MORALE DELL`AUTENTICITA` DI JEAN

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MORALE DELL`AUTENTICITA` DI JEAN
MORALE DELL'AUTENTICITA' DI JEAN-PAUL SARTRE – PARTE III
3. MOTIVI DELL'ABBANDONO
Sartre nel dopoguerra lavorò con assiduità al progetto di un'opera sulla morale dell'autenticità,
accumulando degli appunti in numerosi quaderni. Secondo la sua testimonianza, questo lavoro lo
condusse a riempire «una decina di grossi quaderni di note» (J.-P. SARTRE-M. SICARD,
Entretien. L’écriture et la publication, cit., p. 14. Questo numero [una decina] è solo indicativo e
non preciso, perché in un altro luogo Sartre parla di dozzine di quaderni: cfr. J.-P. SARTRE,
Autoritratto a settant'anni, cit. pp. 69 s.). In essi il tema principale era appunto il problema della
morale dell’autenticità e le sue riflessioni si fondavano su i presupposti teorici ed ontologici de
L’être et le néant. L’orizzonte della sua ricerca però non era limitato a quest’unico tema; si
occupava infatti anche del problema del rapporto della morale con la storia e la dialettica ed altri
pensieri non propriamente legati alla morale s’inserivano nella sua trattazione (Cfr. S. DE
BEAUVOIR, La forza delle cose, cit., p. 161 e p. 173; La cerimonia degli addii, cit., pp. 192 s., pp.
430 s. Cfr. anche J.-P. SARTRE, Autoritratto a settant'anni, cit., pp. 69 s.).
In seguito all’abbandono, avvenuto alla fine del 1949, del progetto di un’opera sulla morale,
Sartre non si occupò più di quei quaderni e li perdette per la maggior parte (Cfr. J.-P. SARTRE,
Autoritratto a settant'anni, cit. p. 87; J.-P. SARTRE-M. SICARD, Entretien. L’écriture et la
publication, cit., p. 14). Ad un esplicita richiesta non acconsentì alla loro pubblicazione, ma non si
oppose al fatto che venissero pubblicati postumi.
I Cahiers pour une morale e Vérité et existence sono quanto ci resta oggi di quell’intensa
riflessione: i primi sono stati scritti negli anni ’47-’48, la seconda nel ’48.(Fanno eccezione le due
appendici dei Cahiers, che pur occupandosi del tema della morale, non rientrano nel corpo
dell’opera. La prima è stata scritta nel 1945. La seconda che si occupa dell’oppressione razziale
negli Stati Uniti non è datata. Cfr. J.-P. SARTRE, Quaderni per una morale, Edizioni Associate,
Roma 1991, pp. 537-557). Si tratta di due libri differenti nelle loro caratteristiche morfologiche.
Mentre i Cahiers pour une morale sono un’opera corposa, composta di circa seicento pagine, e, pur
nella loro disomogeneità e frammentarietà, ci permettono di ricostruire le linee generali della
morale di Sartre, lo scritto Vérité et existence è molto più breve e, pur rientrando nella sua
riflessione morale, è dedicato al problema specifico della verità. Inoltre, Vérité et existence si
presenta come un testo completo (e in generale è l’unico tra gli scritti postumi ad essere completo),
per quanto ancora allo stato d’abbozzo e quindi ancora da rivedere e sviluppare: ci sono infatti
molte note a margine che contengono delle idee ancora da integrare nel testo.
I Cahiers pour una morale, invece, sono dal canto loro un testo molto più disomogeneo e
disordinato, con alcune parti più elaborate ed altre semplicemente abbozzate. Fortunatamente c’è ad
un certo punto del secondo Cahier una specie di “Piano per la morale” che ci permette di
comprendere in parte come Sartre intendesse strutturare la sua morale (Cfr. Ibidem, pp. 453-456.
Bisogna aggiungere che nell’appendice di Vérité et existence è contenuto un altro piano per la
morale, intitolato “Nuovo piano”, molto differente da quello dei Cahiers perché incentrato sul
rapporto tra morale e storia. Cfr. J.-P. SARTRE, Verità e esistenza, Il Saggiatore, Milano 1991, pp.
121-123). Secondo questo piano, la morale doveva essere divisa in sue sezioni: la prima intitolata
“morale ontologica” doveva essere composta da nove capitoli; la seconda invece da tre capitoli
riguardanti i rapporti tra morale, storia e dialettica. Per ogni capitolo poi nel piano c’è una breve
descrizione dell’argomento che doveva essere trattato. Si può dire che tutti gli argomenti dei dodici
capitoli siano toccati nei Cahiers, anche se non sono disposti in modo ordinato. Inoltre, mentre
alcuni temi sono trattati in modo esaustivo, altri sono appena accennati. Questo è dovuto molto
probabilmente al fatto che la trattazione completa delle parti assenti si trovava nei quaderni non più
ritrovati oppure anche a causa della loro interruzione. (Nel presentare l’edizione francese la
curatrice A. Elkaïm-Sartre c’informa infatti che i due Cahiers formavano un insieme che lo stesso
Sartre aveva intitolato “Notes pour la Morale, Tome I et Tome II” e che il secondo quaderno è
utilizzato solo a metà: questo fa pensare ad una rottura nella continuità, anche se il progetto non era
stato ancora abbandonato. Cfr. J.-P. SARTRE, Cahiers pour une morale, Gallimard, Paris 1983, pp.
7 s.).
In questo paragrafo voglio individuare i motivi che hanno spinto Sartre a interrompere la sua
scrittura dei quaderni e a lasciare incompiuto il progetto di un'opera sulla morale. Credo che si
possano individuare due ordini di motivi per spiegare l'abbandono dell'impresa: da un lato, vi sono
dei motivi estrinseci, legati alla contingenza dei fatti storici, dall'altro dei motivi intrinseci che la
lettura delle opere postume fa emergere.
I motivi estrinseci sono già in parte emersi nel corso della trattazione precedente. A partire dagli
anni ’49-’50, Sartre sentì il bisogno di modificare il suo pensiero e di approfondire i temi della
storia, dell’economia, della praxis, di riaccostarsi al marxismo, di tentare una originale
rielaborazione del materialismo dialettico: inevitabilmente lasciò cadere il suo progetto di scrivere
un’opera sulla morale dell’autenticità, che era collegata ai risultati dell’indagine ontologica de
L’être et le néant (pur presentando approfondimenti che si discostavano da essa ed anche temi
affatto nuovi, quali la storia e la critica della dialettica) e che pertanto si basava su presupposti
teorici non più attuali e validi.
Come si è visto, l’abbandono degli appunti per un’opera sulla morale avvenne proprio in
corrispondenza alla rinuncia da parte di Sartre del tentativo di una sintesi tra le sue origini borghesi
e la sua opzione per l’appoggio alla lotta della classe operaia, tentativo di mantenere una posizione
intermedia tra gli opposti schieramenti della guerra fredda (est ed ovest), di cercare una terza via
borghese-progressista (tentativo che si concretizza nell’esperienza dell’R.D.R.). Questa sintesi tra
borghesia e proletariato che all’inizio, appena teminata la guerra, gli sembrava ancora possibile,
poco alla volta diventò sempre più utopica fino a tramutarsi in una vera e propria contraddizione.
Dopo l’abbandono del progetto di un’opera sulla morale, Sartre intraprese nuovi studi, nuove
ricerche, che lo condussero gradualmente a modificare i fondamenti del suo pensiero ed a
disconoscere la validità degli appunti che aveva scritto. Ai suoi occhi quella morale appariva troppo
idealista, perché ancora in buona parte fondata sull’ontologia de L’être et le néant.
Per questo motivo in due interviste concesse negli anni ’70, di fronte alla domanda sui motivi
dell’abbandono di quel progetto, Sartre afferma che quella morale era idealista ed individualista
(Cfr. J.-P. SARTRE-M. SICARD, Entretien. L’écriture et la publication, cit., pp. 14 s.) e che era
piuttosto una descrizione fenomenologica di una serie di condotte umane (Cfr. S. DE BEAUVOIR,
La cerimonia degli addii, cit., pp. 202 s.). In sostanza, Sartre ne disconosceva la validità proprio
perché si fondava su basi teoriche che non tenevano conto delle sue ricerche successive che lo
avrebbero portato a scrivere le Questions de méthode e la Critique de la raison dialectique.
Nel Autoportrait à soixante-dix ans, però, Sartre accenna anche ad un problema intrinseco, ad un
problema specificamente filosofico che lo aveva messo di fronte alla impossibilità di fondare la
morale ( Cfr. J.-P. SARTRE, Autoritratto a settant'anni, cit., p. 87).
I motivi intrinseci dell’abbandono della morale, che nascono cioè dall’analisi dei concetti stessi di
essa, non sono eterogenei rispetto a quelli estrinseci, perché si possono rintracciare nelle pagine
stesse dei Cahiers delle tensioni, da un lato, nel rapporto tra morale e politica e, dall’altro, tra
morale e storia, che riproducono sul piano concettuale quelle contraddizioni che Sartre esperiva sul
piano della propria vita personale. Si tratta di “tensioni” e non di aporie, perché il sistema
concettuale dei Cahiers in linea di massima, al di là di certe oscillazioni derivanti dalla forma
incompiuta e frammentaria del testo, appare perfettamente coerente nel suo insieme. Tuttavia, nei
Cahiers, da un lato, è già presente in modo implicito l’indicazione del fatto che in rapporto alla
situazione storica degli anni in cui vengono scritti la posizione morale da essi delineata è idealista e,
dall’altro lato, a partire dal confronto tra morale e storia, si sviluppano nuove analisi che si
discostano dai concetti de L’être et le néant e che prefigurano la Critique de la raison dialectique.
a) Morale e politica
La preoccupazione fondamentale di Sartre che emerge da un capo all’altro dei Cahiers è che la
morale dell’autenticità sia concreta, sia cioè radicata nella storia e nella società. Per questo motivo,
egli identifica la morale concreta con la logica dell’azione effettiva e, in ultima analisi, con la
filosofia della rivoluzione, con il socialismo. Quando, infatti, s’interroga sulle condizioni storiche e
sociali che rendono effettivamente possibile la sua morale, giunge in sostanza ad assimilarla con
l’azione politica o meglio con ciò che dà valore e senso ad essa: il bene sociale che la morale pone è
definito insieme agli oppressi ed a partire dalla loro attività di rivendicazione rivoluzionaria. Ciò
che Sartre desidera evitare in ogni caso è che questa morale divenga astratta ed idealista e cioè che
abbia una mera validità formale indipendente dalla situazione storica concreta. Essa diventa tale
quando astrae dalle condizioni storiche, sociali e politiche della società, quando pone direttamente
come proprio scopo la realizzazione del regno dei fini (o per semplice disposizione interiore,
facendo di esso un universale eterno, intemporale, oppure ponendolo come fine della storia). Il
rischio che ciò avvenga anche per la morale dell’autenticità è avvertito da Sartre come
estremamente pericoloso e da evitare in ogni modo; è per questo motivo che cerca di incarnare nella
storia la sua morale e lo stesso regno dei fini.
Per quale motivo egli non vuol che la sua morale divenga idealista? Per un motivo essenzialmente
politico: perché ha paura che in questo modo essa diventi complice della borghesia, della classe
oppressiva. Sartre, infatti, nei Cahiers considera da questo punto di vista l’idealismo come
l’ideologia della classe borghese e dunque come una dottrina conservatrice e mistificante, volta a
mantenere i privilegi e le ingiustizie della società.
Come ho detto, dopo che ebbe intenzionalmente abbandonato la propria morale, Sartre la giudicò
idealista, e dunque in un certo senso ancora troppo legata alle proprie origini borghesi.
Bisogna dire che già nei Cahiers stessi è espresso, anche se in modo implicito, il dubbio che la
morale in essi delineata corra il pericolo di diventare idealista in rapporto alla situazione storica in
cui nasce. Mi riferisco al passo in cui Sartre analizza la posizione di Trockij in rapporto al regno dei
fini (Cfr. J.-P. SARTRE, Quaderni per una morale, cit., pp. 158 ss.); poiché la sua posizione di quel
periodo, da un punto di vista politico, è vicina al trockijsmo, la critica che rivolge a Trockij può
essere considerata come una specie di prefigurazione dell’autocritica che di lì a poco egli rivolgerà
a se stesso. In un certo senso, mostrando come il trockijsmo corra il rischio di diventare idealista in
rapporto alla situazione storica del 1947, implicitamente Sartre dà fondo ai dubbi riguardanti la sua
stessa morale e politica.
Nel trockijsmo la società senza classi come fine futuro a cui tendere è il parametro grazie al quale
giudicare la situazione attuale ed i mezzi da utilizzare. Questo procedimento è giusto e valido,
secondo Sartre, fino a che si rimane legati alla realtà concreta, quando invece il fine (la società
senza classi) diventa inaccessibile, funziona solo più come ideale. Da qui deriva che la massima che
Trockij pone, per cui non bisogna in nessun caso dividere la classe operaia o toglierle la fiducia in
se stessa, non è più fondata, non è in grado di dirci come comportarci in concreto, diventa un mero
imperativo, quando si scontra con la realtà concreta del 1947: dove, da un lato, «lo stalinismo fa
marcire la classe operaia, le toglie qualsiasi senso di sindacalismo e, rifiutandole i metodi
democratici all’interno del partito, le toglie la fiducia in se stessa» (Ibidem, p. 161) e, dall’altro lato,
le forze reazionarie si oppongono con decisione alle rivendicazioni della classe operaia. Il trockijsta
non può in base alla sua massima decidere se risolversi a condannare lo stalinismo del P.C., che di
per sé toglie fiducia alla classe operaia, e fare così il gioco delle forze reazionarie, oppure unirsi alle
forze reazionarie nella condanna nei metodi staliniani e contribuire così alla liquidazione del P.C. e
ad un incremento dell’oppressione della classe operaia.
«Ma il fatto è che la classe operaia è nella sua grossa maggioranza solidale con il P.C. Il fatto è
che la reazione è una minaccia. In questo momento il trockijsta si priva della possibilità di impedire
la guerra o di vincerla accanto all’uno o all’altro dei contendenti. Egli rifiuta la politica realista in
nome di un imperativo che non appare in connessione con i fatti; egli diventa a sua volta idealista»
(Ivi).
È importante però vedere più specificamente per quale motivo questa posizione diventi idealista
secondo l’analisi di Sartre. Il motivo principale è che il trockijsmo non ha presa diretta sulla massa,
che la classe operaia di fatto considera come suo rappresentante il P.C. «Poi perché si preferisce una
posizione meno efficace ad una più efficace e ci si condanna ad essere testimoni o ad agire
omeopaticamente» (Ivi). Si può dunque dire che da un punto di vista pratico è proprio la scarsezza
dei mezzi di azione effettiva che ha a disposizione che impedisce al trockijsta in questo caso di
assumere una posizione concreta ed efficace.
«Non dico che questo atteggiamento sia biasimevole o che in certe circostanze sia possibile agire
altrimenti. Dico solo che questo atteggiamento è morale e astratto. Che se invece il trockijsmo
avesse conquistato le masse esso avrebbe potuto divenire concreto, ma sarebbe divenuto una
morale concreta nel medesimo tempo che una politica» (Ivi)
La morale concreta per poter essere definita tale non deve solo porre il regno dei fini (il
socialismo) come ideale da raggiungere, ma deve anche preoccuparsi dei mezzi concreti che ne
permettono la realizzazione: tra questi vi è anche l’organizzazione delle masse, l’azione
rivoluzionaria, ecc.
Come abbiamo visto, lo stesso Sartre da un punto di vista politico nel 1947-48 è in questa
situazione di incertezza: vuole lottare a fianco della classe operaia, ma la sua posizione di
mediazione tra borghesia e proletariato corre il rischio di diventare un idealismo. Per questo motivo,
criticando la posizione di Trockij, Sartre si riferisce in questo passo implicitamente alla propria.
Quando alla fine del 1949 abbandona la morale dell’autenticità, Sartre considera in generale la
morale solo più un insieme di trucchi idealistici che sorgono quando le condizioni tecniche e sociali
rendono impossibile l’assunzione di comportamenti positivi. (Cfr. S. DE BEAUVOIR, La forza
delle cose, cit., p. 196) e dopo poco tempo, nel 1952, si schiera decisamente a fianco del P.C.F.
escludendo ormai la possibilità di una terza via. Sembra che nelle critiche a Trockij Sartre avverta
già la difficoltà che la propria posizione comporta e la necessità di superarla.
Non bisogna, tuttavia, esagerare la portata di tali dubbi, perché nel periodo in cui scrive i Cahiers
Sartre pensa che dal punto di vista politico sia ancora possibile una terza via, come è testimoniato
dal fatto che nel 1948 fondi l’R.D.R., e che la morale non sia un idealismo se si pone come logica
dell’azione concreta (scelta dello scopo concreto che dà valore all’idea infinita del regno dei fini).
b) Piano ontologico-morale e piano storico-sociale
Il secondo motivo intrinseco, a differenza di quello appena analizzato che nasceva dal rapporto tra
morale e politica, è più propriamente filosofico.
L’analisi della storia e della società, condotta in modo dettagliato nei Cahiers a partire dal
confronto con la morale, conduce Sartre a modificare alcune categorie del suo pensiero rispetto a
L’être et le néant. Da un lato, egli amplia il raggio della propria analisi alle condizioni storiche e
sociali che caratterizzano il concetto di situazione, per cui esso non è più concepito soltanto da un
punto di vista ontologico, ma anche da un punto di vista storico e sociale. In questo caso il discorso
di Sartre si pone spesso a metà tra idealismo e materialismo. Dall’altro lato, egli inizia ad
interrogarsi sui temi della storia e della dialettica, considerando come principio motore della storia
la libertà della realtà umana come superamento del dato, in polemica sia con la dialettica di Hegel
sia con il materialismo dialettico (nello specifico con la dialettica della natura di Engels).
Come ho detto, questo ampliamento del pensiero a temi nuovi non è privo di conseguenze per il
pensiero stesso: infatti, nei Cahiers, da un lato, alcuni concetti de L’être et le néant subiscono un
importante mutamento e, dall’altro lato, vengono elaborate categorie affatto nuove.
Innanzitutto, Sartre presta maggiore attenzione agli elementi passivi che possono condizionare il
progetto del soggetto: ad esempio, la natura (l’in-sé) mediante la propria passività fa sì che il
soggetto per agire su di essa tramite il lavoro debba farsi passivo (e da questa interazione tra uomo e
natura possono sorgere un uomo-macchina ed un pensiero-macchina); inoltre, i bisogni vengono
considerati come un importante fattore di condizionamento del soggetto anche se vanno ripresi dalla
libertà; infine, come già detto, le condizioni materiali ed economiche sono un elemento importante
che caratterizza la situazione storica. Si può pertanto dire che nei Cahiers Sartre presti maggiore
attenzione al condizionamento che le cose (natura, tecniche, economia, fattori fisici) comportano
con la loro passività e che questa analisi anticipi, come una specie di abbozzo, quella della penuria
(rareté) della Critique. Anche se questi temi in seguito verranno estremamente elaborati ed
approfonditi, qui ce n’è già una traccia più che evidente.
In una parte della sua monografia dedicata a Sartre, Franco Fergnani afferma che nel saggio
Matérialisme et Révolution è già presente un “germe di realismo” che anticipa il materialismo
realista della Critique (Cfr. F. FERGNANI, op. cit., pp. 75 ss.): mi sembra che questo giudizio sia
valido e che possa essere esteso anche agli stessi Cahiers. Infatti, le analisi sulla storia,
sull’oppressione, sull’azione intesa come lavoro, in essi contenute sono come la continuazione e
l’approfondimento di quelle di Matérialisme et Révolution ed in parte verranno riprese e
perfezionate nella Critique.
Poiché, tuttavia, il fondamento della morale dei Cahiers è l’ontologia de L’être et le néant e certe
analisi fenomenologiche sono condotte in modo simile a quelle del saggio del ’43, si può dire in
realtà che nei Cahiers s’intreccino due piani d’indagine, un piano ontologico-morale ed un altro
storico-sociale, e che tra essi si crei una specie di tensione che può in parte concorrere a spiegare
l’abbandono della morale: c’è infatti una certa eterogeneità tra alcuni concetti dei due piani che
risulta difficilmente componibile. (Numerosi interpreti del pensiero di Sartre hanno individuato
questa eterogeneità tra i due piani presenti nei Cahiers: cfr. ad esempio F. SCANZIO, Sartre et la
morale, La réflexion sartrienne sur la morale de 1939 à 1952, Vivarium, Napoli 2000, p. 256, pp.
258 ss., pp. 293 ss.; G. CANTILLO, in AA. VV., Gli scritti postumi di Sartre, a cura di G. Invitto e
A. Montano, Marietti, Genova 1993, pp. 15 ss.; A. MONTANO, Dialettica e storia nei Cahiers, in
AA. VV., Gli scritti postumi di Sartre, cit., pp. 21 ss.; S. PIERI, La dimensione dell’autenticità nei
Carnets de la drôle de guerre e nei Cahiers pour une morale, in AA. VV., Gli scritti postumi di
Sartre, cit. pp. 82 s.).
Innanzitutto, mentre le indagini fenomenologiche nei Cahiers (cfr. ad esempio le analisi della
violenza, della preghiera, dell’esigenza, del diritto, dell’appello) che riguardano la morale
ontologica sono condotte da un punto di vista essenzialmente individuale e formale, prescindendo
dagli elementi materiali, sociali e storici che compongono la situazione, le analisi della storia e della
morale nella sua concretizzazione interindividuale avvengono su un piano più consapevole dei
condizionamenti oggettivi e pertanto più concreto, meno individualistico ed idealistico. Si crea
perciò una tensione tra le prime analisi che poggiano in sostanza sull’ontologia de L’être et le néant
e le seconde che comportano un superamento di essa.
Si può dire, inoltre, che alla base del piano ontologico-morale e di quello storico-sociale stia un
differente concetto di libertà.
Come sottolinea lo stesso Sartre in un’importante intervista rilasciata nel 1969 per la rivista “New
Left” (Cfr. J.-P SARTRE, Sartre visto da Sartre, in IDEM, Materialismo e rivoluzione, Il
Saggiatore, Milano 1977, pp. 148-183) il concetto di libertà elaborato ne L’être et le néant è una
conseguenza dell’esperienza della sua partecipazione alla Resistenza. Siccome, in primo luogo, la
Resistenza comportava una scelta molto semplice e netta, bisognava scegliere se essere per i
tedeschi e collaborare, o contro di loro e resistere, e ciascuno era responsabile della propria scelta,
Sartre aveva concluso che in ogni situazione è sempre possibile una scelta, che ogni situazione per
quanto difficile da sopportare comporti la libera scelta responsabile. (Ne L’être et le néant in effetti
è contenuta l’affermazione esplicita che non esistono situazioni privilegiate e che dunque si può
essere liberi in ogni situazione. «Non c’è dunque una situazione privilegiata: con ciò intendiamo
dire che non vi è situazione dove il dato soffocherebbe sotto il suo peso la libertà che lo costituisce
tale né, reciprocamente, situazione dove il per-sé sarebbe più libero che in altre». J.-P. SARTRE,
L'essere e il nulla, cit., p 610 s.) In secondo luogo, la Resistenza aveva portato con sé il mito
dell’eroismo, il quale pone soltanto l’accento sulla libertà e sulla scelta del singolo individuo (Cfr.
J.-P. SARTRE, Sartre visto da Sartre, cit., pp. 148 ss.) Secondo Sartre, è proprio a partire da questi
due fattori che si può comprendere il concetto di libertà elaborato ne L’être et le néant. Solo il
dopoguerra gli ha dimostrato la falsità di quel mito e, facendogli esperire i condizionamenti della
società, gli ha dato le basi per elaborare una nuova concezione della libertà e della soggettività e per
contestare quella espressa in precedenza. Da un lato, dunque, ha compreso che non in tutte le
situazioni si può essere liberi: «ho voluto confutare me stesso creando, ne Il Diavolo e il buon Dio,
il personaggio di Heinrich, il quale non può compiere una scelta. Vorrebbe compierla, certamente,
ma non può scegliere né a favore della Chiesa che ha abbandonato i poveri, né a favore dei poveri
che hanno abbandonato la Chiesa. Egli è totalmente condizionato dalla sua situazione» (Ibidem, cit.,
p. 149. Cfr. anche S. DE BEAUVOIR, La cerimonia degli addii, cit., pp. 429 ss.); dall’altro lato, si
è reso conto che ogni essere sociale subisce forti condizionamenti e che la sua libertà è il piccolo
scarto che nasce dalla riesteriozzazione in un atto (di cui è responsabile) dei fattori sociali che ha
interiorizzato.
«Così, ne L’Essere e il Nulla, la soggettività non è certo quello che oggi essa è per me: il piccolo
scarto all’interno dell’operazione mediante la quale un’interiorizzazione si ri-esteriorizza essa stessa
in atto (…). L’individuo interiorizza le sue determinazioni sociali: i rapporti di produzione, la
famiglia della sua infanzia, la storia passata, le istituzioni a lui contemporanee, poi ri-esteriorizza
tutto ciò in azioni e in scelte che ci rinviano necessariamente a tutto quello che è stato interiorizzato.
Ne L’Essere e il Nulla non c’era niente di tutto questo (J.-P. SARTRE, Sartre visto da Sartre, cit., p.
151 s.).
Il passaggio dalla concezione filosofica de L’être et le néant a quella successiva si gioca anche e
soprattutto, dunque, sulla trasformazione della nozione di libertà, sul trapasso dalla libertà
individuale e poco condizionata de L’être et le néant alla libertà sociale della produzione
successiva.
Questa nozione differente di libertà non è solo presente nella Critique, perché già nelle opere
cominciate appena dopo l’abbandono della scrittura degli appunti per la morale, vale a dire l’opera
teatrale Le Diable et le Bon Dieu ed il saggio letterario-filosofico Saint Genet, comédien et martyr,
si avverte questa importante differenza.
«Saint Genet è forse il libro in cui ho spiegato meglio che cosa intendo per libertà. Dato che è
stato fatto ladro, Genet ha detto: "Io sono il ladro", e questo minuscolo scarto è stato l’avvio di un
processo mediante il quale egli è divenuto un poeta, e poi, alla fine, un essere che non è più
decisamente ai margini della società, un qualcuno che non sa più dove si trova, e tace. In un caso
come il suo la libertà non può essere felice. Non è un trionfo. Essa ha semplicemente aperto a Genet
certe strade che in partenza gli erano precluse». (Ibidem, cit., 151).
Questo passaggio si è operato proprio negli anni della scrittura degli appunti per la morale ed è
per questo motivo che nei Cahiers possiamo constatare la presenza di due piani in tensione tra loro:
da un lato, il piano ontologico-morale ancora fondato sulla libertà individuale definita ne L’être et
le néant; dall’altro lato, quello storico-sociale che nasce da un confronto critico con la dialettica
hegeliana ed il materialismo storico. È da quest’ultimo punto di vista, ad esempio, che l’azione è
definita come esteriorizzazione dell’interiorità ed interiorizzazione dell’esteriorità e non più come il
semplice superamento della situazione. Nei Cahiers, dunque, a fianco della libertà individuale che
sta ancora alla base di molte descrizioni fenomenologiche, compare la nuova libertà sociale.
Per concludere, si può dire che sotto questo aspetto nei Cahiers c’è eterogeneità tra indagini
ancora fondate su vecchie categorie (fenomenologiche-ontologiche) ed indagini fondate su nuove
categorie (storico-sociali-antropologiche) che mettono in discussione le vecchie. Si crea perciò in
essi una tensione interna che può essere considerata un motivo che ha spinto Sartre ad abbandonare
la morale per approfondire i nuovi temi emersi.
Daniele Baron
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