Progetto PON “Supporto alla Transnazionalità
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Progetto PON “Supporto alla Transnazionalità
Progetto PON “Supporto alla Transnazionalità” SEMINARIO TECNICO IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO IN GERMANIA, FRANCIA E ITALIA 20 marzo 2012 Roma Executive report Indice 1. Obiettivi dell’incontro 2. Sintesi dell’incontro 2.1 Il sistema italiano 2.2 Il sistema tedesco 2.3 Il sistema francese 2.4 Il dibattito 1. Obiettivi dell’incontro Il 20 marzo 2012 si è tenuto a Roma un seminario tecnico di confronto internazionale dal titolo “Il contratto di apprendistato in Germania, Francia e Italia”, organizzato da Italia Lavoro nell’ambito delle attività del Progetto PON “Supporto alla Transnazionalità”, per discutere dello strumento dell’apprendistato fra rappresentanti autorevoli dei tre paesi in un momento in cui in Europa le politiche nazionali puntano su questo dispositivo per contrastare la crisi, e in particolare le ricadute sulla disoccupazione giovanile. Obiettivo di questo incontro è stato fare una riflessione sull’utilizzo dell’apprendistato quale veicolo principale per aiutare i giovani a entrare nel mondo del lavoro, attraverso l’analisi e il confronto con le esperienze di Germania e Francia, con un focus su alcuni argomenti fondamentali: - il ruolo della formazione nel contratto di apprendistato; - il significato del contratto a causa mista (formazione e lavoro); - i luoghi preposti alla formazione; - la maggiore diffusione di questo contratto in altri paesi rispetto all’Italia; 1 - i meccanismi necessari per una migliore integrazione del contratto nelle nostre realtà produttive. L’evento si è articolato in due fasi: una prima parte in cui sono stati presentati i modelli di Italia, Germania e Francia e il successivo dibattito, che ha visto coinvolti anche i rappresentanti delle Parti Sociali e delle Regioni. 2. Sintesi dell’incontro 2.1 Il sistema italiano L’introduzione del dispositivo in Italia è stata effettuata dal Prof. Michele Tiraboschi, che ha evidenziato come da noi non esista un modello tipo di apprendistato, ma siano presenti varie tipologie che richiamano l’esperienza duale tedesca, da un lato, e quella francese e dell’Europa meridionale, dall’altro, dove l’apprendistato non è legato al sistema educativo e formativo, ma è piuttosto una forma di flessibilità del lavoro. Inoltre il dispositivo si differenzia in Italia secondo criteri di tipo geografico territoriale e produce modelli regionali. La recente riforma italiana dell’apprendistato è volta a superare le criticità presenti e a rilanciare l’apprendistato come canale principale di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani. Il realtà l’istituto era stato riformato già con la Legge Biagi del 2003, ma non ha mai prodotto i risultati attesi, in quanto fino a pochi mesi fa il 30% dei contratti di apprendistato era ancora legato alla precedente riforma del 1997, la Legge Treu. La Legge Biagi aveva fatto un tentativo di estendere l’apprendistato ai minorenni (15–16 anni), ma a distanza di 10 anni le nostre Regioni non sono state in grado di attuarlo (tranne la Provincia autonoma di Bolzano). Perciò, a differenza del sistema tedesco in cui l’apprendistato nell’80% dei casi si rivolge ai giovani con meno di 20 anni, in Italia nel 98% dei casi questo è applicato ai maggiorenni. Tra le anomalie del nostro sistema, si evidenzia che il 33% degli apprendisti ha un’età tra i 25 e 29 anni, e che la componente formativa è piuttosto bassa, anche se questo elemento è di difficile misurazione: si stima infatti che solo un ¼ degli apprendisti riceva formazione. Inoltre, esiste una grande frammentazione territoriale anche per l’apprendistato di mestiere o professionalizzante. Infine, si rileva che l’apprendistato di alta formazione, sul modello francese, stenta a decollare. Questi dati sono oggetto di un rapporto condotto da Isfol, che traccia una mappa dell’apprendistato in tutte le Regioni. Con la nuova riforma, che è stata approvata lo scorso anno, si è voluto semplificare la legislazione vigente, accorpando tutta la normativa in un solo testo di 7 articoli, il Testo Unico, per arrivare ad una nuova disciplina che comprende 4 tipologie di apprendistato: - l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (istruzione e formazione), cosiddetto di I livello, che richiama il modello tedesco ed è rivolto ai giovani di età tra i 15 e i 25 anni; l’apprendistato di mestiere, II livello, legato ad una qualifica contrattuale mediante formazione sul lavoro, ma che non porta al riconoscimento di un titolo di studio; l’apprendistato di alta formazione, III livello, rivolto al segmento educativo alto; 2 - l’apprendistato di ricerca, che rappresenta la IV tipologia, sostanzialmente è un apprendistato professionalizzante o di mestiere, ma legato al mestiere di ricercatore, definito in alcuni contratti collettivi. La nuova disciplina prevede inoltre l’inserimento dell’apprendistato rivolto ai lavoratori in mobilità, sulla base del modello inglese. Nel T.U. va sottolineata l’importanza dell’articolo 1: “l’apprendistato è un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato”, in cui si ha una fase temporanea, legata alla formazione, terminata la quale il rapporto prosegue, salvo che una o entrambe le parti decidano di rescindere il vincolo contrattuale. L’altro articolo importante è il 6, che definisce gli standard formativi, professionali e di certificazione delle competenze di riferimento per i percorsi di apprendistato. Fondamentale, per l’attuazione della riforma dell’apprendistato, è la costruzione nei contratti collettivi nazionali di categoria di nuovi sistemi di classificazione e inquadramento del personale, insieme al ruolo delle Regioni. 2.2 Il sistema tedesco Il sistema tedesco viene illustrato dal Dr. Georg Hanf, dell’Istituto Nazionale per l’Apprendistato (BIBB). In Germania vige il cosiddetto sistema duale di alternanza scuola lavoro. Il dispositivo si basa su 5 aspetti fondamentali: - stretta collaborazione tra governo e industria; - standard nazionali per la definizione delle figure professionali; - apprendimento sul posto di lavoro con il supporto di personale tecnico messo a disposizione in impresa e di insegnanti provenienti dalle scuole professionali; - integrazione della formazione sia nel sistema scolastico che nel lavoro, con chiarezza dei ruoli per il meccanismo di governance, l’erogazione dei servizi e lo status dell’apprendista; - collegamento tra il sistema scolastico tradizionale e i servizi per la ricerca e l’orientamento al lavoro. Ci sono 4 attori responsabili per la formazione professionale: - Governo Federale - Stati Federali - Datori di lavoro - Sindacati In Germania importante è il ruolo della Camera di Commercio che ha il compito di controllare l’andamento della formazione professionale, la conformità dei contratti di lavoro e di gestire eventuali vertenze. Va evidenziato come, nel sistema tedesco, il 77% della formazione è finanziato dalle aziende, il 13% dal Governo Federale e il 10% dagli Stati Federali. In Germania le qualifiche professionali riconosciute a livello nazionale sono circa 350, la durata del contratto di apprendistato va dai 2 ai 3 anni e mezzo, le aziende che nel 2010 hanno offerto apprendistato sono 470.000 per circa 1.590.000 apprendisti. L’analisi del rapporto costi/benefici effettuata dal BIBB, che riguarda ciascun attore del sistema tedesco, imprese, Stato Federale e singolo individuo, evidenzia un netto vantaggio per l’intero 3 sistema in termini di produttività del lavoro per le imprese, gettito fiscale dovuto alla maggiore occupazione e lavori più remunerativi, e per il singolo individuo che completa il percorso di apprendistato, il vantaggio diretto è una retribuzione media superiore del 50% rispetto a coloro che non hanno alcuna qualifica, hanno maggiori opportunità di carriera e raggiungono uno status più elevato. Altri dati riportati dal BIBB evidenziano come il sistema duale tedesco garantisca, da un lato, un raggiungimento del livello di istruzione e qualifica più alto rispetto alla media europea, e dall’altro, una minore dispersione scolastica (ad esempio, in Germania la percentuale degli abbandoni scolastici è dell’11,1%, mentre la media europea è del 14,4%). Ugualmente, per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, in Germania si registra l’8,1% relativo alla fascia di età 15 – 24 anni, contro il dato europeo del 22,7%. Inoltre, in Germania la disoccupazione è più alta nei lavoratori privi di qualifica (21,9%), mentre per coloro che hanno raggiunto una qualifica professionale è del 6,6%, infine per chi possiede un livello di istruzione superiore (università) è del 2,5%. Da una rilevazione del 2007 emerge come in Germania dopo 3 anni dal completamento del percorso di apprendistato i disoccupati siano il 9%, dopo 10 anni il 6,8%, mentre il 46,7% trova un lavoro a tempo pieno entro 3 anni e il 58,5% entro 10 anni. Sempre entro 3 anni dalla fine dell’apprendistato l’1,9% ha una lavoro autonomo e dopo 10 anni questa percentuale sale al 4,3%. La parte restante è rappresentata da coloro che hanno un lavoro meno stabile o continuano la formazione. Pur se in Germania il dispositivo è ampiamente utilizzato e riconosciuto come strumento chiave per facilitare la transizione scuola-lavoro, oltre che ridurre la disoccupazione giovanile, si possono individuare alcune sfide per l’attuale sistema, che sconta le ripercussioni negative di un calo demografico comune a tutti i paesi europei e una carenza di manodopera specializzata: - portare più giovani a rischio di abbandono scolastico verso un percorso di formazione; - rilanciare l’apprendistato per le alte professionalità; - riconoscere le competenze acquisite con la formazione professionale anche per l’accesso all’università; - identificare qualifiche internazionali (es.: conoscenza di lingue straniere) per far fronte alla competitività globale. Tra le principali misure di politiche adottate in materia di apprendistato troviamo il Patto Nazionale di Formazione (2004/2007/2010) che coinvolge il Governo Federale, i Ministeri dell’Istruzione, del Lavoro e dell’Economia, l’Agenzia per il Lavoro, le Camere, gli Stati Federali, il Ministero per l’Immigrazione e si basa sui seguenti pilastri: - assicurare la maturità formativa dei giovani; - sviluppare l’orientamento professionale; - avvicinare i giovani alle aziende; - potenziare l’apprendistato sia nei confronti dei cosiddetti soggetti “esclusi” (immigrati, soggetti svantaggiati, disabili) sia degli “high performers”; - trovare/creare nuovi luoghi per la formazione; - rendere il sistema di transizione più efficace; - migliorare il data base. Vengono quindi evidenziate le misure necessarie per attrarre coloro che sono a maggiore rischio di esclusione, nello specifico: - creare strutture per l’avvio al lavoro attraverso reti regionali, lo sviluppo/stabilizzazione delle strutture per la formazione, lo sviluppo di iniziative in determinati settori per 4 - alcuni gruppi di target e infine la modularizzazione dei percorsi di formazione/apprendistato; implementare le catene per la formazione/istruzione partendo dall’analisi di coloro che ancora frequentano la scuola media, potenziare l’orientamento alla formazione professionale e accompagnare l’ingresso all’apprendistato tramite il supporto individuale all’inizio e durante il periodo di formazione. Da una successiva analisi si stima che i fabbisogni di personale qualificato al 2020 (15-64 anni) siano per il 13,6% di persone senza alcuna qualifica professionale, il 53,7% con una qualifica iniziale, il 16,8% di livello universitario, il 9,2% con una qualifica professionale avanzata e il 6,8% di persone permanga nel sistema di istruzione e formazione. 2.3 Il sistema francese Nathalie Muela, del Consiglio per l’Apprendistato della Regione Provenza Alpi e Costa Azzurra (PACA), ha presentato i principi del dispositivo in Francia. L’apprendistato è un vero e proprio contratto tra l’apprendista, l’impresa e un centro di formazione professionale. L’apprendista è obbligato a seguire i corsi di formazione e percepisce un salario. I giovani che usufruiscono dell’apprendistato in Francia hanno un’età compresa tra i 15 e i 25 anni. L’apprendistato copre tutti i diplomi professionali, a partire dal V livello (15 anni) al I livello (ingegnere). Gli attori nel sistema dell’apprendistato francese sono: - lo Stato (Ministero dell’Istruzione e Ministero del Lavoro); - le Regioni (in Francia hanno una grande autonomia nella gestione delle politiche dell’apprendistato); - i Settori professionali. Per quanto riguarda più in particolare la situazione dell’apprendistato nella Regione PACA, vengono presentati alcuni dati: nel 2011 i giovani in formazione erano circa 32.170, la Regione finanzia il 60% della formazione, le imprese il 30% e il 10% è finanziato dai Settori professionali. Nella Regione l’80% degli apprendisti sono giovani (livello IV e V). La percentuale più alta di apprendisti è di sesso maschile ed è impiegata nel settore della meccanica ed elettronica, mentre la presenza femminile, più bassa, è impiegata nei servizi alla persona (parrucchiere, etc.) e nel terziario. Sempre nella Regione PACA, il cui tessuto economico locale è rappresentato per quasi il 90% da micro-imprese e PMI, il 70% delle imprese che assumono apprendisti sono micro imprese, una parte sono piccole e medie, mentre le grandi imprese rappresentano la percentuale minore. Obiettivo della Regione è di assistere i giovani usciti dalla scuola senza qualifica ad entrare nell’apprendistato, lavorando a stretto contatto con i Settori professionali e sviluppando offerte formative adatte all’evoluzione del lavoro, per elevare il livello di qualifica professionale. Infatti, in Francia il diploma ha un’importanza fondamentale per l’inserimento professionale dei giovani: coloro che non conseguono alcun diploma sono i più colpiti dalla disoccupazione. L’apprendistato fornisce ai giovani un accesso più rapido al mondo del lavoro, benché non sia da considerarsi l’unica soluzione per risolvere la crisi occupazionale: essendo un vero e proprio contratto di lavoro, infatti, la selezione rispecchia le stesse regole e le stesse discriminazioni presenti nel mercato del lavoro. 5 Inoltre, in Francia le imprese che investono nella formazione in apprendistato rappresentano una percentuale molto bassa, perché esistono forme più agili per reclutare i giovani, come ad esempio gli stage. Uno degli obiettivi della riforma francese che risale all’estate del 2011 è proprio di aumentare il numero degli apprendisti, obbligando le aziende con più di 250 dipendenti ad assumere il 4% di apprendisti e di investire nella creazione di centri di formazione. Altri - aspetti importanti della riforma sono: aiutare finanziariamente le Regioni snellire le procedure di assunzione estendere l’apprendistato ad altri settori, ad esempio quello stagionale. 2.4 Il dibattito Il dibattito che costituisce la seconda fase dell’incontro viene avviato dal moderatore – il giornalista Davide Colombo – il quale, dopo aver sottolineato la visione inclusiva e lavoristica con cui lo strumento viene utilizzato in Germania e Francia, invita i partecipanti ad evidenziare gli aspetti più delicati della riforma che sta per entrare in vigore in Italia. Gli interventi portano alla luce alcune problematicità riferite allo strumento dell’apprendistato in generale, oltre a qualche preoccupazione condivisa da più parti, in merito all’applicazione della riforma. In primo luogo, viene rilevata, per quanto riguarda l’Italia, la scarsa chiarezza rispetto alle finalità dell’istituto: non risulta evidente se l’apprendistato viene inteso al pari di una modalità di assunzione, ed in particolare quello che dovrebbe diventare la forma privilegiata di accesso al lavoro per i giovani nel disegno di riforma del mercato del lavoro attualmente in discussione, oppure come un’opportunità di crescita e qualificazione professionale. Al di là della formulazione normativa (l’attuale legge di riforma parla di “contratto di lavoro a tempo indeterminato”), va tenuto presente che l’apprendistato dovrebbe essere, prima di tutto, una forma di crescita per il lavoratore. La mancanza di chiarezza potrebbe essere uno dei motivi della scarsa diffusione che ha avuto, ad oggi, lo strumento, istituito in Italia dalla legge n. 25 del gennaio 1955 e più volte riformato negli anni. Altrettanto poco chiara, almeno fino all’ultima riforma, la definizione dei ruoli dei vari attori coinvolti: i sette articoli in cui si declina il testo unico sull’apprendistato (Decreto Legislativo n. 167 del 14 settembre 2011) delineano in maniera più netta le competenze di ciascuno, riconoscendo, in particolare per quanto riguarda l’apprendistato per la qualifica professionale e l’apprendistato di alta formazione e ricerca, un ruolo forte alle Regioni e lasciando invece ampio spazio alla contrattazione collettiva con riferimento all’apprendistato professionalizzante. Per le due tipologie di apprendistato che portano all’acquisizione di titoli formali (Liv. I e III), si sottolineano alcuni aspetti problematici, legati a: - disomogeneità di comportamenti e difficoltà di creare standard professionali condivisi, a causa della presenza massiccia, in Italia, di imprese di piccole e piccolissime dimensioni, ed alla conseguente problematicità a standardizzare le competenze professionali sviluppate al lavoro; 6 - difficoltà, con particolare riferimento alle imprese di piccole dimensioni, ad organizzare la formazione interna assistita e prevedere il supporto adeguato da parte di un tutor; correlazione tra tempi di lavoro e tempi di formazione (eccessivamente dilatati), che ha portato, fino ad oggi, a privilegiare l’apprendistato professionalizzante. Il dibattito fa emergere anche una preoccupazione da parte delle associazioni datoriali, che un eventuale intervento di modifica al testo unico da parte del Governo, mirato a rafforzare l’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti per ridurre il rischio di “abusi” della tipologia contrattuale, possa agire da freno alla conclusione di accordi interconfederali. Si suggerisce che, al fine di agevolare l’apprendistato come canale di inserimento dei giovani al lavoro, sarebbe meglio intervenire in maniera più netta e con più stringenti controlli sulle forme di flessibilità “cattiva” più utilizzate, ed usare gli incentivi per favorire la trasformazione del rapporto di apprendistato. Dall’intervento dei rappresentanti delle Regioni Veneto e Lombardia, emergono altresì la necessità di: - un sostegno alle imprese, ed in particolare a quelle di piccole dimensioni, per l’erogazione della formazione collegata ai contratti di apprendistato (criticità risolta in alcuni casi attraverso il ricorso a forme di cooperazione ed accordi territoriali), alla quale potrebbero contribuire Enti Bilaterali, Associazioni di categoria ecc.; - un raccordo ed una maggiore integrazione tra sistema della formazione professionale e mondo del lavoro, con una ridefinizione dei percorsi e dei contenuti della formazione, in particolare per quanto riguarda l’apprendistato con riconoscimento della qualifica (I° livello) ed una valorizzazione del luogo di lavoro come luogo di formazione, che deve passare attraverso la definizione di un sistema di validazione ed eventualmente certificazione delle competenze ivi acquisite; - un coinvolgimento delle Università nella definizione di percorsi di istruzione che portino attraverso l’apprendistato di alta formazione alla acquisizione di titoli di laurea (triennale, magistrale, a ciclo unico). Tra le novità interessanti introdotte dal Testo unico sull’apprendistato: la retribuzione percentuale progressiva, rapportata all’anzianità di servizio e quindi all’investimento formativo richiesto all’impresa; la possibilità di assumere gli apprendisti attraverso le agenzie di somministrazione, con conseguente alleggerimento dei costi gestionali e dei rischi che potrebbero derivare all’impresa da una gestione amministrativa non conforme alla normativa. Ai relatori stranieri sono state poste alcune domande per chiarire meglio gli elementi del confronto internazionale, con particolare riferimento a: - ruolo degli incentivi, statali o regionali, nell’avvio del rapporto di apprendistato; - posizionamento dell’apprendistato (all’interno del mondo del lavoro oppure del mondo della formazione, e realizzazione delle attività formative previste dallo strumento); - previsione di interventi pubblici atti ad orientare verso l’apprendistato i giovani di età 15–18 anni, che in Italia, a differenza di quanto avviene all’estero, non ne sono particolarmente coinvolti. Con riferimento al primo argomento: in Germania, in linea generale, lo Stato non offre incentivi per facilitare il ricorso al contratto di apprendistato. Solo in circostanziate ipotesi che richiedono uno sforzo addizionale da parte dell’impresa, e all’interno di determinati programmi o contesti prima menzionati, possono essere riconosciute alcune agevolazioni. In Francia, viceversa, lo Stato veicola, attraverso le Regioni, incentivi tra 1.000 e 2.000 euro, eventualmente integrabili con un ulteriore migliaio di euro da parte delle singole Regioni, ad 7 esempio per favorire l’inserimento delle fasce deboli, come sta avvenendo attualmente proprio nella Regione PACA. Sul modo di concepire l’apprendistato, e la realizzazione delle attività formative previste da tale strumento: in Germania le modalità di attuazione del percorso di apprendistato sono già implicite nella legge e le imprese non possono quindi sottrarvisi, se non vogliono incorrere in sanzioni. Per le imprese di piccole dimensioni sono previsti centri di addestramento pubblici, ai quali le aziende possono indirizzare gli apprendisti per la parte di formazione che non sono in grado di fornire internamente. Circa l’uso dello strumento come veicolo per l’ingresso dei giovani al lavoro: il contratto di apprendistato dura mediamente tre anni/tre anni e mezzo, e implica pertanto a monte una valutazione da parte dell’impresa sulla mano d’opera di cui necessita nel medio periodo. In Germania, peraltro, la formazione dei giovani viene concepita come un bene pubblico, e un dovere morale, cui tutti devono contribuire. In Francia il contratto di apprendistato, pur essendo un contratto di lavoro, ha una valenza fortemente formativa, come deriva dallo stesso fatto che si tratta di un contratto a tre, cui deve partecipare anche un Ente formativo. Le responsabilità delle parti (impresa e centro di formazione) sono strettamente definite e regolamentate. Per quanto riguarda la formazione esterna, tutti gli apprendisti alternano una settimana presso un centro di formazione, ogni tre settimane in impresa. Dal punto di vista qualitativo, viene esercitato uno stretto controllo per evitare che l’apprendistato venga sfruttato per procurarsi mano d’opera a basso costo ed inoltre, al momento di concludere il contratto, ha luogo un lavoro congiunto tra centro di formazione ed impresa per la definizione dei risultati che l’apprendista deve conseguire ai fini della validazione delle competenze acquisite nel percorso in azienda. Sul tema degli eventuali strumenti atti ad orientare la fascia di età più giovane verso l’apprendistato, la Germania adotta tutti i possibili mezzi di informazione e di orientamento (“educational chains”, che prevedono analisi del potenziale, orientamento professionale, accompagnamento degli apprendisti per tutto il percorso), al fine di fornire ai giovani ed in particolare alla fascia 15 – 18 anni, un quadro il più ampio possibile delle prospettive che si offrono loro, agevolandoli nella scelta. La Francia non può vantare un sistema di orientamento simile a quello tedesco: tuttavia, negli ultimi anni, la situazione economica ha portato ad un notevole miglioramento della gestione previsionale sviluppata per settore, delle assunzioni e delle competenze necessarie. A fronte della crisi, peraltro, molti giovani si stanno orientando verso la formazione tecnica in alternanza, privilegiandola rispetto all’istruzione generale. Questo è vero per l’apprendistato di base, ma anche per l’apprendistato di alto livello, con riferimento al quale le aziende sono peraltro molto più selettive (esaminano in media dieci persone per assumere un apprendista di alto livello): l’alta formazione in apprendistato, benché più faticosa, in quanto abbina lavoro e studio, risulta conveniente perché consente di progredire negli studi percependo al contempo una retribuzione. Il dibattito si è concluso con una vivacità di interventi che hanno lasciato aperti ancora molti quesiti e soprattutto la necessità di approfondire il confronto internazionale, finalizzato all’apprendimento reciproco. Italia Lavoro ha l’obiettivo di portare avanti lo scambio di conoscenze ed esperienze tra paesi membri, attraverso il Progetto PON “Supporto alla Transnazionalità” e promuoverà pertanto nel corso dell’anno simili occasioni di incontro. 8