le basi del diritto amministrativo

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le basi del diritto amministrativo
LE BASI DEL DIRITTO
AMMINISTRATIVO
Sabino Cassese
INTRODUZIONE
L’arret Blanco
Bordeaux 1872. Una bambina di 5 anni, Agnès Blanco, viene urtata e gravemente ferita da un
piccolo vagone, carico di tabacco, condotto da 4 operai dell’azienda statale dei tabacchi. Il padre
della bambina inizia, dinanzi al Tribunale civile della città, una causa per responsabilità contro i 4
operai e contro lo Stato, come civilmente responsabile dell’imprudenza dei suoi dipendenti. Il
Prefetto di Bordeaux declina la competenza del Tribunale e solleva il conflitto, che viene portato al
Tribunal des Conflits (organo particolare dell’ordinamento francese, composto dai Giudici del
Consiglio di Stato e dai Giudici della Corte di Cassazione, chiamato a risolvere i conflitti tra
Giudici ordinari e Giudici amministrativi; istituito nel 1948, soppresso nel 1851, ristabilito
definitivamente nel 1872) il quale, l’8 febbraio 1873 decide che spetta al Giudice amministrativo e
non ai Tribunali ordinari valutare tale responsabilità. Esistono dunque 2 diritti: uno applicabile ai
rapporti tra i privati e l’altro ai rapporti tra amministrazioni pubbliche e i privati; appunto il diritto
amministrativo. La decisione, nota come Arret Blanco, verrà considerata per tutto il 900,
rivoluzionaria, pietra angolare del diritto amministrativo, suo fondamento nonché data di nascita
convenzionale del diritto amministrativo stesso.
Il diritto amministrativo
Nell’età giolittiana: parte dell’ordinamento giuridico che è relativa alla pubblica amministrazione
(diritto amministrativo in senso proprio). Nell’età preorlandiana: riflessione dei giuristi relativa a
quella parte dell’ordinamento giuridico che riguarda la pubblica amministrazione (scienza del
diritto amministrativo). Oggi il sillogismo, accettato in passato, secondo il quale diritto =
esecuzione di norme statali, diritto amministrativo = complesso delle norme statali relative
all’amministrazione, non è più la base dello studio giuridico dell’amministrazione.
Gli elementi della pubblica amministrazione
Si può dire che l’amministrazione è composta dai seguenti elementi:
1) funzioni;
2) articolate in uffici, dotati di poteri;
3) cui sono assegnati personale e mezzi finanziari;
4) i cui poteri si articolano in sequenze, definiti procedimenti, e si concludono con atti
(provvedimenti o contratti).
Gli uffici (e più in generale, l’organizzazione) il personale e i mezzi finanziari possono considerarsi
gli aspetti statici dell’amministrazione mentre, i procedimenti, l’aspetto dinamico. Le funzioni
servono di collegamento tra gli uffici e i procedimenti.
La pubblica amministrazione e gli altri poteri
L’amministrazione, pur essendo separata da altri poteri (come quello governativo e giudiziario),
ne è in vario modo influenzata.
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’amministrazione pubblica e gli altri poteri pubblici
Mentre le entrate patrimoniali costituiscono meno dell’1% del totale delle entrate pubbliche, 1/3
della forza lavoro è occupato dall’amministrazione pubblica. Essendo prerogativa esclusiva delle
amministrazioni l’essersi sviluppate in misura superiore all’aumento della popolazione, è lecito
affermare che, nell’ordinamento dei poteri pubblici, i poteri legislativi e giudiziari sono recessivi
rispetto a quello amministrativo. Già Kelsen nel 1923 affermava che l’amministrazione e non la
legislazione o l’attività giurisdizionale, è il centro dell’attività statale.
Storia dell’amministrazione
Fin dall’antichità sono esistiti apparati esecutivi; questi però, non erano in senso stretto
amministrazioni in quanto si avvalevano del diritto privato per la loro regolamentazione; ciò
significa che non è corretto affermare che da quando esistono poteri pubblici vi sono pubbliche
amministrazioni. Soltanto verso la metà del XVIII secolo la parola amministrazione si trova nel suo
senso moderno e generale.
La fase preparatoria
La fase preparatoria della storia dell’amministrazione si svolge, nel mondo occidentale, nel
periodo tra il XIV ed il XVIII secolo. Si comincia in Francia ed Inghilterra, seguite dalla Spagna;
Germania ed Italia arriveranno successivamente. La fase preparatoria è composita di varie fasi:
1) unificazione nazionale mediante coalizione;
2) legittimazione originale e non derivata dei governanti (Re);
3) in periferia, sostituzione dei nobili con i funzionari;
4) vendita degli uffici;
5) combinazione tra interessi pubblici e interessi privati
6) costituzione di una burocrazia stabile (il motto era l’imperatore passa, i generali restano;
successivamente, il governo passa, l’amministrazione resta).
(Solo) tra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo può dirsi affermata una pubblica
amministrazione.
L’amministrazione dalla metà del XIX secolo al XX secolo
Di regola, alla metà del 1800, le amministrazioni pubbliche hanno raggiunto caratteri definiti.
Erano distinguibili due tipi principali di amministrazione: francese ed inglese.
FRANCESE
unitario al centro;
accentrato;
ordinato in modo uniforme (delle province, stesse dimensioni, stessi istituti ecc.);
decisioni pubbliche accompagnate da un’autorità particolare che diminuiva i poteri dei cittadini e
ne consentiva l’esecuzione senza l’assistenza del Giudice;
rapporti con le amministrazioni retti da principi speciali diversi da quelli propri del diritto privato;
per controversie con amministrazione Giudice ad hoc.
INGLESE
più organismi centrali;
fondato sul self-government della periferia;
struttura diversificata;
non diversità tra pretese dell’amministrazione e quelle dei privati;
regole per l’amministrazione a parte me non diverse da quelle dei privati;
per controversie con amministrazione Giudice di diritto comune.
Dalla fine del 1800 ad oggi le amministrazioni pubbliche sono passate dal 3-5% al 25-30% della
forze lavoro ed hanno occupato quasi ogni campo o funzione sociale. Di questo mutamento sono
state date 2 spiegazioni: crescita irregolare; crescita regolare.
Le amministrazioni, fino al XIX secolo, erano o amministrazioni dello Stato o amministrazioni di
enti federali o locali. Nell’Europa continentale (Francia, Germania, Spagna, Italia) prevalevano le
amministrazioni dello Stato; nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America prevalevano invece le
amministrazioni federali o locali. Nel XX secolo i due modelli sono andati convergendo. Un
sistema federale o regionale è stato introdotto nel 1948 in Germania e nel 1970 in Italia. Inoltre, i
due tipi francese ed inglese, sono andati avvicinandosi ed anzi si sta riconoscendo come essi, in
origine, non erano così diversi come aveva fatto credere la scienza giuridica. Così, mentre nei Paesi
anglosassoni si riscopre lo Stato, in quelli di tipo francese si moltiplicano i poteri indipendenti dal
governo.
Storia dell’amministrazione nell’Italia unita
Di un’amministrazione italiana in senso proprio si può parlare a partire dal 1861-1871.
I caratteri originari
Si è formata l’opinione, tuttora largamente consolidata, che l’amministrazione italiana abbia
seguito il modello francese-napoleonico. In realtà le basi costituzionali delle 2 amministrazioni
erano molto diverse. Le caratteristiche dominanti dell’amministrazione francese erano:
l’uniformità amministrativa, una potente elite amministrativa, il Conseil d’Etat, i Prefetti.
L’uniformità fu adottata anche in Italia ma poi presto abbandonata; l’eccezionale cura nella scelta
degli alti gradi dell’amministrazione e la complessità dell’amministrazione centrale non trovarono
alcun riscontro nell’amministrazione italiana; il Consiglio di Stato italiano non avrà il peso di
quello del Conseil d’Etat; quello francese è un sistema prefettizio integrato mentre quello italiano è
duale, o meglio, pluralizzato.
Dal 1861 al 1885
Amministrazione monistica ordinata unitariamente intorno al Governo con il modello cavouriano.
Del 1853. Pubblica amministrazione si riassume nei Ministeri. Al vertice Presidente del Consiglio
dei Ministri che è anche Ministro dell’Interno. Osmosi tra politica e amministrazione. Prefetto
organo politicoamministrativo alla mercè del Ministro dell’interno che può licenziarlo
discrezionalmente. Nemmeno l’amministrazione locale è autonoma. Sindaco nominato dal
Governo su proposta del Prefetto.
Dal 1885 al 1923
Periodo in cui l’amministrazione italiana subisce i mutamenti più significativi. Crispi nel 1888
introduce la figura del sottosegretario sull’esempio inglese. Dipendenti dell’amministrazione nel
191 ottengono la c.d. progressione a ruolo aperto (avanzamento di carriera, per anzianità o merito,
senza che vi sia bisogno della disponibilità di un posto in organico). Diminuisce presenza
piemontesi con progressiva meridionalizzazione. Si affaccia e si diffonde il sindacalismo
amministrativo. Giolitti nel 1908 concede il primo statuto agli impiegati statali.
Dal 1923 al 1948
Affermarsi del pluralismo amministrativo. 1933 Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.).
Diffusione della formula della società privata con partecipazione statale (Azienda generale italiana
petroli A.G.I.P. del 1926).
Dal 1948 al 1970
Costituzione democratica accentua il pluralismo amministrativo. Nel 1957 terzo statuto del
personale con il testo unico delle leggi sull’impiego civile con lo Stato. 1950 Cassa per il
Mezzogiorno divenuta nel 1986 Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno. Ente
nazionale idrocarburi E.N.I. 1953.
Dal 1970 al 1990
Ulteriore ampliamento delle funzioni pubbliche. 1978 Servizio sanitario nazionale. 1985 Ente
ferrovie dello Stato. 1988 ordinata la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 1986 Ministero
dell’Ambiente. Nel 1972 viene istituita la dirigenza, nel 1980 le qualifiche funzionali e nel 1983
viene generalizzata la contrattazione delle condizioni di lavoro e del trattamento economico del
pubblico impiego. Nel 1970 eletti Consigli delle 15 Regioni a statuto ordinario.
Dal 1990
Intenso cambiamento amministrativo. 7 degli 8 referendum abrogativi del 1993 hanno interessato
la pubblica amministrazione. 1990 leggi per gli enti locali. 1993 leggi per tutte le pubbliche
amministrazioni che stabiliscono il principio che tutti gli organi di governo definiscono gli obiettivi
e i programmi da attuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle
direttive generali, mentre ai dirigenti amministrativi spetta la gestione. 1993 leggi trasformano la
maggior parte degli enti pubblici economici in società per azioni. Radicale mutamento della
disciplina del personale che passa da un regime di impiego pubblico ad una disciplina del
rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione non diversa da quella di diritto comune.
Adottata disciplina generale sul procedimento. 1994 consentito a cittadini di altri Stati di accedere
a uffici pubblici italiani. Carta dei Servizi. Nel 1860 1 dipendente pubblico ogni 145 abitanti; ora 1
ogni 12.
Il sostantivo amministrazione
Definizioni più diffuse di amministrazione sono esecuzione di legge e cura concreta di interessi
pubblici. La prima fa riferimento alla divisione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario ma
è dubbio che la divisione dei poteri sia ancora un principio del diritto italiano; la seconda, pur
volendo differenziarsi dalla prima, ne è invece solo una variante.
L’aggettivo pubblica
Con esso ci si riferisce solitamente all’appartenenza soggettiva dell’amministrazione. E’pubblica
quindi un’amministrazione che pertiene ad una persona giuridica pubblica. Ma il diritto positivo
smentisce questa conclusione. Da una parte infatti non tutte le persone giuridiche pubbliche hanno
una amministrazione pubblica (alcune la hanno privata). Dall’altra vi sono amministrazioni
pubbliche che pertengono a soggetti privati. La risposta al perché sia in auge l’affermazione che
poi il diritto smentisce è da ricercarsi in un elemento interno all’amministrazione, il modo in cui è
regolata la sua funzione, nel tipo di disciplina alla quale sono sottoposti i suoi fini.
L’amministrazione è in funzione di interessi collettivi. Questi agiscono, rispetto
all’amministrazione, non in forma di limiti o di vincoli esterni, ma come limiti interni. Lo stesso
riferimento soggettivo (necessario) dell’amministrazione è in crisi, per il semplice fatto che
l’amministrazione è divenuta più importante e giuridicamente rilevante della persona giuridica
pubblica dietro la quale la si vorrebbe nascondere.
I confini delle amministrazioni pubbliche. Un nuovo concetto: il settore pubblico. Le
norme nazionali vigenti
La legge 5 agosto 1978, n. 468definisce settore pubblico, oltre allo Stato, le aziende autonome dello
Stato, le Province, i Comuni e le relative aziende, gli enti portuali, l’Ente nazionale per l’energia
elettrica E.N.E.L. e gli enti pubblici non economici elencati in una tabella allegata. Agli enti inclusi
nel settore pubblico è fatto obbligo di normalizzare (o omogeneizzare) i propri conti, adeguando la
contabilità e i bilanci al bilancio dello Stato e alle sue classificazioni. Importante la legge 7 agosto
1990 n. 241. Da ultimo è intervenuto il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, corretto dai decreti
n. 470 del 10 novembre 1993 e n. 546 del 23 dicembre 1993 che dispone che per amministrazioni
pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, Regioni, Province, Comuni ecc..
Le disposizioni comunitarie
La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha deciso che la nozione di pubblica
amministrazione non va lasciata agli Stati ma interpretata ed applicata in modo uniforme
nell’intera Comunità. Ha conseguentemente stabilito che la pubblica amministrazione è
caratterizzata da 2 tratti: l’esercizio di poteri pubblici e la tutela di interessi generali dello Stato o
delle altre collettività pubbliche. La definizione della Corte è quindi riduttiva perché non include
nella nozione di pubblica amministrazione tutto ciò che risale allo Stato. Le direttive 18 giugno
1992 n. 50 e 14 giugno 1993 nn. 36, 37 e 38, relative agli appalti pubblici di servizi, di forniture, di
lavori e agli appalti pubblici nei c.d. settori esclusi (acqua, energia, trasporti e telecomunicazioni9
dispongono che si considerano amministrazioni aggiudicatrici lo Stato, gli enti locali e, tra gli altri,
gli organismi di diritto pubblico. Per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi organismo
istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale avente carattere non
industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica, la cui attività è finanziata in modo
maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui
gestione è soggetta a controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione o di
vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o
da altri organismi di diritto pubblico.
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Nascita del diritto amministrativo in Francia. La Rivoluzione francese e l’antico regime
Secondo l’opinione più diffusa il diritto amministrativo sarebbe il frutto della Rivoluzione
francese, frutto che diventerebbe adulto nel periodo fino al 1813 e maturo nel secolo successivo. In
realtà la Rivoluzione francese produsse solo 3 modificazioni: con la costituzione dell’anno VIII
(1800) vennero riordinate le strutture amministrative secondo i criteri dell’uniformità,
dell’accentramento e della gerarchia. La legge n. 16 del 24 agosto 1790 stabilì che le funzioni
amministrative e giurisdizionali erano separate; la Costituzione dell’anno VIII istituì il Consiglio di
Stato, con funzioni di progettazione legislativa e di consulenza dell’esecutivo.
A questa opinione se ne oppone un’altra, affacciatasi di recente come tardivo sviluppo della tesi di
Toqueville circa la continuità tra Ancien Règime e istituzioni postrivoluzionarie, secondo la quale
la nascita del diritto amministrativo sarebbe il frutto di una lenta preparazione che va dall’XI al
XVIII secolo.
L’età liberale: i tre fattori di sviluppo
Il primo è costituito dall’affermazione della specialità o specificità del diritto relativo
all’amministrazione e dalla sua separazione dal diritto privato. Il secondo dall’attribuzione delle
controversie relative all’amministrazione-autorità ad un Giudice speciale, il Consiglio di Stato. Il
terzo rappresentato dall’esigenza di determinare l’equilibrio tra prerogative dell’amministrazione
e diritti dei cittadini ricorrendo alla legge ed affermando che l’amministrazione le è sottoposta
(principio di legalità dell’amministrazione). Tutti e 3 insieme creano la massa critica necessaria per
l’affermarsi di un ramo nuovo del diritto, quello amministrativo. Le amministrazioni sottoposte ad
esso si chiameranno amministrazioni a diritto amministrativo, per distinguerle da quelle
sottoposte al diritto privato ed ai Giudici ordinari. Prima che agissero questi 3 fattori vi erano
amministrazioni pubbliche ma non un diritto amministrativo (anche se quest’ultima affermazione
non è più vera oggi come più avanti sarà chiarito).
La specialità e l’arret Blanco
La specialità del diritto amministrativo è affermata per la prima volta in maniera generale
dall’arret Blanco.
Il Conseil d’Etat
L’introduzione del Consiglio di Stato come Giudice è frutto di una legge. Esso è solo un organo
consultivo. Dopo moti rivoluzionari del 1848, la II Repubblica gli darà la justice dèlèguèe, che gli
sarà tolta dal II Impero nel 1852 e ridata definitivamente con la legge 24 maggio 1872. Quest’ultima
legge, che rimarrà in vigore fino al 1940, trasforma dunque il Consiglio di Stato in vero e proprio
Giudice che decide in modo indipendente dal Governo, in nome del popolo. A partire dal 1872
diventa più attivo (tutore dei diritti dei cittadini e allo stesso tempo regolatore del funzionamento
dell’amministrazione.
Il principio di legalità
Il principio di legalità in origine ha questo significato: nei rapporti amministrazione-cittadino
definisce e limita l’autorità della prima nei confronti del secondo. Più tardi esso si imporrà anche
nei rapporti amministrazione-governo, dove invece legittimerà e delimiterà i poteri
dell’amministrazione nei confronti del Governo.
Lo sviluppo nei paesi anglosassoni. La tesi di Dicey
Un’analisi del mancato sviluppo (e dei suoi limiti) del diritto amministrativo in Inghilterra non
può che cominciare con l’opera di Albert Venn Dicey (1835–1922), il più importante giurista
inglese degli ultimi secoli. Egli affermava che il diritto amministrativo era sconosciuto al diritto
inglese e che era un diritto che creava privilegi e quindi era illiberale. Nell’Inghilterra, secondo
Dicey prevaleva invece la rule of law (un diritto non scritto, dichiarato dai Giudici), alla quale tutti
i soggetti sono sottoposti indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, e v’era un solo
Giudice, quello ordinario.
Suoi limiti
La tesi di Dicey era solo parzialmente vera sia per la Francia che per l’Inghilterra. In Francia perché
nell’ultimo quarto del XIX secolo, l’azione amministrativa era già sottoposta ad un numero
crescente di leggi; in Inghilterra perché da almeno 300 anni esistevano regole speciali dettate da
leggi che modificavano l’ordinary law, relative alle sole autorità pubbliche ed esistevano corpi
giudicanti speciali (commissions o tribunals).
Sua influenza
Tesi di Dicey ebbe tuttavia un’influenza immensa e ciò accadde perché essa rappresentava
un’interpretazione ispirata da un’ardente fede nell’individualismo e nel liberismo. Alcuni
sostengono che sua tesi prevalse perché egli elevava a principio costituzionale la regola della
prevalenza delle corti ordinarie su quelle locali e su quelle ecclesiastiche, regola affermatasi
peraltro a livello ordinario da 300 anni. Altra spiegazione offerta da Robson nel 1932 che poggia
sulla lotta ingaggiata, nel XVI secolo, tra Corona e Parlamento.
Genesi della tesi di Dicey
Dicey fu molto influenzato da Toqueville, il quale aveva espresso molti dubbi sugli sviluppi del
diritto amministrativo francese, relativamente a 2 punti. Il primo era la compatibilità della
centralizzazione, dell’uniformità e dell’unità, proprie del diritto amministrativo francese, con le
istituzioni politiche rappresentative. Il secondo era l’esistenza di una justice retenue, nel senso che i
conflitti amministrazione-cittadini erano rimessi al Conseil d’Etat, ma solo in funzione consultiva
dell’esecutivo. Solo che Dicey arriva 40 anni dopo Toqueville e nel suo tempo Il Conseil d’Etat era
già divenuto Giudice a pieno titolo. Pensiero di Dicey non potè comunque impedire la crescita
dell’amministrazione e lo sviluppo di un diritto speciale in Inghilterra.
Modificazioni successive
Con il passare del tempo Dicey rivede le sue posizioni e nel 1870 sostiene che il diritto
amministrativo si avvicina al diritto anche grazie allo sviluppo del Consiglio di Stato che gli ha
fatto perdere il carattere arbitrario. Successivamente Dicey, passando in rassegna gli ultimi
sviluppi inglesi e francesi nota ancora differenze in primo luogo nel ruolo di non ancora totale
indipendenza dal Governo che in Francia secondo lui aveva il Conseil d’Etat.
Conclusioni
In sostanza si può affermare che tra Francia ed Inghilterra le differenze non erano poi molte salvo
una evidente: mentre la Francia aveva un Giudice speciale per i rapporti amministrazione-cittadini
l’Inghilterra non l’aveva, o meglio non ne aveva uno con competenze generali e con chiare
funzioni giurisdizionali. Da notare tuttavia come lo sviluppo francese e inglese, dominati entrambi
dall’ideale liberale, condussero ad esiti diversi: da una parte all’affermazione del Conseil d’Etat;
dall’altra all’affermazione che l’amministrazione dovesse essere sottoposta al controllo del Giudice
ordinario.
Le origini in Italia
Può dirsi in generale che l’amministrazione pubblica, in Italia, avesse imboccato in origine una
strada simile a quella inglese, per spostarsi poi su una linea simile a quella francese.
esempi mostrano la complessità del rapporto tra diritto pubblico e privato in quello
amministrativo. Amministrazione e diritto pubblico sono 2 realtà che coincidono solo in parte
perché l’amministrazione non può funzionare nel quadro tradizionale del diritto pubblico. A enti
pubblici e indifferentemente a enti privati possono far capo servizi pubblici a gestione pubblica o a
gestione privata.
Importanza e perdita di specialità del giudice speciale
In Italia per almeno un ventennio dopo l’unificazione prevalsero le qualificazioni privatistiche; di
conseguenza, ad esempio, il rapporto di pubblico impiego veniva considerato come un contratto di
locazione.; l’atto amministrativo non veniva inteso come imperativo; la proprietà
dell’amministrazione era considerata come quella del privato. A partire dal 1880 le cose cambiano
e si accentua la qualificazione pubblicista ed il diritto amministrativo viene inteso solo come un
ramo del diritto pubblico.
Il Giudice speciale ha assunto un’importanza crescente soprattutto grazie alla estensione delle
materie che può esaminare. Ancora più rilevante è la crescita della sua indipendenza
dall’esecutivo. Esso non fa parte dell’ordine giudiziario: in Francia ne è ancora formalmente
Presidente il Primo Ministro o il Ministro della Giustizia; sia in Italia che in Francia il Governo ha
ancora un potere di nomina di membri del Consiglio di Stato; tuttavia, la scelta ordinaria dei
Magistrati è fatta attraverso concorso e, in Italia, il Consiglio di Presidenza della giustizia
amministrativa, costituito presso il Consiglio di Stato, opera come organo di garanzia
dell’indipendenza dei Giudici. Infine il Giudice speciale non si limita ad annullare l’atto
amministrativo ma assicura una tutela sempre più simile a quella del Giudice ordinario.
La giustizia amministrativa
L’aumento della legislazione
La specialità del diritto amministrativo
Andamento simile ha la giustizia amministrativa. Gli Stati preunitari avevano un sistema del
contenzioso sul modello francese; spazzato via dalla restaurazione e poi reintrodotto; ma nel 1865
abolito dal Parlamento convinto che l’amministrazione non fosse diversa dal privato e Giudice dei
diritti divenne l’autorità giudiziaria ordinaria. Con legge del 1889, perfezionata nel 1907, al
Consiglio di Stato, prima solo organo consultivo per i ricorsi straordinari al Re e organo di
soluzione dei conflitti di attribuzione, fu affidata la competenza a decidere sui ricorsi per
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge contro atti amministrativi, aventi ad oggetto
interessi legittimi. Nel 1923, al Giudice amministrativo venne attribuita per alcune materie
(fondamentale quella del pubblico impiego) la giurisdizione anche per la lesione di diritti
soggettivi. Nel 1971 e 1977 tale giurisdizione è stata ampliata.
La legislazione amministrativa
Prima fase dal 1861 al 1888 (fondamentale la legge 20 marzo 1865 n. 2248 sull’unificazione
amministrativa del Regno); seconda fase la legislazione crispina; terza fase a partire dal 1923.
Diritto amministrativo e diritto
amministrazioni privatistiche
comune:
la
confluenza.
Lo
sviluppo
delle
Nei Paesi c.d. a diritto amministrativo, si registra in primo luogo, un forte sviluppo delle
amministrazioni privatistiche, ordinate secondo le prescrizioni del codice civile (ad esempio,
società private con partecipazione pubblica) e delle attività di diritto privato delle amministrazioni
pubbliche (ad esempio, contrattazione), sottratte al principio di legalità. Diritto pubblico e diritto
privato, poi, vanno spesso a mescolarsi con risultati vari. Questa commistione nel diritto
amministrativo produce molti equivoci: quella che viene diffusamente denominata privatizzazione
di società con partecipazione statale, non è tecnicamente tale, perché le società sono private. Ciò
che cambia è solo il comando, che da pubblico diventa privato. Altro esempio è quello del
frequente innesto di regole pubblicistiche in organismi privati: il soggetto rimane privato ma viene
sottoposto ad una disciplina dell’attività propria di organismi pubblici. Un terzo esempio è quello
della Commissione nazionale per la società e la borsa, Consob. In questo caso si è in presenza di un
soggetto pubblico che adopera provvedimenti prescrittivi e, quindi, pubblici; ma lo fa, non per
curare un interesse statale o pubblico, bensì per tutelare un interesse privato che diviene pubblico
solo di riflesso. Quarto esempio: sempre più di frequente le amministrazioni pubbliche, al loro
interno, ricorrono a moduli organizzativi di tipo privatistico, come quelli convenzionali, quali, ad
esempio, accordi. E fanno ciò nello svolgere attività e nel curare fini di diritto pubblico. In questo
caso amministrazioni pubbliche utilizzano istituti privatistici in funzione di interessi pubblici. I 4
Divenuti gli ordinamenti politici pluriclasse, con il suffragio universale ogni interesse trova la sua
voce in Parlamento e si moltiplicano le leggi che vanno a regolare l’amministrazione. Il principio di
legalità non basta più e si moltiplicano i diritti speciali nel diritto amministrativo al punto che in
Francia e Germania si distingue un diritto amministrativo generale dai diritti amministrativi
speciali. L’amministrazione che prima era principalmente in funzione del Governo, è ora
principalmente in funzione dei cittadini.
La distinzione tra diritto pubblico e privato nel Regno Unito
Già Dicey riconobbe che in Inghilterra si andavano moltiplicando leggi relative alle pubbliche
amministrazioni e quindi di deroga al diritto comune. Più tardi, negli anni 30 e 40, soprattutto
grazie a Beveridge vi sarà un ulteriore grande sviluppo della legislazione amministrativa che
creerà e regolerà i settori maggiori del c.d. Welfare State (scuola, sanità, sicurezza sociale).
Seguiranno le nazionalizzazioni del 1946 e, a partire dagli anni 80, le privatizzazioni.
I giudici dell’amministrazione
La differenza tra Francia ed Inghilterra relativa la fatto che la prima aveva un Giudice ad hoc per la
pubblica amministrazione e l’Inghilterra il Giudice ordinario indifferentemente per la stessa ed i
privati, subisce con il tempo notevoli sviluppi in Inghilterra. In primo luogo, accanto a quelli
preesistenti sono andati costituendosi organi quasi giurisdizionali, che non sono né parte del
sistema giudiziario (le corti) né di quello amministrativo (i dipartimenti). Gli studiosi inglesi
distinguono questi organi in 2 gruppi: policy-oriented tribunals e court-substitute tribunals a
seconda che prevalgano compiti di indirizzo o compiti di conflitto. Un secondo sviluppo riguarda i
Giudici in senso stretto e può essere riassunto in 4 tappe:
1) lenta introduzione di particolari tipi di impugnative, dirette solo contro la pubblica
amministrazione (prerogative orders);
2) articolazione della procedura di impugnativa in 2 fasi (la prima delle quali diretta ad una
delibazione del ricorso) e dall’introduzione di un termine breve (3 mesi) per tali
impugnative;
3) decisione della House of Lords del 1982 con decisione che la procedura di impugnazione in
2 fasi e con termini brevi è quella esclusiva delle controversie di diritto pubblico ed è
alternativa ad altri ricorsi. A questo punto, dunque, il diritto pubblico è considerato dai
Giudici in maniera diversa dal diritto privato. Non a caso, questa decisione è stata ritenuta
un nuovo arret Blanco.
4) Specializzazione della Divisional Court of the Queen’s Bench Division nell’esame dei casi
di richiesta di prerogative orders e dall’attribuzione a questo ramo dell’ordine giudiziario
di specialisti nelle controversie di diritto pubblico. Così, in modo cauto e frammentario, un
diritto amministrativo si è sviluppato anche in Inghilterra e si è sviluppato specialmente
dopo il 1977 insieme con la distinzione tra diritto pubblico e privato, in virtù
dell’atteggiamento dei Giudici ordinari che hanno rovesciato il ragionamento di Dicey.
Legislazione e giudici amministrativi negli Stati Uniti d’America
Anche per Stati Uniti sviluppi sia per legislazione ad hoc, sia per Giudici dei rapporti
amministrazione-cittadini. Il New Deal produce l’istituzione di altri corpi amministrativi dotati di
compiti regolativi. Tali normative suscitarono violente critiche che si rivolsero principalmente
contro il c.d. dispotismo amministrativo. Per rispondere alle critiche venne adottata nel 1946 una
legge sul procedimento amministrativo (Administrative Procedure Act). Questa, oltre a definire i
diritti dei cittadini nei rapporti con le amministrazioni, prevedeva un apposito ufficio, detto
examiner, chiamato a compiere l’istruttoria nei procedimenti amministrativi (non è un vero
Giudice ed ha una posizione semi indipendente dall’amministrazione in cui opera). A partire dal
1965 procedure trial-type per maggiore pubblicità e partecipazione da parte dei rappresentanti
degli interessi collettivi. Varie soluzioni con il tempo al problema dell’eccesso procedurale
americano: rafforzamento del governo dei Giudici, più veloce controllo giudiziario della
discrezionalità amministrativa, restituzione dei poteri a Stati membri che Federazione ha assorbito,
deregolamentare e decentrare.
Conclusioni
Nella legislazione amministrativa convivono oggi le 2 tradizioni del diritto amministrativo: quella
del periodo iniziale e quella della maturità.
Da un lato, un diritto amministrativo mosso dalla sfiducia nel potere pubblico e ordinato allo
scopo di controllarlo; diritto amministrativo in questo senso non è tutto il diritto relativo
all’amministrazione pubblica ma solo quello necessario a controllarla. Esso è bipartito: da un lato
l’autorità, dall’altro il cittadino. Qui è presente la componente liberale del diritto amministrativo.
Dall’altro lato un diritto amministrativo spinto dal bisogno che la società ha delle amministrazioni
pubbliche e ordinato allo scopo di assicurare che esse eroghino servizi ai cittadini. Di conseguenza,
centro di gravità non nei Giudici e nei controlli, ma nella legislazione, nelle regolazioni
amministrative e nella efficienza della macchina amministrativa. Il diritto amministrativo in questo
senso non è bipartito, bensì multipolare, concorrendo in esso un largo numero di interessi privati e
di amministrazioni pubbliche, non necessariamente disposti nella opposizione pubblico-privati.
Qui è presente la componente democraticosociale del diritto amministrativo.
Un diritto senza codice
Particolarmente importante la giurisprudenza amministrativa, che non aiuta solo a dare un ordine
ad una normativa non congruente, ma formula principi accettati come diritto positivo (c.d.
funzione pretoria del Tribunali amministrativi).
LA SCIENZA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Varietà e importanza della scienza del diritto amministrativo
La presenza di una pubblica amministrazione e di un diritto amministrativo non comportano
necessariamente la nascita e lo sviluppo della scienza del diritto amministrativo. Si può peraltro
dire che, sia pure con estensione diversa, in tutti i Paesi sviluppati vi è oggi una scienza che si
occupa del diritto amministrativo. Relativamente all’Italia, il positivismo normativistico, imperante
almeno dagli anni 30 agli anni 80 del 900 e ancora oggi molto influente, ha programmaticamente
sminuito il compito della scienza giuridica, sostenendo che il diritto si risolve in norme che parlano
da sole senza nessun altro ausilio. Tuttavia, come ha affermato il Consiglio di Stato, il diritto
amministrativo risulta non solo da norme, ma anche da principi che dottrina e giurisprudenza
hanno elaborato e ridotto a dignità ed unità di sistema.
Prodromi e nascita in Francia, Italia e Germania
Quando e come nasce la scienza del diritto amministrativo? Alcuni sostengono nello sviluppo, da
parte dei dottori, nell’Ancien Règime, in funzione garantistica, di nozioni di base di provenienza
romana. Più convincente pare la datazione della nascita del diritto amministrativo nella prima
metà dell’800, con l’opera sui Principi generali del diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni
(1814), di Gian Domenico Romagnosi (1761-1835).
Non si può parlare comunque dello sviluppo della scienza del diritto amministrativo fino alla
seconda metà del XIX secolo, quando nelle pubbliche amministrazioni si forma un corpo di regole
che sarà chiamato diritto amministrativo.
In Francia
In Francia nel 1818 era apparso il volume L-A Macarel, sulla giurisprudenza amministrativa e
l’anno seguente era stato istituito un insegnamento universitario di diritto pubblico e diritto
amministrativo. Nel 1846 Toqueville parlava del diritto amministrativo come una scienza tanto
nuova e ancora tanto contestata, ma Toqueville, viste le sue idee in merito, non era certamente un
testimone imparziale. Fino al 1886, il diritto amministrativo fu considerato, da Jèze, un caos senza
principi. Ad ogni modo, l’indirizzo seguito in Francia è prevalentemente giurisprudenziale, come è
comprensibile, considerando l’importanza del Conseil d’Etat.
In Italia
In Italia, negli anni che vanno da circa la metà del XIX secolo al 1889, vi è un forte sviluppo del
diritto amministrativo, con notevoli studiosi, ma senza una scuola o un orientamento unitario. I
giuristi di questa epoca vengono quindi convenzionalmente definiti preorlandiani. Nel 1885, il
regolamento Coppino unisce all’insegnamento universitario della scienza dell’amministrazione
quello del diritto amministrativo (nel 1935 l’insegnamento diventerà di solo diritto
amministrativo). La scienza del diritto amministrativo in questi anni viene ancora considerata da
molti parte del diritto privato. Essa è di ispirazione francese anche se quelli d’oltralpe, vengono
spessi scelti come modelli negativi.
In Germania
Su tutt’altre basi si forma il diritto amministrativo dell’area tedesca. Preparato da Carl Gerber e da
Paul Laband (1876) l’atto di nascita del diritto amministrativo è il Deutsches Verwaltungsrecht (1886)
di Otto Mayer. Alle sue basi v’è la rinascita della cultura giuridica tedesca prodotta dalla
Pandettistica. Il diritto amministrativo tedesco nacque come una scienza astratta, intesa come un
corpo disciplinare separato e compiuto, parte di un più ampio organismo unitario, il diritto, inteso
come sistema ripartito in settori.
Tra Francia, Italia e Germania vi sono forti differenze ma anche un elemento in comune: la
circostanza che la scienza del diritto amministrativo sia stata figlia dell’età liberale. Per tale motivo,
nel diritto amministrativo di questi anni, si riscontrano 2 caratteri ricorrenti: da un lato la pubblica
amministrazione è considerata come un fatto separato dalla società; dall’altro, il diritto
amministrativo è inteso come conflitto autorità-libertà.
Gli sviluppi in Italia.. V.E. Orlando
In Italia, nell’ultimo ventennio dell’800, si registrò una svolta ad opera di Vittorio Emanuele
Orlando (1860-1952). Gli elementi caratteristici del pensiero di Orlando sono 5, alcuni dei quali
resteranno come propri dell’intera scuola del diritto pubblico:
1) polemica contro l’intrusione nel diritto, di sociologia, filosofia e politica;
2) richiamo all’accettazione delle Istituzioni del nuovo Stato;
3) distinzione tra diritto e legge: il primo è un sistema di principi giuridici sistematicamente
coordinati; le leggi riproducono i principi che rientrano nel sistema del diritto.
4) Ispirazione tedesca hegeliana: fondamentale è proprio il metodo, preso a prestito dal diritto
privato, che consiste nell’individuazione di nozioni di base, nella loro scomposizione in
elementi costitutivi, nella loro definizione precisa con metodo logico, e poi, nella
ricostruzione, per astrazione, di raggruppamenti più generali, ai quali fare riferimento, per
via di deduzione;
5) Lo spostamento del centro di gravità delle questioni politiche, che tendono a passare dal
campo politico a quello amministrativo.
La materia del diritto amministrativo era ordinata da Orlando intorno a 4 tematiche di base:
1) organizzazione e personale;
2) attività (distinta in giuridica e sociale);
3) giustizia;
4) obbligazioni.
La scuola di Orlando
La scuola italiana del diritto pubblico, fondata da Orlando, dette importanti contributi alla
sistemazione di tutto il diritto pubblico e specialmente di quello amministrativo, considerato parte
del primo. Essa, agli inizi del secolo, portò alle estreme conseguenze la teoria dello Stato come
persona, secondo il concetto di una volontà sovrumana ed unitaria, che riassorbe in sé la pluralità
degli organi, tra cui venne incluso anche il popolo. La distinzione tra diritto e legge tuttavia, venne
prima attenuandosi e poi fu abbandonata a favore del postulato opposto, per il quale legge e
diritto si identificano.
Santi Romano
Nega l’eguaglianza legge (o norma) - diritto, affermando che la legge è solo un elemento
dell’ordinamento giuridico, di cui altri elementi sono la plurisoggettività e l’organizzazione; critica
lo statalismo, sostenendo che ogni gruppo organizzato (non solo lo Stato, quindi), è ordinamento
giuridico (tesi della pluralità degli ordinamenti giuridici).
Con il XX secolo, si affacciano 2 nuove culture amministrative, quella americana e quella inglese.
Gli studi americani di diritto amministrativo si sono sviluppati prima di quelli inglesi, ma sono
rimasti confinati all’analisi del controllo giurisdizionale della pubblica amministrazione, anche per
l’importanza che, in un Paese di common law, hanno i Giudici. Sotto il profilo del metodo, la
scienza del diritto amministrativo ha avuto un forte impulso dal c.d. case method, ispirato al criterio
dello storicismo individualizzante e al concetto, esposto da Oliver Wendell Holmes nel 1870,
secondo il quale il common law ha il merito di decidere prima il caso, e poi di determinare i
principi. Il sistema dei casi, poi diffusosi ed oggi generalizzato in tutto lo studio e l’insegnamento
giuridico, comporta uno spostamento dell’attenzione dai principi astratti alle singole decisioni
giudiziarie con il loro contesto. Grava, nel complesso, sulla scienza di questi Paesi una concezione
costituzionale per la quale l’attività amministrativa è vista con sfavore e accettata con riluttanza,
mentre all’opposto, quella dei Giudici, è considerata positivamente. Le amministrazioni di quegli
stessi Paesi tuttavia non sono meno complesse e attive; le leggi che le riguardano inoltre, non sono
meno numerose di quelle proprie di Paesi come la Francia e l’Italia.
Regno Unito
La cultura giuridica inglese ha cominciato a liberarsi del peso dell’anatema di Dicey negli anni 40
ammettendo lo studio del diritto amministrativo ma limitandolo all’analisi del controllo
giurisdizionale dell’attività amministrativa. Solo di recente le analisi sono state allargate
all’organizzazione amministrativa centrale e locale e alle principali funzioni pubbliche.
Le discipline non giuridiche che studiano la pubblica amministrazione. La sociologia
dell’amministrazione
La sociologia dell’amministrazione nasce intorno agli inizi del XX secolo ad opera di Max Weber. Il
principio cardine del suo pensiero è quello che la pubblica amministrazione agisca come un’entità
legale e razionale, essendo espressione del Governo non degli uomini, ma delle leggi.
Successivamente gli studiosi di sociologia amministrativa hanno mostrato una crescente
autonomia rispetto all’impostazione weberiana e tendono a superare alcuni miti a lungo coltivati.
Un punto fermo è tuttavia che l’amministrazione è un potere reale e va analizzata direttamente,
non attraverso gli schermi normativi. Come potere, opera in contatto diretto con la società, anzi è
un corpo sociale, non meno dei partiti, dei gruppi, dei movimenti, ecc..
Guido Zanobini
La sua opera, Corso di diritto amministrativo, è stato il testo di insegnamento più diffuso per più di
40 anni. Zanobini è considerato il maggiore rappresentante della c.d. pandettistica.
La scienza dell’amministrazione
Ha toccato tutti i temi del diritto amministrativo dando ad ognuno un’impronta nuova.
La scienza dell’amministrazione nasce negli anni 30 del XX secolo sotto il segno di quell’incertezza
che sarà la causa della sua crisi negli anni 70. L’incertezza riguarda principalmente i contenuti
della disciplina stessa. Si può dire che una scienza dell’amministrazione oggi non esista più come
disciplina unitaria; essa si è spezzata dando origine a varie altre discipline.
Le tendenze recenti fuori d’Italia. Francia
La scienza politica dell’amministrazione
Massimo Severo Giannini
In Francia, la prima metà del XX secolo è dominata da Maurice Hauriou (1856-1929) e Lèon Duguit
(1859-1928). Al primo si deve la teoria dell’istituzione, al secondo quella del servizio pubblico.
Nella seconda metà del XX secolo, Charles Eisenmann ha tentato una formalizzazione degli studi
amministrativistici; sua è la tesi che il diritto amministrativo sia il diritto comune dell’autorità
pubblica, costituito in parte da diritto privato, in parte da diritto pubblico, senza gerarchia tra i
due.
Gli studi di scienza politica dell’amministrazione, sviluppatisi negli ultimi 30 anni, considerano la
pubblica amministrazione come potere politico (e non neutrale, secondo i canoni classici),
eventualmente in conflitto con gli apparati che sono espressione di vero e proprio potere politico
(come Governo e Parlamento). Negli ultimi anni, gli studi di scienza politica dell’amministrazione
sono diventati, nei Paesi anglosassoni, di gran lunga più numerosi rispetto agli studi delle
discipline tradizionali.
Germania
La statistica amministrativa
In Germania, La scienza del diritto amministrativo, dopo Mayer, è stata dominata da Ernst
Forsthoff. In questo Paese, da un lato i legami del diritto amministrativo con il diritto pubblico
restano più forti che altrove; dall’altro nel diritto amministrativo si moltiplicano i diritti speciali.
Stati Uniti d’America
Non è ancora sviluppata completamente. Si tratta di una disciplina che tratta di analisi statistiche
riguardanti numero delle leggi, delle pagine delle leggi, la quantità di risorse gestite dalla pubblica
amministrazione, la spesa, gli addetti delle pubbliche amministrazioni ecc.. Per l’Italia vanno
segnalati i volumi pubblicati dall’I.S.T.A.T..
La geografia e la storia amministrativa
Hanno avuto finora pochissimi cultori. Si può dire che oggi vi siano 2 filoni di studi. L’uno
rappresentato in Francia da Bertrand, l’altro dall’olandese Adrian Bours.
Funzione e funzionari
L’economia amministrativa
In quarto luogo, la parola funzione è stata adoperata dal Governo prima e dal legislatore poi (nella
legge n. 93 del 29 marzo 1983) per indicare un Dipartimento incaricato del personale pubblico. In
questo senso, funzione è collegata a funzionario.
Rilevante per la collettività ai fini del problema della produttività e dell’analisi economica della
pubblica amministrazione.
Funzione come attività rivolta a un fine
Gli studi del diritto amministrativo comparato
In quinto luogo, nel diritto privato, con la parola funzione si indicano quelle attività e quei diritti
che sono necessariamente rivolti ad un fine.
Gli studi di diritto amministrativo comparato, o meglio di comparazione giuridica delle
amministrazioni hanno avuto sviluppo recente. Questi esaminano le trasformazioni dei sistemi
amministrativi dei vari Paesi. Vengono seguiti 5 approcci diversi:
1) per paesi (per zona, per temi);
2) per problemi;
3) per casi (soprattutto gli studiosi americani);
4) per famiglie (preferito dagli studiosi francesi);
5) per grandi tendenze e correnti.
LE FUNZIONI
Significati del termine funzione. L’attività amministrativa come funzione
Funzione è una delle parole più ricche di significati nel diritto, oltre che nelle scienze sociali in
genere; la scienza del diritto amministrativo peraltro ne tralascia l’esame.
Tripartizione delle funzioni
Con l’espressione tripartizione delle funzioni si indicano, in primo luogo, le funzioni dello Stato,
ripartite nelle 3 tradizionali, legislativa, esecutiva, giudiziaria. In ordinamenti dove la tripartizione
viene ritenuta vigente, come quello francese, si discute quale sia il campo riservato a ciascuna
funzione; nell’ordinamento italiano la questione non si pone neppure, non essendo la c.d.
separazione dei poteri in 3 funzioni parte del diritto vigente. Per tenere fede alla tripartizione dei
poteri, si è dovuto dunque distinguere tra divisione dei compiti e divisione degli apparati chiamati
a svolgerli. Il primo aspetto riguarda il potere in senso sostanziale (di porre norme, di risolvere
conflitti, di eseguire). Il secondo, il potere in senso formale: l’autorità e l’atto che da essa promana
(la legge dal Parlamento, la sentenza dal Giudice, il provvedimento dall’amministrazione). E si è
dovuto riconoscere che un’attività può essere sostanzialmente amministrativa (perché di
esecuzione), ma formalmente giurisdizionale (perché svolta dal Giudice); sostanzialmente
normativa, ma formalmente amministrativa (ad esempio, l’adozione di regolamenti governativi),
ecc..
Funzione e fine pubblico
Infine, la parola funzione viene adoperata per dire che l’attività amministrativa è funzione. Ciò
significa che essa è rilevante nella sua globalità, a differenza dell’attività privata, che lo è solo per
alcuni aspetti e a taluni fini. Quest’ultima definizione è quella di maggior interesse per il diritto
amministrativo.
Elementi delle funzioni
In termini negativi con funzione si indica quella parte dell’attività che va oltre l’organizzazione, i
procedimenti e gli atti. In termini positivi, funzione è l’attività vista nei suoi aspetti macro, nel suo
assetto normativo globale, laddove l’attività vista nei suoi termini micro consiste di procedimenti e
di provvedimenti.
La materia
Servono ad individuare una funzione, di regola, 4 elementi:
1) la materia;
2) le attribuzioni;
3) i fini;
4) i destinatari.
La materia indica il campo o ambito come definito dalla legge.
Le attribuzioni
Con il termine attribuzione ci si riferisce al complesso di compiti conferiti all’amministrazione
dalle norme in ordine ad una materia.
I fini
Fine è lo scopo complessivo, nel senso che non riguarda ogni singolo atto.
I destinatari
In secondo luogo, con funzione, si indicano i compiti o le attività dello Stato.
Al fine sono collegati i destinatari, nel senso che dal primo dipende se una funzione è rivolta a uno,
a tutti o a gruppi più o meno ampi. I destinatari possono essere una serie di persone non
identificabili (ad esempio tutti i cittadini) o singole persone individuate dalla legge o
dall’amministrazione o da quest’ultima sulla base di criteri fissati dalla prima (ad esempio, il
beneficiario di un credito agevolato).
Funzioni e servizi pubblici
Rilevanza di questi elementi
Funzioni come compiti
Con il termine funzione, si indica, in terzo luogo, un’attività autoritativa ed esclusiva della
pubblica amministrazione, contrapposta al servizio. In relazione al concetto di servizio pubblico le
interpretazioni finora affacciatesi sono 2: secondo la prima sono attività di servizio pubblico quelle
sottoposte a controlli e programmi pubblici (sulla base dell’art. 41 della Costituzione): questi
evidenzierebbero l’interesse pubblico che inerisce al servizio. Secondo l’altra, quella di servizio
pubblico sarebbe una clausola generale da intendersi nel senso proprio delle scienze economiche:
dunque, non è necessario dare una definizione giuridica di servizio pubblico.
Almeno la materia, le attribuzioni e i fini sono giuridicamente rilevanti nel diritto amministrativo
(ma spesso anche i destinatari) mentre di regola, nel diritto privato, solo i fini sono suscettibili di
rilevanza giuridica. Solo in casi molto rari può diventare rilevante, nel diritto privato, la materia.
Come la materia della funzione si distingue dall’oggetto del provvedimento, così le attribuzioni si
distinguono dai compiti o dalla volontà e i fini dai motivi. I primi stanno ai secondi come il tutto
sta ad una parte.
La distinzione tra gli elementi delle funzioni e quelli dei provvedimenti può risultare più chiara se
si riflette sulla circostanza che un’amministrazione può, episodicamente, emanare provvedimenti
in ordine a certe funzioni, senza , però, che le funzioni siano sue proprie.
Perché vi sia una funzione, occorre che ricorrano almeno la materia, le attribuzioni e i fini.
dimensioni paragonabili alle altre, è destinata a divenire sempre più importante: la tutela
dell’ambiente.
Studio e classificazione delle funzioni. Analisi per materia
Rilevanza giuridica dell’organizzazione
Vi sono in primo luogo analisi che considerano le materie attribuite all’amministrazione. La più
completa è quella elaborata dallo Zanobini nel quinto volume del suo Corso, articolato in 9
partizioni.
Analisi che considerano le attribuzioni
Vi sono, in secondo luogo, classificazioni delle funzioni che considerano principalmente le
attribuzioni. La più diffusa, ma anche la più rudimentale, è quella che distingue funzioni svolte in
regime non autoritativo e funzioni svolte in regime autoritativo. Si tratta di una distinzione ancora
molto diffusa in Francia.
Le attribuzioni possono essere di tipo finale, e cioè relative allo scopo ultimo per cui
l’amministrazione opera; oppure di tipo strumentale e cioè attinenti all’uso dei mezzi di cui essa si
avvale per raggiungere i suoi fini. Rientrano in quest’ultima categoria la gestione del personale e
dei beni, la pianificazione intraorganizzativa, il controllo interno ecc..
Più complesse sono le attribuzioni di ordine finale. Queste possono classificarsi in 5 categorie
principali:
1) disciplina regolativa di rapporti privati;
2) attività dirette ai privati, ma con contenuto direttivo, non regolativo, per lo più per la cura
di interessi collettivi;
3) servizi, in senso lato, erogati indifferentemente ai cittadini come categoria, non in quanto
singoli, e ai quali, quindi, non è possibile restringere l’accesso;
4) servizi erogati a ciascun cittadino, per cui ne potrebbe essere limitata la fruizione;
5) attività svolte per lo scopo di vendere beni o servizi, ed ordinate, quindi, in forma di
impresa.
Analisi sulla base dei fini
Individuate secondo i fini, le funzioni possono essere di organizzazione (della pubblica
amministrazione, dei beni e della finanza), di conservazione (polizia, difesa, protezione della
pubblica incolumità, certificazione) e di benessere (tutela della salute, assistenza, ecc.). Questa
distinzione si collega alla ben nota contrapposizione amministrazione di intervento –
amministrazione di prestazione (e all’altra, corrispondente, Stato di diritto – Stato sociale). La
distinzione si deve alla scienza giuridica tedesca. Caratteristica delle prestazioni delle
amministrazioni moderne è la mera strumentalità dei mezzi rispetto ai fini (strade per i trasporti,
aule per l’istruzione, ecc.).
Evoluzione storica delle funzioni
Per comprendere l’evoluzione storica delle funzioni e valutare quali siano quelle oggi prevalenti,
occorre riferirsi all’andamento della spesa e del personale relativi alle funzioni. Si può dire che le
funzioni che hanno avuto maggiore sviluppo e sono oggi predominanti, per le risorse che
assorbono e il personale che occupano, siano quelle relative all’istruzione, alla sanità, alla
previdenza, alla garanzia dell’occupazione, all’economia. Ma, proprio perché esse assorbono
risorse ed occupano personale, producono la crescita di 2 altre funzioni: quella fiscale, per la
collezione delle imposte, e quella finanziaria, per equilibrare entrate e spese e per redistribuire le
risorse tra le pubbliche amministrazioni. Queste funzioni sono il prodotto dello sviluppo dello
Stato del benessere o sociale, la cui data d’inizio può essere posta nel 1883, quando, in Germania,
per l’influenza di Bismarck, fu varata l’assicurazione per le malattie. In epoca più recente, a partire
dagli anni 60, si sviluppa una nuova funzione amministrativa, che pur non avendo raggiunto
L’ORGANIZZAZIONE
Mentre per gli studiosi della scienza dello Stato il diritto dell’organizzazione faceva parte
integrante del diritto amministrativo, i fondatori del diritto amministrativo tedesco (in particolare
Otto Mayer) esclusero questa materia dal loro studio.
Ragioni del disinteresse per l’organizzazione
Perché ciò sia accaduto, si comprende se si considera che il diritto amministrativo ha le sue radici
nel liberalismo; questo fu interessato, prima di ogni altra cosa, al rapporto tra individui e Stato. La
scienza del diritto amministrativo si interessò quindi ai soggetti e non all’organizzazione. A questa
spiegazione del disinteresse per l’organizzazione se ne aggiungono una prima che la fa derivare
dall’insufficiente attenzione per le norme costitutive ed una seconda dal tardivo sviluppo del
diritto amministrativo.
Più tardi si ammetterà che esistono norme di organizzazione. Ma, sempre sotto l’influenza del
liberalismo, le si terranno distinte dalle norme giuridiche generali o norme primarie, che si
dirigono a tutti (norme di condotta), mentre le norme di organizzazione esaurirebbero la loro
efficacia nell’ambito degli organismi pubblici e sono dette, per questo, secondarie, perché dirette
alla realizzazione del diritto. Secondo altra versione, le norme relative all’amministrazione si
distinguerebbero in norme di relazione e norme di azione. Le prime traccerebbero la linea di
demarcazione tra la sfera giuridica dell’amministrazione e quella del cittadino. Le seconde
disciplinerebbero l’attività che l’amministrazione può svolgere entro la propria sfera giuridica. Le
prime regolerebbero rapporti tra soggetti; le seconde unicamente l’attività dell’amministrazione.
Importanza dell’organizzazione
La disciplina dell’organizzazione non è né irrilevante, né secondaria. Essa fa parte integrante del
diritto amministrativo, specialmente là dove, come in Italia, è oggetto di un’abbondante
legislazione. Prova ne è, tra le altre, la Costituzione, che, all’art. 97, contiene una riserva di legge in
materia di organizzazione amministrativa.
Critica della teoria dell’organo. Teoria dell’organo
Non l’organizzazione nel suo insieme, ma l’organo, è il tema dominante. E l’organo in quanto
collegato allo Stato. Dunque, la teoria dell’organo è una derivazione della teoria dello Stato. Lo
Stato è persona giuridica e non può raggiungere i suoi fini se non valendosi dell’attività di persone
fisiche-organi. Quanto all’organo, il suo principale ed essenziale carattere distintivo, non sta nella
sua funzione ma prima ancora nella sua compenetrazione con un ente giuridico il quale ha
posseduto degli organi quando si è voluto che esso agisse direttamente e immediatamente,
ricorrendo, per il raggiungimento dei suoi fini, a persone che prestandogli la propria volontà e la
propria attività, scompaiono, per così dire, negli ingranaggi della sua compagine trasformandosi in
mezzi idonei a farlo volere e agire. Come detto, l’approccio tradizionale trascura l’organizzazione
interessandosi dell’organo: questo è definito in relazione ad una persona giuridica; è lo strumento
di cui essa dispone per poter agire. Dietro l’unità della Persona Stato vengono così a nascondersi
alcuni dei problemi più importanti del moderno diritto amministrativo, quelli delle relazioni
giuridiche tra organi. Ci si chiede, dunque, se veramente lo Stato sia un ente o invece un aggregato
di figure giuridiche soggettive diversamente modellate. Si arriva a proporre l’abbandono del
termine stesso Stato perché dotato di troppi significati; e viene a mancare così la base stessa sulla
quale la teoria dell’organo è stata sviluppata. Sono in tal modo poste le premesse per una teoria
dell’organizzazione che non sia dipendente o strumentale rispetto allo Stato e alla persona
giuridica pubblica.
Elementi dell’organizzazione. Ufficio ed ente
In primo luogo viene individuata e ordinata una funzione (una materia o oggetto, uno o più
compiti, uno o più fini pubblici ed eventualmente i destinatari dei compiti); in secondo luogo
questa funzione viene affidata ad un’articolazione organizzativa o ufficio; il terzo luogo l’ufficio è
dotato di poteri.
Dunque per aversi un ufficio occorrono 3 elementi:
1) una funzione;
2) la sua distribuzione;
3) il conferimento di poteri per lo svolgimento della funzione.
Le funzioni
Negli ordinamenti moderni esse sono di regola organizzate, nel senso di distribuite; vi sono
peraltro anche funzioni pubbliche non organizzate.
Gli uffici
Di regola, vi sono tanti uffici quante sono le funzioni; perché vi sia organizzazione occorre che le
funzioni siano articolate e distribuite tra uffici.
I poteri
E’ necessario che l’ufficio sia dotato di poteri, e cioè di situazioni giuridiche preliminari
conseguenti alla capacità ma precedenti alle situazioni giuridiche quali i diritti, di cui sono
presupposti. La misura dei poteri attribuiti a ciascun ufficio è denominata competenza. I poteri
pertengono sempre ad uffici e sono, come le funzioni, limitati e non modificabili dagli uffici stessi.
Possono esservi uffici senza poteri, dotati di una quantità minima di iniziativa e istruttoria (uffici
pubblici che esplicano la propria attività solo all’interno della pubblica amministrazione).
Disciplina legislativa
Funzioni, uffici in senso stretto e poteri sono rigidamente e minuziosamente regolati da leggi e da
altri atti normativi. Ciò che consente di distinguere l’organizzazione amministrativa pubblica da
quella propria di un soggetto privato: ad esempio, in una società per azioni, di regola, solo
l’assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione e il suo presidente e il collegio sindacale sono
regolati da norme mentre la parte restante dell’organizzazione è rimessa al potere organizzativo
degli amministratori. Lo stretto rapporto esistente tra funzione e sua articolazione organizzativa fa
si che, al variare di uno dei due elementi, dovrebbe variare l’altro. Se si passa, come in Italia, per
effetto di una norma costituzionale, dalla funzione di offesa a quella di difesa militare, il relativo
ufficio, il Ministero della guerra, deve non solo cambiare nome, ma anche struttura. Molta parte
dell’organizzazione amministrativa italiana è disfunzionale proprio perché la funzioni vengono
ritenute variabili indipendenti, per cui, al loro variare, non vengono modificate le strutture
amministrative.
L’imputazione
L’ufficio è centro di attività ma può essere anche strumento di imputazione nel senso di attribuire
la sua attività, in tutto o in parte, o gli effetti di essa, o ambedue, ad altri uffici. Tra gli uffici ai quali
è imputata l’attività di altri uffici, ve ne sono alcuni che vengono chiamati persone giuridiche
pubbliche (o enti pubblici) per una loro maggiore attitudine a prestarsi all’imputazione di attività
di altri uffici.
Classificazione degli uffici pubblici. Uffici necessari e non necessari
In relazione alla loro esistenza, gli uffici si distinguono in necessari e non necessari. Ricorrono i
primi quando una norma stabilisca che un ministero o un ente o altro organismo debba avere un
consiglio di amministrazione, un direttore generale ecc.. Se invece, la potestà di istituire un ufficio
è lasciata all’apparato amministrativo stesso, che può crearlo o no, si è in presenza di uffici non
necessari. Non bisogna confondere questa distinzione con quella, più ampia, tra uffici privati di
amministrazioni pubbliche e uffici pubblici di amministrazioni pubbliche.
Uffici ordinari e straordinari
In relazione alla durata in ordinari e straordinari (o speciali). I primi sono istituiti senza un termine
e sono quindi permanenti; i secondi sono invece istituiti per un tempo determinato. Negli
ordinamenti moderni regola è che uffici non abbiano termine di scadenza. Allo stesso genere
appartengono le amministrazioni per obiettivi o di scopo (o amministrazioni di missione, secondo
la terminologia francese) che dovrebbero cessare di esistere una volta raggiunto lo scopo per il
quale furono istituite.
Uffici centrali, periferici e locali
In relazione all’area in cui operano gli uffici di distinguono in centrali, periferici, locali e misti.
Sono uffici centrali i ministeri statali posti a Roma, che curano interessi nazionali. Sono periferici
gli uffici dipendenti da uffici centrali ma posti in periferia. Sono locali gli uffici di amministrazioni
autonome posti in periferia; sono misti gli uffici che hanno sede centrale ma in cui sono
rappresentati interessi di uffici centrali e locali. Da notare che la città in cui è posto l’ufficio può
anche non essere rilevante mentre lo è sempre l’area degli interessi che esso cura.
Gli uffici periferici e quelli locali hanno dimensioni molto varie. Vi sono uffici periferici di
dimensione ultraregionale, regionale, provinciale, subprovinciale, ma anche uffici di dimensioni
anomale e variabili. Le dimensioni territoriali degli uffici periferici e locali possono non coincidere.
La maggior parte dei ministeri ha doppia, tripla, spesso quadrupla organizzazione scalare su più
livelli. Gli uffici locali di base sono Regioni, Province e Comuni.
Uffici semplici e complessi
In relazione alla loro struttura gli uffici pubblici si distinguono in semplici e complessi (se sono
composti al loro interno di più uffici). Un ministero è un ufficio complesso (composto di direzioni
generali, divisioni ecc.).
Meri uffici e uffici entificati
In relazione alla loro natura giuridica gli uffici si distinguono in meri uffici e uffici entificati. La
divisione di un ministero è un mero ufficio. Gli uffici entificati sono tutti di struttura complessa
perché composti a loro volta di più uffici.
Gli enti pubblici possono avere aree d’azione diverse. Sono nazionali quelli che operano su tutto il
territorio. Discorso diverso per gli enti regionali e locali (Province e Comuni) che sono enti a
dimensione territorialmente circoscritta. Ciò vuol dire che essi possono svolgere i loro compiti
(finali) solo nell’area assegnata. Ma a scopi strumentali possono operare anche al di fuori di essa.
Uffici monocratici e collegiali
In relazione alla loro composizione, gli uffici pubblici si distinguono in monocratici (se ne è titolare
una sola persona fisica) e collegiali (se ne è titolare un collegio); gli uffici collegiali possono essere a
loro volta rappresentativi, se il titolare è scelto mediante elezione popolare, oppure a seguito di
segnalazione di associazioni private ecc.. I collegi si distinguono in imperfetti se non possono
discutere, ma solo esprimere la loro volontà (collegi elettorali) e perfetti, se possono fare entrambe
le cose; in collegi di ponderazione o reali, se loro compito è di raggiungere una più accurata
decisione e di composizione o virtuali, se loro compito è di risolvere conflitti o, più in generale, di
consentire la composizione di interessi eterogenei.
Altre classificazioni
In relazione ai compiti, gli uffici sono definiti di amministrazione attiva (in quanto svolgono i
compiti finali dell’amministrazione), deliberativi (se hanno poteri di decisione), consultivi (quando
hanno poteri istruttori), esecutivi, di controllo, principali (o primari), strumentali (o sussidiari o
complementari o secondari).
In relazione agli effetti della loro attività gli uffici pubblici si distinguono in esterni (se operano in
rapporti giuridici esterni) e interni (se esauriscono la loro rilevanza all’interno
dell’amministrazione).
Rapporti tra uffici pubblici
I rapporti tra uffici possono essere determinati sulla base della rispettiva posizione organizzativa,
oppure, di frequente, in relazione alle funzioni svolte, in quanto gli uffici sono funzioni articolate
in organi.
Rapporti di subordinazione
Nei rapporti di subordinazione, l’ufficio sottoordinato è sottoposto, in misura diversa, a poteri
dell’ufficio sopraordinato. Rientrano tra i rapporti di subordinazione la gerarchia, la direzione, il
controllo e la delegazione. Non ha autonomia giuridica la forma del coordinamento (effetto di fatto
raggiunto da atti di direzione, o di controllo, o di altre forme organizzative). Tra uffici pubblici
possono esservi accordi e convenzioni; questi sono puntuali in quanto possono esaurire i loro
effetti in breve tempo mentre i rapporti di subordinazione (e altri) hanno carattere di continuità e
stabilità.
Gerarchia
La gerarchia è la forma estrema di subordinazione, perché l’ufficio sottoordinato è sottoposto a
poteri di comando (mediante ordini), di indirizzo, (mediante istruzioni), di controllo (vigilanza,
annullamento e riforma di atti) dell’ufficio sopraordinato, che può delegargli propri compiti e
persino giungere a sostituirsi all’ufficio sottoordinato. L’ufficio sopraordinato poi, dirime anche i
conflitti tra uffici sottoordinati.
Avocazione: trasferimento di compiti da autorità inferiore ad autorità superiore.
Il rapporto di gerarchia è oggi limitato ad alcune amministrazioni (come quella militare). Mentre
nell’ordinamento civile la sopraordinazione è sempre limitata all’apparato di appartenenza (ad
esempio Ragioneria generale-ragionerie centrali), nell’ordinamento militare la gerarchia ha
carattere generale.
Direzione
La direzione è il rapporto secondo il quale un ufficio dà indirizzi (o direttive, che è la stessa cosa)
ad un altro ufficio, si informa circa la sua attività e verifica l’attuazione degli indirizzi stessi. Il
titolare dell’ufficio sopraordinato sceglie il titolare dell’ufficio sottoordinato. Nel rapporto di
direzione l’ufficio sottoordinato è in rapporto di strumentalità rispetto a quello sopraordinato per
cui specialmente quando l’ufficio subordinato è entificato il rapporto di direzione viene chiamato
di strumentalità. Circa il cosa distingua un atto di indirizzo da un ordine c’è chi ha notato che è il
contenuto o oggetto a definire l’indirizzo nel senso che questo si limita ad indicare i fini, lasciando
al destinatario dell’indirizzo di determinare i mezzi; altri hanno invece sostenuto che sono gli
effetti a caratterizzare l’indirizzo in quanto esso non vincola il destinatario il quale sarebbe tenuto
solo a motivare il suo comportamento eventualmente diverso. Altri ancora hanno affermato che
l’indirizzo è generale lasciando al destinatario ampio margine di azione.
Controllo
Il controllo è un rapporto nel quale un’autorità sopraordinata verifica la conformità della condotta
a di un atto dell’autorità sottoordinata a regole preesistenti e, al termine di tale verifica, adotta una
misura (approvazione, annullamento, ecc.). Il controllo può avere ad oggetto atti singoli
dell’ufficio o l’attività complessiva, i risultati o l’insieme di questi elementi. Può essere interno o
esterno a seconda del soggetto che lo pone in essere, dell’ambito del controllo (legittimità o
merito), della sua collocazione nel procedimento (preventivo o successivo), della sua natura
(contabile o riscontro, amministrativo, ecc.). Il controllo suesposto è un controllo di conformazione
nel senso che mira ad assicurare la conformità della condotta concreta dell’amministrazione
pubblica allo schema normativo. Accanto ad esso va emergendo il controllo di integrazione, diretto
ad assicurare la coerenza della condotta delle varie amministrazioni e il raggiungimento dei
risultati ultimi del sistema. Appartengono a tale tipo di controllo gli obblighi di informazione, che
danno luogo al controllo-conoscenza.
Delega
Nella delega (o delegazione) l’ufficio sopraordinato (delegante) trasferisce all’ufficio sottoordinato
(delegato) propri compiti, oltre ad esercitare poteri di indirizzo e di controllo sull’attività delegata.
L’attività delegata si imputa interamente al delegato mentre il delegante può solo controllarla ed
indirizzarla (oltre ad annullare la delega e a svolgere direttamente la relativa attività). La
delegazione è istituto presente anche in rapporti diversi dalla subordinazione.
Rapporti di equiordinazione
Sono in rapporto di parità uffici con i medesimi poteri, normalmente appartenenti ad uno stesso
apparato (o ufficio complesso) ma agenti in ordine a materie diverse.
Sono in rapporto di primazia due o più uffici in posizione paritaria, ma di cui uno è nella posizione
di primus inter pares (il Presidente di un Collegio ha gli stessi poteri degli altri membri ma in più
ne ha alcuni strumentali).
Rapporti di indipendenza. Autonomia
In primo luogo va chiarito che tra uffici pubblici di uno stesso ordinamento vi è una indipendenza
relativa e non assoluta; poi che tale indipendenza può essere politico-amministrativa, normativa,
organizzativa, finanziaria, di bilancio e contabile.
Autonomia politico – amministrativa
Con l’espressione Autonomia politico – amministrativa si indica la capacità di alcuni uffici di darsi
un indirizzo politicoamministrativo diverso da quello governativo centrale. Solo gli enti
rappresentativi di collettività (Regioni, Province, Comuni) ne sono dotati.
Autogoverno
Dall’autonomia politico – amministrativa bisogna distinguere l’autogoverno, il decentramento e la
deconcentrazione. Nell’autogoverno, esistito storicamente solo in Inghilterra fino al 1930 l’ente non
solo è dotato, perché rappresentativo, di autonomia, ma è attributario anche di tutte le funzioni
pubbliche (esclusi difesa e rapporti con l’estero) sul proprio territorio (self-government, dalla porta
di casa).
Decentramento e deconcentrazione
La figura del decentramento rappresenta invece qualcosa di meno dell’autonomia perché consiste
nella devoluzione di funzioni prima esercitate da pubblici uffici centrali a uffici locali. Solo che tale
decentramento può avvenire anche senza dotare gli uffici destinatari delle funzioni di autonomia
come è accaduto in Italia durante il fascismo tra Governo e Comuni e Province.
Prima in Francia poi in Italia si è introdotta la deconcentrazione per indicare il trasferimento di
funzioni da uffici centrali a uffici periferici, dipendenti dal centro. Così è sempre il governo
centrale che decide, ma non al centro, bensì sul luogo (stesso martello, manico accorciato). Forma
ancora minore di deconcentrazione è attribuire a uffici statali periferici e quindi dipendenti dal
centro, compiti meramente esecutivi o comportanti esercizio di potere discrezionale minimo,
consistenti in atti o fasi di procedimenti la cui decisione è poi presa da uffici centrali.
Diverse specie di autonomia
L’autonomia normativa consiste nella potestà di alcuni uffici di emanare veri e propri atti
normativi. Accanto ad essa, in passato, si collocava l’autarchia (potestà di emanare atti equiparati,
quanto agli effetti, agli atti amministrativi dello Stato).
L’autonomia organizzativa o statutaria consiste nella potestà di un ufficio o complesso di uffici di
darsi una propria organizzazione con statuto (peraltro, facoltà di proposta con adozione poi
dell’autorità controllante). In questo caso la legge non si estende all’ordinamento interno
dell’ufficio che lo può regolare con proprio atto. L’autonomia organizzativa è di regola molto
limitata. Legge per lo più regola uffici maggiori di un ente lasciando a questi il compito di ordinare
quelli minori.
Vi è poi una potestà c.d. regolamentare che si esplica nell’adozione di 4 tipi di regolamenti detti
organici, del personale, di contabilità e di servizio, che solo in qualche caso però sono regolamenti
in senso proprio (cioè nel senso di fonte del diritto).
L’autonomia finanziaria consiste nella disponibilità di entrate proprie, cioè proventi da imposte
proprie o da quote di tributi di altri enti. Viene considerata misura dell’effettività dell’autonomia
politica.
L’autonomia contabile e di bilancio consiste nella sottrazione alla disciplina della contabilità di
Stato e nella potestà di formare il bilancio, spesso secondo un modello determinato con legge, ma
con libertà di determinarne le poste.
Altri rapporti tra uffici
Vi sono rapporti che possono dirsi composti, come quello di c.d. codipendenza, in cui un ufficio è
organizzativamente dipendente da un altro ufficio ma funzionalmente opera anche sotto il
comando di un terzo ufficio.
Principi e criteri dell’organizzazione
L’organizzazione amministrativa italiana è retta da numerosi principi e criteri il primo dei quali è
quello di sussidiarietà disposto dall’art. 3b del Trattato sull’Unione europea. Esso prevede che
l’istituzione superiore intervenga se e soltanto nella misura in cui gli obiettivi della azione prevista
non possano essere sufficientemente realizzati da istituzioni poste in un ambito più ristretto e di
livello inferiore realizzabili meglio dall’istituzione superiore. Altri criteri e principi: funzionalità
rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza,
efficacia ed economicità; ampia flessibilità; collegamento attività uffici adeguandosi al dovere di
comunicazione interna ed esterna; garanzia imparzialità e trasparenza azione amministrativa;
armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici tenuto conto delle esigenze
dell’utenza e degli orari delle altre amministrazioni comunitarie.
Organizzazione amministrativa statale. Caratteristiche dell’organizzazione ministeriale
L’organizzazione ministeriale non ha un proprio vertice ma lo mutua dal governo. Identità, in
estensione e forza, dei poteri del ministro e dei ministeri. Il ministero è un corpo unitario ordinato
per settori corrispondenti a materie, ma principalmente ordinato secondo una logica divisionale di
uffici di maggiore ampiezza ripartiti in uffici di ampiezza minore, estendentisi dal centro alla
periferia. Tutti i ministeri hanno uno o più organi collegiali consultivi.
gestione amministrativa alle direttive generali impartite, mentre ai dirigenti spetta la gestione
amministrativa. Compiti e poteri del ministro e del ministero poi, in numerosi casi non
corrispondono.
Agenzie
All’interno dei ministeri o alle loro dirette dipendenze, vi erano in passato amministrazioni e
aziende definite autonome, figure ibride composte da organi dotati di ordinamenti speciali o
derogatori; queste sono state tutte trasformate in S.p.a. o in enti pubblici. Una figura giuridica
soggettiva che di recente notevole sviluppo invece è Agenzia, definita struttura che svolge attività
a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale al servizio delle amministrazioni pubbliche.
L’Agenzia ha propri organi (direttore e comitato direttivo composto da dirigenti dell’agenzia),
propri bilancio e regolamento di contabilità, potestà di autoorganizzazione. E’ sottoposta ai poteri
di indirizzo e alla vigilanza di un ministro, che approva programmi di attività, organizzazione
interna, bilanci e rendiconti dell’agenzia, e accerta, anche mediante ispezioni, l’osservanza delle
prescrizioni impartite. Svolge l’attività sulla base di convenzioni e di contratti con i ministeri
competenti: in questi atti sono stabiliti gli obiettivi e i risultati, i finanziamenti assegnati e le
modalità di verifica dei risultati di gestione. L’ordinamento delle Agenzie non è uniforme.
Autorità indipendenti
Sviluppatasi nell’800 per i maggiori organi consultivi e giurisdizionali (Consiglio di Stato e Corte
dei conti), la figura dell’amministrazione indipendente ha avuto ovunque un notevole sviluppo. Le
amministrazioni indipendenti, originarie dell’Inghilterra vittoriana ma sviluppatesi più che altrove
negli Stati Uniti, sono per lo più senza personalità giuridica e non subordinate all’esecutivo,
essendo dotate di gradi diversi di autonomia. Le amministrazioni indipendenti sono apparati
statali ma non governativi. Caratteristiche comuni ma non uniformi. Compiti, uffici, personale
proprio. Operano di regola al centro e sono estranee al rapporto centro-periferia. Titolari degli
uffici di vertice o non sono scelti dal governo o se scelti dal governo debbono possedere particolari
requisiti di professionalità ed indipendenza. Per essi rigide incompatibilità e garanzie di durata
nella carica. Sono amministrazioni indipendenti nell’ordinamento italiano, tra gli altri, Consiglio di
Stato e Corte dei conti. Definiti organi ausiliari (ma non del governo) con indipendenza assicurata
dalla Costituzione. Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela
della giustizia nell’amministrazione. La Corte dei Conti è organo di controllo della gestione della
pubblica amministrazione ed organo di giustizia contabile e in materia di pensioni. Il Consiglio di
Presidenza della giustizia amministrativa (per il Consiglio di Stato e per i TAR) e il Consiglio di
Presidenza (per la Corte dei conti), svolgono funzioni di garanzia dell’indipendenza dei 2 organi,
non dissimili per da quelle svolte per l’ordine giudiziario dal CSM. Con loro parere personale
promosso, destinato ad una sede, sottoposto a procedimento disciplinare.
Gli enti pubblici nazionali
Gli enti pubblici, il cui fiorire in Italia si registra tra il secondo ed il quarto decennio del XX secolo,
costituiscono una nozione già in crisi negli anni 40 in Italia. . Ente pubblico, per autore, è istituto
proteiforme e neppure un istituto ma la somma di un insieme di istituti.
Storia della nozione
La Presidenza del Consiglio dei Ministri
La Presidenza del Consiglio dei Ministri è ordinata dal decreto legislativo n. 303 del 30 luglio 1999.
Varietà organizzative dei ministeri
Pur prevalenti i caratteri suesposti dell’organizzazione ministeriale, ciascuno di essi ha subito
numerose eccezioni. Oltre al fatto che l’unione tra politica e amministrazione al vertice può
realizzarsi in modi diversi, nel 1993 è stato introdotto il principio per il quale gli organi di governo
definiscono gli obiettivi e i programmi da attuare e verificano la rispondenza dei risultati della
Codice civile napoleonico già conteneva termine ente pubblico ma non con la nozione poi intesa.
Indicava infatti sia persone giuridiche di diritto pubblico sia persone giuridiche di diritto privato
che beneficiassero a causa della loro attività di vantaggi pubblici o che fossero sottoposti a
controlli. Concetto andò precisandosi molto lentamente dopo il 1856 in Francia e a partire dal XX
secolo in Italia. Definiti nel tempo anche fondazioni. Criterio della personalità giuridica non utile
per distinguerli. In sostanza concetto difficilmente identificabile e per questo ben presto
inutilizzato.
Tipi principali di enti pubblici
Istituti di Stato sono amministrazioni con propri organi, i cui membri sono scelti dal governo, con
proprio bilancio, ma finanziati dal Tesoro, sottoposti a controlli ministeriali e caratterizzati dalla
circostanza di svolgere funzioni essenziali dei poteri pubblici. I.S.T.A.T. 1926. Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni A.R.A.N. 1994.
Sono enti di servizio quelli che erogano a privati servizi finanziati con risorse fiscali o parafiscali
(I.N.P.S., L’istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica
I.N.P.D.A.P., L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali I.N.A.I.L., tutti disciplinati da norme del 1994). Gli enti c.d. parastatali sono
classificati in7 categorie. Enti pubblici imprenditoriali (o enti pubblici economici) sono quelli
esercenti imprese. Di enti pubblici economici o imprenditoriali esistevano più specie; ad esempio
enti nazionalizzati e enti pubblici di gestione. La maggior parte di questi è stata trasformata
all’inizio degli anni 90 in società private per azioni in pubblico comando. Il maggiore ente pubblico
economico esistente è la Cassa depositi e prestiti, prima azienda autonoma del ministero del
tesoro. Vi sono enti fondazione nei quali prevale l’elemento patrimoniale (I.N.P.S.); enti
associazione, enti pubblici associativi volontari (Automobile Club provinciale, enti pubblici
costituiti da persone giuridiche private (Comitato olimpico nazionale italiano C.O.N.I.), ecc..
Organizzazione degli enti pubblici
Regione); in Italia il Prefetto lo è solo sulla carta. Che debbano esserci uffici periferici è previsto
dalla Costituzione. Un tentativo di coordinamento tra uffici centrali e periferici è quello affidato al
Comitato provinciale della pubblica amministrazione. Questo è presieduto dal Prefetto e composto
dai responsabili degli uffici decentrati delle amministrazioni statali, comprese quelle dette ad
ordinamento autonomo e degli enti pubblici non territoriali aventi sede nella Provincia. Il
Comitato deve assicurare il buon andamento, l’imparzialità e l’efficienza dell’azione
amministrativa, nonché il coordinamento delle attività statali in ambito provinciale. Il Comitato dà
direttive e provvede a ispezioni e verifiche, quando ravvisi l’esistenza di carenze, inefficienze o
disservizi. Il Prefetto vigila sull’esecuzione delle sue deliberazioni.
L’amministrazione locale
L’amministrazione locale, detta anche, ma impropriamente, territoriale, è costituita da apparati
stabiliti in aree determinate, di ampiezza molto diversa, ordinati per lo più in modo uniforme,
operanti a funzioni indivise con il centro, ma a differenza dagli uffici periferici statali, governati da
corpi, direttamente o indirettamente elettivi. Questo tipo di amministrazione è stato, fino alla metà
del secolo, chiamato indiretta, nel senso che gli uffici collocati in periferia erano considerati di
amministrazione diretta, se propri dello Stato, di amministrazione indiretta o autarchici, se di enti
locali.
Il modello iniziale fu quello societario: una assemblea di soci o partecipanti (negli enti associativi),
un consiglio di amministrazione, spesso un comitato esecutivo, un presidente, un collegio
sindacale o dei revisori. Poi grandissimo numero di varianti.
Ragioni dell’amministrazione locale e della elettività dei suoi vertici
Assenza di elementi comuni delle diverse figure
La Carta europea dell’autonomia locale, la legge sulle autonomie del 1990 e le leggi
successive sui sistemi elettorali locali
Quando si sia riconosciuto che un ente è pubblico, non se ne sono chiariti le funzioni rispetto alle
altre funzioni pubbliche, i rapporti con l’apparato ministeriale e quelli con le collettività
amministrate, i modi di finanziamento, la struttura, l’organizzazione, ecc.. Un istituto giuridico è
tale quando è il riassunto di una normativa; questo non è il caso dell’istituto ente pubblico. Unica
norma all’apparenza generale è quella contenuta nella legge n. 70 del 20 marzo 1975 per la quale
nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. Peraltro la
disposizione vale per i soli enti ai quali si estende la legge (indicati nell’art. 1).
Alla domanda relativa ai motivi del numero e del taglio dell’amministrazione locale, si può
rispondere semplicemente, che entità di quelle dimensioni e in quel numero erano preesistenti
all’unificazione e che l’ordinamento unitario si è limitato a riconoscerle.
L’amministrazione statale periferica è costituita da uffici posti in periferia ma dipendenti dal
centro (in particolare, dai ministeri).
La Carta europea dell’autonomia locale firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 definisce come
autonomia locale il diritto e la capacità effettiva, per le collettività statali, di regolamentare ed
amministrare nell’ambito della legge, sotto la propria responsabilità e a favore delle popolazioni,
una parte importante di affari pubblici. Stabilisce il principio dell’elettività. Introduce il principio
di sussidiarietà secondo il quale l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di
massima, incombere sulle autorità più vicine ai cittadini. Stabilisce che le competenze affidate alle
collettività locali devono, di regola, essere complete ed integrali (pur rinviando poi alla legge).
Tutela i limiti territoriali delle amministrazioni locali. Sancisce la loro autonomia organizzativa.
Fissa limiti ai controlli. Introduce il principio della autonomia finanziaria degli enti locali.
Stabilisce che gli enti locali hanno diritto di associarsi per collaborare.
Varietà di articolazioni periferiche del centro
Le amministrazioni composte
L’articolazione periferica dell’amministrazione centrale
C’è da chiedersi innanzitutto perché esista un’articolazione territoriale dell’amministrazione
centrale. Questa corrisponde ad una tradizione che ha trovato il suo culmine nell’organizzazione
napoleonica e tuttora esiste in Francia; anche in Inghilterra le field administrations sono numerose.
In Germania, salvo eccezioni, l’amministrazione territoriale non è federale ma di Regioni, Comuni
o di loro associazioni. Così come negli Stati Uniti anche se di recente i compiti crescenti del
governo federale l’hanno spinto ad istituire alcuni uffici fuori dalla capitale ma dipendenti
dall’esecutivo federale.
Gli uffici periferici dell’amministrazione italiana
Pur essendo simile a quella francese nell’impianto, l’articolazione territoriale italiana degli uffici
centrali se ne differenzia nel disegno. In quella francese infatti, pur essendovi uffici specializzati
per settori, questi dipendono dal centro attraverso il Commissario della Repubblica (l’ex Prefetto)
che ne coordina l’azione. In Italia vi sono tante linee verticali di dipendenza quanti sono gli uffici
periferici, da un lato, e quelli centrali, da cui i primi dipendono, dall’altro. In Francia il
Commissario della Repubblica è davvero il rappresentante del governo nella Provincia (e nella
In Germania i Laender operano su tutte le materie di spettanza del centro ma con attribuzioni
esecutive, mentre il Bund ha le attribuzioni direttive. In Italia le attribuzioni centrali e periferiche
sono ripartite in modo diverso, per cui variano di materia in materia e vi sono numerosi uffici
ministeriali periferici.
La collaborazione tra amministrazioni
Come può essere stabilito un ordine, o almeno la collaborazione tra le amministrazioni? Con leggi
cornice, indirizzo e coordinamento, intese, assensi, pareri, ecc.. Ma vi sono metodi più stabili per
raggiungere lo stesso obiettivo, metodi non procedimentali, ma che danno luogo ad istituzioni
composte. Si tratta di organismi con compiti molto diversi, di programmazione, di indirizzo, di
ripartizione di risorse finanziarie, talora persino con compiti di gestione. Caratteristiche principali
delle amministrazioni composte:
1) si tratta di amministrazioni nelle quali concorrono amministrazioni separate, ma contitolari
di funzioni o di parte di funzioni, che esse conferiscono in un’amministrazione comune,
alla quale contribuiscono anche organizzativamente, con personale, finanziamento, ecc..
2) Non sono ordinabili, né collocabili in una scala o gerarchia, del tipo centro-periferia. Sono
costituite integrando, in forma associativa, elementi o parti di amministrazioni centrali e
locali, ma non in funzione del centro né della periferia, quanto in funzione della collettività
servita (sono dette amministrazioni adèspote).
3) L’appartenenza soggettiva passa in secondo piano, in quanto i soggetti fanno parte
dell’organizzazione, non viceversa.
4) Nei collegi di queste amministrazioni sono presenti sia funzionari politici o non
professionali, sia amministratori impiegati.
5) Infine, in relazione allo sviluppo assunto, l’attività propria dell’amministrazione composta
è esternata direttamente da essa o da una delle amministrazioni che ne fanno parte.
Tipi di organizzazioni composte
Vi sono più tipi di amministrazioni composte. Quelle con sviluppo più embrionale si limitano a
svolgere una funzione compositiva e preliminare alla erogazione di servizi o gestione
amministrativa vera e propria e constano di poco più di un organo misto, a composizione
associativa; quelle con sviluppo maggiore hanno un alto grado di complessità
L’amministrazione pubblica in forma privata
L’amministrazione pubblica in forma privata si è andata diffondendo di recente per motivi molto
diversi, ma che possono tutti collegarsi alla funzione da svolgere, costituita per lo più dalla
gestione di imprese.
Tipi di amministrazioni pubbliche in forma privata
1) Amministrazioni pubbliche, per lo più in forma di enti, nei quali solo il vertice
dell’apparato adotta moduli organizzativi e regole funzionali di ordine pubblicistico, la
restante parte essendo invece retta dal diritto privato (caso più ricorrente gli enti pubblici
economici).
2) Amministrazioni ordinate in forma di società per azioni, previste e regolate da legge, e
quindi, necessarie, per le quali la legge stessa detta i principi organizzativi essenziali.
La differenza questo tipo e quello precedente sta nel fatto che mentre nel primo il soggetto è
pubblico, ma opera poi secondo il diritto privato, qui il soggetto è privato, ma è retto anche da
norme che estendono ad esso principi pubblicistici (o derogano, in senso pubblicistico, alle norme
del codice civile). Inoltre, nel primo caso, il rapporto tra amministrazioni ministeriali o statali e il
soggetto pubblico è di quelli propri del diritto pubblico (nomina degli amministratori e controlli).
3) Un terzo tipo di amministrazione pubblica in forma privata è costituito da associazioni,
fondazioni o consorzi, anche essi previsti e regolati da legge, e quindi necessari. Il Formez,
Centro di formazione studi, ora regolato dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 285, è un
esempio di associazione riconosciuta dalla legge, che attribuisce ad essa personalità
giuridica di diritto privato.
Amministrazioni private per l’esercizio di funzioni pubbliche
Si distinguono dall’amministrazione pubblica in forma privata, le amministrazioni private per
l’esercizio di funzioni pubbliche e le amministrazioni private in pubblico comando. Il primo tipo è
costituito da enti privati necessari, chiamati a svolgere compiti pubblici. Il decreto legislativo 30
giugno 1994, n. 509, ha trasformato questi enti da pubblici in privati.
Amministrazioni private in pubblico comando
Vi sono poi amministrazioni private in pubblico comando. Queste sono costituite da società per
azioni di diritto comune, nelle quali amministrazioni pubbliche hanno partecipazioni azionarie.
Non solo la società è privata ma anche la relazione giuridica che viene a stabilirsi tra
amministrazione pubblica e società è quella regolata dal codice civile, della partecipazione
azionaria. La forma privata è ancora più accentuata quando l’amministrazione che partecipa è un
ente pubblico economico.
I privati in funzione dell’amministrazione
Le amministrazioni pubbliche si avvalgono continuamente di privati; vi sono casi però nei quali la
collaborazione di privati nello svolgimento di funzioni amministrative acquista carattere di
continuità (specialmente negli Stati Uniti e in Francia).
L’ausiliarietà
In Italia le amministrazioni pubbliche, o valendosi di atti autoritativi (provvedimento di
concessione) o ricorrendo a contratti, hanno fatto ampio ricorso a privati. Il fenomeno prende il
nome di esercizio privato di funzioni pubbliche. In questa figura sono incluse sia attività non
continuative come quella per esempio dell’avvocato che autentica firme altrui, sia attività come
quella del notaio, che svolge professionalmente, ma sotto stretto controllo pubblico, un’attività
importante come quella costitutiva di certezza pubblica.
Con le concessioni di opera e di servizio invece, l’amministrazione pubblica si spoglia dei suoi
compiti, affidandoli a privati e, così facendo, sposta la linea di confine pubblico-privato,
privatizzando attività prima pubbliche.
Concessioni di servizio
Nell’ambito dei diversi rapporti che possono stabilirsi tra un’amministrazione pubblica e
organismi privati il primo di questi rapporti è quello della concessione di servizio da parte di una
pubblica amministrazione. E’ un’ipotesi nella quale il servizio può essere della pubblica
amministrazione o non esserlo (servizio pubblico in senso soggettivo o in senso oggettivo). La
pubblica amministrazione l’affida ad un privato. Si combinano l’interesse (pubblicistico) del
perseguimento del fine pubblico e quello (privatistico) di ottenerne un guadagno. Il rapporto è
regolato dall’atto di concessione. Questo affida il servizio e indica gli obblighi del concessionario:
svolgere il servizio, organizzarlo ed apportarvi i mezzi necessari, assumere i rapporti obbligatori
connessi, sottostare a controlli del concedente. A sua volta quest’ultimo prevede e conferisce la
remunerazione del servizio, può revocare e sospendere la concessione, ha poteri di direzione,
ispettivi e ordinatori. A seconda delle diverse discipline di specie, al concedente sono imputati solo
i risultati o anche gli atti posti in essere dal concessionario. Invece, gli illeciti civili, contrattuali ed
extracontrattuali, essendo propri dell’area privatistica, sono imputati al concessionario.
Contratti di servizio
Nell’ambito dei diversi rapporti che possono stabilirsi tra un’amministrazione pubblica e
organismi privati un secondo tipo di questi rapporti è quello del contratto di servizio (detto anche,
ma con denominazione errata, appalto di servizio), e cioè di esercizio di attività di interesse
pubblico in forma indiretta, mediante contratto. La pubblica amministrazione può decidere di non
organizzare un ufficio proprio per svolgere un servizio e di avvalersi di un’organizzazione esterna.
Questa si impegna a svolgere un’attività nell’interesse pubblico, ma a condizioni che soddisfino
anche l’interesse privato dell’assuntore del servizio. Mentre però, nel caso della concessione del
servizio, l’attività oggetto dell’affidamento è servizio pubblico, nel caso del contratto è un’attività
privata, di cui l’amministrazione occasionalmente si dà carico, facendola così, diventare attività
privata di interesse pubblico. Le 2 figure non presentano poi diversità notevoli quanto all’assetto
concreto dei rapporti tra i contraenti.
Gli ausili finanziari pubblici
Gli ausili finanziari pubblici vanno tenuti separati da quelli finanziari pubblici a privati per lo
svolgimento di attività private per le quali l’autorità pubblica ha un interesse allo svolgimento. In
questo caso infatti non vi è né una concessione di servizio (perché l’attività non costituisce servizio
pubblico) né un contratto (perché non c’è un accordo, anche se l’atto di concessione è fondato su
una domanda del privato, per cui se ne conosce il consenso). Di conseguenza, più che l’oggetto
dell’attività, ne sono determinati i fini. E non è determinato un corrispettivo, bensì il finanziamento
di una percentuale delle spese previste. Il privato è tenuto al rispetto delle finalità.
della funzione pubblica 31 marzo 1994 sulla base dell’art. 58 bis del decreto legislativo 3 febbraio
1993 n. 29, più volte modificato.
Rapporti tra amministrazione ausiliata e privato ausiliare
Il personale professionale. Il c.d. problema del pubblico impiego
In tutti questi casi, l’ausiliario resta ente privato, anche se svolge attività per contro di
amministrazioni pubbliche. Le 2 cose, l’essere soggetto privato e lo svolgere attività di servizio
pubblico o di pubblico interesse o di rilevanza pubblicistica quanto ai fini, non sono tra loro
incompatibili.
Non pare esservi limite all’attribuzione di funzioni pubbliche a organismi privati. Questi possono
svolgere anche funzioni autoritative. E’ frequente, specialmente per le attività maggiormente
appetite dai privati, l’adozione di una procedura competitiva di scelta dell’ausiliante.
Il personale professionale costituisce la categoria più vasta. Così vasta da indurre spesso a
identificare il personale pubblico con quello dipendente. Dopo molte interpretazioni ma senza
eccessiva convinzione si è giunti a definire pubblico il rapporto di lavoro con l’ente pubblico. Dagli
anni 60 del XX secolo, prima informalmente, poi con successivi riconoscimenti normativi, fino alla
norma base del 1993, si è affermata la contrattazione collettiva delle condizioni economiche e di
lavoro dei dipendenti pubblici.
Lavoro privato e lavoro pubblico
IL PERSONALE
Varietà di titolari degli uffici e loro rapporto
Agli uffici è di regola preposto un titolare, per lo più una persona fisica. Un ufficio infatti consta
solo di funzioni organizzate e di poteri astratti e per operare ha bisogno di persone fisiche. Agli
uffici possono essere preposti più specie di titolari. Innanzitutto, singole persone fisiche, che a loro
volta si distinguono a seconda che svolgano la loro attività a titolo professionale, non professionale
e onorario, non professionale e volontario. In secondo luogo, insiemi di persone fisiche, detti
collegi. Ma gli uffici possono valersi anche delle prestazioni di personale di altri uffici. Ciò accade
quando titolari di uffici sono persone giuridiche, uffici o organi di persone giuridiche e imprese
(private e pubbliche).
Principi comuni ai titolari di uffici
Vi sono 5 principi, tutti riguardanti il rapporto tra ufficio e suo titolare (detto rapporto d’ufficio
perché riguarda l’esercizio della funzione) che reggono tutti i titolari di uffici:
1) Continuità, vicarietà, reggenza, proroga. Tale norma stabilisce il principio che i titolari
degli organi amministrativi svolgono le loro funzioni fino alla scadenza del termine di
durata per essi previsti e che entro tale termine debbono essere nominati i nuovi titolari. La
norma prevede una proroga per non più di 45 giorni e solo per compiere atti di ordinaria
amministrazione, oppure urgenti e indifferibili. Decorso il termine i titolari decadono ed
eventuali atti adottati successivamente sono nulli. La conseguenza è che oggi non v’è più
prorogatio di fatto.
2) Libertà ed eguaglianza di accesso. Art. 51 della Costituzione: tutti i cittadini dei 2 sessi
possono accedere agli uffici pubblici secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Norme
nazionali derivate da norme europee consentono accesso anche a cittadini dell’Unione.
3) Disciplina ed onore. Giuramento, art. 54 della Costituzione.
4) Separazione tra interesse dell’ufficio e interesse del titolare. Nei paesi anglosassoni per
assicurare la neutralità dei funzionari civili, ai dipendenti pubblici è vietato svolgere
attività politica a livello nazionale (limiti meno severi a livello locale) e presentare la
propria candidatura al Parlamento.
5) Separazione tra patrimonio dell’ufficio e patrimonio del titolare.
Il 3, 4 e 5 principio sono ora rafforzati (ma solo per il personale dipendente) dal Codice di
comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni adottato con decreto del Ministro
L’elemento distintivo del pubblico impiego starebbe nella circostanza che esso trova la sua
disciplina nella legge, piuttosto che nel contratto. In particolare, la legge o altro atto normativo,
disciplina unilateralmente la scelta delle persone, la preposizione all’ufficio (nomina), la
subordinazione. E’ comunque da tenere presente che quando l’amministrazione assume un
dipendente, non cura alcun interesse pubblico, ma cura l’interesse proprio ad avere un servizio
personale, in ordine al quale ha, più precisamente, un interesse strumentale; e che non può dirsi
che il rapporto di lavoro pubblico è diverso da quello privato perché la disciplina del primo non è
nella disponibilità delle parti mentre lo sarebbe il secondo.
La disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Evoluzione normativa
In origine il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni è stato considerato rapporto
d’impiego pubblico; si trattava di un rapporto bilaterale, disciplinato unilateralmente. Si riconobbe
poi, che il dipendente pubblico aveva diritto ad una tutela per non essere lasciato alla mercè del
governo e si apprestò una legislazione in funzione di garanzia (norme del 1908, 1923, 1957). Così il
rapporto bilaterale venne tutelato unilateralmente. Lo Stato in qualche modo si sdoppiava; lo Stato
ordinamento (la legge garantiva il dipendente pubblico nei confronti dello Stato governo. Seguì
una terza fase (anni 30 del XX secolo) nella quale 2 settori (dipendenti degli enti pubblici economici
e delle aziende municipalizzate) vennero aggregati all’impiego privato finendo per essere regolati
dal codice civile e da una disciplina contrattuale e sottoposti al giudice ordinario. Nel secondo
dopoguerra si cominciò con la negoziazione informale delle condizioni economiche per passare
poi al riconoscimento legislativo della negoziazione del trattamento economico.
La disciplina del lavoro privatizzato
La disciplina del lavoro privatizzato ha individuato subito categorie sottratte al nuovo regime, che
restano disciplinate dalla legge: magistrati, avvocati ecc.; la norma ha poi sottratto alla
contrattazione e conservato alla legge la selezione del personale pubblico, la libertà di opinione e
di professione dei dipendenti pubblici e il regime delle incompatibilità e del cumulo degli
incarichi. La disciplina del 1993 è dunque diversa da quella del 1983 che prevedeva la divisione
della materia in 2 parti mentre adesso si parla di eccezioni per quanto concerne alcune categorie.
La disciplina del 1993 può essere riassunta in 6 punti principali, relativi ai tipi di contratto, alla loro
estensione soggettiva, ai soggetti contraenti, alle procedure di contrattazione, agli effetti e al
Giudice competente. La struttura della contrattazione collettiva è in linea di principio rimessa
all’autonomia delle parti contraenti; il decreto però prevede 3 tipi di contratto: gli accordi che
definiscono i comparti o regolano istituti comuni a più comparti; i contratti nazionali di comparto,
che possono regolare ogni aspetto del rapporto di lavoro che non sia ad essi espressamente
sottratto dalla legge; i contratti integrativi nelle materie e con i limiti stabiliti dai contratti collettivi
nazionali, la cui violazione comporta la nullità delle clausole difformi contenute nei contratti
integrativi.
La contrattazione si svolge tra una parte pubblica e la parte sindacale. Per le pubbliche
amministrazioni l’A.R.A.N.
La procedura di negoziazione e stipulazione si conclude, prima della stipulazione del contratto,
con la certificazione, da parte della Corte dei conti, della attendibilità dei costi quantificati e della
loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. E’ vietata la contrattazione
individuale migliorativa. Sono devolute al Giudice ordinario in funzione di Giudice del lavoro
tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Il decreto legislativo n. 29 del 1993, con i decreti che l’hanno modificato, costituisce un importante
passo avanti verso il diritto comune delle pubbliche amministrazioni. Per la prima volta viene
riconosciuto che lo Stato è parte, alla pari delle organizzazioni rappresentative dei dipendenti. Il
pareggiamento tra lavoro pubblico e privato è tale che non vi è limite alla possibilità che un
contratto disciplini dipendenti pubblici e privati insieme, perché i comparti della contrattazione
collettiva nazionale non sono riferiti più alla pubblica amministrazione, ma debbono riguardare
solo settori omogenei o affini. La conseguenza di questo nuovo ordinamento del rapporto di
lavoro con le pubbliche amministrazioni, avviato nel 1993 e perfezionato nel 1998, è che l’intera
materia dell’impiego pubblico passa nell’alveo del diritto civile, perché sia la disciplina sostanziale
sia il suo Giudice sono di diritto civile.
Il rapporto di lavoro subordinato
La denominazione corrente del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni è quella di
impiego pubblico di ruolo. Si tratta, per l’autore, di una denominazione per più versi errata. Non è
impiego perché comprende anche operai, non è pubblico per le ragioni suesposte, il personale è
scelto in un mansionario generale.
Organici, ruoli e aree
Innanzitutto il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni è dominato dagli organici, dai
ruoli e dalle aree. I primi sono piante o tabelle che, per ogni amministrazione, indicano il
personale, distinguendolo per ruolo e grado e stabiliscono il numero dei posti. L’organico è
indicato con atto regolamentare ed è vincolante. Senza la disponibilità di posti in organico,
l’amministrazione non può assumere personale. Gli organici sono determinati per uffici. I ruoli
invece, indicano categorie chiuse di personale appartenente ad un’amministrazione.
Costituzione del rapporto
La costituzione del rapporto di lavoro è regolata dall’art. 36 del decreto legislativo n. 29 del 1993,
dagli ordinamenti di settore e dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487. Gli
organi deliberativi di ogni amministrazione provvedono alla programmazione triennale del
fabbisogno di personale. Per le amministrazioni statali il Consiglio dei ministri delibera
trimestralmente il numero delle assunzioni. L’assunzione avviene con contratto individuale di
lavoro dopo una procedura selettiva di reclutamento, denominata concorso (sistema del merit
system contrapposto al political patronage). Gli illuministi francesi influenzati anche dal sistema
cinese degli esami per l’accesso ai pubblici uffici, prepararono la strada alla Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino nel 1789, secondo la quale tutti i cittadini possono essere ammessi
a tutti gli impieghi pubblici secondo le loro capacità e senza distinzione ulteriore. Da lì il principio
si diffuse ovunque e anche in Italia fu introdotto in alcune legislazioni preunitarie e poi in quella
nazionale.
Prestazioni
Nella scienza del diritto amministrativo si distingue un rapporto d’ufficio da quello di servizio
dicendosi che il primo ha per oggetto l’esercizio della funzione mentre il secondo le prestazioni
della persona all’amministrazione. Il primo dunque attiene all’aspetto organizzativo mentre il
secondo al rapporto di lavoro.
Diritto allo sciopero dei dipendenti pubblici disciplina ad hoc quando questi esercitino servizi
pubblici essenziali. In questo caso limiti stabiliti direttamente dalla legge e dai contratti collettivi di
lavoro con definizione delle prestazioni indispensabili in rapporto agli altri diritti
costituzionalmente garantiti.
Carriera
Non è un diritto anche se viene spesso chiamato con questo termine, quello alla carriera. La
contrattazione per il quadriennio 98-01 ha agevolato il passaggio dei dipendenti ai livelli superiori
in 2 modi: con percorsi di qualificazione e di aggiornamento professionale con esame finale per il
passaggio a posizione economica superiore della stessa area e con procedure selettive e corso
concorso anche in deroga alle prescrizioni relative al titolo di studio, per il passaggio all’area
superiore. Il principio del merito, affermatosi nell’accesso, o non si è affermato o è fortemente
attenuato nella progressione c.d. di carriera.
Modificazioni
Le modificazioni del rapporto di lavoro sono: il comando, il collocamento fuori ruolo, il
collocamento in aspettativa, il collocamento in disponibilità, il passaggio ad altra amministrazione
o carriera, la sospensione cautelare e quella per effetto di condanna penale.
Estinzione
Di regola il rapporto di lavoro si estingue per dimissione, decadenza, dispensa dal servizio,
collocamento a riposo. Con l’estinzione del rapporto di lavoro nasce un diritto patrimoniale, quello
al trattamento di quiescenza, consistente nella indennità di buona uscita e nella pensione.
Organi di gestione
Gli organi di amministrazione del personale sono di carattere generale e di carattere speciale.
Il rapporto di lavoro subordinato a termine. L’impiego pubblico a contratto
A titolo di esempio il conservatore dei registri immobiliari poteva assumere copisti e pagarli con i
diritti di scritturato. La cosa si spiegava con la particolare posizione dei conservatori, la cui
autonomia li ha fatti considerare assimilabili ai Giudici. Queste forme di lavoro vennero
raggruppate sotto la denominazione di impiego pubblico a contratto.
Disciplina normativa del rapporto di lavoro a termine
La scelta del dipendente avviene intuitu personae e il rapporto sorge con atti variamente
denominati come chiamata, incarico, ecc.. Le prestazioni sono manuali, esecutive o tecniche. Il
dipendente ha diritto a retribuzione e al trattamento previdenziale e ha anche aumenti retributivi,
ma non una carriera. L’estinzione avviene per decorso del tempo; in particolari casi è ammesso
anche il licenziamento.
Il personale non professionale:
rapporti di mandato, di lavoro autonomo, di prestazione professionale
Il personale non professionale, detto anche in passato, onorario perché non retribuito, comprende
coloro che prestano la propria opera senza vincolo di subordinazione a vario titolo, di mandato, di
prestazione professionale, di lavoro autonomo. Larga parte del personale non professionale è
costituito da funzionari. Ma esso non è dipendente, perché non ha un rapporto di lavoro
subordinato, ma svolge tutt’al più e solo in alcuni casi, un’attività di collaborazione coordinata e
continuativa. Una particolare categoria di personale non professionale è quella dei notai, che sono
professionisti preposti ad un ufficio pubblico.
Costituzione del rapporto
La costituzione del rapporto è del tutto diversa da quella del personale professionale. Tra i modi
con i quali costituirla l’elezione diretta o indiretta, seguita da proclamazione, di regola da parte
dello stesso organo eletto; designazione per lo più vincolante, da parte di un corpo o
un’associazione privata, seguita dalla nomina da parte dell’amministrazione pubblica controllante.
Altro modo è la nomina (ad esempio da parte del Governo). Un funzionario onorario infine può
essere tale anche ratione officii per il fatto di essere titolare di altro ufficio: in tal caso si dice che
esso fa parte di diritto dell’organo.
A regolare questo genere di rapporto sono poste cause di ineleggibilità e incompatibilità: le prime
invalidano la preposizione o elezione mentre le seconde impongono solo l’obbligo di scegliere tra i
2 uffici incompatibili tra loro.
Prestazioni delle parti
L’attività è svolta senza vincoli di subordinazione; non esiste né è configurabile carriera. In origine
non era previsto compenso.
Estinzione del rapporto
L’estinzione del rapporto è retta dalle norme più diverse. Vi sono casi in cui il rapporto ha una
durata determinata, casi nei quali esso può rinnovarsi per un’eguale durata per un infinito numero
di volte e casi nei quali può rinnovarsi per un’eguale durata per un numero limitato di volte
(Presidenti degli Enti pubblici limite di 2 rielezioni, Governatore della Banca d’Italia anche a vita).
La dirigenza
Una posizione particolare è quella dei dirigenti categoria individuata dal decreto del Presidente
della Repubblica n. 748 del 30 giugno 1972 per lo Stato.
Il decreto legislativo n. 29 del 1993 dispone ora che i dirigenti siano ordinati in 2 fasce; nella prima
sono inquadrati i dirigenti di uffici dirigenziali generali, nella seconda gli altri.
Disciplina della dirigenza statale
L’accesso alla qualifica di dirigente (seconda fascia) avviene a seguito di concorso per esami. Alla
prima fascia accedono i dirigenti della seconda che abbiano ricoperto incarichi di direzione di
uffici dirigenziali generali per almeno 5 anni con risultati positivi. Gli incarichi di direzione degli
uffici sono conferiti a tempo determinato, per una durata non inferiore a 2 anni e non superiore a 7.
Possono essere rinnovati e revocati. Possono, nel limite del 5%, essere conferiti con contratto a
tempo determinato ad estranei all’amministrazione.
Il dirigente di uffici dirigenziali generali ha 3 ordini di compiti: quelli funzionali all’attività del
ministro, quelli funzionali all’ufficio direzione generale, di regola, dei ministeri e quelli relativi a
rapporti con organi consultivi e giurisdizionali.
I dirigenti sono ora regolati anche essi da contratti collettivi. Da notare come in Inghilterra l’alta
amministrazione è in grado di reclutare i migliori laureati di Oxford e Cambridge.
Il rapporto di lavoro con gli enti pubblici economici
sono divenute i maggiori intermediari finanziari; basti dire che la quota della spesa pubblica sul
reddito nazionale era nel 1910 del 15%, oggi circa del 50%.
Il sistema finanziario pubblico.
Accentramento delle entrate e decentramento delle spese
La caratteristica principale del sistema finanziario pubblico italiano è costituita dall’accentramento
delle entrate ed il decentramento della spesa (per l’esattezza da un decentramento territoriale, a
favore di Regioni, Province e Comuni e da un decentramento per servizi, a favore di enti pubblici
nazionali). Quasi tutte le entrate tributarie sono percepite dagli uffici centrali e periferici dello
Stato ed affluiscono al Tesoro dello Stato. Le spese invece, oltre che dai ministeri e dagli uffici
periferici da essi dipendenti, sono decise e poste in essere anche da enti nazionali, da Regioni,
Comuni, ecc.. Il divario tra accentramento delle entrate e decentramento delle spese tuttavia si è
andato attenuando per ciò che riguarda Regioni ed enti locali sul finire del secolo in
corrispondenza con i trasferimenti di compiti alla periferia e con il riconoscimento di maggiore
autonomia agli enti locali.
Il ciclo del bilancio
La seconda caratteristica del sistema finanziario italiano è al contrario della prima, comune a tutti
gli ordinamenti moderni. Essa consiste in un assetto procedurale di tipo circolare con un flusso
continuo di atti. Questi sono, nello Stato, il documento di programmazione economico-finanziaria
pluriennale, il bilancio di previsione pluriennale, la legge finanziaria, il bilancio di previsione
annuale, gli atti amministrativi di programmazione, di impegno, liquidazione, ordinazione e
pagamento della spesa, il rendiconto generale dello Stato.
Le fasi di ciascun ciclo sono in successione necessaria tra di loro, per cui non si può aprire la
seconda se la prima non si è conclusa, né la terza se non si è conclusa la seconda, ecc.. Ad esempio
un ministro non può emanare un decreto di impegno di spesa se il bilancio di previsione non è
approvato e la tesoreria non può provvedere al pagamento se la spesa non è stata impegnata, ecc..
La finanza come misura effettiva della funzione. La disciplina contabile
Il decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 ha disposto, a decorrere dalla nomina del primo
governo successivo ad elezioni politiche, la soppressione dei 2 ministeri finanziari (finanze e
tesoro, bilancio e programmazione economica) e l’istituzione del Ministero dell’economia e delle
finanze, che svolge le funzioni di ambedue gli apparati precedenti.
La dimensione operativa di un ufficio è misurata dalle risorse di cui dispone e si può dunque dire
che la finanza è in grado di condizionare l’effettività delle funzioni, per cui se ordinamento delle
funzioni e ordinamento funzionario non combaciano il primo è costretto all’inoperatività.
Rapporti di lavoro di stampo privatistico.
La finanza come mezzo di direzione dell’amministrazione
Gli uffici finanziari dell’amministrazione
Il personale non professionale e non volontario
Gli uffici finanziari dopo l’unità, erano uffici propri dell’amministrazione attiva, ordinati come
sezioni annesse agli uffici amministrativi e a questi subordinati. Essi però acquisirono presto una
propria organizzazione e vennero denominati ragionerie. Le ragionerie dei Ministeri, denominate
centrali, acquisirono un potere molto grande, operando o come organo istruttorio del ministro in
tutte le attività del ministero o persino come organo di controllo dell’operato del ministro.
L’attività finanziaria, allontanata da quella amministrativa diventò autonoma e cominciò a
sovrapporsi ad essa.
La pubblica amministrazione può valersi anche di personale le cui prestazioni sono
autoritativamente imposte (la prescrizione obbligatoria).
LA FINANZA
I mezzi dell’azione amministrativa: dai beni alla finanza
Per lungo tempo, per mezzi dell’azione amministrativa si sono intesi, quasi esclusivamente, i beni
pubblici, in particolare quelli immobiliari. Più tardi le entrate patrimoniali sono andate
riducendosi (oggi rappresentano meno dello 0,5 del totale delle entrate). Quella moderna è dunque
una finanza da tributi, non una finanza da patrimonio. Se tra i molti mezzi di cui si vale
l’amministrazione ce n’è uno che ha un posto determinante questo è composto dalle risorse
finanziarie, costituite a loro volta di beni, come il denaro. Le pubbliche amministrazioni centrali
Il passaggio degli uffici finanziari al Tesoro
Nel 1923 la legge De Stefani di disciplina della contabilità dello Stato distaccò le ragionerie centrali
dai ministeri ponendole alle dipendenze della Ragioneria generale dello Stato, ufficio del Ministero
delle finanze (poi del Tesoro). Ulteriori passi furono fatti, successivamente, ponendo l’ufficio di
ragioniere centrale dello Stato su un grado superiore a quello dei più alti uffici centrali e istituendo
ragionerie anche a livello regionale e provinciale. Veniva in tal modo creato un corpo unico,
distaccato dalle amministrazioni ma presente in ognuna di esse e posto alle dipendenze del Tesoro.
Esso ha costituito, dopo di allora e per quasi mezzo secolo, la spina dorsale dell’amministrazione
pubblica.
Finanza funzionale e finanza strumentale
Se si compara la finanza con le funzioni, l’organizzazione e il personale, si nota una differenza: la
finanza è sottoposta a revisione annuale, nel corso di quella procedura che si chiama di bilancio ma
va oltre il bilancio; gli altri elementi dell’amministrazione invece sono relativamente stabili nel
senso che non sono necessariamente sottoposti a revisione periodica.
Spese di funzionamento e spese finali
Le risorse finanziarie si dividono in 2 categorie a seconda che riguardino il funzionamento
dell’apparato amministrativo o gli interventi da esso svolti. La prima è definibile finanza
strumentale, la seconda finanza finale o funzionale. Ora, mentre la finanza funzionale ha un certo
grado di variabilità, la finanza strumentale è fondamentalmente stabile. La prima infatti varia in
proporzione diretta al variare delle funzioni dell’amministrazione mentre la seconda ha un minore
grado di variazione. Le 2 finanze sono distinte ma non separate.
Bilancio e legge finanziaria
La legge n. 468 del 5 agosto 1978 ha codificato la distinzione tra bilancio e legge finanziaria
introducendo proprio quest’ultima. La successiva legge n. 362 del 23 agosto 1988 ha introdotto il
documento di programmazione economico-finanziaria, che definisce la manovra di finanza
pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Documento di programmazione
economico-finanziaria, legge finanziaria, da un lato, e bilancio annuale di previsione dall’altro, non
hanno la stessa estensione. I primi si limitano alla manovra di politica economica e quindi hanno
ad oggetto solo, o prevalentemente, gli interventi amministrativi. Il secondo include sia gli
interventi amministrativi sia il finanziamento del funzionamento dell’amministrazione. Per cui il
bilancio, pur avendo formalmente ad oggetto anche gli interventi amministrativi, sostanzialmente
è limitato alle decisioni sulla finanza strumentale. Questa differenza di oggetto si riflette sulla
struttura e sull’efficacia dei 2 atti. Quanto alla struttura il bilancio è articolato in unità revisionali di
base mentre la legge finanziaria è ordinata per progetti, nel senso che vi predominano le funzioni.
Quanto all’efficacia con l’introduzione nel 1978 della legge finanziaria si è mutato l’assetto
precedente, nel quale il bilancio costituiva il principale atto di indirizzo politico. La funzione di
indirizzo politico annuale nel nuovo ordinamento è assorbita dal documento di programmazione
economico-finanziaria e dalla legge finanziaria. Il bilancio invece è stato trasformato in mero atto
di indirizzo amministrativo. Si può dunque affermare che legge finanziaria e bilancio non sono tra
di loro in quel rapporto che la successione temporale suggerirebbe, ma hanno oggetti, struttura ed
efficacia diversi. Solo in parte si sovrappongono ma per quella parte il bilancio si limita a recepire
le decisioni prese con legge finanziaria.
I vincoli comunitari
L’art. 104 del Trattato UE stabilisce che gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici
eccessivi (non superiore al 3% e debito pubblico non superiore al 60% del PIL). 2 procedure per
garantire il rispetto di questi vincoli. La prima è una procedura di allarme preventivo prevista dal
c.d. patto di stabilità che prevede preparazione di un programma da parte dello Stato membro
esaminato dal Consiglio UE che può inviare raccomandazioni in merito. C’è inoltre un patto di
stabilità interno, secondo il quale gli enti territoriali debbono concorrere alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica europea indicati dal patto di stabilità esterno. La seconda è una
procedura di sorveglianza prevista dall’art. 104 del Trattato che si articola in una fase di
accertamento e in una di formulazione di raccomandazioni, in una eventuale di intimazione e in
un’ultima, anch’essa eventuale, sanzionatoria.
Dall’atto al procedimento
IL PROCEDIMENTO
Le funzioni sono articolate in uffici dotati di poteri, ai quali sono preposti titolari ed attribuite
dotazioni finanziarie, allo scopo di raggiungere un risultato, indicato dai fini in cui le funzioni, tra
l’altro, consistono. Molte delle attività dell’amministrazione servono per ordinare gli strumenti per
svolgere le proprie funzioni: ad esempio reclutano personale, lo trasferiscono, ne regolano la
carriera, raccolgono risorse finanziarie e le distribuiscono agli uffici amministrativi. In secondo
luogo programmano sia la propria sia l’attività dei privati. In terzo luogo regolano l’attività dei
privati, concedendo, vietando, ecc.. In quarto luogo erogano servizi, in quinto conferiscono somme
di denaro (stipendi e pensioni). Tutte queste attività, molto disparate, hanno elementi in comune.
In primo luogo sono parzialmente programmate nel senso di essere previste da leggi e nel senso
che gli uffici ne preordinano il succedersi. In secondo luogo sono specializzate nel senso che si
fondano sulla divisione del lavoro tra gli uffici. In terzo luogo sono parzialmente sequenziali e cioè
si ordinano in flussi.
L’ordinamento dell’attività in sequenze
Ogni organizzazione complessa (l’amministrazione è l’organizzazione complessa per eccellenza)
ordina la propria attività in flussi. Nessuna decisione si esaurisce in un solo atto.
Disattenzione per il procedimento
Definizioni di procedimento: serie di atti ed operazioni funzionalmente collegati in relazione ad un
unico effetto; in realtà è qualcosa di più di un’attività preparatoria, in quanto esso è il riflesso,
nell’attività, dell’organizzazione. Insomma il procedimento è il profilo dinamico
dell’organizzazione.
Funzioni del procedimento
Il procedimento ha una funzione organizzativa in senso dinamico; completa il disegno
organizzativo, che non può, come invece può fare appunto il procedimento, il posto di ciascun
ufficio nel corso dell’attività. Il procedimento serve in secondo luogo come mezzo di composizione
degli interessi. Il procedimento svolge il compito, per così dire, di superlegge o di decisione di
secondo grado, con funzione di soluzione di conflitti tra interessi collettivi, che, divenuti pubblici,
si riproducono nell’amministrazione. Esso fissa le regole attraverso le quali dare la prevalenza ad
alcuni interessi pubblici rispetto ad altri. In terzo luogo il procedimento serve a porre limiti
all’attività amministrativa, definendo gli effetti degli atti di ogni ufficio, al fine di rendere
verificabile l’attività amministrativa. Attraverso la determinazione procedimentale il Giudice è in
grado di risalire dall’atto impugnato, procedendo all’indietro, agli atti che hanno contribuito a
formarlo
Procedimento e processo. Il procedimento come forma della funzione amministrativa
E’ stato probabilmente proprio il legame tra procedimento e processo, quello per cui il secondo
controlla il primo, a indurre la scienza del diritto amministrativo verso una configurazione
dell’uno e dell’altro come specie di un genere unico. Così inteso il procedimento altro non è che la
forma di esplicazione della funzione amministrativa.
Tuttavia, la sequenza definita procedimento ha struttura più complessa e varia di quella
processuale, articolata in un’iniziativa, un’istruttoria, una decisione. Non che questi non siano
presenti nel procedimento; ma sono ordinati in sequenze che presentano minor grado di
tipizzazione. E’ vero che l’articolazione nelle 3 fasi indicate è presente anche nell’attività
amministrativa, ma racchiudere in esse la struttura di base del procedimento significa semplificare
la realtà giuridica.
Perchè il procedimento non è assimilabile al processo
Mancano nel procedimento innanzitutto 2 requisiti soggettivi del processo: la terzietà dell’autorità
pubblica procedente e il contraddittorio tra le parti. Ma le differenze principali tra procedimento e
processo stanno proprio nel modo in cui è regolata, nei 2 casi, la sequenza. Questa ha inizio con
l’atto di iniziativa, che può essere di ufficio o di privati (detta in questo caso, impropriamente, di
parte). Tralasciando il primo effetto, quello propulsivo, che è comune, avendo sia il Giudice sia
l’amministrazione l’obbligo di provvedere, quando si passa al secondo effetto dell’atto di
iniziativa, quello di definire l’oggetto del procedimento, si nota che, mentre il Giudice non può
andare, di regola, oltre la domanda dell’attore, la pubblica amministrazione procedente non è
strettamente vincolata all’oggetto definito dall’atto di iniziativa, potendo ampliarne l’oggetto. Si
può quindi rilevare che l’iniziativa non sta al procedimento come l’iniziativa processuale sta al
processo.
Quanto all’istruzione, essa serve ad acquisire gli interessi e a consentire la rappresentanza dei fatti.
All’uno e all’altro nel processo si provvede attraverso l’acquisizione delle prove. Nel
procedimento, i primi vengono raccolti attraverso dichiarazioni di giudizio per lo più definite
pareri, i secondi attraverso dichiarazioni di scienza, quali ispezioni, certificazioni, ecc.. Né gli uni
né gli altri sono atti probatori, dovendo essere soltanto verificati, né sono ordinati rispetto alla
decisione allo stesso modo delle prove. Anche la decisione del procedimento è diversa dalla
decisione del processo. Quest’ultima ha il c.d. effetto di cosa giudicata, la prima ha invece carattere
di imperatività. Infine, oltre a decisioni interlocutorie e provvisorie, nel procedimento
amministrativo sono frequenti decisioni negative, nel senso di decidere di non decidere. In
sostanza, mentre nel processo esiste una regola della decisione (per cui il Giudice deve decidere in
ogni caso ed è determinato il criterio cui deve attenersi nel decidere), nel procedimento la scelta
della regola di decisione fa parte della stessa discrezionalità amministrativa. Si aggiunge, per
concludere, che se il procedimento è una sequenza, non ogni sequenza è poi ordinata come un
processo.
Varietà di strutture procedimentali
Il processo si presenta come una sequenza articolata in relazione al modello diretto a regolare il
gioco tra Giudice e parti. La codificazione processuale civile e penale ha disegnato tale sequenza in
forme unitarie. Il procedimento invece è una sequenza ordinata non secondo un modello unico ma
corrispondentemente a tanti modelli, imposti dagli interessi o fini pubblici o dalle loro
interferenze.
I procedimenti sono di varia natura. Alcuni sono semplici, altri complessi, alcuni hanno un solo
atto con funzione propulsiva, altri hanno più atti di iniziativa. Anche l’istruttoria e la decisione
possono consistere di uno o più atti. Mentre in alcuni procedimenti una articolazione in 3 fasi,
iniziativa, istruzione e decisione, è facilmente discernibile, in altri vi sono articolazioni più
complesse. La ricostruzione di tutte queste sequenze in termini di iniziativa, istruzione e decisione,
nonché in termini di subprocedimenti, per le fasi interne, e di procedimenti collegati per i
procedimenti composti, costituisce in verità una forzatura della realtà giuridica. Il Giudice
amministrativo, in tempi recenti ha anticipato la tutela, consentendo l’autonoma impugnazione di
atti che, secondo il punto di vista suesposto, sono endoprocedimentali.
Non sempre la legge fissa il contenuto del provvedimento, limitandosi a determinare le modalità
della sua formazione, e cioè il procedimento. Questo dunque sarà modellato dagli interessi ai quali
deve dare ordine.
Principi giurisprudenziali comuni ai procedimenti
Necessarietà
Il primo principio è quello della necessarietà del procedimento stesso, nel senso che, se l’esercizio
di un’attività è subordinato dalla norma a un procedimento e, nel suo corso, a pareri, intese o altri
atti, la decisione assunta senza aver prima espletato gli adempimenti procedurali previsti è
illegittima. Analogo principio è stato affermato anche nel caso in cui la norma non disponga
espressamente sul procedimento, per cui è principio del procedimento l’obbligo dell’istruzione,
della verifica dei fattori economici intervenienti e della ponderazione degli interessi.
Esattezza e completezza della rappresentazione dei fatti e degli interessi
Il secondo principio è quello della esattezza e completezza della individuazione e della
rappresentazione dei fatti e degli interessi. Se i fatti risultano inesistenti, o essenzialmente diversi
da come li ha intesi o prospettati l’amministrazione, il provvedimento amministrativo è illegittimo.
Oltre ad essere esatta, l’individuazione e rappresentazione dei fatti deve essere completa:
l’amministrazione deve valutare e definire l’intero contesto formale e materiale, acquisendo una
conoscenza piena ed esauriente delle circostanze relative alla situazione concreta. Altrettanto vale
per gli interessi. Questi principi, fatti valere attraverso le figure sintomatiche del travisamento dei
fatti o dell’errore di fatto o dell’illogicità manifesta, riguardano in sostanza, gli effetti che
l’istruzione produce sulla decisione.
Coerenza e logicità
Il terzo principio è variamente definibile come coerenza, congruità, logicità o ragionevolezza e
trova applicazione in un gran numero di casi. Secondo questo principio deve esservi
corrispondenza tra le premesse dalle quali l’amministrazione ha preso le mosse e il provvedimento
che ne è la conseguenza. In altre parole, la decisione deve essere coerente con i suoi presupposti.
Inoltre, i fatti e gli interessi debbono essere valutati in modo logico e razionale. Questo principio
viene fatto valere attraverso le figure sintomatiche di eccesso di potere denominate illogicità
manifesta, illogicità e contradditorietà, motivazione illogica.
Imparzialità
Il quarto principio è quello della imparzialità. Esso trova il suo fondamento nella Costituzione (art.
97) e ha numerose applicazioni. Il principio di imparzialità viene fatto valere come principio del
rispetto dei criteri di massima già fissati o dell’obbligo della previa determinazione dei criteri di
massima. Nel primo senso viene inteso come necessità di osservare criteri o regole adottati
precedentemente e seguiti in decisioni comparabili. Nel secondo senso viene enunciato come
obbligo di previa determinazione di standards e criteri generali da adottare nelle successive
decisioni che comportino comparazione o che incidano nelle sfere istituzionali libere di privati.
Questo principio si è affermato a mezzo delle figure sintomatiche della ragionevolezza, della
contradditorietà, della violazione di circolare, nonché, con applicazione diretta, da parte del
Giudice amministrativo, del principio costituzionale stesso.
Trasparenza, proporzionalità e standards
Minor uso è stato fatto finora, da parte dei Giudici, del principio che può dirsi, secondo l’uso
francese, della trasparenza amministrativa o della conoscibilità del procedimento. Si tratta dei casi
in cui viene affermato dal Giudice l’obbligo di motivazione (sempre quando si tratti di
provvedimenti sanzionatori o limitativi della sfera di autonomia dei privati), o si controlla la
sufficienza della motivazione, o viene affermato l’obbligo della esternazione dei presupposti di
fatto e delle valutazioni per ricostruire l’iter logico della procedura.
Appare in corso di formazione un ultimo principio, relativo alla decisione, consistente nel
necessario raffronto tra i vari modi di realizzazione dello scopo e nell’obbligo della ricerca delle
diverse soluzioni.
L’affermazione di standards costituisce uno degli sviluppi più interessanti del diritto
amministrativo e trova la sua origine, così come il procedimento al quale si applica, nel
moltiplicarsi degli interessi pubblici necessari e di quelli comunque presenti nel procedimento. Le
amministrazioni possono variamente comporre tali interessi ma non possono non rispettare nel far
ciò, altri interessi o principi. Questi non possono mai soccombere nei confronti di altri interessi,
quelli primari, perché sono una componente essenziale dell’azione amministrativa. In questo
senso, sono interessi di secondo grado o principi del procedimento.
Cosiddetto giusto procedimento
Il principio del giusto procedimento è stato enunciato dal Giudice costituzionale. Secondo
quest’ultimo, il principio si trae dalla legislazione ordinaria (ciò che no ha impedito alla Corte
costituzionale di farlo valere come regola di rango superiore). Quando il legislatore ordinario
dispone che si apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la regola, che il legislatore normalmente
segue, è quella di enunciare ipotesi astratte, predisponendo un procedimento amministrativo,
attraverso il quale gli organi competenti provvedono ad imporre concretamente tali limiti, dopo gli
opportuni accertamenti e dopo avere messo i privati in condizione di esporre le loro ragioni, sia a
tutela dei propri interessi, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico. Il principio detto
del giusto procedimento ha una applicazione limitata solo ad alcuni procedimenti.
La codificazione del procedimento: aspetti comparati
Austria per prima, nel 1925, adottò 5 provvedimenti legislativi contenenti disposizioni generali sul
procedimento con una impostazione processualistica (introduzione, istruzione, decisione,
impugnazione, esecuzione). Poi l’Administrative Procedure Act statunitense adottato nel 1946.
Infine la legge tedesca del 1978 (più di 100 att.). Vi sono Paesi dove si è preferito non adottare una
legge sul procedimento ma regolare con leggi separate singoli aspetti dell’attività amministrativa e
dei rapporti tra amministrazione e cittadini. E’ il caso della Francia.
Funzioni della codificazione del procedimento
amministrativi), quello di equità o di natural justice (definito anche come diritto di essere
ascoltati), quello di ragionevolezza, quello di proporzionalità, l’obbligo di motivazione. Una
variabile importante è il tipo di tutela giudiziaria assicurata, la sua estensione e la sua effettività.
Le leggi comunque seguono modelli diversi dei quali i più importanti sono quello giudiziario
(austriaco9 e quello della rappresentanza degli interessi (nordamericano).
Effetti della disciplina
Per quanto riguarda il sistema giudiziario le leggi sul procedimento amministrativo hanno un
duplice effetto: da un lato limitano il potere i poteri dei Giudici perché escludono che il
procedimento amministrativo possa essere sottoposto a principi di formazione giudiziaria;
dall’altro ampliano i suddetti poteri perché, alla fine, i Giudici avranno comunque l’ultima parola
sull’applicazione della legge.
Le Costituzioni più recenti (greca 1975, portoghese 1976, spagnola 1978) includono principi
generali sul procedimento amministrativo.
Principi legislativi sul procedimento amministrativo
La legge 7 agosto 1990 n. 241, ha invertito la tendenza precedente stabilendo alcuni principi sul
procedimento. Questa legge non può essere definita legge generale sul procedimento
amministrativo. Essa non contiene una tipologia dei singoli procedimenti né regola tutti i principi
del procedimento, né, quando lo fa, si applica come norma generale.
La disciplina legislativa del procedimento amministrativo può avere 3 diverse funzioni:
1) limitare e dare una forma alla discrezionalità amministrativa;
2) limitare il potere dei Giudici;
3) limitare la discrezionalità delle autorità regionali o locali, con l’effetto di centralizzare il
governo dei diritti dei cittadini.
Contro la funzione di limitare e dare una forma alla discrezionalità amministrativa vengono
solitamente presentati 4 argomenti:
1) amministrazione eccessivamente rigida;
2) troppo diritto è intollerabile,
3) non c’è bisogno di una legge sul procedimento perché il Governo deve dare conto della sua
attività al Parlamento;
4) il Governo può autolimitarsi contenendo volontariamente la sua discrezionalità.
Secondo l’autore nessuno di questi argomenti ha un fondamento.
Contro la funzione di limitare il potere dei Giudici viene usato l’argomento che la legge è
meccanica e uniforme, mentre i Giudici sono elastici, possono adattare il diritto ai singoli casi,
procedono incrementalmente. Ma questo ragionamento non tiene conto del fatto che anche i
Giudici incontrano dei limiti e che vi sono campi nei quali essi non entrano.
Contro la funzione di limitare la discrezionalità delle autorità regionali o locali, con l’effetto di
centralizzare il governo dei diritti dei cittadini si oppone il ragionamento contrario del
decentramento e della sua opportunità. Ma, osserva l’autore, il decentramento si vede e va
applicato da e in altri settori dovendo assicurare uniformità a quello relativo alla forma dei criteri
di adozione dei provvedimenti amministrativi.
Tipi di disciplina legislativa del procedimento
La legge federale degli Stati Uniti è composta di 16 artt.; quella italiana di 31; tedesca 103; spagnola
143. Nelle leggi dei vari Paesi pur tra differenze di varia natura, vi sono affermati il principio di
imparzialità o di neutralità, quello di pubblicità (o di apertura o di accesso ai documenti
Motivi della disciplina legislativa italiana
Ciò nonostante, la legge del 1990 costituisce un’autentica rivoluzione amministrativa. Essa, in
primo luogo serve per diminuire il disorientamento del cittadino, poi, via via, per assicurare
all’interno delle amministrazioni un giusto equilibrio, per garantire le situazioni giuridiche
soggettive dei cittadini. D considerare che nel ventennio precedente il 1990 si sono moltiplicati i
corpi amministrativi dotati di autonomia (specialmente statutaria) e indipendenza (dalle Regioni
alle Università) e la giustizia amministrativa ha registrato un grande sviluppo con l’istituzione dei
T.A.R..
I dieci principi della legge del 1990
La legge dettante principi sul procedimento amministrativo non dispone in termini di diritto
amministrativo sostanziale, ma fissa solo alcune forme e procedure per arrivare al provvedimento.
Non vincola a norme sostanziali ma a regole da rispettare. La legge n. 241 del 1990 dunque,
stabilisce una decina di principi a carattere generale o residuale.
1) Comunicazione dell’avvio del procedimento (artt. 7 e 8).
Deve essere fatta ai destinatari del provvedimento finale, a coloro che debbono intervenire nel
procedimento e a coloro che possono avere un pregiudizio dal provvedimento. La comunicazione
è fatta in forma personale o mediante forme di pubblicità idonee. E’ esclusa, oltre che per gli atti
normativi, per gli atti amministrativi di pianificazione e di programmazione e per quelli tributari.
2) Diritto di prendere visione degli atti del procedimento (art. 10).
Ne godono sia i soggetti destinatari della comunicazione di inizio del procedimento, sia qualunque
soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati. Sono esclusi gli atti per i quali non vi è diritto di accesso e quelli per i quali
non vi è obbligo di comunicare l’avvio del procedimento.
3) Intervento nel procedimento e presentazione di memorie scritte e documenti (artt. 9 e 10).
Vi hanno diritto i soggetti sopra indicati. E’ escluso per gli atti per i quali non vi è obbligo di
comunicazione dell’avvio del procedimento. La parola partecipazione va intesa in senso generico e
atecnico, non nel senso stretto e rigoroso del termine.
4) Termine per rendere pareri e valutazioni tecniche (artt. 16 e 17).
Se un termine non è già fissato da leggi o regolamenti, esso è di 90 giorni dal ricevimento della
richiesta. Per particolari motivi, il termine può essere raddoppiato per i pareri. Decorso il termine,
l’amministrazione che ha richiesto il parere può procedere indipendentemente da esso; quella che
ha bisogno di valutazioni tecniche può chiederle ad altri organismi amministrativi, ad enti pubblici
o a istituti universitari.
5) Conferenza di servizi e accordo tra amministrazioni (art. 14, modificato nel 1993, nel 1995 e nel
1997).
Quando occorre ponderare più interessi pubblici o siano prescritti intese, concerti, nullaosta o
assensi, può essere compiuto, anche su richiesta dell’interessato, un esame contestuale in una
conferenza di servizi, che si conclude con determinazioni concordate, che sostituiscono gli atti
predetti. La conferenza di servizi è un mezzo di semplificazione dell’attività amministrativa:
questo risultato è raggiunto non eliminando uno o più atti del procedimento ma rendendo
contestuale la decisione di più amministrazioni. La conferenza di servizi può concludersi con un
accordo unanime. In caso di dissenso, sono previste 2 procedure, una generale e una speciale.
Secondo quella generale, la conclusione della maggioranza è comunicata al Presidente del
Consiglio dei Ministri, o al Presidente della Regione o al Sindaco, a seconda dell’amministrazione
procedente o dissenziente; questo, previa delibera del Consiglio dei Ministri o del Consiglio
regionale o di quello comunale, può, entro 30 giorni, sospendere la decisione e fare osservazioni.
La conferenza può prendere poi entro 30 giorni, una nuova decisione che tenga conto delle
osservazioni. Decorso il termine senza una decisione la conferenza è sciolta. La procedura speciale
si applica quando il dissenso proviene da un’amministrazione che tuteli l’ambiente, il paesaggio o
il territorio, il patrimonio storico-artistico o la salute. In questo caso l’amministrazione procedente
può chiedere direttamente al Presidente del Consiglio dei Ministri di rimettere la decisione al
Consiglio dei Ministri.
6) Responsabile del procedimento (artt. 4, 5 e 6).
Anche questo si applica ove un responsabile non sia già direttamente stabilito per legge o
regolamento.
7) Determinazione del termine per provvedere (art. 2).
La legge dispone che, se non sia già disposto per legge o per regolamento, le pubbliche
amministrazioni determinano e rendono pubblico, per ciascun tipo di procedimento, il termine
entro il quale esso deve concludersi. Se le amministrazioni non provvedono, va rispettato un
termine residuale minimo, stabilito dalla legge stessa (30 giorni). Decorsi inutilmente i termini,
l’interessato può fare domanda all’autorità superiore, perché provveda entro 30 giorni.
8) Obbligo di provvedere, o meglio di concludere il procedimento con un provvedimento espresso
(art. 2).
9) Contenuto necessario del provvedimento: obbligo di motivazione e di indicazione del termine e
dell’autorità alla quale è possibile ricorrere (art. 3). In particolare, il primo riguarda tutti gli atti
amministrativi (non quelli generali, né gli atti normativi).
10) Diritto di accesso ai documenti amministrativi (artt. 22-27).
Chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (e quindi,
innanzitutto il destinatario del provvedimento amministrativo), ha diritto di accesso ai documenti
amministrativi. Il diritto di accesso è a sua volta procedimentalizzato: occorre fare richiesta
motivata; si attua mediante esame o estrazione di copia. Contro il rifiuto, entro 30 giorni, si può
ricorrere al T.A.R., che, entro altri 30 giorni, può ordinare l’esibizione dei documenti richiesti.
Ambito soggettivo e oggettivo
Esaminiamo ora ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dei principi. Quanto al primo, la
legge si applica a tutte le pubbliche amministrazioni (artt. 2 e 4). Essa opera come legge di
principio per le Regioni a statuto ordinario, mentre quelle a statuto speciale e le Province
autonome di Trento e Bolzano debbono provvedere, entro un anno, ad adeguare i rispettivi
ordinamenti alle norme fondamentali della legge (art. 29).
Quanto all’ambito soggettivo, non tutta la legge riguarda ogni tipo di procedimento. I principi
tuttavia valgono per tutti i procedimenti. Però, i principi della conferenza di servizi e del termine
per i pareri e le valutazioni tecniche (art. 14 e artt. 16 e 17) non si applicano alle amministrazioni
che curano interessi relativi all’ambiente, al paesaggio e al territorio, alla salute dei cittadini.
L’applicazione della legge sul procedimento nella giurisprudenza
Il mancato avviso di avvio del procedimento è stato considerato illegittimo, tanto da rendere
illegittimo il procedimento finale. I Giudici hanno collegato l’avviso di avvio del procedimento
non solo ad un’esigenza di difesa (per consentire il contraddittorio) ma anche alla necessità di
accertamenti e di ottenere, a questo scopo, la partecipazione collaborativa degli interessati. Hanno
dunque fatto valere l’istituto non solo in funzione dell’interesse del cittadino, ma anche in
funzione dell’interesse della pubblica amministrazione.
Il diritto di accesso è stato considerato situazione giuridica soggettiva piena ed autonoma, non
strumentale alla impugnazione del provvedimento finale e infine, l’accesso è consentito non solo a
carico dei concessionari, ma anche di tutti gli altri gestori di servizi pubblici.
La semplificazione e accelerazione
L’art. 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, relativo alla semplificazione e accelerazione dei
procedimenti amministrativi, costituisce la naturale continuazione della legge n. 241 del 1990. I
criteri e i principi fissati dalla legge sono:
1) semplificazione dei procedimenti amministrativi, in modo da ridurre il numero delle fasi
procedimentali, il numero delle amministrazioni intervenienti, la previsione di atti di
concerto e di intesa;
2) riduzione dei termini per provvedere;
3) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse
amministrazioni;
4) riduzione del numero e accorpamento dei procedimenti omogenei;
5) unificazione in sede regionale o provinciale dei procedimenti di autorizzazione in materia
di ambiente.
Atti e provvedimenti. Elementi e caratteri. Invalidità
I procedimenti sono composti di atti, di regola individuati dalle norme. La scienza del diritto
amministrativo si è dedicata a lungo alla loro classificazione, distinguendo molte specie, quali atti
unilaterali e convenzionali, atti semplici, complessi, collettivi e accorsi, dichiarazioni di volontà,
dichiarazioni di rappresentazione e dichiarazioni dette di sentimento, atti esterni e interni, speciali
e generali, negoziali e non negoziali, leciti e illeciti, di governo e di gestione, traslativi, estintivi,
punitivi, negativi, nonché concessioni, ammissioni, autorizzazioni, approvazioni, dispense,
decisioni, notifiche, comunicazioni, accertamenti, pareri, proposte, ecc..
Nel procedimento, vengono solitamente distinti atti strumentali, o preparatori, o atti del
procedimento, e atti terminali, definiti, quando a contenuto imperativo, provvedimenti.
Anche il contratto, nel diritto amministrativo, è preceduto da un procedimento, essendo
quest’ultimo la forma necessaria dell’agire amministrativo, sia esso retto dal diritto pubblico, sia
esso regolato dal diritto privato.
Il provvedimento
La funzione e i suoi elementi (materia, attribuzioni e fini o interessi) e l’organizzazione con i suoi
elementi (funzioni, articolazione e poteri), diventano concreti nel provvedimento, perché vanno a
costituire i suoi elementi.
Elementi del provvedimento
Elementi del provvedimento sono: presupposti, motivi, volontà, oggetto, esternazione.
I presupposti sono circostanze di fatto o di diritto, materiali, spaziali, temporali ecc., verificandosi
le quali l’amministrazione può provvedere. I presupposti vengono definiti dalla giurisprudenza
amministrativa come l’effettiva situazione di fatto e giuridica, l’antecedente logico-giuridico che
consente di adottare il provvedimento. Se il presupposto indicato dal provvedimento non è
conforme alla realtà, il provvedimento è viziato di eccesso di potere per errore nei presupposti.
I motivi sono costituiti dall’interesse o fine pubblico. Questo si distingue in interesse pubblico
necessario o primario, che è quello curato dall’ufficio che provvede, e in interesse pubblico
secondario, che è costituito dagli altri interessi considerati nel procedimento, attribuiti ad altre
amministrazioni o senza organismo di cura (adèspoti).
Volontà è una scelta nella quale confluisce l’apporto di più uffici, rivolta a produrre un effetto. La
volontà consiste nel contenuto dispositivo del provvedimento. Questo può essere distinto in una
parte necessaria, indicata dalla legge, e in una accidentale, che l’amministrazione può introdurre,
perché dotata di potere discrezionale.
Oggetto è il bene, la situazione soggettiva, il rapporto giuridico, l’utilità al quale l’atto è diretto.
Esternazione è il modo in cui è reso conoscibile all’esterno ognuno degli elementi del
provvedimento. Vi è dunque, la giustificazione (esternazione dei presupposti), la motivazione
(esternazione dei motivi), la dichiarazione della volontà e quella dell’oggetto.
Per una consuetudine che risaliva all’epoca in cui l’amministrazione era apparato servente
dell’esecutivo, fino al 1991, molti provvedimenti amministrativi erano esternati con decreto
presidenziale. E’ stata poi adottata la legge 12 gennaio 1991, n. 13, di c.d. depresidenzializzazione,
che elenca 30 categorie di atti per i quali si deve provvedere con decreto del Presidente della
Repubblica. Per gli altri si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o
ministeriale. La legge dispone che l’elencazione degli atti di competenza del Presidente della
Repubblica è tassativa e non può essere modificata, integrata, sostituita o abrogata, se non in modo
espresso.
Validità ed efficacia
Quanto ai caratteri, il provvedimento amministrativo ne ha 2, collegati tra di loro: scissione tra
validità ed efficacia e imperatività.
Validità è la conformità dell’atto alla disciplina normativa e, quindi, la sua attitudine astratta a
produrre effetti giuridici.
Efficacia è l’idoneità effettiva, concreta, del provvedimento di produrre effetti giuridici. L’efficacia,
detta anche esecutività, è prodotta dal controllo che viene esercitato sui provvedimenti
amministrativi. Il provvedimento amministrativo, anche se invalido (perché viziato e quindi
annullabile), può essere efficace. La validità e l’efficacia dei provvedimenti sono 2 effetti prodotti il
primo dal perfezionamento del procedimento amministrativo e, il secondo, dal completamento del
procedimento di controllo.
L’atto amministrativo, durante il periodo intercorrente tra la sua emanazione e l’apposizione del
visto di legittimità, si trova in una situazione di pendenza per cui solo nel momento in cui è
apposto il visto di legittimità della Corte dei conti l’atto diventa efficace, nel senso che può
produrre i suoi effetti giuridici. Se il provvedimento non è registrato dalla Corte dei conti, non
occorre che l’amministrazione lo annulli essendo sufficiente che ritiri l’atto inefficace ed emani un
altro provvedimento idoneo a sostituire il precedente atto.
Imperatività
Il provvedimento è dotato di imperatività perché fa nascere, modifica, estingue situazioni
giuridiche soggettive in modo unilaterale, senza cioè il concorso del soggetto al quale il
provvedimento è destinato e prescindendo dalla verifica giudiziale del potere.
Esecutorietà
L’esecutorietà non costituisce carattere dei provvedimenti. Questa consiste nella dispensa
dell’amministrazione dalla necessità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per accertare la legittimità
della propria pretesa e nel conseguente potere di eseguire direttamente e anche coattivamente le
proprie decisioni. Di questa particolare forza peraltro sono dotati solo alcuni provvedimenti
amministrativi, per i quali la legge espressamente prevede l’esecuzione diretta.
Tipicità dei provvedimenti
I provvedimenti amministrativi, a differenza degli atti dei privati (e degli stessi atti amministrativi
non provvedimentali), sono retti dal principio di tipicità, secondo il quale le pubbliche
amministrazioni possono porre in essere solo i provvedimenti espressamente indicati dalle norme.
Il principio di tipicità discende dunque da quello di legalità e trova la sua giustificazione nei poteri
di cui dispone la pubblica amministrazione quando agisce come autorità.
Il principio di tipicità sta subendo però un’erosione a causa di 3 fattori concorrenti: il primo è
quello europeo dato che la Corte di Giustizia UE ammette atti atipici; il secondo deriva dal ricorso,
sempre più diffuso, al diritto privato da parte delle amministrazioni pubbliche; il terzo sta nel
riconoscimento dell’esistenza di atti amministrativi emanati da privati.
Vizi del provvedimento: irregolarità, illegittimità, inesistenza
Il provvedimento può essere viziato per irregolarità e per illegittimità o invalidità. Ricorre la prima
nel caso di minore difformità rispetto alla legge, tali da non rendere il provvedimento annullabile e
da poter essere sanate (c.d. regolarizzazione). Maggiore importanza assume l’illegittimità o
invalidità, considerata per lo più una difformità dallo schema normativo. In realtà si tratta di molto
di più: mancato rispetto dei principi del procedimento.
Diversa dalla illegittimità è l’inesistenza dell’atto. Quando l’ufficio che emana un atto non è
soggetto della potestà amministrativa, può dirsi che l’atto è adottato in carenza di potere (anche
detta incompetenza assoluta) e si intende come non compiuto (per cui nei confronti di esso si
ricorre all’autorità giurisdizionale ordinaria).
Il vizio di illegittimità viene tradizionalmente distinto in 3 specie: incompetenza, violazione di
legge, eccesso di potere.
Nella incompetenza vengono solitamente fatti ricadere i vizi relativi al soggetto, nell’eccesso di
potere quelli attinenti ai motivi, nella violazione di legge tutti gli altri (suo carattere residuale).
Figure sintomatiche dell’eccesso di potere
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
Contraddizione tra motivi e dispositivo
Contraddizione tra provvedimenti
Illogicità
Ingiustizia manifesta
Disparità di trattamento
Sviamento di potere
Travisamento dei fatti
Elusione del giudicato
Proporzionalità
Procedimenti strumentali: procedimenti organizzativi. Procedimenti strumentali e
procedimenti finali
I procedimenti possono essere distinti in procedimenti strumentali e procedimenti finali. I primi
attengono al funzionamento interno dell’amministrazione stessa. I secondi invece costituiscono la
forma di esplicazione delle funzioni amministrative verso l’esterno, in quanto regolano attività
private e rendono servizi alla collettività. I primi riguardano l’organizzazione amministrativa, il
personale che vi è preposto e la finanza, e cioè i 3 elementi della pubblica amministrazione già
esaminati dal punto di vista statico ma che qui vanno presi in considerazione sotto il profilo
dinamico. I secondi attengono al raggiungimento dei fini ultimi dell’amministrazione.
Procedimenti di organizzazione
Il primo gruppo di procedimenti strumentali è quello dei procedimenti di organizzazione. Come
materia l’organizzazione dei pubblici uffici è sottoposta non solo al principio di legalità, secondo il
quale l’attività amministrativa deve svolgersi secondo le disposizioni di legge, ma anche a quello
di riserva di legge, secondo il quale deve esservi una previa disciplina legislativa della materia, e
tale disciplina deve essere sufficiente. L’art. 97 della Costituzione dispone che i pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge (consente tuttavia alla normazione secondaria e
all’attività amministrativa di regolarne una parte).
la seconda ha inizio quando il bilancio di previsione è stato deliberato dal Parlamento e quindi le
somme da spendere sono state stanziate. Le 2 parti sono seguite da una terza dove preminente è
ancora il Parlamento: il procedimento di rendicontazione, che conduce all’approvazione del
bilancio o conto consuntivo annuale.
Le fasi del procedimento finanziario
Secondo la scolastica contabilistica, i procedimenti finanziari sarebbero articolati in 4 fasi:
impegno, liquidazione, ordinazione, pagamento. Ma, la seconda non è una fase autonoma mentre
la quarta consiste di operazioni esecutive, più che di atti.
Procedimenti organizzativi degli enti pubblici
L’impegno
L’art. 4 della legge 20 marzo 1975 n. 70 dispone che, salvo quanto previsto dagli artt. 2 e 3, nessun
nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge.
Per le amministrazioni statali l’impegno può avvenire solo su somme assegnate in bilancio, e cioè
stanziate nel bilancio adottato dal Parlamento. L’impegno produce un vincolo di destinazione dei
fondi. L’impegno è sottoposto al controllo dell’Ufficio centrale di bilancio (già ragioneria centrale),
che lo registra entro 10 giorni (trascorsi i quali l’atto è efficace), oppure restituisce l’atto per
irregolare imputazione o perché la spesa eccede la capienza dello stanziamento di bilancio. Entro
lo stesso termine, possono essere preannunciate osservazioni sulla regolarità della spesa (da
inoltrare entro ulteriori 10 giorni) ma resta comunque salva la facoltà dell’amministrazione di dare
esecuzione all’atto. Una volta esaurite queste fasi si provvede alla liquidazione con l’ordine (detto
impropriamente mandato) di pagamento.
Procedimenti degli statuti e degli accordi di programma
I procedimenti organizzativi hanno strutture estremamente semplici. Quasi sempre l’iniziativa e
l’istruttoria sono poste in essere con lo stesso atto e dallo stesso ufficio, si che il procedimento è in
sostanza articolato in 2 fasi, dell’iniziativa e della decisione.
I procedimenti di controllo
Appartiene al genere dei procedimenti organizzativi anche la specie dei procedimenti di controllo.
Infatti il controllo è in funzione organizzativa, perché mira a verificare la funzionalità di organi, la
rispondenza dell’attività svolta in concreto ai canoni legislativi, la corrispondenza dei risultati
dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, la congruenza dei rendimenti ai costi,
ecc.. Anche i controlli, come ogni attività amministrativa sono ordinati in forma procedimentale.
La legge n. 20 del 1994 dispone che la Corte dei conti deve definire annualmente i criteri di
riferimento e i programmi del controllo.
Procedimenti di amministrazione del personale
Come l’amministrazione, anche il personale può essere considerato dal punto di vista dinamico,
nel senso dei procedimenti che lo riguardano. Pressochè ogni evento che riguarda il dipendente
pubblico si accompagna o è prodotto da un procedimento. La disciplina dei procedimenti di
amministrazione del personale era contenuta, fino al 1993, in leggi e in particolare nel Decreto del
Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, relativo ai dipendenti civili dello Stato. I
procedimenti erano regolati in forma semplice, quando si trattava di disciplinare eventi periodici
ed ordinari (congedo, aspettativa, ecc.), in forme più complesse quando di eventi più gravi
(sanzioni disciplinari, ecc.). A seguito delle trasformazioni del rapporto di lavoro con le pubbliche
amministrazioni, i procedimenti di amministrazione del personale trovano ora la loro disciplina in
parte nelle leggi ma in parte maggiore nei contratti.
Procedimenti finanziari
I procedimenti finanziari fanno parte, per tradizione, di quella che si chiama correntemente,
contabilità di Stato o contabilità pubblica, che è una parte speciale del diritto amministrativo.
L’innesto di procedimenti amministrativi su un procedimento legislativo
I procedimenti finanziari hanno una duplice caratteristica: da un lato si innestano in procedimenti
legislativi, dall’altro sono strumentali a procedimenti amministrativi. Tutti i procedimenti
amministrativi si fondano su leggi; i procedimenti finanziari stanno anche in un secondo rapporto
con la legge; per poter procedere infatti all’impegno e al pagamento di spese pubbliche, occorre
che queste vengano stanziate ì, ciò che viene fatto annualmente con il bilancio di previsione. Vi è
dunque una sequenza unitaria complessiva, composta di 2 parti: la prima parte si articola nelle c.d.
leggi di spesa, nel bilancio pluriennale, nella legge finanziaria e nel bilancio annuale di previsione;
Procedimenti finali: procedimenti precettivi
I procedimenti finali costituiscono la forma di esplicazione della funzione amministrativa verso
l’esterno: in quanto regolano attività private o rendono servizi alla collettività, consentono di
raggiungere i fini dell’amministrazione pubblica.
Classificazioni dei procedimenti finali
I procedimenti finali possono essere classificati in modi vari. Nel passato essi venivano ordinati in
relazione al loro contenuto psicologico e si distinguevano dichiarazioni di volontà, di
rappresentazione, di sentimento. In anni recenti è invalso l’uso di distinguere i procedimenti in
relazione all’effetto che producono. E’ una classificazione elementare quella che divide 2 categorie,
di procedimenti che ampliano la sfera di autonomia del privato (ad esempio concessioni) e di
procedimenti che la restringono (ad esempio procedimenti ablatori). Un ordine più elaborato è
quello che distingue procedimenti precettivi o prescrittivi (diretti a porre in essere prescrizioni di
carattere generale), di concessione (che concedono l’uso di utilità riservate), di autorizzazione (che
controllano l’esercizio di diritti), ablatori (che estinguono situazioni soggettive), dichiarativi (che
producono certezze giuridiche), di secondo grado (relativi a decisioni adottate in un precedente
procedimento; hanno una funzione quasi giurisdizionale e consistono nei ricorsi per opposizione,
nei ricorsi gerarchici, propri e impropri, e nel ricorso straordinario al Capo dello Stato), contrattuali
(che mirano alla produzione di effetti giuridici attraverso moduli contrattuali privatistici).
Procedimenti di pianificazione urbanistica
Valevole sull’intero territorio comunale, durata indeterminata, considera tutte le zone (verde,
falde, paesaggistiche, ecc.). Elaborazione degli uffici comunali con collaborazione progettisti
esterni. Successivamente delibera del Consiglio comunale. Deposito del piano per 30 giorni in
segreteria comunale per consentire a chiunque di prenderne visione. Poi per i successivi 30 giorni
eventuali osservazioni. Infine piano inviato alla Regione che non si limita ad approvarlo ma può
modificarlo. La legge 30 aprile 1999 n. 236 ha disposto che l’approvazione avvenga entro il termine
perentorio di 12 mesi. Il piano è dunque atto di 2 soggetti. Il piano è depositato nella segreteria del
Comune per tutto il periodo della sua validità e decreto di approvazione pubblicato nel Bollettino
ufficiale della Regione. Ha carattere immediatamente precettivo vincolando di conseguenza
l’edificazione nel territorio comunale.
Procedimenti concessori
Se il bene è riservato per consentirne a tutti l’uso, la concessione opera una deroga, sia pur per una
parte sola del bene e per alcuni usi, al principio dell’eguale fruizione del bene da parte di tutti.
Caratteristiche comuni dei procedimenti di concessione
Le concessioni sono una categoria di procedimenti diretti ad attribuire utilità riservate. Tali
procedimenti si riscontrano in diversi settori; innanzitutto tra i beni pubblici in dominio pubblico
(o, secondo altra terminologia, in proprietà collettiva, o secondo la terminologia del codice civile,
demaniali), come le strade pubbliche e il lido del mare. In secondo luogo, nel campo dei servizi
pubblici (ad esempio trasporto su strada di linea). In terzo luogo sono procedimenti concessori
quelli diretti ad erogare denaro pubblico a privati (c.d. ausili finanziari a privati, oppure incentivi):
sovvenzioni, premi, aiuti, contributi a fondo perduto, credito agevolato ecc.. In quarto luogo le
concessioni dette di costruzione e di gestione (autostrade).
Le funzioni assolte dai procedimenti concessori sono numerosissime: vanno da una funzione di
organizzazione di servizi pubblici a quella di affidare servizi pubblici a privati.
La struttura del procedimento varia, come in altri casi, da singolo procedimento a singolo
procedimento. L’iniziativa è, di regola, di privati, ma vi sono persino casi di concessione date
direttamente con leggi che identificano il concessionario.
L’istruzione, in alcuni casi è con intervento del privato, in altri è chiusa. Il provvedimento, in
alcuni casi è accompagnato da un disciplinare, in altri da una convenzione, dove sono elencate le
obbligazioni delle parti, in altre dispone direttamente.
Caratteristica comune di tutti questi diversi procedimenti è di attribuire situazioni giuridiche
soggettive riservate, relative a beni o imprese, in forma circoscritta, per salvaguardare gli scopi
fondamentali della riserva. La legge 7 agosto 1990 n. 241 dispone che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici è
subordinata alla predeterminazione e alla pubblicazione dei criteri e delle modalità alle quali le
amministrazioni devono attenersi.
Procedimenti autorizzatori. Tipi di procedimenti di autorizzazione
Il legislatore disciplina centinaia di procedimenti di autorizzazione. Tra questi vi sono almeno 2
gruppi diversi. Il primo è costituito da autorizzazioni che producono i loro effetti solo sull’entrata;
successivamente, chi ha ottenuto l’autorizzazione non sottostà a controlli che non siano di carattere
generale. Il secondo gruppo di autorizzazioni è diverso. Una volta date, esse immettono il privato
in un settore controllato, che, in alcuni casi, è addirittura un ordinamento giuridico sezionale.
La denuncia di inizio di attività e la domanda seguite dal silenzio dell’amministrazione
Gli artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (il primo sostituito dall’art. 2, comma 10 della legge
24 dicembre 1993 n. 537) si applicano ad autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nullaosta, permessi o
altri atti comunque denominati che subordinano l’esercizio di un’attività privata al consenso
dell’amministrazione. Il regime dettato dagli articoli menzionati è duplice. Il primo consiste nella
denuncia di inizio attività, da parte dell’interessato, seguita o dal consenso silenzioso
dell’amministrazione oppure da un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione
dell’attività, emanato entro 60 giorni. Il secondo consiste nella domanda di rilascio seguita o dal
consenso silenzioso dell’amministrazione oppure da un provvedimento di diniego , emanato entro
i termini indicati da un regolamento. Dal primo regime sono escluse le concessioni edilizie e le
autorizzazioni relative alle cose di interesse artistico o storico, alle bellezze paesistiche e alla tutela
dell’ambiente.
Procedimenti ablatori
Esempio di procedimento ablatore è l’espropriazione. L’espropriazione può essere compiuto nel
campo delle materie trasferite o delegate alle regioni e il relativo procedimento si articola in 3 fasi,
la prima diretta a dichiarare la pubblica utilità dell’opera per la quale si rende necessario disporre
dell’immobile o dell’area da espropriare, la seconda alla determinazione dell’indennità di
espropriazione, la terza a espropriare il bene.
Il procedimento inizia con il deposito, da parte di privati o di enti pubblici, nella segreteria del
Comune dove sono compresi gli immobili da espropriare, di una relazione sull’opera da realizzare,
con le mappe catastali indicanti le are da espropriare, l’elenco dei proprietari e le planimetrie dei
piani vigenti. Il Sindaco notifica l’avvenuto deposito agli espropriandi e ne dà notizia al pubblico
con avviso affisso all’albo del Comune e inserito nel Foglio degli annunzi legali della Provincia. Gli
interessati possono presentare osservazioni scritte entro 15 giorni. Entro i 15 giorni successivi il
Sindaco trasmette tutti gli atti al Presidente della Giunta regionale. Il Presidente della Giunta entro
30 giorni dichiara pubblica utilità e indica indennizzo; segue espropriazione concordata (se non si
raggiunge accordo sull’indennità l’espropriazione ha luogo sulla base dell’indennità provvisoria
ma il suo ammontare definitivo è determinato da una Commissione provinciale, nominata dalla
Regione. Effetto del procedimento espropriativo è di estinguere il diritto di proprietà di un
soggetto su un bene facendolo sorgere in testa ad altri soggetti.
Procedimenti dichiarativi
Seguendo una classificazione propria del diritto privato questi procedimenti sono stati distinti
dalla scienza amministrativistica in procedimenti di scienza (quando prevale il momento
dell’acquisizione) e procedimenti di conoscenza (quando prevale il momento della dichiarazione).
Procedimenti contrattuali. Procedimento e consenso del privato
I procedimenti che si fondano sul consenso del privato si distinguono in 2 categorie, a seconda che
l’atto consensuale (variamente definito accordo, convenzione, intesa, concordato, ecc.) sia servente
ad un procedimento amministrativo, oppure, al contrario, che il procedimento amministrativo
svolga un ruolo servente al contratto. Nel primo caso, al termine del procedimento, di regola, vi è
un provvedimento amministrativo. Nel secondo caso, di regola, al termine del procedimento vi è
un contratto. Le pubbliche amministrazioni hanno dunque piena capacità di diritto privato e sono
legittimate a porre in essere tutti i negozi, ad eccezione di quelli ai quali non possono ricorrere le
persone giuridiche.
Conferenze di servizi, accordi di programma e accordi procedimentali
Le conferenze di servizi sono strumenti per rendere contestuale una procedura che normalmente si
svolge in una sequenza articolata di fasi. Alla conferenza partecipano uffici pubblici, ciascuno con i
poteri che sono ad essi conferiti in via ordinaria. La conferenza di servizi è regolata da una norma
generale e da alcune norme speciali del 1994, che rinviano a quella generale. La norma generale è
contenuta nell’art. 14 della legge n. 241 del 1990, più volte modificata. Le linee principali della
disciplina ivi contenuta sono le seguenti: la conferenza riunisce amministrazioni pubbliche; essa si
conclude con determinazioni concordate nella conferenza; le determinazioni sostituiscono a tutti
gli effetti i concerti, le intese, i nullaosta e gli assensi richiesti, nonché gli atti di consenso,
comunque denominati; le determinazioni vincolano le amministrazioni partecipanti nella stessa
misura in cui le vincola l’esercizio in via singolare del potere pubblico. Alla conferenza di servizi si
può ricorrere per ogni attività amministrativa. Le norme speciali consentono di ricorrervi per
l’approvazione di progetti di opere pubbliche, per la loro esecuzione e per la localizzazione di
interventi statali difformi dagli strumenti urbanistici. Comunque, ogni volta che vi siano più
amministrazioni, che si tratti di interventi urbanistici, ambientali, relativi a beni culturali ecc., è
possibile ricorrere alla conferenza. Elementi essenziali della conferenza sono che l’attività di un
privato richieda un intervento di un potere pubblico e che debbano decidere più amministrazioni
pubbliche. Quanto ai tipi, la conferenza può essere istruttoria o decisoria, facoltativa o
obbligatoria. La conferenza istruttoria serve all’acquisizione e selezione degli interessi pubblici,
consistendo in una negoziazione informale con funzione di semplificazione della fase istruttoria
del procedimento. Quella decisoria consente di sostituire una pluralità di atti decisori con una
decisione collegiale. Quanto al ricorso alla conferenza di servizi, secondo la giurisprudenza, alle
pubbliche amministrazioni è riservata un’ampia valutazione di merito in ordine all’opportunità di
valersi di questo strumento. Tuttavia, vi sono casi in cui la legge rende la conferenza di servizi
obbligatoria.
Gli accordi sono strumenti per coinvolgere più amministrazioni ed eliminare i tempi morti
dell’attuazione di interventi pubblici, assicurando il coordinamento paritario e consensuale degli
uffici ed enti coinvolti. Con gli accordi si definiscono tempi e modalità di azione, finanziamenti,
interventi surrogatori, procedure di soluzione di conflitti. Anche per l’accordo vi sono una
disciplina generale e più discipline speciali. La disciplina generale è contenuta nell’art. 15 della
legge 241 del 1990. Secondo questa: soggetti dell’accordo sono amministrazioni pubbliche; oggetto
dell’accordo è lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. I soggetti
dell’accordo sono sempre pubblici ma vi sono casi un cui gli accordi di programma coinvolgono
anche soggetti privati interessati.
La disciplina degli accordi procedimentali in senso proprio (pubblico-privato) è contenuta nell’at.
11 della legge n. 241 del 1990. Questo: prevede accordi determinativi del contenuto del
provvedimento e sostitutivi del provvedimento; questi ultimi sono ammessi nei casi previsti dalla
legge; dispone che gli accordi riguardino l’amministrazione procedente e gli interessati; impone la
forma scritta; dispone l’applicazione dei principi civilistici su obbligazioni e contratti; consente il
recesso, salvo indennizzo, dell’amministrazione; prevede la giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo; prevede che possa essere disposto un calendario di incontri con il destinatario del
provvedimento ed eventuali controinteressati.
Per raggiungere intese tra uffici e enti pubblici, sono previsti conferenza e accordo; per intese tra
amministrazioni pubbliche e privati è previsto l’accordo procedimentale; la conferenza sostituisce
gli atti delle singole amministrazioni; l’accordo procedimentale è sostitutivo del provvedimento
finale solo nei casi previsti dalla legge; l’accordo tra amministrazioni disciplina lo svolgimento in
collaborazione di attività di interesse comune e quindi non sembra possa avere effetto sostitutivo;
sotto il profilo procedimentale, la conferenza si conclude con una determinazione concordata nella
conferenza; l’accordo tra amministrazioni non ha un’articolazione in sequenze; l’accordo
procedimentale può essere preceduto da un calendario di incontri. L’art. 14.4 bis della legge n. 241
del 1990 prevede per la conferenza di servizi, la possibilità di ricorrervi per più procedimenti
connessi, riguardanti medesimi attività e risultati.
I contratti della pubblica amministrazione
Le pubbliche amministrazioni possono stipulare ogni tipo di contratto. I contratti vengono distinti,
nella normativa statale, in attivi e passivi, a seconda che procurino una entrata o comportino una
spesa. Questa distinzione si trova nel regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, contenente
disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato. Questa
norma riguarda le amministrazioni statali e non quindi gli enti pubblici diversi dallo Stato.
L’AMMINISTRAZIONE TRANSNAZIONALE
Le amministrazioni delle organizzazioni internazionali
Le organizzazioni internazionali
L’organizzazione amministrativa degli enti internazionali
I rapporti giuridici transnazionali
Rapporti tra amministrazioni internazionali e amministrazioni nazionali
Le organizzazioni sovranazionali
L’organizzazione amministrativa statale di cooperazione con enti internazionali
L’Unione europea: introduzione e funzioni
L’ordinamento costituzionale dell’Unione
Le funzioni dell’Unione
L’amministrazione comunitaria
Funzioni della Commissione
Organizzazione della Commissione
I comitati come amministrazione composta
Amministrazione europea e modelli amministrativi nazionali
Le amministrazioni e i procedimenti nazionali nelle materie comunitarie
I modelli di distribuzione degli affari europei
L’ordinamento italiano
L’attuazione delle direttive comunitarie in Italia
L’attuazione delle decisioni comunitarie
L’attuazione amministrativa diretta
L’attuazione indiretta
L’amministrazione nazionale in funzione comunitaria
LEGGE, GOVERNO E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La pubblica amministrazione nella Costituzione
Stato e amministrazione
Parlamento e amministrazione: legalità, vincolatezza, discrezionalità
Principi di legalità e di tipicità
Vincolatezza e discrezionalità
Il problema della discrezionalità in Germania e nei Paesi anglosassoni
Il controllo parlamentare dell’amministrazione
Governo e amministrazione
L’amministrazione strumento del governo
Amministrazioni indipendenti dal governo
Limiti alla dipendenza dell’amministrazione dal governo
Conclusioni
Direzione governativa e gestione amministrativa. Le implicazioni amministrative della
nuova forma di governo
Difficoltà di distinguere indirizzo e gestione
La nuova forma di governo degli enti locali
I GIUDICI E L’AMMINISTRAZIONE
Introduzione. Il giudice penale
Il modello dualista e il modello monista
Il giudice penale
I poteri dei giudici amministrativi e il loro progressivo ampliamento
Legittimazione processuale
Acquisizione delle prove
Tutela degli interessi pretensivi
Poteri del giudice
Estensione del sindacato di legittimità
Giudizio di ottemperanza
Domanda e offerta di giustizia amministrativa
I rimedi
La tutela cautelare
La giustizia nell’amministrazione
Il trasferimento al giudice ordinario del rapporto di lavoro
Il riparto della giurisdizione
Il riparto per materie
Il problema dei poteri dei giudici
Il giudice amministrativo come giudice di
amministrazione
La piena giurisdizione del giudice amministrativo
diritto
comune
I CITTADINI E L’AMMINISTRAZIONE
della
pubblica
L’interesse legittimo
Teorie dell’interesse legittimo
Difficoltà e contraddizioni dell’interesse legittimo
Motivi dello sviluppo della teoria dell’interesse legittimo
Inesistenza di situazioni giuridiche soggettive proprie del diritto amministrativo
Le altre situazioni giuridiche dei cittadini
Diritti strumentali
Diritti a prestazioni positive
Diritti di partecipazione