La storia delle dottrine economiche

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La storia delle dottrine economiche
La cultura economica in Italia
nel Mezzogiorno fra le due guerre
Napoli, 8 novembre 2013
P. Barucci
La storia delle dottrine economiche
1. La Storia delle dottrine economiche (o la Storia del pensiero economico), di
qui in avanti, comunque, SDE visse un periodo di notevole importanza durante
gli anni fra le due guerre mondiali. Concorsero a determinarlo una tradizione in
questi studi databile nell’ultima parte dell’800, il gran lavoro svolto nel periodo
da L. Einaudi, l’uso strumentale che si cercò di fare di questi studi da parte dei
molti che si adoperarono per ritrovare nel pensiero economico italiano
precedente le fondamenta storiche -ed anche analitiche- delle scelte politicoistituzionali del regime.
Nelle pagine che seguono mi riprometto di:
a) Ricordare quali fili di ricerca, o di vere e proprie scuole, erano ancora
presenti fra gli economisti italiani nel 1915, ed alla scomparsa di V. Pareto,
M. Pantaleoni, E. Barone;
b) Presentare, sinteticamente, i successi ed i modi che registrò e seguì la
disciplina nella sua specifica affermazione nel periodo;
c) Quali furono le linee interpretative, e di metodo, che ebbero nel periodo
maggiore diffusione;
d) I risultati di questo lavoro che possono essere considerati durevoli, o
stabilmente acquisiti, anche dopo il 1945.
2. Secondo le pubblicazioni ufficiali del competente Ministero (che cambia nome
nel tempo) i primi liberi docenti in SDE dovrebbero essere stati definiti dalla
abilitazione varata per il 1926-1927 (Commissione composta da G. Porri, G.
1
Arias, e U. Gobbi e supplenti C. Supino e B. Griziotti), ma è lecito pensare che
l’insegnamento universitario iniziò qualche anno prima.
Di sicuro G. Prato (che era allora Libero Docente di Economia alla Facoltà di
Giurisprudenza di Torino) insegnò la materia alla stessa Facoltà nel 19241925. Ma sembra che lo stesso economista abbia insegnato SDE alla Bocconi
almeno fino dall’anno precedente1.
Stando alle pubblicazioni ufficiali2 (che andrebbero integrate con gli Annuari
delle Università libere e con quelli degli “Istituti superiori di scienze
economiche e commerciali” o come furono chiamati), sempre per il 192419253 si ebbe un corso ufficiale anche alla Cattolica (tenuto da M. Boldrini) ed
alla Facoltà di Giurisprudenza di Napoli (tenuto da Antonio Labriola)4.
Nel periodo furono molti, comunque, i docenti impegnati ad impartire corsi di
SDE in Italia. Per qualcuno si trattò di un fatto del tutto occasionale5, mentre
1
Vedere Giuseppe Prato, Lezioni di storia delle dottrine economiche, tenute dal chiar.mo Prof. G.P. Prato, Anno
Accademico 1923-1924. Milano: Università “Luigi Bocconi”. Le dispense, litografate, erano state dattilografate da
Alfredo Pedini. Nel frontespizio del volume è scritto “III° Corso” che non siamo stati in grado di decifrare.
2
Le pubblicazioni sono due. Oltre all’Annuario della “Istruzione Universitaria” che, dopo il 1915, riprese ad essere
pubblicato per l’anno accademico 1923-1924, veniva (e viene) edito il Bollettino ufficiale con periodicità almeno
mensile. Ai nostri fini è importante la Parte II. Atti di amministrazione. Purtroppo questa documentazione non riporta
tutti gli Atti per noi necessari per ricostruire l’intera serie storica delle Libere docenze sia per quanto riguarda le
Commissioni esaminatrici che gli esiti degli esami.
3
A. Fossati in una edizione completata di note e di indici, delle Lezioni di Prato, afferma che esse sono il testo
stenografico raccolto da “Bertagna e De Bernardi” dal Corso tenuto a Torino nell’anno accademico 1924-1925,
approvato da G. Prato ed edito da Giappichelli in dispense in ciclostile. Si veda G. Prato, Lezioni di storia delle dottrine
economiche, Prima edizione a stampa con note e indici a cura di Antonio Fossati. Torino: Giappichelli, 1945, Cfr. p. III.
4
Il quadro non è sicuramente completo anche con riferimento alle Università statali. Ad esempio A. Bertolino
ripubblicando alcuni suoi Saggi, pubblicò alcune pagine sul “Pensiero economico greco e romano” e dice che si trattava
del testo di una conferenza tenuta a Siena nel 1928 e che lo scritto costituiva il secondo capitolo di un Corso litografato
di Storia del pensiero economico ad uso degli studenti. Questa edizione non è stata reperita.
Si veda, A. Bertolino, Esplorazioni nella storia del pensiero economico, Firenze: La Nuova Italia, 1950, p. 413. E’ da
ricordare che per la “riforma Gentile”, le facoltà erano quattro: Giurisprudenza, Lettere e filosofia, Medicina e Chirurgia
e Scienze matematiche, fisiche e naturali. Cfr. Regio decreto del 30 settembre 1923, n. 2102, in G.U. dell’11 ottobre
1923, n. 239. La “Legge Gentile” subì continue piccole modifiche fino a che fu introdotta anche la Facoltà di Scienze
politiche.
Col Regio decreto del 28 novembre 1935, n. 2044 (G.U. 6 dicembre 1935, numero 284), dal titolo “Norme relative agli
insegnamenti che debbono essere impartiti nelle Università e negli Istituti tecnici” la Storia delle dottrine economiche
veniva introdotta come “Insegnamento complementare” per la Laurea in Scienze politiche e per la Laurea in Filosofia.
Il Diritto corporativo diveniva “Insegnamento fondamentale” sia a Giurisprudenza che a Scienze politiche ed in altri
Diplomi “superiori”. E’ curioso che per la laurea in Economia e commercio, fra gli insegnamenti complementari era
compreso Dottrina generale dell’equilibrio economico, mentre come disciplina storica, fra gli “Insegnamenti
complementari”, era prevista Storia delle esplorazioni geografiche. Il decreto era firmato De Vecchi di Val Cismon.
5
Ad esempio, C. Costamagna a Pisa nel 1929, A. Albertini, a Ferrara, Scienze politiche nel 1929 (era ordinario di
Storia del diritto italiano), G. Mancini, a Roma, Scienze politiche, nel 1934, F. Cusin, a Giurisprudenza a Messina nel
1937, F. Gallina, Giurisprudenza a Palermo, nel 1937 A. Renda, a Giurisprudenza, a Palermo nel 1938.
2
quasi tutti gli altri provenivano dall’Economia politica oppure dalla Storia
economica6.
Provenivano dagli studi economici in senso stretto (erano Liberi docenti di
Economia o di Scienze delle finanze, oppure erano già ordinari di una di queste
materie), A. Mauri (che insegnò SDE per tre anni), C. Cassola (che insegnò a
Napoli dal 1929 al 1931), R. Michels (a Perugia, Scienze Politiche dal 1929 al
1933), G. Carano Donvito (a Bari, Istituto Superiore, nel 1931), C.E. Ferri (alla
Bocconi nel 1939 e poi a Pavia, a Scienze politiche, nel 1934-1935), A. Breglia
(prima a Cagliari, Giurisprudenza, nel 1937 e poi a Pisa, Giurisprudenza dal
1939 al 1942), L. Rossi (a Catania, Giurisprudenza, nel 1937), A. Da Empoli (a
Messina,
Giurisprudenza
dal
1940
al
1942),
E.
Fossati
(Trieste,
Giurisprudenza, 1940-1942), G. Bruguier (Pisa, Giurisprudenza nel 1941 e
1942), J. Griziotti Kretshmann (a Pavia, Scienze politiche, 1941 e 1942).
Derivavano dagli studi di Storia economica, F. Borlandi (a Pavia, Scienze
politiche dal 1937 al 1940), G. Barbieri (a Cagliari, Giurisprudenza dal 1938 al
1940), A. Sapori (a Ferrara, Giurisprudenza nel 1933 e 1934), e, dopo essere
stato ternato nel “Concorso” di cui si dirà in seguito, a Firenze, a Scienze
politiche nel 1934 e 1935), M. Resta (a Cagliari, Giurisprudenza nel 1936).
L’elenco appena delineato, probabilmente impreciso, è già idoneo a definire il
quadro d’assieme delle docenze universitarie di SDE nel periodo in
considerazione.
Il quale però fu caratterizzato, per la continuità dell’insegnamento, da studiosi
di importante significato nella cultura economica italiana. L. Einaudi insegnò
la materia, a Torino (Giurisprudenza) per dieci anni (1933-1942), G. Del
Vecchio la insegnò a Bologna (Giurisprudenza) per nove anni (1926-1934), A.
Crosara a Perugia (come ordinario a Scienze politiche) per nove anni 19341942), J. Tivaroni a Genova (Giurisprudenza) per otto anni (1933 e poi dal
1936 al 1942), M. De Luca a Napoli (Giurisprudenza) per sette anni (1936 al
6
Con l’eccezione di P.M. Arcari, che insegnò a Cagliari per almeno due anni (1941 e 1942 ma, probabilmente, anche
nel 1943) alla Facoltà di Giurisprudenza, SDE essendo docente, in primo luogo, di Storia delle dottrine politiche.
3
1942), G. Di Nardi, a Bari (Giurisprudenza) per cinque anni (1937-1942). I
casi di F. Carli e di A. Fanfani vanno considerati a sé stanti. Filippo Carli
giunse alla SDE attraverso un complesso percorso durante il quale si era
occupato di Sociologia, di Storia economica, di Storia delle istituzioni
economiche. Insegnò poi Storia dei sistemi economici e SDE, a Pisa
(Giurisprudenza a Cagliari, ancora a Pisa per essere trasferito a Roma, alla
vigilia della sua scomparsa, nel periodo 1931-19377.
A. Fanfani, per contro, insegnò Storia economica e SDE, alla Cattolica, nel
1934-1935 (a Scienze politiche) ed a Venezia, nei “Corsi magistrali” a Ca’
Foscari nel 1939 e 1940.
Questo complesso processo di radicamento della SDE nell’Università italiana,
ebbe il suo sugello nel Concorso a cattedra per Storia delle dottrine e delle
istituzioni economiche nel 1932 bandito dalla Università di Ferrara, che fu
giudicato da una Commissione formata da G. Acerbo, R. Bachi, M. Fanno, G.
Masci e G. Roletto. Risultarono vincitori nell’ordine A. Sapori, (che andò
presto all’Istituto superiore di Firenze), A. Crosara (che andò alla Facoltà di
Giurisprudenza di Perugia) e F. Carli, che fu chiamato a Pisa8.
Aldo Adolfo Crosara era da qualche anno Libero docente di Storia delle
dottrine economiche e di Economia all’Istituto superiore di Venezia dove si era
interessato a temi di critica all’economia tradizionale o di commento a misure
di politica economica prese dal regime. Aveva pubblicato su prestigiose riviste
di economia e si era posto il problema dei precedenti storici del “pensiero
economico” del fascismo9. Già allora era considerato un economista, di forte
radicamento cattolico, che si muoveva su linee di critica alla economia
tradizionale non proprio convincenti (si può vedere una recensione molto
7
A. Pino Branca, insegnò SDE a Padova, Scienze politiche dal 1936 al 1942; R. Spaventa insegnò a Roma, Scienze
politiche, dal 1937 al 1942. La loro formazione è, latamente, da configurarsi a cavallo fra la storia dell’economia e la
storia della delle istituzioni politiche e finanziarie.
8
In alcuni casi la disciplina si chiamava Storia delle dottrine economiche e finanziarie, od anche Storia delle dottrine e
dei sistemi economici, oppure col titolo della disciplina per il Concorso di Ferrara del 1932.
9
A.A. Crosara, La storia del pensiero economico nel fascismo, Perugia Ediz. di battaglie fasciste, 1929 e poi 1934.
4
critica ad un suo volumetto di G. Del Vecchio nel Giornale degli Economisti
del 1930, vol. II : 662-663).
Le riserve della “professione” crebbero a dismisura dopo che Crosara
promosse una “Rivista di storia del pensiero economico” (1935-1943), di sua
proprietà, che si avvalse dell’opera di “Consultori” di varie discipline e che
divenne, di fatto, la rivista di un “uomo solo”, appunto Crosara.
3. In questo clima culturale, i docenti della disciplina, tennero corsi di cui hanno
lasciato traccia, oppure poterono utilizzare dei testi dovuti ad altri autori, od
anche tradotti da altre lingue10.
Pur muovendo da motivazioni teoriche o politiche assai diverse, la gran parte
di questi Corsi insisteva molto nel rapporto fra dottrine politiche e dottrine
economiche con la condizione che la primazia spettava a quelle politiche. In
genere si fermavano ad una certa fase dello sviluppo storico promettendo un
secondo volume che non uscì mai. Questo fecondo motivo di interesse verso la
10
Oltre ai due Corsi di G. Prato, di cui sopra, sono da menzionare:
L. Amoroso, Lezioni sulle dottrine economiche. Roma: Castellani, 1927. Edizione litografata.
C. Costamagna, Corso di lezioni di storia delle dottrine dello Stato politiche ed economiche. Anno accademico, 193031. Padova: Cedam, 1931. Edizioni litografata.
G. Fenoglio, Corso di storia delle dottrine economiche, Vol. I, Antichità medioevo, Torino: Soc. tip. Editrice nazionale,
1931, litografata.
F. Carli, Studi di storia delle dottrine economiche. Padova: Cedam, 1932.
L. Gangemi, Svolgimento del pensiero economico. Vol. I, Dalle origine alla scuola classica, Milano-Roma: Treves,
1933.
G. Del Vecchio, Progressi della teoria economica. E’ una raccolta di recensioni, Padova: Cedam, 1936.
G. Del Vecchio, Vecchi e nuove teorie economiche, in “Storia delle teorie”, Vol. I di NCE, a cura di C. Arena, pp. 405563, Torino: UTET, 1932.
R. Michels, Introduzione alla storia delle dottrine economiche e politiche. Con un saggio sulla economia classica
italiana e la sua influenza sulla scienza economica. Istituto nazionale fascista di cultura. Bologna: Zanichelli, 1936.
J. Tivaroni, Compendio di storia delle istituzioni economiche e delle dottrine economiche dal principio dell’epoca
moderna ai nostri giorni. Bari: Laterza, 1933.
G. Capodaglio, Sommario di storia delle dottrine economiche. Bologna: Zanichelli, 1937. Poi molte altre edizioni
Giuffrè.
A. Fanfani, Storia delle dottrine economiche. Como: Cavalleri, 1938. Poi molte edizioni di Principato a Messina.
A. Bertolino, Lezioni di storia del pensiero economico. Parte prima. Dalla antichità alla scuola storica. Firenze:
Libreria del teatro, S. d. ma anno accademico, 1938-1939. Edizione litografata.
A. Lanzillo, Lezioni di storia delle dottrine economiche. Anno accademico 1939-40, Padova: Cedam, 1940.
P. M. Arcari, Lineamenti di storia delle dottrine economiche in rapporto all’idea di Stato (Lezioni tenute in Ostia al
Corso di Cultura fascista per i maestri iscritti al Magistero). Roma: Tip. Ferri. S. d. Litografata forse 1933.
Per opere di autori stranieri che ebbero una buona o notevole influenza in Italia, sono da vedere, V. Totomianz, Storia
delle dottrine economiche e sociali. Milano, Bocca, 1922, con “Prefazione” di A. Loria e O. Spann, Breve storia delle
dottrine economiche. Firenze: Sansoni, 1936.
5
SDE produsse una rilevante quantità di studi monografici su economisti di un
passato remoto e prossimo per i quali si impegnarono non pochi economisti. Si
sa anche che agli inizi del 1943, P.E. Taviani conseguì nella materia la Libera
docenza.
Appare evidente che l’insegnamento della SDE era assegnato o a docenti già
ben affermati e che lo consideravano come un ambito di docenza nel quale
riversare la loro sensibilità verso gli studi storici, oppure come una tappa di
avvicinamento per arrivare alla cattedra di una disciplina più prestigiosa.
Il fatto è che non solo la Riforma sociale e, poi, la Rivista di storia economica
dedicarono una grande attenzione a studi di questo genere, ma che anche le
riviste di economia teorica più importanti fecero lo stesso. Anzi, in qualche
periodo, la rivista di Economia, diretta, fra gli altri, da L. Livi, ospitò articoli
anche di orientamento contrapposto proprio sulle ragioni, l’opportunità, il
modo in cui doveva essere trattata la SDE.
4. Questa grande effervescenza di studi di SDE, non spuntò casualmente in Italia.
Il nostro paese aveva, in proposito, una tradizione di rilievo, seconda –forse– a
quella francese. Non importa risalire ai primi decenni dell’800 per ricordare le
opere di G. Pecchio e di C. Bosellini, od agli altri economisti che si
occuparono durante tutto l’800 di SDE.
Ma, in questo ruolo, centrale fu l’opera di L. Cossa e della scuola pavese, dove
si formarono, o pubblicarono volumi scritti sotto quella scuola, economisti o
storici del pensiero economico come A. Graziani, G. Ricca Salerno, U. Gobbi,
A. de Viti de Marco, A. Loria, T. Fornari, A. Conigliani, A. Balletti, F. Coletti,
C. Supino. E’ difficile parlare di una “scuola” di Luigi Cossa perché ognuno di
questi autori compì ricerche secondo un proprio personale orientamento, ma
conservando sempre una forte sensibiltà storica ed un grande rispetto verso
questo tipo di studi. Paradossalmente fu sicuramente allievo di L. Cossa, suo
figlio destinato ad una bella carriera nella Scienza delle finanze e che perse la
6
vita, insieme alla sua famiglia nel terremoto di Messina del 1908, città dove
insegnava.
Il movimento di interesse verso questo tipo di studi era già attivo, dunque, da
qualche decennio; al suo cospetto il ben noto scritto di U. Ricci del 1917 servì
a riaccendere un interesse che stava per cercare una specie di nuovo alimento11.
La dolorosa coincidenza, o quasi, della scomparsa di V. Pareto, M. Pantaleoni
ed E. Barone (1923-1924), fornì l’occasione alle maggiori riviste economiche,
e non solo in Italia, per tornare a sottolineare la importanza che aveva assunto
il pensiero economico italiano nei primi anni del ‘900 e per tentarne un primo
bilancio. L’interesse verso questi autori fu decrescente , almeno come rilievo
dato dalle riviste, con quello assai scarso dedicato a E. Barone.
Ma quello fu, in realtà, il momento per riprendere in esame i vigorosi saggi
dovuti a M. Pantaleoni sulla natura, il limiti, l’utilità degli studi di SDE.
Come è noto, il telaio su cui Pantaleoni costruì un assetto teorico di primo
ordine, è di tipo marginalistico, anzi jevonsiano. L’assunto di partenza era il
seguente:
“La scienza economica consiste nelle leggi della ricchezza, sistematicamente
dedotte dalla ipotesi che gli uomini siano mossi da agire esclusivamente dal
desiderio di conseguire la maggiore possibile soddisfazione dei loro bisogni
mediante il minor sacrifizio individuale. Questa ipotesi acconciamente
chiamasi la premessa edonistica dell’economia, in quanto ché un teorema
economico può esporsi in forma di conclusione di un sillogismo”12.
Dalla premessa derivano alcune conseguenze dirette per gli studi di SDE come
lo stesso Pantaleoni fece in un classico scritto nel 1898, e in altri più o meno
coevi che poi raccolse nei volumi degli Erotemi13.
11
U. Ricci, “Sulla opportunità di una storia dell’economia politica in Italia”, in Studi in onore di Tullio Martello, Bari:
Laterza 1917, poi in U. Ricci, Politica ed economia, Roma: La Voce, 1919, pp. 211-218. Lo scritto appare anche nella
“Nuova rivista storica”, 1918.
12
M. Pantaleoni, Principi di economia pura, Firenze: Barbera, 1889, p.9
13
M. Pantaleoni, Erotemi di economia, Voll. 2, Bari: Laterza, 1924-1925, poi in una nuova edizione a cura dell’Istituto
di studi finanziari e statistici dell’Università di Roma. Padova: Cedam, 1963-1964.
7
In questo suo scritto14, in quanto la scienza economica era costituita da un
“insieme di teoremi dimostrabili”, Pantaleoni sostenne che la crescita della
teoria economica era un passaggio da sapere meno a sapere di più, per cui
poteva assimilarlo ad una palla di neve che cresce scendendo da una montagna
innevata. Il passato poteva distinguere fra le teorie che sono state dimostrate
erronee, quelle vere, e quelle che non sono state verificate.
Ne deriva che:
a) la SDE è utile solo se utile all’economista di oggi;
b) la SDE deve occuparsi solo delle teorie risultate vere;
c) la SDE deve procedere da idea ad idea, da libro a libro da economista ad
economista, senza tener conto dell’ambiente culturale nel quale le teorie
furono prodotte;
d) le sue preferenze in fatto di SDE andavano agli autori come F. Ferrara, tutta
“polpa”, e certamente non a L. Cossa, che era considerato da lui come un
“erudito”.
5. Il messaggio di M. Pantaleoni era quanto di più antistorico si potesse
immaginare. La SDE serviva all’economista di oggi per scartare tutti gli
economisti del passato che si fossero impegnati in ricerche poi risultate non
ospitabili nel pantheon dell’economia pura, per cui, al limite, diveniva un
tutt’uno con la ultima teoria economica. Era un argomento per “curiosi” alla
ricerca dei sentieri poi abbandonati degli economisti. Una ricerca assimilabile a
quella degli archeologi ma di cose inutili.
Per Einaudi, che aveva sempre guardato con sensibilità storica i problemi
dell’economia, quella di Pantaleoni apparve come una provocazione, ma dalla
quale sarebbe stato pericoloso distaccarsi. Anch’egli fu dell’idea che
l’economia politica non poteva che essere scienza costruita sulla libertà
economica individuale; anch’egli pensò che il processo di crescita della teoria
14
M. Pantaleoni, “Dei criteri che devono informare la storia delle dottrine economiche”, 1848, in Erotemi, I, 1963:211245.
8
economica doveva essere assimilato ad una linea retta ascendente. Anch’egli
ritenne che la SDE poteva essere considerata come la “storia” di un dogma
fatta di teoremi veri per sempre, per cui la SDE era la sostituzione di un
teorema con una altro più perfetto. Ma gli rimase insoddisfatta la curiosità
dell’indagare perché una conclusione teorica fu poi abbandonata e perché no.
Continuò a pensare che le dottrine economiche “vere”, ed i rispettivi “postulati,
assiomi, teoremi corollari”, formulati dagli economisti, dovevano interessare,
come tali, allo storico del pensiero economico, solo che, siccome il lavoro di
quest’ultimo, in quanto deve riesporre le “verità future”, ha bisogno, per capire
il segno di questa evoluzione, della SDE. La quale, dunque, finisce per avere
un suo ruolo15.
6. Il dibattito sulla SDE nel periodo in considerazione, fu dominato dalla presenza
di L. Einaudi, dai suoi scritti, dalle sue riviste. La sua posizione divenne il
punto di riferimento per chi voleva condurre questo tipo di studi.
Ma nacque un problema di estrema delicatezza, almeno da un punto di vista
culturale.
Alla morte di V. Pareto e M. Pantaleoni (quella di E. Barone ebbe una minore
attenzione), il fascismo, e non soltanto gli economisti (si possono vedere gli
scritti su Gerarchia), tesero a valutare di Pareto gli scritti sociologici e di
Pantaleoni quelli sugli scandali bancari e, magari, quelli sulle insufficienze
della democrazia liberale. La propensione di questi autori a favore di misure
libero-scambiste, e la loro fondazione sui modelli dell’equilibrio economico
generale e sugli assunti generali del marginalismo furono posti da parte.
15
Einaudi trattò della utilità e delle caratteristiche della SDE in molte occasioni, ma sempre con coerenza. Sono da
vedere, almeno, “Del modo di scrivere la storia del dogma economico”, Riforma sociale, 1932: 207-219; “Ancora
intorno al modo di scrivere la storia del dogma economico”, Riforma sociale, 1932: 308-313; “Del metodo nella storia
delle dottrine”, Rivista di storia economica, 1939: 234-237; “Le premesse del ragionamento economico e la realtà
storica”, Rivista di storia economica, 1940 :179-199; “Mercantilismo, calmieri, tempora e mores”, Rivista di storia
economica, 1941: 153-176. Gli scritti di L. Einaudi sulla SDE, furono quasi tutti da lui ripubblicati nel volume Saggi
bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma: Ediz. di Storia e letteratura, 1953.
Ho ampiamente trattato della posizione di Einaudi con riferimento alla SDE e sul metodo con cui praticarla, in diverse
occasioni, ora in P. Barucci, L’economia politica e la sua storia, Firenze: Edizioni Polistampa, Fondazione Spadolini
Nuova Antologia, 2012, in particolare pp. 19-32 e 61-77.
9
Il regime aborriva da ogni costruzione analitica che muovesse dall’homo
œconomicus e tese a sostenere, fin dall’inizio della sua stagione politica, che si
doveva partire da una subordinazione dell’economia alla politica. Ne derivò
che l’ambizione a creare una “nuova economia” divenne diffusa e che questo
sforzo finì per essere compiuto sugli economisti storici tedeschi ed anche su
autori di provenienza lontana dalla economia teorica come E. Pound, C.
Schmitt, e molti altri ancora. In questa chiave furono rivalutate figure di
studiosi dell’800 italiano, i quali avevano criticato le conseguenze nefaste
dell’industrialismo, del libero scambio, della indipendenza del fattore
economico nel plasmare la stessa economia del mondo. Esemplare, in
proposito, la rivalutazione del sociologismo di G.D. Romagnosi, assunto come
prototipo dell’economista italiano da rivalutare col suo ricreare l’intreccio fra
politica ed economia, storia economica di una nazione e il suo sistema
giuridico. Il pensiero economico inglese era fuori da questo tipo di
preoccupazioni, e l’economia walrasiana doveva essere considerata alla stregua
di un esercizio matematico, da guardare con molto sospetto.
Ma restavano da spiegare gli ultimi scritti di V. Pareto e di M. Pantaleoni. Per
Pareto, il percorso fu più agevole, esaltando la sua propensione a sottolineare la
componente irrazionale nel comportamento degli uomini sulle scelte
economiche. Per Pantaleoni l’impegno fu più arduo: anzi la conciliazione fra la
sua teoria e la utilizzazione politica che si intendeva farne non riuscì mai
appieno. Eppure, tanti scritti di SDE del periodo compresi quelli di Storia del
pensiero finanziario furono dedicati al tentativo di “politicizzare” il pensiero di
Pantaleoni. In questo sforzo, quello che fece G. Arias può essere considerato il
“caso classico” per eccellenza16.
16
Solo come significativa esemplificazione, si possono indicare i seguenti scritti di G. Arias. “Il pensiero di Maffeo
Pantaleoni”, Gerarchia, 1924: 656-662; “Storia delle dottrine e storia dei fatti nel pensiero di Maffeo Pantaleoni”,
Giornale degli economisti, 1925: 206-214; “Economia pura”, Economia, 1930, I: 135-146 fino alla “Prolusione” di
Economia politica corporativa per la sua chiamata alla Facoltà di Giurisprudenza di Roma del 20 giugno 1936, poi in
Economia, 1936, I: 91-108.
10
Il quale Arias17 costituì anche il punto di riferimento alla Cattolica per chi si
dedicò agli studi di SDE. La sua attività dedicata alla storia economica
medievale, nella quale fece confluire la sua preparazione in Storia del diritto
italiano e di economista, si prestò al meglio per chi intese ricollegare il
corporativismo del tempo alla organizzazione delle categorie produttive
economiche nelle città medievali italiane, almeno nella stessa misura in cui
l’aveva fatto G. Toniolo.
In questa opera A. Fanfani ebbe un ruolo centrale18 non disdegnando i dibattiti
sul metodo ed avanzando coraggiosi criteri di sistemazione dell’intera SDE.
Forse, come complessità e ricchezza di conclusioni, e come solidità di
impianto di ricerca, il ruolo più incisivo fu svolto in Cattolica da J. Mazzei, sia
in fatto di Politica economica interna ed internazionale che di SDE19.
7. Si può essere autorizzati a pensare che la SDE fu largamente utilizzata in quel
periodo per giustificare storicamente e politicamente le novità del regime in
fatto di organizzazione politica ed economica.
Senza dubbio questa tentazione fu assai diffusa, ma restano da spiegare il caso
di L. Einaudi –che fu un oppositore del regime dal 1925 in avanti– e quello di
A. Bertolino, l’altro autore centrale nella SDE in Italia nel ventennio, che in
una intensa attività di ricerca, condotta in chiave decisamente storicistica, finì
per costituire l’altro polo culturalmente aggregante.
Bertolino rappresenta per i nostri studi l’altra faccia della luna rispetto a L.
Einaudi. Per lui la SDE deve essere intesa come “la critica e la ricostruzione
storica delle dottrine economiche, “per cui tutte le dottrine sono vere, se si
prospettano come momenti dello svolgimento della scienza economica”. Ma la
17
G. Arias resta il personaggio “centrale” per ricostruire la “cultura” economica italiana fra le due guerre mondiali, nel
senso che rappresenta, paradigmaticamente, le illusioni, le speranze, le frustrazioni di quello che può essere considerato
il vero e proprio “economista di regime”.
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Può vedersi, per tutte, il recente libro A. Fanfani, Storia delle dottrine economiche: un’antologia, a cura di O.
Ottonelli, con “Introduzione” di G. Gattei, Firenze, Le Monnier, Fondazione Spadolini e Nuova Antologia, 2011.
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Per una prima visione su questo autore, può vedersi, J. Mazzei, Etica, economia e politica economica, a cura di P.
Roggi ed una “Introduzione” di G. Michelagnoli, Firenze, Le Monnier, Fondazione Spadolini e Nuova Antologia, 2008.
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storia è fatta di distinzioni, di esercizio critico, le une e l’altro condotti
appunto secondo un criterio che si dà lo storico, soggetto perciò a mutare. Solo
che, se è vero che la storiografia è sempre introspezione del presente, o una
concezione del nostro passato, è più vero che
“…valutare storicamente un momento del pensiero economico, una teoria, una
dottrina, significa riferirlo criticamente al pensiero economico che vi è
contemporaneo, lo precede e lo segue, ma giustificarlo nella cultura di cui quel
pensiero è manifestazione”20.
Precisato che la storia della scienza economica non può essere fatta da chi è sì
storico ma “nel contempo scienziato” della disciplina, Bertolino delinea il
metodo con cui fare SDE e la cultura di base che deve nutrire chi fa quella
storia.
Ci sono, fra Einaudi e Bertolino, i due maggiori metodologi della SDE del
periodo, motivi di continuità ed altri di radicale differenziazione.
L’accordo verte sul fatto che la SDE è storia di teorie coltivata
professionalmente e non è né erudizione, né un “racconto” indistinto di
categorie composte e senza identità.
La diversità è dovuta al fatto che per Einaudi la SDE è un segnale di “verità”
che si evolve nel tempo ognora l’una migliore (e più vera), della precedente.
Per Bertolino la SDE è determinazione storica, del valore dell’apporto di un
economista valutato nel momento e nel luogo in cui ebbe a manifestarsi.
8. Cosa ci è rimasto di questo grande lavorìo che fu compiuto dai docenti e dagli
autori italiani di SDE nel periodo considerato?
Va detto che si trattò, innanzitutto, di un momento particolarmente fecondo per
questi studi. Fiorirono moltissimi scritti che trovarono agevole collocazione
20
Per la concezione generale della SDE di Bertolino, gli scritti più importanti sono stati raccolti nel volume A.
Bertolino, Scritti e lezioni di storia del pensiero economico, a cura di Piero Barucci, Firenze, Giuffrè, 1978, La
“Introduzione” di P. Barucci è ora nel volume L’economia politica, op. cit. pp. 3-18, da cui si cita, cfr. p. 10.
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nelle più importanti riviste economiche del tempo. Li coltivarono anche
economisti teorici di spicco, come A. Graziani, A. Loria, M. Fanno, M.
Fasiani, P, Jannaccone, A. De Viti De Marco, G. Del Vecchio insieme a molti
giovani che si affacciavano allora agli studi economici. Si ebbero ristampe o
edizioni di qualche pregio di opere degli economisti di un passato prossimo o
più remoto. In molte Università gli studenti poterono avvicinarsi a questi studi
sotto la guida salda di economisti o di storici economici, ma anche di
economisti che si rifacevano alla grande tradizione “classica”.
Come è naturale, solo coloro che ricercarono nella SDE la ragione storica della
“nuova economia” finirono per produrre ricerche divenute fini a se stesse. Ma
anche fra di loro furono allevati giovani destinati poi, nell’Italia repubblicana,
a rappresentare una linfa vitale per la ripresa di questi studi. Ma la attenzione
che fu riservata ad autori come M. Weber, W. Sombart e W. Röpke e di tanti
autori riconducibili allo “storicismo tedesco”,
tornò utile anche nel
dopoguerra.
La stagione che allora si aprì, e che fu particolarmente feconda per la SDE, si
spiega solo rifacendosi agli anni di quel periodo.
Firenze, ottobre 2013
Piero Barucci
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