L`uomo salì le scale in silenzio, gettando solo un`occhiata al

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L`uomo salì le scale in silenzio, gettando solo un`occhiata al
HARRY POTTER
Rating: M
Romance/Avventura/Angst
AU
Personaggi Principali: Voldemort, Originale, Rodolphus Lestrange
Autore: DamaVerde aka Alracairam aka Mariacarla (alracairam.deviantart.com
damaverde(at)gmail(dot)com)
I wanna do bad things with you
La vita è sogno, il sogno di un sogno…
Ma la verità è che ci sono sogni e sogni.
Maya
E’ stato egoismo, nulla di diverso.
Io rivolevo quello che mi spettava, e lei adorava l’idea di giocare alla roulette russa.
A pensarci bene eravamo tutti uno più pazzo dell’altro; non credo che si caverebbe un ragno dal buco se si
provasse a decidere chi l’ha fatta più grossa.
Dobbiamo tutti morire; ho pensato che se proprio dovevo… preferivo farlo a modo mio. E che si fotta
l’Oscuro!
Rodolphus Lestrange
Capitolo I: In Ritardo per la Cena
L’uomo salì le scale in silenzio, gettando solo un’occhiata alla figura che lo seguiva… i passi
resi incerti e goffi dalla pesante imposizione delle maledizioni che l’obbligavano a piegarsi
alla volontà del Mangiamorte, ad accompagnarlo senza poter opporre resistenza.
- Siamo quasi arrivati.
Rodolphus Lestrange sospirò, si fermò ad osservare la sala illuminata dalle fiamme che
danzavano nel gigantesco caminetto senza decidersi a varcarne la soglia. Arretrò di un
passo, deglutendo, mentre gli occhi si abituavano alla luce mobile ed incerta, mettendo a
fuoco la misera figura di donna che galleggiava sulla tavola… un burattino sospeso sul
baratro della tragedia. D’istinto cercò un volto tra quello degli uomini vestiti di nero che
sedevano tutto intorno; il volto più crudele, il più assetato di sangue.
Ma sua moglie non si accorse di quello sguardo, rise per qualcosa che l’uomo seduto a
capotavola aveva detto e le sue labbra si tirarono in una smorfia di derisione.
Poi un lampo di luce verde saettò nell’aria ed il corpo della donna cadde giù, con un suono
sordo che gli diede la nausea.
Rodolphus avvertì il gemito che era sfuggito al prigioniero dietro di lui e lo compatì.
Tornò ad arretrare nell’ombra, calando il cappuccio più giù sugli occhi dell’altro.
Sentendosi vagamente a disagio perché era stato lui stesso a trovarlo, a cercarlo, a
catturarlo.
Strano, si disse, come all’improvviso fosse diventato capace di pietà, capace di dispiacersi
per la sorte delle vittime.
Mi spiace, pensò, di essere arrivato fino a questo punto. Mi spiace di averti portato qui,
condannato per i miei desideri personali ma non posso neanche lasciarti andare.
Non per la prima volta si domandò se non sarebbe stato più caritatevole nascondere tutto,
uccidere quella persona lui stesso in modo meno doloroso di quanto avrebbero potuto fare
sua moglie o gli altri se le cose si fossero messe per il peggio.
Spinse la figura rigida e incappucciata nello spazio tra due colonne, nascondendola con il
proprio corpo mentre la maggior parte degli uomini nella sala si riversava fuori, verso le
scale.
- Questa è tutta la pietà che oggi posso darti. Coraggio… iniziamo. – sussurrò. Non disse
che era ben poca cosa, perché Bellatrix non si era allontanata dal suo Signore, ed
affrontarli entrambi… scosse la testa.
Attese ancora un po’, finendo di decidere cosa dire e cosa tacere.
- Lestrange… - la voce metallica lo raggelò – Per quanto tempo ancora pensi di restare lì?
C’è forse qualcosa che stai tentando di nascondere all’Oscuro Signore?
Rodolphus strinse le labbra, e uscì allo scoperto trascinandosi dietro il prigioniero.
- Rodolphus? – Bellatrix inclinò il capo, rivolgendogli un’occhiata perfida – Cosa hai
portato, Rodolphus? Un regalo?
La ignorò, camuffando con un piccolo colpo di tosse il sorriso che avrebbe voluto
rivolgerle e si concentrò sulla figura terribile che le stava accanto.
Voldemort socchiuse gli occhi, senza degnare di attenzione il prigioniero, e Rodolphus si
sforzò di spingere sul fondo della propria anima tutto quello che non avrebbe potuto dire.
- Mio Signore. – si inchinò – Ho alcune novità.
- Non c’è Harry Potter sotto quel cappuccio, vero? – Lucius Malfoy si avvicinò di un passo.
- No, Lucius. – Rodo si concesse un vero sorriso – No. Dovrei raccontarvi una breve storia,
se me lo consentite.
Lord Voldemort si accomodò su una poltrona accanto al camino – Comincia. – ordinò.
- In un eccesso di zelo, mio Signore, ho riflettuto sui mezzi che i seguaci di Silente
avrebbero potuto usare per tentare di ingannarci. Mezzi… infimi, certo, inadeguati ed
inadatti alla dignità di un mago, ma pur sempre mezzi a loro disposizione. Così ho tentato
un incantesimo nuovo. Un incantesimo del tutto sperimentale.
- A meno che il tuo incantesimo non avesse condotto tra le mie mani il ragazzo Potter. –
soffiò Voldemort – Non vedo cosa avresti potuto fare. Non sai che la superbia è una
terribile nemica, Rodolphus? Non sai che solo il tuo Signore possiede le chiavi? Non ti fidi
di lui, forse?
Bellatrix si irrigidì, scoccando un’occhiata impietosa a suo marito.
- Mio Signore… - Lestrange chinò la testa, intimamente grato per l’idea che Voldemort si
mostrasse disinteressato alle sue sperimentazioni – Mi rendo conto del mio errore, ed è
per questo che sono qui a rendertene conto. Ho cercato qualcosa che potesse aiutarci, pur
non avendone affatto bisogno, ovviamente. Il fatto è, però, che cercando in uno spazio
molto più ampio, in più spazi… ahm, mi sono imbattuto in questa persona. - si voltò verso
la figura coperta dal mantello.
Il prigioniero tentò di muoversi, ma la maledizione che gli era stata imposta non gli
concedeva tregua. Inciampò, e cadde ai piedi dei maghi.
- Questa persona? – Malfoy inarcò un sopracciglio.
- E’ questo il punto, ed il… problema.
- Chi c’è sotto quel cappuccio? – domandò Voldemort con dolcezza.
- Non un mago.
- Rodolphus! – Lucius si passò due dita sulla fronte – Non avrai portato un Babbano in
casa mia?
Lestrange provò il bizzarro desiderio di ridere; se ne stavano tutti lì davanti, gli alti ranghi
dei Mangiamorte e l’Oscuro in persona, affacciati su un futuro di disordini e guerra, di
incertezze. E Lucius si preoccupava che un Babbano fosse entrato in casa sua? La comicità
di quel pensiero si spense in un attimo; a pensarci bene Lucius aveva accanto moglie e
figlio. Per quanto le cose potessero spingersi oltre quel legame, quel legame particolare
non sarebbe stato compromesso.
- Non uno qualunque. – sussurrò - Uno che sa alcune cose.
Voldemort ridacchiò – Sa delle cose? E quali grandi conoscenze possiedono i Babbani che
l’Oscuro possa desiderare o ricercare?
- Mio Signore, nel tentativo di trovare qualcosa, qualcuno… - Rodolphus scosse la testa,
cercando di mettere insieme una storia che fosse vera pur non essendolo completamente
– Ho ampliato le ricerche sul tabù che è stato imposto al tuo nome.
- Davvero? – Bellatrix digrignò i denti – Hai cercato oppositori che si fossero andati a
rintanare sotto la sabbia di qualche lontana isoletta ai Caraibi?
Lestrange trovò la forza di guardarla negli occhi – No, più lontano.
Severus Piton emerse dal silenzio e dalla penombra – Il tabù può essere imposto solo ai
maghi, Rodolphus. Hai detto che quello non lo è.
Lestrange sorrise – Esatto, esatto Severus. Io ho provato a spingere la magia… più oltre. –
deglutì – Più… oltre.
- Non intendi semplicemente dire che hai deciso di indagare anche sui non maghi? O più in
là dei confini dell’Europa, suppongo.
- No, ecco… no. – Rodolphus si passò una mano tra i capelli – Ho sperimentato, dovete
capire questo. Ho provato a spingere le mie ricerche più oltre, ma senza sapere
esattamente dove avrei dovuto fermarmi. Intendevo scoprire se ci fossero cose che ci
sfuggivano. Armi che non erano alla nostra portata. Aiuti solo per l’Ordine… fantasmi,
demoni, altre creature magiche. Non possiamo escludere che l’Ordine abbia alleati oltre le
normali soglie di comprensione che noi…
Voldemort lo interruppe con un gesto della mano.
- Fantasmi? – rise – Temevi che persone morte… morte, Rodolphus! Potessero sconfiggere
colui che ha vinto la Morte stessa?! Creature effimere, deboli! O… demoni! Demoni! Esseri
inferiori che noi imprigioniamo perché siano al servizio della nostra magia… tu credevi che
queste forme inferiori potessero danneggiare il tuo Signore. O peggio, che custodissero
segreti al di là della portata di Lord Voldemort. – le sue lunghe dita pallide scivolarono a
stringere l’impugnatura della Bacchetta magica – E’ questo, Rodolphus? Questa è la
fiducia, la fedeltà…
- Mio Signore! – Bellatrix scivolò in ginocchio davanti alla poltrona – Mio Signore! Noi
siamo sempre stati i più fedeli, siamo stati noi i primi a cercarti.
Rodolphus serrò la mascella. Oh, Dio… pensò, quanto vorrei che mia moglie stesse
davvero tentando di difendere me. Ma sapeva che era la propria posizione, ciò che
Bellatrix era agli occhi dell’Oscuro che avrebbe difeso fino allo stremo.
- No, mio Signore. – Lestrange avanzò di un passo, con decisione – No. Non ho alcun
dubbio in te. Nessuna incertezza. Ed è per questo che adesso sono qui. Tuttavia resta il
fatto che lì dove ho cercato c’erano dei Babbani che sapevano di te, di noi. Babbani capaci
di riconoscerci, di descrivere i nostri volti. E protetti contro la legilimanzia, ed il
veritaserum che su di loro non hanno alcun effetto.
- La tortura, allora! – urlò Bellatrix, rialzandosi – Posso farlo io, posso…
- No! – per la prima volta Rodolphus la allontanò, le bloccò il polso – Non ti rendi conto
dell’enormità di questa cosa, Bellatrix? Ho spinto le mie ricerche così oltre… - scosse la
testa – Fino ad un punto dove le interferenze del tabù erano violentissime. E non c’erano
maghi! Non sapevo in che direzione spingermi ancora, ma ero così curioso di sapere ed ho
portato indietro la causa dell’interferenza più vicina. Era strano, preoccupante… ma non
fino a questo punto, capisci? Quella persona sa chi sei, sa chi è ognuno dei presenti in
questa stanza pur non avendoci mai incontrati prima.
- Ma… - Narcissa Malfoy inclinò il capo – Non capisco, Rodo. Può darsi che l’Ordine si sia
semplicemente servito di Babbani per qualcosa. In fin dei conti, però, si tratta solo di
Babbani! A chi importa che possano riconoscerci?
Severus scosse la testa, rivolgendo a Lestrange uno sguardo che gli sembrò un po’ troppo
interessato, un po’ troppo perspicace – C’è di più, Narcissa. Credo che Rodolphus stia
cercando di farci capire che quello che conta in questa storia è la… distanza.
Lestrange annuì, ma Voldemort si alzò di scatto prima che potesse continuare.
Rodolphus rabbrividì, leggendo nei suoi occhi di serpente il sospetto e la collera.
- Fantasmi, demoni, Babbani! – Bellatrix si frappose tra Voldemort e Rodolphus, che si
mosse verso il prigioniero – Mio Signore, imploro il tuo perdono; Rodolphus deve aver
perso la ragione nel tentativo di compiacerti. Ucciderò subito quel sacco di stracci lì per
terra.
Rodolphus si inchinò profondamente – Mio Signore, ti prego! Concedimi di continuare
questa ricerca! Concedimi di occuparmi del prigioniero e di interrogarlo a modo mio!
- Potrebbe essere… interessante. – sussurrò Severus.
L’espressione sul volto di Voldemort era di puro disgusto – Sta bene, Rodolphus, per
questa volta ti concederò di fare a modo tuo. Ma solo questa volta, ricordalo bene, il
Signore Voldemort è pietoso… fino ad un certo punto. Ma, dopotutto, forse sarai tu stesso
a stancarti di questo gioco molto presto; il Ministero cadrà prima che il mese sia concluso.
Allora avremo tutte le informazioni necessarie per conoscere le indegne opere dell’Ordine,
e tutto sarà finito.
Sorrise e si allontanò verso la porta. Bellatrix lo seguì trasudando disprezzo.
- Allora, Rodolphus… - Severus socchiuse gli occhi – Un uomo come te può essere davvero
tanto sconvolto all’idea che Silente si sia servito di messaggeri Babbani, o stupidaggini del
genere? Non dovresti nascondere nulla all’Oscuro. Forse dovresti parlarmi, ed io potrei
aiutarti ad appianare i tuoi dubbi.
Lestrange sorrise – Nessun dubbio, Severus. Tu conosci la mia passione per le ricerche e
la sperimentazione. Volevo solo un’autorizzazione ufficiale, può darsi. Ora, se vuoi
scusarmi… - afferrò il prigioniero e lo sollevò di peso – Ho davvero fretta.
Capitolo 2: In Assenza di Martiri Migliori
Rodolphus Lestrange depose il prigioniero su una delle poltrone disposte in semicerchio
davanti al camino spento.
Il suo studio e rifugio era un ampio locale ingombro di oggetti in buona parte bizzarri, ai
quali erano stati aggiunti altri ben più comuni e familiari come per cercare di dare l’idea di
un posto accogliente. Rodolphus agitò la Bacchetta e diverse candele si accesero in
contemporanea, mentre lui si liberava dei guanti e del mantello gettandoli su un piccolo
divano che all’occorrenza fungeva anche da letto.
- Non è il massimo, ma questo posto è certamente più sicuro di casa mia. – sollevò le
spalle, e si riavviò i capelli castani striati di grigio in un gesto automatico – Ed è lontano
anche da Piton, anche se ancora non sono sicuro di dovermi fidare di tutto quello che dici.
E’ andata bene, a proposito. Come speravo che andasse. Oh, non dire nulla… mi rendo
conto che non si possa essermi grati per questo motivo. Poteva andare male e allora sarei
tornato qui da solo, e senza sapere cosa altro fare. Ma se le cose continuano così…
potremo accordarci davvero.
Un Elfo Domestico varcò la porta d’ingresso e si inchinò – E’ quasi ora di cena, padrone. –
annunciò.
- Sì, grazie Dorren. Ma per stasera non credo che sarà necessario essere troppo formali.
Preferirei che ci portassi qui qualcosa di semplice.
L’Elfo si inchinò ancora – Porterò il carrello, signore.
Rodolphus annuì distrattamente, concentrandosi su alcune carte ammonticchiate senza
alcun ordine su una mensola. Le raccolse tutte e poi puntò la Bacchetta verso il camino,
lasciando divampare delle allegre fiamme che presto consumarono ogni singolo foglio. Per
buona misura Lestrange si guardò intorno con attenzione, cercando qualunque appunto gli
fosse sfuggito. Raccolse qualche altra pagina ricoperta di una fitta scrittura disordinata e la
infilò nel camino perché non ne restasse più traccia.
- Un servo obbediente non ripeterà più un esperimento riuscito male, né lascerà che altri si
cimentino in una simile impresa. Ma, naturalmente, non c’è niente che fosse su quelle
pagine che non sia ben impresso nella mia memoria.
Due colpi assestati con difficoltà sul pavimento lo indussero a voltarsi, il prigioniero riuscì a
colpire ancora una volta il pavimento con il tallone, ancora soggiogato dagli incantesimi.
- Me ne ero completamente dimenticato, Santo Cielo! – Lestrange agitò la Bacchetta e le
maledizioni che erano state imposte furono revocate. La figura incappucciata si accasciò,
sprofondando nella poltrona, come se non avesse più ossa in corpo.
Lestrange avvicinò una sedia alla poltrona, e si accomodò – Tutto bene?
- No… mi sento come se da burattino di legno fossi stata trasformata in una medusa.
Questa è l’idea di collaborazione dei Mangiamorte?
- Mi dispiace. – mormorò Rodolphus, allungando una mano per far scivolare indietro il
cappuccio che lui stesso le aveva fatto indossare – Non è stata una cosa peggiore del
persuaderti a darmi aiuto.
Due occhi grigi e vibranti di rabbia si appuntarono su di lui – E tu sai come hai ottenuto
quell’aiuto, o come lo otterrai.
Lestrange si voltò a fissare un angolo in penombra – Ah, Maya! Per quanto tempo mi
rimprovererai per questo? Non sono un mostro fatto e finito… ma poco ci manca. –
sorrise, tornando a concentrarsi sulla donna con i capelli scuri e gli occhi scintillanti di
collera – Sono un Mangiamorte, cresciuto con l’abitudine ad eliminare qualunque ostacolo
si fosse frapposto tra me ed il mio obiettivo. Ho ucciso uomini che un tempo conoscevo
bene… per quale motivo avrei dovuto provare ripulsa all’idea di far del male a degli
sconosciuti? A gente così lontana… un altro mondo.
- Un mondo dove non posso tornare! – sibilò la Babbana – Grazie a te!
- E che vuoi preservare dalle maledizioni che potrei scagliare alla cieca se tu non mi
aiutassi. – sibilò lui, l’acciaio nello sguardo.
- Ma guarda! Non sei così diverso da Bellatrix, allora!
- Sssh… silenzio. – Rodolphus le fece scorrere la mano sul viso in una carezza lenta e
gentile – Non sai di cosa stai parlando. Ho pregato di trovare un modo per risolvere tutto,
convinto che avrei trovato un’arma. E poi, poi la magia mi ha portato te.
- Che strano. – mormorò lei – Hai pregato per una donna che avevi già avuto, e hai
ottenuto in cambio una donna nuova. Forse questo vuole dire qualcosa.
- Mi stai tentando? – Rodolphus si avvicinò, fino a sfiorarle una guancia con le labbra –
Non devi farlo, non farlo mai.
- Tu sai che non posso farlo.
L’uomo annuì, allontanandosi – Il solo modo perché tutti sopravvivano, il solo modo
perché le cose si risolvano, il solo modo per avere ciò che desideriamo è collaborare.
- E se, invece, giocando alla cieca peggiorassimo tutto?
Rodolphus scosse la testa – Le cose potranno peggiorare, ma solo perché poi possano
migliorare.
La donna si concesse una risatina – Non hai mai sentito dire che un malato, prima di
morire, mostra improvvisi segni di miglioramento? E dopo è troppo tardi.
Lestrange si riavviò i capelli arruffati con un gesto nervoso – In quanti sottili modi
rimarcherai la tua onestà contro la mia perfidia? Per me il tuo mondo non conta nulla; ma
anche se questo non è il tuo… tu vorresti proteggerlo?
- Sono una Babbana, Rodolphus. Potevo esserci io al posto di Charity Burbage su quel
tavolo.
Rodo imprecò a mezza voce – Non c’è nulla che ti sfugga, vero? E questo per me è troppo
prezioso!
Dorren bussò alla porta ed entrò senza attendere risposta.
Lestrange e la Babbana lo osservarono mentre lasciava il carrello portavivande a portata di
mano – Se serve altro… - No, Dorren, vai pure. Credo che ce la caveremo così. Rimasero in silenzio per un po’, Rodolphus mangiando di malavoglia e la Babbana
servendosi con generosità.
- D’accordo.
Il Mangiamorte sollevò la testa – Cosa?
- D’accordo, facciamolo. – sospirò lei – Ma a modo mio, ed io non sarò tenuta a dirti tutto.
Ti rendi conto che dovrai fidarti di una Babbana, di una persona che non puoi controllare
con la magia? Potrei sbagliare e farci uccidere tutti.
- Non può andare peggio di così. – Lestrange sorrise – Ho come l’impressione di non
rischiare nulla. E, d’altro canto, sarò morto prima di un anno se tu hai ragione.
Maya storse le labbra in una smorfia, concedendo un lungo sguardo al divano.
- Lenzuola e cuscini. – mormorò – Sono tua ospite da più di un mese, e sono sempre stati
lì. Da quanto…
- Troppo. – sibilò Lestrange.
- D’accordo. – la donna si strofinò le dita sugli occhi – Gesù… sarà un miracolo se riesco a
far restare tutto in equilibrio fino al momento giusto. Non so neanche perché mi fido di
te… perché ti aiuto.
- Oh, si che lo sai. – ghignò Lestrange – E non è solo per quelle mie minacce.
- D’accordo, ho detto d’accordo! – Maya si alzò di scatto, tagliando la stanza a grandi passi
– Il Ministero cadrà il primo agosto.
- Era nell’aria.
- Sì, ma… noi giocheremo un’altra partita in contemporanea. Ora, però, ho bisogno di
sapere quanto vali, Lestrange. – sorrise – Quanto vali come mago.
L’uomo sorrise – Mettimi alla prova.
Doveva essere passato mezzogiorno quando Maya si svegliò. Acciambellata sulla poltrona
aveva freddo e non c’era una sola parte del corpo che non le dolesse.
Si strofinò il viso, mettendo a fuoco il laboratorio e Rodolphus che sedeva alla scrivania, il
capo chino su alcuni libri dall’aspetto orrendo. Aveva tutta l’aria di non aver riposato
neanche un po’.
Quando si accorse di essere osservato le sorrise.
- Sembra che come mago io valga davvero qualcosa.
- Che libro è quello?
- Segreti dell’Arte più Oscura . Si tratta della prima edizione, credo che ne rimangano non
più di tre o quattro copie in circolazione, è stato un dono di Severus. Vedi, nelle edizioni
seguenti sono stati espunti diversi paragrafi interessanti.
Maya inarcò un sopracciglio.
- Non scenderò nei dettagli, ma ho trovato quello che mi serve per… rendere credibile
l’opera.
Lei sospirò e chiuse gli occhi.
- Ci infileremo in una trappola di dimensioni enormi, e probabilmente non avremo mai il
modo di uscirne. Lestrange chiuse il libro, ed annuì.
- Non avremo molto tempo per accordarci. Dopo la caduta del Ministero è probabile che
non riusciamo più a parlare liberamente.
- Questa è la parte che mi dispiace più. – Rodolphus sospirò.
- Mi stai sacrificando per la donna che ami. – Maya inarcò un sopracciglio – Credo che
questo sia il solo vero motivo che mi ha indotta a decidere di credere che tu sia davvero…
ahm, meno peggio. – roteò gli occhi - Fa schifo, ma è meglio che essere sacrificati per il
bene superiore. E d’altra parte sono qui, non è così? E’ così incredibile… e allora perché
non dovrei accettare di comportarmi in modo altrettanto incredibile? Forse questo è solo
un sogno. Può darsi che io mi svegli, e… – fece spallucce – Giochiamo, fino a quando
possiamo scegliere di farlo. Non siederò qui in attesa di essere maledetta, non sarò
l’eroina drammatica di questa storia.
- Mi dispiace.
- Non dire così. Somigli dannatamente a Johnny Depp, e se mi guardi con
quell’espressione implorante… - ghignò.
- A chi?
- Lascia perdere… e Rodolphus… tra tutti quei dannati dettagli… ricordati che mi serve un
biglietto per la metro. E tieni Severus Piton lontano da me, qualunque cosa accada.
Capitolo 3: La Cattiva Fama dei Bar Londinesi
C’era troppa folla in metropolitana.
Maya riuscì ad aggrapparsi ad una maniglia appena un attimo prima che il treno si
fermasse, evitando per un pelo di cadere addosso ad un gruppetto di accaldati turisti russi.
Si fece largo e saltò giù sulla banchina prima che le porte si chiudessero.
Una voce metallica ripeteva la stessa frase dagli altoparlanti – Mind the gap.. mind the
gap…
- Merda… Dorren, sei qui? – sibilò a denti stretti, scansando un’altra carovana di ragazzetti
eccitati.
- Sì, signorina. Dorren è alla sua destra, proprio come ha raccomandato padron
Rodolphus.
Lei annuì, dandosi una sistematina ai vestiti – Allora andiamo.
La cartina che aveva preso in uno degli uffici di informazioni delle ferrovie era già tutta
spiegazzata, ma la Babbana la tirò fuori ancora una volta, controllando il percorso; la parte
certa e quella affidata al suo intuito.
- Che ora è, Dorren?
- Le venti, signorina, più o meno.
- Le venti… - si morse le labbra. Aveva trascorso un mese di cortese reclusione nel
laboratorio di Lestrange senza mai domandarsi che ora fosse e adesso, invece, stava tutto
nella scelta dei tempi giusti.
Camminarono per un po’, avanti e indietro, l’Elfo in perfetto silenzio e Maya che si fermava
ad osservare le vetrine.
- Sto morendo di fame. Credo che potremmo fermarci qui.
- Ma signorina, questo posto non è all’altezza… ne abbiamo superati di migliori.
La donna si concesse un sorrisetto sghembo – Non importa, andrà bene. Piuttosto non
abbiamo ancora fatto una cosa importante.
Si sfilò la borsetta che portava a tracolla, sfiorandone la superficie pelosa come se quella
potesse offrirle conforto.
- E’ un regalo di Rodolphus, in pelo di Mokessino. Riesci a prendere qualcosa dal suo
interno?
Il fiocchetto che teneva la borsa chiusa si slegò come per magia, poi una grossa caramella
mou avvolta in stagnola rossa ne fluttuò fuori.
- Allora è proprio vero. – la donna sorrise – Nessuna precauzione magica è stata pensata
per tagliare fuori un Elfo! E’ così?!
Dorren esitò per un istante, e Maya immaginò che stesse tentando di articolare una
risposta che non suonasse recriminatoria o offensiva nei confronti dei maghi.
- Beh, lo prendo per un sì.
L’odore della caffetteria aveva qualcosa di familiare; entrarono, e Maya si sedette in un
angolo, scorrendo distrattamente il menù che era stato lasciato sul tavolino.
Cibo Babbano, cose di casa. Dolci e bevande che avrebbe potuto trovare ovunque nel suo
mondo, Maya sentì le lacrime pungerle gli occhi, e la paura ritornare in superficie
spazzando via tutti i progetti, e le rassicurazioni di Lestrange.
Se se ne fosse andata… se avesse rinunciato.
La magia di Rodolphus non poteva rintracciarla, questo lo avevano già appurato da tempo.
Sarebbe bastato allontanare Dorren, e usare la quantità spropositata di soldi che Rodo le
aveva infilato in mano per le necessità di quella giornata. Forse c’era un posto per lei, un
posto che poteva diventare casa.
Si passò le mani sugli occhi.
Un mese prima stava rileggendo di Lestrange, di Bellatrix, degli altri… e si era trattato di
una lettura di fantasia. Di fantasia, accidenti! Adesso il personaggio di fantasia era lei, un
personaggio tirato fuori da un mondo completamente diverso.
- Signorina? Signorina?!
La cameriera la fissò con l’aria di chi volesse essere ovunque tranne che lì, e Maya non
riuscì a darle torto.
- Scusi, ero distratta.
- Ordina?
- Mm... – scoccò un’ultima occhiatina al menù – Un muffin al limone e semi di papavero,
grazie.
- Da bere?
Maya si mordicchiò le labbra – Uno Smoothie alla banana, per favore. Con panna.
La cameriera caracollò verso il bancone, e Maya fece scorrere lo sguardo tutto intorno.
L’arredamento della caffetteria era vagamente squallido, con i tavoli di formica e le
anonime mattonelle scolorite sulle pareti.
- Fa schifo come dovrebbe, Dorren. - sospirò – Darei qualunque cosa per sapere se
Rodolphus è riuscito a fare tutto.
La vocetta incorporea dell’Elfo risuonò da un punto accanto al suo orecchio, bassa e
rassicurante – Padron Rodolphus avrà sistemato ogni cosa. E’ stato presto in banca,
stamattina. E dopo al Ministero.
La donna annuì, scoccando un’occhiataccia alla cameriera che si avvicinava.
- Tutto bene? – borbottò la ragazza.
- Sì. Mi piace parlare da sola, c’è qualche problema? – allungò le banconote sul tavolino
ed incrociò le braccia – Tenga il resto.
- Mm. – la cameriera infilò le banconote nel grembiule e sparì.
- Sai, Dorren… - sussurrò Maya – Qualche volta capisco perché alcuni maghi detestino i
Babbani.
L’Elfo rimase saggiamente in silenzio.
Tre smoothie e due muffin dopo Maya incrociò le braccia sul tavolo e vi adagiò la testa,
lottando per non addormentarsi.
- Spero tanto di non aver sbagliato tutto. – soffiò.
Come in risposta il campanellino che annunciava l’ingresso di nuovi visitatori trillò, e la
donna trattenne il fiato. Rimase immobile, fingendo di dormire.
Dopo un tempo apparentemente infinito il campanello suonò ancora.
- Dorren…
- Stupeficium! – l’incantesimo esplose prima che lei potesse aggiungere altro. Maya si
gettò a terra, protetta dai tavolini e scansando per un pelo la cameriera che correva fuori
a rotta di collo.
E’ come il nuoto sincronizzato. Pensò. Un balletto, una questione di attimi.
- Expulso!
Doveva essere Dolohov. Maya saltò fuori nel momento in cui Harry Potter veniva fuori dal
mantello. Una Bacchetta magica, quella di Potter, le volò sopra la testa. Il mantello
dell’invisibilità le scivolò ai piedi.
Mentre richiudeva la borsa di Mokessino sollevò lo sguardo… in una frazione di secondo
ogni cosa sembrava essersi cristallizzata; Dorren galleggiava sopra Harry Potter, un
braccio parzialmente invisibile come metà del suo corpo. Nessuno del trio se ne era
accorto, ma Dolohov lo stava contemplando a bocca aperta.
- Petrificus Totalus!
Mai distrarsi, pensò. Dolohov crollò a terra con un tonfo.
Maya superò la soglia con un salto, correndo a perdifiato nel buio di un vicolo
maleodorante.
C’era mancato così poco, così poco! Dolohov l’aveva vista? Sapeva a chi apparteneva
Dorren?
Si fermò, piegata contro un cassonetto dei rifiuti, per prendere fiato.
- Sei qui? Sei qui? Dorren?!
L’Elfo comparve con un piccolo schiocco, e sorridendo le infilò qualcosa in mano.
- Lo hai sostituito?
- Come padron Rodolphus ha ordinato, signorina!
Maya riuscì ad emettere un suono strozzato – A casa, adesso. Torniamo subito a casa!
Capitolo 4: In Trappola
Maya chiuse gli occhi mentre il mondo si ripiegava su sé stesso, mentre veniva sollevata
dal marciapiede umido e sporco. L’Elfo la tenne stretta, la piccola mano nodosa
avvinghiata alla sua; smaterializzarsi non era piacevole. In un attimo furono proiettati nel
buio soffocante e poi toccarono terra sul tappeto Aubusson dello studio di Rodolphus.
- Dio, grazie… - boccheggiò.
- E’ andato tutto bene? – la Babbana socchiuse gli occhi, Lestrange incombeva sopra di lei,
preoccupato.
- Sì… sì. Tu?
Rodolphus si allontanò, dandole il tempo di rimettersi in sesto. Alle sue spalle una porta si
richiuse e Maya immaginò che Dorren fosse tornato in cucina.
- Ho visitato la Gringott ed il Ministero. Non è stato semplice. – Rodolphus scosse la testa
– Scrimgeour è morto, ero lì quando è successo… ho dovuto partecipare.
- Sarebbe successo comunque.
Lestrange depose sul tappeto il suo bottino, poi le sedette accanto.
- Tu devi pensare che io sia uno stupido, non è così? Un lunatico nella migliore delle
ipotesi. Perché sai cosa ho fatto. – Rodolphus si passò le dita tra i capelli – Non voglio
parlarti di prima di Azkaban. Dire che ero giovane e che sono stato cresciuto con quelle
idee, indottrinato e poi reso orgoglioso per ogni goccia di sangue versato non è una
scusante. – la scrutò, come in cerca di una traccia evidente di disprezzo – Ma poi ho avuto
più di dieci anni per ripensare a tutto… in quel posto. All’inferno, capisci? Con Bellatrix che
perdeva la testa e tutto il resto. Avrei voluto solo poter mettere tutto da parte. Avere una
possibilità per ricominciare a vivere.
Maya gli sfiorò la mano.
- Rodo…
- Non importa. – sorrise lui – Suona tutto molto ridicolo e molto ipocrita alle mie stesse
orecchie. – le assestò una delicata pacca sulla spalla e si sollevò - Hai preso tutto,
allora?
Maya annuì – Da questo punto in avanti ogni errore può essere fatale per tutti.
Rodolphus… - sollevò lo sguardo mordendosi le labbra – I ricordi di un mago che è stato
obliviato possono essere estratti dalla sua mente?
Lestrange annuì mentre la porta si spalancava e Dorren trottava dentro tirandosi le lunghe
orecchie – Signore! Signore… sono al cancello! La signora Bellatrix e l’Oscuro. Cosa deve
fare Dorren?
- Nascondersi! – strillò Maya, afferrando la mano di Rodolphus – Dolohov lo ha visto. Non
so se abbia visto anche me, ma Dorren deve andarsene.
- Lestrange annuì – Vai in un posto sicuro, lontano da qui. Torna solo quando sarò io a
chiamarti, vai!
L’Elfo si tirò un’ultima volta le orecchie e poi scomparve.
- Non possono materializzarsi qui dentro, il cancello li ritarderà di qualche secondo… - si
afferrò il braccio, piegandosi in due come se avesse ricevuto un colpo.
Maya raccolse frettolosamente gli oggetti che il mago aveva lasciato sul tappeto, infilandoli
alla meno peggio nella borsa di Mokessino, poi legò la borsa al di sotto dei propri vestiti.
- Rodolphus, tu sai cosa devi fare. Sai dove troverai Potter e come metterlo al sicuro.
Ricordati di Hogwarts! Quando Piton non c’è…
Una porta venne sbattuta con violenza. E la figura scarmigliata e rabbiosa di Bellatrix
varcò la soglia di corsa, seguita dal suo padrone. Lei apparentemente folle di rabbia e lui
gelido e controllato. Ma Maya non si fece ingannare.
Prima che Rodolphus potesse inchinarsi, o lei prendere fiato, la mano di Voldemort scattò
verso l’alto impugnando la Bacchetta, e Maya venne sollevata e costretta contro una
parete. Le braccia aperte, come se l’avessero crocefissa al muro. Tentò di muoversi, ma
non riuscì a spostarsi di un solo millimetro. Allora provò a parlare, solo per scoprire di non
poterlo fare, ogni singolo muscolo del suo corpo schiacciato da un invisibile peso.
- Cosa, Rodolphus? – la stessa voce di Voldemort generava sofferenza, la donna si irrigidì
ancora di più: era come se ad ogni parola la lama di un bisturi le scivolasse sulla pelle,
affondando a poco a poco.
Lestrange riuscì a nascondere la preoccupazione, abbassò la testa e quando parlò lo fece
con la massima noncuranza.
Dio, pregò la Babbana, fa che non mi sia sbagliata sul suo conto!
- Mio Signore?
- C’è stupore nei suoi occhi. – Bellatrix sollevò il mento di suo marito, scrutandolo con
attenzione – Mio Signore, Rodolphus non ti tradirebbe mai. Deve essere stata la Babbana
ad organizzare tutto.
Lestrange le allontanò la mano – Tradimento? Sono accusato di tradimento? Ho
contribuito a far prendere ed eliminare Scrimgeour solo poche ore fa!
- E Dolohov ha visto un Elfo Domestico, con il tuo stemma impresso sui suoi sudici stracci,
galleggiare sulla testa del mio nemico, Rodolphus, ed una Babbana… quella Babbana,
presumo. Li ha visti fuggire mentre il ragazzo Potter e la sua amica mezzosangue lo
sopraffacevano. Non è… insolito, tu credi?
Maya, seppur trafitta ad ogni parola, esultò; Dolohov aveva visto lei e Dorren, e quello,
per qualche motivo, gli aveva impedito di registrare anche la presenza di Weasley... o la
aveva relegata in qualche angolino di memoria dove Voldemort non si era deciso a
frugare, accecato dalla rabbia e dal sospetto. Questo poteva voler solo dire che la storia
non era stata cambiata, non ancora.
- Sì, mio Signore. E’ così che è andata. – Lestrange annuì, e la Bacchetta di Voldemort
compì un altro rapidissimo gesto, obbligandolo ad inginocchiarsi.
- E’ così… cosa, Rodolphus?
Lestrange sollevò la testa, Bellatrix fremeva di collera, le sorrise – Ho pensato…
- Hai pensato cosa, Rodolphus? Crucio!
La magia di Voldemort abbandonò Maya, lasciandola cadere sul pavimento nello stesso
istante in cui Lestrange tentava di contenere un grido di dolore.
- No, no! Non ha fatto nulla! - Maya boccheggiò, rendendosi conto di aver commesso un
errore; Bellatrix non attendeva che un piccolo cenno di rivolta per riversare tutta la sua
rabbia e frustrazione contro una Babbana priva di valore. Scattò verso di lei, mandando in
frantumi l’attizzatoio che Maya aveva raccolto in un gesto di difesa istintivo. Bellatrix le
infilò le dita tra i capelli, sollevandole la testa. La Bacchetta puntata alla base del collo.
- Chi credi di essere tu? – sibilò, e Maya si domandò se non vi fosse una piccola, ben
nascosta vena di gelosia sotto la sua rabbia. Se Rodolphus lo avesse capito ne sarebbe
stato felice.
- Lo avevo detto, avevo detto che sapeva delle cose! – Rodolphus sollevò le mani – Mio
Signore, non è un tradimento!
- Rodolphus, Rodolphus. – Voldemort si concesse una risatina melliflua, la fiamma delle
candele riverberava nei suoi occhi rossi rendendoli ancora più penetranti, mostruosi –
Continui a parlare eppure non dici nulla. Crucio!
Maya capì che Voldemort lo avrebbe ucciso, ma Lestrange non poteva, non voleva rivelare
di possedere un’ arma che l’Oscuro Signore non avrebbe esitato ad usare distruggendo
ogni sua residua speranza.
- C’ero anche io, c’ero anche io a Villa Malfoy! Lui lo ha detto…
Bellatrix le spinse la testa più indietro, strappandole ciocche di capelli e premendole con
più forza la punta della Bacchetta contro la gola.
- Ma non sapeva se si potesse fidare di me! – Maya riuscì a gorgogliare – Troppo…
imprecisa, troppo frammentaria… sfuggono i dettagli più importanti…
- Mio Signore, ti supplico, non permettere che la nostra arma migliore venga sacrificata
così! Lei sa, conosce la storia.
Ad un cenno dell’Oscuro Bellatrix si immobilizzò.
- Continua, Rodolphus.
- Non so perché, ma lei ci conosce. Il passato, ed alcuni frammenti del futuro. Frammenti
lacunosi. Ma li conosce! Mi ha detto che sapeva dove Dolohov e Rowle avrebbero quasi
catturato Potter. Io dovevo essere al Ministero; non le credevo. Non del tutto. Ho mandato
il mio Elfo a sorvegliarla. L’Elfo avrebbe potuto fermare Potter, ma la Babbana ha tentato
la fuga. Ha dovuto seguirla.
- E lasciare Thorfinn ed Antonin a fronteggiare il loro fallimento e la mia collera? –
Voldemort si voltò verso Maya. Bellatrix arretrò in un angolo buio della stanza, tremando e
ancora stringendo la Bacchetta.
- Come è possibile? – l’Oscuro le puntò contro la Bacchetta – Una Babbana! Come è
possibile…
- Neanche lei lo sa! – Rodolphus raggiunse Voldemort – E’ un… mistero. Un’anomalia,
un’incongruenza. Non di questo mondo, comunque. Nessuno mette a rischio…
- Silenzio! – Voldemort attraversò lo studio, girando intorno alla donna – Provalo. Prova
che sai…
Maya deglutì, la gola le bruciava da morire. Dire… e non dire, pensò. Dire qualcosa di
ormai inutile.
- E’ vero. – mormorò ancora Voldemort prima che lei potesse parlare – Non riesco a
leggerla… lo avevi detto Rodolphus.
La donna chiuse gli occhi e si decise - Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere
l'Oscuro Signore...nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo
mese...l'Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui
sconosciuto. - Maya deglutì, omettendo una parte della profezia - Il solo col potere di
sconfiggere l'Oscuro Signore nascerà all'estinguersi del settimo mese.
Gli occhi rossi di Voldemort bruciavano come piccole, ambigue e maligne fiamme.
- Era questa che cercavi due anni fa, non è così? All’Ufficio Misteri.
Una forza invisibile e priva di gentilezza la sollevò, obbligandola a restare dritta e rigida. La
stessa forza le tirò indietro le mani ed una corda magica le legò i polsi dietro la schiena.
- La Babbana è mia. – sibilò Voldemort.
Prima che si smaterializzassero Maya riuscì a rivolgere uno sguardo disperato a Lestrange.
Ricordati, lo supplicò con la mente, ricordati cosa devi fare. Subito, al più presto.
Capitolo 5: In Tempo per la Colazione
- Ma quella è una Babbana! – Lucius Malfoy depose nervosamente il suo calice di vino sul
tavolo – Dove dovrei mettere una Babbana, adesso?
Nessuno si incomodò a dargli risposta, e Lucius socchiuse gli occhi senza sollevare lo
sguardo dal legno scuro della tavola. Un pensiero spiacevole si fece strada nella sua
mente, perché si affrettò a spostare il bicchiere. E Maya ebbe la sgradita sensazione che
quel piccolo cambiamento avesse a che fare con Charity Burbage.
Almeno, si disse, Lucius non sembrava entusiasta all’idea di un’altra uccisione in salotto.
In quanto a Voldemort… quello era tutto un altro discorso; Maya non era certa che per lui
facesse differenza togliere di mezzo qualcuno lì, in cucina, o nella piccionaia. Provò ad
incrociare le dita, le mani ancora legate strettamente dietro la schiena.
- C’è abbastanza posto nelle segrete. – Narcissa Malfoy tentò di mostrarsi conciliante.
- No. – Voldemort era distratto. Osservava un punto al di sopra del camino, pensieroso. Le
sue lunghe dita pallide si mossero in un gesto automatico, picchiettando sul bracciolo della
poltrona dove si era accomodato. A Maya diede l’impressione di qualcuno che stesse
suonando una scala sulla tastiera di un pianoforte immaginario – Ci sono già altri ospiti
nelle tue segrete, Lucius. Sono sicuro che sarai lieto di mostrarmi la tua dedizione
trovando una stanza sicura dove rinchiuderla. Da sola. Nessuno deve vederla senza il mio
consenso.
Lucius lottò contro il desiderio di opporsi. L’ombra della ribellione era ben visibile sul suo
viso sciupato, mista alla paura.
Narcissa gli sfiorò una mano, e Lucius lasciò che la ragionevolezza spegnesse ogni anelito
di rivolta.
- Ma certo, mio Signore. – sussurrò.
Maya sospettò che quello che i Malfoy avrebbero potuto fare per rendere più penosa la
sua permanenza… lo avrebbero fatto senza un briciolo di rimorso.
- Saranno gli Elfi ad occuparsi di lei, Lucius. – Voldemort si alzò lentamente – Io devo
partire. Ci sono pensieri… idee che necessitano di tutta la mia attenzione.
Un Elfo scivolò fuori dal nulla, si inchinò fino a toccare terra e sospinse Maya verso la
porta. Nessuno la seguì, nessuno la degnò di attenzione mentre attraversava la stanza
verso la sua nuova sistemazione.
Sembrava che per quelle persone lei non avesse più valore di un oggetto, di un
soprammobile che poteva essere preso, spostato o buttato via.
Voldemort non era davvero interessato alle sue conoscenze, questa idea le balenò
all’improvviso nella mente. Gli gettò un’ultima occhiata, ma gli occhi color sangue erano
perduti nella contemplazione di orizzonti molto distanti. Rodolphus e Dorren le sembrarono
lontanissimi, irraggiungibili.
Tutto quello che Voldemort poteva desiderare da lei… era che non condividesse con
nessuno i suoi segreti, le conoscenze che diceva di possedere. Seppure lacunose e
frammentarie come gli avevano fatto credere.
L’Oscuro Signore non poteva domandare nulla ad una come lei. Se lo avesse fatto sarebbe
stato come smentire ogni singola certezza coltivata per anni.
Un brivido di paura le corse lungo la schiena; cosa la separava dalla morte, allora? Un
dubbio, un piccolissimo dubbio si disse.
Sarebbe rimasta in vita sino a quando Voldemort avesse conservato quel dubbio. A meno
che non fosse riuscita a dimostrargli di avere un peso.
- Dove stiamo andando? – la voce di Maya risuonò con forza nei corridoi dall’alto soffitto a
volta, tra i ritratti degli antenati dei Malfoy che tappezzavano le pareti.
L’Elfo Domestico non le rispose. Si limitò a scoccarsi un’occhiata irritata alle spalle, per poi
tirare dritto.
- Ah. – la Babbana socchiuse gli occhi – Neanche gli Elfi mi reputano alla loro altezza, è
così?
La creaturina si irrigidì, ostinandosi ad ignorarla.
- Beh, non ti disturbare, Santo Cielo! Non ti chiederò più nulla. L’Elfo si voltò di scatto, fissandola ad occhi sgranati – Flubby non può perdere il posto!
Flubby non può parlare con i Babbani! – si tirò le orecchie con violenza – Il cugino di
Flubby ha già disonorato la famiglia a sufficienza!
- Il cugino di… - Maya si fermò di scatto e la sottile catena d’argento che le bloccava i polsi
tintinnò – Flubby è il cugino di Dobby?!
La creaturina la fissò al culmine del panico – Flubby non ha detto questo! – strillò – Cosa
ne sanno i Babbani?!
Spalancò una porta e la spinse dentro.
- Ehi!
Maya perse l’equilibrio, barcollò in avanti, picchiò le ginocchia contro qualcosa di solido e
poi cadde su un letto.
Un vecchio, ammuffito letto coperto di polvere.
- Flubby! – strillò, sputando e tossendo. Rigirandosi come una tartaruga particolarmente
goffa mentre ondate di pulviscolo, e brandelli di materiale su cui preferiva non indagare si
sollevavano tutto intorno – Hanno detto in una stanza. In una stanza, capito? Non in una
discarica!
L’Elfo non rispose.
Sporca, stanca, spaventata e piena di rabbia Maya scivolò giù dal letto, su un tappeto non
meno lurido. Riuscì a sollevarsi e a raggiungere la finestra; il giardino era immerso nel
buio. La luce della luna non bastava ad illuminare la camera, e la Babbana si domandò se
questa non fosse una benedizione.
Pensò con rimpianto al letto che Dorren le preparava ogni sera, alle lenzuola pulite e
profumate di bucato. Alla cena.
Dio, la cena!
I tortini della cucina di Lestrange avevano avuto un profumo irresistibile, un gusto
incomparabile; il suo stomaco stava già brontolando, gli smoothie ei i muffin obliati da un
tempo apparentemente più lungo di un secolo.
Non piangere.
Non piangere, non piangere, non piangere .
Maya assestò un calcio alla prima cosa che le capitò a tiro. Fece in tempo a spostarsi
prima che grossi pezzi di ferraglia le rovinassero addosso da una vecchia armatura
arrugginita.
- Io non mi arrendo, Flubby, mi senti?! Io non mi arrendo!
Avrebbe voluto avere le mani libere per togliersi la polvere dal viso, per asciugarsi gli
occhi. Dopotutto, si disse… questo è quello che desideravo: avere una possibilità. Sono qui
per una ragione.
Si addormentò così, a terra, immaginando di essere rimasta a discutere con Rodolphus per
tutta la notte di propositi ed idee, di cosa avrebbero fatto se il piano fosse andato in porto.
Non fu la luce del mattino a svegliarla. Qualcuno si muoveva furtivo nella stanza.
Maya socchiuse gli occhi; Flubby stava deponendo un vassoio sul letto, offrendole le
spalle.
Lei si mosse con cautela. Ruotò lentamente per raggiungere con i piedi il gambale
dell’armatura che era rimasto sul pavimento. Senza far rumore riuscì a stringerlo, ogni
suono attutito dalla suola di gomma delle sue scarpe da ginnastica.
Tirò un respiro profondo: puntellandosi con le mani e facendo forza sui fianchi riuscì a
ruotare ancora, ed a sollevare il gambale. Flubby fece appena in tempo a girarsi, senza
poter evitare l’impatto con la ferraglia.
Maya si inginocchiò, fece leva con la faccia sul letto dove l’Elfo era caduto, si sollevò… le
ginocchia malferme e doloranti per la notte trascorsa sul pavimento. Raggiunse la porta
aperta e si guardò intorno, pensando a quale informazione avrebbe potuto barattare con i
Malfoy in cambio di una stanza decente e della possibilità di essere slegata.
Con un po’ di fortuna l’Oscuro Signore non sarebbe mai venuto a sapere nulla. Se ne era
andato, no? A fare ricerche su una Bacchetta che gli avrebbe consentito di duellare fino in
fondo con Potter, forse già a cercare Gregorovich.
La donna affrontò le scale; forse i Malfoy stavano facendo colazione. Forse… se avesse
garantito per la futura incolumità di Draco, se avesse garantito che la loro posizione
sarebbe tornata ad essere quella che era stata in passato…
Riuscì a ritrovare la strada per la sala con il lungo tavolo di legno scuro. Qualcuno aveva
girato la poltrona verso il caminetto spento.
Maya percepì il suono inconfondibile delle pagine di un quotidiano che venivano voltate.
Sul tavolo era stato lasciato un vassoio con dei biscotti imburrati, una teiera fumante e
delle scodelline riempite di crema e marmellata. Represse il desiderio di tuffarsi sul cibo e
si fece coraggio.
- Signor Malfoy, dobbiamo parlare! C’è qualcosa che potrei offrirle.
Non fu la risata, fredda e priva di calore, a dirle che aveva commesso un errore
imperdonabile… ma il sibilo del serpente che, ancora prima, si attorcigliò intorno alle sue
gambe.
Capitolo 6: Nel Nulla
- Questo… è un terribile… equivoco! – Maya deglutì, domandandosi se Voldemort avesse
compreso una sola delle parole che aveva biascicato: sembrava che la lingua le si fosse
incollata al palato, che dalla sua gola non potessero uscire altro che borbottii.
Nagini, il gigantesco serpente arrotolato ai suoi piedi, le assestò un colpo con la coda. E la
donna si mosse, avanzando verso la poltrona.
Voldemort ripiegò il quotidiano che stava leggendo, lo depose con cura. Una tazza di tè
fluttuo verso di lui, scivolandogli tra le dita.
Maya ebbe l’impressione che, ancora una volta, non fosse incline a prestarle alcuna
attenzione. Pensò ad una serie di giustificazioni che avrebbe potuto provare a snocciolare
se le sue labbra non fossero state tanto ribelli, tanto secche.
Provando un impeto di vergogna e delusione abbassò gli occhi, studiando i decori incisi
alla base camino.
Rimasero silenziosi, la donna ed il mago, per un tempo che le sembrò fin troppo lungo. Un
tempo studiato per incutere timore, per lasciare affiorare dubbi… un tempo studiato per
fare in modo che Maya compisse un passo falso.
Si obbligò a resistere, concedendosi solo di gettare un’occhiatina all’uomo spaventoso che
se ne stava seduto in poltrona come se non vi fosse nulla di strano in quella situazione.
Voldemort teneva ancora la tazza tra le dita. Non aveva bevuto un solo sorso di tè, si
limitava a goderne il profumo o, almeno, Maya ebbe l’impressione che lo stesse facendo:
assaporare la sensazione della porcellana calda tra le dita, e respirare l’aroma intenso
dell’earl grey con il suo delicato sentore di bergamotto.
Un uomo che aveva cercato il potere assoluto e che lo aveva ottenuto… per poi decidere
di restare nell’ombra: c’era un altro Ministro della Magia a Londra, uno circondato da
funzionari zelanti e pronti a tributargli omaggio. E Voldemort restava lì, invece, ospite di
servi che, probabilmente, sarebbero stati disposti a venderlo al migliore offerente pur di
essere nuovamente liberi.
Maya socchiuse gli occhi, studiandolo meglio. Era davvero a suo agio nella poltrona di
Lucius? Perché aveva scelto quel posto, solo per tormentare Malfoy ed i suoi? No, pensò.
Non può essere. Se fosse tutto così semplice la mia partita sarebbe già finita.
Gli piacevano gli agi: gli agi degli altri. Ma se la sua vita si fosse davvero sovrapposta a
quella di Lucius, o a quella del Ministro della Magia probabilmente si sarebbe sentito fuori
luogo.
Maya si passò la lingua sulle labbra, il sottile filo di fumo che si sollevava dalla tazza
somigliava moltissimo ad un serpente che si stesse snodando nell’aria.
No, pensò. No, Lord Voldemort… non ingannerai me.
Le pregiate porcellane di Lucius, la deliziosa marmellata di fragole e gli scones imburrati su
vassoi d’argento, il giornale fresco di stampa con le pagine ancora rigide e fruscianti non
sarebbero mai stati la sua vita.
Poteva giocare ad essere come Lucius, ma la verità era completamente diversa. Non c’era
potere al mondo capace di cambiare le cose.
Guardalo davvero.
Gettata alle ortiche ogni cautela lo osservò con attenzione; non sembrava neanche una
creatura di questo mondo. Solo un essere alieno, un mostro uscito da qualche racconto
mitologico… incapace di umanità. Incapace di discernere il valore della vita altrui, incapace
di riconoscere sé stesso negli altri. Un estraneo per chiunque.
Maya ripensò alle lunghe estati dell’infanzia; ai bambini che giocavano all’aperto
osservando gli insetti passare indaffarati, a come allungavano le dita, ridendo, per
schiacciare le formiche.
Dopotutto cosa importa agli uomini delle formiche?
Ce ne sono così tante, così diverse, così uguali. Così lontane.
Agli uomini non importa di quante formiche possano morire, non importa quante ne
schiaccino o quante ne ignorino. Un uomo non sacrificherebbe neanche un attimo del suo
tempo per una formica. Per qualcosa che non capisce.
Lo guardò ancora, mettendo da parte il suo aspetto alieno, la sua infantile e diabolica
incapacità di percepire altri mondi, altre menti, altri sentimenti.
Immaginò un ragazzino che non possedeva nulla, un ragazzino che osservava ricchi, nobili
e antichi maghi che depositavano i loro tesori nel cuore di una banca inaccessibile a quelli
come lui, ai ladruncoli, ai poveri, agli orfani senza passato.
- Provare pena… per un mostro. – non si accorse neppure di averlo detto a voce alta.
C’era una luce nello sguardo di Voldemort. Maya si domandò da quanto tempo si stessero
fissando così.
Forse non poteva leggere la sua mente, forse non poteva obbligarla a dire la verità; ma
quello che c’era nei suoi occhi non poteva essere così difficile da decifrare.
Voldemort si alzò con lentezza, depose la tazza sul tavolo e carezzò distrattamente la testa
del grande serpente arrotolato ai loro piedi.
- Pensavo che per gli animali fosse semplice obbedire. – la voce del mago non era più di
un pensieroso sussurro – Ma un animale privo di cervello può comprendere il senso
dell’obbedienza? – tornò a guardarla – No, è evidente. Un cane può obbedire al padrone.
Ma chi potrebbe addestrare un verme?
La donna chiuse gli occhi. Sto per morire, si disse. Cosa poteva dargli in cambio della
salvezza?
Dirgli dove era Gregorovich, rivelargli l’identità del ladro che di lì a poco avrebbe cercato,
offrirgli in premio la Bacchetta che desiderava con tanta urgenza.
Troppo presto, troppo presto, troppo presto…
Rodolphus non aveva avuto il tempo di completare la sua missione, la storia non doveva
essere ancora cambiata.
Ma se non glielo dici morirai! E allora a cosa sarà servito tutto? Maya scosse la testa, come
se questo fosse stato sufficiente a far scomparire quella dannata vocina che continuava a
suggerirle di lasciar perdere.
- Non posso… - mormorò in tono di scusa.
Voldemort le sorrise con tutta la sua gentilezza, con quelle maniere così educate e fuori
posto che le facevano ghiacciare il sangue nelle vene.
Una lunga mano pallida si mosse verso una delle tasche della tunica, e ne riemerse stretta
intorno alla Bacchetta magica.
- Non mi hai mai neanche messa alla prova, se qui sono d’impiccio potrei tornare da
Rodolphus. Per favore.
Voldemort si avvicinò, allungò la mano libera per sfiorarle il viso con dolcezza, dal mento
fino alla fronte – Non puoi. Non puoi. Capisci? – il suo sorriso si tramutò in una smorfia
perfida, ogni parvenza di garbo dimenticata; Maya provò a scostarsi ma lui la afferrò,
obbligandola a restare ferma, imprigionata tra il suo corpo ed il tavolo. La Bacchetta
puntata contro il suo petto – Tu, piccolo animale, non sei neppure in grado di stabilire
cosa desideri, come potresti restare al tuo posto? Obbedisci solo agli istinti più bassi, priva
di controllo. Tu osi guardarmi, parlarmi… disobbedire. – scosse il capo – Da Signore
misericordioso ti darò ciò che serve…
- Non sono un animale, sono una persona, Voldemort!
Il mago rise.
- No, non lo sei, sciocca creaturina, miserabile animale. Sei un verme che vive nel fango e
si contorce nell’illusione di poter essere di più…
La sua stretta si fece terribilmente più salda, Maya singhiozzò mentre la Bacchetta le
scivolava lungo il collo. Voldemort la fece scorrere sino alle sue labbra – Fino a quando
non avrai imparato a dire solo ciò che io vorrò sapere… tacerai.
Ogni suono ed ogni protesta si spensero nella gola della donna.
- Bene così.
Le lacrime le bagnarono il viso: non riuscì più a trattenerle. Non c’era più motivo di farlo.
Voldemort le sfiorò un orecchio con la bocca – Non udrai più nulla che io non ti permetta
di udire. – sussurrò, la sua lingua guizzò contro la carne tenera del lobo.
Maya si immobilizzò, perduta nel silenzio. Cercò lo sguardo di Voldemort per trasmettergli
un’ultima, muta supplica. Lui le asciugò gli occhi, sorrise ancora ed ogni luce al mondo si
spense nel buio.
Quando la lasciò andare, Maya barcollò nel vuoto. Con le mani ancora trattenute dalla
sottile catena d’argento si sentì doppiamente perduta. Cadde e si rialzò. Cadde ancora. Il
battito del cuore che non accennava a diminuire. Aprì la bocca per tentare di urlare.
Si mosse, ma urtò contro una parete che non poteva vedere… una parete che si dilatò fino
a circondarla come una gabbia.
Lord Voldemort le voltò le spalle per dedicarsi alla colazione. Il tè si era raffreddato:
scagliò la tazza nel caminetto spento con una smorfia di disappunto.
- Cosa… – Narcissa Malfoy si fermò sulla soglia, gli occhi sgranati.
Maya stava lottando contro qualcosa di invisibile, il viso bagnato di lacrime.
- Cosa? – Voldemort sollevò lo sguardo come se la vedesse per la prima volta – Un verme.
– sussurrò – Solo un verme.
Capitolo 7: Il Volo del Verme
Agosto trascorse in fretta, in un susseguirsi di giorni vuoti e ripetitivi.
Rinchiusa nella stanza che le era stata assegnata Maya aspettava, e si preparava a quello
che sarebbe venuto.
Era stata impaziente, e per lunghi giorni l’impazienza l’aveva condotta verso la paura,
all’abbattimento: non aveva mai conosciuto una tale vulnerabilità. Privata della facoltà di
ascoltare, di vedere e di parlare non poteva difendersi in alcun modo.
Temeva che pericoli innominabili sarebbero usciti dalle tenebre per aggredirla, che occhi
indiscreti la spiassero quando scivolava nella vasca d’acqua calda che gli Elfi si
premuravano di prepararle, o quando cedeva al sonno.
A volte percorreva la stanza a tentoni, barcollando nel proprio buio personale, per
accertarsi che non ci fosse nessuno. Frugava negli angoli, si spostava alla cieca e
immaginava, in una buona approssimazione della follia, che qualcuno stesse ridendo di lei
e che la costringesse a giocare ad un nascondino impari e crudele.
Non era stata mai così sola e nello stesso tempo così esposta.
Odiò Rodolphus, certa che sapesse incontro a cosa l’aveva spinta, perché non veniva a
salvarla. Odiò ciascuno degli abitanti della grande casa perché a nessuno di loro importava
di lei. Sapevano che viveva come una reclusa, privata di tutto… e continuavano ad esistere
con tranquillità, come se una cosa tanto crudele non si stesse consumando sotto il loro
stesso tetto.
Poi, un giorno, la rabbia scacciò la paura, e prima che fosse troppo tardi la ricondusse
verso la ragione.
Allora Maya cessò di temere i fantasmi che la circondavano… e li affrontò.
Scoprì che c’erano altri modi per tenere conto del mondo che la attorniava.
Poteva appoggiare le dita al vetro della finestra e assorbire le vibrazioni del vento che
soffiava fuori; imparò a discernere lo spostamento d’aria provocato dall’ingresso di un Elfo
da quello che veniva provocato da un uomo. Riusciva a sapere quando al piano di sotto si
teneva una riunione dallo spostamento delle sedie, e dall’andirivieni dei maghi che
producevano così tante vibrazioni da darle, se si sdraiava sul pavimento, la stessa gioia di
un piccolo concerto.
Dopo un po’ iniziò a conoscere così a fondo la sua prigione tanto da potersi muovere come
se non fosse stata cieca, e le misteriose presenze che aveva temuto divennero figure da
sfidare.
Pensò, progettò, non permise alla sua mente di restare inattiva. Perché in ogni istante si
sarebbe potuta presentare l’occasione giusta. La sola speranza di emergere dal buio.
Voldemort aveva creduto di ricondurla alla condizione di miserabilità che riteneva propria
di ogni uomo privo di magia; aveva detto che era come un verme… una creatura destinata
a dibattersi nell’ignoranza. Ciò che l’Oscuro Signore non aveva previsto era la tenacia, la
forza che anche un verme poteva dimostrare quando non c’era più nulla da perdere.
Sì, un verme, pensò Maya. E vedrai che verme!
Attese.
Attese.
Attese.
Imparò che poteva distinguere il trascorrere del tempo, e fu certa che da qualche parte
l’Oscuro Signore si stesse aggirando in cerca di Gregorovich, in cerca di un indizio che lo
mettesse sulla strada dell’oggetto che riempiva i suoi pensieri. Forse si era dimenticato di
lei, forse la sua mente l’aveva relegata in un angolino scuro e minuscolo.
Però, si disse, prima poi lui ricorderà che questa Babbana potrebbe possedere una chiave
per aprire la serratura del futuro.
Sollevava la testa quando il piccolo spostamento d’aria all’interno della stanza le
annunciava l’ingresso di qualcuno. Scivolava giù dal letto e si muoveva verso il visitatore.
Invariabilmente l’estraneo le sfuggiva, ma Maya lo sapeva: quando fosse entrato
Voldemort non avrebbe mostrato alcun timore né avrebbe preso alcuna precauzione
contro di lei.
Una sera si tenne una riunione piuttosto agitata. Maya si distese sul pavimento, il viso
premuto sulla pietra per bearsi di ogni movimento, di ogni vibrazione. Si domandò cosa
stesse succedendo, quali punizioni venissero impartite e quali premi elargiti. Il pavimento
era freddo, Maya sorrise sfiorando con la punta delle dita gli spazi polverosi tra le lastre di
pietra. Poteva percorrerli così, ed immaginare che si trattasse di labirinti. Di lunghi sentieri
che conducevano in luoghi misteriosi, in fortini da espugnare, cavità nascoste dove si
conservavano tesori segreti. Ridendo tra sé e sé rotolò verso il letto, insinuandosi sotto la
struttura di legno, continuando a seguire in punta di dita il disegno del pavimento.
Riattraversò la stanza ginocchioni, fino alla rientranza del grande camino e ne esplorò i
decori, decifrando solo con il tatto i motivi floreali, le foglie che si allungavano verso l’alto
e gli animali mitologici che si affacciavano tra la vegetazione.
Riparata dal camino non percepì l’aprirsi della porta…
L’Oscuro Signore socchiuse gli occhi, i suoi occhi di sangue che vedevano perfettamente
nel buio come quelli di un predatore.
Richiuse la porta dietro di sé, pianissimo, e si avvicinò.
Maya stava acquattata nella vecchia cenere, i capelli arruffati e sporchi di polvere. Con il
viso rivolto all’insù sembrava in attesa di un suono che, Voldemort lo sapeva bene, non
sarebbe giunto. Strofinava le dita sporche su e giù lungo le istoriazioni. Percorreva il corpo
allungato di una delle incisioni, dalle zampe fino al muso, e poi lo percorreva ancora come
se lo stesse studiando. Si spostava con lentezza, disegnando nella propria mente l’intera
immagine che un artista sconosciuto aveva scolpito secoli prima.
Voldemort provò una fitta di rabbia, come se fosse stato privato di qualcosa che
desiderava. Di un trionfo che era sembrato infinitamente facile ed ovvio.
Allungò una mano per colpirla, ma invece di schiaffeggiarla le sue dita si chiusero dietro la
nuca della donna, obbligandola a girarsi.
Maya sobbalzò, allungò le mani verso l’intruso, e percepì la stoffa liscia e sottile di una
tunica, la tunica di Voldemort.
Si avvicinò, percependo un altro odore dopo quello polveroso della pietra e quello acre
della cenere; odore di muschio, e di legni pregiati. Odore di terra, di erba. Odore di vento,
di lunghi viaggi.
Senza tentare di liberarsi cercò la mano del mago e la strinse tra le sue.
Voldemort si fermò con un incantesimo sulle labbra.
Maya gli spianò il palmo, poi vi fece scorrere un dito, componendo una lettera dopo
l’altra…
…Il verme è l'unico imperatore quanto al vitto; noi ingrassiamo tutte l'altre creature per
ingrassarci, c'ingrassiamo noi stessi per i vermi; un re grasso e un mendicante magro, non
sono che un servizio variato, due piatti, ma per una sola tavola; questa è la fine.
Sollevò il viso e gli sorrise.
Un punto per me, pensò. Poi le sue dita ripresero a muoversi prima che Voldemort potesse
decidere che si era spinta troppo oltre, e che era arrivato il momento di porre fine ai
tentativi di una Babbana di emergere dal fango.
… Gregorovich. Lo tracciò con chiarezza, con decisione, come se lo avesse gridato.
La mano di Voldemort, che ancora la teneva stretta, la lasciò andare e Maya arretrò.
Io so dov’è, pensò. Adesso lascia che la battaglia dentro di te giunga ad una conclusione;
hai detto che ero un verme… ma questo verme possiede ciò che per te è più importante.
Rifiuterai o cederai?
Maya arretrò fino ad una delle sedie, vi si accomodò con indifferenza. Aveva l’impressione
di riuscire a sentire il cervello di Voldemort ragionare e ticchettare come il meccanismo di
un orologio.
La uccido, non la uccido? Tic-Tac.
Sollevò le spalle e scosse la testa, come a dirgli che non poteva essere lei ad offrirgli il
suggerimento migliore, non per quella cosa in particolare.
La borsa di Mokessino che portava sempre legata al di sotto degli abiti, assicurata al
proprio corpo come il più prezioso dei tesori sembrò farsi pesantissima.
Poi l’aria tutto intorno vibrò, e per un attimo Maya provò un briciolo della vecchia e
familiare paura.
Due braccia muscolose la afferrarono sollevandola, e tutto intorno il mondo esplose in una
miriade di schegge. Un ruggito rabbioso risuonò nel petto del mago, il viso di lei premuto
con forza contro la carne solida. Poi tutto si tramutò in fumo e vapore, come se nulla
avesse più peso… ed il vento picchiava con forza sul suo volto, agitandole i capelli e
sollevando il mantello del mago.
Maya diede mentalmente il suo addio alla casa di Lucius Malfoy: stavano volando.
Capitolo 8: Passato
Rodolphus Lestrange salì le scale saltando i gradini a due alla volta, consapevole di essere
seguito dalla propria moglie e, purtroppo, da Severus Piton.
La porta della piccola camera era aperta, ma il dettaglio più allarmante erano i frammenti
di vetro che luccicavano sul pavimento. Soffocando un’imprecazione Rodolphus corse a
quello che restava della finestra, temendo il peggio.
- La Babbana si è suicidata? – Bellatrix non riuscì a nascondere la speranza che fosse
successo proprio quello.
Lestrange si passò una mano tra i capelli e tirò un sospiro di sollievo – No, certo che no.
Non c’è nessuno a terra. Sai cosa è successo, Bella? – non riuscì ad evitare di sorridere
con un pizzico di malignità – Credo che l’Oscuro Signore l’abbia portata con sé.
- E in volo. – la precisazione di Severus mandò Bellatrix ancora di più su tutte le furie.
- Non è possibile! – la strega spostò Rodolphus con un gesto privo di grazia, affacciandosi
e scrutando prima il cortile e poi il cielo – Non è possibile.
- E perché, Bellatrix? – Severus socchiuse gli occhi – Perché nessuno di noi è stato invitato
a seguirlo prima d’ora? Dubiti della saggezza delle scelte dell’Oscuro?
Per quanto Rodolphus non si sentisse particolarmente incline ad approvare Piton, non
dopo tutto quello che aveva saputo da Maya, provò un’altra gratificante ondata di
contentezza.
- Si vorrà liberare di lei. – Bellatrix digrignò i denti – A voi sfuggono i pensieri dell’Oscuro,
come osate tentare di interpretarli?
Severus rise, una perfida risatina di scherno – E tu li conosci tutti, non è così? Mi risulta
che il nostro Signore sia stato in viaggio per tutto il mese, Bella, ma tu non eri con lui. Al
contrario, mi si dice che non avevi uno straccio di idea a proposito di cosa stesse facendo.
Vorresti negarlo? – Piton sollevò le spalle – No, immagino. Non potresti. C’è chi dice che tu
non sia più nelle sue grazie.
- Come osi…
- Sei imparentata con un licantropo, ormai. – Severus inclinò il capo – E non sei riuscita a
liberarti di questa macchia. Ultimamente sembra che tu abbia perso qualche colpo. –
Rodolphus tossicchiò – Non importa, comunque. Sono andati via insieme ed è inutile che
restiamo qui a litigare.
- Lestrange, dovrei parlarti. – Severus fece un cenno verso la porta.
Rodolphus annuì, ben felice di lasciare Bellatrix a rimuginare su tutte le più inquietanti
possibilità che la sua testolina psicopatica sarebbe riuscita a mettere insieme.
Lei, però, lo afferrò per una spalla – Dovresti concedere un po’ della tua attenzione a tua
moglie. – sibilò.
- Aspettami di sotto, Severus.
Piton annuì, e Rodolphus attese che uscisse richiudendosi la porta alle spalle.
- Sai, Bellatrix, non credevo che tu ricordassi di essere la signora Lestrange.
Lei accantonò quell’accusa con un gesto nervoso – No? Che mi importa di quello che
pensi… io voglio sapere la verità, voglio sapere chi è quella dannata Babbana.
Rodolphus socchiuse gli occhi, passandosi una mano sul mento non perfettamente rasato
– Ah, davvero? Ebbene, la risposta te la sei data da sola: è una Babbana. Che altro?
- Mi prendi in giro? – Bella attraversò la stanza a passi nervosi – Può essere una minaccia,
sembra che sia riuscita a farti il lavaggio del cervello. Preferirei essere vedova piuttosto
che avere un marito simile…
Rodolphus le afferrò i polsi, obbligandola a voltarsi. Osservandola senza più alcuna traccia
di affetto – Preferiresti essere vedova, hai detto? Proprio tu che non hai la minima idea di
cosa significhi essere una moglie!
La donna si dibatté, cercando di liberarsi per prendere la Bacchetta.
- Vuoi provvedere adesso? – ringhiò Lestrange – Oh, smettila! Sei una donnina patetica,
Bellatrix! A volte mi domando perché ti ho scelta; se avessi preso Narcissa adesso avrei
una famiglia felice ed una vera moglie…
Bellatrix riuscì a liberarsi, e ad assestargli uno schiaffo.
Rodolphus, raggelato, arretrò.
- Non dovresti incomodarti oltre, mia cara moglie. Se è la vedovanza che stai cercando
lascia che io ti aiuti. Non ho nessuna voglia di morire… ho trascorso troppo tempo
all’inferno per correrti dietro. Ti lascio la tua libertà. E appena sarà possibile faremo in
modo di sciogliere questa infelice unione.
Lei non disse nulla, si limitò a guardarlo mentre Rodolphus si avviava alla porta. Poi lui si
fermò, e le scoccò un’occhiata cattiva e priva di pudore. Percorrendola con lo sguardo
nello stesso modo in cui un cliente avrebbe studiato il corpo di una prostituta – Mi
domando una cosa, Bellatrix Black. Cosa farai adesso? Non c’è più un marito che ti
trattenga dal fare nulla, ammesso che tu abbia mai pensato di concedermi un po’ di
rispetto. Correrai da lui? Gli dirai che sei libera? – sul suo viso si allargò un sorriso folle – E
sai cosa farà? Riderà, Bellatrix. E ti punirà, forse si deciderà anche a toglierti di mezzo…
perché non ti vuole. Perché non ti ha mai voluta. Non vali nulla per lui.
- Non osare!
- Io oso quanto mi pare! Oso dirti la verità, mia cara. Gli sei stata utile, ma non c’è una
singola persona a questo mondo che lui stimi tanto quanto sé stesso. Credo che ridesse di
te mentre tu ti offrivi, Bellatrix. Più o meno come hanno fatto tutti i nostri amici.
- Io sono la serva più fedele, io sono la preferita! – un fiotto di luce rossa colpì lo stipite
della porta, e Rodolphus si abbassò per evitare la pioggia di scintille.
- Col cavolo che lo sei, razza di imbecille! – Lestrange rise – Non ti rendi conto di quello
che hai detto? La serva. La serva! Non la moglie, ma la maledetta serva, Bellatrix! Hai mai
pensato di non essere tanto meglio di un Elfo Domestico? – Rodolphus inclinò la testa,
scansando un’altra maledizione – Forse sei solo un tantino più appetibile. Ma sai cosa? La
pazzia ti ha abbruttita… forse oggi ho fatto il primo vero affare della mia vita!
Senza aspettare che lei tentasse nuovamente di colpirlo, Rodolphus uscì sbattendo la
porta… preda di un misto di rabbia furibonda, delusione e sollievo.
Si fermò sulle scale, cercando di far sbollire quelle sensazioni che minacciavano di
sopraffarlo… lottando contro il desiderio di tornare indietro e di scusarsi.
- Tornerà da me. – sibilò ad uno dei ritratti appesi alla parete.
- Ben detto! – annuì un antenato di Lucius Malfoy.
- Che sia lei a cercarmi, che si accorga di quanto valgo…
- Ottima intuizione, messere!
Rodolphus assestò una pacca alla cornice del ritratto e scese le scale. Severus lo stava
aspettando sulla soglia della grande sala delle riunioni.
- Gli altri sono andati via?
Severus annuì.
- Molto bene. Volevi parlarmi di qualcosa?
- Forse volevi farlo tu.
Lestrange inarcò un sopracciglio – Davvero non capisco.
- Ho saputo che sei stato ad Hogwarts quando non c’ero. Presumo che cercassi me…
oppure no?
- Oh, quello. Me ne ero completamente dimenticato. – Rodolphus sorrise – Volevo
complimentarmi con te ed essere il primo a portarti la notizia ufficiale. E’ stato un bel
colpo diventare preside, non è così?
- Che strano, hai scelto il momento meno opportuno per farlo, proprio quando mi trovavo
a Londra.
Lestrange fece spallucce – Non lo sapevo, cosa vuoi farci?
- Hai fatto un viaggio inutile.
- Proprio così. Non importa, non avevo molto altro da fare quel giorno.
- Almeno hai potuto godere di una approfondita visita alla scuola. – gli occhi di Severus
erano ridotti a due fessure.
- Cosa vuoi farci? Sono un sentimentale, Severus. Ho sentito nostalgia degli anni della
scuola. Della giovinezza.
- Immagino.
- Adesso, se permetti, dovrei davvero andare. – Rodolphus fece una piccola smorfia e
gettò un’occhiata alla porta – Non vorrei incontrare di nuovo la mia nuova ex moglie.
Perché ho davvero tutte le intenzioni di troncare questo rapporto; non credi che sia una
buona idea, Severus? – Lestrange rise di gusto – Credo che sia ora anche per te di
mettere da parte il passato, ragazzo mio. Restare legati troppo a lungo ad un fantasma
non è mai salutare.
Piton si irrigidì, ma rimase in silenzio.
- Già. – Rodolphus annuì, e nei suoi occhi balenò un’ombra cupa – Fammi un favore,
Severus. Non rovinare tutto.
Capitolo 9: Onora il tuo Signore
L’Oscuro Signore sprofondò in una delle vecchie e polverose poltrone che erano state
lasciate in balia dei tarli.
La pendola nell’angolo aveva smesso di contare le ore, rotta come tutto il resto.
Aveva fatto comperare la casa secoli prima, appena era stato possibile farlo e quando si
era reso conto che un paio di maledizioni potevano servire ad allontanare le famiglie
Babbane, ma non avrebbero tenuto lontane le ruspe in eterno. D’altro canto imporre a
quella dimora degli incantesimi più definitivi sarebbe stato sconveniente; si doveva sempre
temere che qualcuno disposto a fare due più due ci fosse.
Era stato un giovanissimo Lucius Malfoy ad aver avuto il grande onore di potersi rendere
utile, e di dare una buona destinazione ai propri soldi interpretando il ruolo di un ricco
londinese interessato alla proprietà solo per motivi fiscali; nessuno in città aveva mai
dubitato della veridicità di quella storia.
Si trattava di un nascondiglio passabile; Voldemort socchiuse gli occhi e appoggiò la testa
alla spalliera, sforzandosi di tenere ben lontane dal proprio cervello parole come “ eredità”.
Non c’erano mai state eredità da reclamare, salvo quelle più illustri ed antiche, Serpeverde
e quel poco che era arrivato fino ad un ragazzino e poi ad un giovane commesso.
Nessuno, nessuno mai avrebbe dovuto sospettare dell’esistenza della lurida catapecchia
che, abbattuta da tanto tempo, continuava a prendere muffa ed a ricoprirsi di muschio a
poca distanza da quest’altra casa.
Voldemort si concesse una smorfia, in lui non c’era nulla di Morphin e Marvolo Gaunt, né
dei Riddle. Non c’era più niente che potesse ricondurlo ad una parte o all’altra.
La grande, antica casa tornava utile ogni tanto, ecco tutto. Il fatto che la avesse scelta
non c’entrava nulla né con i Riddle né con i Gaunt.
Allungò i piedi cercando una posizione più comoda.
Ah, la solitudine… un piacere così grande, così eccezionale! Ne aveva goduto sin
dall’infanzia, sin da quando era solo un bambino e l’incredibile verità gli si era palesata in
tutta la sua grandezza: nessuno sarebbe mai stato come lui, nessuno sarebbe mai stato in
grado di tenergli dietro, di raggiungerlo, di camminare con il suo stesso passo. E,
soprattutto, non c’era una sola ragione al mondo per cui dovesse essere Voldemort ad
aspettare qualcuno, a credere in qualcuno.
E non era sempre stato ovvio che dovesse essere così? Sin dall’inizio la sua vita era stata
segnata dalla differenza, dalla consapevolezza della sua superiorità.
I bambini Babbani all’orfanotrofio piangevano. Il piccolo Riddle li aveva visti fare i capricci,
umiliarsi, osservare il mondo con gli occhi gonfi ed il muco che gocciolava dal naso.
Aveva odiato quei ragazzini frignanti, inconsapevoli, deboli. Meschini. Meschini come tutti i
Babbani; lo avevano detestato perché Riddle possedeva cose che loro non avrebbero mai
avuto. Tentavano di deridere il mondo che gli apparteneva di diritto, o ne ideavano
sciocche imitazioni senza gusto che li facessero sentire importanti. Eppure non erano nulla,
nulla.
Si muovevano in branchi, nello stesso modo in cui avrebbero fatto delle greggi, degli
animali. Tenendosi per mano, dandosi forza l’uno con l’altro. Paurosi, privi di inventiva,
timorosi di violare regole assurde e di ritagliarsi uno spazio proprio, una identità che li
facesse emergere dal mucchio di stracci grigi che indossavano solo grazie alla finta carità
di donnette frivole e coperte di gioielli e pellicce. Dio, come li aveva odiati tutti quanti!
I Babbani non avevano altro che la loro grettezza; Voldemort gettò un’occhiata tutto
intorno al familiare salotto in rovina. Belle case, e nient’altro. Abiti, e potere puramente
illusorio.
Scosse la testa. Chi, chi avrebbe potuto dominare la materia ed il destino come faceva
l’Oscuro Signore?
Aveva sempre saputo di essere segnato da un fato ben preciso. Rimettere le cose al loro
posto e disfare quello che i Babbani avevano fatto.
Non c’era motivo che anima viva si soffermasse a pensare alle sue origini, non c’era mai
stato motivo di far sapere ad alcuno di suo padre: un Babbano. Suo padre era stato solo
uno scherzo della sorte; qualcosa che, con il suo innato senso di giustizia, Voldemort
aveva cancellato. Creature come lui non necessitavano né di padre né di madre. Non
avevano bisogno di amici, di famiglia, di illusioni.
Non si trattava più di essere umani. Voldemort sapeva di essere diverso, di possedere
qualcosa che in un’altra epoca sarebbe stato identificato con la divinità.
Immortale. Il viso del mago si aprì in un ampio sorriso da serpente, un sorriso sincero e
consapevole che non avrebbe mai concesso a nessuno all’infuori di sé stesso. Immortale…
come un dio.
Perso in questi pensieri non si accorse subito della donna che, ferma sulla soglia, lo stava
guardando. Maya si avvicinò con cautela, facendo scorrere un dito sul tavolo coperto di
polvere.
- Mi hai restituito i miei sensi.
Voldemort sollevò da testa, il sorriso che si spegneva. Socchiuse gli occhi per metterla a
fuoco, sovrapponendo all’immagine della Babbana quella di suo padre fermo accanto alla
stessa tavola, l’ultimo giorno della sua vita. Annuì.
Maya non disse altro, il mago pensò che stesse saggiamente tentando di comportarsi nel
modo migliore, con la giusta deferenza. Eppure non trovò traccia di sconforto nei suoi
occhi. Peccato, gli sarebbe piaciuto vedere la consapevolezza dell’umiliazione sul suo viso,
leggervi la resa completa. Un piccolo brivido gli corse giù lungo la spina dorsale, strano si
disse, agosto volgeva al termine e faceva ancora caldo.
Si alzò, girandole intorno, la mano pigramente stretta intorno alla Bacchetta.
- Per adesso. – sussurrò con dolcezza.
- Per adesso. – replicò lei, sollevando lo sguardo sul suo viso da rettile – Immagino che ci
sia una condizione perché io possa continuare a vedere, a sentire, a parlare.
- A vivere. – mormorò lui.
Maya annuì lentamente – Gregorovich.
Voldemort ebbe un moto di stizza – Gregorovich è già mio.
La Babbana abbassò gli occhi, pensierosa – Domani è il primo di settembre. Vuol dire che
sai già dove dirigerti. Ma quell’informazione non è corretta. Non troverai Gregorovich in
quella casa. Solo una donna e due bambini che ucciderai inutilmente.
Voldemort sibilò, travolto da un impeto di pura collera. La afferrò per un braccio – Cosa?
Lei gli rispose con un’espressione dura – E’ comunque inutile che tu trovi quel vecchio, lo
farai naturalmente. Ma sarà inutile. Credi che se avesse avuto quella cosa non l’avrebbe
usata in tutti questi anni?
Maya avvertì la punta della Bacchetta premuta sullo sterno. Faceva male, ma si rifiutò di
abbassare lo sguardo.
- Come fai a saperlo?
Esitò per un istante.
- Non prendere tempo per costruire una bugia, Babbana! L’Oscuro Signore sa… sa sempre
tutto.
- Non lo so. Non ricordo tutto. Non so esattamente dove Lestrange mi abbia trovata; né lo
sapeva lui. Il modo più facile per considerare tutto questo è… pensare a me come ad una
persona capace di pronunciare profezie. Come Sibilla Cooman, solo… - si morse il labbro
inferiore – Solo più affidabile. Anche se questo dono ha dei limiti; a volte la
consapevolezza emerge da un indizio, o con il tempo. Non sono in grado di dirti nei
dettagli tutto quello che vorresti sapere sin da subito.
- Allora perché non dovrei ucciderti? – Voldemort inclinò il capo, dalla punta della
Bacchetta zampillarono delle scintille verdi.
- Perché anche se non posso fornirti un quadro completo della storia… anche se non posso
farlo… ti sarò utile, volta per volta.
- Non potresti… tu sei polvere.
- Sì. – Maya inarcò le sopracciglia, sollevandosi sulle punte dei piedi per alleviare il dolore
allo sterno – Questo lo abbiamo già chiarito. Un verme e tutto il resto.
Un angolo della bocca di Voldemort si sollevò di un millimetro – Allora, verme, tu dici che
domani non troverò Gregorovich ma una donna e due stupidi ragazzini?
Maya annuì.
- E se ti sbagliassi?
- Mi ucciderai. Ma… - Maya socchiuse gli occhi – Se ho ragione… vuol dire che potrei
averla su molte altre cose.
Voldemort la lasciò andare, concentrando la sua attenzione su una delle finestre. Scostò le
tende, scrutando il cimitero che da lì era ben visibile.
Non poteva tenerla in vita, non poteva accettare che una Babbana lo sfidasse in questo
modo. Non poteva tollerare che le sue conoscenze fossero superiori.
Ma se eliminarla avesse voluto dire danneggiare sé stesso? Senza rendersene conto
agguantò una vecchia tendina, strappandola.
Doveva ucciderla, non c’erano altre possibilità. Sì, avrebbe rinunciato a qualcosa… dettagli,
piccoli indizi... ma la contropartita sarebbe stata notevole: la propria integrità.
Le aveva già concesso troppo; il modo in cui gli si rivolgeva, la sua mancanza di
sottomissione erano inaccettabili; la sottomissione era importante, soprattutto con questa
donna.
Uccidila, uccidila, uccidila…
Si voltò con la Bacchetta in pugno, Maya riuscì ad evitare la prima maledizione rotolando
al di sotto del tavolo.
- Silente ha preso l’anello di Serpeverde!
Il mondo si tinse del colore della rabbia, Voldemort urlò. Un urlo terribile che inghiottì ogni
altro suono.
Capitolo 10: Un Amico Dove Meno Te Lo Aspetti
Maledetto, maledetto, maledetto!
Maya sbuffò ancora una volta, imprecando mentalmente contro le maledizioni che
Voldemort le aveva imposto una volta di più; tentare di fare qualcosa di buono senza poter
né vedere né sentire era decisamente scomodo.
Voldemort se ne era andato da ore; lo immaginò in volo verso il piccolo paese con le
casette simili a dolci di marzapane, in cerca di Gregorovich.
La donna si districò dal lenzuolo che le si era avvolto intorno al corpo e lo calciò via, verso
il fondo del letto. A tentoni raggiunse la porta, ma era bloccata. Provò con le finestre ma
anche quelle erano state sistemate in modo che non si potesse trovare una via di fuga.
Forse Lestrange aveva fatto scivolare qualcosa di utile nella borsa di Mokessino; Maya non
aveva più osato aprirla durante la reclusione a casa Malfoy, né aveva avuto il tempo di
farlo da quando l’Oscuro Signore era stato tanto carino da portarla via.
Trafficò con gli abiti che indossava, sentendo sempre più il bisogno di farsi un bel bagno, e
slacciò la borsa che portava direttamente a contatto con la pelle.
Infilò la mano nel sacchetto, ricordando con gratitudine che nessuno al di fuori di lei
avrebbe potuto prendere qualcosa dal suo interno… gli oggetti che vi erano stati
ammassati, grazie ad un ingegnoso Incantesimo Estensivo, avevano forme familiari. Maya
li sfiorò, li contò, se ne lasciò rassicurare: costituivano la sua unica speranza. Sembrava
che alcuni emanassero calore; in preda ad una assoluta tentazione la donna tirò fuori la
collana che Lestrange le aveva riportato un secolo prima, dopo la visita al Ministero. Se la
fece scivolare intorno al collo.
La Babbana inclinò il capo: in un mondo reso privo di suono ed immagini il medaglione
rappresentava un notevole diversivo. Lo tenne stretto tra le dita, lo sfiorò, si concentrò
sulle pulsazioni che sembravano venire dal suo interno.
Quell’oggetto custodiva parte delle speranze di riuscita sue e di Lestrange; la chiave per
ottenere la vittoria al miglior prezzo possibile.
Lentamente il silenzio venne rotto da un sottile ronzio, da un sibilo metallico che risuonava
direttamente nella sua testa; la donna si immobilizzò senza capire.
E prima che riuscisse a fare altro che non fosse trattenere il fiato… l’incantesimo che
Voldemort le aveva imposto si dissolse.
Senza fermarsi a riflettere, nuovamente padrona dei propri sensi, Maya si avventò verso la
porta; la maniglia che fino a poco prima sembrava bloccata cigolò e si abbassò ancora
prima che la Babbana potesse toccarla. Poi, ad un millimetro dalla soglia e dalla possibile
salvezza, il mondo si confuse; altre immagini si accavallarono, si mescolarono con quelle
della camera.
Un’altra casa, lunghe e pallide dita che bussavano su una porticina di legno.
Maya scosse la testa – Fuori, fuori dalla mia mente! – implorò, cercando di non farsi
ostacolare da quella strana invasione.
Premette con forza le dita contro le tempie e dopo qualche tentativo riuscì a tenere a bada
le immagini che provenivano direttamente dall’Oscuro Signore, almeno per quel poco che
serviva a non farle perdere il contatto con la realtà.
Sfiorò la superficie calda dell’Horcrux, turbata – Su Potter e sugli altri non aveva questo
effetto, però… - rifletté.
Per Harry ed i suoi amici l’Horcrux era stato un peso, una fonte di guai. Tuttavia anche
Dolores Umbridge ne era entrata in possesso, eppure, per quanto Maya ne sapesse, non si
era mai accorta di quello che il ciondolo custodiva. Il suo influsso, dunque, variava a
seconda di chi lo custodiva?
Desiderò con tutto il cuore che Rodolphus le avesse affidato la sua copia di Segreti
dell’Arte più Oscura.
Quel dannato libro doveva contenere informazioni importanti, spiegazioni utili.
L’Horcrux le palpitò ancora tra le dita, reclamando la sua attenzione. Voldemort era
entrato nella casetta… la Babbana si morse le labbra, non aveva alcun desiderio di vedere
il lampo di luce verde che avrebbe distrutto la vita di una donna e due ragazzini. Eppure,
preda di una sorta di macabra curiosità, non riuscì ad escludere del tutto le immagini; lo
scambio di battute tra la povera donna e Voldemort andò avanti esattamente nel modo in
cui Maya sapeva che sarebbe andato.
Gregorovich non era lì.
Tuttavia, questa volta, per Voldemort scoprire la verità fu più di un semplice momento di
rabbia. Questa volta collera, curiosità, irritazione, sdegno e un violento desiderio di
sottomissione si scontrarono nei suoi pensieri e Maya fu sicura che fosse per colpa sua.
Rabbrividì, considerando tutte le possibili vie di fuga… che erano ben misere.
Poi, proprio quando era certa che l’ineluttabile fosse sul punto di accadere, tutto cambiò.
Fu come sentire uno squillo di tromba giungere dal cielo, l’annuncio sicuro dell’Apocalisse;
e fu come se un ingranaggio invisibile fosse andato al suo posto mettendo in moto
l’orologio del Destino.
Il preciso istante in cui la storia iniziava a cambiare: Voldemort si voltò, pensoso, mentre
madre e figli si spingevano nell’ombra, sottraendosi alla sua furia. Del tutto dimenticati.
L’Horcrux tra le mani di Maya vibrò, il battito metallico che proveniva dal suo interno
mutò, regolandosi in modo nuovo.
La Babbana crollò a terra, le gambe che tremavano.
- E adesso? – domandò pur sapendo che non vi sarebbe stata risposta. Sistemò l’Horcrux
al di sotto della camicia e si guardò intorno.
Voldemort aveva rinunciato a quelle due vittime, ma questo poteva voler dire che sarebbe
andato da qualche altra parte a placare la sua sete di sangue, la sua rabbia, o quel diavolo
che era.
Sforzandosi di conservare il controllo ed un briciolo di sangue freddo Maya strisciò fino ad
una sedia, nel tentativo di trovare un appiglio per rimettersi in piedi.
Cosa doveva fare?
Correre fuori, scendere le scale e precipitarsi a Little Hangleton? E dopo? Non c’era luogo
dove tornare, non c’era una casa. E non v’era modo di contattare Rodolphus. La missione
non poteva essere interrotta.
Sospirò; non poteva fare altro che restare e continuare a giocare la sua partita.
Lasciò fluire i pensieri di Voldemort dentro la sua testa… il mago era ancora lontano,
perduto nella contemplazione di scuri boschi di conifere.
Tornare a Little Hangleton… se la Babbana aveva avuto ragione sull’assenza di
Gregorovich, allora, avrebbe potuto aver ragione anche sull’altra cosa.
Maya socchiuse gli occhi, i pensieri di Voldemort stranamente familiari nella sua testa.
Perché non era andato per prima cosa a controllare il rudere della catapecchia? Odiava
quel posto, e se non fosse stato strettamente necessario avrebbe preferito evitarlo.
Maya vide un fulmine esplodere nel cielo al di sopra del bosco, un fulmine innaturale. La
collera la attraversò, ma fu l’Horcrux ad assorbirla, liberandola da quella sensazione così
spiacevole e bruciando di più contro la sua pelle.
Funzionava così, allora?
La donna afferrò la catenina, tentando di sfilarsi il gioiello. Ma il ciondolo non si mosse di
un millimetro.
Maya sibilò tra i denti. Una risatina perfida le risuonò nella testa.
Stava giocando! L’affare malefico stava giocando con lei!
La Babbana pregò con tutta l’intensità del proprio cuore che Voldemort non si accorgesse
di nulla.
D’altro canto non era stato in grado di cogliere il momento in cui Albus Silente aveva
mandato in frantumi il pezzo di anima custodito nell’anello di Serpeverde, e questo le dava
la speranza che, se avesse continuato a fingere di essere ancora sotto il controllo della
maledizione, non si sarebbe reso conto neppure di avere il ciondolo sotto al naso. Non
c’era altro da fare se non provare e sperare che andasse tutto bene.
Spiò ancora nella testa del mago; non sarebbe fuggita, ma fino a quando l’Oscuro fosse
stato lontano non c’era motivo per non dare un’occhiata in giro.
Casa Riddle stava cadendo a pezzi, e Maya fu certa che Voldemort lo trovasse di proprio
gusto.
Con un brivido pensò che non erano soltanto le sue conoscenze a darle una tale
consapevolezza; avvertì ancora la spiacevole risatina che le risuonava in testa.
Entrò in salotto, stando bene attenta ad avvertire la presenza di Nagini. Ma non c’era
nessuno, e Maya soffocò un conato di vomito immaginando il grande serpente nascosto
sotto ad un tavolo nel pub della cittadina, pronto a mangiare Babbani pieni di birra e fish
and chips.
Non sembrava che Voldemort avesse lasciato in giro nulla di particolarmente segreto o
interessante.
Ah-ah! Guarda bene…
La catenina dell’Horcrux la tirò verso destra, verso il camino spento. Maya vi si inginocchiò
davanti. Tanti piccoli bastoncini di legno, per lo più spezzati o crepati, se ne stavano
tristemente ammonticchiati l’uno sull’altro. Bacchette! Bacchette prese chissà a chi e che
Voldemort aveva esaminato cercandone una che gli si adattasse, una adatta a contrastare
quella di Potter.
Doveva essere successo prima che il suo interesse venisse attirato dai discorsi di
Ollivander sulla Stecca della Morte.
C’erano un paio di esemplari non troppo danneggiati, Maya scelse il migliore e lo sollevò
per esaminarlo meglio. Dall’Horcrux partì una scarica elettrica che attraversò il suo braccio,
le sue dita… e la punta della Bacchetta si illuminò di deliziose scintille.
Prima che si fossero spente, la Babbana aveva già riposto la Bacchetta nella borsa.
- Dì un po’… - sibilò all’Horcrux – Ma tu giochi per Voldemort o per me?
Il medaglione ritenne più saggio non rispondere.
Capitolo 11: Tre Civette Sul Comò
L’Oscuro Signore si fermò ad osservare la vetusta, lacera camera dove la Babbana era
stata confinata. Per quanto quella donna potesse tentare di mostrarsi tranquilla, Voldemort
aveva un’idea precisa dell’inquietudine che doveva averle inflitto.
Lasciarla sola tra polvere e muffa, priva delle sue facoltà, in perenne bilico tra la vita e la
morte… le labbra dell’Oscuro si tirarono in un sorriso soddisfatto.
Perché, perché una creatura tanto misera possedeva informazioni su quello che
succedeva, su quello che sarebbe successo? Per Voldemort era un’idea insopportabile,
inaccettabile. Ed una condanna ad occuparsi personalmente della Babbana; nessuno
doveva sapere, nessuno doveva sospettare.
C’era Lestrange, certo. Ma Lestrange l’aveva condotta a loro, e forse sarebbe tornato utile
in futuro: liberarsene sarebbe stato prematuro.
Doveva solo obbligare quella donna ad obbedire, a mostrare rispetto ed a rivelare tutto ed
ogni cosa al suo legittimo Signore.
Sapeva di Gregorovich e della Bacchetta. Dov’era la Stecca della Morte?
Quell’informazione era già in suo possesso o lo sarebbe stata presto?
Voldemort si passò la lingua sulle labbra sottili.
Il desiderio di cancellarla lottava contro quello di usarla. Le sue informazioni potevano
diventare preziose.
Scivolò più vicino, studiandola e cercando dei segni evidenti di imperfezione e limitatezza;
uno scialbo esemplare della razza Babbana.
Sgradevole.
Voldemort arricciò le labbra, studiando l’espressione contratta di Maya. I suoi occhi grigi
erano spalancati e puntati sul nulla con una fissità che le conferiva un’espressione
vagamente bovina. Sembrava che soffrisse, con la bocca serrata e le guance gonfie d’aria
fissate in una smorfia aberrante. Il suo intero volto trasudava tensione, così come il suo
corpo contratto, le dita avvinghiate alle lenzuola.
Molto sgradevole.
Ancora una volta Voldemort avvertì un impeto di giusta superiorità verso un tale animale,
verso una creatura a così debole. E nello stesso tempo si compiacque per il potere
immenso che esercitava sulla donna: ogni particella del corpo di lei trasudava tensione e
paura. Tratteneva l’aria come nel timore che una minaccia improvvisa la colpisse.
Voldemort fece scivolare due dita verso quel volto teso, scostando una ciocca arruffata di
lunghi capelli scuri dalla fronte della Babbana.
Se possibile l’espressione di Maya si fece ancora più tesa.
Puoi sentire che ti sto toccando, ma non puoi udirmi né vedermi.
Le voltò le spalle, agitando piano la Bacchetta e liberandola dall’imposizione della sua
Maledizione.
Maya non si mosse. Lottò disperatamente per non distogliere lo sguardo dalla ragnatela
appesa al soffitto che aveva scelto come punto sul quale concentrare tutti i suoi sforzi di
fissità: un ragno morto penzolava avanti e indietro, avanti e indietro. Voldemort si era
spostato?
Tre civette sul comò. Fa che non mi scopra. La figlia del dottore. Fa che non mi scopra. Il
dottore si ammalò. Fa che non mi scopra…
Continuava a ripetere ossessivamente frammenti di cantilene e scioglilingua per tenere
impegnato il cervello in qualcosa che, privo di importanza, non lasciasse emergere alcuna
espressione sul suo viso.
Che facevano l’amore…
Qualcosa emerse al limitare della sua concentrazione.
La voce metallica aveva detto qualcosa. Ma era stata la voce metallica dell’Horcrux che
parlava direttamente alla sua testa, o quella del Mago in carne ed ossa?
Dio, aiutami!
Se possibile Maya si irrigidì di più, cessando di respirare e gonfiandosi come una rana. Le
mani di Voldemort la artigliarono all’improvviso, scuotendola.
- Mi senti?! – sibilò lui, malefico – Inutile Babbana!
La donna si afflosciò tra le sue braccia.
Voldemort la fissò disgustato, con l’impressione che il suo sguardo faticasse a posarsi sul
suo volto.
- Guardami! – ordinò – Guardami!
Maya si abbandonò ad un sospiro penoso.
L’Oscuro Signore la lasciò ricadere sul letto, allontanandosi come se si fosse ricordato
all’improvviso di aver toccato qualcosa di particolarmente sporco.
- E… Ero sopraffatta. – biascicò lei – E’ una Maledizione molto sgradevole. Non potremmo
trovarne un’altra, magari?
La bocca dell’Oscuro Signore si irrigidì in un ringhio irritato. E Maya lo vide sollevare la
Bacchetta.
- Ma anche questa va benissimo, a ripensarci.
Oh, Dio! Cosa mi è venuto in mente?! Prima ancora di aver finito di parlare la donna
aveva premuto la mano sulle labbra, per soffocare il fiotto di risposte impertinenti che
lottavano per venire fuori. Nel suo orecchio risuonò la familiare risatina incorporea
dell’Horcrux.
Gli occhi di Voldemort luccicarono come avrebbero potuto fare dei rubini maledetti in
qualche sciocco racconto coloniale. Velenosi e inumani, ma, per qualche strana ragione, a
Maya sembrarono anche familiari. Da qualche parte lì dietro c’era qualcosa della strana
ironia che il frammento di Voldemort imprigionato nel ciondolo dimostrava di avere?
Quei pensieri si spensero in un empito di delusione quando la parola Crucio iniziò a
formarsi sulle labbra del Mago.
Stanca di rotolare di qua e di là per evitare di essere colpita, Maya si preparò
all’inevitabile.
Ma poi, del tutto inaspettatamente, Voldemort si immobilizzò. La bacchetta sospesa e
l’espressione congelata.
La Babbana chiuse gli occhi: aveva avvertito la presenza dell’Horcrux? Era arrivata la fine,
la terribile fine?
Nel silenzio che seguì, con l’impressione che quella pausa fosse durata un secolo, Maya
riaprì prima un occhio e poi l’altro, spostandosi con cautela giù dal letto.
Senza dire nulla ma con un movimento degno del migliore serpente all’attacco Voldemort
la ghermì.
- Gesù, Giuseppe e Maria! – la donna non riuscì ad evitare di strillare.
La voce di Voldemort sibilò molto vicina al suo orecchio.
- Babbana fortunata…
- Davvero? – Maya deglutì.
- Mi hanno chiamato. Devo tornare dai miei servi.
- Sono sicura di poter restare qui ad aspettare, senza temere che il mio Signore si
dimentichi come si faccia a maledire qualcuno nel frattempo.
Voldemort ringhiò.
- Stavo solo scherzando. – soffiò lei con un filo di voce.
Le lunghe dita pallide le tirarono indietro i capelli, Maya tentò di trattenere le lacrime che
minacciavano di tracimare dai suoi occhi.
- Nessuna, nessuna informazione vale una seccatura tanto grande. – l’Oscuro Signore le
strattonò i capelli con più forza – Forse dovrei ucciderti e basta. Continui a non capire
come restare al tuo posto.
- Sono spiacente.
- Silenzio! – la voce di Voldemort era terribile, ben più tremenda del calcolato uso della
violenza e delle sue minacce – E’ la tua ultima possibilità, Babbana. L’ultima, capisci?
Lei annuì.
Un attimo dopo si smaterializzarono.
Quando ricomparvero fu in un corridoio di pietra dall’aria familiare. Voldemort del tutto
indifferente e Maya piegata in due ai suoi piedi con lo stomaco in subbuglio.
- Mio Signore… - anche la vocetta suonò terribilmente familiare alle orecchie della donna.
Flubby si era letteralmente prostrato davanti all’Oscuro Signore, tirandosi le orecchie in
preda alla paura di non essere abbastanza cerimonioso – Benvenuto a casa Malfoy.
Voldemort non rispose. Abbassò lo sguardo mentre Maya lo alzava; rimasero a fissarsi
così.
C’era qualcosa di molto, molto sbagliato in quello sguardo. Nella consapevolezza delle loro
posizioni. Il Mago che torreggiava su di lei, e la donna ai suoi piedi.
L’Horcrux vibrò… e Maya tentò di sollevarsi prima di decifrare completamente la gamma di
emozioni che, suo malgrado, sembrava destinata a provare. Tuttavia, prima che potesse
rialzarsi, Voldemort le assestò un colpetto con la punta del suo stivale, facendola scivolare
davanti a Flubby.
- Occupati di questa donna, Elfo. – sibilò – Che non abbia contatti con nessuno.
Gli occhi del Mago, ridotti a due fessure, la scrutarono – E procurale qualcosa di decente
da indossare.
Capitolo 12: Petali Glassati
Flubby doveva essere uno specialista assoluto nel frignare e nel commiserarsi, Maya lo
seguì in silenzio lungo i corridoi odiosamente familiari di Casa Malfoy.
Quella scena le ricordava in modo sgradevole quello che era accaduto nell’ultimo mese, la
sua reclusione e tutto il resto.
Cercò di escludere la paura e la rabbia; si concentrò sulla figuretta dell’Elfo che caracollava
tra armature e vecchi mobili di pregio, ben più spaventato di quanto non lo fosse lei
stessa.
- Ti fa ancora male dove ti ho colpito l’altra volta? – gli domandò. Ma Flubby accelerò il
passo ed abbassò la testa, ignorandola.
- Va bene. – mormorò Maya – Questa volta hai un motivo per startene sulle tue.
I ritratti degli antenati dei Malfoy li sbirciavano dall’alto, altezzosi e segretamente curiosi.
Maya si fermò davanti ad uno dei dipinti: tre donne con il naso all’insù, i volti pallidi e l’aria
estremamente snob sembravano fissarla con malcelato disprezzo.
- Ehi, salve! Come va? – ringhiò – Sono la nuova amante Babbana del vostro pronipote,
che forza, eh?!
Le tre dame inorridirono e cominciarono a gridare. Flubby si precipitò ad afferrare la mano
di Maya, trascinandola via e lamentandosi senza ritegno mentre lei tentava di liberarsi
della sua stretta ossuta.
Fu costretta a seguirlo sino ad una cameretta modesta, dove era stata preparata una
vasca da bagno fumante; l’odore del bagnoschiuma alle violette e la prospettiva di
immergersi nell’acqua calda le strapparono un gemito estasiato, cancellando ogni ostilità
verso l’Elfo.
Flubby si avvicinò ad una sedia dove erano stati ripiegati alcuni abiti, indicandoli con tanta
ostentazione da ricordare a Maya le dimostrazioni a proposito di giubbotti di salvataggio,
maschere d’ossigeno e posizioni di sicurezza che le hostess propinavano ai passeggeri
prima di un volo.
- Ok, mi lavo. Ok, mi cambio. – borbottò – Credimi, non hai bisogno di persuadermi a
farlo.
Gli abiti che aveva indossato per un tempo decisamente troppo lungo non meritavano altro
che essere buttati al più presto.
- E mentre lo faccio… tu non spiare. – Maya socchiuse gli occhi, scoccando un’occhiata
fintamente perfida all’Elfo – Anzi, preparami qualcosa da mangiare, perché dopo ne avrò
molta voglia. Qualcosa di dolce, qualcosa di abbondante!
Flubby si lanciò fuori dalla porta, sigillandola con la magia.
- La solitudine non ha prezzo. – la Babbana scrollò la testa e si sfilò jeans e camicia,
incapace di resistere oltre al richiamo della pulizia.
E’ davvero molto strano come anche le cose più comuni sembrino speciali quando se ne è
sentita la mancanza; Maya indugiò a lungo nella vasca, giocando con la schiuma e
sentendosi al sicuro per la prima volta da un secolo. Si immerse completamente, sperando
che l’aroma di violetta lavasse via sporcizia e incertezze allo stesso modo. Tentando di
ignorare il contatto un po’ troppo intimo con l’Horcrux che palpitava contro il suo stesso
cuore.
Alla fine adagiò la testa sul bordo della vasca e chiuse gli occhi.
Ofelia…
Maya si raddrizzò di scatto, sollevando un piccolo tsunami che si riversò al di fuori della
vasca, sul pavimento di pietra.
- Cosa?!
Prima di avere il tempo di riflettere un’ondata di rabbia la travolse, obbligandola a
mordersi le labbra per non urlare.
I pensieri di Voldemort invasero la sua mente, riempiendole la bocca del sapore amaro
della disfatta e obbligandola a contrarre le mani in cerca di qualcosa da usare per fare del
male.
La donna si sforzò di escludere quelle sensazioni, di relegarle dove non avrebbero fatto
danno, dove non avrebbero potuto far male.
- Che sciocca. Eppure avrei dovuto ricordarlo. – si alzò, strizzando la massa di lunghi
capelli grondanti acqua.
Harry Potter ed i suoi amici dovevano essere stati al Ministero, sollevando un polverone e
sfuggendo per un pelo alle grinfie dei Mangiamorte. Dovevano aver rubato la copia
dell’Horcrux che Dolores Umbridge indossava, ovviamente. La copia fabbricata da
Rodolphus.
Ma la collera di Voldemort era tutta per quella fuga, dell’Horcrux non sapeva nulla… la
Babbana rabbrividì, sentendosi colpevole.
La risatina incorporea dell’Horcrux le carezzò l’orecchio ancora una volta.
– Oh, piantala! – sbuffò – Stai diventando fastidioso. Se non la smetti Lui si accorgerà di
tutto, e allora rischierai di finire al collo di uno dei suoi fedeli fratelli Carrow!
Niente affatto…
Maya si asciugò in fretta; poi scelse un abito tra quelli ripiegati sulla sedia. Il più accollato,
quello che avrebbe nascosto meglio la catenina d’oro del medaglione.
Si fermò davanti allo specchio, non riuscendo ad evitare di sentirsi un po’ stupida con
indosso quel vestito color avorio dal taglio edoardiano. Una sorta di fenomeno da
baraccone con un abito estremamente costoso e fuori luogo.
Intrecciò i capelli umidi e calzò le sue vecchie scarpe da ginnastica, la borsa di Mokessino
sempre stretta intorno alla vita.
Stava ancora tentando di trovare un senso all’immagine che lo specchio le rimandava, e di
tenere a bada la collera esplosiva dell’Oscuro Signore quando Flubby rientrò a testa bassa.
- E’ il pranzo?
La Babbana provò a fare un passo verso l’Elfo, ma la creaturina brandì il suo vassoio come
un’arma e si affrettò a scaricare un piatto da portata sul tavolino più vicino.
- Indietro! Indietro! – frignò, arretrando senza voltarle le spalle.
Maya non gli concesse neanche un’occhiatina, troppo presa dalla prospettiva di nutrirsi. Si
avventò sul piatto, arraffandone il contenuto…
- Oh, cavolo! Flubby! – strillò mentre lo stomaco le gorgogliava – Cosa diamine sarebbe
questa roba?!
L’Elfo, tuttavia, si era già dileguato. E Maya si sedette sul pavimento con il suo molto poco
sostanzioso pasto a base di petali di fiori glassati.
Con un sospiro si infilò in bocca quello che si rivelò essere un petalo di rosa ricoperto di
zucchero.
- Non posso, non posso sopravvivere così! - si lagnò.
Voldemort non sembrava preoccuparsi dell’idea che i Babbani avessero bisogno di
mangiare, che lei avesse bisogno di cibarsi mentre restava sua prigioniera. E, adesso, quel
dannato Elfo bastardo si divertiva all’idea di sabotarla!
Maya pestò i piedi a terra, sicura che in quello stesso momento gli altri Elfi, in cucina,
stessero sfornando ogni ben di Dio possibile. Giganteschi pudding e arrosti ricoperti di
salse speziate… si leccò le labbra mentre il gorgoglio del suo stomaco si faceva più difficile
da ignorare.
Strisciò sino alla porta, spiando il corridoio dal buco della serratura. Non c’era nessuno.
- Aiutami ad uscire. – strofinò due dita sull’Horcrux, e prima che potesse afferrare la
maniglia la porta si era già aperta.
La Babbana si arrischiò a gettare uno sguardo nel corridoio, e poi scivolò fuori.
Le cucine dovevano trovarsi al pian terreno; pensò che sarebbe stato facile recuperare
qualcosa di buono e poi rientrare nella stanza fingendo di non essersi mai allontanata.
I Mangiamorte e gli altri abitanti della casa dovevano essere presi dal difficile compito di
schivare gli Avada Kedavra dell’Oscuro Signore. Maya si sentì estremamente soddisfatta
all’idea di non esserne lei, per questa volta, la destinataria prescelta, ma se l’Oscuro
l’avesse sorpresa a gironzolare per casa… rabbrividì. No, sarebbe stata la cautela in
persona; però doveva pur mangiare.
I ritratti degli antenati dei Malfoy la osservarono ancora una volta con quell’aria altezzosa
che la faceva infuriare, ma non si azzardò a dire nulla che avrebbe rischiato di farla
scoprire.
Corse fino alle scale, e si rintanò dietro una grossa armatura quando ebbe l’impressione di
sentire dei passi che si avvicinavano.
Trattenne il fiato, mentre al suono dei passi seguiva quello soffocato di singhiozzi
disperati.
Riuscì a sporgersi quel tanto che bastava per distinguere i capelli d’argento di Draco
Malfoy mentre passava oltre.
- Avanti, vattene… - pregò – Vattene, Draco…
Ma il ragazzo si fermò davanti al quadro di uno dei suoi antenati, Maya lo aveva notato
prima. La targhetta di metallo posta sulla cornice portava inciso il nome di Abraxas Malfoy.
Il ragazzo estrasse la sua Bacchetta magica, sventolandola avanti e indietro sotto al naso
del ritratto e senza smettere di singhiozzare.
Maya la trovò una scena un po’ patetica, poi le venne in mente che Voldemort doveva
aver costretto il ragazzo a torturare qualcuno e ad infliggere punizioni crudeli al posto suo.
La sua simpatia per Draco risalì di quel tanto che bastava a farle provare pena, nonostante
fosse un Malfoy e nonostante non avesse fatto nulla per lei durante il mese di prigionia
trascorso in quella casa.
- Che ho fatto, nonno?! Che ho fatto… - Draco tirò su con il naso, senza smettere di far
oscillare la bacchetta. Quasi come se stesse tentando di decidere se tenerla o buttarla via.
La Babbana si immobilizzò. Un’idea, un’idea decisamente perfida si disegnò nella sua testa.
Un’idea pericolosa.
- Ma quando, quando avrò un’altra occasione così… così perfetta se…
Maya si mordicchiò le labbra.
Avanti… la voce dell’Horcrux era una promessa ed una tentazione. Lascia che ti aiuti,
Maya.
Le sue dita corsero, quasi come se fossero state animate da volontà propria, al laccio che
chiudeva la borsetta di Mokessino. Scivolarono all’interno, frugando in cerca della
Bacchetta che aveva rubato dal mucchio di bastoncini semidistrutti che Voldemort aveva
lasciato nel caminetto di Casa Riddle.
L’Horcrux palpitò, irradiando la sua energia attraverso il braccio e le dita di Maya.
- E…Expelliarmus!
La bacchetta di Draco volò via.
- Chi è? Chi c’è?!
Maya trattenne il fiato, appiattendosi quanto più possibile e focalizzando l’immagine di un
camaleonte come se questo potesse essere sufficiente a farla sparire.
Altri passi risuonarono dalle scale, Draco si asciugò in fretta gli occhi e si allontanò di corsa
per evitare di essere scoperto, in quelle pietose condizioni, da qualcun altro dei
Mangiamorte.
Oh, Dio.
I passi si avvicinarono, si avvicinarono, si avvicinarono.
Poi la chioma striata di grigio di Rodolphus Lestrange superò l’armatura, e Maya saltò fuori
strillando e stringendo il Mago in un abbraccio spaccaossa.
Capitolo 13: Per Un Bacio Mai Dato
Rodolphus Lestrange fece scorrere le dita tra i capelli bagnati della Babbana, incredulo.
La allontanò quel tanto che bastava a guardarla in faccia – Maya… non riesco a crederci.
La sospinse verso il pianerottolo, senza darle il tempo di dire nulla. E senza smettere di
scrutarla con preoccupazione e sorpresa nella stessa misura.
- Ti ha portata qui Lui? – sussurrò, guardandosi intorno.
- Non ti preoccupare, non c’è nessuno qui. – Maya si asciugò gli occhi ed il naso sulla
manica del suo raffinato abito di seta – C’era Draco, ma adesso è andato via. Oh, Rodo!
Ho un mare di cose da dirti.
Lestrange annuì – Anche io. Un mare di cose.
- Sei riuscito a far tutto? – Maya tirò su con il naso un’ultima volta – Dimmi di sì, ti prego.
Rodolphus le scoccò un sorriso malandrino che lo ringiovanì di parecchi anni, cancellando i
segni delle rughe dal suo viso affilato.
Scostò i lembi del mantello nero da Mangiamorte e le mostrò una borsetta pelosa molto
simile a quella che le aveva regalato – Facciamo in fretta.
Armeggiarono entrambi con i lacci, e poi Maya infilò a viva forza un pacchettino di velluto
dentro la borsa di Mokessino.
- Credo che sia davvero tutto. – Rodolphus le scostò una ciocca di capelli dal viso – Adesso
dovrò semplicemente cavarmela da solo.
- Le cose tenderanno ad affrettarsi. – Maya si aggrappò al suo mantello – Cambieranno.
L’Horcrux allacciato intorno al collo della donna protestò. La Babbana ne avvertì la
pulsazione minacciosa, decidendo di ignorarla.
Perché, perché, perché…
Maya scosse la testa, tentando di far svanire l’eco di quella voce petulante e metallica.
- Rodo, puoi farmi avere la tua copia di Segreti dell’Arte più Oscura? E senza che Lui lo
sappia?
Lestrange scosse la testa – Troppo rischioso. Se intercettasse la spedizione potrebbe
capire tutto.
- Accidenti. – Maya si passò una mano sulla fronte – Se soltanto potessi spiegarti tutto!
Stanno succedendo delle cose incredibili; se solo non rischiassi di morire ogni quindici
secondi…
Rodolphus si irrigidì, attraversato da una fitta di vergogna e rimorso – Mi spiace tanto.
Lei lo bloccò sollevando una mano – No, no, per favore. Non trattarmi come una povera
vittima.
- Ma sono stato io a portarti qui.
- Ed io ad organizzare il piano. – la donna fece spallucce – Non parliamone, ok? Non
abbiamo tempo da perdere. Piton ti ha creato dei problemi?
Lestrange arricciò le labbra – Non lo so. Non apertamente, voglio dire. Ma ha capito che
sto combinando qualcosa.
- Dannatamente perspicace da parte sua. – la Babbana sbuffò – Tienilo a distanza. Ci sarà
modo di farlo ragionare più avanti.
Il Mago annuì.
- E Bellatrix?
Lestrange aprì la bocca e la richiuse. Maya fu subito convinta di non averlo mai visto così
indeciso.
- Ecco, credo di averla lasciata.
- Cosa?!
- Non importa, adesso non importa. Dimmi di te. – Rodolphus gettò un altro sguardo al
lungo corridoio di pietra, innervosito – Sei sicura che siamo al sicuro? – le fece passare un
braccio intorno alla schiena, guidandola verso un divanetto immerso nell’ombra.
Maya si divincolò, premendosi una mano all’altezza del cuore.
- Qualcosa non va?
La donna abbozzò una risatina – No, perché? Ho solo un medaglione piuttosto possessivo.
Lestrange inclinò il capo e socchiuse gli occhi – Maya, tu non avrai indossato uno di quegli
affari… vero?
- Non proprio. E’ diverso da così.
Rodolphus si infilò le mani tra i capelli, arruffandoli in un gesto decisamente teatrale.
- Maledetto Merlino! – sibilò, e l’imprecazione risuonò tra i ritratti appesi alle pareti non
senza suscitare un coro di esclamazioni sdegnate – Toglilo!
- Ora non darmi ordini anche tu. – Maya incrociò le braccia sul petto – Non permetterti di
farlo, Rodolphus Lestrange!
- Non fare la Babbana; toglilo subito.
La donna si allontanò con uno scatto rabbioso – Io sono una Babbana. Te ne ricordi?
- Quello che vuoi. – Lestrange agitò una mano in aria – Come se mi importasse. Il punto è
che quell’affare è insano. Non puoi indossarlo.
- E non posso neanche toglierlo!
- Che vuol dire? Stai cercando di esasperarmi, Maya? E’ il tuo modo di punirmi?
- Oh, per carità. Non si toglie, non si toglie, non si toglie. Ci ho provato, ma a lui piace
stare dove sta. E, francamente, dopo essere stato per tutto quel tempo sul petto di
Dolores Umbridge non posso dargli torto.
- Non gli dai torto? – Lestrange si umettò le labbra – Magari è stato lui a dirti che
preferisce questa sistemazione.
- Più o meno.
Rodolphus si prese il viso tra le mani – Maledetto Merlino tre volte!
- Davvero, è un Horcrux abbastanza innocuo, Rodo. Mi ha dato anche una mano…
L’uomo la afferrò per le spalle, scuotendola senza grazia – Hai mai sentito quelle storielle
sulla gente che si vende l’anima e fa un patto con il diavolo? Ti vengono promesse delle
cose, ma poi non ottieni nulla.
Maya sibilò, aizzata dall’Horcrux.
- Lasciami andare!
Rodolphus imprecò, sicuro di aver visto una scintilla rossa negli occhi grigi della donna.
- Non vedi che sta provando a possederti?
- No! Sono perfettamente padrona di me stessa. E’ te che non sopporta. Non vuole che ti
avvicini troppo.
- Davvero? Bene, allora digli che mi avvicinerò di più. Perché ho tutte le intenzioni di
togliertelo con le buone o con le cattive.
- Stai scherzando…
Lestrange replicò con un grugnito, tentando di tenerla ferma e nello stesso tempo di
afferrare i bottoncini sul colletto dell’abito della donna.
- Rodolphus, stai esagerando. Questo non è affatto corretto. Ragioniamo in modo civile.
Lui sbuffò, riuscendo a passarle un braccio intorno alla vita e premendola contro il proprio
corpo. Si avvicinò tanto da posare la fronte contro quella di Maya, due dita infilate nella
castigata scollatura del suo vestito.
- Credimi Maya, non è una cosa personale. – sibilò.
La Babbana accostò ancora di più il viso a quello di lui – Giuro che ti stacco il naso con un
morso se non togli quelle dita bastarde dal mio cavolo di Horcrux…
- Provaci.
Rimasero in silenzio per un po’, fissandosi in cagnesco, tesi e furibondi.
Troppo tardi Lestrange riacquistò la padronanza necessaria per rendersi conto di qualcosa
al di fuori di sé stesso e della donna tra le sue braccia.
Il sibilo soffocato e sdegnato di sua moglie lo colpì con la stessa violenza di un pugno nello
stomaco.
Scambiò un’ultima occhiata con Maya, sfilando le dita dal suo abito e lasciandola andare.
Si voltò, aprendo la bocca per tentare di mettere in piedi una spiegazione decente, ma un
paio di occhi color sangue lo trapassarono e lo ammutolirono. Lord Voldemort mosse pochi
passi, il suo sguardo appuntato ben oltre Lestrange.
Maya deglutì – Io…
Bellatrix scattò in avanti, senza che Rodolphus avesse il tempo di fermarla e
nell’indifferenza di Voldemort.
Agitò la bacchetta, e ne scaturirono delle corde scure e viscide che si avvinghiarono al
collo della Babbana, togliendole il fiato.
- Puttana! – ringhiò la Strega, mettendo da parte la bacchetta e schiaffeggiandola –
Stramaledetta puttana…
Maya avvertì in bocca il sapore del sangue, il battito dell’Horcrux impazzito come quello del
suo stesso cuore. Avvertì il calore del medaglione, la collera furibonda che ne promanava,
e indovinò con devastante certezza che se quella collera fosse esplosa tutti loro sarebbero
stati perduti.
Non reagire, ti prego. Non reagire. Non reagire. Non mi ucciderà…
No, no, no.
Ebbe l’impressione che la voce petulante dell’Horcrux le potesse perforare il cervello. Che
la sua possessività non potesse essere trattenuta.
Solo io posso punire. Solo io posso punire. Solo io posso punire.
Se quella rabbia doveva venire fuori, si decise, non sarebbe stato attraverso la magia.
- Sarei io la puttana? – sibilò con un sorriso crudele – Credevo che fosse quello che tutti
dicono di Bellatrix Lestrange. O meglio, di Bellatrix Black.
Rodolphus si mosse per dividerle, ma la Strega agitò la bacchetta – Se fai una sola mossa
manderò questo sudiciume in fumo.
Lestrange imprecò tra i denti e sollevò le mani – Ragiona, Bella. Non è come sembra.
Maya ignorò ostentatamente il loro scambio, cercando lo sguardo di sangue di Voldemort.
C’era così tanto disprezzo nei suoi occhi. Così tanta rabbia.
- Per favore… - lo supplicò, muovendo le labbra ma senza emettere suono.
L’Oscuro Signore le voltò le spalle, concedendo la sua attenzione ad uno dei ritratti dei
Malfoy.
- La Babbana è di proprietà dell’Oscuro Signore. – Rodolphus afferrò il polso di sua moglie
– Non spetta a te decidere.
Bellatrix ululò la propria collera. Maya non riuscì ad evitare di pensare che fosse
totalmente, completamente pazza e fuori controllo. Tuttavia temeva molto di più
l’ostentata indifferenza di Voldemort che non la sconnessa furia della Mangiamorte.
Rimase in attesa della vera punizione anche dopo che Lestrange fu riuscito a trascinare via
sua moglie.
Capitolo 14: Puniscimi
Le dita dell’Oscuro Signore si contraevano piano, unico segno di vita in un corpo che,
altrimenti, sarebbe stato praticamente immobile.
Maya chiuse gli occhi, le pulsazioni dell’Horcrux somigliavano a quelle del cuore incostante
di un uomo prossimo alla morte.
Quando Voldemort tornò a voltarsi verso di lei lo fece in modo totalmente casuale. Senza
soffermarsi a gettare un solo, singolo sguardo sul suo labbro spaccato. Senza esprimere
alcuna emozione.
Tuttavia Maya stava lottando contro il desiderio di piegarsi in due, di urlare e di svuotare
lo stomaco per la nausea.
I reali pensieri di Voldemort, quelli che il suo viso immobile non rivelava, fluivano nella sua
mente con una tale violenza da renderle impossibile tentare di porvi un freno.
Tradimento, umiliazione, odio, punizione, omicidio.
- Mio Signore. - Maya abbassò gli occhi, odiandosi per aver usato quelle parole e per aver
desiderato farlo.
- Io non… è che avevo fame. Sono uscita dalla stanza solo per questo.
Voldemort la ignorò ancora. Allontanandosi lungo il corridoio scuro, quasi senza fare
rumore. Lei lo seguì in silenzio come un fantasma.
Non aveva fatto nulla eppure sarebbe stata punita. E nessuno sarebbe arrivato in suo
soccorso, né Rodolphus, né altri.
Il Mago si fermò sulla soglia della cameretta dove era stata reclusa sino a poco prima,
attendendo che lei entrasse. La Babbana lo superò e tremò quando si sfiorarono.
L’Oscuro Signore chiuse la porta, Maya fu certa che sarebbe morta tra quelle pareti;
odiava Casa Malfoy con tutto il cuore.
L’Horcrux le rimandò il desiderio del Mago di escludere chiunque altro, l’intero mondo fuori
dalla stanza… la punizione era sua, soltanto sua. Nessuno avrebbe visto e nessuno
avrebbe sentito.
- Per favore.
La presenza di Voldemort era soffocante; un’ombra scura capace di riempire ogni spazio.
Tanto più orribile perché gli occhi color del sangue sembravano morti, privi di sentimento
e di espressività.
L’uomo si guardò intorno, poi si mosse con la sua grazia da serpente e raccolse un telo
che era stato ripiegato e lasciato tra gli altri che Maya aveva usato per asciugarsi solo
poco prima, una vita prima, un’eternità prima.
Il Mago ne intinse un’estremità nell’acqua della vasca. Poi, senza fiatare, le si avvicinò
stringendo con delicatezza il mento tra le dita e sollevandole il viso.
Maya chiuse gli occhi mentre Voldemort ripuliva la ferita che Bellatrix le aveva inferto al
labbro, eliminando ogni traccia di sangue… l’inizio della fine.
Ripiegò il telo sul bordo della vasca, con meticolosa precisione. E poi i suoi occhi tornarono
a cercare quelli della donna.
Il ronzio metallico dell’Horcrux esplose nel cervello di Maya e lo sguardo di Voldemort si
accese di furia.
L’Oscuro Signore sollevò il braccio… e tutto si fuse in un groviglio di frammenti di realtà e
smania.
Nei desideri di Voldemort Maya vide il pulsante bisogno di colpirla, di riaprire la ferita ed
amministrare il dolore e la punizione che appartenevano solo a lui.
Era furioso perché Bellatrix l’aveva colpita. Perché qualcun altro si era sostituito a lui,
usando ciò che gli apparteneva: bisogni, istinti primordiali ed infantili, crudeltà e
perversione… era tutto lì, nella necessità di punire e possedere. E la consapevolezza di
come tutto questo minacciasse di diventare una faccenda personale alimentava la sua
rabbia.
La colpì e la colpì ancora in una fantasia che per Maya bruciava più della realtà.
E mentre il Mago lasciava ricadere il braccio lungo il fianco, senza cedere ad istinti che
l’avrebbero fatto sentire animalesco, Babbano… Maya barcollò, e lottò per non svenire;
arretrò aggrappandosi a qualunque cosa le capitasse tra le mani. Mordendosi la bocca con
forza, avvertendo il sapore del sangue tra le labbra, mentre altre gocce rosse le
rotolavano sul mento.
Le mani di Voldemort la tirarono via, riportandola verso il centro della stanza.
- Mia, sei mia! – urlò – La punizione è mia! Hai capito?
Lei scosse il capo.
- Cosa? – ringhiò ancora, vicinissimo al suo orecchio – Cosa non riesci a capire? Tu sei una
cosa mia! – scandì. Ogni parola grondava veleno.
La artigliò, premendole il viso contro il petto e si smaterializzarono.
La donna ansimò, travolta dall’intensità di quello che l’Horcrux le permetteva di recepire e
dalla violenza che emanava da Voldemort.
Non c’era logica nei pensieri dell’Oscuro Signore, solo un ribollire di sentimenti e
sensazioni sconnesse; e quell’uomo così potente era totalmente incapace di gestirli,
riordinarli, moderarli.
Perché non poteva ucciderla? Perché doveva umiliarsi in quella farsa, abbassarsi al livello
di una bestia. Provvedere ad una Babbana… una traditrice. Traditrice, maledetta e infida.
Le aveva risparmiato la vita e lei aveva pensato di poterlo manipolare così?
Maya cercò un appiglio mentre precipitavano nel vuoto.
Era sua, sua, sua! Una sua proprietà che aveva osato scivolare tra le dita di un altro, e poi
ancora tra quelle di Bellatrix. Traditrice, traditrice!
- No! – la corsa nel vuoto si arrestò in un turbinare di acqua salmastra, nel frastuono del
mare in tempesta. La donna spalancò gli occhi, incredula. Doveva essere punita perché
Bellatrix l’aveva aggredita? L’ingiustizia dei contorti percorsi mentali di Voldemort le tolse il
fiato.
I piedi di Maya toccarono terra… roccia fredda e scivolosa. Nonostante tutto si aggrappò a
Voldemort con più forza, ma lui non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare. Le lunghe
dita bianche strette tra i capelli della donna e intorno alle sue spalle.
La trascinò nel buio, poi strofinò due dita sulla ferita, riaprendola, ed usò quel sangue per
spezzare le difese del suo stesso rifugio.
Maya ricacciò indietro il desiderio di abbandonarsi sul pavimento e vomitare, provò a
opporre una debole resistenza – Per favore, per favore! Ragiona…
La luminescenza verde e malsana della caverna, ed il puzzo di acqua stagnante li
investirono.
Maya aveva provato timore ben più di una volta, coesistere con Voldemort significava
vivere con la paura; ma la sensazione che la soffocava questa volta, la consapevolezza
delle cose che riposavano nelle profondità del rifugio e l’idea di quello che le sarebbe
accaduto andavano oltre quanto fosse possibile accettare.
Attraversarono l’acqua scura come in sogno, mentre le silenziose urla della mente del
Mago, le sue recriminazioni prive di controllo e logica le toglievano il fiato.
E poi toccarono terra, e Voldemort la lasciò andare spingendola verso la riva. Maya
arretrò, strisciando sulle mani, per raggiungere il centro dell’isoletta.
L’Oscuro Signore saltò oltre la fiancata dell’imbarcazione. Incombendo su di lei senza
pietà.
- Perché, perché mi impedisci di essere pietoso? – sussurrò – Perché quando decido di
salvarti la vita e consentirti di essere un mio strumento… tu mi tradisci? – le dita di
Voldemort, fredde come alghe, si posarono sul viso della donna – Come osi espormi al
ridicolo? Disobbedire a me, a me davanti ai miei servi.
- Che maldestra... – la voce di Maya non era più alta di un sussurro, mentre la sua mente
vorticava in cerca di una soluzione che andasse oltre il semplice prendere tempo – Allora
puniscimi.
- Pensi che non ti ucciderò solo per quello che sai? Sono già stato sul punto di farlo.
- Devo essere io a supplicarti di morire? – la donna rabbrividì, piantando le dita nella
fanghiglia e stringendo i pugni.
Voldemort si raddrizzò in tutta la sua altezza – L’Oscuro Signore è stato fin troppo pietoso.
Ho commesso un errore e non accadrà più.
La Babbana riconobbe il tono definitivo, l’illusione di giustizia dietro la quale Voldemort era
solito nascondersi prima di commettere qualcosa di orribile.
- Nessuno può sentirci, puoi permettermi di mancarti di rispetto un’altra volta prima di
morire.
Lui accennò un ironico inchino con la testa. Ma nei suoi occhi rossi non c’era nessuna
allegria, nessuna luce.
Maya aprì la bocca, cercando di riordinare i pensieri. C’erano così tante cose che avrebbe
voluto dire… eppure non poteva permettersi di morire. La borsa appesa al suo fianco
pesava come se fosse stata riempita di pietre; se fosse morta sarebbe andato tutto
perduto. Era ancora troppo presto. Si alzò lentamente, guardandosi intorno: la grotta non
offriva vie di fuga. Ma se fosse sopravvissuta a questa cosa… sapeva che sarebbe
cambiato tutto.
Sollevò le mani, riaprendo i pugni e facendo scivolare via il fango – Pensavo di gettartelo
negli occhi. Poi avrei provato a strapparti la bacchetta di mano e a gettarla agli Inferi,
nell’acqua. – si umettò le labbra, tentando di ignorare il brivido che l’Horcrux le
trasmetteva – Ma anche così, quanto avrei resistito? Gli Inferi ci avrebbero attaccati
entrambi? – scosse la testa – Tu saresti sopravvissuto. Fino a quando i tuoi Horcrux
resistono… sei immortale.
Voldemort si mosse verso di lei con uno scatto nervoso – Sciocca mortale! – sibilò.
- Se fossi Bellatrix. – Maya inclinò il capo – Cosa farei? Cosa farebbe la tua serva migliore?
- Smettila di dire assurdità: non c’è nessuna salvezza. Nessuno può ingannarmi e vivere.
- A parte Harry Potter.
Maya sorrise, e il volto di Voldemort si fece ancora più simile ad una maschera funeraria.
- Harry Potter oggi è stato al Ministero; ti è sfuggito ancora una volta. Perché, Voldemort?
L’uomo gridò, un grido vibrante per tutta la rabbia che aveva trattenuto – Servi incapaci…
le punizioni che infliggerò non saranno mai sufficienti.
Strattonò la donna intrappolandola nuovamente nella sua morsa d’acciaio.
E poi il battito dell’Horcrux si stabilizzò uniformandosi a quello del cuore di Maya.
Per essere un uomo che odiava toccare chiunque, pensò, non ci andava troppo per il
sottile.
Un sospiro incorporeo risuonò nella sua mente, annunciandole che i pensieri omicidi
stavano scivolando via per trasformarsi in qualcosa di diverso. Aveva tutta l’attenzione
dell’Oscuro Signore.
- No. – Maya si sollevò sulle punte – Per quale motivo è stato al Ministero?
Voldemort fremette, gli occhi che bruciavano.
- Forse conosco il motivo, ma io non sono Bellatrix. – sorrise - Puniscimi, mio Signore… sussurrò.
L’uomo ringhiò, spingendola verso l’acqua. Maya si dibatté mentre le spingeva la testa
nella lurida acqua salmastra.
Capitolo 15: Al Di Sotto
Non lo aveva mai fatto prima.
Non aveva mai provato l’impulso ad uccidere a mani nude: quello era il volgare modo di
operare dei Babbani e lui non ne sentiva la necessità. Distacco, pulizia ed efficienza erano
la regola della giustizia che era solito somministrare. Un compito da svolgere per motivi
superiori: ovviamente c’era stata anche la vendetta qualche volta. E ci sarebbe stata in
futuro. Ma si trattava di qualcosa di raro, di inconsueto. L’Oscuro Signore non aveva
bisogno di mettersi a confronto con la meschinità altrui.
Eppure quella Babbana aveva deciso di guastargli la festa in tutti i modi possibili.
L’ultima luce della sera filtrava attraverso le tende tirate, illuminando a malapena la
stanzetta e le sagome dei vecchi mobili ancora coperti da polverosi teli bianchi.
L’Oscuro Signore fece scorrere due dita su una delle colonne di legno che sostenevano il
baldacchino. Guardò verso la finestra, lasciandosi sedurre dall’idea di andarsene. C’erano
cose da fare. Strade da percorrere, boschi da attraversare. Cieli da solcare come nessun
altro avrebbe potuto fare. Scomparire, partire e lasciare i Mangiamorte nell’attesa e nella
paura del suo ritorno.
Le narici da serpente fremettero in cerca del sentore della notte che sarebbe calata ben
presto, ma l’unico odore che percepì fu quello della caverna e dell’acqua stagnante. Della
putrefazione subacquea delle sue vittime senza viso e senza nome.
Gli sembrava di avere ancora le mani bagnate. E distingueva con precisione la sensazione
delle alghe che gli si avvolgevano intorno alle dita, intorno ai polsi. O forse… non erano
alghe, ma i capelli della donna che fluttuavano tutto intorno.
Voldemort espirò con forza, concedendosi una smorfia di disappunto.
Casa Riddle poteva essere soffocante.
Nagini era uscita da tempo, probabilmente doveva essersi appostata in qualche oscuro
recesso della campagna per cacciare. Voldemort socchiuse gli occhi. Nagini era diversa,
indipendente, potente. E benché fosse sua… non limitava in alcun modo la libertà del
padrone. Al contrario, Voldemort poteva servirsene per ampliare il proprio orizzonte.
Il Mago infilò una mano nella tasca della tunica, tastando l’oggetto che riposava accanto
alla Bacchetta.
Per qualche bizzarro motivo i pensieri tendevano a mescolarsi ed a sovrapporsi nella sua
testa quella sera; ricordò un altro giorno, molti anni prima.
- In tutti i miei viaggi. – sussurrò – Non ho mai visto nulla che potesse indicare l’esistenza
di un potere superiore a quello del mio genere di Magia.
Annuì alle sue stesse parole, allora aveva già detto più o meno la stessa cosa.
Si guardò intorno, domandandosi chi avesse abitato in quella camera. Casa Riddle contava
più stanze da letto di quanti fossero stati i suoi abitanti. Doveva trovarsi in una camera per
gli ospiti, non voleva immaginare altrimenti. Non voleva immaginare nessuno dei Riddle
tra quelle pareti.
Non riuscì a contenere uno dei suoi improvvisi moti di rabbia e, sfilata la mano dalla tasca,
assestò un colpo ad uno dei vecchi vasi rimasti esposti sul muffito mobile accanto al letto.
Vedere i cocci sul pavimento lo confortò un po’. Distraendolo dall’idea di gente morta che
lo spiava da ogni anfratto. Odiava i morti.
Cosa aveva pensato mentre affogava la donna? Nessuno avrebbe dovuto mai sospettare
che l’Oscuro Signore si fosse fatto dominare da pulsioni così infime, primitive, Babbane.
Non era stato sicuro di volerla davvero vedere morta, dopotutto avrebbe potuto essere
utile. Nelle ultime ore si era ripetuto queste parole sino allo sfinimento.
Voldemort fece scorrere la lingua sulle labbra da serpente.
I suoi servi non erano stati in grado di catturare Potter all’interno del Ministero. I suoi servi
erano disgustosamente incapaci. Mediocri.
Cosa ci sarebbe stato di male nel servirsi di qualunque altro aiuto gli fosse stato inviato?
Tutto qui. Tutto qui.
Ma poi aveva dovuto punire la donna. La sfida gli aveva fatto perdere la testa. E aveva
dovuto spingerla sott’acqua per essere fedele a sé stesso.
Forse l’avrebbe tirata fuori quando fosse stato sicuro di averla convinta a non tradire mai
più il suo Signore.
Forse…
Voldemort si sedette sulla sponda del letto, incapace di far sparire le immagini della grotta
che premevano in continuazione per venire a galla.
Tratteneva la donna sott’acqua, ma lei era riuscita a liberarsi e ad emergere per prendere
un’altra boccata d’aria. Nei suoi occhi aveva intravisto una scintilla di collera che gli era
sembrata familiare. Anche troppo.
Poi, nello stesso istante in cui l’aveva lasciata… altre mani erano emerse per afferrarla e
trascinarla giù. E lui si era semplicemente tirato indietro, restando a guardare.
Maya aveva agitato le mani sollevando una piccola cascata di spruzzi, tentando di staccarsi
di dosso quella che doveva essere stata non più di una ragazzina. Una ragazzina in
putrefazione.
- Fai qualcosa, bastardo! – che strano, Voldemort non era certo che l’avesse gridato a lui.
Ma, per quanto potesse dire di volerla morta, quel tipo di morte in particolare non gli era
sembrato troppo conveniente. Però, prima che potesse estrarre la bacchetta, il mondo era
andato alla rovescia: all’improvviso, nei suoi occhi non c’era più l’immagine della donna
che lottava per non affondare, ma il lurido mondo sommerso della caverna come se fosse
stato lui ad essere trascinato sott’acqua.
Suo malgrado, l’Oscuro Signore rabbrividì.
Putrefazione e morte così vicine: per quanto quelle fossero le sue vittime lui non avrebbe
mai, mai pensato di doverle toccare.
Come era successo? Più tentava di mettere ordine nei pensieri meno gli riusciva.
Continuava ad avvertire la stretta nauseabonda dei cadaveri, le mani viscide e
scheletriche. Il sapore disgustoso dell’acqua e la melma che stava inghiottendo.
L’Oscuro Signore sibilò sdegnato, schiacciando uno dei cocci di porcellana con la suola dei
suoi stivali.
- Maledetta Babbana. – ringhiò.
Non rammentava il momento esatto in cui l’incantesimo era esploso tutto intorno, ma
l’urlo rabbioso che aveva lanciato e le fitte di paura che mai avrebbe dovuto provare… non
sarebbero mai più spariti dai suoi ricordi.
E un attimo dopo, come se i morti e la lotta per emergere fossero stati solo
un’allucinazione, stava stringendo la Babbana sulla riva.
Voldemort deglutì in preda ad una nuova ondata di paura. Perché aveva visto con gli occhi
della donna?
Qualunque fosse la soluzione… fino a quando non ne avesse saputo di più non sarebbe
stato possibile liberarsi di lei. E, soprattutto, nessuno avrebbe dovuto saperne nulla.
Si allungò sul letto, scostando il lenzuolo per studiare meglio il viso di quella maledetta
donna. Cercando un indizio che la rendesse differente dagli altri, speciale, rimarchevole.
Eppure era solo una donna come tante. Non una bellezza particolare. E priva di segni
distintivi. Una Babbana, tutto qui. Non dissimile dai miserabili esseri che aveva già ucciso,
non dissimile da quelli che galleggiavano nell’acqua scura della grotta. Eppure, per qualche
motivo, non poteva immaginare di vederla decomporsi tra quei cadaveri. E non riusciva ad
immaginare di usarla come un burattino da impiegare in battaglia.
Sì, era molto diversa da Bellatrix.
Maya tentò per l’ennesima volta di sistemarsi i capelli. Ma ogni ciocca sembrava prendersi
gioco di lei agitandosi sulla sua testa come un serpente infuriato.
- Oh, per favore… - sussurrò – Che posto è questo?
Sapeva di essere morta, ma non poteva trovarsi nella caverna. Poteva respirare
sott’acqua, ma quel liquido non era la melmosa massa puzzolente e straripante di cadaveri
del rifugio di Voldemort. Al contrario, era piacevole restare lì sotto nel tepore, immersa nel
fluido cristallino.
Provò a battere i piedi e a nuotare verso l’alto. Ci aveva già provato senza mai arrivare in
superficie; se guardava verso il basso il fondo sembrava sempre distante nello stesso
modo. Invertì la direzione, puntando verso la strana sabbia dagli scintillii smeraldini del
fondale e quando lo toccò avvertì la familiare risatina risuonarle in mente.
Con una smorfia si rese conto di essersi giocata ogni possibilità di essere in Paradiso.
- Non credo di aver fatto nulla per meritare l’inferno! – borbottò.
Le ombre si addensarono in una figura evanescente eppure familiare.
- Tu! – Maya si irrigidì – Anche da morta devi proprio perseguitarmi?
L’ombra si avvicinò ancora, protendendo il viso verso di lei e consentendole di osservarlo
meglio. C’era qualcosa di Voldemort… ma solo nell’espressione, nello sguardo e nella piega
ironica delle labbra. Per il resto quella creatura aveva l’aspetto del giovane uomo più
avvenente che si potesse immaginare.
- Grazie. – le sussurrò.
- Non ho detto nulla. – Maya si sentiva particolarmente idiota con i capelli ed il vestito che
fluttuavano nell’acqua, idiota e ignorante.
- Lo hai pensato. E quello che tu pensi io lo so. – l’ombra si mosse, ed il giovane uomo si
librò, in sospensione, come se si fosse seduto su una sedia invisibile – Conosco il tuo
cuore, conosco i tuoi sogni, eccetera, eccetera, eccetera… - Sempre molto conveniente la Magia, vero? – la Babbana si strofinò una mano sul viso –
Tom Riddle, immagino?
L’ombra arricciò le labbra – Voldemort. O meglio, la parte di Voldemort nel medaglione. –
si sollevò e le puntò un lungo dito giusto tra i seni in un gesto privo di discrezione.
Maya arretrò, suscitandogli una risatina – Passo lì tutto il tempo, no? Perché ti agiti?
- Lascia perdere. Allora, sono morta?
- Oh, no. – l’uomo si mostrò offeso – Ti ho salvata, ovviamente.
- In modo del tutto disinteressato? – Maya chiuse un occhio, spiando l’espressione
dell’altro – Conosco tutte le tue risorse di fascino. Per favore…
- Oh, ti stai domandando quanto io sia disinteressato? Non lo sono per niente, credevo che
fosse scontato. – rise ancora – Ma non temere, quello che voglio è piuttosto innocuo.
Maya gli voltò le spalle, iniziando a nuotare. Quando fu certa di aver percorso una distanza
sufficiente si voltò, ma il giovane Riddle era ancora lì. Le afferrò i fianchi costringendola a
voltarsi con una mezza piroetta.
- Non trovi che sia noioso vivere in un acquario per sempre? – le sussurrò all’orecchio.
La donna arrossì cercando di scostarsi, senza successo.
- Immagino di sì.
- Aiutami a risolvere un piccolo problema matematico, vuoi?
- Se dicessi di no servirebbe?
- Bene. Immagina di possedere un pezzo di dolce.
- Non posso credere che tu mi stia parlando di dolci. – scosse la testa, incredula.
- Con una cosa che ti piace… sembrava più semplice. – le sfiorò il viso con la punta della
lingua.
- Oh, Dio! Non sono Hepzibah Smith! Piantala, piantala!
L’uomo scosse la testa – Non c’è bisogno di agitarsi per così poco. Torniamo al dolce,
vuoi?
Maya deglutì.
- Se tu ne dessi via metà… sarebbe un sacrificio ma, probabilmente, riusciresti ad
assaporarlo comunque. Ma se tu ti privassi di metà di quella metà, e poi ancora, ed
ancora, ed ancora… - il giovane Voldemort le scoccò un bacio sulla guancia – Con poche
briciole neanche il migliore gourmet riuscirebbe a comprendere a fondo il sapore, il valore
del dolce. Capisci?
Maya annuì debolmente.
- Donna intelligente. Tirami fuori dall’acquario, va bene? Restituiscimi la possibilità di
provare piacere…
Lei aprì la bocca per rispondere, ma lui le posò un dito sulle labbra – No, non dire niente.
– sorrise. Prima che la Babbana potesse dire nulla le strinse i fianchi con più forza e la
spinse verso l’alto.
Capitolo 16: La Chiave Giusta Per Ogni Serratura
La luce era quasi completamente sfumata nell’oscurità della sera, ammantando ogni cosa
d’ombra.
L’Oscuro Signore lasciò scorrere un dito sulle palpebre della donna, stupendosi della
morbidezza che la penombra conferiva al suo viso. Quando il respiro di Maya accelerò
Voldemort si scostò, appiattendosi contro una delle colonne che sostenevano il
baldacchino. Trattenne il fiato mentre le sue palpebre si sollevavano lentamente, rivelando
un languido riverbero rosso sangue. Fu un istante e poi quel bagliore si spense, lasciando
al Mago l’impressione di averlo solo immaginato.
Così Voldemort deglutì e rimase in silenzio, nascosto in una pozza d’ombra.
La donna si mise a sedere, premendosi una mano al di sopra del cuore. Poi gettò le
gambe oltre il bordo del letto e provò ad alzarsi.
L’Oscuro Signore non si mosse, spiandola mentre zoppicava cercando di restare in piedi e
aggrappandosi alla parete per non perdere l’equilibrio.
Ancora una volta il Mago si domandò cosa potesse esserci in quella donna da renderla
diversa, speciale. E, ancora una volta, i suoi occhi non trovarono nessuna cosa che
potesse essere degna di nota.
Non c’era nulla di superiore nel sedimento lasciato dalle lacrime che si erano asciugate agli
angoli dei suoi occhi, o nella sottile traccia della saliva sulla guancia, nell’aureola di capelli
arruffati che le circondavano il viso e cadevano sulle spalle in un crespo tripudio di
indisciplina. Voldemort socchiuse gli occhi, lasciando scivolare lo sguardo sui suoi fianchi
pieni, sui difetti che il vestito di seta non camuffava.
Aveva intravisto il segno dei capillari spezzati su una caviglia, ed i lividi che doveva essersi
procurata lottando nella caverna.
Allungò una mano, sempre silenzioso, per lisciare le lenzuola dove lei aveva dormito fino a
poco prima. Il calore del suo corpo era ancora intenso.
Voldemort si spostò, seguendo lentamente, silenziosamente i movimenti della Babbana
che si era appoggiata alla finestra per spiare il mondo al di fuori della vecchia casa.
Quando era un bambino c’erano state certe donne che di solito incrociava durante le sue
peregrinazioni londinesi nell’East End, un milione di anni prima. Donne che fumavano e
sollevavano le gonne per mostrare le gambe ai passanti, scambiando battute volgari nel
loro morbido accento Cockney, promettendo quel genere di piaceri che in un’ altra età
avevano esercitato su di lui desiderio e repulsione nella stessa misura. Deglutì
immaginando Maya in quel ruolo, come una di quelle puttane discinte e morbide che
campeggiavano sulle fotografie che gli altri ragazzi si scambiavano in segreto insieme alle
sigarette.
Come era stato distante da quel mondo, quanto lo aveva disprezzato… deriso; perché lui
era Voldemort e i piaceri dei quali si nutriva non lo portavano mai fuori rotta, né gli
annebbiavano la mente. Usava chi poteva soddisfarlo, ma senza mai preoccuparsi d’altro
all’infuori di sé stesso.
E d’altra parte al mondo non c’era nulla di così prezioso o interessante da averlo convinto
a mettere il desiderio per qualcuno al di sopra del proprio.
Non c’era, non c’è e non ci sarà… si ripeté.
Ma poi si frugò in tasca, recuperando quello che vi aveva depositato al ritorno dalla
caverna e si avvicinò alla donna che gli voltava le spalle. Quando le sue mani scivolarono
sugli avambracci di lei, Maya si voltò di scatto con la paura e la sorpresa che le si
mescolavano nello sguardo. Voldemort avvertì un fremito di compiacimento corrergli lungo
la spina dorsale – No, non ti voltare. – sussurrò.
La sospinse nuovamente verso la finestra in modo che non lo potesse vedere. E lasciò
vagare le dita lungo le braccia di lei, risalendo fino alle spalle, fino al collo protetto dal
castigato abito color avorio.
Con deliberata lentezza lasciò che la donna si domandasse se l’avrebbe strangolata,
eccitato dal modo in cui lei continuava ad irrigidirsi e ad opporgli resistenza anche solo nei
piccoli gesti.
Poi le allacciò il collare, scostandosi un po’ perché la Babbana potesse voltarsi e toccarlo.
Voldemort socchiuse le palpebre ed ammirò il cerchio di cuoio ed argento, allungò una
mano agganciando con un dito l’anello metallico che ne rendeva evidente la funzione e
sorrise, pensando che questo avrebbe risolto tutto.
- Dobbiamo parlare. – sussurrò.
Maya gli scoccò un’occhiata ostile, quasi incredula senza riuscire a trattenersi. L’Oscuro
Signore se ne compiacque nella stessa misura in cui provava piacere per il rossore che la
rabbia diffondeva sul suo viso.
Inclinò il capo, scrutandola sovrappensiero.
Fino a poco prima ogni cosa era sembrata ben più difficile. Sapere che gli apparteneva in
modo definitivo aveva cambiato tutto; poteva permettersi di godere della vana resistenza
che la donna avrebbe tentato di esercitare. Poteva prendersi il tempo necessario ad
insegnarle il modo in cui l’avrebbe dovuto servire.
Poteva rubarle ogni segreto, ogni conoscenza; si leccò le labbra pregustando il sapore
della vittoria.
Maya rabbrividì, incapace di restare ferma in quella situazione. Arretrò il più possibile,
cercando di non farsi prendere da una crisi isterica all’idea di avere un collare indosso. Un
collare, maledizione.
Una raffica di imprecazioni e di cose che sarebbe stato molto saggio tacere le si
aggrovigliarono in mente.
Oh, mi spiace di non avere un regalo per ricambiare; avevo pensato ad un souvenir di
Vlad Ţepeş. Un palo.
- Parlare?
Parlare mentre provi ad affogarmi nella tinozza, bastardo?
Voldemort sogghignò come se avesse potuto intuire i pensieri della Babbana, e Maya si
trovò a ringraziare ancora una volta perché con lei la Legilimanzia non funzionava.
L’Oscuro Signore incrociò le braccia ed annuì.
- Di cosa?
- Dell’anello di Serpeverde. Di Gregorovich. Del futuro. Di tutto quello che mi hai taciuto.
La donna arricciò le labbra.
- Non c’è un modo per sfuggirmi. – gli occhi di Voldemort scintillavano – Non hai un posto
dove nasconderti. Tu non vuoi morire… lo ho visto. Arrenditi.
- Non voglio diventare uno zombie in una fetida pozza. E’ un po’ diverso.
Voldemort grugnì e le afferrò il viso – Bene, non morirai comunque.
C’era qualcosa di estremamente infantile nell’espressione di lui, lo scontento di un
bambino davanti ad un cucchiaio di sciroppo.
- Non morirò… - biascicò lei sputacchiando, le labbra schiacciate in una smorfia da pesce –
E che altro?
- Non scherzare con me. – la lasciò andare, ripulendosi le dita sulla tunica.
- Va bene. – Maya abbassò le palpebre… se soltanto avesse potuto ucciderlo con uno
sguardo – Silente ti ha giocato. Tu sei fregato. Se uccidi Potter morirai. La Bacchetta è
inu… - Voldemort la sollevò di peso e la trascinò fino al salone. La scaricò su un tappeto.
- Che razza di modi sono questi? Sei stato tu a chiedermi di parlare!
In tutta risposta lui emise un sibilo e Nagini scivolò sinuosamente nella stanza.
- Questo sarebbe il tuo piano? Farmi mangiare? Ah! – Maya si sistemò i capelli con un
gesto nervoso mentre Voldemort si lasciava cadere sulla poltrona più vicina ed incrociava
le dita.
- Ricominciamo, e questa volta cerca di essere più gentile.
- In una situazione come questa dovrebbe essere concessa un po’ di ironia in più a tutti.
- Ed un po’ più di chiarezza. – replicò dolcemente lui – Non ti ho mai detto che non ti avrei
torturata nel modo peggiore se mi avessi deluso. Dunque… non deludermi.
Gli occhi di Maya luccicarono pericolosamente – Va bene, ho mentito. Dammi tempo per
ricordare tutto e otterrai una vittoria assoluta su Potter.
Voldemort si sporse verso di lei – Così va meglio.
- Ammesso che tu sopravviva alla sifilide che Bellatrix Black ti ha trasmesso…
L’Oscuro Signore si alzò in contemporanea con Nagini che saettò verso la donna. Maya
rotolò via dal tappeto, tentando di tirarlo via per farli cadere entrambi. Ma Nagini le afferrò
un polpaccio nello stesso momento in cui la magia di Voldemort la sollevava a mezz’aria.
Oscillando a testa in giù la Babbana maledisse la sua incapacità di restare zitta.
Il Mago le concesse solo uno sbuffo irritato – Dicevamo?
Maya ritenne più saggio evitare di fare altri cenni alla sifilide. Tacque, continuando ad
oscillare.
- Sono stanco, stanco di ripetere le stesse cose. Anche se la tua condizione non ti
permette di comprendere… - Voldemort scosse la testa – Sarà meglio che ti impegni.
Perché non puoi vincere. Una volta di più: non puoi vincere.
Evitò di ammettere che la sua ribellione costituiva un notevole svago, nonostante tutto.
Si sedette sul tavolo, osservandola con attenzione.
- Silente ha rubato l’anello di Serpeverde. Tu sai… perché? – l’Oscuro Signore socchiuse gli
occhi, domandandosi se ci fosse una possibilità che il vecchio mago non avesse capito
cosa contenesse l’anello. Cosa sapesse davvero quella donna. E, soprattutto, se qualcuno
sospettasse dell’esistenza degli altri Horcrux.
- Mi va il sangue alla testa, non posso rispondere così.
Voldemort le concesse una risatina frivola – Beh, cerca di riuscirci. – Nagini strisciò sotto di
lei e spalancò le fauci.
- Va bene, va bene. Ma falle chiudere la bocca perché vedo spuntarle dalla gola quello che
sembra l’omero di qualcuno anche da qui. – sibilò lei.
Voldemort le puntò contro la Bacchetta.
- Oh, insomma… Silente era cleptomane. Adorava gli anelli grandi e brutti più di tutto…
Voldemort espirò con forza - Crucio!
Capitolo 17: Trick or Treat
Settembre ed ottobre scivolarono via come in sogno.
Maya si rannicchiò davanti al caminetto sfregandosi le mani e tendendole verso il fuoco
magico che l’Oscuro Signore aveva creato prima di partire; quelle fiamme non
producevano fumo né bagliori che altri al di fuori degli abitanti della casa potessero
scorgere, né si sarebbero estinte a meno che il loro creatore non lo desiderasse.
Voldemort aveva l’abitudine di allontanarsi di quando in quando, scomparendo per giorni e
lasciando la Babbana sola. E sebbene i poteri dell’Horcrux permettessero a Maya di violare
gli incantesimi di sicurezza che, nelle intenzioni del Mago, avrebbero dovuto impedirle ogni
contatto con l’esterno… la donna non si era mai arrischiata a fare altro che non fosse
sbirciare dalla finestra.
Nagini si srotolò pigramente davanti al camino, assestando a Maya un colpetto con la
coda.
- Mphm… - la Babbana socchiuse gli occhi e non si mosse – Non ho intenzione di cucinare
prima di un’altra ora.
La lingua del grosso serpente saettò pigramente fuori.
Maya la ignorò, concentrandosi sulle immagini che riusciva a recepire dalla mente di
Voldemort: nuvole e lampi di luce lunare. Ultimamente c’era qualcosa di ossessivo nel
modo in cui l’Oscuro Signore si dedicava alle sue peregrinazioni continuando a rimuginare
su quello che Maya e poi Gregorovich gli avevano detto o mostrato: il viso di un ragazzo, il
volto di un ladro di tanti anni prima. La Babbana si era quasi convinta che Voldemort
pensasse di scorgere il giovane misterioso dall’alto se avesse continuato a svolazzare come
un avvoltoio in giro per l’Europa.
Non che lei vi trovasse qualcosa di sconveniente; se Voldemort volava non uccideva. Maya
aveva ancora le ginocchia sbucciate per averlo supplicato per ore di evitare di uccidere
Gregorovich dopo aver millantato che il vecchio fabbricante di Bacchette avrebbe avuto un
ruolo cruciale nel futuro di tutti loro.
La donna si sfiorò distrattamente il collare che il Mago le aveva imposto; per quanto lo
detestasse… Voldemort sembrava più sensibile da quando lo indossava. Come se vederla
in ginocchio con quel cerchio di metallo e cuoio addosso lo distraesse da altri pensieri più
turpi.
Maya si agitò un po’, attirando l’attenzione di Nagini e percependo il battito dell’Horcrux
con maggior vigore al di sopra del proprio cuore. Si concentrò sulle fiamme nel tentativo di
far scomparire dal proprio cervello i ricordi di certi sogni che, di quando in quando,
tornavano a tormentarla.
Ti dispiacciono davvero? La voce incorporea e la risatina fin troppo familiare le diedero un
brivido.
- No, ti prego… - Maya sibilò a denti stretti, sotto lo sguardo indagatore di Nagini, senza
riuscire ad evitare di visualizzare l’immagine di sé stessa ginocchioni con indosso solo il
collare e di un guinzaglio saldamente impugnato da Voldemort.
Si maledisse per quelle idee e per i brividi che le suscitavano.
Eppure era quasi certa che quella vergogna fosse proprio ciò che Voldemort desiderava
ottenere; perché sebbene non avesse alcun controllo sui suoi pensieri, né l’avesse mai
sfiorata con qualcosa di meno della sua consueta freddezza in un modo ben più subdolo e
traditore era riuscito a farla dubitare di sé stessa ed a renderla più insicura. Ad instillarle la
sottile paura che, prima o poi, le sarebbe stata inflitta una nuova e diversa punizione. E
quando e se questo fosse successo…
Maya rabbrividì ed evocò l’immagine dei morti sospesi nella lurida acqua della grotta per
scacciare ogni tentazione ed ogni pensiero che la rendesse meno forte.
Per adesso c’era un piano da seguire.
Ed il segreto sul nome di Gellert Grindelwald da tenere fino a Natale.
Non c’era tempo per crogiolarsi nella Sindrome di Stoccolma o per nutrire pensieri meno
che razionali. Si picchiò le mani sulla fronte tentando di imporsi di ricordare che se era lì lo
doveva a Rodolphus e che sarebbe stata la sua storia d’amore ad essere messa in salvo se
tutto fosse andato nel modo giusto.
Si alzò di scatto e si lisciò il vestito.
- Bacon e uova? Toast al burro?
Se i serpenti avessero avuto la facoltà di sorridere Nagini lo avrebbe fatto senza dubbio.
Maya allungò le mani verso il camino e mostrò il palmo; una delle fiamme le saltò tra le
dita, improvvisamente fresca e innocua.
La donna ed il rettile raggiunsero la vetusta cucina al piano terra e Maya depose la fiamma
nel focolare.
La cucina era in condizioni anche peggiori del resto della casa ed i mobili stipati di
provviste non rendevano meno sgradevole l’idea di dover preparare del cibo in un posto
simile.
Sentendosi molto simile a Dorren o a Flubby Maya raccattò il necessario e si mise
all’opera. Resistere alla compulsione di scappare e di raggiungere un supermercato era
sempre più difficile; la Babbana non aveva mai pensato che potesse essere così
dannatamente orrendo andare in crisi d’astinenza da bevande gassate, dolcetti industriali
e cibo da tre soldi.
Ecco, erano questi i pensieri giusti sui quali focalizzarsi. Maya versò le dodici uova di
Nagini in un piatto e spazzolò il suo toast desiderando una vaschetta di gelato gusto puffo.
Sacher torte, costolette, involtini, milkshake alla menta e cioccolata, guinzaglio,
marshmallows arrostiti, macarons, guinzaglio…
La donna si leccò le dita imprecando e decidendo che forse la cosa migliore era smettere
del tutto di pensare.
Un rumore proveniente dal giardino la fece sobbalzare. Si avvicinò con cautela ad una
delle finestre e sbirciò fuori; riuscì ad evitare di strillare per un pelo. A pochi metri dalla
casa un gruppo di ragazzini in costume stava discutendo animatamente.
- Nagini, deve essere Halloween! – Maya sorrise, tornando a studiare i costumi fantasiosi
dei ragazzi.
Il serpente si sollevò con aria famelica e la Babbana lo tirò giù – No, hai già mangiato.
Mettiamo un freno alle indigestioni, va bene? Quelle sono bombe al colesterolo, sono da
evitare. Capito? Da evitare assolutamente. Sai che dovrò rifilarti una bottiglia di olio di
pesce se solo ti avvicini troppo…
- A chi? – la voce gelida di Voldemort la obbligò a ruotare su sé stessa in preda al panico.
- Oh, nulla… io… sei tornato?
- A chi non dovrebbe avvicinarsi? – Nagini strisciò verso l’Oscuro Signore, strofinando la
grossa testa contro la sua mano.
- Ai… polli del vicino. – Maya si adagiò con noncuranza alla finestra.
- Credevo a quei cinque sciocchi ragazzini Babbani che sto per uccidere. – Voldemort
socchiuse gli occhi, scoccandole uno di quei suoi sorrisi perfidi e privi di misericordia che
infestavano i suoi sogni.
- Babbani? Qui? – la donna si guardò intorno, piegandosi per controllare anche lo spazio al
di sotto del tavolo.
Voldemort le voltò le spalle e si avviò all’ingresso.
Maya lo seguì sudando freddo – Oh, generoso Signore! E’ Halloween… sono solo dei
poveri ingenui che abbisognano della tua benevolenza infinita… forse vogliono delle
caramelle. Ma basterà che non apriamo se busseranno, posso capire che dare via delle
caramelle sia doloroso. – Voldemort superò il corridoio – Ma, ma… anche se non facessimo
nulla e senza pensare ai dolci… anche se tentassero di forzare la porta per qualche stupida
prova di coraggio… non potranno entrare, no? Perché distruggere definitivamente le
possibilità immobiliari di questa casa che in paese già tutti dicono essere maledetta? Anche
se, in effetti, è davvero maledetta…
Il Mago posò la mano sulla maniglia della porta d’ingresso.
Maya gli si gettò ai piedi, abbracciandolo all’altezza dei fianchi – No! No… sto avendo una
visione! Una visione del futuro…
Voldemort si fermò – E cosa vedi?
Maya si staccò di scatto da lui, passandosi una mano sul viso.
- Vedo… - il ricordo del contatto con le anche calde e spigolose dell’uomo le annebbiò la
mente, rendendo difficile pensare a qualcosa di coerente – Ecco, non lo so. E’ molto
confuso. Vedo… festeggiamenti per Halloween. E’ molto saggio non uccidere nessuno ad
Halloween.
L’Oscuro Signore sibilò pericolosamente.
- Si fa più chiaro, ecco. Vedo Harry Potter.
Voldemort la afferrò per le spalle, sollevandola di peso e mandandole un altro terribile
brivido lungo la schiena.
- Potter?
- Sì. Credo che stia festeggiando qualcosa. Sta… danzando intorno al fuoco in un luogo
pieno di rovine. E mangia del gelato. – Maya distolse lo sguardo dal quadro con la tela a
brandelli che giaceva abbandonato a terra accanto alla porta, rappresentava un paesaggio
con una antica rovina.
Voldemort la lasciò andare di scatto, allontanandosi pensieroso.
- Rovine? – i suoi occhi si scurirono e la collera gli distorse il viso – Oggi è Halloween… ho
messo uno dei miei servi a guardia di Godric's Hollow. Possibile che il ragazzo sia andato
lì?
Maya desiderò avere lunghe orecchie da Elfo per potersele tirare come avrebbe fatto
Flubby. Che gaffe orrenda!
- No! No, no, no! Non credo affatto che sia Godric's Hollow…
- E come fai a dirlo, sei già stata in quella squallida topaia?
- No, ecco. Ma…
Voldemort non l’ascoltava più. Le afferrò una mano – Credo che dovremmo andare a
controllare. Per constatare la veridicità delle tue visioni… o decidere se sia giusto punirti
per i tuoi errori.
Prima che Maya potesse anche solo roteare gli occhi erano già spariti.
Capitolo 18: Godric's Hollow
Godric’s Hollow sembrava possedere tutte le carte in regola per poter essere definito un
amabile paesino della provincia inglese. E, in un’altra occasione, Maya lo avrebbe trovato
senza dubbio piacevole; eppure quella sera non le sembrava che fosse degno di maggiore
attenzione di un cetriolo ammuffito.
Voldemort la spinse avanti e sorrise – Non pensare di gridare o chiedere aiuto.
Certo che non lo avrebbe fatto. La Babbana si strinse le braccia intorno al corpo
riprendendo a camminare; non aveva nessuna intenzione di causare la morte di qualche
stupido passante.
Al colmo della sfortuna l’abbigliamento insolito di entrambi e l’aspetto di Voldemort, per
quanto ne poteva essere visibile al di sotto del mantello e del cappuccio, sarebbero passati
per comuni eccentricità di Halloween.
- Dove dovremmo andare, adesso?
Voldemort le indicò una stradina che correva accanto alla chiesa ed al cimitero.
Un gruppetto di ragazzini mascherati da fantasmi li superò e lo stesso pensiero si insinuò
nella mente del Mago e in quella della donna: la notte in cui Lily e James Potter erano
morti, una notte di Halloween di molti anni prima, Voldemort aveva già percorso quella
stessa strada e incontrato altri bambini in costume. Aveva esitato domandandosi se
valesse la pena di ucciderli e punirli per l’arroganza che i Babbani dimostravano
festeggiando in modo così pacchiano qualcosa che non comprendevano affatto. Ai
ragazzini di allora era andata bene: Voldemort aveva preferito dirigersi verso la casa dei
Potter per limitarsi a cercare le vittime già prescelte. E lì…
Maya gli gettò un’occhiata furtiva. Il modo in cui l’Oscuro Signore camminava con la
mascella serrata e la bocca tesa in una smorfia dura non le piaceva affatto.
E, nonostante tutto, la donna non fu in grado di trattenersi – Non riesco a capire.
Voldemort inclinò leggermente il capo, senza smettere di camminare.
- Come si fa a voler uccidere un neonato?
Prima ancora che l’uomo decidesse di non rispondere i suoi pensieri si erano già riversati
nella mente di Maya senza alcun freno.
Lei sospirò e tirò dritto.
Il bambino di per sé stesso non significava nulla, ma quello che rappresentava costituiva
un caso ben diverso.
- E’ disgustoso. – Maya lo sussurrò pianissimo, vergognandosi della propria vigliaccheria.
L’Horcrux che portava appeso al collo tremò delicatamente, ricordandole che l’uomo che
aveva perpetrato atrocità a non finire non era… integro.
La donna si passò una mano sul viso, rabbrividendo.
Quanta parte dell’anima di Voldemort era effettivamente rimasta ad animare quel corpo
pallido e serpentino? Meno della metà, molto meno della metà. Se ogni divisione portava
via metà dell’anima di chi operava una simile empietà il Voldemort attuale non era altro
che un miserabile ed inconsapevole rimasuglio. Una creatura tenuta in vita da uno
scampolo d’anima.
E se a questo si aggiungeva la naturale vena di follia ed egoismo che aveva ereditato dalla
sua famiglia, e la devastazione che l’orfanotrofio doveva aver portato con sé…
Maya si concesse una smorfia di disappunto. Non poteva, non doveva giustificarlo. Non ci
sarebbe mai stato un prezzo sufficiente da pagare perché tutte le sue atrocità fossero
cancellate.
Eppure non riusciva a non provare un briciolo di pietà per quell’uomo che credeva di
essere superiore e non aveva idea delle mutilazioni che si era inflitto.
L’Horcrux si riscaldò contro il petto della donna, e lei lo sfiorò delicatamente; su Segreti
dell'Arte Più Oscura, lo ricordava bene, era scritto che se ci si fosse davvero,
profondamente pentiti le lacerazioni generate dalla creazione degli Horcrux sarebbero
state sanate. Ma non v’era modo che Voldemort si pentisse.
- Dannazione.
Questa volta Voldemort la sentì. I suoi occhi rossi scintillarono al di sotto del cappuccio.
- Stavo solo constatando che venire qui è stata una grande perdita di tempo. – Maya
giocherellò distrattamente con una ciocca che le ricadeva sulla spalla – Non era questo il
luogo che ho visto nella mia visione.
Nella mia visione inesistente, pensò.
- Non importa. Era giusto che tornassi.
Voldemort si erse in tutta la sua statura, espirando lentamente. Maya comprese che per lui
essere a Godric’s Hollow all’alba del suo trionfo definitivo e proprio nel giorno di Halloween
aveva un significato simbolico. Lily e James Potter erano morti e Harry lo sarebbe stato
presto. Ma lui, Voldemort, era ancora vivo e più potente. E sarebbe vissuto in eterno.
La Babbana ricacciò in gola quello che avrebbe voluto urlare; l’Oscuro Signore non
avrebbe creduto ad altro che a parole di trionfo.
- Perché non visitiamo il cimitero?
- Cosa? – Voldemort si fermò con un’espressione che agli occhi della donna sembrò quasi
comica.
Maya infilò il vialetto che introduceva al perimetro del camposanto, sperando che il Mago
non la fermasse.
Le lapidi erano ben leggibili anche alla luce fievole della luna che si mescolava con il
riverbero dei lampioni sulla strada.
Continuò a camminare ed a leggere, senza fermarsi a controllare che lui la stesse
seguendo.
Si fermò davanti alla tomba di Ignotus Peverell, chinandosi per spolverarne la superficie
con le dita.
I passi leggeri di Voldemort si fermarono alle sue spalle, strappandole un sospiro di
sollievo.
- Perché questa tomba? – la donna riconobbe il disagio nella voce del Mago. Disagio per il
luogo, e per quello che significava.
- Il nome non mi è nuovo. – sussurrò, voltandosi per spiare l’espressione di Voldemort.
Domandandosi se avesse idea di chi fosse sepolto in quel luogo, se avesse il minimo
sospetto di trovarsi davanti a qualcuno che era legato ai Doni della Morte.
Ma l’Oscuro Signore non ne sapeva nulla; la sua infanzia non lo aveva mai portato a
scontrarsi con il fantasma dei Doni dei fratelli Peverell. Si era interessato alla Stecca della
Morte per puro caso, e solo perché ne aveva avuto notizia da Olivander.
La Babbana scrollò le spalle – Eppure non riesco a mettere a fuoco un ricordo preciso. –
mentì.
Marvolo Gaunt avrebbe probabilmente imprecato davanti a tanta ignoranza e incuranza
nei confronti dei nobili discendenti di Serpeverde: Voldemort discendeva da Cadmus
Peverell pur ignorandolo.
La Babbana si voltò a fissare ostentatamente la lapide, asciugandosi una lacrima di
nascosto. Di lì a qualche mese al loro posto ci sarebbero stati Hermione Granger ed Harry
Potter in cerca di una traccia da seguire, in cerca di una speranza.
Tutto intorno le persone festeggiavano Halloween ed ignoravano la grandezza del dramma
che incombeva su di loro in ogni istante, ma lei non desiderava portare una responsabilità
così grande sulle proprie spalle; avrebbe solo voluto possedere tanta magia da poter
schioccare le dita e risolvere tutto.
Voldemort le strinse un braccio, obbligandola a voltarsi.
Risolvere tutto. La donna si leccò le labbra, e si strofinò il naso arrossato in un gesto molto
meno che elegante. Voldemort la guardava senza dire nulla, meno ostile di quanto
sarebbe potuto essere. Meno… orrendo. Risolvere tutto.
- Cosa ti ha tenuto in vita dopo quella notte dai Potter? No, non parlo degli Horcrux.
Cos’era che ti nutriva mentre non avevi un corpo, mentre vagavi nelle foreste?
L’Oscuro Signore aprì la bocca senza dire nulla, Maya avvertì il flusso confuso dei suoi
pensieri.
- Io credo che sia stata la convinzione. Non importa se fosse giusto o sbagliato ma dovevi
essere convinto che non fosse finito tutto…
La donna si picchiò un dito sulla fronte nel tentativo di rimettere ordine, concedendo un
ultimo sguardo alla tomba di Ignotus – E’ quello che farò anche io.
Le risate di un gruppo di uomini che si avviavano verso il pub li distrassero entrambi.
- Credo che Harry Potter non verrà qui ancora per un bel po’. Hai già un piano per quando
arriverà?
Non c’era alcun motivo che l’Oscuro Signore le confidasse i suoi pensieri, non c’era alcun
motivo per cui dovesse discutere con lei di decisioni che doveva già aver lungamente
ponderato. Eppure… lo fece.
Passeggiarono fino alla casa dei Potter; da qualche parte lì intorno i Mangiamorte
tenevano d’occhio la vecchia Bathilda Bath, l’ultima a farle visita era stata Rita Skeeter…
sembrava che non ci fossero più amici o parenti per Bathilda.
Voldemort l’avrebbe uccisa e Maya rabbrividì all’idea che lui l’avesse portata a Godric’s
Hollow proprio per questo. Per farle vedere di cosa poteva essere capace.
Sapevano che nessun altro si sarebbe presentato alla porta dell’anziana donna e che,
come amica di Silente, Harry si sarebbe rivolto a lei quando fosse arrivato.
Il piano poteva considerarsi perfetto ed orribile nella stessa misura.
- Non ucciderla. – se teneva le dita premute sulla stoffa al di sopra dell’Horcrux Maya
poteva vedere la casa dei Potter per come era dato di vederla ai Maghi – Non c’è alcun
bisogno di farlo.
Voldemort infilò un dito nell’anello d’argento del collare che la Babbana indossava, la attirò
con un sibilo rabbioso – Non dovevo uccidere Gregorovich. Non dovevo uccidere quella
donna ed i suoi figli. Non devo uccidere Bathilda Bath. Come osi darmi ordini? Come osi
anche solo pensare di potermi suggerire cosa devo fare? Potrei radere al suolo tutta
questa topaia se solo lo volessi.
- Quella donna non ricorda più nulla, non è una minaccia. Probabilmente non può neanche
fare magie. Potrebbe star meglio in un pensionato per Babbani e nessuno ne sentirebbe
più parlare.
- Non hai sentito cosa ho detto?
- Sì, ma lei non è una tua nemica. Sono altri quelli che dovresti punire.
Voldemort la scrollò violentemente – Di cosa stai parlando, stupida donna?
- Dolores Umbridge, Yaxley, i Carrow! – Maya non si lasciò spaventare – Eccoli i tuoi
nemici, e sono molti di più di così!
- Tu sei pazza.
La Babbana ignorò il disprezzo negli occhi del Mago.
- Oh, no, niente affatto! E vuoi sapere quale è il tuo nemico più grande? Sei tu.
Voldemort la lasciò andare, cercando la Bacchetta.
- Vuoi nascondere Nagini in un cadavere in putrefazione? Andiamo, come fai a dire di non
essere totalmente fuori di zucca? Metteresti una parte della tua anima in un contenitore
per le larve e a me non sembra sano. E non mi sembra sano che l’Oscuro Signore…
l’Oscuro Signore, accidenti! Abbia bisogno di continuare a servirsi di gente debole e
incapace di difendersi.
- Stupidi criteri Babbani! – ringhiò lui – Adesso mi propinerai gli stessi discorsi di Silente?
Pietà, amore, compassione… perché? Sono illusioni, stupida. Illusioni e bugie; nessuno ci
crede davvero. Vincerò perché uso quello che mi serve davvero, senza preoccuparmi delle
apparenze. – la afferrò ancora, strattonandola tanto da farle battere i denti.
- Si… Silente era anche più oscuro di te per quanto mi riguarda. – Maya gli afferrò i polsi,
infilandogli le unghie nella carne – Non mi importa un accidente della compassione e della
pietà. Ma stai perdendo ogni brandello di dignità…
Voldemort ringhiò – Zitta! Sei viva solo per farmi divertire, solo per distrarmi. Cambiare
idea non sarebbe nulla per l’Oscuro Signore, nulla.
Un bambino vestito da zombie si fermò a guardarli ad occhi sgranati.
- Non è… non è nulla. – Maya gli fece un vago cenno – Vattene e lasciaci litigare.
- Ma quel signore… - il bambino rivolse un’occhiata spaventata a Voldemort.
- Sì, ha un bel costume. – sibilò lei – Vattene, accidentaccio.
Il ragazzino si allontanò di corsa e Maya tornò a concedere tutta la sua attenzione all’uomo
che la stava fissando con una buona dose di incredulità.
- Perché non ti limiti ad avere paura e ad obbedire? – sussurrò – Non riesco a capire.
- Credo che tu mi abbia detto, una volta, che i vermi non hanno cervello. Può darsi che sia
per questo. O può darsi che io stia davvero cercando di evitare che questo pasticcio finisca
male. – la donna sospirò – Andiamo, porto un collare e dipendo per tutto da qualcun altro.
Non sono certo in condizioni tali da mostrarmi arrogante. E, al contrario dei tuoi servi, non
ho bisogno di adularti per ottenere qualcosa che so che non mi darai mai. Non posso
aspirare a nulla, perché dovrei mentire?
Capitolo 19: Senza Pensare
Lasciarono la casa di Bathilda Bath nel giro di pochi minuti.
Faceva freddo a Godric’s Hollow, molto freddo anche per la fine di ottobre. Maya
osservava le case che superavano, spiando all’interno attraverso le finestre e le delicate
tendine, attraverso i festoni di Halloween e le piantine disposte sui davanzali. Sembrava
che tutte quelle famiglie fossero beatamente inconsapevoli di quello che succedeva fuori,
della assoluta casualità del Destino.
Si diceva che a Godric’s Hollow vivessero un gran numero di Maghi; eppure non avevano
incontrato nessuno che avesse manifestato alcun segno di aver riconosciuto l’uomo
incappucciato. Meglio così. E, d’altra parte, sarebbe stato piuttosto strano se qualcuno
avesse osato uscire allo scoperto per osteggiare l’Oscuro Signore.
Voltando ad un angolo della strada, Maya si fermò con l’impressione di aver udito delle
sirene in avvicinamento.
Bathilda Bath sarebbe stata di certo molto più al sicuro in un ricovero per anziani che non
nella lurida e scura casa che non era più in grado di curare. E quando Harry Potter fosse
arrivato… ebbene, avrebbe trovato una trappola meno disgustosa di quella che Voldemort
aveva architettato all’inizio.
E così vissero tutti felici e contenti. Più o meno.
Le luci rimaste accese all’interno di un supermercato attirarono l’attenzione della Babbana.
Maya si bloccò con il naso premuto sul vetro, osservando gli scaffali stipati di cibo e
pacchetti di dolci.
- Accidenti…
Si voltò verso il Mago che, assorto nei suoi pensieri, non le prestava alcuna attenzione.
- Non sarebbe adeguato chiedere all’Oscuro Signore di entrare per fare la spesa. – meditò.
Ma il consueto formicolio proveniente dall’Horcrux le tolse il fiato; le luci tremolarono e le
porte scorrevoli si aprirono da sole mentre le telecamere di sicurezza si spegnevano.
La donna deglutì.
La strada sembrava deserta; si infilò dentro prima di potersi decidere a cambiare idea. Si
abbassò per nascondersi alla vista di eventuali passanti e frugò dietro le casse in cerca di
qualche busta dove riporre il cibo.
Quando scivolò fuori dal negozio, Voldemort era ancora immobile sull’altro lato della
strada. Maya assestò un colpetto affettuoso al medaglione che portava al collo.
Quando fai qualcosa la fai bene, eh?
L’Oscuro Signore, come se non fosse passato che un solo secondo da quando s’erano
fermati, allungò una mano.
- Andiamo.
Maya trafficò per qualche istante con le buste, per nulla dispiaciuta che Voldemort la
ignorasse fino al punto di non rendersi conto della piccola spesa che lei si portava dietro.
Risparmiare delle potenziali vittime non doveva metterlo di buon umore, la donna fece
spallucce e gli strinse la mano. Un istante dopo ricomparvero nella polverosa e familiare
sala da pranzo di Casa Riddle.
Doveva esserci una lezione fondamentale che i Maghi apprendevano insieme a tutte le
altre a proposito della Materializzazione; perché atterrare in piedi aveva tutta l’aria di
essere dannatamente complicato, e Maya aveva perso il conto della quantità di posizioni
disonorevoli nelle quali si era trovata dopo ogni atterraggio.
Questa volta si spiaccicò a terra, lottando per allontanare le buste del supermercato che si
erano aperte durante il viaggio ed avevano riversando tutto il contenuto sul pavimento.
Voldemort si passò una mano sugli occhi, incredulo fino al punto di non avere più spazio
per la rabbia.
- Cosa… Cosa sarebbe questo?
- Beh… - Maya gli tese un contenitore – E’ latte alla banana. E qualche altra cosetta che ci
serviva.
- Che ci serviva?
- Per preparare la cena.
- Maya… - gli occhi rossi del Mago sembravano… più rossi del solito, ma la Babbana non ci
fece troppo caso, ipnotizzata dal suono del suo nome sulle sue labbra.
- Preferisci gli scones con o senza crema? – biascicò.
Con un grido di disappunto Voldemort la sollevò e la trascinò verso la poltrona dove era
solito sedersi – Adesso basta. – sibilò – Questo è… troppo.
- Per favore, ho fatto solo la spesa! Non vorrai uccidermi per questo? – la Babbana provò
ad opporsi senza alcun risultato.
Lui la ignorò lasciandosi cadere sulla poltrona e rovesciandosela sulle ginocchia con un
grugnito.
I capelli le scivolarono sul viso, accecandola, e lei si agitò, soffiò per scostarli.
- Non oserai, tu non oserai fare quello che penso…
In preda ad un gran brutto presentimento Maya urlò e scalciò, ma Voldemort continuò a
trattenerla saldamente.
Il primo colpo arrivò a sorpresa, togliendole il fiato.
La donna ammutolì; nessuno, mai nessuno aveva osato sculacciarla come se fosse stata
una bambina indisciplinata.
Si dimenò cercando di sottrarre il proprio posteriore dalle grinfie di Voldemort, ma il Mago
le assestò un nuovo colpo con la mano aperta, indugiando un po’ più di quanto sarebbe
stato richiesto dalla punizione, le dita che tremavano.
Maya ansimò nel tentativo di decidere se fosse più furibonda per quella violazione alla sua
dignità o per quella alla sua intimità.
Un terzo ed un quarto colpo andarono a segno, strappandole un grido e poi un altro… la
Babbana addentò un bracciolo della poltrona, soffocando le esclamazioni e le imprecazioni
fino a ridurle a gemiti attutiti dal velluto polveroso.
Voldemort, d’altra parte, non sembrava affatto interessato a smorzare la propria furia ed il
desiderio di continuare a colpirla. Per nulla appagato le sollevò il vestito e sibilò la propria
approvazione quando le dita incontrarono meno ostacoli; Maya sputò polvere e brandelli di
velluto, urlando e dimenandosi con maggior vigore.
Riuscì a sottrarsi alla presa del Mago ed a cadere sul pavimento con un tonfo.
- No, no, no! – strillò, tentando di rimettersi in piedi e di sfuggirgli nello stesso tempo, ma
non si trattava di un’impresa da poco e, per giunta, con il vestito ancora sollevato.
Le dita dell’uomo corsero d’istinto alla Bacchetta, la puntò… e la gettò via. Attraversò la
stanza a grandi passi per inseguirla sino alla camera da letto, desiderando l’appagamento
che solo il confronto fisico sarebbe riuscito a garantirgli. La forma più primitiva di
sottomissione.
Lei tentò di barricarsi dietro la porta chiusa, ma il legno era ridotto così male che pochi
colpi sarebbero bastati a farla andare in pezzi. Aveva bisogno di un nascondiglio migliore,
si guardò intorno cercando di mantenere la calma, ma Voldemort sibilò e spinse più forte
riuscendo ad intrufolarsi nella stanza e, senza darle tregua, la acciuffò ancora una volta
prima che potesse strisciare sotto al letto.
- Non farlo! – in preda alla furia la Babbana riuscì a mordergli un braccio ed a liberarsi
ancora. Si guardò intorno senza trovare una via di fuga praticabile e saltò in piedi sul letto,
nel disperato tentativo di arrampicarsi sul baldacchino tra brandelli di stoffa e pezzi di
legno tarlati, ma per l’Oscuro Signore afferrarla per le caviglie e tirarla giù non fu un
problema; Maya rantolò dimenandosi tra lenzuola e cuscini, tentando di non farsi
incastrare in una posizione troppo compromettente.
Troppo tardi.
Questa volta il Mago non si limitò a tenerla semplicemente ferma. La schiacciò sul letto
con il proprio corpo.
- E adesso? – le ansimò all’orecchio, eccitato e pericoloso.
Lei chiuse gli occhi, il viso schiacciato tra i cuscini, incapace di mettere una parola dopo
l’altra. Nelle orecchie aveva solo il ronzio impazzito del proprio cuore e del sangue che
pompava troppo rapidamente. L’Horcrux che portava al collo sembrava prossimo ad
andare a fuoco… Maya strillò e Voldemort, sopra di lei, si irrigidì.
Il Mago annaspò mentre il flusso di pensieri impazziti invertiva il suo flusso, giungendo alla
sua mente attraverso l’Hocrux ed evocando un’immagine fin troppo vivida, fin troppo
intrigante.
- Al guinzaglio… - soffiò con una nota di trionfo nella voce.
La Babbana si bloccò in preda ad un senso di vertigine. E’ solo un sogno, si disse. Deve
essere solo un sogno… ma prima che potesse convincersene, e già tradita dal proprio
corpo, lasciò che la sua attenzione fosse nuovamente catturata dall’Oscuro Signore che si
stava spostando cautamente. Provò ad allontanarsi per rimettersi in piedi, ma l’uomo le
prese il mento tra le dita, obbligandola a guardarlo in viso.
Maya deglutì; aveva accuratamente evitato di pensare che su quella maschera da rettile
potesse imprimersi un’espressione simile… lussuria, perversione, vizioso languore. Quando
Voldemort parlò la sua voce era roca, insolitamente calda.
- Così hai bisogno di un guinzaglio per sentirti davvero sottomessa? – lasciò scorrere la
lingua sulle labbra, e la donna fu grata di essere sul letto perché altrimenti le ginocchia
non l’avrebbero retta… e non solo quelle; con un pizzico di stupore si rese conto di star
tremando come una foglia. Di essere quasi incapace di respirare.
Mentre Voldemort la faceva spostare e scendere giù per sistemarsela di nuovo sulle
ginocchia non protestò, quasi non se ne rese conto.
Chiuse gli occhi, ansimando tanto quanto lo stava facendo lui.
- Lasciati punire e se sarai buona ti prometto di portarti al guinzaglio. – Voldemort si
abbassò per avvicinarsi un po’ al suo orecchio, sollevandole l’abito nello stesso momento –
Proprio come tu desideri.
Le mancò il fiato perché quella non era una menzogna. Non era così semplice… eppure
non era una bugia, almeno non del tutto.
Conosco tutti i tuoi desideri, il tuo cuore … la voce dell’Horcrux appariva decisamente
trionfante.
Prima di perdere completamente la ragione Maya si disse che non sarebbe cambiato nulla;
per quanto potesse essere una donna abominevole tutto questo non avrebbe interferito
con il piano. Non doveva farlo.
Una quantità di sculacciate dopo l’uomo si fermò con la mano a mezz’aria ed il palmo che
bruciava.
- Brava… - riuscì a soffiare, carezzandola con delicatezza.
Di più, di più, di più … Voldemort si morse le labbra sottili quasi a sangue, lasciando
indugiare le dita dove non avrebbero mai dovuto scivolare.
Cosa vuoi fare? Vuoi accoppiarti con una Babbana? Nella casa di tuo padre? La sua stessa
voce, intrisa di perfidia, continuava a risuonargli in mente senza riuscire a mettere da
parte l’immagine della donna inginocchiata ai suoi piedi con indosso solo guinzaglio e
collare.
Le sue dita continuarono a toccare e ad esplorare, mentre il suo cervello arrancava in
cerca di una scusa che non suonasse del tutto incredibile alle sue stesse orecchie.
Dominarla. Voglio solo dominarla.
Il sottile mugolio che Maya non riuscì a trattenere lo riportò alla realtà; la lasciò scivolare a
terra con delicatezza. Ed il suo sospiro, quando toccò il tappeto con le ginocchia, gli fece
correre un brivido lungo la schiena.
Le carezzò la nuca, prima di infilarle le dita tra i capelli per attirarla più vicino.
- Sì, così. – sussurrò, gettando indietro la testa.
Così, non più di così… si disse. Non più di così.
Serrò le labbra.
Mia… è mia, è mia, è mia, è mia, è mia . Avrebbe potuto continuare a ripeterlo sino alla
fine del mondo.
Il significato di parole come padre e Babbana era totalmente scomparso dalla sua testa.
Capitolo 20: Repulisti
Rodolphus Lestrange gettò il mozzicone dell’ennesima sigaretta nel camino, quasi senza
far caso a Lucius Malfoy che lo osservava con le sopracciglia aggrottate; sollevò il calice di
vino che un Elfo solerte aveva lasciato per lui e mandò giù una sorsata generosa.
- Dovresti assaporarlo di più.
- Dal momento che stasera non riuscirò ad evitare mia moglie, la mia ex moglie, non ho
voglia di assaporare un bel nulla. – borbottò.
- Ti manca la vita coniugale? – Lucius sorrise con aria saputa, ma Lestrange gettò indietro
la testa e scoppiò in una risata priva di allegria.
- Questa non sarebbe una novità.
Narcissa Malfoy si mosse a disagio sul divanetto, deponendo il libro che aveva tenuto in
mano e finto di leggere sino ad un istante prima – Non dovresti parlare in questo modo di
mia sorella.
Rodolphus fece spallucce – E perché? Lo sanno tutti come andavano le cose con Bellatrix.
Dove andavano le sue preferenze.
Malfoy scosse il capo – Sembri un uomo disperato, Rodolphus. Non riesci a convincermi
che…
Lestrange si alzò di scatto – No, eh? Beh, è così. Convincitene o no, non sono affari miei.
- Bellatrix è stata qui negli ultimi due mesi. – Narcissa sbuffò – Non mi sembra che abbia
fatto nulla di sconveniente.
- Piantala, Narcissa! – Rodolphus si arruffò i capelli striati di grigio – Parli proprio tu in sua
difesa? Se avesse potuto Bellatrix avrebbe venduto la pelle di Draco per un po’ di
attenzione da parte di…
- Ma Lui non le concede nessuna attenzione.
Rodolphus si concesse il primo, vero sorriso trionfale della serata – Già! Non più. – i suoi
occhi tornarono ad oscurarsi – Ma se facesse anche un solo cenno…
Dei passi risuonarono lungo le scale, zittendoli tutti e tre.
Severus Piton attraversò la stanza senza curarsi della neve sciolta che, scivolando giù dal
mantello, macchiava i preziosi tappeti di Narcissa.
- Buona sera, Severus. – Malfoy sorrise – Grazie per i regali.
Piton annuì e si avvicinò al caminetto scoppiettante. Vestito di nero, con occhi e capelli
dello stesso colore, aveva un’aria alquanto lugubre. Ma era soprattutto la sua espressione,
la totale mancanza di calore nei suoi gesti a dargli un aspetto malsano.
- Beh, Severus? Sei così allegro anche tu perché oggi il nostro Signore vorrà sfogarsi
contro di noi? Anche se non ha saputo fare meglio? – Lestrange ridacchiò – Ma guardate
un po’: Harry Potter è sfuggito di nuovo, e proprio tra le dita dell’Oscuro!
- Stasera Rodolphus è alquanto insoffribile. – Lucius vuotò il suo calice – Vuoi qualcosa da
bere, Severus?
Piton annuì senza scomporsi.
- Eppure l’Oscuro non ci ha convocati subito. Dubito che avrebbe aspettato se ci fossero
state delle possibilità di… punire. – Malfoy richiuse la caraffa e porse il calice al nuovo
venuto.
- Alcune fonti… - Severus arricciò le labbra – Alcune fonti sostengono che l’Oscuro Signore
sia stato molto impegnato dopo il piccolo incidente a Godric’s Hollow. Si dice che il suo
giocattolo gli abbia fornito un motivo per non crucciarsi troppo della perdita di Harry
Potter, che lo abbia compensato.
Rodolphus sorrise ed allungò i piedi verso il fuoco – Davvero, Severus? – gli scoccò
un’occhiata furba – Allora non dovremmo preoccuparci. Dimmi, cosa hai fatto per Natale?
Personalmente credo che il modo migliore per trascorrere quei giorni sia andare in
campeggio. In campeggio in qualcuna delle nostre godibili foreste, cosa ne pensi?
Severus scrollò le spalle – Non ho tempo per spostarmi da Hogwarts.
- Preside scrupoloso. – Lestrange si umettò le labbra – Sai che, di recente, ho proprio
pensato ad Hogwarts?
- Davvero? Ne hai sentito ancora la… nostalgia? – gli occhi di Piton erano ridotti a due
fessure.
- Oh, no. Dovevo semplicemente fare una commissione alla Gringott ed ho ripensato a
quella cosa che… beh, era nel tuo ufficio prima di finire nella mia camera di sicurezza.
Piton annuì.
- E non ne senti mai la mancanza? Un così bell’oggetto, una spada di pregio. – Rodolphus
tese il calice ad un incredulo Lucius – Posso avere un altro po’ di quel vino delizioso, per
favore?
- Non capisco.
- E’ difficile capire Rodolphus.
Lestrange si voltò di scatto, incapace di resistere al richiamo che il suono di quella voce
esercitava su di lui – Bellatrix… - soffiò.
La donna lo ignorò, avvicinandosi al divano e sedendo accanto a Narcissa – Potrei quasi
dire che sei ubriaco, Rodolphus. Quasi.
- Vorrei tanto esserlo. – Lestrange si concentrò sul fuoco che scoppiettava nel caminetto.
Per un po’ rimasero tutti in un silenzio assorto e, in qualche caso, imbarazzato.
- Potrebbe darsi che siamo qui solo per scambiarci qualche frivolo convenevole. – Narcissa
arricciò le labbra – Per il nuovo anno.
Lucius Malfoy fece spallucce – Suppongo che sia inutile preoccuparsi prima del tempo.
- Perché, chi è preoccupato? – Lestrange passò in rassegna i presenti con lo sguardo,
soffermandosi su Severus – Tu sei preoccupato?
- Dovrei esserlo?
- Non saprei, era tanto per discutere.
Con un colpetto di tosse per annunciare la propria presenza, Flubby attraversò la stanza a
testa bassa – L’Oscuro Signore è al cancello, padrone.
Malfoy si infilò una mano tra i capelli – Mia cara, andiamo a riceverlo.
Bellatrix si era già alzata ed avviata alla porta prima che Narcissa potesse rispondere –
Muovetevi, volete far attendere l’Oscuro Signore? – sibilò.
- Dovremmo andare tutti. – Rodolphus si sollevò, spolverandosi la marsina. Le labbra
incurvate in un sorrisetto furbo – Meglio mostrarsi ossequiosi. – superò Bellatrix e si avviò
verso le scale di pietra – Come mi è stato insegnato dalla mia ex moglie.
- Ma… - Niente ma. – Lestrange ridacchiò, tornando a voltarsi verso i suoi amici. Con un pizzico di
sorpresa pensò che Bellatrix volesse gettarsi tra le sue braccia; era una cosa assurda… ma
il suo corpo reagì comunque slanciandosi in avanti, e provando una fitta di delusione
quando lei si limitò ad inginocchiarsi, seguita da tutti gli altri.
Rodolphus non poté far altro che girarsi e rendere omaggio all’Oscuro Signore che
incombeva su di loro.
- Siamo imperdonabili, mio Signore. Avremmo voluto tributarti un’accoglienza ben più
degna. – Malfoy si morse le labbra in attesa di una qualche reprimenda.
Voldemort, tuttavia, non disse nulla. Limitandosi a sfilare tra i suoi servi inginocchiati per
accomodarsi nel salone.
Rodolphus sollevò la testa abbastanza da cogliere il passaggio di un’altra persona, lo
sventolio del mantello che indossava Maya; pensò di arrischiarsi a tirarlo un po’, solo per
trasmetterle un segnale di vicinanza.
Sospirò, sopraffatto ancora una volta da un’ondata di rimorsi. Nonostante tutto,
nonostante i piani a lungo termine e tutte le cose che avevano stabilito… la aveva lasciata
sola. Racimolando un briciolo di onestà si disse che, almeno all’inizio, non avrebbe
scommesso un soldo bucato sulla sua sopravvivenza.
Lentamente i Mangiamorte seguirono l’Oscuro Signore; disponendosi intorno a lui e senza
riuscire a mascherare la paura che quel genere di riunioni suscitava in tutti loro. Lestrange
gettò un’occhiatina a Bellatrix con la coda dell’occhio; più che spaventata sembrava sul
punto di esplodere. Seguì il suo sguardo e sorrise alla Babbana che, con il cappuccio quasi
completamente calato sul viso, se ne stava placidamente in piedi, alle spalle di Voldemort.
Incolume.
La voce dell’Oscuro lo costrinse a concentrarsi su quello che stava succedendo.
- …Dobbiamo prendere provvedimenti. Ho lasciato a voi buona parte delle scelte, e libertà
d’ azione con il Ministero. Eppure avete osato deludermi profondamente, ignorando la mia
generosità, lasciando quello che è mio di diritto nelle mani di incapaci, di creature inferiori
e prive di intelletto.
Lestrange non riuscì ad evitare di inarcare un sopracciglio: si trattava di un discorso un po’
troppo pretenzioso per l’uomo che aveva deciso di assegnare i Carrow ad Hogwarts. Non
proprio il massimo esempio di intelligenza e capacità.
- Ma mio Signore… credevo che fossi soddisfatto delle disposizioni di Yaxley, e del modo in
cui dirigiamo O’Tusoe… - Voldemort interruppe Lucius Malfoy con un gesto brusco della
mano.
- Ti prendi gioco di me, Lucius?
Malfoy si inchinò – No, no! Mai!
- Dovrei essere soddisfatto della gestione di Dolores Umbridge? Ma sono stato negligente,
è colpa mia.
- Mio Signore. – Severus Piton mosse un passo in avanti – Faremo tutto il necessario
contro chi ti ha deluso. Ma mi sto chiedendo… come e quando questo sia accaduto.
Ultimamente non ci sono stati problemi al Ministero. Dovremmo essere messi a
conoscenza di qualcosa?
- No. – Voldemort sibilò minaccioso, alzandosi e battendo la mano sul ripiano del tavolo.
- Liberatevi della Umbridge. E di Yaxley, e di O’Tusoe e di ogni altro idiota al Ministero. Di
ogni ingrato, incapace, patetico essere che con la sua cecità minacci il mio potere.
Rodolphus sussultò, non riuscì ad evitare di scoccare un’occhiata incredula alla donna
Babbana che continuava a restare tranquillamente immobile; per un istante ebbe
l’impressione di scorgere un baluginio color sangue al di sotto del cappuccio.
Capitolo 21: Compleanno
C’era qualcosa di nuovo nella cucina di Casa Riddle, e non si trattava solo della fila di
pudding avvolti in vecchi teli e appesi a quello che era stato un bastone per le tende, o
della lunga serie di biscotti dalle forme più strane che Nagini occhieggiava da sotto al
tavolo. Non erano le lucette intermittenti che Maya aveva rubato nel giardino di uno degli
abitanti di Little Hangleton e collegato al vetusto impianto elettrico della grande casa.
Non si trattava delle pietanze che sobbollivano nelle pentole ammaccate che sbuffavano
vapore tra il caminetto ed i fornelli, né delle decorazioni natalizie raffazzonate che
penzolavano qui e lì come ragni appesi ai loro fili… ma era la torta di compleanno un po’
sbilenca che aspettava di essere guarnita e che, deposta sul tavolo proprio al centro della
stanza, sembrava calamitare su di sé tutta l’attenzione.
Maya versò del cioccolato fuso nella sac a poche fai da te che era riuscita a rimediare e si
preparò ad affrontare il dolce; lo decorò con attenzione, come se fosse stata impegnata in
qualcosa di davvero importante e difficile, e sorrise soddisfatta per il risultato.
La pendola del piano di sopra batté le diciannove.
- Devo prepararmi. – Maya si slacciò il grembiule e si affrettò verso la porta prima di
bloccarsi e voltarsi di scatto – Non più di due biscotti, Nagini! Non finirli tutti.
Riuscì ad intravedere la coda del grande serpente che scivolava a tutta velocità al riparo
del tavolo; c’era un grande spazio vuoto tra i biscotti allineati sul ripiano. La donna sbuffò
e si precipitò al piano di sopra.
Casa Riddle somigliava un po’ ad uno scrigno dei tesori; quando Maya riusciva a mettere
da parte l’idea di tutto quello che era accaduto lì dentro… riusciva persino a divertirsi.
Nelle settimane precedenti era riuscita a fornire all’Oscuro Signore una buona dose di
informazioni che avrebbero giocato a loro vantaggio, e gli aveva promesso di guidarlo
verso il ragazzo che aveva posseduto la Stecca della Morte. Ma per il resto si erano quasi
ignorati; quasi come se gli eventi di Halloween avessero segnato un confine invisibile,
aumentando la fiducia tra loro ma allontanandoli fisicamente.
Maya si guardò frettolosamente allo specchio, e come avrebbe potuto essere
diversamente? Non c’era né motivo né possibilità che l’Oscuro Signore volesse davvero
unirsi ad una Babbana. O ad un altro essere umano, se era per questo, non in modo
stabile.
La donna si fermò a guardare i vestiti che aveva riesumato dalla soffitta, alcuni erano
sfuggiti alle tarme ed alle operazioni di bonifica che avevano tentato i proprietari della
casa dopo i Riddle, ed ora erano lì, allineati sul letto, in attesa di essere indossati dopo
quasi un secolo di inutilizzo.
I parenti di Voldemort erano morti all’alba degli anni Quaranta, ma questi abiti dovevano
essere ancora precedenti, appartenuti a qualche elegante signora d’inizio Secolo.
Con qualche piccolo aggiustamento sarebbero andati bene.
Maya socchiuse gli occhi, pensierosa. Perché lo stava facendo? Perché sperare?
Le sarebbe bastato concentrarsi sull’Horcrux per spiare i suoi movimenti, per scoprire dove
fosse… però aveva paura di farlo. Immaginare di vederlo in compagnia di qualche Strega
desiderosa di servire il proprio Signore le dava la nausea. Anche adesso, anche se si
limitava a pensarci fuggevolmente.
Si sedette sulla sponda del letto, slacciandosi i bottoncini del castigato colletto per poter
sfiorare e stringere il medaglione.
- Cosa mi sta succedendo?
L’Horcrux non le rispose, limitandosi ad irradiare un calore che la faceva sentire più felice,
più completa.
Rodolphus le avrebbe detto che era stata sciocca a permettergli di possederla, a
permettergli di scivolarle dentro con tanta facilità. Ma lo aveva desiderato, accidenti, non
si era trattato di ingenuità. Solo… di quel tipo di desiderio che prescinde dai rischi, dalla
ragionevolezza. E, d’altra parte, perché mai Lestrange si sarebbe dovuto fingere stupito e
sconcertato? Lo sapeva, no? Lo sapeva sin dall’inizio. Perché era così che l’aveva trovata.
Perché era per quella ragione che era riuscito ad identificarla, a catturarla mentre lei
pronunciava il nome di Voldemort. Perché gli serviva un’altra donna, una che non fosse
sua moglie ma che potesse metterla da parte agli occhi dell’Oscuro.
Non c’era nessuna Sindrome di Stoccolma, le cose erano molto più semplici.
Ed ora che aveva permesso all’Oscuro Signore di toccarla e di vedere alcune delle cose che
desiderava… strinse con più vigore l’Horcrux.
Solo immaginare che lui potesse essere con Bellatrix la faceva impazzire.
Perché, perché Bellatrix? Una squilibrata, una donna incapace di moderarlo, di ascoltarlo
senza adattarsi servilmente a tutte le sue richieste. Una donna che non capiva un accidenti
dell’amore, una che aveva tradito il compagno che si era rovinato la vita per starle
accanto.
Maya non ebbe bisogno di guardarsi allo specchio per sapere che i suoi occhi rilucevano di
una preoccupante luce sanguigna. Sospirò, tentando di mettere da parte i pensieri nefasti
e si dedicò ai vestiti che aveva scelto; si doveva essere affezionata allo stile edoardiano
perché, alla fine, indossò un completo da sera di quella foggia. E, osservandosi allo
specchio, pensò di poter essere quasi passibile, anche se non era né bella né perfetta. Con
una punta di ilarità si sistemò i guanti macchiati dal passare del tempo, e sospirò perché
avrebbe potuto indossare soltanto le scarpe da ginnastica.
Nagini si affacciò sulla soglia, sibilando pigramente.
- Qualcosa sta bruciando?
Il serpente si limitò a far oscillare la testa, e la donna lo seguì giù in cucina per mettere a
punto le ultime cose.
Maya si era domandata dove potesse essere più saggio apparecchiare; il salotto era stato
teatro di eventi troppo sgradevoli per poter essere davvero preso in considerazione.
Non aveva alcuna intenzione di festeggiare alla stessa tavola dove i Riddle ci avevano
rimesso le penne. Chiedere all’Oscuro Signore di cenare in cucina, però, poteva non essere
la mossa giusta. Ma, d’altro canto, perché no? Questo poteva offrirgli. Inutile pensare di
poter sistemare una camera perché sembrasse all’altezza di quelle dei Malfoy.
Con un po’ di fatica aveva trasportato un vecchio grammofono giù ed aveva scelto alcuni
dischi, vecchi valzer, per rendere un po’ più speciale l’atmosfera.
- Bene. – sospirò dopo aver coperto anche l’ultima pietanza – Non resta che aspettare.
Si sedette con le mani in grembo, mordicchiandosi il labbro inferiore.
La pendola suonò un’altra ora, poi un’altra ancora. Maya mise da parte un tovagliolo che
aveva continuato ad annodare e snodare per far trascorrere un po’ di tempo nell’inutile
tentativo di non sentirsi delusa.
- A quanto pare non tornerà stasera. – sfiorò l’Horcrux che nascondeva al di sotto
dell’abito e sospirò. Sarebbe bastato dare una sbirciatina, solo una piccola sbirciatina per
essere sicuri. Ma meglio di no.
- Che idea stupida ho avuto! – si alzò, senza nessuna intenzione di sparecchiare o mettere
via tutto il cibo che aveva preparato, e si avviò in camera da letto al colmo dell’irritazione
contro sé stessa.
Il rumore di passi che scendevano dal piano di sopra la congelò – M… mio Signore? – si
affacciò alla ringhiera, con il naso all’insù ed un’espressione stupida stampata in faccia.
Chissà perché non riusciva a sembrare mai altro che sciocca quando c’era lui. Voldemort
scivolò lentamente fuori dal buio, soffermandosi brevemente sulla sua figura e
preparandosi a superarla come se niente fosse, come aveva fatto nelle ultime settimane.
La Babbana deglutì.
- C’è un problema in cucina...
La fulminò con lo sguardo, con un misto di ostilità ed aggressività che usava con quelli che
lo interpellavano a sproposito e quando sembrava seccato di avere chiunque intorno – E
allora? – sibilò.
Per un attimo la donna provò l’impulso di mandarlo al diavolo, ma questo era Voldemort e
non c’era molto da fare per renderlo più civile. Almeno non per quella sera.
- E’ per Nagini. Credo che abbia ingerito qualcosa di strano, ha passato tutto il giorno
sotto al tavolo.
A mangiare biscotti.
- Sciocchezze.
- Capisco. – Maya fece spallucce – Non vuoi controllare, allora? – si girò sui tacchi per
tornare di sotto, e sorrise quando si rese conto che la stava seguendo.
- Ho passato l’intero giorno facendo piani per il Ministero. – ringhiò l’uomo alle sue spalle –
E solo per colpa tua. Nonostante non fossero emerse prove contro Yaxley e gli altri. Se mi
stai ancora prendendo in giro… se dovessi pensare che tu stia cercando di manipolarmi
con dei falsi allarmi… - si interruppe e inclinò il capo in ascolto.
Maya soffocò una risata immaginando Nagini che metteva in funzione il grammofono dopo
averli sentiti scendere.
Avrebbe voluto dirgli che avrebbero potuto essere una famiglia. Una famiglia strana e
spaventosa, ma pur sempre una famiglia vera. Se solo lui avesse rinunciato a metà di
quella follia che non portava da nessuna parte.
Si fece da parte, consapevole che nessuna delle cose che desiderava sarebbero mai
accadute a meno che non intervenisse un miracolo, ma pur sempre desiderosa di godere
di quell’attimo.
Si fermò sulla soglia, lasciandogli via libera.
Voldemort la superò con un ringhio sommesso, fermandosi dopo appena due passi.
Sì, ora voglio sapere. Le dita della Babbana scivolarono a carezzare l’Horcrux, mentre la
mente di Voldemort si apriva per lei come avrebbe potuto fare un libro qualunque.
C’era la solita rabbia. Maya la avvertì mentre montava fin quasi al punto di esplodere…
pensieri troppo veloci per poter essere distinti con chiarezza le sfrecciarono in mente.
Babbana. Come osa? Non allo stesso livello. Impossibile. Non in questa casa. Uccidere.
Ignorare.
E poi, eccolo lì, un empito di desiderio capace di sgonfiare ogni altro pensiero. Non ancora
per lei, non direttamente. Ma per la tavola, per la torta e le candele accese. Per le stupide
luci intermittenti, ed i ripiani imbrattati di zucchero a velo. Per quel momento che per un
uomo sarebbe stato comune, ma per una divinità era quasi inafferrabile.
Il primo dolce di compleanno, la prima festa di quel tipo. Qualcosa che lui avrebbe dovuto
disprezzare con tutto sé stesso ma che non poteva fingere di non desiderare almeno un
pochino. Allungò un braccio e gettare la tavola all’aria non gli sarebbe costato nulla. Ma,
alla fine di tutto, quando sarebbe capitato di nuovo?
Era una torta orrenda, sbilenca e decorata senza precisione. Però… però sopra c’era scritto
il suo nome. E questo avrebbe potuto essere nello stesso tempo offensivo o terribilmente
comico.
Non comico nello stesso modo in cui era possibile ridere per la disfatta di un nemico, ma
in modo nuovo.
Si sedette a capotavola con una certa riluttanza.
- C’è il mio nome sopra. – osservò.
- Sì, beh. – Maya fece spallucce – Buon compleanno.
Lui allungò la mano per tagliarsene una fetta.
- Ma c’è la cena, prima. – la donna quasi rise per l’espressione attonita del Mago, per lo
sconcerto che aveva negli occhi, per essere stato fermato… per tutto il resto – Però… che
fa? La torta può essere mangiata prima e dopo, no? Però dovresti prima… - fece cenno
alle candeline.
- Cosa?
- Soffiare e spegnerle. Ed esprimere un desiderio.
Uno lo esprimerò anche io e speriamo che si avveri .
Capitolo 22: L'Onore delle Armi
Il valzer continuava a suonare. Il disco saltava ed una parte della melodia riprendeva dallo
stesso punto: se ne rendeva conto solo vagamente. La sua attenzione era completamente
appuntata altrove.
Un bicchiere di vino si era rovesciato, ed il liquido rosso aveva disegnato uno strano
ghirigoro sulla tovaglia, un arabesco che non riusciva a decifrare.
Non riusciva a decifrare più nulla, né a spostare lo sguardo.
Chiuse gli occhi solo per un attimo, incapace di fermarsi, incapace di preoccuparsi per
qualunque altra cosa che andasse oltre il piacere, oltre quella corsa impazzita. Ma doveva
vederla: voleva vedere il momento esatto in cui tutto sarebbe finito nella gloria, e allora
avrebbe urlato ancora mentre dolore e delizia si mescolavano, e avrebbe confermato di
essere il suo padrone. Aveva desiderato così tante cose, e così tante volte aveva pensato a
dominare… ma mai in questo modo. Non era mai stato qualcosa di personale. Il possesso
di una singola persona non era mai stato altro che una questione di lussuria. E, anche
adesso, si trattava di lussuria…eppure era anche una cosa personale.
Ma non poteva pensarci, non mentre andavano così in fretta. Non poteva pensare alla
gabbia d’oro in cui desiderava tenerla solo per sé, sempre solo per sé stesso. E
sottometterla, sottometterla, sottometterla mentre lei avrebbe lottato per non piegarsi.
Ansimò, abbassandosi tanto da poterle mordere la gola.
La fine era lì a pochi passi. A distanza di un solo respiro, e poi…
L’Oscuro Signore boccheggiò, spalancò gli occhi e si passò una mano sul viso. Ancora
sconvolto dal sogno. Ancora sconvolto in più di un senso.
I rintocchi della pendola risuonavano nella grande casa.
Voldemort richiuse gli occhi, provando a rilassarsi sulla poltrona. Provando a ritrovare il filo
del pensiero che stava inseguendo prima di addormentarsi.
Esperimenti di Magia Medievale, sangue di unicorno.
Il libro che aveva cominciato a leggere dopo cena era caduto sul pavimento. Il Mago
sollevò una palpebra e lo spiò con una certa diffidenza, nello stesso modo in cui avrebbe
degnato di attenzione un grosso scarafaggio morto.
Il sangue di unicorno… il sapore del sangue… il sapore dei morsi e dei baci.
L’Oscuro Signore si alzò e si avvicinò al camino, inginocchiandosi davanti al fuoco.
- Perché? – sibilò alle fiamme che si stavano spegnendo. Si sfregò la fronte con le nocche
della mano, come se fosse bastato tanto per farne uscire i pensieri fastidiosi.
Doveva essere la casa.
Si alzò con un salto, e con un ringhio afferrò una vecchia sedia per scagliarla nel
caminetto. Furioso per la lussuria che continuava a mescolarsi alla rabbia solo per farlo
impazzire.
Doveva essere la maledetta casa.
La maledetta casa di suo padre. Un genitore che non riconosceva, che aveva ucciso tra
quelle mura… un Babbano.
Un Babbano. Gli mancò il fiato. E adesso, da qualche parte, il suo spettro stava ridendo
perché Voldemort, perché l’Oscuro Signore si stava riducendo a provare i desideri mediocri
di un Tom Riddle qualunque. Perché desiderava una Babbana qualunque e… perché mai?
Per una cena, per una torta?
Per una fottuta festa di compleanno, perché lei stava dormendo in una stanza troppo
vicina, perché continuava a sfidarlo e ronzargli intorno? Perché?
Si umettò le labbra mentre un pensiero fastidioso gli si disegnava in mente.
Poteva averla in modo completo, dopotutto.
Solo una volta.
Una volta sola.
Quel tanto che bastava a separare per sempre la fantasia dalla realtà. Quel tanto che
bastava per rendersi conto che il sapore di una donna come quella gli avrebbe lasciato
l’amaro in bocca, il gusto della mediocrità, della caducità. Per completare quello che
avevano appena iniziato.
Rabbrividì senza sapere perché.
Quando mai si era ridotto a brancolare nel buio, a farsi subissare dai dubbi?
Lui prendeva.
E lo avrebbe fatto anche questa volta.
Raggiunse la porta in pochi passi e affrontò il corridoio nello stesso modo in cui era solito
affrontare una battaglia, la necessità di un’esecuzione, i suoi nemici e tutto il resto del
mondo per il quale non provava nulla. Il resto del mondo che non valeva una fetta della
sua prima torta di compleanno. Perché stava perdendo tempo?
Perché perdeva tempo quando, a pochi passi di distanza, c’era una donna che, se lui non
avesse fatto nulla, sarebbe morta prima o poi, per qualcosa o per qualcuno, lasciandolo
solo come era stato fino ad una manciata di istanti prima?
Si sentiva ebbro. Eppure non aveva bevuto, non…
Iniziò a correre in preda ad un’onda di panico infantile, ciascuno dei dubbi che aveva
continuato ad alimentare per mesi completamente dimenticato dalla grandezza di
un’illuminazione improvvisa.
Il problema non stava nel fatto che quella fosse una Babbana, una creatura inferiore. Non
gli importava nulla del fatto che l’amore non esistesse. Non gli importava degli altri, delle
sue stesse leggi, dei suoi limiti, delle cose che si era imposto.
Sciocchezze, tutte sciocchezze.
Ma lei, la sua Babbana, andava un po’ via ogni istante che passava mentre lui decideva di
trascurarla. Perché era mortale. Perché era diversa e lui, che stupido, non si era accorto di
come lei gli appartenesse. Di quanto desiderasse conservarla davvero in una piccola
gabbia d’oro se questo fosse stato sufficiente a poterla avere per sempre con sé. Per
odiarla, per maltrattarla, per bruciare di lussuria. Per maledirla e piegarla.
Per possederla.
La prima persona che gli apparteneva.
Rimase immobile con la mano sulla maniglia. Tirò un respiro e aprì la porta, lentamente.
Maya stava dormendo, perfettamente sé stessa, buffa e bizzarra anche così. Imperfetta.
Voldemort scivolò dentro, richiudendosi la porta alle spalle, avanzando fino al letto e
sedendosi accanto alla donna con tutta la delicatezza che non aveva mai messo in un
gesto simile.
- Io voglio odiarti. – le sue lunghe, pallide dita scivolarono tra i capelli della donna – Io
voglio poterti odiare per sempre.
Maya aprì gli occhi e sorrise, non ancora del tutto certa di essere sveglia.
- Credo di non essere riuscito a dormire per questo motivo. Mi sono svegliato eccitato
come un quindicenne. – rise con una inaspettata nota di pura gioia e pura follia – Io voglio
possederti più di quanto non abbia mai posseduto nulla. E ti voglio conservare perché
niente di te vada perduto, mai.
Le lunghe dita si spostarono sul viso, strofinando via con delicatezza le tracce del sonno
– Capisci? – si abbassò per premere la fronte contro quella di lei – Stupida Babbana,
capisci? Ti ordino di prepararmi dei maledetti dolci per… - scosse la testa.
- Sempre? – mormorò lei.
- No. Suona melenso. – Voldemort si accigliò – E finto. Ma io… - le sue labbra
disegnarono un ma noi al quale la sua bocca non diede suono.
- Ho capito.
Il Mago si scostò lentamente, stendendosi accanto alla donna e attirandola tra le proprie
braccia.
Provò l’impulso di dirle che, invece, lui non capiva. Non capiva perché si sentiva instabile
quando pochi metri li separavano e completo quando restavano vicini. Completo nell’odio,
nella terribile essenza di quello che era. Senza uccellini cinguettanti e nuvole di zucchero
filato. Un mostro completo. Un Signore Oscuro Completo.
Come se fossero state stregate per farlo le sue dita tornarono a scivolare tra i capelli della
Babbana.
- Voglio farti una promessa. Lord Voldemort mantiene sempre le sue promesse. Guardami.
Maya si scostò quel tanto che bastava per farlo, per incontrare gli occhi rossi che
bruciavano nel buio – Ti ascolto.
L’uomo deglutì – Io ti farò del male… per sempre. – sorrise – Ti torturerò, ti punirò, ti avrò
in mio potere, ti obbligherò ad essere mia in tutti i modi che saprò escogitare. Dividerò
con te la rabbia, il desiderio di sottomettere e piegare. Ma in cambio di questo non ci sarà
male che potrà toccarti, né uomo, né tempo, né malattia. Io sarò il tuo solo male.
Maya socchiuse gli occhi e quando sollevò nuovamente le palpebre la luce nel suo sguardo
era la stessa degli occhi dell’uomo. Una languida luminescenza del colore del sangue,
torbida e appassionata.
La donna si sollevò, inginocchiandosi davanti a lui – Davvero? – sussurrò.
Senza parole, Voldemort annuì.
- Allora… c’è qualcosa che devi sapere. – le sue dita corsero ai bottoncini del castigato
colletto, aprendoli uno dopo l’altro.
Quando il vestito le scivolò sulle spalle, mettendo a nudo il petto ed il medaglione che
scintillava nella luce malsana delle candele, entrambi trattennero il fiato in un attimo che
sembrò dilatarsi all’infinito.
Voldemort allungò una mano… sfiorando appena il ciondolo d’oro brunito ed avvolgendola
intorno ad un seno, incapace di resistere al desiderio di sfiorare, stringere, adorare.
- Non avevo mai capito che… - sollevò il viso con l’espressione di un drogato, di un pazzo,
di un santo nel pieno dell’estasi – Tu fossi così… perfetta.
Maya rise, una risata che non era solo sua… ma di entrambi, e lo spinse giù, afferrandogli
i polsi e sollevandoli al di sopra della testa del Mago. Bloccandolo sul letto, facendolo
completamente prigioniero.
Le pietre verdi che decoravano l’Horcrux scintillavano più delle fiamme delle candele.
Voldemort inclinò il capo e si arrese.
Capitolo 23: Le Ragioni della Gelosia
Non era più buio, lame di luce filtravano attraverso le tende, attraverso la struttura del
vetusto baldacchino disegnando strane figure luminose tutto intorno.
L’Oscuro Signore sollevò una mano e la osservò; il modo in cui restava in parte nell’ombra
e l’altra metà immersa nei deboli riverberi del sole. La rigirò, spostandola lentamente come
per studiarla. E poi, sempre con cautela, l’abbassò sul seno della donna addormentata al
suo fianco, senza smettere di guardare come se si stesse sforzando di apprendere
qualcosa, un segreto importante, una rivelazione.
Per un istante ebbe l’impressione che la sua pelle traslucida e solcata da sottili venature
scure non fosse poi così differente da quella di Maya, come se l’una e l’altra cosa fossero
parti di uno stesso meccanismo che da solo non poteva funzionare nel modo corretto. Non
era un’idea sulla quale desiderasse soffermarsi, ma non poté impedirle di fluttuare tra gli
altri pensieri che si mescolavano dentro la sua mente; non aveva mai condiviso il proprio
sonno, lo stesso letto con nessuno. Mai per un tempo superiore a quello necessario ad
accoppiarsi.
E adesso, invece…
Socchiuse gli occhi: non poteva aspettare. Scivolò sopra di lei, trovando la posizione
migliore per aprirle le gambe. Le braccia di Maya si chiusero intorno al suo corpo, e la
donna sorrise inarcandosi verso di lui, suscitandogli una nuova, più intensa contrazione nei
lombi.
Voldemort riaprì gli occhi e si leccò le labbra. Il cuore di Maya batteva a pochissima
distanza dal suo orecchio. Era un posto molto comodo per restare a riposare mentre il
mondo cercava di tornare sul proprio asse.
L’Horcrux scintillava a qualche centimetro dal suo viso. Riusciva a sentire anche il suo
battito, il leggero e soddisfatto ronzio metallico che emetteva senza sosta.
- Dove lo hai preso? – il fatto di non essere furibondo lo sorprendeva ancora.
Maya si mosse sotto di lui, ma Voldemort la immobilizzò sistemandosi ancora più
comodamente sul suo seno mentre lei gli disegnava piccoli cerchi sulla nuca.
- Dove lo hai preso? – insisté.
- Non dalla caverna.
Lui annuì, sollevandosi per guardarla in viso ma senza smettere di premersi contro il suo
corpo.
- Regolus Black riuscì a sottrartelo prima di morire.
Voldemort allungò una mano per carezzarle la bocca resa ancora più gonfia e rossa dai
baci e dai morsi. Lei gli sfiorò il polpastrello con i denti prima di continuare.
- Credo che Regolus sia ancora sul fondo della grotta, tra gli Inferi. – non riuscì ad
impedirsi di rabbrividire – Avrei potuto fare la stessa fine.
- No! – sibilò lui, appiattendola sul letto e strappandole un piccolo gemito di dolore che
ignorò, continuando a provare l’impellente bisogno di toccare, dominare e possedere.
Come se ogni suo gesto fosse sufficiente a scacciare l’idea della morte e della perdita che
solo nominare la caverna poteva evocare: c’erano andati così vicini, lì e non solo.
- Non mi sono già dimenticata della tua promessa, mio unico male. – sussurrò, la voce
bassa e calda. Lui annuì.
- In ogni caso Regolus è morto nella caverna, e l’Horcrux è stato portato via.
- Chi? – c’era una sfumatura pericolosa nella voce di Voldemort.
- Un Elfo Domestico. – la Babbana sorrise pigramente davanti all’espressione rabbiosa e
stupefatta del Mago – Quante volte dovrai correre dei rischi inutili solo perché hai
sottovalutato il tuo nemico, mio… - deglutì e scosse la testa, sforzandosi di non dare un
nome esatto a quello che provava – Per molto tempo il medaglione è rimasto dimenticato,
e poi è stato rubato e consegnato a qualcuno che conosci: Dolores Umbridge.
Il viso della donna e quello di Voldemort riflessero lo stesso disgusto.
- A lei lo ho preso.
- Ma come, quando? – sembrava impossibile che una Babbana avesse sopraffatto una
simile arpia e che la notizia non fosse trapelata in alcun modo.
- A Londra. Prima che Dolohov mi vedesse in quel bar con Potter ed i suoi amici.
Voldemort annuì - E quello scarto della società, quella… - scosse la testa – Si è fatta
derubare senza alzare un dito?
- Ho avuto aiuto.
- Lestrange. – gli occhi di Voldemort si incupirono mentre scopriva, per la prima volta, i
morsi del sospetto e della gelosia.
- Non sapeva perché. Non sa nulla degli Horcrux. – Maya si illanguidì sotto di lui,
detestandosi per la necessità di omettere parte della verità e per le bugie che avrebbe
dovuto continuare a pronunciare – Quello è il tuo ed il mio segreto. – soffiò con la voce
arrochita. Avrebbe voluto che fosse vero… se solo si fossero trovati in un mondo ideale.
Voldemort abbassò la testa, mentre i pensieri svanivano nel rombo del sangue che
scorreva più rapido. Morse e baciò fino a quando non fu sazio ed il sapore del sangue non
si fu mescolato a quello di Maya.
- Mai, mai più… - ordinò.
La Babbana socchiuse gli occhi, l’immagine di Lestrange che si formava nella sua mente
riflettendo il flusso dei pensieri dell’Oscuro Signore.
- Mai più, cosa?
- Mai più Lestrange. Mai più contare sull’aiuto di qualcuno che non sia… - il suo viso si
indurì – Il tuo padrone.
Maya ignorò ancora una volta la voce della coscienza che le suggeriva di saltare giù dal
letto e correre urlando verso un luogo dove nessuno avrebbe avuto il potere di darle
ordini. Eppure, se lo avesse fatto, si sarebbe trattato di una presa in giro.
Aspetterò, si disse. E rispose con una scrollata di spalle, se non altro per non attirare le
capricciose ire di Voldemort su Rodolphus.
Non diciamoci altro, se non vogliamo tradirci più di quanto non sia destino .
- Sei mia, adesso. Solo mia.
Maya sorrise. No, non c’era nessun buon motivo per correre via, per fingere di non
desiderare tutto questo. Per fingere di non provare un tuffo al cuore ogni volta che
l’espressione di Voldemort si congelava in un ringhio possessivo, mentre la stringeva in un
modo che riusciva a conciliare la goffa avidità di un bambino, la minaccia di un uomo privo
di scrupoli e la follia che gli era propria. Si disse che doveva essere impazzita, ma l’idea
che tutti quegli aspetti dell’Oscuro Signore, adesso e con lei, escludessero l’altro
Voldemort, quello ammantato di una finta, crudele cortesia, lontanissimo da chiunque ed
indifferente, la faceva bruciare di gioia.
L’Horcrux palpitò mentre Voldemort tornava a toccarla in modi sospesi tra la delizia e la
tortura, e Maya lottò per trattenere una risata che minacciava di esplodere senza controllo.
Oh, sì! Non ci sarebbe mai stato un Tom Riddle, un Voldemort del tutto diverso. Eppure…
lo era. Adesso il mostro aveva deciso di possedere qualcuno solo per sé stesso, e per
nessun altro nebuloso fine.
Così, Maya se lo ripeté fino a quando l’impulso di ridere non venne sostituito da quello di
piangere: tutto inizia… e tutto finisce qui, pensò. E poi ogni logica, ogni traccia di
razionalità fu spazzata via ancora una volta.
*
Casa Malfoy continuava a darle sui nervi, almeno quanto i suoi abitanti. Soprattutto di
notte, quando il buio dava l’impressione di poter diventare soffocante.
Persino la prospettiva di Nurmengard sembrava meno spaventosa di quel posto dove era
stata prigioniera di un Elfo psicopatico e di una famiglia di Maghi pronti a venderla in
cambio di un penny.
Maya si dondolò sui talloni, tornando a studiare uno dei dipinti appesi alle pareti. Trovava
più facile attendere lì, piuttosto che restare in salotto rischiando di scoccare qualche
occhiata di troppo a Rodolphus.
Dopotutto le riunioni dei Mangiamorte non erano cosa che le competesse, e la sua
attenzione era tutta per il loro Signore.
La donna del quadro le concesse uno sguardo disgustato.
- Sì, lo so. – Maya fece spallucce – Deve essere terribile continuare ad avere Babbani per
casa. Ma prometto di non sporcare le piastrelle, giuro.
- Sembrerebbe… incredibile.
La voce acida di Bellatrix Black la raggelò. Maya non si degnò di voltarsi, ostinandosi a
fissare il ritratto.
- Sembrerebbe incredibile pensare che un Babbano sia capace di non insozzare tutto
quello che trova. – Bellatrix strinse i pugni, livida di rabbia.
- Sì, è vero. Credo che sia per questo che Voldemort ed io ci insozziamo così bene a
vicenda.
Maya si voltò nello stesso istante in cui Bellatrix scagliava la sua maledizione. La evitò e si
affidò del tutto alla magia dell’Horcrux.
Stupefatta Bellatrix barcollò e osservò la Bacchetta che le scivolava via dalle mani.
- Cosa?
- Questo, puttana! – con un ruggito di trionfo Maya decise che era molto meglio sfogare
tutta la rabbia che aveva covato per mesi, tutto il disprezzo che avrebbe voluto vomitare
su quella donna sin da subito e adesso… ancora di più. Mentre Bellatrix continuava a
seguire con lo sguardo l’ascesa misteriosa della propria Bacchetta, Maya le afferrò i capelli
e la spinse a terra, saltandole a cavalcioni e continuando a colpirla.
Ma Bellatrix non era donna da starsene ferma; si ribellò come solo una pazza sarebbe
stata capace di fare, schiaffeggiando, scalciando ed urlando.
Maya continuò a starle sopra, ignorando il labbro che l’altra le aveva spaccato e le ciocche
di capelli che Bellatrix sembrava intenzionata a strapparle.
Non mollò la presa, continuando a sbatterle la testa su e giù.
- Voldemort è mio, puttana! – ringhiò – E’ un fottuto mezzosangue, capito? – provò ad
allungare i pollici per ficcarli negli occhi della strega – Ed è mio! Non di una puttana
isterica che non è in grado… - il pugno di Bellatrix le riempì la bocca di sangue per un
attimo, ma Maya sputò e si chinò meglio su di lei per essere certa che ogni suo strillo
venisse recepito – Che non è in grado di amarlo per quello che è. L’uomo che vuoi non
esiste, puttana!
Bellatrix riuscì in qualche modo a farle perdere la presa ed a spingerla giù. Provò a
sgattaiolare verso la Bacchetta, ma Maya si giovò del proprio peso e della propria
superiore altezza per inchiodarla sul pavimento prima che riuscisse a toccarla.
- Santo Iddio! – il grido stupefatto di Narcissa Malfoy non le infastidì affatto. Maya
continuò a picchiare e insultare almeno quanto lo faceva anche Bellatrix. Quando il braccio
di un uomo si insinuò tra loro lei lo morse con tutta la forza che aveva in corpo.
Rodolphus Lestrange riuscì a ritirare la mano e, in fine, ad afferrare Bellatrix per tirarla via.
Maya si dimenò, insoddisfatta… ma l’Horcrux le mandò un brivido giù lungo la colonna
vertebrale, rendendola improvvisamente consapevole degli occhi di fuoco appuntati sulla
sua schiena, così che quando Voldemort la tirò all’in piedi non ne fu troppo stupita. Non
stupita… ma piena di vergogna sì. Eppure avrebbe voluto potersi aggrappare a lui per
spergiurare che era stato per una buona causa.
- Crucio!
Maya chiuse gli occhi, rassegnata. Fu con un certo stupore che si accorse di essere
incolume mentre Bellatrix urlava ancora più di prima. Mentre Voldemort inceneriva la
strega con lo sguardo, e continuava a stringere lei con una mano, infondendo in quel
gesto tutta la rabbiosa possessività che le faceva sentire le gambe molli.
Sembrava tutto così folle che, quando finì, Maya non se ne accorse neanche.
Semplicemente si trovò sola con l’Oscuro Signore. E con la sua rabbia.
Capitolo 24: Cose Che Non Possono Essere Dette
Immerso nell’oscurità silenziosa della galleria dei ritratti di Casa Malfoy Voldemort
sembrava ancora più distante, più inquietante.
Maya deglutì cercando di rimettere in ordine i pensieri, sentendosi colpevole perché
Bellatrix era riuscita a farle perdere la testa, vergognandosi per aver tenuto un
comportamento da ragazza di strada e perché ogni passo falso poteva essere fatale.
Voldemort restava semplicemente in silenzio con i suoi occhi da serpente appuntati su di
lei. Maya non riuscì ad evitare di risistemarsi i capelli in un gesto nervoso.
- Non guardarmi così. – sussurrò, anche se non era certa di poterlo chiedere. E, per la
prima volta, quella prospettiva la sgomentò con tutta la forza che avrebbe dovuto avere
sin da subito. Con tutto l’orrore del senso di inferiorità, di inadeguatezza che Voldemort le
aveva instillato giorno dopo giorno.
Dopotutto lei era la Babbana che era stata sorpresa a rotolare sul pavimento stringendo
ciocche di capelli dell’ex amante e braccio destro dell’uomo che la teneva ad uso e
consumo esclusivo del proprio piacere. L’uomo che aveva già chiarito cosa pensasse di
quelli come lei: Babbani. Una razza inferiore. Una razza volgare.
Maya si scoprì del tutto incapace di tornare ad affidarsi alla razionalità; c’erano troppe
cose nascoste sotto la ordinata superficie, sotto la maschera tranquilla di dovere e
certezze che si era imposta. Da qualche parte, per quanto fosse sgradevole, c’era qualche
frammento del suo io di bambina, di ragazza e poi di donna destinata a vivere di
insicurezze.
E, per quanto l’Oscuro Signore avesse avvertito la necessità di considerarla una sua
proprietà, una femmina utile per sfogare i propri desideri, con orrore Maya si rese conto di
avere la nausea. Si voltò, consapevole che presto i suoi polmoni si sarebbero chiusi
rifiutando di collaborare, e che le lacrime sarebbero rotolate sul suo viso come i massi di
una frana impossibile da fermare. C’era una sola cosa possibile da fare: scappare. Anche
se non c’era un posto dove andare, anche solo per due metri o per la distanza tra quel
maledetto corridoio ed il piano inferiore. Forse, se fosse riuscita a raggiungere il giardino,
avrebbe avuto la capacità di infilare di nuovo tutto nei punti più profondi e sperduti del
suo cervello, nel vaso di Pandora.
Ma Voldemort, impietoso com’era, le afferrò il braccio e la obbligò a ruotare per tornare a
fissarlo. Obbligandola a confrontarsi ancora con il maledetto disagio che non
l’abbandonava mai.
La donna aprì la bocca e la richiuse, prese aria più volte cercando di emettere suoni che
non volevano, non potevano uscire.
Non c’era possibilità di dirgli la verità: che a grattare sulla banale superficie di qualcuno
come lei, sotto strati di impassibile razionalità, poteva trovarsi di tutto. E che certe
tempeste non si dovrebbero mai liberare, perché quando succede… non c’è modo di
limitare i danni o di nascondere la distruzione che possono portare, e quella già inflitta.
Ma, soprattutto, avrebbe voluto urlare la cosa che desiderava di più: voglio essere una tua
eguale. Voglio che tu mi veda. Voglio che tu mi consideri al pari di te stesso.
E, invece, se ne rimase così… perché per le persone come lei parlare dei propri sentimenti
sarebbe stato più difficile che inventare su due piedi una macchina del tempo, o una
navicella per volare su Saturno.
Provò rabbia per quello che gli occhi di Voldemort riflettevano; una stupida donna a
disagio, una stupida donna incapace di dire alcunché. Ma tant’era.
La rabbia si acquietò nello stesso modo in cui era venuta – Mi dispiace. – riuscì a
biascicare rivolgendogli un sorriso un po’ storto. La solita Maya capace di fare grandi
pasticci nel momento meno opportuno; con un po’ di fortuna avrebbe indossato di nuovo
la sua maschera e tutto sarebbe andato al suo posto, secondo il copione che c’era da
recitare.
Incontrò lo sguardo negli occhi rosso sangue, la collera furibonda dell’uomo che la
possedeva e… qualcos’altro. Una scintilla di curiosità. Ed un barlume di preoccupazione,
anche se forse lo stava solo immaginando.
Si domandò cosa sarebbe successo se avesse sfiorato l’Horcrux, se avesse permesso ai
pensieri di Voldemort di farsi suoi. Sollevò la mano e la lasciò ricadere, poi sfiorò la manica
della tunica scura e sottile del Mago.
- Mi dispiace per questo stupido, spiacevole spettacolo. – sospirò – Non avrei dovuto
reagire, non avrei dovuto… permettermi di… - Non puoi rischiare! – Voldemort sibilò tentando di impedirsi di darle una scrollata. Non
ancora, non puoi rischiare fino a quando non avrò provveduto . Le sollevò il mento con un
dito. In ogni singolo, maledetto istante Bellatrix avrebbe potuto ucciderla – Mai più,
quante volte dovrò ripeterlo? Non devi mai più mettere in pericolo ciò che è mio! – le
parole vennero fuori con più asprezza di quella che lui avrebbe voluto. Venate di una
sfumatura di cattiveria che nascondeva cose che l’Oscuro Signore non avrebbe neanche
mai dovuto pensare e che semplificava tutto.
Maya rimase immobile, stupita. Poi annuì.
Ma Voldemort scosse la testa, dopo quella più impellente e tremenda preoccupazione c’era
qualcos’altro. Qualcosa di altrettanto grosso e bruciante.
- Era per Lestrange? – ringhiò. Nei suoi occhi c’era già l’immagine di Rodolphus morto,
solo un altro servo inutile da togliere di mezzo.
- Cosa?
L’espressione profondamente incredula della Babbana riuscì a farlo infuriare ancora di più.
Questa volta la scrollò per bene, prima di trascinarla via da quel maledetto corridoio in un
impeto di vergogna, semplice brama e desiderio di farle uscire dalla mente qualunque cosa
non fosse lui stesso. L’attirò contro di sé, godendo dei brividi di Maya mentre il viso della
donna si premeva sul suo petto.
Non potevano discutere così, non in quella casa.
Non tra pareti estranee. In un luogo che non significava nulla, che non gli comunicava
nulla più che distanza e che lo riempiva di un sottile rancore. La grande, avita casa di
Malfoy. Quasi peggio di Casa Riddle. Ma fu tra le vecchie pareti della dimora di suo padre
che riportò la donna, perché, almeno, lì nessuno si sarebbe messo tra loro, nessuno
avrebbe potuto ascoltare i segreti che si sarebbero detti.
Trattenne la donna mentre, per magia, si materializzavano nel vecchio salotto polveroso.
Avrebbe potuto prenderla anche lì, subito. Però… digrignò i denti.
- Era per Lestrange? – sibilò ancora.
- Non riesco a capire. – Maya deglutì, confusa.
- Una bega tra donne che si contendono un uomo? – Voldemort non riuscì ad impedirsi di
infilarle le mani tra i capelli, obbligandola a reclinare la testa per osservarlo mentre le
incombeva sopra – Lestrange è già morto. Tu sei la mia puttana!
Maya provò ancora l’impulso di piangere misto ad una risata che minacciava di soffocarla.
- Era te, era te che ci stavamo contendendo. – sibilò, mentre il flusso dei suoi sentimenti
prendeva ancora un’altra direzione – Perché la tua precedente puttana mi odia. Perché
pensa che ti riavrà tutto per sé quando io sparirò. – artigliò la tunica di Voldemort,
graffiandogli la pelle sotto la sottile barriera della stoffa – Non è meraviglioso? Il frutto
della tua mancanza di amore. Il frutto dell’opera dell’Oscuro Signore… - lo lasciò andare,
allontanandosi da lui e arretrando fino al tavolo – Pensa che, probabilmente, tu la
sposerai, e poi la farai sedere al tuo fianco sul trono. – si strofinò una mano sul viso e tirò
su col naso – Avresti dovuto chiarire meglio il concetto che le puttane passano.
Ed io, pensò, vorrei tanto essere una donna diversa. Una donna incapace di provare
passioni così grandi e di mascherarle così bene .
Voldemort ringhiò e si avvicinò mandando all’aria una sedia, momentaneamente privo
della sua consueta grazia. La baciò come per punirla, animato da uno strano senso di
trionfo. E da un’inestinguibile tristezza.
- Nurmengard aspetterà. – ringhiò – Aspetterà.
Maya si rese conto con un certo sgomento di essersene dimenticata del tutto. Di
Nurmengard. Della missione che li attendeva, del viaggio che avrebbe fatto con lui, del
Destino che scorreva verso la resa dei conti.
Ma non importava, non adesso. Con un moto di ribellione si irrigidì tra le braccia del Mago,
non perché volesse o potesse respingerlo. Ma perché voleva essere sé stessa… anche se
non poteva chiedergli di considerarla eguale.
Tornò a far scorrere le mani sulla stoffa sottile; era così leggera che riusciva a percepire
ogni dettaglio della carne al di sotto di essa. Voldemort trattenne il fiato mentre lasciava
scorrergli le unghie sul petto, e poi più giù, tracciando una strada verso l’unica cosa che
una puttana avrebbe dovuto considerare importante.
Ma, qualunque cosa fosse successa, Maya sapeva che non sarebbe rimasta ferma a
lasciare che accadesse. E se era il piacere che l’Oscuro Signore stava cercando in lei…
Maya avrebbe cercato il suo in lui ancora di più.
- Era te che volevo. – sussurrò, stringendo le mani intorno al fulcro del desiderio di
entrambi, completamente sincera – Ed è te che vorrò. Anche quando… - non completò la
frase, perché non avrebbe potuto farlo. Ma non desiderava mentire, così si inginocchiò ed
impegnò la bocca in un modo diverso. Lasciando che tutto quello che poteva fare parlasse
per conto del suo cuore. Senza bugie.
E Voldemort seppe che era tutto vero. Per entrambi.
Capitolo 25: Nurmengard
Maya sollevò lo sguardo e rabbrividì. Faceva freddo, un freddo gelido che le intorpidiva i
piedi e le mani, ma non era quella la cosa più incredibile, più sconvolgente.
Non aveva mai visto, mai durante il corso della sua intera vita, una tale distesa di stelle;
milioni, miliardi di pulsanti luci dorate che scintillavano al di sopra di tutto e punteggiavano
la distesa nera della notte, perfetti e lontanissimi bagliori sospesi nell’aria tersa e
ghiacciata come frammenti di cristallo.
E, al di sotto, immensa ed incombente una sagoma che sembrava assorbire ogni barlume
di luce: Nurmengard.
Si voltò quel tanto che serviva a cogliere lo sguardo rosso dell’uomo che stava al suo
fianco. Lui non se ne accorse, proteso verso la meta con ogni fibra del suo corpo. Verso
l’informazione che Maya avrebbe potuto già dargli senza alcuna necessità di compiere quel
viaggio.
Ma ogni secondo che perdevano poteva essere a vantaggio di quello che altrove stava
facendo Rodolphus: in quello stesso istante stava per definirsi la possibilità di successo o
disfatta.
La donna soffiò una nuvoletta di vapore e si sfregò le mani tornando ad ammirare il cielo.
Le sembrò che tutti i suoi pensieri fossero profondamente banali: l’universo è così grande,
l’uomo così piccolo.
- Voldemort… - sussurrò. Le piaceva l’idea di dire quel nome senza un motivo, così, in un
posto nuovo, per sentirne il suono nell’aria notturna. O forse aveva bisogno di essere
rassicurata; anche se pensava che lui non avrebbe risposto, l’Oscuro Signore le strinse un
braccio intorno alla vita e le rivolse un sorriso da bambino.
- Ammirami. – sibilò, gli occhi luccicanti.
Si sollevarono lentamente nella notte, poi più in fretta.
In alto, più in alto… verso la finestra più alta, verso la torre più alta.
Voldemort rise, sfoderando un’altra espressione da ragazzino. Orgoglioso quanto lo
sarebbe stato un vero bambino davanti ad un piccolo trionfo. Maya gettò indietro la testa,
dimenticando Nurmengard e le miserie che rappresentava, godendo la sensazione dei
capelli che sventolavano come ali, degli abiti che, gonfiati dal vento, si increspavano
intorno ai loro corpi sospesi.
Doveva essere meraviglioso avere un potere simile, scoprire di non essere condannati ad
una vita comune, all’insoddisfazione, all’insicurezza. Sfuggire al mondo degli adulti
normali, dei Babbani, al mondo degli altri.
In momenti come questi una parte di lei riusciva a capire Voldemort più di quanto avrebbe
voluto, riusciva persino a trovare una giustificazione alle cose che erano accadute. Una
parte di lei invidiava il bambino amorale, egoista, capriccioso che poteva allungare la mano
e prendere senza che nessuno lo bacchettasse.
All’improvviso la loro salita si arrestò.
- Cosa… - Maya sollevò una mano, aggrappandosi forte a lui con l’altra. Sollevò le dita
all’altezza degli occhi, flettendole spaventata – Cosa mi succede?
L’Oscuro Signore le concesse una smorfia divertita mentre, in un soffio di vento, le dita
della donna e poi tutto il resto si scomponevano in una voluta di fumo. Lui la seguì,
mescolandosi a lei e sospingendola verso le sottili fessure di una vecchissima finestra dalla
quale non sarebbero mai potuti entrare in altro modo.
Quando tornarono ad essere solidi, Maya si aggrappò a Voldemort con l’impressione di
essere sul punto di andare in frantumi.
- E’ stato… sgradevole? – glielo sussurrò all’orecchio, mentre le dava il tempo di rimettersi
in sesto.
No, non era stato affatto sgradevole. Bizzarro, inquietante, ma non sgradevole. La donna
deglutì, domandandosi quanto sarebbe stato stupido ammettere che era persino sembrato
seducente. Ma, prima che potesse dare fiato ai propri pensieri, qualcuno si mosse nella
penombra e Maya si voltò di scatto, all’improvviso consapevole del luogo dove si
trovavano e dell’uomo che li stava osservando.
- E così sei venuto. Sapevo che saresti arrivato… un giorno. Ma il tuo viaggio è stato
inutile. Io non l’ho mai avuta.
Gli occhi di Gellert Grindelwald si posarono sulla Babbana, grandi occhi infossati in un viso
emaciato. Sorrideva, ma c’era un’ombra di incertezza e di curiosità sul suo viso rovinato.
Maya avvertì Voldemort irrigidirsi, avvertì il suo disgusto per ciò che Grindelwald era
diventato, ancor più forte del furore.
Quello era il grande mago che i libri di storia citavano? Il nemico di Silente? Un vecchio
alla fine della vita, una creatura fragile. L’Oscuro Signore ne era disgustato, disgustato
dalla sua bocca sdentata, dal modo in cui giaceva come un animale in una lurida cella.
Come se non provasse orgoglio, come se non avesse più dignità.
- Tu menti! – l’ira di Voldemort era qualcosa di palpabile, la donna la percepiva come una
cosa viva e pulsante fuori e dentro di sé. Gli strinse la mano, tentando di infondergli un
briciolo di calma, di lucidità.
- Possiamo risolverla in modo diverso. – sussurrò, ma prima che potesse aggiungere altro
il prigioniero rise.
- Allora uccidimi, Voldemort, io accetto volentieri la morte! Ma la mia morte non ti darà
quello che cerchi… ci sono tante cose che non capisci!
Voldemort sibilò tra i denti… cosa, cosa non avrebbe capito? Possibile che fosse sempre la
stessa storia, l’idea di Silente che tornava anche adesso a parlare dalla bocca di questo
rottame? No, erano gli altri a non capire: quest’idea di accettare la morte, la
degradazione… era una scusa. Solo una scusa utile per nascondere il proprio fallimento.
Chiunque avrebbe potuto dichiarare di accettare la morte con un piede già nella fossa. Ma
lui, Voldemort, li avrebbe sconfitti tutti.
Gellert Grindelwald tornò a ridere – Uccidimi, allora! – lo provocò ancora – Tu non
vincerai, non puoi vincere! Quella bacchetta non sarà mai, mai tua…
La furia dell’Oscuro Signore esplose, o quasi.
Maya gli sollevò il braccio, deviando la maledizione che inondò di luce verde la stanza.
Rimase, ansante, premuta contro di lui. Gli occhi fissi in quelli del Mago.
- No. – sillabò – Non ce n’è bisogno. Io so dov’è la Stecca della Morte.
L’Horcrux palpitava a vibrava tra loro. E quell’istante di incertezza si dilatò quasi all’infinito.
Poi Voldemort fremette, i suoi occhi scattarono verso l’alto ed arretrò di un passo.
- Mi hanno chiamato. – sibilò. Era ancora furibondo, ma Maya lo vide abbassare la
bacchetta. Si mosse all’indietro verso la finestra, stringendola con violenza. L’ultima cosa
che la Babbana vide prima di mutarsi ancora una volta in vapore fu lo sguardo
preoccupato e curioso di Grindelwald.
Poi tutto si perse nel cielo notturno.
*
Rodolphus Lestrange si concesse un piccolo sospiro mentre si materializzava in un angolo
buio davanti ad un delizioso negozio di dolci a Regent Street.
Si guardò intorno per accertarsi che nessun Babbano lo avesse notato, ma quell’angolo era
davvero scuro e tutti erano distratti dalle vetrine, dal traffico.
Si infilò in tasca il pugnale di Bellatrix che aveva intercettato a mezz’aria. Aveva rischiato di
uccidere Potter in un gesto impulsivo, le aveva detto. L’aveva minacciata di riferirlo
all’Oscuro Signore. Ma lui, Lestrange, non era arrivato dai Malfoy che da pochi istanti ed in
pieno caos e, dunque, se l’Oscuro era stato chiamato… non sarebbe rimasto adesso che
tutto era andato perduto, non per essere punito ingiustamente. Lucius aveva provato a
dargli del vigliacco, e Rodolphus aveva provato pena per la sua disperazione prima di
smaterializzarsi. Pena per quello che, di sicuro, stava accadendo adesso. Immaginò
l’umiliazione di Bellatrix, punita davanti alla donna che più odiava al mondo. Avrebbe
voluto essere solo addolorato, ma non riusciva ad impedirsi di essere vagamente
soddisfatto.
Sospirò ancora e si avviò verso la vetrina. C’erano delle torte davvero invitanti.
Si guardò intorno in modo casuale, carezzando i Detector Magici che aveva in tasca:
sembrava che nessuno lo avesse seguito.
Entrò nel negozio e scelse una torta a tre piani ricoperta di cioccolata. Attese con calma
che il commesso la incartasse, e poi si avviò fuori. Ancora verso il suo angolino scuro; il
posto migliore per smaterializzarsi.
Un istante dopo stava respirando a pieni polmoni l’aria di mare. Scese dalla collina, fino al
piccolo cottage dove, ne era certo, nessuno si sarebbe aspettato di vederlo.
Dopotutto aveva acquistato una torta proprio per questo: presentarsi a mani vuote
sarebbe stato oltremodo scortese.
Capitolo 26: Centinaia di Occhi
Maya si raggomitolò sul letto con l’impressione che il tempo fosse impazzito del tutto.
C’erano momenti, momenti come quello, in cui aveva l’impressione di essere caduta in una
pozza d’acqua stagnante senza avere alcuna possibilità di tirarsene fuori. In quei momenti
i suoi pensieri, a dispetto del resto, correvano veloci, incuranti dei confini che tentava di
porsi. E tutto convergeva verso quello che avrebbe voluto tenere fuori: immagini su
immagini, una continua ripetizione di fatti dolorosi, di decisioni difficili, di momenti vissuti a
metà tra il pericolo e la paura.
Il tempo fuori di lei correva veloce, ed il tempo dentro di lei andava alla velocità di una
lumaca.
La pendola del piano inferiore segnò l’ora, e Maya si rigirò premendo la testa nel cuscino
per costringersi a non cercare ombre annidate nel buio... l’immagine del cadavere di Albus
Silente.
Era cominciato dopo Nurmengard, ovviamente.
Aveva dato a Voldemort ciò che più desiderava: la Bacchetta di Sambuco. La Bacchetta
Invincibile.
Sul momento, quando si erano lasciati dietro Grindelwald ancora vivo e con gli occhi lucidi
di curiosità, non le era sembrata una gran cosa l’idea di violare una tomba.
C’erano faccende più importanti, più gravi, più orrende: salvare un uomo valeva un
milione di volte di più del profanare la tomba di un altro.
Ma questi erano stati i suoi pensieri prima, quando ancora credeva che sarebbe bastato
chiedere all’Oscuro Signore di restare fuori dalle mura di marmo. Eppure Voldemort non
aveva voluto sentire ragioni; le aveva stretto il polso e l’aveva condotta dentro a
coronamento del suo trionfo. Era eccitato. Più eccitato di quanto Maya potesse sopportare.
E non era l’idea del corpo, del cadavere, della morte ad averla spaventata, ad averle tolto
il sonno; le orbite infossate di Silente non la turbavano, il silenzio, l’immobilità, l’odore del
sonno eterno non erano nulla.
Maya deglutì.
Era l’idea che Silente, che qualunque vittima di Voldemort, potesse giudicarla, osservare le
sue azioni e biasimarla, osservarla con occhi severi e privi di comprensione perché stava
sbagliando tutto.
Aveva iniziato quella stessa notte a cercare di mettere in un angolo tutte quelle immagini
sgradevoli, mentre provava a fissare qualunque altro punto del sepolcro ma non la lastra
di marmo ed il corpo al di sopra di essa, mentre le mani di Voldemort stringevano lei e la
bacchetta tanto desiderata nello stesso modo possessivo, con la stessa brama.
Se ne erano andati, ma Silente li aveva seguiti, guidando una danza macabra di vittime
che la giudicavano nell’attesa che facesse la cosa giusta, che indovinasse la mossa
vincente. E da quel momento ogni istante era stato quello buono per dirsi che il piano così
brillante che aveva immaginato con Rodolphus avrebbe potuto essere un fiasco
terrificante.
Un passo falso ed avrebbero consegnato il mondo alla rovina.
E questo pensiero non era il peggiore.
Sempre più spesso quando il corpo di Voldemort scivolava sul suo, quando era lontano e
Maya si domandava cosa stesse rischiando, quando le prospettive svanivano oltre i confini
della piccola palude in cui era certa di essere precipitata… in quei momenti Maya
desiderava tanto fare la cosa più semplice: smetterla di avere responsabilità, smetterla di
tradire, di pensare.
Sarebbe stato facile, sarebbe stata una resa completa: dirgli tutto, smetterla con gli
inganni.
Offrirgli la possibilità di essere definitivamente il male che desiderava essere, consegnargli
la vittoria, i punti deboli del nemico e perdersi.
Essere solo l’amante, essere solo la donna nella gabbia dorata, l’uccellino stretto tra le dita
del suo amato, crudele padrone.
Nessun peso, nessuna responsabilità. Nessun rimorso.
Allora, lo sapeva con assoluta certezza, le ombre dei morti con gli occhi vuoti ma pieni di
biasimo e giudizio sarebbero svanite di nuovo oltre i limiti di un mondo che non la
riguardava più.
Oltre le barriere di un tempo in cui notte e giorno, ed il procedere delle stagioni non
avrebbero avuto più alcun senso.
Maya socchiuse le palpebre, scalciando le lenzuola e girandosi ancora. Lasciando scorrere
due dita sul seno, rabbrividendo.
Sarebbe stata solo una schiava. Senza nessun altro dovere al di fuori del piacere, senza
nessun altra paura al di fuori del dolore che Voldemort sapeva somministrare con
generosità. E lei, dannazione, lo desiderava. Desiderava anche quello. Come le piccole
cose che all’inizio avrebbe ritenuto degradanti e che adesso le sembravano parte
dell’affresco.
- Nell’amore non c’è degradazione. – lo disse pianissimo, ma nel silenzio della notte ebbe
l’impressione che quelle parole si dilatassero all’infinito.
Amore?
Era amore tradire in quel modo?
Il sospiro dell’Horcrux le risuonò nel petto, ormai più simile ad un’altra parte di sé stessa
che a qualcosa di estraneo.
Lo faccio per lui.
Lo disse, lo ripeté, lasciò che quelle parole rotolassero tra le sue labbra, sussurrate
pianissimo.
Non ci vorrà molto.
La voce dell’Horcrux si insinuò nei suoi pensieri, scacciando le ombre e lasciando che tutti i
motivi di preoccupazione retrocedessero nel buio.
Maya strinse il ciondolo tra le dita.
Ne sei sicuro? Sei sicuro…
Lui non rispose, semplicemente lasciò che la sua magia scivolasse in lei come la carezza di
un amante.
Poi, quando le palpebre della donna si fecero più pesanti, mentre il sonno scendeva sul
suo piccolo mondo come un incantesimo di guarigione, le parve di sentirlo sussurrare:
presto, prestissimo.
*
Un’altra riunione.
Rodolphus Lestrange inspirò a fondo una boccata di fumo e poi lasciò cadere la sigaretta
oltre il davanzale, sicuro che le siepi di Lucius non sarebbero andate a fuoco per così poco.
Agguantò un bicchiere di vino e si avviò alle scale.
- Non resti? – Antonin Dolohov gli scoccò un’occhiata perplessa, sospettosa.
Rodolphus gli sorrise, bevve un altro sorso e gli rifilò il calice vuoto. Lo ritenevano pazzo,
ma non perché avesse lasciato andare Bellatrix. In fin dei conti quella era stata l’unica
cosa saggia della sua vita: pensavano che fosse ammattito prima.
- L’Oscuro Signore è già arrivato. – Dolohov gettò nervosamente il bicchiere in un camino
vuoto. Ma Lestrange non si fermò per più del tempo necessario ad osservare i cocci
schizzare sul pavimento e sui costosi tappeti di Malfoy.
- Sì, lo so. – mormorò, e scese di fretta sistemandosi meglio il mantello.
- Ma…
- Sembra che io non serva.
L’odore del giardino e dei fiori notturni gli strapparono un piccolo sorriso, superò il cancello
e si smaterializzò per ricomparire nel suo piccolo studio privato.
L’Elfo Dorren gli fu accanto nel giro di un attimo per prendere il mantello.
- Tutto bene, signore?
Lestrange annuì.
- Devo stirare il giornale?
- No, mi farò bastare l’edizione della mattina. Comunque non resterò molto. Volevo solo
accertarmi che fosse andato tutto bene. Mi hai procurato quella cosa?
Dorren annuì con una piccola smorfia, e Rodolphus lo trovò quasi comico.
- Molto bene. Allora è tutto. Non aspettarmi alzato.
Mentre Dorren usciva, Lestrange si avvicinò alla scrivania scrutando il piatto d’argento
coperto con un tovagliolo.
Scostò la stoffa e un sorrisetto gli si dipinse sul viso affilato. Non che ne sapesse molto di
balistica, calibri e proiettili. Ma si era sempre arrangiato con successo e qualche ora di
allenamento avrebbe fatto il resto.
Si sedette per completare la lettera per suo cugino lasciata a metà nel pomeriggio e che
un gufo avrebbe consegnato prima dell’alba con una convocazione alquanto bizzarra.
Adrian esercitava da qualche parte in Scozia la stimata professione medica. Rodolphus non
era certo di dove esattamente, ma sapeva che il suo gufo lo avrebbe raggiunto per tempo
con la stessa certezza che Adrian non si sarebbe tirato indietro davanti ad una simile
richiesta di aiuto, anche se non c’era stato più un solo Lestrange a rivolgergli la parola
dopo la sua fuga d’amore con la figlia di un cardiologo Babbano.
La pergamena venne firmata e sigillata, e poi Rodolphus si avviò fischiettando verso la
soffitta dove tenevano una discreta quantità di civette e gufi di comprovata efficienza e
velocità. Osservò l’uccello alzarsi in volo e confondersi con la notte e poi si smaterializzò
ancora una volta.
Stavolta non furono le pareti accoglienti della sua dimora a dargli il benvenuto, ma la
sagoma incombente di una vecchia casa piuttosto cupa e bisognosa di riparazioni.
Lestrange si guardò intorno e attraversò il cimitero.
*
Tic. Tic. Tic…
Maya si sollevò a sedere e si strofinò gli occhi; fuori era ancora buio.
- Mio signore, sei tu? – si guardò intorno, con la speranza che Voldemort fosse tornato e
desiderasse condividere il suo letto.
Intruso…
La voce dell’Horcrux si mescolò ad un altro colpo. E stavolta lei identificò il suono per
quello che era: un colpetto assestato al vetro della finestra, si alzò per sbirciare fuori e
quando fu certa di aver identificato l’origine del rumore la aprì con cautela.
Lestrange accennò un piccolo inchino.
- Cosa… - Maya deglutì – Gli è successo qualcosa?
- No. – Rodolphus sbuffò – Non è successo niente, non ancora.
- Allora perché sei qui, la casa è protetta.
- Lo so. Non ho superato nessuna protezione, tuttavia. Nessuno mi ha visto. E lui è ancora
da Lucius. Ma c’era un messaggio che non potevo non farti avere.
Maya provò il doloroso desiderio di richiudere i vetri ed infilarsi nuovamente nel letto,
invece abbassò le mani e le strinse sul davanzale.
- Allora vi siete accordati?
Rodolphus annuì – Già da un po’ di tempo. Non ho avuto modo di fartelo sapere prima.
Ma… tieniti pronta.
- Va bene. – riuscì a mormorare, prestando attenzione solo per metà a quello che il mago
stava dicendo.
- Stai bene? Se hai cambiato idea…
- No.
Rimasero per un po’ in silenzio, poi la donna tirò un respiro sibilante e si sistemò i capelli
in un gesto nervoso.
- Vattene, Rodolphus. Se adesso tornasse e ti trovasse qui…
Non attese risposta, ma richiuse la finestra e raggiunse il centro della stanza prima di
lasciarsi andare sul pavimento, seduta sul tappeto a fissare il vuoto come una stupida.
Alla fine, un secolo dopo, i rumori della casa la riscossero. Rumore di passi lungo la
vecchia scala di legno.
Maya si strofinò il viso e sciolse la treccia, riuscì a trovare la forza per alzarsi e per sfilare
la camicia che indossava di notte.
Si voltò mentre Voldemort apriva la porta, indovinando la sua sagoma anche nel buio e la
ventata fredda che portava con sé… l’aria gelida delle ore prima dell’alba.
- Mio signore… - sussurrò – Fai l’amore con me.
Capitolo 27: Quasi la Fine
Non c’era altro suono al di fuori del respiro lento, regolare della donna addormentata al
suo fianco e del ticchettio distante ed ovattato dell’orologio a pendolo.
Voldemort si mosse lentamente, allungò un braccio per raccogliere la bacchetta
abbandonata tra gli abiti scivolati a terra accanto al letto. La sollevò, scrutandola con
attenzione nel buio grazie ad i suoi immensi occhi da rettile. Lasciò scorrere due dita sul
legno antico e liscio, lasciandosi cullare dalla sensazione di potere. La magia era tutto.
Tutto. E lui era forte, immortale. Invincibile.
Sorrise, riponendo la bacchetta dove gli sarebbe stato facile prenderla con un solo gesto e
si abbandonò nuovamente sul letto. Stirandosi come un serpente e gettando indietro la
testa.
Potente… il pensiero gli suscitò un brivido di eccitazione. Le sue dita tremarono, come se
potessero avvertire ancora l’energia scorrere nel legno stagionato della Elder Wand.
Roteò gli occhi, respirando lentamente e assaporando la sensazione della perfezione, e le
sue dita fremettero nel ricordo di qualcos’altro. Carne e non sambuco.
Si voltò su un fianco e scostò una ciocca arruffata dal viso di Maya. Le sue dita si mossero
scivolando sul viso della donna pur senza toccarla davvero.
Sapeva che si sarebbe svegliata se solo lui lo avesse desiderato.
Per un istante ebbe la tentazione di farlo, poi sorrise e tornò a stendersi per lasciarla
dormire appagata e sazia; sembrava che Maya, in quei giorni, avesse bisogno di ogni
istante in cui restavano vicini, che avesse necessità di arrendersi a lui, di lasciarsi
possedere interamente. Lo cercava, lo inseguiva e poi si lasciava prendere fino allo
sfinimento.
Come se temesse che da un momento all’altro il loro tempo sarebbe venuto meno. Come
se credesse di essere prossima alla fine.
L’idea lo faceva ridere con un segreto compiacimento, perché era vero.
Eppure non sarebbe stata la fine di Maya. Voldemort si leccò le labbra pregustando il
sapore del trionfo definitivo, il giorno in cui nessuno, neppure un singolo mago si sarebbe
più sollevato contro l’Oscuro Signore.
Chiuse gli occhi e sorrise ancora una volta, certo che presto non avrebbe più trovato una
singola traccia di Tom Riddle nel riflesso che lo specchio gli rimandava. Non più l’ombra di
una regola imposta a sé stesso.
E persino quella casa sarebbe potuta crollare, ridursi in cenere senza che questo lo
sfiorasse: tutto sarebbe andato al posto giusto, restituendo ordine alle cose.
C’era grandezza in questo; tenere la storia tra le dita e tesserla come un arazzo con i
colori ed i disegni che avrebbe provveduto a scegliere personalmente.
Non più Harry Potter, più nulla che venisse da Silente.
Voldemort si leccò le labbra e non riuscì a trattenere un verso di soddisfazione.
Il piano era pronto, ed era solo l’inizio. Quante vite sarebbero state sacrificate era un dato
di nessuna importanza. Prima o poi Potter avrebbe messo nuovamente il naso fuori dal
suo nascondiglio, e la sola meta alla quale potesse aspirare era Hogwarts. Ed Hogwarts,
ancora una volta, sarebbe stata il teatro del cambiamento. Che crollasse pure con tutti i
suoi professori e studenti: non aveva più importanza.
Tornò a puntellarsi su un gomito, ad avvicinare il viso a quello della donna addormentata.
Che importanza poteva avere Hogwarts quando, alla fine, ogni Elfo Domestico si sarebbe
trascinato alla sua porta esattamente come accadeva per ogni nobile, antica famiglia di
maghi?
Che importava di Hogwarts quando i folletti della Gringott si sarebbero prostrati ai suoi
piedi per offrirgli la più sicura tra le camere segrete? Qualcosa che neanche i Lestrange,
neanche i Malfoy avrebbero potuto pretendere.
Per Voldemort ogni porta si sarebbe aperta. Con il sangue, con la paura, con tutto quello
che sarebbe stato necessario a lavare il passato.
E tutto sarebbe stato così come avrebbe dovuto essere da sempre.
La sua nobiltà, il suo potere, la sua forza riconosciuti da tutti, e così immensi da eclissare
ogni residuo di Tom Riddle.
Deglutì, ricacciando un moto di nausea all’idea di essersi dovuto servire della camera
segreta dei Lestrange alla Gringott. Ma quell’ingiustizia non aveva più il potere di ferirlo
come quando, ragazzino come era stato, spiava l’andirivieni dei maghi tronfi per la propria
ricchezza, per ciò che avevano ottenuto senza alcuno sforzo; creature miserabili… mentre
l’erede di Serpeverde doveva accontentarsi di abiti e libri di seconda mano.
Pieno di furia e dello stesso desiderio di possesso e rivalsa di un tempo, scivolò sul corpo
di Maya, inchiodandola sotto di sé e affondando la bocca nella rassicurante, calda
morbidezza della sua carne.
Le fece male sapendo di farlo, sentendone il bisogno per alleviare il proprio turbamento.
Quasi desiderando che lei si ribellasse, che protestasse. Che gli offrisse la scusa per
sottometterla di più, per dimostrarle quanto lui fosse superiore.
Ma Maya, con la strana e profonda passione di quei giorni, lo sorprese ancora una volta. Si
limitò ad accoglierlo, lasciando scivolare le dita sulla sua nuca glabra, accettando il dolore
come se lo meritasse.
Voldemort chiuse gli occhi, lasciandosi dominare solo dalla lussuria mentre tutto, persino il
desiderio di conquista e l’impeto punitivo svanivano in una nebbia calda e desiderabile.
Provò persino il desiderio di supplicarla, di… non sapeva esattamente di cosa. Eppure…
eppure…
Forse era colpa dell’Horcrux. Lo sentiva palpitare schiacciato tra i loro corpi, un
metronomo che regolava la pulsazione dei loro cuori.
- Maya… - non si rese neanche conto di quanto implorante suonasse la sua stessa voce.
Forse, se lo avesse fatto, sarebbe scappato.
*
- Il sole sorgerà e tramonterà anche il giorno in cui morirai. – Maya distolse lo sguardo dal
barattolo di zucchero che aveva continuato ad osservare compulsivamente nell’ultima
mezz’ora. Nagini assestò un colpo di coda alla sua sedia, irritata da quello spreco di tempo
e dallo sfoggio di filosofia spicciola.
Con uno sbuffo la Babbana si limitò a sistemarsi i capelli con un gesto nervoso, e tornò a
dedicarsi alla preparazione di un dolce.
- Dicono che mangiare nei momenti difficili aiuti. – l’Horcrux, la parte di anima di
Voldemort che portava perennemente con sé rinchiusa nel medaglione di Serpeverde,
emise un flebile sibilo – Non riesco a smettere. – replicò lei – Ho un brutto presentimento.
Non può mancare tanto tempo.
Nagini le scoccò un’occhiata curiosa ed adagiò il muso sul tavolo, ricordandole che in sua
presenza era meglio non dire troppo. Non dire nulla che Voldemort non avrebbe dovuto
sapere.
Dio santo, pensò, se continuo così impazzirò.
Da qualche parte Harry Potter si stava muovendo, o forse lo stava facendo in quello stesso
istante. Da qualche parte Rodolphus continuava a complottare ed a sistemare dettagli. Da
qualche parte Voldemort continuava a pensare di averla completamente sottomessa
mentre lei lo stava tradendo.
Accadrà, e quando non dipende da te.
- D’accordo, crostata di mirtilli? Torta di cioccolata? Io… non so quale sia il dolce che lui
preferisce. – i pensieri della Babbana scivolarono ancora in avanti a tutta velocità,
tormentandola con le più fosche, le peggiori previsioni possibili. Solo il ticchettio ritmico
dell’Horcrux riuscì a riportarla ad un livello decente di concentrazione.
- D’accordo. Torta al cioccolato con tre strati ripieni di crema al liquore? – Maya rise,
afferrando un panno per ripulire il tavolo dalla bava del grande serpente – La prendo per
una approvazione senza riserve.
Snocciolare a ripetizione nella mente ingredienti e dosi ebbe l’insperata riuscita di
calmarla. Tenere Nagini lontana dalla torta che prendeva forma riuscì a farla ridere.
Ed il tempo passò senza altri drammi, qualche ora di pace.
- Prometto di lasciarti leccare il tavolo, Nagini. – borbottò mentre setacciava il cacao
amaro – Apri le fauci, adesso. – ghignò spolverando anche il muso del rettile di cioccolata.
- Vedi, è importante. – Maya osservò il dolce senza poter evitare di sentirsi compiaciuta Così sembra un tartufo. Cioccolata amara e al di sotto strati di lussuria e dolcezza.
Non che Nagini apprezzasse queste sottigliezze, storcendo il naso la donna pensò che
anche un topo coperto di glassa le sarebbe sembrato divino. Ma Voldemort aveva altri
gusti.
Maya si leccò le dita con un brivido di anticipazione.
- Sai, Nagini. Forse oggi sarà un giorno perfetto, dopotutto. – rise.
E, tuttavia, prima di poter spostare il dolce si fermò con l’impressione di aver percepito
qualcosa. Abbassò lo sguardo sull’Horcrux e si rese conto che non riusciva ad avvertirne il
battito, come se all’improvviso la parte d’anima contenuta al suo interno avesse trattenuto
il fiato.
- Oh, Dio… - sussurrò e poi il mondo esplose.
Maya aveva già visto, già avvertito l’ira di Voldemort. Aveva già provato la sensazione
terribile che il mondo si tingesse di rosso, di rabbia. Eppure non così.
La mente dell’Oscuro Signore si aprì per lei come un libro senza segreti, proiettandola in
una stanza di pietra, tra Mangiamorte lividi di paura, piegati in due dal timore di essere
uccisi.
E Bellatrix, Bellatrix sprofondata sul pavimento. Una mano allungata verso i piedi di
Voldemort come se avesse voluto afferrarli e baciarli. Una supplica negli occhi, il viso
stravolto dalla vergogna e dallo sgomento. Maya lesse in quegli occhi la certezza di morire.
- La Gringott era sicura… - la sentì biascicare.
E, con un immenso sforzo di volontà, si tirò fuori da quella maledetta visione cercando di
non fare caso alle lacrime che non poteva evitare di piangere. Il sapore della cioccolata già
dimenticato, lontanissimo come l’immagine sbiadita di un vecchio dagherrotipo.
- Nagini. – sussurrò – Devi seguirmi.
Il rettile la fissò come se un sospetto si fosse insinuato tra i suoi pensieri, e Maya fu certa
che qualcosa della mente di Voldemort fosse riuscito a filtrare nel suo cervello. Almeno il
senso di allarme, la consapevolezza che un Horcrux che credeva al sicuro fosse stato
portato via e forse già distrutto.
- Ti prego. Per il tuo bene. – Maya si asciugò gli occhi – Il diario è stato distrutto, e così
l’anello. La coppa è stata rubata. Il ciondolo è qui ed io lo proteggerò. Voldemort pensa di
potersi occupare di quello che è ad Hogwarts. Ma tu non saresti al sicuro con lui. Per
favore, fai quello che ti dico.
Nagini… assentì cautamente.
Un quarto d’ora dopo Maya stava schizzando su per le scale, sbirciando di tanto in tanto i
furibondi pensieri di Voldemort per essere certa del momento in cui sarebbe tornato.
Entrò nel salotto un attimo prima che lo facesse lui, quasi rovinandogli addosso.
- Mio Signore! – strillò – Cosa…
Voldemort le afferrò i polsi e digrignò i denti – Dov’è Nagini?
Maya lo ignorò – Sei sconvolto… – con una buona dose di fortuna Voldemort non si
sarebbe reso conto che tra i due lei lo era di più.
Il rettile entrò lentamente nel salotto, gettando uno sguardo apatico su entrambi.
Maya deglutì, decidendo che non c’era altro tempo. Che non c’era possibilità di aspettare,
o di rischiare che lui se ne andasse.
Gli afferrò la tunica, obbligandolo a guardarla e a distogliere lo sguardo dal grande
serpente – Non andare. Non uccidere Harry Potter. – sussurrò.
L’Oscuro Signore la fissò come se si fosse appena bruciato.
- Cosa?
- Non uccidere Harry Potter! – la donna non riuscì ad evitare di gridare – Non farlo, ti
supplico! Non andare neanche ad Hogwarts…
- Tu sai… - gli occhi di Voldemort si spalancarono, conferendogli un aspetto ancora più
innaturale – Tu lo sapevi! Sapevi da principio che il ragazzo Potter mi avrebbe derubato
del mio Horcrux… perché non me lo hai detto?
- Non sapevo che sarebbe successo oggi. – la prospettiva di ammettere qualcosa di vero
non la fece star meglio – Non sapevo che oggi…
- Bugie! – Voldemort la spinse da parte – Comunque non importa. Non ho tempo adesso.
Maya lo vide esitare, lottare per un istante con l’idea di ucciderla semplicemente così,
adesso, su due piedi.
- Ti prego…
- Ora capisco. – Voldemort gettò indietro la testa e rise – Queste notti, il tuo
comportamento.
Maya allungò una mano verso di lui, sentendosi stupidamente simile a Bellatrix.
- No, no. – Voldemort sollevò la bacchetta e poi la riabbassò – Dopo. Dopo… una cosa per
volta. Adesso ucciderò Harry Potter. E dopo, dopo ucciderò te. Dopo averti fatto vedere il
mio trionfo. Dopo averti vista soffrire per questo.
- Non è così! Io…
Voldemort la zittì con uno schiaffo – Pensa bene alle spiegazioni che dovrai darmi, perché
domani sarò un Dio. Perché domani il lurido mondo dei Babbani non esisterà più… verme.
Lei non replicò, rimase ferma. Osservandolo mentre se ne andava via, seguito da Nagini.
Sigillando ogni porta con la sua magia, imprigionandola mentre il mondo andava a rotoli.
Capitolo 28: Una fine
Maya rimase ferma, osservando con ostinazione la polvere sul tappeto del salotto, quasi
come se concentrandosi su qualcosa di inutile il resto dell’universo si sarebbe fermato.
Come se, se lei si fosse concentrata solo sulle piccole cose, quelle grandi e terribili
potessero essere cancellate.
Alla fine dovette cedere, voltandosi per osservare la figura evanescente che continuava a
farle scorrere le dita tra i capelli; il giovane Riddle. La parte di Riddle che risiedeva nel suo
Horcrux.
- Va tutto bene. – sussurrò, lasciando che le parole le si disegnassero in mente senza
bisogno di suono – Va tutto bene. Adesso devi solo alzarti.
- Le porte sono chiuse. – anche mentre lo diceva Maya riuscì a sentirsi stupida.
- Una parte di me le ha serrate. Una parte di me può aprirle. – Riddle sorrise nel suo modo
pericoloso – Alzati, Maya. Non c’è molto tempo.
Lei obbedì ma senza riuscire ad evitare di provare un briciolo di risentimento.
Riddle osservò con attenzione una ciocca dei capelli castani della donna arrotolarsi intorno
al suo dito e scrollò le spalle.
- Devo andare in camera mia.
- Naturalmente.
- Devo cambiarmi.
- I tuoi vecchi vestiti sono già sul letto, pensavo che ti sarebbero serviti. Sono pratici. –
sorrise.
Attraversarono il corridoio in silenzio, poi lei sfilò il vecchio abito della signora Riddle che
aveva adattato per sé stessa, mentre la figura del giovane uomo fluttuava a qualche
centimetro da terra come se fosse stato immerso in acqua.
- Hai davvero fretta.
Riddle annuì – Ne hai anche tu.
Maya indossò i vecchi abiti babbani che aveva tenuto da parte e si assicurò che la borsa di
Mokessino che portava sempre con sé fosse saldamente allacciata alla cintura.
- Credo di avere tutto con me, adesso. – soffiò.
- No, non tutto. – Riddle le scivolò alle spalle, le prese il viso tra le mani obbligandola a
guardarsi allo specchio – Conosco il tuo cuore. Conosco i tuoi sogni, Maya, e le tue paure.
– si avvicinò, raccogliendo con la lingua una lacrima che le era rotolata su una gota – Non
uscirai di qui senza il tuo coraggio. Non piangere…
Lei chiuse gli occhi, lasciando che quella voce immateriale le offrisse conforto, le
ricordasse per quale motivo sarebbe andata a fondo in quella storia.
- Maya… a me non importa che tu non sia altruista. Non mi importa che a muoverti non
sia il senso di giustizia. – le infilò le dita tra i capelli, massaggiandole delicatamente la
nuca – Neanche io sono altruista. Non mi importa di quanti sciocchi potresti salvare,
purché tu salvi me. Ma non voglio che tu esca di qui come un burattino, come un pupazzo
di pezza manovrato dalle mie intenzioni. – le accostò le labbra all’orecchio – Voglio che mi
ami, e che ami solo me. E voglio che tu vada incontro al destino solo per questo. Così,
quando tutto sarà finito… io saprò di essere stato amato davvero, in quella maniera che
Silente continuava a sventolarmi davanti agli occhi. Ti prego. Se la mia anima si
ricomporrà, per quanto possa ricomporsi, soffrire per questo motivo sarà meraviglioso.
Regalami questa sofferenza, per favore. Però… avrà il giusto valore solo se tu mi verrai
incontro brandendo tutte le tue assurdità, i motivi per i quali la tua imperfezione mi fa
battere il cuore più in fretta, la tua ossessione. Usa tutto l’egoismo del tuo amore, Maya.
Affidati a me nelle tenebre che arrivano, unisciti a me. Sii mia eguale.
Maya si morse l’interno della guancia fino a sanguinare – Nessuna falsa promessa, Tom? –
sussurrò alla fine, senza riaprire gli occhi – Nessun arrivederci?
Sii egoista e amami fino in fondo.
Quando Maya sollevò le palpebre non c’era più traccia di Riddle. Ma l’Horcrux stava
palpitando con forza, premuto sul suo cuore.
La Babbana cercò un’altra volta la propria immagine riflessa nello specchio – D’accordo. –
sibilò – D’accordo. L’amore non ha bisogno delle bugie. D’accordo.
Dopotutto sapevo che lo avrei fatto sin dall’inizio.
La pendola batté l’ora e Maya si domandò da quanto Voldemort fosse andato via.
Hogwarts era la meta, ma adesso non c’erano più altre informazioni da usare.
- Questa storia è una storia nuova. – disse e, stranamente, provò un conforto infinito nel
pronunciare quelle parole. Nello scoprire che il coraggio non era scivolato via tra le sue
dita.
- E’ una storia nuova! – non sarebbe rimasta a guardare. Non sarebbe rimasta ad
aspettare. Non sarebbe stata un personaggio ininfluente capace solo di aspettare che il
mondo cambiasse, che l’uomo che amava vivesse o morisse.
Il rumore dei suoi passi di corsa sulle vecchie scale, il suono delle porte che sbattevano
alle sue spalle le sembrarono il giusto accompagnamento per un’impresa impossibile. Non
un’impresa eroica, solo una dannata impresa impossibile.
Come l’Horcrux le aveva promesso nessuna barriera si frappose tra lei e l’uscita.
Attraversò il giardino di corsa, scavalcando lo steccato che lo separava dal cimitero.
Lestrange sarebbe arrivato, ne era certa.
E quando Rodolphus le venne incontro uscendo dall’ombra di una lapide, Maya ebbe
l’impressione di non avere bisogno di nient’altro.
Gli corse incontro, e gli gettò le braccia al collo.
- Siamo alla fine. – la voce di Rodolphus soffocata dai capelli spettinati ed arruffati di Maya
le suonò strozzata all’orecchio, carica di tensione. Si costrinse a lasciarlo andare, per
poterlo osservare meglio.
Lestrange sembrava pallido, preoccupato. Più magro.
- Dobbiamo andare. – gli disse.
- Maya… - Rodolphus si mordicchiò un labbro – Ci ho pensato e… non è necessario, non
per forza.
- Ma… Lestrange le posò due dita contro le labbra per zittirla.
- Rifletti. Non ti ho portata qui per le ragioni giuste e, in fine, lo ho capito. Ho già ottenuto
quello che volevo. E lui… lui non cambierà, Maya. Anche se gli salvi la vita lui non
cambierà.
Maya scostò la mano di Lestrange – Lo so. – sussurrò – Ma io non ho mai pensato di
salvargli la vita per cambiarlo. Io lo cambierò per salvargli la vita.
- Non capisco… - adesso fu la donna a zittirlo con un gesto.
- Tu sai che oggi Bellatrix non morirà. Ho fatto in modo che tu potessi salvarla, ma questo
non farà sì che lei ti ami di più. Ti importa?
Rodolphus scosse la testa ed abbassò gli occhi.
- Possiamo salvare delle persone ed io credo che le salveremo. Questo non ci renderà più
eroici. Non ci renderà migliori. Perché noi non siamo Harry Potter… perché è l’egoismo dei
nostri sentimenti a spingerci verso cose impossibili. A cercare aiuto lì dove nessun altro lo
trova. Se questo fosse un libro non ci meriteremmo nessuna assoluzione, nessun finale
felice per aver salvato i mostri che desideriamo. Allora Rodolphus, lasciami andare fino in
fondo. Io non voglio essere salvata. – Maya si asciugò una lacrima – Tutto quello che
desideravo era avere un finale che fosse solo mio.
Rodolphus Lestrange aprì la bocca per rispondere e la richiuse. Poi, come per una
decisione improvvisa, la afferrò è la attirò tra le proprie braccia premendo la bocca sulla
sua in un vero bacio, uno di quei baci che i protagonisti di un libro si concedono nell’ultima
pagina.
- Allora se questo è il tuo finale… - soffiò – Sarai così gentile da lasciarmi almeno un po’ di
spazio per una menzione.
- Direi… direi che tu abbia fatto in modo che fosse così. – sussurrò.
Camminarono insieme fino al limitare del cimitero, in silenzio. Poi Lestrange le porse una
mano e si inchinò – Andiamo, allora?
Lei annuì – Dimmi solo se è tutto come avevamo previsto.
- Dopo stamattina nessuno riuscirà a trovare Bellatrix. – Rodolphus osservò una nuvola
passare rapida sopra le loro teste – Proprio in questi minuti Harry Potter dovrebbe essere
entrato ad Hogwarts, al sicuro. Probabilmente l’Oscuro Signore riceverà notizia della morte
di Severus per mano di Potter e degli altri ribelli a breve. Per quanto tutto fosse stato
progettato da tempo… molti dei rinforzi dell’Oscuro Signore hanno ricevuto informazioni
contrastanti nelle ultime ore; ieri sera, ad esempio, i Carrows sono andati incontro ad una
inattesa fine. E ad Hogwarts… a quest’ora saranno rimasti pochissimi studenti. Quando
Potter sfiderà l’Oscuro Signore, non prima del tramonto, confido che la scuola sia stata del
tutto sgomberata. Non c’è bisogno di altri dettagli, non credi?
Maya gli posò una mano sul braccio con delicatezza – Rodolphus… - sussurrò.
- Sì, beh. C’è voluto qualche mese per mettere a posto tutti i dettagli. – Lestrange sorrise
– Ma credo che mi sia riuscito abbastanza bene. E, nonostante questa profusione di
ingegno e doti profetiche – accennò un inchino verso di lei – Non sarà un cambiamento
facile. Il tuo Signore crede che domani il mondo sarà diverso… non immagina quanto.
Nessuno lo immagina.
Maya annuì – Va bene. Lasciami solo preparare gli ultimi dettagli. – aprì la borsetta di
Mokessino con dita che tremavano, trafficando con gli oggetti che, grazie ad un
Incantesimo Estensivo, vi erano stati ammassati.
- Sai Maya, c’è una cosa che mi sfugge ancora.
- Davvero? – inarcò un sopracciglio.
- Quando L’Oscuro saprà che Severus è morto si rincrescerà di non averlo ucciso per
essere sicuro di essere il legittimo padrone della Bacchetta di Sambuco.
- Immagino che tenderà ad avere una visione pratica della cosa. Non penso che possa
temere di non esserne considerato l’autentico proprietario.
- Ma comunque non lo sarebbe.
Maya annuì, pensierosa – Per via di Draco?
- Tu… hai disarmato il giovane Malfoy. Questo fa di te la padrona della Stecca? La padrona
della Morte?
Maya immaginò di vedere una scintilla di speranza negli occhi di Lestrange. Sorrise
mestamente e scosse la testa.
- Io non sono una strega. E’ stato il potere dell’Horcrux a disarmare Draco, non il mio. La
Elder Wand risponderà all’Oscuro.
- Ma gli altri Doni…
La donna tirò fuori dalla borsa il boccino che aveva rubato ad Harry Potter molti mesi
prima – L’anello, la pietra è qui dentro. Ma per me è inutile… non potrei usarla comunque.
L’ho presa solo per sottrarla ad Harry. E perché desideravo l’anello. Per egoismo, perché
era dell’uomo che avrei voluto avere.
- Capisco. – Lestrange scosse la testa e la aiutò a drappeggiarsi il mantello sulle spalle.
Una manciata di secondi più tardi il cimitero era nuovamente deserto.
Così tutto finisce.
L’Oscuro Signore conosceva il valore dell’attesa.
Così tutto finisce.
Mentre il giorno, l’ultimo giorno, volgeva al termine, rigirandosi la bacchetta tra le dita, in
attesa sotto il cielo infuocato del tramonto, cogliendo segni di trionfo in ogni soffio di
vento, nel turbinio della polvere che si sollevava in piccoli vortici… la sua mente correva
veloce, sicura. La conquista era lì, ad un solo passo.
La Elder Wand gli apparteneva del tutto, il ragazzo Potter si sarebbe presentato al suo
cospetto senza più protezioni, pronto a sfidarlo pur di proteggere i suoi amici.
Voldemort sorrise… gli amici di Potter sarebbero morti ugualmente. Prima che la notte
fosse calata avrebbe raso al suolo l’intera Hogwarts. Ed anche se adesso i combattimenti
si erano spenti, se gli schieramenti si erano ritirati lasciando il campo libero per quella
cruciale battaglia, presto il fuoco sarebbe divampato per un’ultima, definitiva volta.
Potter non aveva trovato i suoi altri Horcrux, Nagini restava al sicuro. Nessuno si sarebbe
messo di mezzo.
Così tutto finisce.
Voldemort socchiuse gli occhi respirando piano. Avrebbe spezzato anche Maya quella
notte, ogni legame che poteva avere avuto sarebbe stato bruciato; non aveva più
importanza. Domani sarebbe morta o sarebbe stata completamente, definitivamente sua.
Un altro Horcrux, dopo quella guerra, sarebbe stato creato. Le sue labbra si tesero in un
sorriso folle; quando Maya fosse stata riempita dalla sua anima, oltre che dal suo corpo,
non l’avrebbe lasciato mai più, tradito mai più.
Lo scricchiolio della ghiaia sotto i piedi di Harry Potter lo indusse a sollevare lo sguardo, a
riportare la mente alla distruzione presente.
Così tutto finisce.
- Harry Potter…
Non pensò a quello che avrebbe detto, le parole di quel copione erano già state scritte. Le
cose sarebbero tornate quelle che avrebbero dovuto essere.
Tutto si spense nella solennità di quel tramonto definitivo, mentre lunghe ombre si
proiettavano sulle mura di Hogwarts.
Mentre il mondo intero ammutoliva, Lord Voldemort sollevò la bacchetta.
Sapeva cosa Potter avrebbe fatto; dentro di sé ne rideva. Le bacchette gemelle stavolta
non lo avrebbero protetto. Stavolta Voldemort stringeva la Bacchetta di Sambuco tra le
dita, e Potter sarebbe stato piegato, spazzato via con la sua insulsa idea di continuare a
combattere limitandosi a tentare di disarmare il nemico.
Voldemort aprì la bocca… il tempo sembrava scorrere lentissimo tutto intorno, e a velocità
folle dentro la sua mente.
Avvertì con una punta di fastidio un movimento da qualche parte tra loro. Ma nessuno
sarebbe stato tanto folle da disturbarli.
- Avada Kedavra! – pronunciò l’incantesimo mentre la sagoma in abiti neri di un uomo
entrava nel suo campo visivo. Rodolphus Lestrange esitò al margine dello spazio tra Potter
e l’Oscuro.
- Expelliarmus!
Il raggio verde e quello rosso saettarono l’uno verso l’altro, gli occhi di Voldemort erano
spalancati e brucianti di brama.
Un istante prima che Harry Potter si accasciasse al suolo… Voldemort urlò di sconcerto e
rabbia.
Ancora una volta, ancora una maledettissima volta i due incantesimi si incontrarono a
mezza strada, esplosero e si spensero.
- No! – il mondo andò in fiamme, Voldemort gridò tutta la propria rabbia, la collera
furibonda, reprimendo il desiderio di scagliare lontano la bacchetta. Incapace di accettare
l’idea che distruggere Potter continuasse ad essere impossibile.
Si accorse solo all’ultimo momento che Rodolphus Lestrange si era avvicinato al punto in
cui gli incantesimi erano esplosi.
- Potter! – lo sentì chiamare. E, incredibilmente, Harry fece un passo avanti e spalancò le
braccia.
Come da una distanza lontanissima Voldemort vide Lestrange sollevare il braccio ed
impugnare qualcosa.
- Non è…
Lo sparo risuonò con la forza di un tuono.
- …Possibile!
Potter rimase in piedi per un attimo, poi crollò a terra.
Voldemort faticò a mettere a fuoco tutte le sensazioni che gli bruciavano nel petto. Si
mosse verso Lestrange, verso Potter, diviso tra l’idea di uccidere il Mangiamorte e
accertarsi che tutto fosse finito davvero.
- Maledetto, Lestrange…
Rodolphus gettò a terra la pistola senza degnarlo di uno sguardo – Adrian! - si affannò a
fare un gesto verso un punto distante ed un altro uomo si avvicinò di corsa. Si inginocchiò
accanto a Potter frugando in una grande borsa di cuoio, una borsa da medico.
Voldemort ringhiò e sollevò la bacchetta per fermarlo. Ma Rodolphus attirò ancora una
volta la sua attenzione.
L’Oscuro Signore lo vide prendersi la testa tra le mani e gettarsi a terra lì dove
l’Expelliarmus e l’Avada Kedavra si erano incrociati ed erano esplosi.
Lestrange si inginocchiò, esplorando la terra con ampi gesti delle braccia come se avesse
cercato qualcosa disperatamente.
Voldemort si avvicinò, incapace di comprendere le lacrime sul volto del Mangiamorte e
l’apparente insensatezza dei suoi gesti.
Poi Rodolphus trovò quello che aveva cercato e sollevò qualcosa, o almeno diede questa
impressione poiché tra le sue braccia non c’era niente. E dopo, un attimo dopo, Lestrange
scostò un lembo invisibile, lasciando cadere il mantello che aveva nascosto alla vista una
persona.
Voldemort gridò pieno di rabbia, poi l’ultimo raggio di sole colpì una massa di capelli
castani in disordine e l’urlo tra le sue labbra si spense.
L’Oscuro Signore si mosse come in sogno, afferrò il corpo e spinse via Lestrange.
Gli occhi senza vita di Maya non risposero al suo sguardo, puntati su un luogo troppo
lontano.
Voldemort la aveva uccisa. Questa consapevolezza lo devastò un istante prima che il
rimorso, il dolore, la disperazione, il pentimento lo privassero di ogni facoltà.
Capitolo 29: Per il Mio Amore
Rodolphus Lestrange rimase immobile, una sagoma con le spalle piegate contro il cielo che
si spegneva.
Impiegò tutta la forza che gli restava, ed ogni brandello di volontà per riuscire a sollevare
le mani ed a premersele sulle orecchie; le urla dell’uomo prostrato ai suoi piedi,
avvinghiato al corpo senza vita della donna, erano troppo orribili.
Doveva muoversi, Lestrange deglutì, sapeva di doverlo fare. Doveva prendere entrambi e
portarli via di lì, prima dell’arrivo degli Auror.
I Mangiamorte si stavano disperdendo, lo sapeva senza vederlo. La battaglia era
definitivamente finita.
- Mi dispiace. – nessuno sentì quell’ ammissione senza più alcun valore.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Per un istante provò un moto di disprezzo verso sé stesso e verso Bellatrix che in quello
stesso momento doveva essere prossima all’isteria, incatenata e sorvegliata nella cantina
della vecchia casa dei Lestrange. Viva. Furibonda ma viva. E del tutto indifferente al dolore
altrui.
Era orribile.
- Mi dispiace, Maya… - Rodolphus si chinò sull’Oscuro Signore e sulla sua compagna senza
vita. Se Voldemort lo avesse ucciso non gli sarebbe importato.
Ma, d’altro canto, Voldemort non sembrava in grado di fare altro che urlare e stringere la
donna, concentrato solo sull’abisso di dolore che aveva spalancato con le sue stesse mani.
Oh, Maya… vorrei che lo vedessi. Alla fine di tutto… ti ha amata.
Lestrange si prese il viso tra le mani – Mi dispiace. – non riusciva ad evitare di pensare che
il finale avrebbe potuto essere diverso.
Da qualche parte, nel profondo del proprio essere, la voce di Maya suonò chiara come se
fosse stata lì, ancora viva.
C’è un solo modo per disfare un Horcrux…
Rodolphus tornò ad osservare Voldemort, il volto da serpente stravolto dalla sofferenza.
Ogni traccia di compostezza spazzata via e sostituita dalle lacrime, dalla saliva che gli
scivolava giù all’angolo della bocca. Non emetteva più alcun suono come se avesse
perduto anche la voce; ma la sua gola era contratta per lo sforzo.
C’è un solo modo per disfare un Horcrux. Nessuna magia può farlo, ma solo un
pentimento sincero. Ed il dolore che si prova quando il frammento dell’anima torna al
proprio posto è tremendo. Quanto più orribile potrebbe essere se i frammenti fossero più
d’uno…
Cosa avrebbe potuto indurre Voldemort a pentirsi? Non c’era orrore che non avesse già
conosciuto ed al quale non fosse stato avvezzo.
Ma c’era una cosa, una sola cosa nella quale non aveva mai creduto. E se non gli fosse
stata portata via, forse, non avrebbe mai compreso di averla tenuta stretta tra le dita.
Maya, l’amore.
Rodolphus si strofinò il viso, stupefatto dal calore delle lacrime che non poteva evitare di
piangere.
Sotto i suoi occhi l’Oscuro Signore scivolò a terra, tremando come un bambino spaventato,
come un ramo spezzato. Mutilato, alla fine, più di quanto non fosse stato quando la sua
anima era stata ridotta in brandelli.
Lo sportellino dell’Horcrux che Maya aveva indossato, adesso, era aperto. All’interno del
ciondolo non c’era più nulla.
Rodolphus si rialzò e tentò di posare una mano sulla spalla dell’uomo che era stato
l’Oscuro Signore – Dobbiamo andare via.
Voldemort si limitò a spingerlo via, aggrappandosi con più forza al corpo di Maya – La ho
uccisa! – strillò. La sua voce non era mai stata così gracchiante.
- Dobbiamo andare via. – lo sguardo gli cadde sul corpo inerte di Potter. Sarebbe stato
bene, lo sapeva. Adrian lo avrebbe guarito nel giro di un istante… ma non prima che il
frammento dell’anima di Voldemort imprigionato dentro di lui andasse perduto. L’unico
frammento che anche Maya non avrebbe potuto salvare.
A ben vedere l’idea di usare una pistola gli era sembrata quasi grottesca, però… era stata
Maya a deciderlo. Per essere sicuri che nessun incantesimo di protezione renda inutili i
nostri sforzi.
Adrian passò la bacchetta sulla ferita e Potter si mosse tra le sue braccia.
Prima che Rodolphus potesse fare anche un solo passo, Voldemort scattò in avanti
brandendo la Elder Wand.
- No!
- Avada Kedavra!
Adrian si voltò ad osservare l’Oscuro Signore con il viso stravolto dalla paura. Rodolphus si
pietrificò con un braccio proteso verso Voldemort.
- Avada Kedavra! Avada Kedavra!
Lord Voldemort continuò ad agitare inutilmente la bacchetta. Alla fine la lasciò cadere a
terra, abbassò lo sguardo sulle proprie mani e rimase immobile.
La magia se ne è andata.
Lestrange raccolse Maya tra le braccia e gli si avvicinò. Voldemort non emise neppure un
fiato mentre gli afferrava un braccio.
Rodolphus non riuscì a smettere di pensare a quello che Maya gli aveva detto di Merope
Gaunt neanche mentre si smaterializzavano.
Quando è stata abbandonata non è riuscita più ad usare neanche un briciolo della sua
magia. Forse ha scelto di farlo per punirsi.
Forse la magia è andata via insieme al suo amore.
Ricomparvero a Casa Riddle.
- Questo posto non è più sicuro. – Rodolphus non era certo che l’Oscuro Signore riuscisse
a comprendere il senso di quelle parole. Provò pena per lui, per quanto lo avesse odiato
fino ad un soffio prima.
- Questo posto non è più sicuro, hai capito, Voldemort? – non era più il suo signore, non lo
era più da tanto tempo – Verranno a cercarti e non sono certo di poter fare nulla a questo
proposito – Dovremmo… - allungò una mano verso Maya, ma l’Oscuro Signore la tirò
indietro.
- No, è mia! – sibilò.
Rodolphus comprese subito che non avrebbe potuto fare altro. Sospirò e si allontanò di un
passo – Vado via, allora. Ma non dovresti farti catturare, non adesso. Non è morta per
questo. – si meravigliò di riuscire ad infondere una sfumatura di tale durezza nella propria
voce.
Con un ultimo gesto deciso strappò la borsa di Mokessino che Maya aveva portato stretta
in vita. Morto il suo proprietario ogni incantesimo di protezione diventava inutile.
Voldemort non riuscì a fermarlo e Lestrange ne svuotò il contenuto sul tavolo vicino.
La coppa di Tassorosso, un vecchio Boccino, e la tiara di Corvonero rotolarono sul ripiano
di legno.
- Non sono più Horcrux. – Voldemort trasalì appena, ma Rodolphus non si fermò – Li
abbiamo rubati e sostituiti prima che Potter se ne accorgesse. Ero sicuro che ci avresti fatti
uccidere tutti, ed è stato per questo motivo che ho disperatamente cercato un incantesimo
che mi permettesse di salvare mia moglie. Non so come ma Maya è apparsa per questo;
conosceva il futuro. Sapeva cosa fare. Dovevo salvare Bellatrix e mi sono fidato di lei,
perché lei doveva salvare te. – Lestrange rimase in silenzio per un attimo, cercando un
modo semplice per spiegare mesi di sotterfugi e progetti – Oggi saresti dovuto morire, la
tua Bacchetta non ti avrebbe offerto obbedienza e Potter sarebbe stato protetto dall’amore
dei suoi amici. Avresti dovuto capirlo: era la logica conclusione di tutto, ma hai menomato
a tal punto la tua umanità da perdere ogni briciolo di decenza e lucidità. Quando i primi
Horcrux sono stati distrutti non te ne sei accorto neppure… così Maya ha fatto in modo di
ottenere gli altri, e di impedire che Potter raggiungesse i Doni della Morte. La Elder Wand,
l’anello di Serpeverde che Silente aveva privato del suo potere di Horcrux ed il mantello di
James Potter. – Rodolphus si passò una mano tra i capelli – Intanto ha mandato me da
Harry e dai suoi amici perché gli promettessi la salvezza di molti che sarebbero morti se
tutto fosse andato secondo il corso che avevi impresso agli eventi. C’era un frammento
della tua anima anche in Potter, per questo il ragazzo doveva comunque arrivare vicino
alla morte. Neanche Maya aveva idea di come liberare e salvare quel frammento… così e
andato perduto. E Potter si è liberato. La tua anima non è ancora completa, non lo sarà
più. Ma hai più di quanto avresti dovuto avere, ed hai la possibilità di alzarti e vivere una
vita diversa. Ecco, questo è il motivo per il quale l’unica persona che ti abbia mai
veramente amato per quel che sei è morta.
La stanza rimase sospesa nel silenzio. Voldemort non si mosse, non disse nulla.
Dopo un po’ Lestrange gli voltò le spalle, disse addio ad ogni residuo legame con la sua
vita di Mangiamorte e si avviò verso la porta.
L’Oscuro Signore non alzò neppure gli occhi. Poi passò un braccio sul tavolo e gettò a
terra quanto restava dei suoi Horcrux. Distese la donna sul ripiano di legno e si guardò le
mani… non c’era più traccia di magia.
Chiuse gli occhi e poggiò la testa accanto a quella di lei.
- Buonanotte. – sussurrò, lasciando che l’oscurità invadesse i suoi pensieri come stava
facendo con il vecchio salotto.
Si svegliò dopo un po’, privo di forze e incapace anche di piangere.
Maya era ancora lì, fredda e immobile.
Voldemort si guardò intorno – Non sono ancora venuti a prendermi, amore mio. – osservò.
Poi un rumore soffocato gli fece battere il cuore più forte; si immobilizzò in ascolto…
sperando che lei avesse ripreso a respirare. Tese l’orecchio ed il suono si ripeté
provenendo impietosamente dal piano di sotto.
- Torno… subito. – mormorò. Si mosse come un fantasma, e come un fantasma attraversò
i corridoi, discese le scale e raggiunse la cucina. La porta che dava sulla cantina era
serrata. Voldemort fece girare la chiave nella serratura, del tutto disinteressato per quello
che avrebbe trovato. Poi gli occhi d’oro di Nagini scintillarono nel buio ed il serpente
strisciò in cucina con l’aria confusa. Privato del legame particolare che lo aveva legato al
suo padrone fino ad allora.
Le labbra di Voldemort si sollevarono in un impercettibile sorriso.
- Anche questo… - osservò – Ho portato una copia con me? – si chinò per sfiorare la testa
del serpente – Lei ha pensato proprio a tutto, Nagini, non è vero? Per mettermi al sicuro,
vedi. Ora ho la mia anima e posso amare. Ed è… terribile amare, Nagini. Terribile.
Il serpente si mosse, strisciando verso il tavolo.
Allora Voldemort vide la torta che era rimasta lì in attesa del suo ritorno. Si sedette ed
iniziò a mangiarla. Fetta dopo fetta, tutta fino alla fine.
Poi abbassò la testa e singhiozzò.
Capitolo 30: Supermercato
Probabilmente non c’era mai stato e mai ci sarebbe stato un supermercato così grande;
centinaia, migliaia di file di scaffali altri almeno quattro metri e pieni zeppi di ogni ben di
Dio la invitavano a riempire il carrello.
Maya allungò una mano e afferrò una confezione di pocky ricoperti alla banana. Sollevò lo
sguardo e sorrise davanti al più ampio assortimento di snack mai concepito da anima viva.
Si issò su uno degli scaffali più in basso per raggiungere dei pocky aromatizzati al gusto di
cento frutti tropicali e poi li fece cadere nel carrello.
Le scatolette si impilarono l’una sull’altra in modo perfetto, senza occupare troppo spazio.
Maya pensò che non ne occupassero affatto, in effetti. Così tirò giù altri dolciumi e sempre
senza riuscire a diminuire lo spazio disponibile per riporre la spesa.
Con una risata si dedicò ad un altro scaffale ed alle bottiglie di frullati.
- Cocco e cioccolata… - sfiorò appena la confezione ed una decina di bottiglie fluttuarono
nel carrello.
In quel preciso istante lei si rese conto della deliziosa musica che altoparlanti invisibili
diffondevano, e di come le fosse impossibile non muoversi a tempo. Maya assestò una
vigorosa spinta al carrello e si issò sulla parte metallica che ne proteggeva le ruote; con
qualche movimento al momento giusto riuscì a sentirsi come una pattinatrice sul ghiaccio.
Volteggiarono, donna e carrello, per un po’, descrivendo dei cerchi perfetti lungo la corsia.
Poi lei si lasciò cadere in una cesta di marsh mallows senza riuscire a smettere di ridere.
Avrebbe voluto fermarsi lì per un po’, dormire per un po’. Poi si ricordò che,
probabilmente, i commessi e gli altri clienti non ne sarebbero stati felici anche se non
aveva visto nessuno, neanche una sola anima viva.
Maya si tirò a sedere, perplessa.
Forse quel posto era così grande che incontrare qualcuno era difficile… o forse stava per
chiudere. L’idea le sembrò estremamente plausibile.
Dopotutto i supermercati erano luoghi di passaggio dove fare compere e poi tornare a
casa.
Sì, c’era un posto che la stava aspettando una volta che avesse attraversato la barriera
delle casse. Solo non era certa che si trattasse di casa.
Saltò giù dalla cesta e fece spallucce; l’avrebbero attesa mentre finiva di fare rifornimenti.
Si impadronì di frutta fresca e di una grande busta di caramelle, poi un lungo banco
frigorifero catturò completamente la sua attenzione: c’erano centinaia di torte in
esposizione, tutte confezionate nelle più belle scatole che lei avesse mai visto.
Iniziò a sollevarle una alla volta per poterle studiare con attenzione.
- Tre strati crema al bubblegum… sfoglia alla marmellata di gigli. Oh, cinque strati alla
panna, banana e burro di arachidi! Non so decidermi. – ripose la scatola e chiuse gli occhi,
risolvendosi a comprare il primo dolce che le sarebbe finito tra le mani.
Sentendosi stupidamente simile ad un rabdomante in cerca della torta migliore adagiò le
dita su una confezione e aprì gli occhi. La sollevò per leggere l’etichetta e si bloccò con la
fronte aggrottata.
- Cioccolata e crema al liquore? – sembrava familiare. Non sapeva perché, ma sembrava
familiare. Il sapore della cioccolata amara spolverizzata su una generosa porzione di crema
dolcissima le invase la bocca. Con un pizzico di stupore si accorse che accanto alla torta
erano stati sistemati due calici monoporzione di champagne. Quel genere di cose avevano
sempre avuto il potere di farla sorridere; continuava a sembrarle assurdo che qualcuno
potesse acquistare un bicchiere di vino sigillato e già pronto, però… quella volta non provò
alcuna allegria.
Rimase a fissare i due calici stringendo il dolce tra le mani, poi l’urto di qualcosa contro il
carrello la fece sobbalzare.
- Mi scusi. – un giovane uomo con un antiquato completo nero fermò il proprio carrello
accanto al suo e si dedicò all’osservazione dei dolci.
Maya provò un bisogno disperato di studiarlo con attenzione, dopotutto si trattava della
prima persona che avesse incontrato da ore.
- Si figuri. – sussurrò. C’era qualcosa di familiare in quell’individuo. Le suscitava un
desiderio, una fame, un bisogno che faceva impallidire la visione di ogni delizia custodita
in quel posto.
Il giovane uomo si allungò verso i due calici di plastica – Questi sono miei. – annunciò.
Maya si affrettò ad allungare una mano per prenderli per prima – No! Sono miei! – riuscì
ad agguantare solo un bicchiere mentre lui si impadroniva dell’altro.
E quando l’uomo si voltò a fissarla, sorridendole in modo obliquo, Maya rimase a bocca
spalancata.
- Sarebbe triste separarli. – osservò il giovane – Bere da solo un bicchiere di vino è
abbastanza scoraggiante, non trova? Lei ha preso la torta, potrebbe essere così gentile da
lasciarmi il resto?
- La torta non è per me… - un altro pensiero le baluginò in mente, un pensiero orribile –
Per chi è il vino?
L’uomo le sorrise ancora – Per chi è la torta?
Maya rimase immobile mentre lui allungava una mano come se avesse voluto portarle via
il dolce, invece si limitò a sfiorarle le dita facendole provare un disperato bisogno di
piangere… poi lasciò scorrere le dita più su, solleticandole l’interno del polso, il braccio.
Maya trattenne il fiato mentre la mano del giovane si posava al centro del suo petto.
Abbassò lo sguardo e si accorse di essere nuda; non perché non indossasse abiti. Solo
perché lì, in quel punto preciso, avrebbe dovuto esserci qualcosa… una cosa
importantissima. E, invece, non c’era più nulla.
L’uomo si spostò, afferrandola e spingendola tra le proprie braccia. Spegnendo tutto in un
bacio meraviglioso, nel più dolce bacio che qualcuno potesse ricevere.
Maya chiuse gli occhi.
Aveva avuto paura, forse per questo dimenticare era stato più facile. Eppure, anche così,
non avrebbe mai potuto cancellare del tutto i suoi sentimenti, tutto quello che era
accaduto.
Una luce verde baluginò dietro le sue palpebre, una luce cattiva. La luce che l’aveva
portava via da casa impedendole di tornare mai più.
Avrebbe voluto soltanto perdersi in quel bacio e farlo durare per sempre, ma una
consapevolezza tremenda le si rovesciò addosso come acqua gelata. Lasciò cadere il calice
e la torta e si aggrappò a quell’ultimo frammento dell’uomo che aveva amato.
- Perché sei qui? – singhiozzò – Sei, sei… - l’idea che fosse morto era mostruosa. Come
l’idea di aver fallito, di non essere riuscita a salvarlo.
- Maya. – Tom Riddle pronunciò il suo nome lentamente, lasciandoselo rotolare tra le
labbra come un boccone delizioso.
Lei gli afferrò le spalle, lo scrollò – Sei morto? Sei morto? – singhiozzò.
L’uomo roteò gli occhi in un finto gesto di esasperazione e scosse la testa – Oh, no. No.
Ha funzionato tutto, Maya. Quando lui si è reso conto di averti uccisa si è pentito… e tutti i
frammenti d’anima ancora imprigionati negli Horcrux si sono liberati e sono tornati al
proprio posto.
- Ma tu sei qui. Ed io… sono morta. – si guardò intorno con un briciolo di incredulità – Il
regno dei morti è un supermercato?!
Riddle adagiò ancora le labbra sulle sue prima di rispondere – Sì, sei morta. – ammise – E
questo è solo un posto di passaggio. Credo che sia diverso per ciascuno. Avresti fatto la
tua spesa, avresti pagato e poi saresti passata oltre.
- Io… avrei?
- Stavo tornando, sai. Dentro me stesso. Non sarei rimasto imprigionato in quello
scomodissimo ciondolo per nulla al mondo. – Riddle fece spallucce – E poi mi sono reso
conto di avere un paio di scelte. Volevo essere una persona integra. – sorrise – Credi che
se tornassi da Voldemort potrei mai esserlo? Ma tu, invece, potresti essere un Hocrux
delizioso. Insieme saremmo… integri.
Maya lo scostò e si fermò a guardarlo – Vuol dire che… non sono proprio, proprio morta?
- Lo sei stata. Questo è un posto di passaggio, come ho detto. – Riddle rise – Puoi andare
alle casse o uscire senza acquisti e scoprire i vantaggi che comporta dividere la propria
vita con un Horcrux. Come un Horcrux.
Maya si morse le labbra e chiuse gli occhi.
Dare un senso nuovo alla parola eternità . Le parole le si formarono in mente con tutta la
forza della familiarità che c’era tra loro.
Gettò un’occhiata al carrello e a tutti i deliziosi dolci che avrebbe potuto comprare.
- Sì, lo voglio! – urlò – Sì, lo voglio.
Registrò appena il movimento sul suo corpo, la sensazione della seta e del pizzo, e sorrise
cogliendo un lampo bianco.
- Sì, lo voglio. – sorrise lui, scostandole il velo dal viso.
E, tuttavia, prima che potesse baciarla… Maya spalancò gli occhi ed arretrò di un passo.
- Cosa…
Lei lo ignorò, iniziando a correre in cerca dell’uscita.
- Maya! – Riddle la seguì – Maya, cosa dannazione stai facendo?
- Devo raggiungere King’s Cross. Adesso!
Saettarono insieme attraverso le porte scorrevoli, passando per l’uscita senza acquisti…
fuori dal supermercato ogni cosa era immersa in una nebbiolina bianca. Sospesa nel nulla.
Lo stesso immenso edificio dal quale erano usciti scomparve subito, come se non fosse
mai esistito.
- Maya, non possiamo restare qui più a lungo.
Lei gli afferrò una mano – King’s Cross! Adesso! – sibilò – Da Harry Potter!
- Non puoi condividere il passaggio con qualcun altro. Non puoi intrometterti nella morte
di qualcun altro!
Maya gli sorrise e lo afferrò per la cravatta – Siamo uniti, giusto? Siamo la stessa cosa,
giusto?
Riddle annuì.
- Allora, fidati, non sto cercando di intromettermi nella morte di qualcun altro!
Prima che avesse finito di parlare la sagoma di King’s Cross si delineò nella nebbia.
Capitolo 31: Una Fine che Non è una Fine
Ah, la luce…
Filtrava dalla finestra: la luce dell’alba. Bellissima e triste, fredda, lontana.
Con un po’ di sforzo riuscì a spostarsi, a distogliere lo sguardo dalle persiane socchiuse ed
a rotolare giù dal tavolo.
Non c’era una sola parte del suo corpo che non facesse male.
Sollevò le mani, osservandole con curiosità e sentendo il bisogno di raggiungere uno
specchio.
La casa era ancora scura, eppure lei si mosse senza alcun problema attraverso i corridoi.
Fino al grande specchio che troneggiava sulla parete davanti all’ingresso. Si avvicinò
lentamente, avvertendo un piccolo brivido d’ansia scorrerle lungo la schiena. Cercando di
scacciare la paura di essere diventata una specie di zombie.
Eppure era ancora sé stessa. Sorrise, posando la mano sulla fredda superficie di vetro.
Ancora sé stessa… e qualcosa più di prima.
I suoi occhi riflessi nello specchio furono l’ultima cosa a svanire quando se ne allontanò:
due piccole fiamme rosse.
Entrò in cucina muovendosi pianissimo per non far rumore. Si fermò sulla soglia con la
gola serrata e si strofinò via le lacrime.
L’uomo era rimasto lì, immobile e spossato, la testa reclinata sul tavolo. Le spalle curve,
ogni traccia di vigore spazzata via dal dolore.
Maya gli scivolò accanto.
- Dormi… - sussurrò sfiorandogli il viso – Continua a dormire…
Voldemort non si svegliò, neanche quando lo spostò delicatamente per ripulirgli il viso dai
residui delle lacrime, da tutto quello che lo aveva imbrattato come se fosse stato un
bambino piccolo e non un uomo.
Nagini le strisciò accanto.
- Resta qui e fai la guardia. – le sussurrò nella lingua dei serpenti – Quando si sveglia avrà
bisogno di te.
Poi si chinò di nuovo sul viso di Voldemort e lo baciò a lungo, con tutto l’amore che era
capace di imprimere in quel gesto.
- Devo andare. – soffiò – Per essere sicura che le cose cambino.
Per permetterci di scegliere.
Attraversò la cucina e, dopo aver aperto la porta d’ingresso, sparì nella nebbia che
avvolgeva il giardino ed il vecchio cimitero senza mai guardarsi indietro.
*
Il Ministero della Magia, tre mesi dopo la caduta dell’Oscuro Signore.
Rodolphus tirò un’ultima boccata dalla sua sigaretta e poi la gettò a terra, schiacciandola
sotto il tacco. Qualcuno gli passò accanto osservandolo con curiosità, qualcun altro con
malcelato disprezzo.
Era strano, sì. Essere lì. Essere libero. Non avere nessuno alle calcagna che volesse
acciuffarlo e rispedirlo in qualche orrenda galera.
Lestrange socchiuse gli occhi e sospirò: non si era sentito mai così felice. Mai, mai.
Si voltò nello stesso istante in cui la donna gli posò delicatamente una mano sulla spalla.
Le sorrise, lasciandosi riscaldare dalla gratitudine che provava.
- Sei perfetta. Permetti? – le offrì il braccio.
- Gli altri sono già arrivati?
- Il Wizengamot e tutto il resto, sì. Non manca nessuno. – Rodolphus rise e le scoccò
un’occhiata divertita – Sono diventato molto bravo a fare piani, sai? A tenere contatti
improbabili, a tessere intrighi.
- Oh, non ne ho alcun dubbio. Immagino che tu sia pronto.
- Pronto ad andare in scena.
Vennero ricevuti in una grande sala, sotto gli occhi di decine di uomini che li scrutavano
senza alcuna benevolenza.
Era un posto brutto e scuro, Maya pensò che fosse stato progettato per incutere timore,
per mettere a disagio chi si fosse trovato davanti ad una simile assemblea agghindata
come per un processo.
Oh, beh… pensò, se credono che questo possa spaventarmi…
E come avrebbe potuto? Obbligarsi ad uscire da Casa Riddle tre mesi prima, quello era
stato spaventoso. Obbligarsi a saltare sulla traiettoria degli incantesimi assassini di
Voldemort, quello era stato spaventoso.
Maya sospirò e si sedette sulla sedia che era stata scostata per lei, sollevò la veletta e
scrutò l’assemblea con tutto il sussiego che il suo sguardo color del sangue le conferiva,
cercando di rivaleggiare con le espressioni superbe dei vecchi e tronfi ipocriti che aveva
davanti. Poi sorrise, senza riuscire ad evitare di sentirsi… divertita.
Tom!
Andiamo, non sono assurdi?
Lei sorrise e scosse la testa, arrendendosi.
- Ebbene, Lestrange? – uno dei maghi più vecchi e più imponenti gli scoccò un’occhiata
malevola – Abbiamo questioni molto urgenti, decidere per il nuovo ministro, sistemare i
danni che avete…
- Cosa?
Il vecchio mago sbatté le palpebre, decisamente sorpreso all’idea di essere stato
interrotto. E da una Babbana, per di più.
Maya si leccò le labbra e gli sorrise cercando di mostrarsi almeno un po’ pentita – Vede,
sappiamo che avete tanto da fare. Ma c’è qualcosa di davvero importante che dovreste
sapere.
- Non riesco ad immaginare di cosa si tratti. – sbuffò lui – Dovreste essere arrestati seduta
stante per non averci consegnato quel… criminale.
Maya rise – Anche adesso? Anche adesso non riuscite a dire quel nome? Dopo tutti questi
mesi, dopo aver constatato che lord Voldemort non cercherà più di rovesciare il Ministero?
- E’ un assassino! – strillò qualcuno, ed altre voci si unirono alla protesta.
Maya arricciò le labbra, seguendo con un dito una venatura nel marmo del tavolo – Sì, lo
è. – sussurrò – Più o meno come tutti i presenti in questa stanza.
Le proteste si spensero in un silenzio indignato.
- Dovrei farvi arrestare.
- Credo di no, in effetti. – Maya tornò a sorridere, scoccando un’occhiatina tranquilla a
Lestrange – Non c’è alcun motivo per arrestare Voldemort. E non si tratta neanche del
fatto che ci sia la possibilità che si sia del tutto disinteressato alla conquista del potere, dal
momento che nessuno ne ha notizie da mesi. Se emetteste un mandato di cattura per
Voldemort dovreste chiedere di essere arrestati voi stessi.
- Eresia!
Dall’assemblea si levò un boato.
La donna si alzò – Credetemi, ci sono numerose prove del fatto che ciascuno dei signori
qui presenti, per non parlare di altri funzionari del Ministero e della popolazione magica in
genere abbia praticato sistematicamente il razzismo come comune condotta di vita. E no,
non sono solo parole. Personalmente penso che una civiltà che si serve di demoni per
privare della ragione chi sia stato imprigionato, e non stiamo parlando solo di crimini
gravissimi, sia una civiltà barbara. Insegnate nelle vostre scuole a sentirsi superiori ai
Babbani, a chi non può usare la magia come fate voi. Separate delle famiglie d’origine i
bambini ben presto… per indottrinarli a questo proposito, io credo. Chiudete un occhio sui
vostri peccati e accusate chi ne è il frutto. Io dico che nessuno di voi vorrà arrischiarsi a
condannare un uomo instabile per aver agito portando all’estremo le regole che voi avete
sostenuto e contribuito a creare. – prese fiato e fulminò con lo sguardo il vecchio mago.
- E’ inammissibile! – l’uomo si alzò, puntando un dito contro Maya – E’ follia!
- Lo credo anche io, davvero. Per questo motivo convengo con voi sulla necessità di
trovare un nuovo Ministro della Magia. Un uomo che conosca la politica e desideri
cambiare le cose. Qualcuno che abbia conosciuto i due lati della medaglia, cari signori.
Non trovate che Rodolphus Lestrange corrisponda esattamente ad un simile profilo?
- Ora basta, arrestateli e facciamola finita. – sbottò il vecchio.
Lestrange si alzò in piedi e picchiò un pugno sul tavolo – Tra poco non arresterete proprio
più nessuno, signori miei! Tra poco sarete sotto assedio!
- Ma di cosa diavolo va blaterando? – il vecchio si lasciò cadere nuovamente sulla sua
poltrona – Voi due siete ammattiti! Pensate che aver fornito informazioni, che aver salvato
un numero insignificante di vite umane, impedito di far arrestare pericolosi criminali sia un
merito?! Voi siete un cancro per questo Ministero. Voi siete un inutile ammasso di idee
sediziose e condotta immorale… puah!
Maya sbuffò – Qual è il problema? Nessun arresto da sbattere in prima pagina per
rinverdire la vostra fama? Ma qualcuno lo avete arrestato, no? Severus Piton, uno dei
presidi più negligenti di Hogwarts. Ha abbandonato la scuola nel momento del bisogno e
causato molti danni, non è così?
- Ah! – sbottò il vecchio – Ci è stato consegnato legato come un salame, chissà da chi! E
comunque sarà fuori nel giro di un mese. Cosa mi dite, invece, di criminali incalliti come
Bellatrix Lestrange?!
- Infermità mentale. – Maya agitò una mano in aria per accantonare quell’argomento – C’è
chi la cura.
Rodolphus le sorrise.
- Comunque il nuovo Ministro risolverà tutto. Il nuovo Ministro Lestrange.
- Non succederà mai.
- Oh, sì, succederà! – Maya raccolse la sua borsetta e si avviò verso la porta. L’assemblea
tornò a vociare, ma lei si voltò in un luccichio di occhi rossi e tutti si zittirono – Vedete, chi
vorrebbe mai essere Ministro con i guai che stanno per arrivare? In questo stesso
momento, attraverso numerosi canali e da più fonti, vengono fornite ai Babbani
informazioni sulla vostra esistenza. Oblivierete ogni singola persona su questa terra? Non
credo che vi convenga. Pensate a quante azioni legali saranno intentate contro di voi
quando si saprà dell’uso leggero che facevate degli incantesimi di memoria. Ogni malato
affetto da degenerazione neurologica tenterà di accusarvi di tutti i suoi guai… carino, no?
– infilò una mano nella borsetta e ne tirò fuori l’edizione della sera di uno dei più noti
quotidiani nazionali. La sollevò, permettendo a tutti di leggere i titoli sulla prima pagina...
La fine di un’epoca.
- E con questo. – sussurrò, appallottolando il giornale e lanciandolo tra la folla – Lo Statuto
Internazionale per la Segretezza Magica del milleseicentonovantadue è fottuto.
Maya non rimase ad ascoltare la tremenda baruffa, la confusione assoluta che si scatenò
alle sue spalle.
Uscì in fretta, affamata d’aria. Trovò una caffetteria carina ed ordinò un muffin al limone
ed ai semi di papavero ed un milk shake di dimensioni ragguardevoli.
La familiare risatina che risuonava nella sua mente la riempì di una strana soddisfazione…
e di tanta nostalgia.
- Voldemort… - sussurrò, godendo il suono di quel nome – Tutto questo è anche per te.
*
Quando la primavera tornò Maya sentì che era tempo di partire.
Il Ministro Lestrange finse di protestare ma poi le strizzò l’occhio e le augurò di godersi la
sua prima vacanza.
La prima vacanza dopo mesi ininterrotti di lavoro, dopo mesi di frenetiche trattative e
tentativi di gettare le basi sulle quali il mondo sarebbe stato cambiato.
Maya suggerì all’Elfo Domestico che si era presentato alla sua porta quando Lestrange la
aveva assunta di andare a trovare i suoi cugini, e poi passò a ritirare un po’ d’oro dalla
camera segreta che Rodolphus le aveva fatto offrire alla Gringott.
Attraversò il Paiolo Magico e si fermò a respirare odore di smog nel trambusto londinese.
Salì su un bus a caso e si concesse di osservare le persone che sciamavano fuori e dentro i
negozi, sui marciapiedi. Qui e lì, tra jeans e felpe, era facile individuare qualche tunica
sgargiante.
Con un sorriso Maya sollevò lo sguardo e la sua attenzione venne catturata da un grande
cartellone pubblicitario.
Obbligò il conducente del bus a fermarsi ed attraversò la strada.
Un lungo serpente con gli occhi d’oro ammiccava verso di lei, giusto contorno ad uno
slogan che reclamizzava viaggi in India.
Vieni Maya, vieni a cercarmi…
Entrò in un’agenzia di viaggio qualunque e acquistò un biglietto per il primo volo
disponibile per New Delhi.
- Ma ne è sicura? – la signorina dell’agenzia la fissò senza riuscire a nascondere la
perplessità – Per riuscire a prendere questo volo dovrebbe raggiungere subito l’aeroporto.
- Non potrebbe chiamarmi un taxi, allora?
La donna annuì – Ma… la sua valigia?
Maya abbassò gli occhi e sorrise – Si può fare un lunghissimo viaggio anche solo con un
paio di scarpe da ginnastica, una camicia ed un paio di jeans. Tutto il resto è già dentro di
me. E, beh… per il resto ci sono i supermercati, non crede?
Con un sospiro la signorina annuì e chiamò un taxi.
Vieni Maya, vieni a cercarmi…
Sto arrivando, Voldemort.
FINE
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Fate i bravi!
Niente plagi, niente riutilizzi non autorizzati...
I personaggi originali creati da me mi appartengono e NON possono essere
usati senza il mio consenso.
Harry Potter appartiene a chi ne detiene i diritti: questa è una fanfiction scritta
senza scopo di lucro e per puro piacere personale!