni, propone un ricco itinerario pedagogico-didattico, declinato sulle tre tradizioni abramitiche, teso a dilatare e scolarizzare pienamente un discorso
religioso organico che la normativa concordataria non poteva che limitare alla tradizione cattolica. La sua premessa è chiara:
«Non si tratta di togliere al concordato quello che c’è, ma di aggiungere ciò che manca» (1). Può sembrare l’uovo di Colombo,
ma è proprio nel cercare di arricchire l’attuale profilo di Irc di quanto gli manca – e
quindi nell’oltrepassarlo senza annullarlo –
che potrebbe consistere un primo modo
concreto per rimediare alle gravi carenze
dell’attuale normativa. Promuovere fino alle
sue ultime potenzialità l’inconcluso progetto di cultura religiosa inaugurato con la revisione concordataria e le successive intese: questa, sembra anche a noi, una parte
rilevante della sfida che attende la scuola
italiana nell’immediato avvenire.
Ma un secondo modo complementare,
meno diretto perché più teso a cambiare la
mentalità prima che la prassi, è quello di
passare in rassegna critica alcuni termini
chiave del nostro discorso, e più precisamente alcuni binomi su cui da trent’anni
regge gran parte del nostro dire e del nostro fare in ambito di istruzione religiosa.
Si pensi alla ricorrenza standardizzata,
quasi ossessiva, di alcuni classici binomi
tanto familiari non solo nel discorso popolare ma codificati anche nel linguaggio legislativo: Stato e Chiesa, alunni credenti e
non credenti, scienze teologiche e non teologiche, approccio confessionale e approccio culturale… Sembrano i versanti di un
mondo tagliato in due. Quasi un aut-aut alla
stregua di un referendum, dove vige il principio del tertium non datur. A ben vedere, si
tratta invece di realtà, di istituzioni, di processi più o meno interfacciati, la cui bipolarità o apparente antitesi dovrebbe lasciar
spazio invece a nuove sintesi, a un tertium
che sdogana i concetti ingessati.
oltre il binomio Stato-Chiesa
Esemplifichiamo con alcuni casi concreti.
Il primo dei binomi sopra citati, Stato-Chiesa, rappresenta la struttura cardine dei due
poteri coinvolti finora nella definizione e
gestione dell’Irc. In Italia sembrava pacifico finora che solo la Chiesa avesse in mano
le leve del sapere religioso da somministrare
nella scuola nonché le leve delle scienze
teologiche per la formazione dei suoi insegnanti, mentre sembrava altrettanto scon-
tato che lo Stato non avesse nulla da eccepire e nulla da offrire in merito a tali saperi. In realtà – è quasi superfluo ricordarlo –
c’è una terza autorità che emerge e che può
influire non poco nel ridisegnare il profilo
del sapere religioso funzionale alla scuola:
è l’Università, sia essa ecclesiastica o statale, che anche sul «fatto religioso» sviluppa
ricerca, collauda metodi, analizza fenomeni, interpreta testi sacri, e produce quel tipo
di saperi alti, teologici e non teologici, cui
non possono non ispirarsi ovviamente i
contenuti di cultura religiosa da articolare,
opportunamente mediati, nei programmi
didattici della scuola e nei curricoli formativi per l’abilitazione degli insegnanti. Un
terzo potere autorevole, dunque, quello
accademico o scientifico, come interlocutore autonomo del binomio Stato-Chiesa
(e/o altre organizzazioni religiose e filosofiche): quanto dire che un programma di
istruzione religiosa nella scuola pubblica
non può assecondare gli interessi di rapporti diplomatici tra potere civile e religioso se prima non interpella anche e anzitutto questo terzo polo. Che offre i suoi prodotti culturali sia in termini di razionalità
teologica o credente (scienze sacre in università di chiesa), sia in termini di razionalità scientifica o empirica (scienze della religione, in università di stato).
Nasce di qui la possibilità di una terza via
per superare appunto, nella scuola, sia l’unilateralità del discorso teologico con la sua
pretesa confessionale di essere «conforme
alla dottrina della Chiesa», sia l’unilateralità delle varie scienze della religione, ognuna gelosa di una intrinseca oggettività o
neutralità, che mal si conciliano con i più
ampi bisogni educativi, e non solo cogniti-
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punti chiave
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MASS MEDIA
vi, dell’alunno minorenne. Elaborare qui
un discorso religioso funzionale alla scuola significa fare onestamente i conti anzitutto con i diversi regimi di verità
religiosa (empirica, storica, mitologica, etica, simbolica, teologica…), tutti legittimi
ma anche tutti relativi; e significa poi creare una nuova grammatica del religioso, che
non escluda più i saperi teologici delle diverse fedi sotto pretesto che «non sono veri
saperi razionali», e che non escluda nemmeno i saperi positivi e antropologici sulla
religione sotto pretesto che non sono «in
conformità con la dottrina della Chiesa».
iniziazione antropologica
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Si tratterebbe in fondo di una iniziazione
pedagogica alla religione intesa come apertura preconfessionale alla dimensione trascendente dell’essere, della storia, della vita
(2). Scienze teologiche (inclusive ovviamente delle teologie non cattoliche e non cristiane) e scienze della religione possono
convergere, e anzi dialogare, proprio nel
momento didattico in cui i giovani alunni,
aprendosi alla vita, ne scoprono il ricco
universo simbolico-religioso, nella diversità di linguaggi, morfologie, messaggi. L’ideale è che nel quadro di questo universo ogni
alunno possa anche approfondire, in termini culturali appropriati, la conoscenza della tradizione religiosa cui è eventualmente
affiliato, ed affinare quindi anche la propria identità nel confronto vivo con le diverse identità dei suoi compagni.
Qui ci imbattiamo in un’altra endiadi congelata, che merita sciogliere: alunni credenti e non credenti, identificati talora impropriamente con gli avvalentisi e i non avvalentisi. Nulla di meno esatto, e di meno rispettoso: dovrebbe apparire quanto meno
improprio e superficiale usare queste attribuzioni nel contesto dello spazio pubblico
della scuola. Ogni alunno, credente o diversamente credente, entra a scuola anzitutto
in forza della sua identità di persona/cittadino, identità che lo integra, con pari dignità e pari diritti e doveri, in quella minisocietà che è il gruppo-classe o più ampiamente la comunità scolastica. Ma in quanto persona ogni alunno non lascia – non
deve lasciare – alla porta della scuola le sue
irrinunciabili radici culturali, gli effetti della
educazione familiare già in atto, e molto
spesso anche una identità religiosa in ger36
me. Quest’ultima può costituire certamente
una discriminante non secondaria ai fini
di un’educazione integrale, ma nondimeno, in una società multiculturale, in compresenza di identità religiose diverse in uno
spazio pubblico come la scuola, l’identità
religiosa non può assurgere a criterio distintivo (tendenzialmente discriminatorio)
di gestione del curricolo di studi, pena l’ovvia dispersione dei gruppi-classe in un ingestibile frazionamento, senza contare poi
che vanno moltiplicandosi non solo le identità propriamente denominazionali ma anche le tendenze di varia spiritualità, di
umanesimi secolari, di agnosticismo. La
scuola quindi accoglie la persona degli alunni nella loro comune identità di cittadini
(sia pur minorenni), senza ignorare nel contempo le loro personali legittime connotazioni culturali, tra cui l’eventuale appartenenza religiosa o non religiosa, sia essa dichiarata o meno.
Se non compete alla scuola una diretta intenzionale educazione al credere, le compete certamente una alfabetizzazione e una
iniziazione antropologica al fatto religioso,
pensata per la totalità degli alunni, e finalizzata a maturare una visione informata,
critica, comparativa dell’universale esperienza religiosa. In questo la scuola persegue quel detto del card. Martini quando
ebbe a dire che «l’umanità non la distinguo
tra credenti e non credenti, bensì tra pensanti e non pensanti». D’altronde si capirà
sempre meno il fatto che la scuola pubblica prediliga di soddisfare il diritto di istruzione religiosa richiesta dalla frazione maggioritaria dei credenti e non si curi altrettanto dell’altra frazione – diversamente credente, di diversa spiritualità, o di matrice
agnostica – che, in regime di compiuta laicità e democrazia, dovrebbe comunque
poter trovare a scuola le condizioni per soddisfare lo stesso diritto.
l’approccio sistemico
Entrando poi nell’ambito della didattica, la
letteratura pedagogica e la prassi ci consegnano un altro luogo comune, quello costruito sull’alternativa tra «approccio confessionale» e «approccio culturale». Binomio alquanto impertinente, come se, a rigor di termini, l’approccio confessionale o
catechistico non avesse sempre e intrinsecamente anche una sua portata culturale,
e come se l’approccio culturale potesse fare
a meno di elaborare contenuti che, almeno
materialmente intesi, sono di natura confessionale. Questo secondo approccio, è
noto, è quello consacrato dalla normativa
neoconcordataria e applicato nella manualistica dotata di regolare ‘nulla osta’ e nella
prassi d’aula. Premesso che se una materia
è vera cultura dovrebbe logicamente destinarsi al 100% degli alunni e non a una frazione di volontari, interessa verificare la
consistenza di quell’attributo «culturale» e
vederlo applicato all’intero sistema scuola
e non solo all’oggetto «religione cattolica».
Perché se l’Irc si autodefinisce legittimamente apprendimento culturale, ciò deve
avvenire non accanto ma all’interno della
rete degli altri saperi, in una interazione
organica che coinvolga potenzialmente tutte le discipline, e coinvolga, ovviamente, la
totalità degli alunni. Anche in questo caso,
lo si intuisce, la terza via che qui si preconizza consisterebbe nel valorizzare più e
meglio l’approccio culturale dell’attuale Irc
fino a promuoverlo ad un approccio sistemico del capitale religioso con l’insieme dei
saperi scolastici.
gli insegnamenti
mente delle altre religioni, confidando che
riduca al minimo gli opposti rischi di proselitismo o di denigrazione. Nel sistema
futuro si dovrebbe poter dar analogo credito al docente di «cultura religiosa», che
– abilitato a questo esercizio professionale e disciplinato nel suo operare da una
trasparente e condivisa normativa pubblica – potrà svolgere il suo insegnamento alla
stregua di altri insegnamenti umanistici
similari, che chiedono passione educativa, e nondimeno una buona dose di discrezione, equilibrio, autocritica. Cade anche
la ricorrente obiezione sulla discutibile
neutralità educativa del docente, qualora
la deontologia professionale esigesse da lui
non già un’impossibile fredda impermeabilità di fronte all’opzione religiosa, ma
semplicemente una comprovata oggettività di metodo e di valutazione.
Il discorso sin qui fatto è partito da una
duplice premessa: che, prima o poi, la normativa concordataria debba essere ottimizzata nei suoi aspetti carenti e portata a pieno regime delle sue potenzialità (3), e che
la redigenda legge italiana di libertà religiosa introduca, tra i 6 e i 18 anni, un’area
comune di cultura religiosa.
Flavio Pajer
Note
(1) L. Prenna, Dio fece tre anelli. Le religioni a
scuola, AliseiCoop 2016, pp.148; Id., Immagini
dell’invisibile. Il linguaggio culturale della religione, AliseiCoop, Todi (Pg) 2014, pp. 140.
(2) Significativi collaudi di una «educazione curricolare alla religione» sono già reperibili in molti
sistemi educativi dell’Occidente, specie in paesi
«post-cristiani» alto tasso di secolarizzazione.
Cfr., per es., F. Ouellet (ed.), Quelle formation
pour l’éducation à la religion?, Presses de l’Université Laval, Québec 2005.
(3) Di tali migliorie, ancorché esterna al regime
concordatario, fa parte anche l’attuazione della
c.d. ora alternativa, che, se venisse generalizzata e normata da provvedimenti ministeriali, potrebbe già elevare la qualità dello stesso Irc in
ragione di quella salutare concorrenza che si instaurerebbe tra i due corsi paralleli. In proposito, paiono reggere sempre meno gli argomenti
che il Consiglio di Stato avanzava nelle sue lontane sentenze (del 1989 e 1991), con le quali decretava lo stato di non-obbligo in fatto di materia alternativa per gli alunni non avvalentisi dell’Irc (cfr. P. Cavana, in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», n. 25, 2016).
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Dopo queste riflessioni, è naturale che si
aspetti al varco un altro nodo della questione, forse il più problematico: la figura
dell’insegnante. È noto il suo statuto giuridico attuale, come sono noti i deficit che
pesano sulla sua postura istituzionale e
sulla sua azione. Nella nostra prospettiva
di una possibile terza via, parrebbe plausibile l’ipotesi di un futuro titolare che,
formato e abilitato accademicamente su
curricoli integrati di scienze e competenze (come sopra accennate), entrasse a pieno titolo, dopo regolari concorsi, nell’organico stabile del corpo docente. Tenendo
aperta, ovviamente, la possibilità che anche gli attuali docenti in esercizio (e senza escludere i diplomati in attesa di assunzione), entrino nel novero comune dei futuri candidati a insegnare la nuova disciplina. Titolari di una prima abilitazione a
insegnare «religione cattolica», essi potrebbero aspirare a una abilitazione bis, per
assumere la nuova docenza a nome della
società civile e della scuola pubblica. Già
nel sistema attuale, si dà credito all’insegnante cattolico perché tratti oggettiva-
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