Benjamin Franklin Autobiografia 1791

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Benjamin Franklin Autobiografia 1791
Psicologia
Benjamin Franklin
Autobiografia
1791
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
L’Autobiografia di Benjamin Franklin, uscita postuma l’anno dopo la sua morte, è
considerata, anche per il suo stile letterario, un classico dell’America pre-rivoluzionaria.
Oltre a presentare molti aspetti della storia e della vita americana di quel periodo, l’opera
viene letta anche per i suoi insegnamenti di vita. L’autore illustra infatti l’importanza della
frugalità, della temperanza, del risparmio, dell’impegno, del duro lavoro, della diplomazia
verso il prossimo e della curiosità intellettuale. Le sue lezioni morali possono ancora
ispirare i giovani di oggi.
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PUNTI CHIAVE

Franklin fu un self-made man autodidatta che riuscì a eccellere in numerosissime
attività

Fin da giovane si sforzò di raggiungere la perfezione in ogni aspetto della sua vita,
comprese le virtù morali

Scoprì il modo per evitare le discussioni e conquistare la fiducia del prossimo

Con il duro lavoro da tipografo, la frugalità e il risparmio riuscì ad arricchirsi e a
ritirarsi presto dal lavoro per dedicarsi ai suoi interessi

Il suo Almanacco del Povero Riccardo diventò una delle pubblicazioni più lette
nell’America coloniale

Dotato di enorme curiosità, divenne uno scienziato e un inventore di fama
internazionale

Creò la prima biblioteca circolante americana, e fondò l’università della
Pennsylvania

Ricoprì numerosi incarichi politici e diplomatici

Molto tempo prima della Rivoluzione americana vagheggiò l’idea degli Stati Uniti
d’America come nazione indipendente
RIASSUNTO
Una vita felice
Benjamin Franklin scrisse la sua biografia fra il 1771 e il 1790, durante il suo soggiorno in
Europa. Le vicende narrate arrivano però solo fino al 1758, perché l’opera fu interrotta
dalla morte dell’autore. Venne pubblicata nel 1971, l’anno dopo la sua morte, quando
Franklin era probabilmente l’americano più famoso del mondo. Nella prima pagina
Franklin spiega le ragioni che l’hanno spinto a scrivere la sua biografia. Nato nella povertà
e nell’oscurità, desidera far conoscere ai posteri lo stile di vita che gli ha permesso di
raggiungere l’agiatezza e conquistare una considerevole stima fra gli uomini, in modo che
anche altre persone, trovandosi in simili circostanze, potessero adottarlo. La sua, dichiara
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Franklin, è stata una vita felice che ripeterebbe in maniera identica, con il solo
privilegio di correggere, “nella seconda edizione dell’opera”, gli errori sfuggiti nella prima.
Suo padre, racconta Franklin, era emigrato in America nel 1682 con moglie e tre figli da
un piccolo villaggio dell’Inghilterra. Benjamin è il suo diciassettesimo figlio, il più giovane
avuto dalla seconda moglie. All’inizio Benjamin aiuta il padre nel mestiere di candelaio,
che non ama. Sogna invece di diventare marinaio. Per distoglierlo da questo pensiero il
padre lo manda a dodici anni come apprendista nella tipografia del fratello James. Grazie
a questo impiego ha la possibilità di dedicarsi a intense letture delle opere di Bunyan, De
Foe, Cotton Mather, Addison, Shaftesbury, Collins e altri autori. Nel 1723 litiga con il
fratello e fugge a New York, proseguendo poi per Filadelfia. A diciassette anni deve
cavarsela da solo, in un posto lontano trecento miglia da casa, senza alcuna
raccomandazione, senza conoscere nessuno del posto e con pochissimi soldi in tasca.
Trova lavoro in una tipografia, e nel 1729 riesce ad aprire una sua stamperia. L’anno
successivo si sposa con Deborah Read, moglie che sarà il suo indispensabile sostegno per
tutta la sua vita.
In quello stesso anno Franklin si impegna nella prima attività pubblica della sua vita,
creando la prima biblioteca con servizio di prestito al pubblico dell’America coloniale. Nel
1732 scrive, stampa e vende The Poor Richard’s Almanack. Questa pubblicazione, che
contiene informazioni pratiche, proverbi, consigli e perle di saggezza, incontra un grande
successo e diventa, per 25 anni, la più popolare nell’America coloniale, con una diffusione
di diecimila copie all’anno. In quegli anni Franklin intraprende lo studio del francese,
dell’italiano, dello spagnolo e del latino. Nel 1748 ha accumulato abbastanza ricchezze
con la sua attività imprenditoriale da ritirarsi dagli affari, per dedicarsi agli studi scientifici
e agli incarichi pubblici. Inventa una stufa molto più efficiente che va sotto il suo nome e
le lenti bifocali. I suoi esperimenti sull’elettricità, che portano all’invenzione del
parafulmine, gli danno fama internazionale.
Le sue iniziative danno vita al primo servizio antincendio americano, a un’accademia che
sarebbe diventata l’università della Pennsylvania, alla costituzione di una milizia difensiva,
e all’ospedale di Filadelfia. Nel 1750 viene incaricato di stipulare un trattato di pace con
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gli indiani irochesi, mentre nel 1753 diventa direttore generale del servizio postale
americano. L’anno successivo propone, al Congresso di Albany, l’unificazione di tutte le
colonie americane. Durante la guerra dei sette anni tra Inghilterra e Francia partecipa
all’organizzazione di una campagna militare; il generale inglese Edward Braddock si rifiuta
di dare ascolto ai suoi consigli, e la spedizione inglese viene annientata in un’imboscata di
indiani e francesi. L’ultimo episodio narrato nell’autobiografia riguarda un viaggio
diplomatico a Londra per parlare del futuro delle colonie con Lord Granville, il quale
mostra una totale chiusura alle richieste di maggior autonomia. Franklin torna a Filadelfia
fortemente deluso, e comincia a studiare il corso d’azione necessario per dare alle colonie
un futuro di giustizia e libertà.
Temperanza, parsimonia e alacrità
Franklin fin da giovane pratica la temperanza nel cibo, soprattutto limitando al minimo il
consumo di carne. Il denaro risparmiato lo devolve all’acquisto di libri: «Godevo infatti di
eccezionale
freschezza
di
mente,
e
prontissime
erano
anche
le
facoltà
dell’apprendimento, il che, di solito, è una naturale conseguenza della temperanza nel
bere e nel mangiare» (p. 46). Le letture erano l’unico divertimento che si permetteva.
Non perdeva neanche un minuto nelle taverne, o a giocare, o in altri passatempi, e
continuava a lavorare nella sua impresa con tutta l’alacrità di cui era capace. Non perse
mai l’abitudine di contentarsi di poco, e giorno dopo giorno la sua situazione migliorava.
Franklin si sofferma spesso a parlare dell’alacrità per illustrare il vantaggio che si ricava
dal praticare questa virtù, offrendo come esempio i benefici che ne trasse. L’impegno con
cui Franklin lavorava nella sua stamperia cominciò a procurargli infatti una reputazione di
persona affidabile. I vicini notavano che Franklin rimaneva a lavorare fino a tarda ora, e
alla mattina era già in piedi quando tutti gli altri ancora dormivano. Per rafforzare la sua
reputazione di uomo d’affari e dimostrare la fermezza del suo temperamento, Franklin
faceva tutto il possibile per essere realmente attivo e per fugare ogni apparenza
contraria. Si vestiva modestamente, non si mostrava mai nei luoghi di divertimento, non
andava mai a pesca né a caccia; soltanto un libro, raramente e in privato, poteva talvolta
sottrarlo al suo lavoro. I vantaggi di questo comportamento non tardarono a
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concretizzarsi. Poiché era conosciuto come un giovane intraprendente e solerte,
sempre puntuale nei pagamenti, i mercanti gli offrivano continuamente i loro servigi, e il
suo lavoro andava a gonfie vele. Un suo concorrente invece si comportava ben
diversamente: orgoglioso, vestiva sempre con molta eleganza, spendeva a destra e a
manca, usciva spesso per andare a divertirsi, e non si lasciava mancare nessun piacere.
Cominciò così a far debiti e a disinteressarsi dell’impresa, col risultato che in breve rimase
senza lavoro.
Franklin racconta che, quand’era giovane, suo padre gli ricordava un proverbio di
Salomone secondo cui “un uomo spedito nelle sue faccende sarà ammesso alla presenza
dei re”: «sulla base di questo consiglio ho sempre considerato l’operosità come un mezzo
per raggiungere l’agiatezza e la distinzione, il che mi è servito di costante
incoraggiamento, per quanto non pensassi che sarei stato letteralmente ammesso alla
presenza dei re, come è invece avvenuto» (p. 132). Franklin conobbe infatti cinque
sovrani, e con quello di Danimarca ebbe anche l’onore di pranzare.
Franklin afferma di non essersi mai fatto scoraggiare dalle difficoltà o dalla grandiosità di
un’impresa, perché è sempre stato convinto che un uomo dotato di qualche abilità sia
sufficiente per provocare grandi rivolgimenti e compiere grandi imprese tra il genere
umano. L’unica condizione è che formuli prima un buon piano d’azione e sia disposto ad
eliminare tutti i divertimenti e ogni altra attività che possa distogliere la sua attenzione.
La messa in atto di questo piano deve diventare la sua unica preoccupazione.
Inutilità delle discussioni
Franklin si impegnò a praticare l’arte della diplomazia correggendo i propri difetti
caratteriali. Il desiderio di discutere e di confutare gli argomenti dell’altro, scrive, può
diventare una pessima abitudine che induce un individuo a contraddire a tutti i costi,
rendendosi antipatico al resto della compagnia. La conseguenza è che la conversazione,
oltre a inacidirsi e a diventare inutile, genera malumore, irritazione e inimicizie, invece di
essere motivo di solidarietà. Leggendo i libri di suo padre sulle controversie religiose si era
accorto infatti che le persone di buon senso raramente se ne lasciavano attrarre. Gli
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individui che continuamente disputano, confutano, contraddicono, scrive Franklin,
non riescono a dirigere bene i loro affari. A volte ottengono delle vittorie verbali, ma non
riescono ad avere la fiducia degli altri, che gli sarebbe di utilità molto maggiore.
Per queste ragioni Franklin decide di astenersi dal contraddire apertamente le opinioni
degli altri, e dal fare affermazioni in senso assoluto. Si proibisce quindi, in armonia con le
regole che stabilito per il circolo di discussione filosofica con cui si riuniva con i suoi amici,
l’uso di qualsiasi espressione che presuppone un pensiero irremovibile, come certamente,
senza dubbio, adottando al loro posto locuzioni come io credo, mi sembra, immagino, così
pare. Quando qualcun altro asseriva qualcosa che a suo avviso era sbagliata, Franklin si
negava il piacere di contraddirlo esplicitamente o di mostrargli immediatamente
l’assurdità della sua affermazione, ma cominciava con l’osservare che in certe circostanze
casi le sue osservazioni sarebbero state esatte, ma che gli pareva che nel loro caso ci
fosse qualche differenza: «Scoprii presto il vantaggio implicito in questo cambiamento di
modi; le conversazioni in cui intervenivo procedevano molto più piacevolmente. La
modestia con cui suggerivo le mie opinioni faceva in modo che fossero accolte più
benevolmente e senza molte velleità di contraddizione, io stesso non mi sentivo così
mortificato quando mi scoprivo nel torto, mentre, quando mi capitava di aver ragione,
riuscivo ad ottenere più facilmente che gli altri abbandonassero le loro idee e
accettassero le mie» (p. 148).
Quest’abitudine, alla quale all’inizio si sottopose con riluttanza violentando la sua
naturale inclinazione, divenne in seguito così facile che per cinquant’anni nessuno lo sentì
più pronunciare un’espressione dogmatica. A quest’abitudine l’autore attribuisce le
grandi capacità persuasive che riuscì ad esercitare sui suoi concittadini, pur essendo “un
ben povero oratore, nient’affatto eloquente, sempre esitante nella scelta delle parole”.
In un’occasione Franklin usò un brillante espediente per trasformare in amico un
avversario politico con cui erano sorte delle spiacevoli polemiche nell’Assemblea
Generale della Pennsylvania. Avendo saputo che costui aveva nella sua biblioteca un libro
molto raro e interessante, Franklin gli espresse il desiderio di poterlo esaminare per
qualche giorno. Il suo avversario, lusingato, glielo inviò immediatamente, e Franklin glielo
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restituì dopo una settimana con un biglietto in cui dichiarava il suo profondo senso
di gratitudine per il favore concesso. Da quel giorno diventarono grandi amici e il loro
sodalizio durò fino alla sua morte. È questo un altro esempio, commenta Franklin, che
dimostra la verità del vecchio adagio “Chi ti ha fatto un favore una volta sarà più pronto a
fartene un altro di colui che tu stesso hai favorito”. E che dimostra come sia molto più
conveniente eliminare con saggezza ogni contrasto anziché offendersi, vendicarsi, e
prolungare all’infinito uno stato di inimicizia.
Il perfezionamento morale
Franklin aveva poco più di vent’anni quando concepì “l’audace e arduo progetto” di
raggiungere la perfezione morale. Scopre ben presto si essersi assunto un compito molto
più difficile di quanto avesse immaginato, perché l’errore, l’abitudine e l’inclinazione
naturale erano a volte molto più forti della ragione. La semplice convinzione che è nel
nostro interesse vivere nell’esercizio di tutte le virtù, conclude Franklin, non basta a
tenere una persona lontana dall’errore. Bisogna distruggere tutte le abitudini contrarie al
bene, acquisirne delle nuove favorevoli e assimilarle abilmente prima di potersi
comportare sempre con fermezza, giustizia e morigeratezza. Per raggiungere questo
obiettivo decide di seguire un metodo di sua creazione. Elenca in ogni pagina di un
quaderno una virtù, e decide di concentrarsi su di una alla volta fino a quando non
fossero diventate abitudini. Per ogni virtù aveva disegnato una tabella con tutti i giorni
della settimana, segnando con un pallino nero ogni sua trasgressione. L’obiettivo era di
ridurre sempre più, fin quasi ad azzerare, il numero dei pallini.
Le tredici virtù elencate erano: «1) temperanza: non mangiare fino a sentirti indolente,
non bere fino a sentirti intontito; 2) silenzio: parla solamente quando puoi dire qualcosa a
beneficio tuo o degli altri; evita di chiacchierare inutilmente; 3) ordine: fa’ in modo che
ogni tua cosa sia sempre al suo posto; dedica a ogni parte del tuo lavoro tutto il tempo
che è necessario; 4) decisione: decidi di fare sempre quello che devi, fai senz’altro quello
che hai deciso; 5) frugalità: fa’ in modo che tutto quello che spendi faccia del bene agli
altri o a te stesso; in altre parole non sprecare nulla; 6) operosità: non sciupare il tempo;
sii sempre occupato in qualcosa di utile; elimina tutte le azioni non necessarie; 7)
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sincerità: non ricorrere mai agli inganni; pensa con innocenza e giustizia, e se parli,
fallo attenendoti a questi principi; 8) giustizia: non fare torto a nessuno, evitando non
solo di offendere il prossimo, ma facendogli anche tutto il bene che puoi; 9) moderazione:
evita gli estremi; sopporta le offese senza nutrire risentimenti; 10) pulizia: non tollerare la
sporcizia, né del corpo, né degli abiti, né dell’abitazione; 11) tranquillità: non irritarti per
delle sciocchezze, o per fastidi comuni o inevitabili; 12) castità: indulgi raramente al coito,
e solo per motivi di salute o per generare; mai per indolenza e debolezza, e mai fino al
punto di compromettere la tua tranquillità spirituale o la tua reputazione; 13) umiltà:
imita Gesù e Socrate» (p. 136-137).
Nello stesso periodo comincia a praticare un metodico programma di vita che seguirà fino
alla fine dei suoi giorni. Si alza alle cinque di mattina, recita una preghiera rivolta
all’Onnipotente Bontà (“Accresci in me la saggezza, affinché io conosca i miei veri
interessi. Rafforza le mie decisioni di mettere in pratica quello che la saggezza mi detta”),
pianifica tutti i lavori da sbrigare in giornata e fa colazione; lavora fino a mezzogiorno;
nelle due ore successive legge o esamina i conti e pranza; dalle due alle sei di pomeriggio
torna al lavoro; alla fine mette le cose in ordine, cena, si dedica alla musica o alla
conversazione, e fa l’esame della giornata; si corica quindi alle dieci.
Franklin attribuiva al perseguimento di queste virtù la felicità, la salute e il successo della
sua vita. Aveva goduto di robustezza e salute perfetta fino a settantanove anni grazie alla
pratica della temperanza; aveva raggiunto l’agiatezza e la reputazione di scienziato grazie
all’operosità e alla frugalità; aveva conquistato la fiducia del suo paese e ottenuto
numerosi incarichi dai suoi concittadini grazie alla sincerità e alla giustizia; aveva
raggiunto la stabilità di carattere e il modo allegro di condurre le conversazioni, per cui la
sua compagnia era ricercata e gradita, grazie all’effetto di tutte le altre virtù. Dalla sua
vita poteva dunque trarre questa lezione: che è nell’interesse di qualunque persona che
aspiri alla felicità anche su questa terra di comportarsi virtuosamente. Partendo da questa
considerazione, avrebbe tentato di convincere i giovani che nessuna qualità avrebbe fatto
la fortuna di un uomo più facilmente della frugalità e dell’onestà. La virtù porta fortuna e
felicità.
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CITAZIONE RILEVANTI
Il perché dell’autobiografia.
«Essendomi tratto dalla povertà e dall’oscurità in cui nacqui e in cui fui allevato fino a
raggiungere una posizione di agiatezza e a godere di considerevole stima presso gli
uomini, e avendo percorso questo tratto dell’esistenza senz’aver dovuto rinunciare alla
mia parte di felicità, ho pensato che i miei discendenti si sarebbero forse compiaciuti di
conoscere i mezzi da me impiegati per l’attuazione dei propositi che, con l’assistenza di
Dio, tanto felicemente si sono conclusi; non escludo del resto che tali mezzi possano
adattarsi alle circostanze in cui qualcuno di loro verrà forse a trovarsi, e si prestino quindi
ad essere convenientemente imitati» (p. 27)
Il deismo religioso.
«In religione ero stato educato come un presbiteriano, e sebbene alcuni dei dogmi di
questa confessione … non fossi mai riuscito a comprenderli, e altri mi apparissero
abbastanza dubitabili, e ancora avessi disertato fin da giovane le riunioni domenicali della
setta, poiché quello era il mio giorno per studiare, tuttavia non abbandonai mai del tutto
le credenze religiose. Non dubitai mai, per esempio, che esistesse Dio, che avesse creato il
mondo e che lo governasse con la sua Provvidenza; che le azioni a Dio più accette fossero
quelle intese al bene del prossimo; che le nostre anime fossero immortali; che il male
sarebbe stato punito e la virtù ricompensata su questa terra o nell’aldilà» (p. 133).
Rendere utili anche le ore di gioco.
«Intrapresi quindi lo studio dell’italiano. Un amico che stava anche lui imparando questa
lingua mi invitava spesso a giocare a scacchi. Poiché questo diversivo rischiava di sottrarre
ore preziosissime al tempo che dedicavo allo studio, mi rifiutai, alla fine, di continuare a
giocare, se non a questa condizione: che il vincitore di ogni partita avesse il diritto di
imporre un compito, vuoi una parte della grammatica da mandare a memoria, vuoi un
brano da tradurre, o altro ancora, che il perdente si impegnava, sulla parola, ad eseguire
prima del nostro prossimo incontro. Siccome eravamo press’a poco allo stesso livello,
vincendo or l’uno or l’altro, riuscivamo a fare un discreto e quasi egual numero di esercizi
in quella lingua» (p. 156).
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Il lavoro dà buonumore.
«gli uomini sono senz’altro più contenti quando possono lavorare; quando il tempo era
buono, infatti, e avevano parecchio da fare, erano di buon umore, e, sapendo di aver
adempiuto al proprio dovere, passavano in allegria le serate; quando invece erano
costretti a starsene in ozio, non volevano sentir parlare di disciplina, litigavano per un
nonnulla, si lamentavano della carne, del pane e di ogni cosa» (p. 219).
L’AUTORE
Benjamin Franklin (1706-1790) nacque a Boston il 17 gennaio 1706 da una modesta
famiglia di commercianti. Fu imprenditore, scrittore, inventore, scienziato, diplomatico e
uomo politico. Fu un leader della Rivoluzione americana e fece parte del comitato
incaricato di stilare la Dichiarazione d’Indipendenza. Durante la guerra lavorò come
ambasciatore in Francia, e nel 1783 firmò insieme a John Adams il Trattato di Parigi che
sanciva l’indipendenza degli Stati Uniti dall’Inghilterra. Al suo ritorno partecipò alla
Convenzione di Filadelfia che elaborò la Costituzione Americana. Si batté quindi per
l’abolizione della schiavitù. Morì a Filadelfia il 17 aprile 1790.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Benjamin Franklin, Autobiografia, Rizzoli, Milano, 1967, traduzione e nota introduttiva di
Luigi Ballerini, p. 248.
Titolo originale: The Autobiography of Benjamin Franklin
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