silvia ziche, fumetto marchio di fabbrica

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silvia ziche, fumetto marchio di fabbrica
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SILVIA ZICHE, FUMETTO MARCHIO DI FABBRICA;
'STORIE DA 1 A 200 TAVOLE, IDEA E' LA STESSA'
di Alberto Orsini
L’AQUILA - Quello di Silvia Ziche è uno di quei tratti di disegno che immediatamente, al primo colpo
d’occhio, danno subito l’idea di chi sia la storia a fumetti o la vignetta che si sta leggendo, come un
vero marchio di fabbrica, perfino a chi non è uno specialista.
Una prerogativa che appartiene a pochi, e che caratterizza la 49 enne thienese indistintamente sia
che si cimenti nei personaggi Disney, sia che porti avanti le avventure dei personaggi ideati e creati
al 100%, come Lucrezia.
Altra caratteristica della Ziche è la versatilità: da anni su Topolino firma la rubrica di apertura, uno
“sparo” di una tavola sola con battute fulminanti, eppure le appartiene anche il “record” per le storie
più lunghe mai uscite sul settimanale, vere e proprie “novele” di 200 tavole.
Eppure, come spiega nell’intervista ad AbruzzoWeb, “l’idea, che sia per una storia lunghissima o per
una vignetta, arriva esattamente nello stesso modo”.
Per Disney ti appartiene il record di storia più lunga realizzata, 24 puntate di Zio
Paperone e il mistero del Papero del Mistero. Che genere di soddisfazione è stata? Lo
rifaresti ancora?
Davvero? È la più lunga? Beh, sì, è una bella soddisfazione. Il Papero del Mistero è la storia a cui sono
più legata, perché ha segnato il momento in cui ho capito che potevo divertirmi, e tanto, scrivendo
delle storie. E che se mi divertivo io, di conseguenza anche i lettori si sarebbero divertiti. È stata una
svolta, un vero e proprio punto di partenza. Lo rifarei, certo. Ora la mia vita lavorativa è più
complessa di allora, ho più impegni e scadenze. Ma chissà. L’idea di fare un’altra storia lunga mi gira
sempre per la testa. Prima o poi...
Hai realizzato anche altre storie lunghe di 14 e 16 puntate... Come si progetta una storia
così complessa senza perdersi e senza far perdere il lettore?
Bisogna avere ben chiara fin da subito tutta la storia. Si comincia a scrivere quando si sa già bene
dove si vuole andare a parare, quali saranno gli snodi narrativi e i colpi di scena, e come saranno
distribuiti lungo la storia. Quando la trama non ha buchi, fila via bene, e ce l’abbiamo tutta ben
chiara in testa, non è difficile raccontarla ai lettori senza che si perdano. A quel punto si può anche
divagare, inserire gag e sottotrame, e nessuno perderà il filo.
Dalle storie di quasi 200 tavole a una rubrica di una pagina sola, “Che aria tira a...” che
apre tutti i numeri di Topolino. In che cosa è più difficile e in che cosa è più facile rispetto
a una “Papernovela”?
Sembra strano, ma l’idea, che sia per una storia lunghissima o per una vignetta, arriva esattamente
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nello stesso modo. È un istante, che contiene la battuta della vignetta, oppure, allo stato grezzo,
tutta la storia. È necessario fermarsi subito e appuntarla, perché di solito come è arrivata, tende
anche a scomparire. La differenza sta nel tempo di realizzazione. Per la vignetta, un paio d’ore. Per
la storia lunga, è un lavoro di mesi: l’idea va elaborata, perfezionata, poi si passa alla scrittura e al
disegno. È davvero un lavoro molto lungo. Ma la sua essenza era già tutta compresa in quell’idea di
un istante. Anche la vignetta ha le sua complicazioni. È una specie di storia in cui si sottointende la
premessa e il finale, contando sul fatto che il lettore riuscirà a ricostruire mentalmente i pezzi che
mancano, e a ridere del cortocircuito comico. Però è compito dell’autore far sì che il lettore sia in
grado di decodificare la battuta.
Il tuo tratto viene ritenuto particolarmente adatto al fumetto umoristico, ma potrebbe
funzionare anche con una storia drammatica? Ti piacerebbe cimentarti?
Ci ho pensato, qualche volta. Ma parecchi anni fa. Non sarebbe nelle mie corde. Farei sicuramente
un lavoro mediocre. Penso che sia più sensato usare bene i propri punti di forza, piuttosto di perdere
tempo cercando altri talenti che magari non si hanno.
La tua Lucrezia si troverebbe a suo agio tra i personaggi Paperopoli o Topolinia?
Direi di sì. A volte mi accorgo che in alcune mie vignette Lucrezia, Paperina, Minni, Brigitta e Amelia
potrebbero essere intercambiabili.
Quanto di te c’è in Lucrezia e quanto invece è molto diverso da te?
A Lucrezia presto la mia esperienza, il mondo in cui vivo, i pensieri che mi passano per la testa, per
renderla verosimile. Ma lei è una versione paradossale di me. Fa e dice cose che io, per cortesia e
per educazione, non direi e non farei mai. A volte la mando avanti, o le faccio risolvere a modo suo
situazioni che mi sono risultate gravose. È catartica, mi aiuta a vedere con distacco e ironia la mia
vita.
È cresciuta e cambiata nel corso del tempo?
Sì, è inevitabile. Come tutti i personaggi dei fumetti, teoricamente ha sempre la stessa età. Ma si è
evoluta. Si è adattata ai numerosi cambiamenti della società. Li vive, assieme a me, e li commenta.
È più facile lavorare con un personaggio tuo rispetto a quelli Disney?
No. Direi che è quasi più difficile. Il mondo dei personaggi Disney lo conosco benissimo. Ho imparato
a leggere sulle pagine di Topolino, ho letto tantissime storie, ho recuperato in giovane età anche
molte delle storie scritte e disegnate prima che io nascessi. Conosco i personaggi a memoria, so
benissimo che cosa faranno e come reagiranno se li metto in una determinata situazione. Questi
vincoli, che oggettivamente restringono l’infinito numero di storie possibili, mi aiutano a trovare le
situazioni giuste per una storia o una vignetta. Con un personaggio proprio, le possibilità invece sono
tutte aperte. È più difficile scegliere le storie da raccontare.
Dopo Alice e lei, lavoreresti su un personaggio maschile?
Preferisco mantenere un punto di vista a me più congeniale. Questo non vuol dire che non voglio
raccontare personaggi maschili. Ma mi viene più facile raccontarli dal punto di vista di una donna.
Per Disney invece non è un problema. Mi immedesimo benissimo in Paperino.
La Ziche disegnatrice è in buoni rapporti con la Ziche sceneggiatrice?
La Ziche sceneggiatrice è quella che più ha messo in difficoltà la Ziche disegnatrice.
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C’è un autore preferito con cui lavori? Uno con cui vorresti farlo?
Lavoro molto bene con Tito Faraci. Ma ho lavorato bene con tanti altri colleghi. Ogni volta che
lavoro con un’altra persona, in qualche modo la cosa mi arricchisce, mi porta a esplorare orizzonti
diversi.
Che cosa ricordi di più degli anni di Linus, Cuore e Smemoranda?
Sono stati gli anni in cui ho iniziato a lavorare, ma anche quelli in cui ho cominciato a vivere da
adulta, e a esplorare il mondo. Ricordo una gran fatica, oltre alle cose belle. E comunque so che,
anche se marginalmente e incoscientemente, ho vissuto un periodo molto libero e vivace.
E dell’Accademia Disney?
Era proprio una scuola. O meglio, era come andare a bottega da Giovan Battista Carpi. Che non
era tenero, come insegnante. E proprio per questo mi è servito molto. A vent’anni non si è coscienti
dei propri limiti, si pensa di essere già bravi, di poter fare tutto, di non aver bisogno di imparare. Si
pensa che, se c’è il talento, tanto basta. Ma non è così. Il talento va coltivato, con costanza e
impegno. Ecco, Carpi mi ha insegnato a tenere a freno la mia anarchia artistica.
La satira sociale sui fumetti italiani si è persa? Quanto servirebbe?
Non mi pare che si sia persa del tutto. Magari la si trova sul web. Ma c’è.
La direzione di una rivista di genere satirico sarebbe nelle tue corde? Come la immagini?
Non sono una brava organizzatrice. Sarei un disastro come direttore di una rivista!
Internet e l’autopubblicazione possono essere una chance per esordienti in cui credi?
Sì. Da quando ho cominciato io, i tempi sono cambiati, il mondo è cambiato. Oggi è difficile
telefonare alla redazione di una rivista e ottenere un appuntamento, come ho fatto io ai tempi. Se
c’è il talento, è più facile renderlo visibile sul web. E, appunto, in presenza di un (grande) talento,
saranno gli editori stessi a trovarlo.
12 Agosto 2016 - 08:04
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