Visualizza - Centro studi di diritto, economia ed etica dello sport

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Circolare n. 5
Roma, 17 febbraio 2014
- Ai Circoli di Golf Affiliati ed Aggregati
e p.c. Al Consiglio Federale
Ai Comitati e Delegati Regionali
Oggetto : parere pro veritate
Si trasmette in allegato il parere pro veritate del Prof. Raffaello Lupi commissionato da
questa Federazione e relativo alla problematica fiscale dell’interposizione fittizia tra associazioni
sportive dilettantistiche e società immobiliari proprietarie dell’impianto.
Cordiali saluti.
Il Segretario Generale
dott. Stefano Manca
Allegato : Parere pro veritate
P ROF . R AFFAELLO L UPI
OR DI N ARI O DI DI RI T TO T RI B UTARI O E S CI E N Z A DE L L E F I N AN Z E NE L L 'U NI VE RS I T À
DI RO M A-T OR VE RG ATA
AV VO C AT O C AS S AZ I O NI STA
Via Soana, 22 – 00183 - Roma
Tel. + 39-06-77204207 – Fax. + 39-06-87152038
Federazione Italiana Golf
Viale Tiziano, 74
00196 – Roma
Alla c.a. del Segretario Generale
dott. Manca
Roma, 10 gennaio 2013
PARERE PRO VERITATE
OGGETTO: IRRILEVANZA AI FINI DEL REGIME IMPOSITIVO DELLE QUOTE ASSOCIATIVE
DELLA CONTESTUALE DETENZIONE, DA PARTE DEI MEDESIMI ASSOCIATI, DI PARTECIPAZIONI
DELLA SOCIETÀ IMMOBILIARE PROPRIETARIA DEGLI IMPIANTI SU CUI SI SVOLGE L’ATTIVITÀ
1.
Premessa
A seguito della Vostra richiesta, dopo gli inquadramenti giuridico/tributari della fattispecie
già svolti nelle vie brevi, formulo il seguente parere in merito alla palese irrilevanza, ai fini del
regime tributario delle quote associative versate dai membri delle associazioni sportive
dilettantistiche aderenti alla Vostra Federazione, della previsione statutaria secondo cui, per
aderire all’associazione, occorre acquistare quote della società immobiliare detentrice degli
impianti, messi a disposizione dell’associazione stessa nella forma dell’affitto di azienda.
L’analisi delle contestazioni fiscali, inoltre, ha tenuto conto di alcuni recenti rilievi tributari
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notificati a diverse associazioni aderenti alla Federgolf, nei cui confronti sono stati appunto
formulati rilevi per “abuso del diritto” connessi alle vicende appena descritte.
2.
La palese inconsistenza dei rilievi fiscali, solo in apparenza
pertinenti, ma in realtà senza filo conduttore tecnico
Si tratta di una contestazione “di diritto”, relativa cioè all’inquadramento giuridico
tributario di vicende palesi, dove nulla è stato nascosto e tutto è stato registrato secondo
l’inquadramento giuridico elaborato dal contribuente, e contestato dal fisco. Questa
contestazione però non solo è macroscopicamente priva di fondatezza giuridico-economica, ma
è paradossalmente difficile da contestare, proprio perché “inafferrabile”, sprovvista di un vero e
proprio senso compiuto, che come tale possa essere approvato o smentito. La contestazione è
infatti accompagnata da una serie di espressioni che, seppur genericamente riferibili alla fiscalità
delle associazioni e degli enti non commerciali, sono sprovviste di un preciso senso tecnico
tributario. Si tratta di un insieme di frasi stereotipate, messe in fila per far sorgere nel lettore una
sensazione di illecito fiscale, senza mai una reale argomentazione di senso compiuto sul piano
della sostanza economica e della disciplina normativa; se si va oltre la “cortina fumogena” di
affermazioni tanto insinuanti quanto inconcludenti, non si riesce ad individuare quali siano le
violazioni compiute ed i vantaggi fiscali indebiti ottenuti dall’associazione dilettantistica, oppure
i comportamenti contrari allo spirito dell’ordinamento fiscale; invero non si riesce ad
individuare, nelle lunghe motivazioni degli atti impositivi, alcun rilievo di carattere sostanziale.
Quindi, tralasciando le fumose allusioni a comportamenti fiscalmente elusivi, le
contestazioni si dilungano in genere su inconsistenti riferimenti al regime agevolativo previsto
per l’associazione dilettantistica, ovvero alla proprietà degli impianti da parte dei soci stessi,
rappresentando aspetti fisiologici dell’associazionismo per finalità sportive come pratiche
fiscalmente elusive. In particolare, l’attività del golf dilettantistico manifesta un problema
generale di tutto l’associazionismo che, per essere esercitato, ha bisogno di strutture; queste
ultime sono spesso di apprezzabile valore economico, da gestire secondo moduli organizzativi
talora complessi e con l’impiego di risorse considerevoli. Infatti, la pratica del golf (al pari del
fitness, tennis, nuoto, equitazione, ecc..), ancorché realizzata a livello meramente dilettantistico,
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richiede l’utilizzo di campi da gioco e di impianti e può anche essere affiancata da prestazioni
accessorie (come noleggio e vendita di attrezzature, ristorazione, intrattenimento) che, per il
proprio svolgimento, necessitano di locali e ulteriori complessi di beni.
In molti circoli sportivi, la costituzione delle associazioni è promossa dai titolari stessi
degli impianti, che li danno in locazione, direttamente o tramite società di capitali intestatarie,
all’associazione stessa. In altri casi l’associazione prende in locazione da terzi il terreno e vi
costruisce gli impianti. Pertanto, nella normalità dei casi, l’associazione sportiva svolge la
propria attività su immobili e impianti presi in affitto da soggetti terzi, in genere società
immobiliari che percepisco un reddito da questa cessione a titolo oneroso. In tutti questi casi
non solo l’associaizone è esposta alla pressione del proprietario degli impianti, ma i lavori di
miglioria svolti vengono da lui acquisiti alla fine del rapporto. Orbene, in tali casi l’Agenzia
delle entrate non ha mai considerato questo affitto di immobili, o dell’azienda comprendente gli
impianti e del terreno su cui si svolge la pratica sportiva, come destinati ad erogare una utilità
indiretta al proprietario di questi beni. Nella tipologia di rilievi in esame non cambia nulla
rispetto a quanto sopra, salvo la tendenza dei soci ad affrancarsi dalla suddetta sudditanza verso
la proprietà degli impianti1, mettendoli sotto il controllo di una società indirettamente,
frazionatamente e quindi democraticamente, detenuta in gran parte dai soci (salvi ovviamente i
casi in cui la pratica sportiva si interrompe per limiti di età, e si resta proprietari delle quote).
E’ un fatto positivo, sul piano associativo, e irrilevante ai fini tributari, che l’ampia base
sociale diventi proprietaria degli impianti attraverso l’obbligo di acquisire, ad una cifra non
impegnativa rispetto alle quote associative annue, una quota minima (prestabilita) della società
proprietaria degli impianti sportivi. Sono evidenti infatti gli aspetti di coesione associativa,
libertà operativa e fidelizzazione reciproca connessi ad una comproprietà sostanziale degli
impianti. Quindi, anche per quanto riguarda la titolarità degli impianti, si cerca di perseguire uno
“spirito associativo”, come del resto si vede dall’importo relativamente irrilevante del prezzo
di acquisto delle quote rispetto al concetto di investimento patrimoniale in assoluto , dal
quale ci si possa attendere un ritorno patrimoniale futuro apprezzabile ed autonomo rispetto
all’interesse sportivo-relazionale di frequentare il circolo sportivo ; si tratta infatti di importi
fortemente variabili, nella media intorno a 10 mila euro, con minimi di 1500 e massimi di 30
1
Ho avuto modo di affermare il altro luogo che “non si può pretendere l’acquisto del campo da tennis o di calcio da
parte di chi vuole semplicemente giocare, l’acquisto della piscina da parte di chi vuole solo nuotare”, cfr. R. Lupi, L.
Corrado, « Associazioni sportive tra ricchezza non registrata ed evasione interpretativa», in Dialoghi Tributari n. 1/2012, pag.
83.
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mila; nel complesso si tratta di somme poco rilevanti in assoluto come fantomatica
“speculazione” e che raramente hanno dato luogo a dividendi o plusvalenze in sede di cessione
delle quote, al momento della perdita della qualità di associato del circolo; anzi, per quanto è
dato sapere, in massima parte le quote in esame si sono dimostrate delle immobilizzazioni
difficilmente liquidabili per gli “ex associati” al circolo di golf, rimasti soci della società
immobiliare. Si tenga conto, per contestualizzare gli importi e capire quanto sia fuori luogo
parlare di “investimento patrimoniale che le quote associative annuali talvolta superano i tre
mila Euro all’anno, rivelando un assetto patrimoniale dei soci delle associazioni per cui, anche
in termini relativi, l’acquisto della quota dell’immobiliare non è un investimento apprezzabile
come tale2; esso acquista significato “simbolico/aggregante” solo nel contesto associativo, per
fidelizzare i membri dell’associazione, individuare membri realmente interessati alla pratica
sportiva, assicurando la già indicata ”autosufficienza proprietaria” dell’associazione: sotto questo
profilo gli obblighi di riacquisto da parte dei nuovi iscritti servono a consentire l’uscita dei
“”vecchi iscritti”, la cui quota –altrimenti- perderebbe di valore (come è successo in alcuni
circoli dove l’esenzione dei nuovi soci dall’acquisto ha portato a un forte deprezzamento delle
quote dell’immobiliare).
L’importo, modesto rispetto al patrimonio dei soci (e alla quota associativa), la mancata
rendita immediata (in genere non si distribuiscono dividendi) e gli irrilevanti “capital gains”,
rendono paradossale la qualificazione di investimento finanziario, rispetto alla finalità di
“autogestione patrimoniale” e di affrancamento dalle pressioni dei proprietari degli impianti.
Questa scarsa appetibilità patrimoniale dell’investimento nelle quote delle società immobiliari è
confermata dalla sempre maggiore difficoltà dei vecchi soci a cedere le quote e dalla sempre
crescente difficoltà a trovare nuovi soci disponibili a questa forma di immobilizzazione
finanziaria, sostanzialmente infruttifera. Questa elevata sovrapposizione
tra soci della
immobiliare e membri del circolo, invece di essere visto come il metodo più democratico e
aggregativo per svolgere in comune una pratica sportiva, è stato invece considerato dall’Agenzia
delle entrate come fiscalmente elusivo (senza indicare un preciso vantaggio fiscale, che come
vedremo manca), riqualificando così le quote associative in proventi imprenditoriali (e quindi
imponibili IVA). In altre parole, la comproprietà degli impianti, che invero rappresenta la
massima espressione dell’associazionismo, è stata giudicata come un fantomatico “abuso del
2
Qualche volta l’obbligo è postergato di 3/5 anni (in modo da dare la possibilità al principiante di valutare bene se
la pratica dello sport del golf potrà essere un’attività duratura),; in questo caso il costo dell’investimento può essere
valutato inferiore alla sommatoria delle quote associative già corrisposte.
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diritto” finalizzata ad ottenere indebitamente i vantaggi fiscali previsti per di associazioni
dilettantistiche, ovvero una mancata percezione di reddito in capo alla società immobiliare
(fermo restando che – in quest’ultimo caso – il rilievo fiscale andrebbe mosso nei confronti della
società e non dell’associazione).
Incidentalmente, si deve osservare che lo sfasamento tra la proprietà dei beni (in capo ad
una società immobiliare) e la loro fruizione da parte dei membri dell’associazione deriva anche
da ragioni giuridiche di diritto privato. Nel passato, infatti, si discuteva circa la legittimità
dell’acquisto di beni immobili e beni mobili registrati da parte delle associazioni non
riconosciute ex artt. 36 ss. c.c. (3). Sussistendo, quindi, fondati dubbi sul fatto che l’associazione
stessa potesse acquistare gli impianti e il terreno, la via comunemente utilizzata per consentire la
comproprietà delle strutture era la costituzione di una società immobiliare ad hoc, di cui fossero
soci gli stessi membri dell’associazione sportiva, in modo da riproporre all’interno dello schema
societario le medesime dinamiche aggregative già presenti nell’ associazione dilettantistica.
3.
L’estraneità del “consumo (finale) collettivo” dal
concetto
“commercialità” ai fini fiscali, IVA e imposte sui redditi.
Non è però sul terreno della proprietà degli impianti che si gioca la partita della
imponibilità o meno delle quote associative, perché una genuina associazione si deve
concretizzare in una forma di “consumo finale di gruppo” (argomento sui cui mi sono più volte
soffermato in varie sedi4), che differenzia le quote di partecipazione al concetto di attività
imprenditoriale, Quest’ unione tra più consumatori finali caratterizza qualsiasi forma di
associazione culturale o sportiva, in cui più soggetti si aggregano per condividere interessi
comuni condividendone le spese necessarie.
3
La problematica è stata oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale. In base ad un primo indirizzo,
la mancanza di personalità giuridica avrebbe impedito la trascrizione dell’atto di acquisto. Al contrario, secondo la
Corte di cassazione le associazioni non riconosciute, pur non essendo persone giuridiche, sono autonomi centri di
imputazione di situazioni giuridiche soggettive, potendo ad essi attribuirsi la titolarità di diritti sia obbligatori che
reali (si veda, da ultimo, Cass., Sez. III civ., 8 maggio 2003, n. 6985, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA).
4
Cfr., da ultimo, Raffaello Lupi, Diritto amministrativo delle imposte, DIKE, 2013, Par. 7.4.; Raffaello Lupi, Manuale giuridico
professionale, IPSOA 2011, cap. 11. Per quel che concerne lo specifico tema delle associazioni dilettantistiche e la proprietà
degli impianti, cfr . R. Lupi, L. Corrado, « Associazioni sportive tra ricchezza non registrata ed evasione interpretativa», in
Dialoghi Tributari n. 1/2012, pag. 83. In generale sul tema delle Associazioni sportive dilettantistiche cfr. A. Malguzzi, D.
Stevanato, R. Lupi, «Erogazioni a società sportive dilettantistiche e spese pubblicitarie», in Dialoghi Tributari n. 6/2008, pag.
102; E. Melchiorre, R. Lupi, «Associazioni sportive dilettantistiche sponsorizzabili oltre 200.000 euro se c’è un ritorno
pubblicitario», ivi n. 6/2010, pag. 631.
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Sono queste finalità di carattere personale, anche se godute collettivamente, a differenziare
una associazione da un’attività commerciale: le quote associative sono gli strumenti finanziari
necessari a perseguire gli scopi aggregativi dell’ente e non il pagamento di servizi resi da un
soggetto terzo (impresa) a favore dei propri clienti. Per tale motivo, queste finalità condivise
devono essere perseguite in modo democratico e partecipativo dai membri dell’associazione; il
che si estrinseca mediante l’approvazione dei bilanci, l’esercizio del diritto di voto, la
partecipazione alle assemblee, e non in base titolarità interna o di terzi degli immobili.
In buona sostanza, la proprietà degli impianti attraverso una società riferibile ai membri
dell’associazione, oltre a non essere un elemento idoneo a modificare l’inquadramento IVA
dell’associazione da «consumatore collettivo » a «operatore economico», allontana al contrario i
dubbi di un utilizzo fraudolento dello schermo associativo. Il fatto che gli impianti, oltre ad
essere gestiti in modo collettivo, sono anche di proprietà degli stessi partecipanti, conferma la
genuinità dell’associazione per le comuni finalità sportivo/dilettantistiche, senza alcun
riferimento alla attività imprenditoriale ed alla produzione di utili, come unanimemente
conferma la Dottrina che si è soffermata sul tema5.
In estrema sintesi, è possibile affermare che una associazione sportiva può gestire risorse
anche assai ingenti (come in molti accertamenti rimarca l’Agenzia delle entrate in merito al
valore degli impianti), ma in ogni caso la commercialità è esclusa perché l’attività esercitata non
si rivolge al mercato, ma in primis alla cerchia dei propri associati e soggetti assimilati; mi
riferisco ai soci o associati di altre associazioni sportive tesserati alla Federazione di riferimento
così come richiedono le Federazioni che promuovono la crescita e la divulgazione dello sport
dilettantistico. Comunque, la proprietà degli impianti in capo ai soci, che ne potrebbero
ipoteticamente avere un beneficio di lungo periodo (nel caso di specie tra l’altro assente, vista
l’assenza di plusvalenze o di dividendi) non ha niente a che vedere con la commercialità dovuta
5
L. Barone, «La Corte di Giustizia cerca una definizione comunitaria autonoma ed uniforme di ente senza scopo lucrativo», nota
a Corte di giustizia UE, V Sez., 21 marzo 2002, causa C-174/00, «Kennemer Golf & Country Club contro Staatssecretaris van
Financiën», in GT - Riv. giur. trib. n. 11/2002, pag. 1002; V. Bassi, «Il regime fiscale delle associazioni sportive e delle
associazioni sportive dilettantistiche (comprese le società sportive dilettantistiche)», in Riv. dir. ec. sport, 2007, pag. 61 ss.; E.
Della Valle, «Iva: l’ente che non ha per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole», in Rass.
trib., 1999, pag. 1001; V. Ficari, «Tipo societario e qualificazione dell’attività economica nell’imposizione sul reddito e sul
valore aggiunto », ivi, 2004, pag. 1240; G. Ingrao, «La determinazione del reddito imponibile delle società sportive, delle
associazioni sportive dilettantistiche e delle Onlus sportive», ivi, 2001, pag. 1530; V. Mastroiacovo,
«La mancanza dello scopo di lucro nelle società di capitali: lo strano caso del regime fiscale delle società che svolgono attività
sportiva dilettantistica», in Riv. dir. trib., 2004, pag. 787; G. Ragucci, «Il principio di legalità tributaria impone l’irrilevanza
dell’iscrizione nel registro del C.O.N.I. per l’accesso ai benefici fiscali degli enti sportivi dilettantistici», nota a Comm. trib. prov.
Macerata,
Sez. II, 30 maggio 2011, n. 173, in GT - Riv. giur. trib. n. 11/2011, pag. 996; G. Zizzo, «Ragionando sulla fiscalità del Terzo
Settore», in Rass. trib., 2010, pag. 674.
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all’afflusso di terzi, tesserati di altre associazioni. In altre parole, un’associazione “indebitamente
aperta” al pubblico dovrebbe essere considerata commerciale a prescindere dalla titolarità degli
impianti, anche qualora questi appartenessero a un proprietario terzo.
4.
La differenza tra ripartizione delle spese di consumo collettivo,
senza applicazione di IVA, e la prestazione di servizi commerciali: la
mancanza di un filo conduttore nella tesi dell’Agenzia delle entrate
In base alle considerazioni sopra svolte, appare chiaro che le associazioni dilettantistiche
de quibus rappresentino un tipico caso di quei «consumi collettivi» attraverso cui un gruppo di
persone, affini per interessi sportivi, si mette assieme per “consumare” una serie di servizi
interenti al golf in modo collettivo, anziché individuale. È questo che toglie alla fattispecie la
rilevanza IVA, in quanto ai fini di siffatto tributo l’associazione è un tipico consumatore finale,
che non addebita il tributo sulle quote associative, ma simmetricamente non recupera l’IVA sulle
forniture di cloro per la piscina, di gasolio per il riscaldamento, di energia elettrica, di
manutenzione dei campi da gioco e di giardinaggio per il prato. Sul piano della sostanza
economica, le quote associative non differiscono dalle contribuzioni con cui cinque amici
acquistano un cabinato a vela di cui sono comproprietari, dividendo le spese di rimessaggio e
manutenzione. Non c’è alcuna finalità agevolativa nell’irrilevanza delle quote associative, ma
solo il riconoscimento che si tratta di spese di consumo collettivo.
A parte gli stereotipi indicati sopra non si vedono gli argomenti dell’Agenzia, nei processi
verbali e negli accertamenti esaminati o di cui mi è stato riferito, per contestare la lineare
semplicità di quanto sopra. Non si vede perché quello che potrebbe prendere il proprietario degli
impianti (cioè il maggior valore dell’immobile dopo le migliorie apportate dall’associazione) non
possano prenderlo i soci che, per evitare le pressioni del proprietario degli impianti, si sono
consorziati per esserne , a diverso titolo, proprietari. Non si capisce quale sia il senso della
fantomatica “commistione”, neologismo giuridico di cui parlano molti degli accertamenti
esaminati. Le persone sono le stesse, ma i titoli sono diversi, come accade quando il socio di
maggioranza di una società ne sottoscrive obbligazioni, o quando percepisce compensi da
consigliere di amministrazione, che non diventano certo dividendi, visto il diverso titolo a fronte
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del quale sono stati erogati. Così come nel nostro caso gli eventuali dividendi e plusvalenze sulle
partecipazioni sociali dei detentori della società immobiliare sarebbero stati tassati secondo le
ordinarie regole dell’imposta sostitutiva sui capital-gains. Ma perché mai il carico fiscale
dovrebbe variare rispetto al caso in cui i titolari della società immobiliare fossero soggetti diversi
dai soci? Non si capisce proprio di che cosa sta abusando chi!!. Appaiono quindi prive di senso
logico tributario le affermazioni sulla
ripartizione indiretta di utili e la devoluzione del
patrimonio dell’ente in caso di suo scioglimento,e del tutto fiscalmente innocua, e legittima, la
fantomatica “commistione” tra la compagine della società immobiliare ed i soci del circolo
sportivo. Si conferma qui che i rilievi non sono semplicemente “sbagliati”, e quindi confutabili,
ma consistono solitamente in una serie di stereotipi privi di senso compiuto sul piano economico
tributario presentati in maniera insinuante, disorientando oggettivamente il lettore a proposito di
un indefinito aggiramento di un qualche principio tributario6.
Offrono un buon esempio di ciò taluni fumosi riferimenti, in alcuni verbali, alle ordinarie
scelte di gestione, sindacando illogicamente esternalizzazioni dei servizi di ristoro, oppure –in
altri verbali- al corrispettivo per l’affitto all’associazione del ramo di azienda della società
detenuta dai soci (ritenuto esiguo7); identico modus operandi si ritrova in capziose contestazioni
in merito a fantomatici vantaggi fiscali indebiti della società immobiliare, che avrebbe goduto
delle agevolazioni fiscali riservate alle associazioni sportivo/dilettantistiche, non avendo la Srl i
requisiti per essere considerata una “società sportiva dilettantistica”. I verbalizzandosi sorvolano
però sul fatto che, se si fosse voluto unificare i due soggetti (la cui dualità rappresenta, per altro,
che il fulcro della verifica fiscale), la Srl sarebbe stata costituita in modo da possedere tutti i
requisiti di una “società sportiva dilettantistica”. A questa elementare obiezione, gli Accertatori
rispondono con un paradosso, affermando “ai fini di esercitare lo sport del golf non vi è infatti
alcun obbligo di creare una Società Sportiva Dilettantistica secondo i dettami della L.
289/2002”. E’ di intuitiva evidenza invece che per praticare a livello agonistico uno sport
governato dal CONI e dalla Federazione , l’atleta deve essere associato a una associazione o
società sportiva, che ne determina la copertura assicurativa e la categoria, cura l’organizzazione e
lo svolgimento delle competizioni, le squalifiche, etc.. Non c’è quindi modo di esercitare la
6
È un fenomeno sempre più frequente, giacchè le rettifiche di diritto stanno soppiantano le verifiche di fatto, che
ormai, salvo le contestazioni da studi di settore (che sono rettifiche di diritto mascherate da redditi fiche di fatto),
non si fanno più. Per una più generale analisi di questo fenomeno si rinvia al par. 3.10 sopra citato.
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Anche se , nel caso dello specifico verbale, ammontava a oltre centomila euro annui.
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pratica sportiva delle competizioni senza avere una società o associazione, entrambe coinvolte
dalle paradossali contestazioni fiscali in esame.
Questo contestazioni consistono, si ribadisce, in una litania di frasi tanto insinuanti quanto
sconclusionate che mettono in cattiva luce fatti privi di criticità e sorvolano, invece, sui reali
fondamenti della questione. Infatti, nella lunga sequela di episodi riportanti nei rilievi fiscali
esaminati non vi è traccia dell’elemento cardine per comprendere la già indicata sostanza
economica dell’associazione come “consumo di gruppo”. Il Fisco non si sofferma sul fatto che,
ai fini IVA, l’associazione versa il tributo sugli acquisti, senza detrarlo, come qualsiasi
consumatore finale. I suoi introiti non sono corrispettivo di alcunché, ma «divisione dei costi
comuni», come se fosse un condominio (ed in effetti cos’è mai il condominio se non una
«associazione forzata di proprietari?»). La differenza tra associazione e impresa risiede nelle
diverse forme di entrata e la diversa destinazione: mentre l’impresa è “aperta” e si rivolge al
mercato, l’associazione è “chiusa” e si caratterizza per la ripartizione dei costi. Nell’associazione
non ci sono clienti né fornitori, ma un gruppo - più o meno ampio – di persone legate da una
passione comune, per il cui soddisfacimento condividono le spese, secondo quanto indicato
sopra.
La forma giuridica dell’associazione corrisponde alla sostanza economica del
consumo finale, non a quella dell’organizzazione di servizi, imponibili ai fini delle imposte
su reddito e sui consumi.
D’altro canto, in modo simmetrico, rispetto alla mancata detrazione dell’IVA sugli
acquisti, l’associazione non grava di IVA le quote associative a carico degli iscritti. Tutto questo
assetto fa sì che, rispetto al pagamento delle singole prestazioni acquisite presso un ordinario
fornitore operatore economico, può esserci una unica forma di risparmio di IVA, sotto forma di
risparmio di valore aggiunto (imponibile quindi ai fini IVA), come avviene in tutti i casi in cui i
consumatori finali abbattono i costi attraverso degli acquisti in massa. Utilizzando il
ragionamento dell’Agenzia delle entrante, anche le quote versate da un “gruppo di acquisto” di
alcuni consumatori finali dovrebbero essere soggette ad IVA, perché altrimenti si sottrarrebbe
materia imponibile rispetto ad una serie di acquisti individuali, che avrebbero un imponibile
maggiore a parità di merce8. L’IVA è applicabile quando il gruppo di consumatori acquista il
bene o i servizi accessori, ma non quando i consumatori si dividono i relativi costi. In questa
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È lo stesso risparmio che si produce quando, invece di prendere un caffè al bar, ce lo si prepara a casa propria,
oppure quando un gruppo di appassionati di barca a vela, anziché affittarla presso un noleggiatore, la compra e se ne
divide l’uso personalmente.
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divisione non c’è corrispettività, ma ripartizione di spese comuni, in una situazione molto simile
a quella del condominio o del gruppo di amici che acquistano una barca, dividendone le spese,
oppure persino vanno a cena fuori assieme e dividono il conto.
5.
La forzata commistione, da parte del Fisco, dei profili dell’investimento
finanziario nella società immobiliare (tassati come qualsiasi altra plusvalenza da
partecipazione) e l’utilizzo in comunione degli impianti sportivi
Torniamo ulteriormente sull’ illogica confusione di profili del tutto diversi, per quanto
riguarda l’accostamento tra pratica sportiva ed acquisto di quote della società immobiliare, dove
anche un bambino capisce che il secondo è strumentale al primo, per gli importi e le
remunerazioni. Non ci sono motivi di sospetto, come se fosse una “massoneria finanziario
golfistica” dove gli associati al circolo acquistano il diritto di movimentare milioni di euro in
hedge funds dei mercati del pacifico. Le fantomatiche plusvalenze immobiliari su cui divagano i
rilievi, e di cui abbiamo già visto l’assenza in concreto, sarebbero comunque assoggettate
all’imposta sostitutiva sui redditi finanziari, se esistenti, ovvero evitare alla società immobiliare
di sostenerne le spese di mantenimento dei beni stessi. Per quanto riguarda l’aggiramento
dell’obbligo di devoluzione (che è extratributario, ma viene inserito in molti verbali perché
“fanno volume” nelle disquisizioni con filo conduttore solo apparente) la società immobiliare
posseduta da terzi non devolve certo alcunché . Allora perché dovrebbe farlo quella posseduta
dai soci, che non ha avuto alcuna agevolazione tributaria pagando IRES sui redditi ?
È evidente che da una parte c’è l’investimento di natura finanziaria che l’associato è
tenuto a sostenere nella società immobiliare proprietaria degli impianti; dall’altra, la volontà di
praticare in maniera associativa il golf attraverso un circolo specializzato. Si tratta di
problematiche indipendenti e fiscalmente del tutto autonome, ognuna soggetta al proprio regime
tributario.
Abbiamo già rilevato infatti che, se l’associato realizzerà plusvalenze «pro quota» per la
cessione degli impianti, direttamente o attraverso le quote della società che ne è intestataria,
pagherà le imposte sulla relativa plusvalenza, come qualsiasi altro investitore, ma non si vede in
quale modo questa evenienza faccia venire meno il carattere di consumo collettivo
dell’associazione. L’unica differenza sarà che l’associazione, oltre che un consumo collettivo,
realizzerà anche un investimento collettivo in campi sportivi e le relative strutture, parallelo ed
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autonomo al trattamento fiscale riservato alle associazioni dilettantistiche. È però un profilo che
lascia impregiudicata la mancanza di prestazioni verso il mercato. Ne deriva, come logico
corollario, l’esclusione da IVA, quale che sia la proprietà degli impianti ed il titolo per cui
l’associazione utilizza i beni.
Inoltre, la rivendita dei beni, anche a distanza di anni, non darebbe mai luogo a una
posizione soggettiva commerciale ai fini IVA, ma soltanto una tassazione dei redditi finanziari in
capo ai soci-persone fisiche. Nel caso di specie, in cui gli associati del circolo sportivo hanno
comprato le quote della società immobiliare intestataria degli impianti, il problema è già risolto
dall’eventuale applicazione, in caso di plusvalenze, della relativa imposta sostitutiva.
6.
La carenza di sintomi di anomalia gestionale nell’attività associative, che
avrebbero potuto dissimilare una attività commerciale
Infine, a conferma della correttezza dei ragionamenti sopra esposti, ragionando a contrario
si evidenza che le associazioni in esame, a prescindere della titolarità degli impianti (elemento –
come detto – irrilevante ai fini fiscali), non evidenziano alcuna anomalia gestionale, che potrebbe
far presupporre una attività commerciale dissimulata. Tipicamente, l’attività associativa risulta
essere un mero schermo, per finalità elusive, quando è rivolta prevalentemente al mercato;
quindi, ad una associazione può essere rinvenuta la natura commerciale quando il numero degli
utenti esterni è notevolmente superiore al novero degli associati (e, nel caso delle associazioni
sportive, dei tesserati alla Federazione nazionale di riferimento). Tale evenienza è esclusa in
radice dalla tipologia di attività svolta (il golf richiede attrezzature e conoscenze adeguate) e
soprattutto dalle limitazioni all’accesso previste.
Inoltre, nessuna anomalia gestionale è rinvenibile con riferimento all’entità delle quote
associative. Infatti, mancano i tipici elementi di rischio sul tema, ossia a) la sproporzione tra
quote associative e altri corrispettivi e b) la temporaneità del rapporto associativo sono entrambi
assenti. La commisurazione delle quote associative al mero godimento del servizio ed il loro
carattere effimero sotto il profilo temporale tradiscono la natura commerciale dell’attività, ma nel
caso di specie le quote associative non sono collegate a tali parametri, non costituendo così
corrispettivi mascherati.
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Conferma di tale assunto viene anche dal diritto comunitario, che definisce
un'organizzazione senza scopo lucrativo ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva “quella che non ha come oggetto l'arricchimento di persone fisiche o giuridiche e che
non è di fatto gestita in maniera tale da realizzare o cercare di realizzare tale arricchimento”. A
ben vedere, questa disposizione prevede tre condizioni: i) non deve esserci per scopo la ricerca
sistematica del profitto; ii) gli eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti; iii) tali
profitti devono essere usati per il mantenimento o il miglioramento dei servizi forniti9.
Orbene, tutti i precedenti requisiti, che devono sussistere contemporaneamente, sono
presenti nell’attività svolta dalle associazioni dilettantistische aderenti alla Vostra Federazione;
queste ultime possono quindi essere certamente definite come “non lucrative”, alla luce sia del
diritto interno sia di quello comunitario, nonché in base al senso comune economico.
7.
Conclusioni.
La trasformazione del “consumo collettivo” di una pratica sportiva in una attività
imprenditoriale appare del tutto priva di argomentazioni sostanziali, ed è in genere corredata ,
nelle contestazioni esaminate, da espressioni logicamente non congruenti per quanto a prima
vista attinenti al settore. Non si capisce infatti perché dovrebbero considerarsi soggette a IVA le
quote se i soci sono proprietari della società immobiliare titolare del terreno, mentre in caso di
affitto presso terzi no. L’unica difficoltà di questi rilievi, peraltro deprimenti, è proprio la già
indicata loro estemporaneità concettuale, che però li rende per molti versi “inverificabili” e
quindi non confutabili. E’ infatti difficile confutare un discorso privo di senso compiuto
utilizzando discorsi di senso compiuto. Salvo dichiarare espressamente questa mancanza di senso
compiuto, con riferimento a rilievi spesso rappresentanti uno spreco delle risorse pubbliche,
con le contestazioni interpretative utilizzate per superare gli imbarazzi della determinazione
tributaristica della ricchezza non registrata fiscalmente. Il nostro caso è emblematico della
9
Simmetricamente, secondo la costante giurisprudenza europea il concetto di «impresa» comprende qualsiasi ente
che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (§
107). Nella maggior parte dei casi, l’attività economica è svolta direttamente sul mercato (§ 109). Si veda per tutte
Corte di giustizia UE, Sez. II, 10 gennaio 2006, causa C-222/04, «Ministero dell’Economia e delle Finanze contro
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A., Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e Cassa di Risparmio di San
Miniato S.p.A.», in GT - Riv. giur. trib. n. 5/2006, pag. 388, con commento di G. Provaggi e in Banca Dati BIG
Suite, IPSOA.
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tendenza delle istituzioni fiscali a non esporsi nelle complesse stime della ricchezza non
registrata (nel nostro caso “falsi circoli sportivi, ricreativi etc.” che ognuno incontra uscendo la
sera, un giorno sì e l’altro pure) preferendo produrre “risultato di servizio” attraverso fumose
contestazioni interpretative su vicende registrate o palesi.
La responsabilità non è dei funzionari redattori dei rilievi, né dell’Agenzia, ma del
polverone di stereotipi circolanti nell’accademia e nella pratica, complicando questioni semplici,
attendendo una soluzione legislativa di tutti i problemi e finendo per confondere le istituzioni, le
classi dirigenti, la pubblica opinione e gli stessi uffici finanziari. Se si perde di vista la logica
economica della determinazione della ricchezza con le distinzioni tra concetto di reddito,
consumo, costo etc, sono del tutto normali inconvenienti come quelli che pervadono le
contestazioni rivolte alle associazioni sportive in esame.
***
Confidiamo di aver risposto in maniera esauriente ai quesiti posti, restiamo a disposizione
per qualsiasi ulteriore chiarimento.
Con i migliori saluti.
Prof. Raffaello Lupi
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