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N° 1 - GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 • ANNO XLIX - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ISRAELE ITALIA STATI UNITI IL NUOVO MISTER SICUREZZA GIORNO DELLA MEMORIA: PER NON SMINUIRNE IL SENSO DONALD TRUMP FA PAURA בס’’ד SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA La Sinagoga e la Chiesa Un impegno comune contro chi odia, discrimina ed uccide 17 gennaio 2016: visita di Papa Bergoglio al Tempio Maggiore V ENDITE E AFFITTI IN ISRAELE Gruppo immobiliare APPARTAMENTI - VILLE - PENTHOUSE - COTTAGE - DUPLEX INOLTRE FORNIAMO I SEGUENTI SERVIZI: VIV - GERU A L SA TE LE ME M HERZLIYA - RA A N A NA DOD - EILAT ASH ! לשנה הבאה בישראל 1. INVESTIMENTI IN NUOVI PROGETTI 2. GESTIONE DEI BENI IMMOBILIARI 3. VENDITA IMMOBILI DI LUSSO AARON SAADA IT: +39 02 8736 8313 IS: +972 54 906 1409 E-mail: [email protected] EDITORIALE P er la terza volta un pontefice si reca nella Sinagoga Maggiore di Roma per incontrare e dialogare con la comunità ebraica. Un evento che pur nella sua ripezione e sarà interessante scoprire le differenze e le eventuali analogie con le precedenti visite - conserva un carattere di eccezionalità e di grande impatto emotivo. Lo è certamente per l’interesse che l’incontro suscita per il mondo giornalistico, per la qualificata rappresentanza del mondo ebraico internazionale, per il carattere tutto speciale che lega la storia del cristianesimo alle sue riscoperte radici ebraiche e quindi alla volontà di proseguire in un cammino di dialogo e comprensione che cancelli il ricordo di antiche e più recenti persecuzioni antisemite. Sarà quindi da cogliere e capire su quali temi si fermerà il discorso di papa Francesco, quale sarà il messaggio che egli affiderà. Della prima storica visita di papa Giovanni Paolo II con rav Toaff il 13 aprile 1986 (e che consentì di dare avvio ad un dialogo tra le due fedi che mai prima era stato possibile) rimane impressa nella memoria collettiva il monito che lanciò (usando le parole del decreto Nostra Aetate) che “la Chiesa, ‘deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei ogni tempo da chiunque’; ripeto: ‘da chiunque’”. Aggiungendo poi parole che segnarono come in una istantanea quell’incontro: "La religione ebraica non ci è 'estrinseca', ma in un certo qual modo, è 'intrinseca' alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Ventiquattro anni dopo, Papa Benedetto XVI incontrando rav Di Segni il 17 gennaio 2010 ribadì “l'impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia”. E indicò le numerose “implicazioni che derivano dalla comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti”, fra cui “un rinnovato rispetto per l'interpretazione ebraica dell'Antico Testamento; la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l'intera umanità; l'impegno per preparare o realizzare il Regno dell'Altissimo nella "cura del creato" affidato da Dio all'uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente”. Papa Ratzinger non mancò di ricordare le sofferenze del popolo ebraico: “Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo”. Sono trascorsi solo sei anni da quell’ultima visita ed il mondo è profondamente cambiato sotto la minaccia del fanatismo islamico che ha colpito con la violenza del terrorismo le città europee e i luoghi di aggregazione come teatri e pub. Si è scesi nelle strade, si sono occupate le piazze per testimoniare che il fanatismo islamico non vincerà, non stravolgerà la nostra vita, non disintegrererà i valori su cui si fondano le democrazie. Ma nessuno si indigna, nessuno protesta per la persecuzione dei cristiani nelle terre islamiche, non solo sotto il controllo dell’Isis, che ha raggiunto numeri da vero genocidio, in una sistematica persecuzione contro le persone e contro i luoghi di culto. Lo stesso silenzio, la stessa indifferenza si manifesta quando il terrorismo islamico colpisce gli ebrei, in Israele come in Europa, e attacca i musei, le sinagoghe, le scuole e i negozi ebraici. Perché l'Europa si indigna quando si muore in un pub di Parigi, mentre è insensibile quando si viene quotidianamente trucidati in un bar di Tel Aviv? Eppure l'ideologia assassina è la stessa, l'odio per l'altro è lo stesso, lo spregio per la vita umana è la stessa. Sbagliano perciò coloro che cercano di distinguere le ragioni di chi impugna un coltello o una mannaia, di chi imbraccia un mitra, di chi tenta di farsi esplodere: sono assassini verso i quali non vi possono essere distinguo né compromessi né comprensione. Contro questi fanatici della morte e della violenza, ebraismo e cristianesimo possono camminare uno affianco all’altro in nome del valore della vita e del bene più prezioso che è la pace. Anche di questo sarebbe bello sentir parlare nell’incontro in Sinagoga. SHALOMשלום COPERTINA LA SINAGOGA E LA CHIESA: UN IMPEGNO COMUNE CONTRO CHI ODIA, DISCRIMINA ED UCCIDE 4 INTERVENTI DI RICCARDO DI SEGNI RUTH DUREGHELLO RUBEN DELLA ROCCA MAURIZIO MOLINARI CLAUDIO CERASA DONATO GROSSER RICCARDO CALIMANI PIERO DI NEPI ISRAELE ‘Colono’. Quando una parola si trasforma in disprezzo 14 15 16 PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO Yossi Cohen è il nuovo Mister sicurezza MARIO DEL MONTE Israele: paese delle start-up ma anche della povertà ARIEL DAVID MONDO Iran e Arabia Saudita: voglia di egemonia 18 19 20 21 DANIELE TOSCANO LA CASA BIANCA RISCHIA DI DIVENTARE NERA ALESSANDRA FARKAS "Il Califfo e l’Ayatollah" una guida per capire ANGELO PEZZANA La misericordia al tempo di Internet CLELIA PIPERNO FOCUS Giorno della Memoria: per non sminuirne il senso 22 23 UGO VOLLI Il labirinto del silenzio: un film sulla vergogna e la giustizia MARCO SPAGNOLI La foto della copertina è di Stefano Meloni GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Una domenica eccezionalmente normale 3 COPERTINA Un incontro nel segno della continuità Non per parlare di teologia ma per un impegno comune contro l’odio e la violenza I GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 l Tempio Maggiore, cuore della Comunità ebraica di Roma, accoglie la terza visita di un papa. A venti anni dal primo evento epocale di Giovanni Paolo II, e 6 anni dopo la visita di Benedetto XVI, nella stessa giornata del 17 Gennaio, un terzo papa si appresta a visitare la nostra Comunità. Papa Francesco entrerà benvenuto nel luogo che fu edificato a segno della libertà ottenuta dopo secoli di restrizioni e di umiliazioni, nella casa di preghiera in cui gli ebrei romani hanno celebrato i momenti più importanti della loro vita privata e collettiva, nel luogo visitato da re, presidenti, ministri, offeso dai nazisti e insanguinato dal terrorismo palestinese. Incontrerà una Comunità accogliente capace di apprezzare il senso di questo gesto. Credo che siano due i segnali principali da mettere in evidenza in questo incontro. Il primo è quello della continuità. Il terzo papa a visitare la nostra Sinagoga conferma la validità e l'intenzione del gesto del primo papa che voleva significare la rottura con un passato di disprezzo nei confronti dell'ebraismo. Il Concilio Vaticano nel 1965 aveva segnato un nuovo corso nei rapporti cristiano ebraici; alla dichiarazione Nostra Aetate erano seguite elaborazioni dottrinali, documenti, iniziative varie di conoscenza; l'intuizione di Giovanni Paolo II fu quella di tradurre in gesti concreti e messaggi essenziali e comprensibili a tutti le difficili elaborazioni dottrinali. La sua visita alla Sinagoga ebbe questo 4 ruolo e a sua volta aprì la strada per il riconoscimento dello Stato d'Israele. Il papa successivo, Benedetto, ha voluto confermare questa linea; ora la scelta di Francesco stabilisce una consuetudine. Indietro non si torna nel percorso di riconciliazione. Il secondo segnale è dettato dall'urgenza dei tempi. Il Vicino Oriente, l'Europa e tante altre parti del mondo sono travagliate da guerre e terrorismo. La triste novità dei nostri giorni è che la violenza si alimenta e si giustifica con visioni fanatiche ispirate dalla religione. E di nuovo si scatenano persecuzioni religiose. L'impulso distruttivo, in assenza di ideologie politiche, trova nella religione il sostegno e l'alimento. Al contrario un incontro di pace tra comunità religiose differenti, come quello che avviene ora a Roma, è un segnale molto forte che si oppone all'invasione delle violenze religiose. Non accogliamo il papa per discutere di teologia. Ogni sistema è autonomo, la fede non è oggetto di scambio e di trattativa politica. Accogliamo il papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all'odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della collettività. RICCARDO DI SEGNI RABBINO CAPO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA Ebraismo e Cristianesimo: insieme in difesa dei valori fondamentali della società e contro l'antisemitismo L a visita di papa Francesco rappresenta un evento straordinario, che sposta inequivocabilmente sul binario della normalità il percorso del dialogo ebraico-cristiano. In questo cammino i gesti pesano più delle parole e danno forza e concretezza alle idee: per questo, il cambio di passo sulle relazioni ebraico-cristiano dopo la Shoah e dopo il Concilio Vaticano II, non poteva che partire da Roma, dalla sua comunità ebraica. Il terzo Papa nella storia di sempre varcherà quindi la soglia del Tempio Maggiore di Roma e farà il suo ingresso nella nostra Sinagoga. Sarà l’occasione per Papa Francesco di incontrare la Comunità riunita, confrontarsi con l’ebraismo internazionale e avere di fronte a sé le diverse realtà che compongono la nostra millenaria Keillah. Saranno presenti rappresentanti di tutte le istituzioni ebraiche romane, nazionali ed internazionali; una grande occasione per far conoscere meglio ciò che la Comunità ebraica di Roma, i “vicini di oltre Tevere” rappresenta da oltre 2000 anni nella storia della città e del nostro paese. Un‘opportunità per ribadire il ruolo che noi ebrei romani, tra passato e futuro, abbiamo nella società. fermo. Chi istiga all’odio contro gli ebrei, chi uccide ebrei lo fa per sconfiggere un modello di società fondato sulla convivenza nella tutela delle differenze. Gli errori del passato non devono essere più ripetuti. Abbiamo troppe volte assistito al silenzio degli indifferenti nel passato ed oggi ancora per gli attentati in Europa, in Israele e in Africa, è invece giunto il momento di ribadire il nostro sdegno e la nostra ferma condanna ma soprattutto la nostra comunanza di intenti nel portare avanti i nostri valori di libertà di fronte ai nemici di tutti ed alle loro violenze ripetute in questi ultimi anni e mesi. La strage di Parigi di appena due mesi fa e quelle di Charlie Hebdo e di San Bernardino insieme ai massacri di cristiani quotidiani in Africa, in Asia e in Medio Oriente e agli attentati giornalieri in Israele sono parte di un’aggressione su vasta scala a questi nostri valori, i valori universali del rispetto reciproco e della sicurezza comune nonché della convivenza civile tra le diverse confessioni. Oggi, alla luce delle mutate circostante e delle serie questioni che l’umanità affronta, si sente la necessità di un impegno comune per salvaguardare questi valori e i principi fondamentali su cui si è fon- La nostra è la storia straordinaria di una comunità ebraica determinata a sopravvivere nonostante tutto. Siamo qui da 22 secoli; nonostante odii, persecuzioni, deportazioni e vili attacchi del terrorismo palestinese che hanno inferto ferite profonde, restando saldi nel nostro ebraismo, dimostriamo che è possibile essere minoranza nonostante le avversità e che è possibile farlo in relazione costante, continua e proficua con le maggioranze che ci circondano. Nella storia recente ci sono state occasioni che hanno rappresentato momenti cruciali, segnando l’inizio di un percorso di avvicinamento e riconoscimento fra l’ebraismo e la Chiesa di Roma. Un percorso faticoso, iniziato invero da Papa Giovanni XXIII, e culminato con la promulgazione da parte di Paolo VI della dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” nel 1965 e proseguito con le storiche visite di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. In questi anni ci siamo sforzati di trovare ripetute e serene occasioni di dialogo cercando faticosamente di superare antichi preconcetti ed odiosi pregiudizi che avevano caratterizzato per secoli i nostri rapporti. Purtroppo, nonostante il nostro impegno, il ritorno prepotente dell’antisemitismo in Europa e nel mondo – sotto la maschera dell’antisionismo contemporaneo – ci dice che ancora una volta è giunta l’ora che le nostre società facciano i conti apertamente con questo male antico. Il contrasto risoluto e non trattabile all’antisemitismo, in tutte le sue forme e declinazioni, deve essere un punto data la nostra società. Bisogna ripensare assieme al ruolo delle religioni, consapevoli della responsabilità che ci spetta nella realizzazione del bene comune. Un ruolo, quelle delle religioni nella società civile, oggi più che mai messo in discussione, ma necessario alla luce degli integralismi e dei fanatismi, nemici della pace, del rispetto reciproco e della tolleranza. È una responsabilità la nostra che va oltre il ruolo politico o religioso che ciascuno di noi riveste e che ci coinvolge tutti, nel momento in cui ebrei o cristiani vengono offesi, discriminati o peggio aggrediti e violati solo per il fatto di professare il loro credo o la loro religione, in qualsiasi parte della terra. Questi i valori che ci legano ed insieme dobbiamo ribadirli. Imparare a stare insieme tra diversi nella cornice delle regole e dei principi condivisi è la sfida di questi anni. E’ un percorso ancora lungo, una strada tortuosa ed insidiosa da percorrere, ma la nostra Comunità e l’ebraismo tutto non possono tirarsi indietro dal tentativo di superare anche le barriere più difficili e cercare ancora una volta insieme ai rappresentanti del mondo cattolico di vincere questa grande sfida. Sarà un ulteriore punto di partenza, un ennesimo grande avvio, per un traguardo non certo facile o agile da raggiungere, ma al quale come sempre, almeno da più di 2000 anni, gli ebrei di Roma, con estrema tenacia e determinazione non intendono rinunciare. RUTH DUREGHELLO PRESIDENTE DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Le due grandi religioni hanno la responsabilità di opporsi agli integralismi e ai fanatismi, nemici della pace 5 COPERTINA Al Tempio maggiore per un momento di pace, confronto e dialogo Con la speranza che si possa allargare anche alla partecipazione di quella parte dell’Islam che condivide gli stessi princìpi e valori L GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 a visita di Papa Francesco alla Comunità Ebraica di Roma, segna il naturale susseguirsi di un percorso iniziato da Giovanni Paolo II nel 1986 e proseguito da Benedetto XVI nel 2010 con le visite precedenti e rappresenta, un'altra pietra miliare nella storia dei rapporti tra la Chiesa di Roma e l'Ebraismo. Innegabilmente, questa volta, il significato "politico" della visita è ancora più rilevante, vista l'emergenza terrorismo e le continue minacce rivolte dall'Isis, autoproclamatasi nuovo Califfato, che accomunano tanto le comunità cristiane quanto le comunità ebraiche nel mondo, lo Stato Vaticano e lo Stato di Israele. Minacce che purtroppo abbiamo visto essere precedute o seguite da terribili stragi come quelle di Parigi, Tunisi, Bruxelles, Copenaghen, Tolosa e rendono questa visita ancora più delicata sotto il profilo della sicurezza. A tal proposito è doveroso ringraziare le Forze dell'Ordine italiane ed i nostri Volontari, che hanno collaborato con grande abnegazione all'organizzazione dell'evento e che si sono prodigati in un'opera di prevenzione, che mai come questa volta è stata fondamentale, perché il tutto si svol- 6 gesse per il meglio e perché l'incontro tra Papa Francesco ed il Rabbino Capo di Roma Rav Riccardo Di Segni e di conseguenza l'intera comunità ebraica di Roma si svolgesse in tranquillità. Si è così concretizzato l'auspicio dei protagonisti perché si desse vita ad un momento di pace, confronto e dialogo, che possa magari rappresentare il viatico per poter lanciare l'invito a quella parte di mondo islamico che condivide gli stessi principi ma che fa fatica ad emergere per paura e per la sopraffazione di chi cerca di lasciarlo nell'oscurantismo delle idee e nel buio dettato dall'odio. Nella speranza e nella ferma convinzione che la visita rappresenterà un altro mattone sul quale poggerà la costruzione di una casa sempre più solida e sicura dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo, andando a consolidare un rapporto sempre più costruttivo tra le grandi religioni monoteiste, nel rispetto delle nostre differenze perché esse siano fonte di arricchimento e crescita reciproca, diamo il nostro caloroso benvenuto a Papa Francesco. RUBEN DELLA ROCCA VICEPRESIDENTE DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA Un incontro che indica un percorso Lavorare ai valori che accomunano ebrei e cattolici Caro Direttore, ogni volta che un Pontefice entra nella Sinagoga di Roma è la Storia a compiere un passo in avanti. Avvenne il 13 aprile del 1986 quando Elio Toaff e Giacomo Saban accolsero Karol Wojtyla ponendogli la questione del riconoscimento dello Stato d'Israele, che pochi anni dopo sarebbe stato siglato. E tornò a ripetersi il 17 gennaio 2010 quando Joseph Ratzinger incontrò Riccardo di Segni e Riccardo Pacifici definendo i Dieci Comandamenti “la fiaccola dell'etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, che illumina e guida anche il cammino dei Cristiani”. Questo 17 gennaio Riccardo di Segni e Ruth Dureghello trovano in Francesco Bergoglio un interlocutore sul terreno della tutela dei diritti delle minoranze e della lotta al fondamentalismo, capace di aggiungere un tassello di valore al mosaico dei predecessori. In un'Europa scossa dall'intolleranza, minacciata dal terrorismo jihadista, messa a dura prova dai migranti ed alla ricerca di un nuovo orizzonte di crescita collettiva, l'incontro nella Sinagoga di Roma indica un possibile percorso, segnato dai valori che accomunano ebrei e cattolici, grazie ai quali il Continente è risollevato ed unito dopo l'abisso dei totalitarismi del Novecento. Le radici ebraico-cristiane costituiscono il pilastro irrinunciabile di un'Europa che vuole cogliere le opportunità del XXI secolo aprendosi ad altri popoli e fedi ma mettendosi al riparo da sbandamenti morali e rischi per la sicurezza. Ecco perché ogni gesto, sillaba e suono dell'evento che si celebra a Lungotevere Cenci è destinato a rafforzare i valori che consentono al Vecchio Continente di guardare con fiducia oltre le difficili sfide che incombono su tutti noi. MAURIZIO MOLINARI DIRETTORE DEL QUOTIDIANO LA STAMPA “La Chiesa avrebbe il dovere di mostrare vicinanza concreta al popolo di Israele”. E invece proprio a gennaio il Vaticano sceglie di riconoscere lo stato palestinese I l dramma è tutto in due parole: il silenzio e la routine. Se c’è una ragione in particolare per cui la visita di Papa Francesco alla sinagoga Maggiore di Roma ha un significato che potrebbe andare oltre ogni ritualità quella ragione va ricercata nella condizione in cui oggi si trovano, soprattutto in Medio oriente, gli uomini e le donne di fede ebraica e gli uomini e le donne di fede cattolica. Una condizione che senza voler utilizzare troppi giri di parole potrebbe essere sintetizzata con un’espressione semplice, ma affilata come una lama: persecuzione. Implicitamente o esplicitamente la visita di Papa Francesco alla Sinagoga, l’incontro simbolico tra le fedi di due religioni contro le quali nell’ultimo anno si è scatenata con forza mostruosa la furia omicida dei terroristi e dei tagliagole dello Stato Islamico – dalla Siria alla Libia passando per l’Iraq e per tutti quei territori e quei paesi che, a due passi da Gerusalemme e Tel Aviv, sognano la cancellazione dalle mappe geografiche di Israele – avviene dunque in un momento cruciale, e bene ha fatto su questo tema Papa Francesco a segnalare nel contesto medio orientale la presenza oggettiva di una terza guerra mondiale, con una forza insieme politica e religiosa, come l’Isis, che teorizza, con buoni risultati, la necessaria distruzione degli infedeli. In questa cornice di orrore quotidiano l’uccisione di un ebreo o di un cristiano, condannati a morte per il semplice fatto di essere un ebreo e un cristiano quasi non fa più notizia e viene spesso avvolta in una nebbia di vergogna fatta di insopportabili silenzi e insostenibile routine. Per queste ragioni alla fine del 2015 il Foglio ha scelto di dedicare un numero speciale di quattro pagine al tema dello sterminio dei cristiani, anche in considerazione del fatto che da diversi anni, secondo alcune ricerche accurate dell’International Society for Human Rights, l’ottanta per cento di tutti gli attacchi di discriminazione religiosa aveva come bersaglio proprio i cristiani e che, dal 2012 a oggi, come sostenuto da David Cameron, “la cristianità è diventata la religione più perseguitata nel mondo”, ed è significativa la vicinanza vera e non formale della comunità ebraica rispetto al tema della persecuzione dei cristiani. “La Comunità ebraica – ha detto Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, in un intervento sul Foglio pubblicato a novembre – non può rimanere indifferente davanti alle persecuzioni religiose che colpiscono oggi i cristiani in molte parti del mondo. La storia ebraica è segnata sistematicamente da sofferenze e per- secuzioni; sappiamo cosa significa soffrire perché si è portatori di una differenza religiosa; l’idea che ai nostri giorni qualcuno debba soffrire di limitazioni di libertà di culto, maltrattamenti, espulsioni, massacri per la sua differenza di credo è ripugnante. Non avremmo pensato, e ne siamo stupiti, che nel Ventunesimo secolo dovessimo apprendere di persecuzioni a danno di cristiani”. Alla luce di queste parole, chiare e nette, bisogna chiedersi se la visita di Papa Francesco alla sinagoga Maggiore di Roma sia stata preceduta da un qualche gesto o da un qualche atto simbolico finalizzato a far sentire forte la vicinanza della Chiesa cattolica alla comunità ebraica e soprattutto a Israele. E’ successo oppure no? La risposta a questa domanda è purtroppo negativa. Nessuna vera attenzione alla vergogna della marchiatura dei prodotti israeliani voluta dalla comunità europea. Nessuna vera prova di amicizia e di vicinanza da parte della Chiesa a un paese, come Israele, sotto assedio, e diversi mesi diventato nuovamente teatro di una nuova Intifada. Se è vero che il terrorismo che avvicina il suo coltello a un ebreo colpevole di essere ebreo è lo stesso terrorismo che avvicina le sue cinture esplosive a un occidentale colpevole di essere occidentale, una chiesa desiderosa di denunciare ogni nuova forma di genocidio avrebbe forse il dovere di mostrare vicinanza concreta al popolo di Israele. Sarebbe utile se la visita di Papa Francesco alla sinagoga maggiore di Roma serva anche a sanare questa ferita. Una ferita che non può che essersi aperta ancora di più alla luce della, chiamiamola così, sfortunata tempistica, vogliamo dire inopportuna?, con cui il Vaticano ha scelto di riconoscere, a gennaio, uno stato come quello palestinese non riconosciuto, per le ragioni che tutti sapete, da Israele. Lo ha fatto oggi, negli stessi giorni in cui dalla Palestina arrivano sempre più terroristi pronti a soffocare con il coltello la libertà di Israele. Lo Stato ebraico, purtroppo, nel passato è stato abbandonato dal Vaticano in alcuni momenti tragici. Dopo l’Olocausto, dopo la Guerra dei sei giorni, dopo la guerra dello Yom Kippur, dopo la Guerra del Golfo, dopo due Intifade dei terroristi, dopo la guerra in Libano nel 2006 e dopo la guerra contro Hamas nel 2009. Papa Francesco non è certo Pio XII ma la visita in Sinagoga sarà un passaggio importante per capire se la vicinanza tra le due religioni sarà, da parte della chiesa, un modo, non di routine, per rompere un silenzio semplicemente assordante. CLAUDIO CERASA DIRETTORE DEL QUOTIDIANO IL FOGLIO GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 A Roma, ma guardando al Medio Oriente 7 COPERTINA Il dialogo inter-religioso nella Halakhà L Le opinioni dei maggiori decisori della nostra epoca GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 a dichiarazione Nostra Aetate del 1965 segnò, tra le varie cose, anche l’invito al dialogo tra ebrei e cristiani. Prima di entrare nell’argomento di quale sia la posizione della Halakhà sul dialogo inter-religioso tra ebrei e cristiani è bene premettere che Halakhà significa “la via da seguire” secondo la Torà. E dal momento che è un termine astratto è importante chiarire chi siano le autorità che stabiliscono la Halakhà. I rabbini con l’autorità per emettere decisioni halakhiche su argomenti di alta importanza e gravità sono pochi specialmente nella nostra generazione rimasta orfana a seguito della distruzione delle comunità ebraiche in Europa centrale ed orientale dove viveva il fior fiore del grandi Maestri di Torà. Nella maggior parte dell’Europa occidentale l’assimilazione che seguì l’emancipazione con l’arrivo di Napoleone all’inizio dell’Ottocento aveva già decimato il mondo dei Maestri di Torà e in Italia all’inizio della Grande Guerra non vi erano più autorità halakhiche di valore mondiale. Ve ne erano però ancora nel mondo sefardita in Eretz Israel, in Irak, in Siria e in Marocco e in Europa orientale in centri metropolitani come Varsavia, Lublino e Lodz in Polonia e soprattutto a Vilna, chiamata la “Gerusalemme della Lituania”. Tra i sopravvissuti della distruzione delle comunità ebraiche in Europa alcuni Maestri e decisori halakhici trovarono rifugio in America. Tra questi vi furono R. Joseph Dov Soloveitchik, che nel 1940 fu nominato Rosh Yeshivà alla Yeshivat Yitzchak Elchanan di New York, R. Moshè Feinstein che riuscì emigrare dall’Unione Sovietica con la famiglia negli anni Trenta, R. Aharon Kotler, che approdato in America nel 1940 si affrettò a fondare il Bet Midrash Gavoha a Lakewood nel New Jersey, che diventò la più grande yeshivà nel mondo occidentale, e anche molti rebbe chassidici, tra i quali il rebbe di Satmer, di Bobov, di Lubavitch. In Eretz Israel, si trovavano i rabbini dell’Yishuv Hayashan (del vecchio insediamento) discendenti di lituani e chassidìm arrivati a Gerusalemme e a Safed nell’Ottocento, oltre a un buon numero di chakhamìm (saggi) sefarditi dall’Irak e dalla Siria. Tra i più autorevoli vi furono rav Avraham Yitzchak Kook, rav Ezra Attiya, rav Yitzchak Herzog, rav Avraham Yeshayahu Karelitz, rav Yitzchak Zeev Soloveitchik, rav Zvi Pesach Frank, il rebbe di Gur e rav Yechiel Tukechinsky solo per menzionare alcuni tra i più noti. Tra coloro che ebbero un ruolo primario come decisori halachici negli ultimi cinquant’anni vi furono rav Yitzchak Nissim, rav Ovadya Yosef, rav Isser Yehuda Unterman, rav Shlomo Zalman Auerbach, rav Yosef Shalom Elyashiv e rav Shmuel Wosner. Negli Stati Uniti i primi a mostrare entusiasmo per la dichiarazione conciliare e per l’invito al dialogo furono i rabbis dei movimenti Reform e Conservative. Negli ambienti degli ebrei fedeli alla Torà, tre tra i più grandi leader del mondo della Torà della nostra epoca, rav Joseph Dov Soloveichik (1903-1993), rav Moshè Feinstein (18951986) e rav Menachem Mendel Schneerson, rebbe di Lubavitch (1902-1994), presero posizioni chiaramente contrarie al dialogo. 8 La presa di posizione di rav Soloveitchik Il primo a prendere una posizione pubblica sull’argomento fu Rav Yosef Dov Soloveitchik, Rav di Boston e Rosh Yeshivà della Yeshivat Yitzchak Elchanan di New York e l’autorità nel campo della Halakhà del Rabbinical Council of America, la maggiore associazione di rabbini ortodossi negli Stati Uniti. In una sua lezione (pubblicata in Mesoras Harav) Rav Soloveitchik sottolineò le differenze tra ebrei e gentili che rendevano impossibile un linguaggio comune su argomenti religiosi con queste parole: L’ebreo moderno è integrato nella società delle genti, nell’economia, nella politica, nella cultura e nella vita sociale. Vivendo tra i gentili condividiamo l’esperienza storica universale e i problemi dell’umanità sono anche nostri. La fame nel mondo, le malattie, le guerre, le oppressioni, il materialismo, il permissivismo, l’inquinamento dell’ambiente sono problemi che la storia ha posto non solo di fronte alla comunità delle genti ma anche alla nostra “comunità del patto”. E l’ebreo come membro dell’umanità ha il dovere di contribuire al bene generale della società. Qual è quindi la nostra posizione rispetto alla civiltà moderna, rispetto alle scienze, alla cultura occidentale, rispetto ai paesi nei quali viviamo? La risposta è inclusa nelle parole “Sono uno straniero e un abitante con voi” [Bereshìt-Genesi, 23:4]. L’ebreo afferma: “Sono certamente un residente, sono uno di voi; mi occupo di affari come fate voi; parlo la vostra lingua; partecipo completamente alle vostre istituzioni socio-economiche. Tuttavia nello stesso tempo sono uno sconosciuto e per certi aspetti uno straniero, perché appartengo a un mondo particolare che a voi è completamente estraneo. È un mondo nel quale io vivo insieme con il Creatore. È un mondo popolato da caratteri a voi ignoti, con una tradizione che non capite, con valori spirituali che ai vostri occhi appaiono poco pratici... È un mondo pieno di altari e di sacrifici, un mondo di Torà, di benevolenza, di santità e di purità. Voi vivete in modo differente, pregate in modo differente. La vostra concezione di carità è diversa dalla nostra; i vostri giorni di riposo sono diversi dai nostri e cosi via. In queste cose sono un straniero nel vostro mondo e voi siete degli stranieri nel mio. La sepoltura ebraica è uno degli elementi rispetto ai quali siamo estranei e stranieri l’uno con l’altro. Quando un ebreo muore viene sepolto in modo diverso. Un ebreo richiede un suo cimitero, una tomba ebraica”. Rav Soloveitchik parlò dell’impossibilità di un linguaggio comune su argomenti religiosi in un saggio fondamentale con argomentazioni di carattere filosofico intitolato “Confrontation” pubblicato nel 1964. In questo saggio egli scrisse in modo esplicito che non era possibile alcun dialogo con altre religioni e che discussioni o incontri su argomenti religiosi erano vietati: Alla luce di questa analisi sarebbe ragionevole affermare che in ogni confronto [tra la comunità ebraica e la cultura della maggioranza] dobbiamo insistere che vengano rispettate quattro condizioni di base al fine di poter proteggere la nostra individualità e libertà di azione. [Una di queste è che]... il linguaggio con il quale si esprime la molteplice esperienza religiosa non si presta a standardizzazione o universalizzazione. La parola di fede riflette l’intimo, personale e paradossalmente inesprimibile desiderio dell’individuo ... verso il suo Creatore. Riflette il carattere e la singolarità dell’atto di fede di una particolare comunità che è totalmente incomprensibile alle persone di un’altra comunità di fede. Pertanto è importante che il linguaggio religioso o teologico non venga usato come mezzo di comunicazione tra due comunità di fede i cui modi di esprimersi sono unici come lo sono le rispettive esperienze religiose. Il confronto deve avvenire non a livello teologico ma su questioni La decisione halakhica di rav Moshè Feinstein Nel 1967, il Dr. Bernard Lander, fondatore del Touro College, fu invitato a un convegno accademico con preti cattolici e ministri protestanti. Rivoltosi a Rav Moshè Feinstein, quest’ultimo gli disse che era proibito andare a incontri del genere con religiosi cristiani. Nel suo responso (pubblicato in Iggherot Moshe), Rav Feinstein scrisse che anche se il discorso che il Dr. Lander avrebbe dovuto fare era di argomento puramente accademico la sua partecipazione era proibita. Argomenti simili furono espressi nel 2004 da rav Hershel Reichman, Rosh Yeshivà alla Yeshivat Yitzchak Elchanan e discepolo di Rav Soloveitchik, che scrisse che Rav Soloveitchik permise solo contatti concernenti questioni umane e sociali e in particolare l’antisemitismo e proibì ogni attività religiosa in comune. Altri decisori halakhici che proibirono ogni attività religiosa in comune furono l’autorevole rav Shmuel Halevi Wosner di Benè Beràq, e rav David Feinstein, figlio di rav Moshè Feinstein e tra i più rispettati decisori halakhici in America. L’opinione del Rebbe di Lubavitch L’opinione del Rebbe di Lubavitch relativa al dialogo inter-religioso venne resa pubblica tramite una lettera intitolata “Du-siach ben dati shelili me-iqarò” (“Il dialogo tra religioni è fondamentalmente negativo”) nella quale rispose a una persona che gli aveva chiesto quale doveva essere la posizione ebraica nei confronti di questo nuovo fenomeno che “riceveva supporto in vari ambienti ebraici e non ebraici”. Il Rebbe rispose che era sorpreso che lo scrivente avesse dei dubbi sull’argomento, scrivendo che: Chiunque abbia delle minime conoscenze della storia del nostro popolo, sa con quale riluttanza gli ebrei in tutti i periodi ingaggiarono discussioni religiose con dei non ebrei. I motivi erano validi, oltre al motivo fondamentale che l’ebraismo non aspira ad attirare i gentili e d’altra parte gli ebrei non sono disposti ad esporsi allo zelo dei missionari di altre religioni. ll Rebbe aggiunse che: Riguardo a questo argomento ogni generazione ha i suoi problemi particolari. Per esempio uno dei sintomi particolari dei nostri tempi per cui la conduzione di cosiddetti “dialoghi” si trasforma in un fenomeno oltremodo negativo è la confusione e lo smarrimento così comuni e in particolare tra le giovani ge- nerazioni. Uno dei sintomi dai quali si riconosce questo smarrimento è il declino dei valori; in certi casi sono stati oltrepassati tutti i limiti ben definiti che esistevano nel passato in diversi settori della vita di ogni giorno. Dall’abbassamento o anche dalla eliminazione totale della separazione [mechitzà] nella sinagoga si è slittato velocemente verso l’eliminazione di tutti i limiti di etica, morale e anche della normale buona creanza. In diverse aree questo ha portato a un perversione totale dei valori al punto di far ricordare il lamento del profeta (Isaia, 5:20): Ahimè a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”. E riguardo alla questione del dialogo il Rebbe osservò: Uno dei risultati della situazione sopra descritta è la percezione difettosa esistente presso vari gruppi nei confronti del movimento cosiddetto “inter-religioso”. Il concetto di “fratellanza tra i popoli” è fondamentalmente positivo fino a quando è limitato al contesto del commercio, alle istituzioni filantropiche e ad altri argomenti civili ed economici della società... Tuttavia la pretesa da parte dei credenti di una religione di spiegare la loro fede e le loro usanze religiose a persone di altre religioni e di esporsi a spiegazioni del genere indica una comprensione errata del concetto di “fratellanza”. Purtroppo queste attività inter-religiose hanno causato nel caso migliore un aumento della confusione e nel caso peggiore sono stati uno strumento nelle mani di missionari zelanti di quelle religioni che vedono come “missione” la diffusione della loro fede tra persone di altre religioni. L’aumento rapido nel numero di matrimoni misti ha molte cause. Tuttavia non c’è dubbio che uno dei fattori importanti è il movimento “inter-religioso” o “dialogo” (per usare un eufemismo) nel cui contesto i sacerdoti di una religione vengono invitati a predicare dai pulpiti di altre religioni. Non è difficile rendersi conto dell’effetto distruttivo di questo fenomeno nei confronti di quei giovani, e anche nei confronti dei loro genitori, il cui orientamento e la fedeltà alla loro fede rasentano il minimo assoluto e si avvicinano allo zero... Il Rebbe concluse affermando che “è giunto il momento di concentrare i nostri sforzi nel rafforzamento della fede tra le persone del nostro popolo e invece di discussioni inter-religiose di porre l’accento sul dialogo con la nostra gioventù smarrita e, con nostra vergogna e dolore, anche con gli adulti”. In sostanza il messaggio del Rebbe era che con la situazione tragica per via dell’assimilazione, gli incontri, gli abbracci, le preghiere comuni con dei preti, a parte le gravissime trasgressioni halakhiche, sono segnali che tra noi e loro non c’è molta differenza e che gli effetti di tali azioni sono distruttivi. *** Se è vero che la dichiarazione Nostra Aetate e le successive dichiarazioni della Chiesa Cattolica sono certamente gradite perché dimostrano che la Chiesa Cattolica è sincera nel cercare di riparare il male che ha fatto al popolo d’Israele nel corso dei secoli, è pur vero che, come disse rav Soloveitchik, noi ebrei non abbiamo nessun dovere di reciprocare. Il nostro dovere è quello di continuare ad avere rispetto di tutti i non ebrei e in particolare nei confronti di coloro che cercano di vivere anche solo in parte sulla base dell’etica universale promulgata oltre tremila anni fa al Monte Sinai. Non abbiamo nulla in contrario che i cristiani continuino a suonare le loro campane e non desideriamo fare proselitismo presso di loro. Per parte nostra aspetteremo, come abbiamo fatto per tanti secoli, l’arrivo del Messia, annunciato dal suono dello Shofar, il ritorno di tutta la Diaspora in Eretz Israel e la ricostruzione del Santuario di Gerusalemme dove suoneremo nuovamente le nostre trombe. DONATO GROSSER CURATORE DELLA RIVISTA DI STUDI EBRAICI SEGULAT ISRAEL GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 ordinarie di tipo sociale e umanitario. In questo modo tutti noi parliamo il linguaggio universale dell’uomo moderno”. 9 COPERTINA Le difficoltà del dialogo inter-religioso "Non sono necessari punti di incontro teologici, ma occorre manifestare la disponibilità ad accettare che ognuno la pensi a suo modo. Non dobbiamo armonizzarci, dobbiamo rispettarci nella differenza anche radicale delle nostre opinioni" Q ueste poche righe sono scritte senza alcuna pretesa di completezza. Nel mese di dicembre da parte ebraica e da parte cristiana cattolica sono stati emanati documenti di grande interesse i cui contenuti non vanno Dio? Non si tratta di un eccesso di presunzione da parte dei rabbini che si definiscono ortodossi? Quasi a dire che gli altri lo sono meno o si tratta, in realtà, solo di una convenzione linguistica? Ancora: “Ora che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto l’eterno patto tra Dio e Israele, noi ebrei possiamo riconoscere la validità costruttiva esistente del cristianesimo come nostro alleato nella redenzione del mondo senza alcuna paura che questo sia usato con propositi missionari”. Con tutto il rispetto verso questi autorevoli rabbini mi pare che queste frasi siano poco rabbiniche e troppo il frutto di una diplomazia passiva, poco creativa; in ogni caso suscitano notevoli perplessità. Il documento emanato il 10 dicembre dalla Commissione Pontificia per i rapporti religiosi con l’ebraismo dal titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11, 29)” è molto più corposo: ben diciassette pagine ricche e dense che partono dalla Nostra Aetate, promulgata da cinquanta anni e che ha gettato le basi di un rinnovato rapporto tra ebrei e cristiani cattolici, e che commentano anche i documenti più recenti emanati nel corso degli anni. Questo testo, in cui non stupisce affatto il prevalere di una impostazione profondamente teologica, è molto interessante, frutto di uno studio attento e accurato. In quest’ultimo documento, datato dieci dicembre 2015 e firmato dal presidente della Commissione, cardinale Kurt Koch, occorre subito sottolineare che uno dei punti che ha suscitato la maggiore attenzione è quello relativo alla rinuncia ai tentativi di conversione degli ebrei. La rinuncia a qualsiasi forma di pressione psicologica culturale o coattiva è certamente molto gradita e condivisibile. Meno condivisibile è l’affermazione che cristianesimo ed ebraismo moderno siano frutto di una scissione del nucleo originario in due parti distinte. A mio modo di vedere (e non solo mio, per fortuna) il Verus Israel è il giudaismo, prima e dopo la venuta dell’ebreo Gesù. Quanto al cristianesimo si tratta di una “setta ebraica” che ha avuto straor- sottaciuti. Il Center for Jewish-Christian Understandig and Cooperation (CJCUC) ha reso noto un documento, datato 3 dicembre 2015, firmato da numerosi autorevoli rabbini di molti paesi del mondo dal titolo 'To Do Will of Our Father in Heaven: Toward a Partnership between Jews and Christians' con l’intento di mettere in evidenza il punto di vista dei rabbini ortodossi sulla Cristianità. Si tratta di un documento articolato in sette punti, ognuno dei quali richiederebbe riflessioni attente e un’analisi linguistica e testuale molto profonda. Quello che colpisce, al di là delle affermazioni “ovvie apologetiche e sentimentali” (questo era il vecchio motto in uso molti anni fa all’interno della FGEI la Federazione Giovanile Ebraica Italiana), è il tono teologico e cardinalizio messo in mostra da questi celebri rabbini, quasi che a parlare con la Chiesa e, in particolare, con quella cattolica si debba per forza accettarne la visione del mondo, non tanto nei contenuti quanto in quel tentativo di mettere tutto sotto il controllo di una qualche gerarchia. Un esempio? La frase: “Cerchiamo di compiere la volontà di Nostro Padre in cielo accettando la mano offerta dai nostri fratelli e sorelle cristiani”. Ancora: dire che “la Shoah è finita 70 anni fa e che è stata un distorto apogeo di non rispetto, oppressione e rifiuto degli ebrei” è una frase che suona stonata e semplificatrice. Ancora: i rabbini mostrano di apprezzare l’affermazione della Chiesa che Israele sia unico nella storia sacra utile alla redenzione del genere umano. Ancora: è pur vero che si citano Yeuhda Halevi e Maimonide e che si riconosce che il cristianesimo non è né un accidente né un errore, ma l’esito della volontà divina e un dono ai popoli. Hanno diritto gli ebrei e, in particolare, i rabbini ortodossi di fare simili affermazioni apodittiche e addirittura parlare in nome di Sar tor ia Via Ver o GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 ne 10 · se · · Parochet kippot ricami sartoria SERVICE DI CAMBIO ETICHETTE CONTO TERZI Riparazioni sartoriali e piccola tappezzeria PERSONALIZZAZIONE ABITI DA LAVORO Via Giuseppe Veronese, 60/68 - Roma Tel. 06.5594137 www.ricamiepersonalizzazioni.com · SARTORIA VIA VERONESE plificazione, corregga in parte, errori secolari da parte cristiana, anche se va detto che, nel corso dei secoli, il rapporto non fu un conflitto ad armi pari, come si vorrebbe far pensare: qualcuno dava le botte e qualcun altro le prendeva, anche in senso teologico, si intende. Quanto al mandato di evangelizzazione della Chiesa in relazione all’ebraismo si può leggere: “È facile capire che la cosiddetta” missione rivolta agli ebrei “è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché ai loro occhi riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato poiché considerano il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa”. Anche in questo caso nel dialogare, invece di far emergere questioni di principio che ognuno può tenere per sé, non sarebbe stato meglio fare autocritica su quella oscura vicenda dei bambini ebrei che, nascosti durante gli anni della seconda guerra mondiale, sono stati convertiti al cristianesimo e di cui nulla si è saputo? Qui non si tratta di salvare le anime in cielo, ma piuttosto con franchezza di gettare le basi per un mondo migliore in terra e un mondo non può che essere migliore ad una condizione necessaria, non sufficiente, ma preliminare: ognuno la pensi come vuole. Non sono necessari punti di incontro teologici, ma occorre manifestare la disponibilità ad accettare che ognuno la pensi a suo modo. Non dobbiamo armonizzarci, dobbiamo rispettarci nella differenza anche radicale delle nostre opinioni. Non solo tra cristiani ed ebrei, ma anche tra ebrei ed ebrei, naturalmente. Per concludere è importante restare ebrei, nonostante gli ebrei. È importante distruggere gli idoli, siano essi di creta o di qualsiasi altro genere e materiale. Anche le schematizzazioni rigide del pensiero possono essere idoli. Per questo è necessario nutrire ogni giorno un pensiero nomade. RICCARDO CALIMANI STORICO E SCRITTORE I doni per Papa Francesco vo, che si alimenta con olio proprio, splende su Roma, a ricordare che gli ebrei sono qui, come duemila anni fa, simbolo di luce e di libertà, popolo libero e felice". (Georges de Canino). Questo il significato racchiuso dall’opera di Georges de Canino, che il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Di Segni ha donato a Papa Francesco in occasione della visita alla Sinagoga di Roma. Un’occasione storica celebrata dunque anche nel segno dell’arte, a cui si è aggiunto un secondo dono di manifattura dello storico argentiere fiorentino Pampaloni, realizzato dall'artista e designer israeliano David Palterer. "Gavia, il calice ideato appositamente per questa circostanza, si presenta come un bicchiere a stelo. L'effettivo innalzamento della coppa, non è 'a colonna' ma è un involucro. Il fusto è trattato martellinato, una lavorazione che esalta la qualità e l'espressività materica dell'argento sia visivamente che al tatto. La base del calice si rastrema e la stabilità viene riguadagnata mediante un contrappeso in piombo, introdotto all'interno dello stelo, in basso. Il piombo risulta così celato alla vista, come la maggior parte delle fondazioni e, oltre alla "fondamentale" funzione di sostenere, di servire da base, ha un ruolo che nell’ebraismo è centrale - il ricordo - e nel nostro caso evocare il Moed di Piombo, una celebrazione legata alla comunità romana e a questa stagione dell'anno, 2 di Tevet, che mantiene viva la memoria di eventi che risalgono al 1793". (David Palterer). "I Significati e simbologia di due piccole opere d’arte l candelabro ebraico a sette braccia è simbolo dell'ebraismo sin dall'epoca della permanenza quarantennale nel deserto, nel periodo della creazione del Mishkan (Tabernacolo). Nel Ventesimo secolo, con la fondazione dello Stato di Israele (1948), è diventato l'emblema dell'identità politica nazionale ebraica. All'arco di Tito una riproduzione straordinaria della Menorah è ripresa nel bassorilievo romano, tragico ricordo della distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, nell'anno 70 dell'Era volgare. Per anni nel mio lavoro artistico ho ricreato questo simbolo di luce, come una rappresentazione attuale del popolo di Israele, nell’affermazione della sua fede nell’unico D-o e nella sua Legge. In occasione dell’accoglienza di Papa Francesco nel Tempio Maggiore di Roma (17 gennaio 2016), la mia Menorah, dipinta su tela, sarà il dono della Comunità Ebraica di Roma. E' un albero di ulivo antico con i sette rami e le braccia rivolte verso l'alto, le cui radici profonde millenarie rispecchiano la parte superiore, è un albero austero, bruciato tante volte, ferito, ma vi- GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 dinario successo e il tentativo di affermarsi come Verus Israel nel corso dei secoli è stato spesso una atto frutto di prepotenza e un tentativo di appropriazione indebita. Oggi il mondo ebraico, dopo secoli di diaspora, è diventato una galassia di ebraismi di tipo diverso che devono convivere in armonia pur vivacizzato da una certa anarchica espressione di libertà e di indipendenza di pensiero. Questo mondo, per lo più, è contrario ad ogni autoritarismo, ad autorità di tipo papale o surrogate tali, anche se rabbiniche. La grande lezione della diaspora può essere riassunta in poche parole. Ogni ebreo pensa con la propria testa. Naturalmente, lo riconosco: non tutti hanno un buon cervello. Certo è, tuttavia, che l’indipendenza di pensiero è una ricchezza del mondo ebraico a cui non bisogna assolutamente rinunciare, anche se posso ammetterlo il dibattito stanca qualche volta, ma è essenziale. Esiste un problema di fondo nella gestione del dialogo ebraicocristiano cattolico. Il mondo cattolico è strutturato gerarchicamente, quello ebraico non lo è affatto. Quello che emerge è dunque un dialogo asimmetrico certamente fecondo, ma, potremmo dire, molto atipico. “Un importante obiettivo del dialogo ebraico cristiano - si può leggere nel testo - consiste indubbiamente nell’impegno a favore della giustizia, della pace della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo”. Come non essere completamente d’accordo? “È possibile - si legge nel documento pontificio - che nel passato diverse religioni, sulla base di una rivendicazione di verità intesa in maniera ristretta e di una intolleranza ad essa conseguente abbiamo contribuito a fomentare conflitti e scontri”. Questa francamente è una frase un poco.... timida. Come cancellare secoli e secoli di antigiudaismo? Come dimenticare almeno cinque secoli di Inquisizione? Sia chiaro, il dialogo, quello vero, non può che essere sincero allo scopo di evitare retropensieri. Fa comunque piacere che questo testo di grande importanza, pur con qualche forse inevitabile sem- 11 COPERTINA Tra cronaca e storia, la terza volta Papa Francesco e il rabbino capo Di Segni scrivono una pagina nuova, trasformando in consuetudine ciò che appariva evento eccezionale GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Q 12 uando aprì le porte del Tempio maggiore di Roma alla prima visita di un pontefice romano, il rabbino capo Elio Toaff z.l. fu certamente ben consapevole di scrivere una pagina indimenticabile e fondamentale nella storia della città. E non soltanto della città, ovviamente. Era il 13 aprile del 1986, 4 nissan 5746. Tra gli ebrei romani “de Roma”, discendenti di quelli che per secoli avevano certo già incontrato da vicino gli uomini della Cattedra di Pietro, ma con i cancelli del ghetto ad aspettarli ogni sera, quella giornata trovò un significato davvero speciale. E fortemente l’avevano voluta tanto il rabbino livornese di nascita - che proprio qui a Roma avrebbe incontrato Giovanni Paolo II memoria storica più vera, nella nostra tradizione, è quella che sicuramente si volge verso ciò che è trascorso e ne trae ammaestramento, ma sempre con la volontà di infondere buone speranze nel futuro. Molta acqua è passata sotto i ponti di Roma da quando con la dichiarazione Nostra aetate, peraltro indirizzata anche alle altre denominazioni cristiane “separate” e a tutti i non cristiani, la Chiesa apriva la via del dialogo con il popolo ebraico e con quanti ne interpretano e rappresentano in modi differenti, comunque unitari, le tradizioni, gli interessi, la volontà collettiva. Al di là delle sottigliezze teologiche del confronto, che il papa teologo ed ora emerito Benedetto XVI conosce bene per averle nella formalità di un rito ancora tutto da inventare - quanto il papa polacco che in gioventù aveva visto gli orrori della guerra nazista e lo sterminio della più grande collettività ebraica d’Europa. Date e numeri spesso non sono casuali: Karol Jozef Woityla infatti era stato eletto Papa della Chiesa Cattolica, il 264°, dopo appena due giorni di conclave, il pomeriggio del 16 ottobre 1978. E dunque proprio nell’anniversario della prima deportazione degli ebrei di Roma: una ricorrenza che trent’anni or sono non coinvolgeva come adesso la città intera. Rav Riccardo Di Segni compie un gesto di significato alto e forte incontrando papa Francesco. E’ infatti la terza volta di un sommo pontefice. Ciò che nelle visite precedenti appariva evento eccezionale si trasforma dunque in amichevole consuetudine. Questa è la vera novità, la notizia vera che non ha bisogno di risonanza mediatica. Risonanza che certamente avrà, poiché il papa argentino è in fondo un papa molto italiano, che conosce l’italiano come lingua di casa, a differenza di Wojtyla e di Ratzinger. Un oriundo insomma, come si diceva dei grandissimi calciatori - e ci sia consentita la metafora, papa Bergoglio ama il calcio - che dal Sudamerica arrivarono in Italia già negli anni Cinquanta del secolo passato per giocare partite decisive in campionato e nella Nazionale. Francesco, che vuole essere un pontefice davvero vicino alla gente, certo non ignora la condizione di disagio economico nella quale vivono molti ebrei romani, e l’assistenza che ricevono dai correligionari. Altro che banchieri e lobby finanziaria: piccolo commercio, venditori ambulanti messi in difficoltà dai provvedimenti straordinari degli ultimi mesi, disoccupazione, mestieri improvvisati. La sperimentate di persona, e al di là delle questioni politiche, che il papa trascinatore Giovanni Paolo II risolse una volta per tutte nel 1993 con il riconoscimento diplomatico dello Stato di Israele, le condizioni di persecuzione che purtroppo i cristiani oggi conoscono in molte parti del mondo favoriscono la sintonia delle sensibilità. Benedetto XVI fu ospite della nostra comunità il 17 gennaio del 2010. Francesco, che intende essere il papa di tutti, rende energicamente istituzionale de facto la Giornata dell’Ebraismo celebrata dalla Conferenza Episcopale Italiana appunto il 17 gennaio di ogni anno, a partire dal 1990. Per gli ebrei romani un papa positivamente energico è nella tradizione migliore: proprio il terribile Sisto V (sì, quello del “marchegiano all’uscio”) volle alleggerire in qualche modo la Bolla di Paolo IV che istituiva il ghetto di Roma. Francesco è il primo della Societas Jesu, un padre gesuita che arriva alla Cattedra di Pietro. La mitezza personale certo non esclude la determinazione più robusta, e ne ha dato prova. Quanto alla teologia, i messaggi possono essere espliciti e significativi, ma espressi senza enfasi. E così, lo scorso 18 dicembre all’apertura giubilare della Porta della Carità presso il rinnovato ostello della Caritas diocesana in Via Marsala, la liturgia è stata aperta da uno degli ospiti che ha letto un passo del profeta Geremia al Capitolo 23, 8: “L’Eterno è vivente, egli che ha tratto fuori e ricondotto la progenie della casa d’Israele dal paese del settentrione, e da tutti i paesi dove Io li avevo cacciati. Ed essi dimoreranno nel loro paese.” Leggendo le cronache quotidiane dal vicino oriente, la citazione ha offerto, a chi avesse orecchio, ragioni energiche per meditare. PIERO DI NEPI Yovel una parola ma due diversi modi di celebrarlo I Un anno ‘speciale’ ma con approcci diversi per gli ebrei e per i cristiani l Giubileo è un istituto religioso comune alle religioni ebraica e cristiana sebbene questo con il tempo abbia assunto un significato diverso per le rispettive fedi. Mentre nel caso della cristianità il Giubileo ha preso la forma di un evento legato al perdono dei peccati, nella tradizione ebraica lo Yovel, nome derivante dal corno di ariete suonato per segnalare l'inizio del cinquantesimo anno in coincidenza con il digiuno del Kippur, mantiene una rilevanza di tipo sociale ed economico. Per rintracciare l'importanza di questo istituto nelle principali fonti dell'ebraismo e per meglio comprendere cosa significhi per gli ebrei l'anno santo appena aperto da Papa Francesco accorre in nostro aiuto Rav Ariel Di Porto, rabbino capo della Comunità di Torino. Proprio Rav Di Porto ci indica come il Giubileo ebraico si rivolga essenzialmente ad aspetti materiali della vita quotidiana, divenuti fondamentali quando con la Diaspora gli ebrei sono costretti ad adeguarsi alle strutture economiche delle società in cui si stabiliscono senza perdere la loro identità religiosa. Con lo Yovel infatti viene sancita la remissione dei debiti e la liberazione degli schiavi, due aspetti che sembrano indicare una prevalenza delle fonti religiose su quelle istituzionali nel campo della giustizia sociale. Si tratta di un atto di grazia automatizzato secondo cicli regolari e sottratto all'arbitrio degli esseri umani che garantisce la sopravvivenza al bisognoso ma allo stesso tempo preserva la pro- prietà del ricco escludendo le categorie diverse dagli schiavi e dal denaro prestato dalla redistribuzione. In altre fonti però al Giubileo viene attribuita una rilevanza più spirituale: segnalando l'inizio di un nuovo ciclo lo Yovel assume anche la forma di riflessione sulla caducità della vita terrena spingendo quindi l'uomo da un lato a celebrare la sua esistenza, dall'altro a cercare il perdono, la teshuvà. In realtà l'istituto del Giubileo nella tradizione ebraica è strettamente collegato a quello dell'Anno Sabbatico che impone lo Shabbat della terra vietandone lo sfruttamento per tutta la sua durata. Lo Yovel infatti terminerebbe il ciclo di 7 Anni Sabbatici rimandando idealmente all'atto della Creazione e al conseguente riposo divino. Curiosamente il numero cinquanta è menzionato frequentemente nella Bibbia e ricorre spesso in situazioni cariche di significati speciali. Nonostante il Giubileo abbia cessato di esistere nella pratica non viene meno la sua funzione di guerra alla povertà insita nell'idea di conferire al meno abbiente i mezzi per uscire dallo stato di indigenza. Grazie anche alla possibilità di organizzarsi liberamente in base ai vari luoghi e alle diverse realtà storiche le direttive bibliche possono considerarsi ancora attuali e concretizzabili in qualunque sistema economico purché non venga perso di vista il fondamentale valore della fratellanza. MARIO DEL MONTE IMPRONTE VIAGGI E TURISMO Organizzazione viaggi per matrimoni e bar/bat mitzvà Biglietteria aerea nazionale ed internazionale Biglietteria ferroviaria e marittima Itinerari in Israele su misura Pacchetti turistici vacanze e benessere COMPAGNIE AEREE DI LINEA Via S. Croce in Gerusalemme, 77 / 77A - 00185 Roma - Tel. 06.7001906-909 www.impronteviaggi.it GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Viaggio speciale dell’Associazione Romana Amici d’Israele dal 2 al 9 Marzo 2016. Per informazioni 06.7001906-909 Alberto Tancredi 347.3802507 13 ISRAELE ‘Colono’. Quando una parola si trasforma in disprezzo uori e dentro dei confini di Israele non esiste parola più violentata, abusata, emarginata e strumentalizzata della parola "colono". Per un certo mondo fuori da Israele è colono lo sradicatore di olivi, il violento occupante delle terre altrui, colui che calpesta i diritti di un luogo non suo e di una legittima popolazione "già" presente prima di lui. Per un certo mondo interno ad Israele è colono colui che vivendo a 20 o 30 minuti da Gerusalemme in terre chiamate storicamente di Giudea e Samaria, mina la pace, fa in modo l'antisemitismo, da lui definito Giudeofobia, sia per il dialogo e la conoscenza della cultura ebraica nel mondo. Entro in casa sua per motivi legati ad un progetto per il liceo ebraico di Madrid e scopro di essere in casa di un colono. Uno dei 'cattivi'. Un 'cattivo' laureato alle Università di Buenos Aires e Gerusalemme, con dottorati in Filosofia a New York, alla Sorbonne, a San Marcos in Perù e Uppsala in Svezia. Un 'cattivo' che mi racconta dei suoi amici arabi, del lavoro di sostegno economico durante la seconda intifada e della normalità di vivere ad Efrat voglio "sentire" il polso di una situazione che non ho conosciuto negli anni dello studio. Vado da Ziva, insegnante in un prestigioso liceo religioso di Gerusalemme che abita fra Tekoa e Noqdim. Parliamo di politica, del suo voto che tende a destra e del fatto che parla perfettamente arabo perché non si può vivere senza comunicare con i propri vicini. Parliamo di ebraismo e femminismo religioso illuminando scelte di osservanza di mitzvot al femminile, come la lettura della meghillà o la tefillà femminile per Rosh Chodesh, elementi rivoluzionari che le femministe della spiaggia di Frishman a Tel Aviv non saprebbero né comprendere, né sostenere. Crolla con Ziva, in un secondo, l'immagine della colona che armata di mitra sforna challot e cholent, mentre prende la mira contro il vicino villaggio arabo ed al suo posto raccolgo l'immagine di una insegnante, di una femminista osservante, di una madre preoccupata per la sicurezza che il mondo confonda i buoni con i cattivi e fa in modo che il mondo non accetti la legittimità di Israele. Per il mondo fuori da Israele il colono, in quanto occupante, può essere ammazzato ed in alcuni tragici casi deve essere ammazzato, senza distinzione di età, sesso, pensiero ed opinioni. Per il mondo interno ad Israele i coloni non sono distinguibili se non per genere ed età, perché per il resto hanno tutti la stessa opinione, le stesse idee politiche, gli stessi ritmi religiosi. In questo modo la parola colono assume i colori che negli anni del 1930 assunse la parola ebreo o giudeo in Europa. E prima ancora durante gli anni delle rinascite dei nazionalismi europei della fine del 1800, prima ancora negli anni del Medio Evo Europeo. Colono è il colpevole di ogni colpa mediorientale, di ogni ostacolo alla pace, di ogni instabilità mondiale. Ma chi è davvero il colono? Chi sono coloro che vivono ad Efrat, Newè Daniel, Tekoa, Dolev, Kochav Yaakov, Bruchin? Chi sono coloro che decidono di vivere in Giudea e Samaria e perché decidono di vivere in luoghi così profondamente e storicamente ebraici eppure così controversi e mal giudicati dal mondo e dalle spiagge di Tel Aviv? Incontro ad Efrat il professor Gustavo Perednik israeliano di origine argentina, classe 1956, uomo con un curriculum accademico notevole e con un impegno reale sia contro in quanto uomo ebreo che crede nella sovranità ebraica in terra ebraica, dove sovranità significa accettazione del ruolo di Israele come nazione che si impegna al riconoscimento del diritto di tutti e contemporaneamente del proprio come nazione ebraica. Un 'cattivo' che non fa proclami di pace, ma la costruisce con la penna, con il pensiero e con i passi che portano da casa sua a Gerusalemme, poi a Tel Aviv e poi al mondo intero. Incontro a Noqdim, vicino Tekoa, appena sotto i resti del mausoleo dell'Herodion del 10 prima della nostra era, Yair un amico che possiede una fattoria/ristorante/caseificio. Mangio con lui i fantastici formaggi di capra e guardando queste colline che trasudano storia ebraica mi racconta di lui, delle sue idee politiche, del suo essere osservante, ma non completamente shomer shabbat (ma come un colono mezzo laico?!). Sono confuso. Il colono deve essere incolto in materie non ebraiche ed ho in mente le conversazione su Giovanni Battista Vico con Perednik e deve essere ossessivamente religioso e Yair non è neanche shomer shabbat. Ho bisogno di vino, fortunatamente Yair produce anche quello. Decido di non disturbare i miei amici della Yeshivat Hamivtar di fronte la collina di Efrat e di non incontrare il mio rabbino, Shlomo Riskin haCohen shlita, perché propria e dei suoi figli non meno di quella dei figli dei suoi vicini arabi. Mentre guardingo guido verso Newe Daniel vedo, in questi giorni, ciò che ai "miei tempi" quando studiavo in questi luoghi non c'era: i piloni di cemento a difesa delle fermate del bus, i soldati aumentati in quantità significativa, i posti di blocco. Intifada's mood. Parlo al telefono con rav Rosen del Machon Tzomet di Alon Shvut, un istituto dove si incontrano ingegneria e tecnologia e dove sono state trovate le soluzioni halachiche più simpatiche, come il timer per le luci di Shabbat, ma anche i mezzi di locomozione elettrici per disabili. Mi chiede il rav: "E a me non mi intervisti? Io sono un telavivino che 20 anni fa si è trasferito qui!". "No rav, non la intervisto" rispondo, "lei è troppo popolare, non aggiunge nulla di inedito!". In realtà sto per incontrare i membri della famiglia Shapiro di New York, che hanno fatto alyà da tre anni, due dei quali vissuti a Gerusalemme nel quartiere di Nachlaot e che oggi hanno scelto di vivere a Newe Daniel, ma che tra sei mesi, si trasferiranno a Tekoa, finiti i lavori di ristrutturazione della loro casa. "Abbiamo fatto alyà per vivere in un mondo ebraico più consono alle esigenze spirituali della nostra famiglia e può sembrare assurdo a te, europeo, che queste esigenze non potessero essere sod- Per gli antisionisti e i nemici di Israele sono tutti estremisti coloro che vivono al di là della teorica linea verde. Ma non è così. Incontrandoli si scoprono tante storie e opinioni diverse GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 F 14 Yossi Cohen è il nuovo Mister sicurezza È stato nominato capo del Mossad, il servizio di spionaggio di Israele Y ossi Cohen, ex consigliere della Sicurezza Nazionale, sarà il dodicesimo Direttore del Mossad, l'agenzia di intelligence dello Stato d'Israele. Cohen, 54 anni, rimpiazzerà Tamir Pardo che ricopriva la carica dal Gennaio 2011. Il nuovo Direttore è entrato nel Mossad nel 1982 specializzandosi nella gestione del personale operativo all'estero con la Divisione Tzomet e arrivando ad essere insignito del prestigioso Israel Security Prize, riconosciuto a quelle personalità che hanno contribuito a migliorare la sicurezza nazionale o a mantenere la superiorità in campo militare, tecnologico e operativo. Originario di Gerusalemme, Cohen vive a Modìn, una città poco distante da Tel Aviv, con la moglie e i suoi quattro figli. Viene descritto come una persona molto religiosa, saggia e professionale. Alcuni media israeliani riportano un presunto soprannome affibbiatogli dai colleghi del Mossad, "il modello" per via del suo aspetto sempre elegante. La sua precedente posizione come consigliere della Sicurezza Nazionale ha influito notevolmente nella scelta: durante questo periodo di tempo Cohen ha operato come un vero e proprio emissario del Primo Ministro Netanyahu sia nei paesi occidentali sia in molti Stati che non hanno relazioni diplomatiche con Israele. Proprio quest'ultimo elemento è stato decisivo agli occhi di Netanyahu che nella conferenza stampa dell'annuncio ha ricordato come il Mossad non solo deve raccogliere informazioni di intelligence e preparare operazioni speciali, è anche incaricato di mantenere rapporti con quei paesi arabi che non comunicano pubblicamente con Israele. Cohen parla un arabo molto fluente ed è considerato la mente dietro gli ultimi piccoli passi di avvicinamento di alcuni Stati sunniti come l'Arabia Saudita, pronti a mettere momentaneamente da parte l'astio per Israele per fermare l'avanzata dell'Iran nell'arena mediorientale. Rispetto al suo predecessore Pardo, Cohen dovrà affrontare nuove e diverse minacce alla sicurezza nazionale israeliana. La prima e più importante è quella posta da un Iran riammesso nella comunità internazionale dopo il patto sul programma nucleare e ora in grado di fornire a Hezbollah un numero maggiore di armamenti grazie alla rimozione delle sanzioni. L'accordo sul nucleare iraniano non cesserà di essere un aspetto importante della politica estera israeliana e al Mossad verrà affidato il compito di vigilare sul rispetto delle clausole da parte della Repubblica Islamica. L'altro grande problema per il Mossad sarà gestire l'allerta terrorismo scatenata dallo Stato Islamico: sebbene gli attentati si siano per il momento concentrati nelle grandi città europee si teme che a farne le spese possano essere le comunità ebraiche locali. Prevenire questo tipo di attacchi non è semplice perché i "lupi solitari", non servendosi di una struttura centralizzata, non forniscono segnali ad altri soggetti o organizzazioni sotto sorveglianza. Cohen ha superato la concorrenza di Ram Ben Barak, Direttore del Ministero dell'Intelligence e degli Affari Strategici, e del misterioso Mr.N, l'attuale vice direttore del Mossad dal nome top secret per motivi di sicurezza e di cui si sa solamente che è il miglior esperto israeliano nell'uso della tecnologia moderna nel campo dello spionaggio. Al contrario del Direttore del Mossad, la cui identità è stata resa pubblica nel 1990, il numero due continua a vivere nell'anonimato. Vista la storia dell'agenzia e il suo modus operandi non è da escludere che il vice Direttore custodisca segreti maggiori rispetto al suo superiore. MARIO DEL MONTE GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 disfatte a New York". In effetti sono incredulo, ma loro aggiungono: "E' una questione di valori. Non volevamo che i nostri figli crescessero nella realtà formale di un certo ebraismo americano, nel culto di alcuni obiettivi sociali che non sono ebraici. Dopo aver vissuto a Gerusalemme, per motivi economici e per avere una casa adatta a contenere sei persone abbiamo scelto di trasferirci nel Gush, prima qui a Newe Daniel e poi andremo a Tekoa dove la comunità anglo è numerosa, giovane, stimolante". Chiedo agli Shapiro come sentono il loro passaggio da ebrei americani impegnati nel sociale, con una profonda cultura democratica e "di sinistra" ad abitanti del Gush, ipotetica roccaforte di una destra politica ed occupante. Nathan mi sorride, fra l'hippie e l'incredulo. "Molti di coloro che rappresentavano i valori di un certo mondo ebraico progressista americano si sono trasferiti nel Gush e nessuno sembra volerlo raccontare. Oggi ad Efrat, a Tekoa, a Bruchin trovi famiglie americane che sono i figli di chi ha marciato ovunque in America per affermare diritti e per protestare contro guerre, disuguaglianze sociali, discriminazioni e fascismi di ogni sorta. Esiste una nuova generazione di nuovi immigrati che scelgono di vivere nel Gush per amore, oserei dire quasi fisico, verso Eretz Israel ma che portano nel loro bagaglio tutti i valori di incontro e dialogo delle loro origini ed è da questo incontro tra Sionismo ed Dialogo che forse nascerà un vero postsionismo di ricostruzione. Noi andiamo a vivere a Tekoa per vivere a pieno valori ebraici, per respirare una certa identità ebraica nel quotidiano, per costruire, per essere osservanti, ma non per essere un baluardo di niente e nessuno tranne la nostra identità ebraica". Ero partito per scrivere un pezzo di analisi di un certo mondo israeliano ed ebraico al di là di questa teorica linea verde che divide il mondo in buoni e cattivi, ma torno a casa senza linee e senza certezze. Nel Gush ho incontrato rabbini che lavorano per la pace con i vicini arabi, organizzazioni che si occupano di dialogo con il mondo cristiano come il Center for Jewish-Christian Understanding & Cooperation, persone che lavorano in centri di incontro fra laici e religiosi, ebrei con barba e peot che condannano senza condizioni l'estremismo ebraico e quello musulmano con uguale forza. Se quindi l'incomprensione del mondo e la scarsa conoscenza dei "territori" ha il sapore di una ignoranza e di una scelta politica parziale e limitata, coloro che dalle dune delle spiagge di Tel Aviv boicottano il vino di Yair o condannano Ziva ed il terrazzo con vista su Herodion, non esprimono una consapevole scelta politica, ma un noioso cliché di un mondo radical chic che avremmo fatto meglio a lasciare in Diaspora. PIERPAOLO P. PUNTURELLO 15 ISRAELE Israele: paese delle start-up ma anche della povertà Più del 20 per cento della popolazione israeliana vive in difficoltà economiche C GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 he si ami o si odi Israele, c'è un punto su cui è difficile trovarsi in disaccordo: lo Stato ebraico è un gigante dell'alta tecnologia, della ricerca e dell'innovazione motori di un'economia modello, prospera e sana. Giusto? Non proprio. In molti saranno sorpresi nello scoprire che Israele è anzitutto una nazione povera; forse la più povera tra i paesi occidentali. Lo ricorda un rapporto pubblicato a dicembre dal “Mossad leBituach Leumi”, l’Istituto nazionale per la sicurezza sociale, l’Ente che in Israele garantisce l’assistenza pensionistica a sanitaria. Secondo il rapporto, nel 2014, circa 1,7 milioni di persone, il 22 per cento della popolazione, viveva sotto la soglia di povertà. Di questi, poco meno di 800mila erano minorenni, quasi un terzo dei bambini di tutto il paese. E dopo un calo registrato negli ultimi anni, le cifre mostrano un aumento rispetto all'anno precedente. Se nel 2013 le famiglie povere erano il 18,6 per cento, nel 2014 erano il 18,8 per cento. Stessa sorte per la percentuale di bambini poveri, salita da 30,8 a 31. Tra i 34 paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), solo il Messico ha un indice di povertà più alto, fanno notare gli esperti del "Bituach Leumi". L'ente si basa sui criteri OCSE per fissare la soglia di povertà, che in Israele scatta per gli individui che guadagnano meno di 726 euro al mese e per le coppie il cui reddito è inferiore a 1.162 Euro. In crescita è anche il divario tra ricchi e poveri. Il coefficiente di Gini, utilizzato per misurare la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, è salito del 2 per cento nel 2014, e supera del 17 per cento la media OCSE. Il miracolo dell'hi-tech israeliano, che ha guadagnato al paese nomignoli quali "Silicon Wadi" o "Start-up Nation", è in realtà un fenomeno che ha interessato solo una piccola parte della forza lavoro, un’élite altamente qualificata che ha beneficiato degli investimenti stranieri e della scommessa (comunque vincente) sull'innovazione e la creatività delle piccole imprese israeliane. Gli indicatori 16 macroeconomici sono trascinati da questo stesso fenomeno, ma lontano dai grattacieli di Tel Aviv, il resto del paese vive in un’economia basata su manodopera poco qualificata, scarsa partecipazione alla forza lavoro, tasse alte e salari bassi. I più colpiti sono gli arabi israeliani e gli ebrei ultraortodossi. In questi settori, il basso livello d'istruzione e, nel caso degli ultraortodossi, la scarsa partecipazione maschile alla forza lavoro, fa si che la piaga della povertà tocchi più del 50 per cento delle famiglie. Ma le cifre del rapporto nascondono un'ulteriore sorpresa. Grazie al progressivo smantellamento dello stato sociale e alla crescita del costo della vita, cui non ha fatto seguito un aumento del salario medio, anche chi ha un lavoro fisso spesso può ritrovarsi in difficoltà. Tra le famiglie in cui solo un coniuge ha un lavoro, il 25,4 per cento rimane sotto la soglia di povertà. Anche quando a lavorare sono entrambi i coniugi, nel 5,6 percento dei casi la famiglia non riesce a superare il fatidico reddito di 1.162 Euro. Difficile ignorare le responsabilità dei governi di centro-destra che guidano il paese da più di un decennio, e soprattutto del premier Netanyahu. Poco o nulla è stato fatto per aumentare la partecipazione sociale e il livello d'istruzione di arabi israeliani e ultraortodossi, mentre molto è stato fatto per ridurre la spesa sociale e privatizzare l'economia, ormai controllata da una man- nel mondo occidentale. Al di là della sostanza del contratto, ciò che ha colpito molti osservatori israeliani è il modo in cui si è arrivati alla sua approvazione. Netanyahu non ha solo ignorato le quotidiane manifestazioni di protesta contro l'accordo, ma ha anche costretto alle dimissioni il Commissario antitrust, che aveva bocciato l'intesa. Il premier ha poi premuto sul suo ministro dell'Economia, il leader del partito ultraortodosso Shas, Aryeh Deri, perché si avvalesse della facoltà, prevista dalla legge ma mai utilizzata (e di dubbia applicabilità in questo caso), di annullare la decisione dell'antitrust per ragioni di sicurezza nazionale. Di fronte al rifiuto e alle successive dimissioni di Deri, suo stretto alleato di governo, Netanyahu non ha battuto ciglio. Il premier ha assunto il dicastero dell'economia, bypassando personalmente l'obiezione dell'antitrust e approvando l'accordo. Sorge il sospetto che fu frutto di una tragica premonizione la copertina di Time magazine che, nel 2012, soprannominò Netanyahu "King Bibi". Il premier, che per ora continuerà a mantenere la poltrona dell'economia, è infatti anche ministro degli Esteri, ministro delle Comunicazioni e ministro per la Cooperazione regionale. Così, mentre i suoi "sudditi" scivolano sempre di più verso la povertà, l'Israele di "King Bibi" somiglia sempre di più a una monarchia assoluta. ARIEL DAVID GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 ciata di oligarchi che, in un clima di scarsa concorrenza, possono facilmente tenere alti i prezzi e bassi gli stipendi. Infine, sull’economia gravano le ingenti spese militari, per circa il 6 per cento del PIL, e i miliardi investiti nello sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania, un vero "buco nero" nel bilancio dello Stato, visto che nessuno è mai riuscito a quantificare con precisione il sostegno concesso dal governo alle colonie. Questa situazione ha lentamente eroso le fila della classe media ed è fonte di quella frustrazione che nel 2011 portò centinaia di migliaia d'israeliani a scendere in piazza per mesi nella cosiddetta "protesta delle tende". Oggi, a quattro anni da quella protesta, poco o nulla sembra essere cambiato. Lo dimostrano non solo le cifre dell'ultimo rapporto sulla povertà, ma anche la spregiudicatezza con cui Netanyahu ha recentemente concluso uno degli accordi più importanti per il futuro economico del paese. Pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto, Netanyahu ha siglato un accordo che concede alla società texana Noble Energy e al suo partner locale, il Gruppo Delek del miliardario Yitzhak Tshuva, lo sfruttamento esclusivo dei giacimenti marittimi di gas naturale scoperti negli ultimi anni al largo delle coste israeliane. Di fatto, visto che Israele non ha altre importanti fonti di energia, la concessione crea un monopolio sul mercato energetico, con un prevedibile effetto sui prezzi di gas e elettricità, già fra i più alti 17 MONDO Iran e Arabia Saudita: voglia di egemonia Ragioni economiche ma anche religiose contrappongono i persiani agli arabi. E non è solo uno scontro tra sciiti e sunniti F attori economici, religiosi e geopolitici. C’è tutto questo nel conflitto tra Arabia Saudita e Iran, divenuto l’argomento preminente dello scenario mediorientale. Anzitutto, vi è un elemento storico-identitario: i persiani continuano a vedere gli arabi come gli invasori che nel VII secolo hanno imposto con l’uso della forza la cultura arabo-islamica all’antica civiltà persiana. Vi è poi l’aspetto geopolitico, visto che entrambi i Paesi aspirano a un’egemonia regionale: l’accordo sul nucleare apre nuovi scenari per l’Iran; Riad, invece, vive momenti di difficoltà al suo interno, con l’avvicendamento al trono nel gennaio 2015 e la nuova politica intrapresa da re Salman, che ha emarginato i principi fedeli al defunto re Abdullah. Si aggiunge poi la questione economica: i nuovi minimi del prezzo del petrolio hanno costretto il regno saudita a indebitarsi con l’estero per evitare un impatto sociale del taglio della spesa pubblica, la quale dopo la Primavera araba si era gonfiata a dismisura; sarà comunque ridotta nei prossimi mesi e probabilmente affiancata anche da una svalutazione del rial. L’Iran, inoltre, con la fine delle sanzioni, non rinuncerà alle sue esportazioni di petrolio, provocando così un ulteriore ribasso dei prezzi. In questo sovrapporsi di concause, l’elemento preponderante è però quello religioso-ideologico. Alla profonda distinzione identitaria tra persiani e arabi, si aggiunge infatti anche l’antagonismo religioso e la relativa leadership nel mondo islamico. Questa spaccatura avvenne al momento della morte di Maometto nel 632: per i sunniti (da Sunna, la tradizione del Corano), successore del Profeta era il suo compagno Abu Bakr, mentre gli sciiti riconoscevano come guida il genero e cugino di Maometto, Alì (da qui anche la denominazione di Shiat Alì, partito di Alì). Una divisione che fu sancita nel 680 con la battaglia di Karbala, vinta dai sunniti. Per questi ultimi, i primi sovrani, i «califfi», avevano solo il dovere di garantire l’ideale unità della comunità, mentre gli imam sciiti hanno sempre avuto una funzione sia politica che religiosa. All’interno di queste due correnti, vi è poi un ampio spettro di dottrine, opinioni e scuole di pensiero. Più dell’85% del miliardo e mezzo di musulmani del mondo sono sunniti. In Iraq, Bahrein e soprattutto in Iran c’è una maggioranza sciita. La famiglia reale saudita, invece, ha adottato il wahabismo, una forma radicale e austera di islam sunnita: nato a metà del’700, sostiene il ritorno alla purezza della fede predicata da Maometto, individuando in Corano e Sunna le uniche fonti di ispirazione per i fedeli. Riad controlla però i luoghi sacri per tutto l’Islam, a Medina e La Mecca, dove ogni buon musulmano dovrebbe svolgere il pellegrinaggio almeno una volta nella vita; un motivo di prestigio e di entrate per l’Arabia Saudita, ma anche fonte di tensioni, come quando nel settembre scorso in occasione dell’Hajj, il pellegrinaggio annuale, oltre 700 persone sono morte e ancor più sono quelle rimaste ferite nella calca: le autorità iraniane hanno considerato la strage un crimine del governo di Riad, accusando i sauditi di aver bloccato una strada percorsa dai pellegrini per permettere il passaggio di un convoglio reale. Le tensioni tra i due paesi non sono dunque una novità, ma sono ataviche e lo scontro è rimasto più o meno latente in questi anni. Già recentemente, infatti, Iran e Arabia Saudita hanno iniziato a combattersi “per procura” altrove: in Siria, con Teheran che appoggia Assad, sciita alawita; in Yemen, dove da marzo 2015 è in corso una campagna militare saudita contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell’Iran; in Iraq, ma anche in altri focolai (Libano, Bahrein). Nella stessa Arabia Saudita c’è almeno un 5% di popolazione sciita: a fronte delle nuove sfide, un capro espiatorio interno molto appetibile per compattare attorno alla famiglia regnante il resto della popolazione. Questo intreccio di elementi resta difficile da sciogliere, mentre le altre crisi locali non si arrestano e altri attori sono destinati a entrare in gioco, anche a livello globale. DANIELE TOSCANO Nella foto in alto: manifestanti iraniani bruciano bandiere degli Stati Uniti e israeliane davanti all'ambasciata saudita a Teheran Gan Eden GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Agenzia di Onoranze Funebri ebraica 18 Siamo Kosher nei modi e nei prezzi Massimo rispetto per i defunti e per gli avelim Assistenza legale e cimiteriale Via Casilina 1854/c - Roma Tel. 327/8181818 (24 ore su 24) [email protected] - www.ganeden.eu Le idee politiche e xenofobe di Donald Trump, candidato repubblicano alle presidenziali, sono più estremiste di quelle del Front National di Marine Le Pen N EW YORK – In una delle corse presidenziali più affollate per il partito repubblicano (17 candidati ufficiali, 14 tuttora in gara) il controverso tycoon newyorchese Donald Trump resta saldamente in testa col 41% dei consensi nell’ultimo sondaggio su scala nazionale. Smentendo le previsioni delle più autorevoli Cassandre, Trump continua la sua inarrestabile scalata alla vigilia delle primarie che a partire dal prossimo 1 febbraio e fino al 7 giugno dovranno nominare il candidato repubblicano che con tutta probabilità sfiderà la democratica Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre. Persino Nate Silver, l’infallibile genio statistico (ebreo) che nel 2012 indovinò il risultato delle elezioni in tutti e 50 gli stati americani, scrive già che il miliardario americano xenofobo e razzista “potrebbe ottenere l’agognata nomination” (l’estate scorsa Silver era convinto del contrario). Oltre a spostare l’agenda del partito repubblicano verso posizioni considerate più estremiste persino di quelle del Front National di Marine Le Pen, Trump è riuscito ad offendere un po’ tutti: donne, neri, ispanici, ebrei, musulmani, portatori di handicap. Mentre i media americani scomodano Umberto Eco per dimostrare che il celebre palazzinaro è “un fascista alla Benito Mussolini”, il mondo ebraico americano – storicamente vicino al partito democratico - è corso ai ripari per arginare una valanga populista che gli storici paragonano a quella scatenata negli anni ‘30 da Huey Long e Father Charles Coughlin (rispettivamente 40° governatore della Louisiana e prete cattolico/star radiofonica): i due demagoghi che durante la Grande Depressione cercarono, invano, di importare il Fascismo alla Casa Bianca (Long fu assassinato nel ’35). Quando Trump ha promesso, se eletto, di sbarrare la porta ai profughi siriani in fuga dai massacri di Isis e Assad, oltre 1000 rabbini americani hanno lanciato un appello sul sito Web della autorevole Hias (Hebrew Immigrant Aid Society) chiedendo all’America di non cadere nella stessa trappola che nel 1939 indusse il Paese di Roosevelt a respingere il transatlantici MS St. Louis carico di profughi ebrei, molti dei quali perirono nei lager nazisti. “In qualità di rabbini, prendiamo molto sul serio il mandato biblico di ospitare lo straniero”, recita il loro documento che chiede ai politici di “rispettare la grande eredità di un paese che accoglie i rifugiati”. All’indomani della strage di San Bernardino, dove Syed Rizwan Farook e la moglie Tashfeen Malik hanno provocato la morte di 14 persone e il ferimento di altre 23 in un centro per disabili, Trump ha proposto di vietare l’ingresso negli Stati Uniti a tutti i musulmani, nonostante le statistiche dell’FBI secondo cui il 94% degli attacchi terroristici in suolo Usa non è di matrice jihadista. La proposta, definita anticostituzionale persino dal falco ultraconservatore Dick Cheney, ha provocato l’ira di tutte le organizzazioni ebraiche, a destra e sinistra. “In quanto ebrei troppo spesso perseguitati a causa della nostra fede, non possiamo accettare l’intolleranza religiosa”, ha puntato il dito il rabbino Jonah Dov Pesner, direttore del Religious Action Center of Reform Judaism. “La discriminazione di un gruppo su basi religiose è sbagliata e contraria alla grande tradizione di libertà religiose e personali su cui è stato fondato questo paese”, gli ha fatto eco Allen Fagin, vice presidente dell’Unione dei rabbini ortodossi. L’autorevole quotidiano ebraico Jewish Forward fa notare come le vittime dell’estrema destra e della criminalità comune – 300mila nell’ultimo decennio – superino di gran lunga quelle del terrorismo islamico (una quarantina, in un paese, l’America, dove la comunità islamica è tra le più integrate al mondo). Ma invece di promuovere il controllo delle armi, come il presidente Obama e i democratici auspicano ad ogni strage scolastica, Trump preferisce cavalcare la paura del terrorismo islamico che secondo i sondaggi ha raggiunto livelli post 11 settembre. Intanto anche Benjamin Netanyahu – da sempre vicino al partito repubblicano - si è scagliato contro Trump dopo che dozzine di politici israeliani hanno condannato il bando anti-Islam di Trump. “Israele rispetta tutte le religioni e difende rigorosamente i diritti di tutti suoi cittadini”, ha dichiarato il premier, attento a non offendere gli israeliani di origine araba, circa un quinto della popolazione. Alcune ore più tardi Trump ha usato Twitter per annullare la sua visita ufficiale in Israele prevista per il 28 dicembre: “Mi recherò nello stato ebraico da presidente”, ha tagliato corto. Ma a dargli una mano ad insediarsi alla Casa Bianca non sarà di certo il mondo ebraico. Gli ebrei repubblicani si sono schierati in massa per i suoi rivali Jeb Bush e Marco Rubio dopo la catastrofica serata organizzata dalla Republican Jewish Coalition durante la quale Trump si è abbandonato ai più odiosi stereotipi antisemiti sugli ebrei clan attaccato ai soldi ed è stato fischiato quando si è rifiutato di caldeggiare Gerusalemme come la capitale indivisibile dello Stato Ebraico. ALESSANDRA FARKAS @afarkasny ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA L’“Associazione Daniela Di Castro Amici del Museo Ebraico di Roma” è nata per aiutare il Museo Ebraico di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 La Casa Bianca rischia di diventare nera 19 PENSIERO "Il Califfo e l’Ayatollah" una guida per capire Il libro di Fiamma Nirenstein spiega chiaramente qual è la minaccia dell'Islam: dominare il mondo N GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 on è facile per il lettore italiano districarsi nel caos della (dis)informazione sul terrorismo islamico che sta sconvolgendo il mondo e il Medio Oriente in particolare. Con poche eccezioni, fra i pochi esperti 'veri', rimasti illesi dal virus del politicamente corretto, spicca Fiamma Nirenstein, il cui ultimo libro "Il Califfo e l'Ayatollah", pubblicato da Mondadori, è una guida indispensabile innanzi tutto per conoscere quanto sta accadendo, da cui discende il capire. A Fiamma non fa difetto il coraggio, nessuno può rimproverarle quella 'cautela' che invece è la causa dell'incomprensione di quanto avviene nel mondo arabo-musulmano. Chiamare le cose con il loro nome è l'unico modo per affrontare il caos che caratterizza da 1.400 anni l'Islam. Di cui la guerra sunniti-sciiti è diventato oggi un aspetto secondario, anche se viene sempre citata nel tentativo di evitare temi 'delicati', che obbligherebbero, se affrontati nel nome della verità storica, all'uso di parole oggi 'proibite', quali Islam, religione, civiltà, invasione, tutte regolarmente escluse nella maggior parte delle analisi che impediscono di cogliere nella sua globalità il vero problema: la volontà dell'Islam di dominare il mondo. Un progetto che viene taciuto in Occidente, mentre, paradossalmente, viene proclamato apertamente dagli stessi terroristi islamici. Fiamma, senza i paraocchi della sottomissione che si è impossessata dell'Occidente, sfata tutte le illusioni di coloro che assolvono l'ideologia islamista, racconta con citazioni inoppugnabili, come la guerra che ci sta colpendo abbia le radici nelle stretta parentela tra Islam e società, Islam e stato, quanto sia un errore mortale unire l'Islam alle altre religioni monoteiste. Il terrorismo islamico ha le sue radici, anche se con dinamiche differenti, in Iran come in Turchia, in Arabia Saudita come nello Stato Islamico. L'obiettivo comune è la dominazione del mondo 20 democratico-occidentale da parte di un Islam unificato in un unico potere statuale. Per raggiungerlo, devono essere eliminati fisicamente non solo gli 'infedeli', ma anche quei musulmani che rifiutano di sottomettersi. Questo spiega l'altissimo numero di vittime fra le popolazioni islamiche nelle guerre civili. Fiamma affronta poi tutti gli errori delle potenze occidentali, dalla resa di fronte a un Iran che possiederà l'arma nucleare entro pochi anni, alle rivalità fra i paesi islamici in lotta fra loro per imporsi alla guida egemone del Medio Oriente. La scomparsa dell'America quale super potenza democratica, baluardo delle libertà civili, che sotto l'Amministrazione Obama ha abbandonato il suo ruolo tradizionale per sostenere, ad esempio, la Fratellanza Musulmana, è un altro aspetto che il libro di Fiamma contribuisce a spiegare. Di qui il declino dell'Occidente e, di fatto, l'abbandono di Israele. Dopo averlo letto non ci accontenteremo più dei cosiddetti esperti che non la contano giusta, nascondendosi dietro sigle anonime come Isis, e non aiutano a capire la mentalità guerriera dell'islam. Per uscire dall'acquiescenza il libro di Fiamma è la guida perfetta. ANGELO PEZZANA Nella foto in alto: attentato alla moschea di Sana'a nello Yemen Amicizie virtuali con scambi di informazioni personali che possono essere un pericolo per la nostra sicurezza U na premessa: visto che questo numero del giornale sarà ampiamente dedicato alla visita del Papa in Sinagoga, io non mi cimenterò con questo tema. L’argomento che voglio trattare a mio avviso ha molto a che vedere con la misericordia, la cui definizione per la Treccani è: “Sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla; anche, sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, a desistere da una punizione”. In questi giorni mi è capitato, come credo capiti a molte persone nel mondo dei social network, di venire tempestata di richieste di amicizia, delle più variegate provenienze. In alcuni giorni sembra che l’intero drappello delle forze armate americane abbia deciso di eleggermi novella Marilyn dei poveri pingui sessantenni, prossimi alla pensione, in cerca di una badante anziana, con cui condividere l’acquisto dei pannoloni. Altre volte mi è successa l’invasione delle richieste di arabi, filosemiti, i cui profili avrebbero fatto impallidire le truppe delle SS. Ma la cosa più singolare accade in questi giorni, uno stormo di single con figlio unico, rigorosamente maschio, si abbatte nelle mie richieste di amicizia. Tutti risiedono nel Sud della Francia, in ridenti città di mare e il più povero pilota un tre alberi dedicato ad una moglie, quasi sempre defunta o scappata lasciando il figlio in tenera età. I dettagli sono imbarazzanti, il cappello del capitano di breve corso, troppo stretto, assenza di riferimenti temporali, tutte cose che noi bulimici di serie tv in streaming, afferriamo a prima vista. Alzi la mano chi non si sente detective in grado di sbrogliare le matasse più intricate, chi non è caduto a cercare in quelle foto tracce di vita vagamente reale se non verosimile. Dunque, il tema è: la misericordia si applica anche a questi milioni di vedovi oppure ci possiamo aspettare che i maghi di Zuckerberg riescano ad applicare il concetto di misericordia al tenacissimo e intricato interscambio dei nostri dati personali? Infatti questi inviti di massa altro non sono che il frutto ultimo dell’analisi degli algoritmi delle nostre ricerche su Google, per cui provo compassione per chi pensa di essere al riparo da danni simili, semplicemente non esistendo su Facebook. Nessuno è al riparo da niente, da quando la rete è diventata così pervasiva, ma la cosa inquietante è che spesso non ci rendiamo conto di come spieghiamo tutti i nostri movimenti semplicemente attivando uno smartphone o aprendo un dispositivo Apple. La maggior parte di noi è arrivata a minimizzare l’effetto che questi moltiplicatori di relazioni virtuali producono, catalogandole come collezioni di emozioni. Una donna piacente e non stupida che dice ad un uomo che lo trova interessante, lo gratifica e immediatamente parte la molla compulsiva che non porta a valutare dati che eravamo consueti a rilevare. Lo stesso vale a sesso variato, senza alcuna forma di discriminazione. La foto sarà vera? Quello che si scrive in una chat su Skype, ha alcuna connessione con il mondo dei sentimenti? Non oso pronunciarmi su ciò che accade nel mondo dei siti dedicati di vario ordine e grado e non è il mio un intento demonizzante di alcun tipo. Ciascuno deve poter fare ciò che ritiene opportuno, solo che noi viviamo in tempi particolari e io mi sento di dover porre il tema in un giornale che si chiama Shalom, perché i terroristi hanno le loro fila, sanno come tessere una rete di informazioni ricavabile dai social, Instagram, Facebook, Linkedin, etc. E mentre noi siamo in una chat senza sapere chi c’è dall’altra parte, sicuramente forniamo informazioni che non siamo coscienti di dare. Quindi mi sento di poter chiedere a Mr. Zuckerberg un Giubileo di Misericordia per i dati di tutti coloro che hanno contribuito a creare la ricchezza che lui ha annunciato di voler regalare alla nascita della figlia. Bimba che viene già utilizzata dal padre per implementare gli algoritmi delle casse di famiglia. CLELIA PIPERNO Contatti: Yael Ilmer Giron 349 251 6993 I [email protected] I www.masaitalia.org Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 La misericordia al tempo di Internet 21 FOCUS Giorno della Memoria: per non sminuirne il senso Il 27 gennaio per ricordare che l’antisemitismo non è stato un evento solo del passato, ma segna anche il presente GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 C 22 ome ogni anno dal 2000 quando è stata istituita, il 27 gennaio ricorre il Giorno della Memoria; e ogni anno chi ragiona sulla posizione dell’ebraismo nel mondo contemporaneo non può fare a meno di interrogarsi sull’attualità e sul senso di questa data, che è civile, stabilita da una legge dello Stato e non fa parte della tradizione religiosa ebraica. La risposta a tale questione è variata nel tempo, fra il momento iniziale in cui sembrava evidente che il Giorno della Memoria soddisfacesse da sé la necessità di trasmettere il ricordo dei sopravvissuti e di fare entrare nella coscienza nazionale ed europea l’enormità del genocidio, fino a momenti più recenti in cui è prevalso il dubbio su un controeffetto da accumulo e da eccesso di retorica. Ma forse il problema non va posto in questi termini, la legge nazionale e le delibere europee esistono, il Giorno della Memoria è entrata nelle abitudini civili del nostro paese con centinaia di manifestazioni, anche dove gli ebrei non hanno mai vissuto, e poi con interventi sui giornali, film, trasmissioni televisive. Non si tratta dunque di discutere sulla sua utilità, come se fosse ancora da decidere, ma di lavorare perché essa mantenga il suo senso e non si snaturi. Due punti mi sembrano importanti per questo compito, ed entrambi si oppongono alla banalizzazione della memoria e dunque della Shoà. Il primo riguarda la specificità di questa memoria. Sempre più spesso negli ultimi anni si è sentito dire che non bisogna ricordare solo la Shoà, ma anche gli altri genocidi (da quello degli armeni ai Tutsi, fino agli indiani d’America) e più in generale la violenza umana. Ignoriamo qui la degenerazione totale di chi vuole volgere il ricordo della Shoà contro il popolo ebraico, inventando un “genocidio palestinese” che non c’è stato, come mostrano chiaramente i fatti demografici, oltre a quelli storici e politici: è una provocazione da respingere, anche se purtroppo molto diffusa: in Svezia e in Irlanda i comitati organizzatori di giornate analoghe (per esempio tenute in occasione della Notte dei cristalli) hanno tentato di escluderne la comunità ebraica, perché in qualche modo “complice” del “genocidio” di Gaza, col risultato di celebrare le stragi contro gli ebrei in nome di chi vorrebbe compierne altre analoghe! Ma anche dove i genocidi vi sono stati e gli ebrei si sono trovati in prima fila a denunciarli, come nel caso armeno, vi sono differenze da fare. Non nel senso della gravità, perché è chiaro che si tratta sempre di crimini senza misura, né sul piano della premeditazione e della dimensione; questi genocidi vanno ricordati e denunciati senza tregua, ma non bisogna confondere le memorie, come non bisogno confondere i lutti. Soprattutto bisogna sapere che il genocidio armeno è responsabilità della Turchia, che ancora non lo riconosce, mentre la Shoà è una colpa specifica dell’Europa che ne celebra la memoria (non certo della sola Germania, ma anche dei molti “volonterosi carnefici” lituani e ucraini e francesi e olandesi e ungheresi... e italiani) e che proprio l’Europa corre di nuovo il rischio concreto di rimuovere la sua responsabilità collettiva verso il popolo ebraico, di pensare che si sia trattato di cosa altrui, lontana, in qualche modo “metafisica”. Contro questo rischio il Giorno della Memoria dovrebbe essere un antidoto. Diluire il suo senso a tutta la trama di violenza che senza dubbio si ritrova largamente nella storia umana equivarrebbe a cercare scuse per un furto che si fosse commesso dicendo “tanto tutti rubano”. Per la stessa ragione fondamentale mi sembra importante un secondo punto. Il Giorno della Memoria ricorda l’arrivo delle truppe russe ad Auschwitz e la liberazione del campo. Come sappiamo bene le persecuzioni dei deportati non finirono quel giorno, ma una ricorrenza va fissata in una data simbolica e questa ha certamente senso. Vi è però un doppio rischio di miopia, cioè in primo luogo di fissarsi solo sulla spaventosa macchina della morte che i nazisti allestirono intorno ad Auschwitz, ignorando le decine di altri campi di sterminio grandi e piccoli diffusi per l’Europa, compresa la Risiera di Trieste in territorio italiano, e anche dimenticando che una parte consistente dello sterminio avvenne direttamente nei luoghi in cui si trovavano gli ebrei, per mano della Wehrmacht e dei suoi Einsatzkommando, senza passare per la deportazione, come accadde per esempio a Babi Yar vicino a Kiev, in cui tedeschi e ucraini massacrarono quasi 34 mila ebrei tra il 29 e il 30 settembre 1941. L’altra possibile miopia consiste nel soffermarsi solamente sulla fase finale dello sterminio, ignorando le sue radici, la costruzione del consenso che era necessario per un genocidio così enorme e diffuso. Questo lavoro fu iniziato dai nazisti già prima di arrivare al potere e culminò nelle leggi di Norimberga (15.9.1935) e nella Notte dei cristalli (10.11.1938). In Italia è a partire dal 1938 che il fascismo attivò la sua campagna razzista, prima ancora di tradurla in leggi. Ma questi atti non sarebbero stati possibili senza una larga complicità del mondo intellettuale, giornalistico, giuridico ma anche religioso. Nomi celebri come in Germania quelli di Martin Heidegger e Carl Schmitt, in Italia quello di tutti gli accademici e gli intellettuali che aderirono al Manifesto della razza (fra gli altri Giorgio Almirante, Giorgio Bocca, Amintore Fanfani, Agostino Gemelli, Giovanni Gentile, Luigi Gedda, Giovannino Guareschi, Mario Missiroli, Romolo Murri, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Giuseppe Tucci) portano pesantissime responsabilità nel preparare il clima che ha portato alla Il labirinto del silenzio: un film sulla vergogna e la giustizia U Shoà, al di là delle loro diverse posizioni successive. Allo stesso modo vi è una responsabilità della Chiesa per la sua campagna millenaria contro il popolo ebraico, a partire dai Vangeli e dai Padri della Chiesa, che si intensificò con le Crociate e non cessò affatto con l’inizio della modernità, ma anzi porto ai ghetti e alle interdizioni legali che a Roma durarono fino al 1870 e altrove anche di più. David Kertzner, fra gli altri, ha documentato coi suoi libri non solo che la campagna antiebraica della stampa cattolica (anche la più autorevole, come “Civiltà cattolica” durò dagli inizi dell’Ottocento ben oltre la fine dei regimi nazisfascisti, ma anche che essa ispirò concretamente l’atteggiamento politico del Vaticano in episodi chiave di questa preparazione come l’emanazione delle leggi razziste da parte dello Stato Italiano. Non si tratta naturalmente di usare il Giorno della Memoria per intestare processi a nessuno; ma bisogna far capire che la Shoà non fu il frutto né della “follia” di un dittatore e neppure di semplice criminalità; ma fu il frutto più terribile di una caratteristica (l’odio antiebraico) che purtroppo fa parte di quelle su cui si è costruita l’identità europea. La ritroviamo nella Magna Charta e nella teologia luterana, negli scritti di filosofi laici come Voltaire e Kant come di grandi artisti (Shakespeare, Wagner e molti altri), nelle leggi degli stati e nei comportamenti di comunità intere. E la ritroviamo anche oggi in azione contro Israele, “l’ebreo degli stati”, che è diventato l’oggetto di un odio assolutamente irrazionale e senza giustificazioni da parte di buona parte del ceto intellettuale e politico occidentale, vero capro espiatorio su cui si scaricano i pretesi peccati dell’Occidente. Se il 27 gennaio riuscirà, almeno in parte, a comunicare queste profonde radici della Shoà e non si perderà in generici moralismo sul male diffuso in tutte le civiltà e in tutti i tempi, allora non sarà inutile. UGO VOLLI scirà in occasione della Giornata della Memoria, Il labirinto del silenzio film candidato dalla Germania a rappresentarla agli Oscar 2016. Un’opera di cui tutti sentivamo il bisogno: un film tedesco non sulla Shoah, ma sulla sua dolorosa “scoperta” nella Germania civile e postbellica dove tutti volevano dimenticare e mettere sei milioni di morti ebrei, per non parlare di zingari, omosessuali e dissidenti politici sotto il “tappeto della Storia”. La complessa avventura del procuratore Johann Radmann diventa, dunque, un racconto di vergogna e di giustizia, di determinazione e di rabbia nei confronti di chi aveva costruito il ‘labirinto di bugie’ in grado di inghiottire e di far dimenticare il più grande crimine del Ventesimo Secolo compiuto contro l’umanità. Scritto e diretto dallo sconosciuto (nel nostro paese…) regista ed attore italiano, molto attivo in Germania, Giulio Ricciarelli, il film sintetizza in un unico racconto diverse figure di magistrati e investigatori tedeschi che tredici anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la caduta di Adolf Hitler si scontrarono contro il sentimento pubblico della popolazione secondo cui le voci riguardanti la Shoah erano solo ‘propaganda dei vincitori’. “Non potevo crederci.” Spiega Ricciarelli: “Ho fatto questo film, perché mi sembrava impossibile che all’epoca nessuno o quasi sapesse cosa fosse un posto chiamato Auschwitz.” Il labirinto del silenzio è distribuito nel nostro paese dalla Good Films guidata da Ginevra Elkann e Francesco Melzi d’Eril: ambientato a Francoforte nel 1958, in piena ricostruzione e boom economico, ha al suo centro un giovane giudice venuto in possesso dei documenti che dimostrano la responsabilità di molti tedeschi nei fatti di Auschwitz. La ricerca della verità non è facile e per molti è un problema, ma non solo per questioni etiche o di vergogna. Il film è l’esplorazione di un dramma generazionale, che un critico americano ha giustamente definito come “il dissotterramento dell’ascia di guerra” tra le diverse generazioni tedesche. Anche il protagonista subirà una crisi personale vista la potenza e l’orrore della sua importantissima scoperta cui, narrativamente, sono collegati anche lo sfortunato inseguimento di Josef Mengele in Sud America e l’arresto da parte del Mossad di Eichmann. Al di là delle concessioni commerciali al cinema di genere, il grande merito del film è avere affrontato direttamente un tema altrimenti dimenticato dal cinema popolare ed esplorato soltanto nella traccia dei grandi autori della cinematografia tedesca da Margarethe Von Trotta a Edgar Reitz. “Questo non è un film solo sul silenzio o sulla rimozione della memoria” avverte ancora Ricciarelli: “E’ la storia di un tentativo programmato per nascondere le malefatte del Reich e proteggere i colpevoli.” Ed è questo, forse, ciò che rende questa storia particolarmente interessante ed importante, perché riflette su una Germania in rinascita in cui, i gruppi dirigenti, sono composti da ardenti nazisti scampati ad ogni forma di giudizio: da quello dello Stato a quello della Storia. E’ un film sull’etica e sulla morale dimenticata di una società che vuole guardare avanti per rinascere e dove, oggi, mezzo secolo più tardi è un’altra pellicola - tratta da “Lui è tornato” romanzo sul successo dell’Hitler misteriosamente redivivo nella Germania del XXI secolo - ad avere fortuna ed incontrare il pubblico. Interpretato da Alexander Fehling già visto in Goethe! e nella serie Homeland, il procuratore Radmann non è, dunque, solo un uomo alla ricerca della verità, bensì un tedesco che se ne infischia della presunta ‘riconciliazione nazionale’ se questa deve avvenire al prezzo della vergogna e della complicità con spietati criminali. La sua determinazione, però, lo costringerà a confrontarsi anche con se stesso e a scoprire la terribile verità che coinvolge direttamente lui e la sua famiglia. Eventi personali e collettivi che hanno guidato la Germania ai processi di Francoforte del 1963, quando centinaia di ‘lavoratori’ di Auschwitz furono processati per le loro attività. MARCO SPAGNOLI GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 È il racconto della ‘scoperta’ della Shoah, nella Germania post bellica 23 STORIA Gli ebrei di Libia tra memoria e storia “850 mila profughi ebrei dal mondo arabo hanno dovuto vivere l’esilio più amaro come se appartenesse loro soltanto” N GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 ella memoria degli ebrei di Tripoli, il pogrom del ’45, fu vissuto come un tradimento delle autorità britanniche. L’intervento dopo tre giorni, quando il peggio era accaduto e la folla pogromista era stata respinta alle porte del quartiere ebraico della città, non poteva essere un caso. Ben altra sarebbe stata la reazione delle truppe britanniche, se a essere colpiti fossero stati i soldati britannici. I notabili della comunità, angosciati per quel che stava accadendo, avevano ripetutamente sollecitato l’intervento in forze delle autorità per por fine ai massacri. Inoltre i soldati della futura Brigata ebraica, che in seguito sarebbero sbarcati in Italia, avevano ricevuto l’ordine di non uscire dalle caserme. Il pregiudizio antiebraico diffuso tra molti ufficiali e soldati britannici, unito all’ostilità esplicita dei red fez, poteva spiegare solo in parte il problema. La risposta che s’impose per molti dirigenti ebrei, era che gli inglesi avessero fatto cinicamente ricorso a una politica di divide et impera. Poiché la Libia aspirava all’indipendenza, il modo migliore per ritardarla, era dimostrare che il paese non era maturo. Che a farne le spese fossero gli ebrei, poco importava, tanto più che agli occhi dei britannici, le rivendicazioni nazionali dell’Yshuv rischiavano di mettere a repentaglio l’intero loro sistema di dominio nella regione. Il guaio è che l’argomentazione guardava al problema con occhi puramente “occidentali”, che aveva come riferimento una “razionalità politica strumentale”. Pensare che il pogrom fosse una conseguenza diretta delle macchinazioni britanniche nel Vicino Oriente e a quanto vi accadeva, impediva in realtà di cogliere la profondità dell’ostilità che si era accumulata lungo l’arco di due secoli nella società araba nei confronti delle aspirazioni ebraiche all’uguaglianza e alla libertà. Non essendo maturati dall’interno della società che nell’arco di un secolo aveva visto tre successive dominazioni straniere, di cui due 24 europee, i cambiamenti intervenuti nello statuto degli ebrei rispetto alla maggioranza islamica, erano visti con ostilità crescente, e considerati come l’esito di un complotto finalizzato ad assoggettare la società islamica al mondo occidentale. L’idea che gli ebrei fossero sfuggiti grazie a questi cambiamenti storici alla condizione d’inferiorità giuridica e teologica per loro prevista nell’assetto tradizionale della società islamica, li trasformava, loro malgrado, in un capro espiatorio ideale per tutti i mali della società. In questa logica perversa l’aspirazione ebraica alla libertà diventava la “colpa” più grave. L’odio contro la dominazione straniera, si saldava con l’odio contro gli ebrei e contro la democrazia. In questa luce la fuga in massa degli ebrei dal mondo arabo appare come l’espressione violenta del rifiuto dell’idea stessa che gli ebrei potessero vivere da liberi e uguali nelle società che sarebbero nate dalla fine del dominio coloniale. Non volendo accettare gli ebrei come uguali, la società araba li espelleva dal suo interno. Chiamati ad attingere nel profondo della loro resilienza per non andare a pezzi, 850 mila profughi ebrei dal mondo arabo hanno dovuto vivere l’esilio più amaro come se appartenesse loro soltanto. In un impeto di orgoglio e di vitalità hanno saputo cantare la perdita di un intero mondo come fosse un grande riscatto. La vita nelle baracche e nelle tende, come un grande miracolo. Con la Torah in mano gli ebrei dello Yemen, dopo avere attraversato a piedi il deserto, salirono sugli aerei come fossero le aquile cantate dai profeti. Nelle navi che salpavano da Tripoli, si rinnovava il miracolo dell’esodo. Intonando la “Cantica del Mare”, si rendeva il futuro meno incerto, e il mare amico. La vita dura nelle periferie parigine come l’inizio di un nuovo mondo, sino a quando i figli di coloro che li avevano perseguitati, non hanno cominciato a rendere loro la vita impossibile nelle periferie in cui avevano creduto di trovare un rifugio, lasciandosi dietro per sempre i ricordi di un passato doloroso. Uno sforzo di sublimazione unico, figlio di una grande visione del mondo, che ha permesso di sognare e immaginare un futuro diverso e migliore, che è stato purtroppo reso più difficile per il ritardo con cui la classe politica israeliana e le leadership della diaspora hanno preso coscienza di un problema che non era solo umanitario, ma anche politico e culturale. Una risposta unica contro i luoghi comuni che avvolgono il dibattito politico sul vicino oriente. DAVID MEGHNAGI Una giornata di studi per ricordare la cacciata degli ebrei dai Paesi arabi. Un dramma che coinvolse centinaia di migliaia di persone L a vicenda dei Mizrahim è stata spesso ignorata, ma costituisce una storia lunga secoli, che si è interrotta quasi definitivamente nei decenni successivi alla nascita dello Stato di Israele. Si tratta di coloro che vivevano e che sono stati cacciati dai Paesi arabi, dall’Iran e dalla Turchia. Per ricordare questo esodo, la Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, ha stabilito nel 30 novembre il giorno ufficiale del ricordo della fuga di queste comunità. Anche Roma partecipa regolarmente alle celebrazioni, quest’anno con un’iniziativa tenutasi nella biblioteca dell’Università degli studi Link Campus University. L’Ambasciatore d’Israele Naor Gilon ha ricordato il rilievo di questa componente nell’attuale popolazione israeliana. Il Consigliere UCEI Victor Magiar ha proposto una ricostruzione storica: in alcuni di questi Paesi, ha ricordato, la presenza ebraica risaliva addirittura al 400 a.e.v.; la fine dell’Impero Ottomano all’indomani della Prima Guerra Mondiale e l’inizio della decolonizzazione portarono però all’affermazione delle ideologie del nazionalismo panarabo e dell’islamismo fondamentalista, avverse al multiculturalismo consolidatosi nei secoli precedenti. Lo storico Alberto Melloni ha individuato l’assenza di studi storiografici sugli atteggiamenti delle chiese dei Paesi arabi in quegli anni: erano piccole entità ma ben radicate sul territorio; non molti Quei profughi dimenticati Alla storia dell’esodo degli ebrei dai Paesi arabi è dedicata una mostra al Museo Ebraico M artedì 1 Dicembre alle 18 è stata inaugurata la mostra “Profughi ebrei dai paesi arabi” presso il Museo Ebraico di Roma. L’iniziativa, organizzata dall’ambasciata d’Israele in Italia, è mirata a diffondere la conoscenza di una vicenda a volte dimenticata dalla storia contemporanea: l’esodo forzato di circa ottocentocinquanta mila ebrei degli Stati arabi del Medio Oriente e del Nord Africa dovuto alle persecuzioni e i pogrom scatenati dalla dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele. Grazie ad alcune grafiche è possibile ripercorrere l’esperienza degli ebrei nelle terre dell’Islam, una presenza antecedente all’avvento della religione del Corano, analizzando il loro rapporto con la religione, le iniziative sportive, la cultura tradizionale e gli incarichi che solitamente ricoprivano nella vita economica del paese fino ad arrivare alle discriminazioni e alle espulsioni arrivate dopo il 1948. Successivamente l’esposizione si sofferma sul successo dell’integrazione di questi rifugiati in Israele, sul loro status internaziona- furono i tentativi di cambiare le sorti imposte agli ebrei, con l’unica eccezione del Libano, ultimo tentativo di costruzione multiculturale. Il giornalista Fabio Nicolucci ha poi rilevato nell’assenza del tema dei mizrahim nella sinistra europea uno degli elementi che ha causato una mancanza di analisi specifica dell’identità israeliana. Ospite d’onore è stato però Haim Saadoun, decano della Open University e membro del Ben Tzvi Institute di Gerusalemme. Questi ha illustrato il fenomeno attraverso una serie di dati e di storie eloquenti per comprenderne la vastità e la drammaticità: degli oltre 983mila ebrei presenti nel mondo arabo e in Asia Minore nel 1948, nel 1996 ne restavano meno di 50mila, concentrati soprattutto in Iran e Turchia, mentre in alcune aree erano totalmente scomparsi. Le immagini mostrate al pubblico hanno rivelato la complessa organizzazione attuata dall’Agenzia ebraica per favorire questi spostamenti: non solo grandi navi pronte ad accogliere i profughi, ma anche un trattamento medico prima della partenza abbinato alla distribuzione di cibo e di altri generi di prima necessità. Perché queste migrazioni? Saadoun ha individuato diverse cause: la nuova situazione politica, caratterizzata dalla decolonizzazione, intrecciata agli effetti del conflitto arabo-israeliano sul Terzo Mondo, era sicuramente la ragione principale; ad essa si univa l’attrazione per la realizzazione del sogno sionista nella Terra d’Israele e le prospettive di crescita socio-economica che il nuovo stato offriva. In alcuni casi furono le violente persecuzioni a costringere gli ebrei ad abbandonare i loro Paesi d’origine, come il pogrom di Oujda in Marocco nel 1948 o le vessazioni perpetrate in Libia in diversi periodi. Oggi i fiorenti quartieri ebraici del passato non esistono più. Restano solo piccole comunità concentrate perlopiù in Marocco, Tunisia, Turchia, Iran e Yemen. DANIELE TOSCANO le e sulla possibilità di ottenere un risarcimento per i danni subiti. Oltre ad alcune testimonianze dirette di ebrei libici e iracheni, la mostra si serve di molte immagini e oggetti quotidiani provenienti dalla Libia, paese in cui la comunità ebraica è stata costretta all’esilio intorno al 1967 e che in larga parte ha trovato rifugio proprio qui in Italia. E’ intervenuta all’inaugurazione Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, che ha parlato di numeri sconcertanti e ha ricordato come la presenza ebraica nelle sue diverse forme sia una ricchezza per le nazioni, una ricchezza in questo caso persa per colpa dell’odio e della violenza. Presenti anche il Rabbino Capo Riccardo Di Segni e l’Ambasciatore Naor Gilon. Quest’ultimo ha evidenziato come solo in Israele il Parlamento abbia scelto una data, il 30 Novembre, per ricordare questa drammatica storia, un aspetto poco conosciuto che ancora oggi ha ricadute sul conflitto fra israeliani e palestinesi. Inoltre l’Ambasciatore Gilon ha sottolineato come Israele sia diventato per queste persone un rifugio naturale e sicuro in cui ricostruire la loro esistenza e la loro cultura plurimillenaria cancellata tra il 1948 e 1967. La mostra rimarrà al Museo Ebraico per altri due mesi, successivamente girerà per tutta l’Italia per garantire che la storia dei profughi ebrei provenienti dai paesi arabi sia diffusa il più possibile nel nostro paese. Inoltre grazie ad alcuni supporti digitali le scuole italiane che faranno richiesta potranno ottenere tutto il materiale per mostrarlo ai propri studenti. MARIO DEL MONTE GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Una lunga storia improvvisamente interrotta 25 LIBRI Un libro per conoscere la nuova minaccia globale Con “Jihad, Guerra all’Occidente”, Maurizio Molinari ci guida alla conoscenza del Califfato che vuole conquistare il mondo occidentale D opo il successo editoriale ottenuto lo scorso anno con il libro “il Califfato del Terrore”, di Maurizio Molinari, neodirettore del quotidiano “La Stampa” è uscito “Jihad, Guerra all’Occidente”, editore Rizzoli. Si tratta di un istant book che racconta come proseguono le violenze e le conquiste territoriali di Daesh nell’ultimo anno, fino ai tragici attentati avvenuti a Parigi a metà novembre. Nelle duecentoquarantatre pagine si mescolano cronaca ed analisi, dati e retroscena che dal quadro geopolitico mediorientale affondano nel contesto globale internazionale. Molinari, da consumato ed esperto della materia, essendo stato corrispondente per più di un decennio da New York e poi da Ramallah per il giornale torinese, riesce con lucidità e brillantezza a facilitare la comprensione di quel groviglio di organizzazioni e Stati che nel gioco delle alleanze arabe sono gli attori di una guerra infinita che preoccupa l’Occidente, da cui non se ne vede una via di uscita. È una descrizione fluida dei diversi terreni di azione dei gruppi jhadisti e salafiti, che narra quel che avviene dalle coste nordafricane fino al cuore dell’Asia araba, e fa capire come sia stato seppellito il sogno delle Primavere arabe con l’incalzare Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 DIVISIONE DEPOSITO MERCI 26 Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 impetuoso del Califfato di al Baghdadi teso alla realizzazione del progetto di far dilagare lo Stato Islamico in tutti i territori dal Giordano al Mediterraneo. E nemmeno l’Europa è immune a questo disegno: sia per gli attentati commessi finora e sia per le minacce quotidiane che non fanno dormire sonni tranquilli alle diplomazie. Perché l’Isis per diverse motivazioni prende di mira tre obiettivi precisi per scatenare la guerra nel Vecchio Continente: la Francia che “è lo Stato europeo più impegnato nella coalizione anti-Isis”..” e “ ha in Parigi la capitale della prostituzione e del vizio”; l’Andalusia, destinata “a rappresentare il riscatto storico della umma musulmana dall’umiliazione subita quando la Reconquista cristiana ebbe la meglio; e Roma “per travolgere la roccaforte della cristianità”. Si tratta di uno scenario imprevedibile che ha a che fare, come ha sottolineato il Ministro degli esteri Italiano Paolo Gentiloni, durante la presentazione del volume “ … con un attore nuovo, che controlla un territorio molto vasto e dispone di risorse finanziarie ingenti, pari a circa tre miliardi di dollari, che ha l’obiettivo di sconvolgere gli equilibri e gli assetti statali. Va compresa l’assoluta complessità di una realtà postsovrana. Quindi non credo che l’Europa possa affrontare una sfida di queste proporzioni attorcigliandosi in sensi di colpa che rischiano di far perdere le energie di cui abbiamo bisogno. Ricordando che non dobbiamo continuare ad avere l’illusione di guerre lampo. Ciò l’abbiamo pagata negli ultimi decenni con guerre che si sono protratte per anni”. JONATAN DELLA ROCCA La lezione che viene dalla lettura di “Comprendere Eurabia” di Bat Yeor S ono questi i tre slogan del “Partito” tramite i quali il “Grande Fratello” riesce a controllare ogni singolo aspetto della vita quotidiana degli abitanti di Oceania, una delle tre superpotenze continentali in costante guerra con l’Estasia o con l’Eurasia, ed alleata di volta in volta con la superpotenza con la quale non è in conflitto. Scenari di certo astratti e fantastici, quelli dipinti dallo scrittore britannico George Orwell, ma non privi di una qualche parvenza di realtà. Ed è con questi presupposti che sfogliamo “Comprendere Eurabia” di Bat Yeor, credendo fermamente di imbatterci in un altro romanzo fantapolitico nel quale un nemico onnipotente e totalitario cerca in tutti i modi di impossessarsi del mondo. Purtroppo la speranza ed il preconcetto di astrazione vengono dissolti al terzo documento ufficiale riportato dall’autrice che avvalora le sue tesi non parole, ma con atti interstatali enunciati in pubbliche assemblee e convegni. L’Europa del secondo Dopoguerra, ancora sotto l’egida economica e politica degli Stati Uniti, cerca in tutti i modi di conseguire un’indipendenza che la porti ad essere un polo finanziario autonomo oltre che acquistare una caratura internazionale con la quale possa competere, a livello decisionale, con il paese a stelle e strisce. E’ così che la Francia di De Gaulle nel 1967 diventa la forza trainante di un processo di cooperazione euro-arabo che culmina con la crisi petrolifera del 1973, nella quale sia il paese transalpino, sia la Germania, trovano un’eccellente scusa per basare la loro politica euro-araba sul pericolo di una scarsità di energia. Si sa, ogni alleanza porta un compromesso: ma, visto che qui la potenza petrolifera e l’ascendente morale dei Paesi Arabi fa pendere l’ago della bilancia nettamente a loro favore, più che in un adattamento, l’Europa entra in un’era di schiavitù inconscia. Bat Yeor spiega che gli europei sono diventati dhimmi, ossia come le minoranze etniche e religiose che vivono in paesi di carattere jihadista, nei quali si può ottenere “un’effimera ed ingannevole sicurezza mediante i servigi resi all’oppressore mussulmano e mediante il servilismo e l’adulazione”, tramite l’inoculazione della paura di atti terroristici che minano le fondamenta della tranquillità della vita occidentale, in un Occidente che ostinatamente consideriamo “non in guerra”, ma nel quale attentati di diversa matrice risvegliano l’insicurezza e lo sgomento. La guerra è pace. E’ così che l’essere che ha paura accetta tutto pur di sopravvivere, anche confutare le basi più solide del pensiero che lo contraddistingue, anche se queste sono frutto di migliaia di anni di battaglie e rivoluzioni e conquiste. La libertà è schiavitù. Dal timore nasce l’odio e viceversa, in un circolo vizioso che blocca il processo di comprensione della gente e delle nazioni, chiudendo la mente e producendo risposte semplicistiche e superficiali, come accaduto al popolo tedesco accecato dalla propaganda nazista o nel comunismo. L’ignoranza è forza. Ovviamente la paura genera l’odio verso il capro espiatorio: Israele, con la sua ostinazione a non volersi abbassare alle pretese arabe (la sua sparizione stessa), è il motivo per il quale voi, cittadini europei, non sarete mai al sicuro nelle vostre case; e da qui l’antisemitismo ed il palestinismo politicamente diffuso come un vaccino contro l’islamofobia e come copertura per la jihad internazionale che, come sua stessa definizione, dovrà portare alla conversione all’Islam di tutto il mondo, o con la persuasione o con la forza. “Ma la resistenza israeliana dimostra la lotta, di antica data, di un popolo votato a combattere per la libertà contro la dhimmitudine, per la dignità dell’uomo contro la schiavitù dell’oppressione e dell’odio”. YURI DI CASTRO Un’ipotesi di violenza Dror A.Mishani Guanda, p. 299 €18.50 Dror A.Mishani torna a regalarci un thriller fuori da ogni cliché, asciutto nella narrazione ma psicologicamente complesso, spietato nel descrivere quanto possa rivelarsi umana la violenza tra gli individui, eppure delicato e comprensivo con i colpevoli. L’ispettore Avraham, rientrato da una vacanza dopo un caso irrisolto, sa che l’indagine che gli si prospetta è la sua occasione di riscatto. Una valigia sospetta lasciata davanti ad un asilo alla periferia di Tel Aviv. Un attentato, un avvertimento, uno scherzo, la reazione di un genitore risentito? Dopo la scarcerazione del primo indagato, l’ispettore si ritroverà a scavare nella vita di vittime e carnefici, la cui distinzione di ruolo sarà svelata solo all’ultima riga. La capacità di Mishani di delineare personaggi dall’apparente natura anonima, salvo poi scoprirne gli abissi dell’animo, è sorprendente. Un autore da non farsi scappare. Il parrucchiere di Auschwitz Eric Paradisi Longanesi, p.208 € 14,90 1943: Maurizio, figlio di parrucchieri ebrei, vive nel ghetto in una Roma occupata dai nazisti. Nella bottega dove lavora conosce e si innamora di Alba, una ragazza fortemente impegnata politicamente, membro della Resistenza e dell’organizzazione Bandiera rossa. Il rastrellamento del 16 ottobre gli porterà via l’intera famiglia e lui, solo cinque mesi dopo, sarà deportato ad Auschwitz mentre Alba verrà arrestata. Maurizio sopravvivrà nel campo di concentramento grazie alla sua abilità di parrucchiere e al forte ricordo dell’amata, di cui non saprà più nulla. Parallelamente scorre la storia dell’amore di Flor, nipote di Maurizio, che, come quella del nonno, sarà destinata a soccombere sotto i colpi dell’ineluttabilità di un destino crudele. La selva dei morti Ernst Wiechert Skira, p.128 €14 “Fui chiamato a testimoniare e la mia voce deve raccontare”. Ci sono tempi in cui l’animo umano è posto davanti all’indicibile. Dolore, abiezione, annientamento, che quasi gli occhi non credono. Alcuni uomini raccolgono il fardello della testimonianza, affinché tutti sappiano, perché le vittime non siano dimenticate. Ernst Wiechert assolse questo dovere divulgando le sue esperienze di prigioniero politico internato a Buchenwald nel ‘38. Il peso della narrazione, drammatica ed intensa, venne attenuato dal ricorso alla terza persona, tale da rendere meno traumatica la rievocazione. Il dovere morale, etico, religioso di non tacere per non vanificare fatalmente ciò che dopo la guerra molti, pur di andare avanti, avrebbero preferito lasciarsi alle spalle. Wiechert ci insegna che alla consegna del silenzio non si può e non si deve soggiacere. A CURA DI JACQUELINE SERMONETA GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 La guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza 27 LIBRI EDITORIA PER RAGAZZI Libri per ragionare, ma soprattutto per divertirsi C GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 he i libri salvino la vita è una cosa che sappiamo in tanti, adulti e bambini. Ma che i libri possono anche fornire indizi e prove per smascherare un delinquente? Naturalmente con l’aiuto del poliziotto Guglielmo e di altri che è meglio non dire altrimenti si rivela tutto il mistero! Per sapere come questo sia possibile bisogna però leggere "Chi ha incendiato la biblioteca?" di Anna Lavatelli, (illustrazioni di Cecco Mariniello, edizioni interlinea, 8 euro) destinato ai bambini delle elementari, o se capita un pomeriggio noioso senza niente alla tv, anche a quelli delle scuole medie. "Intorno cade un silenzio di piombo - scrive Lavatelli - Qualcuno di avvicina con la faccia triste e mormora: «Condoglianze». Giusto. Condoglianze signora Giovanna (Giovanna è il nome della bibliotecaria). In via Canigatti, nel quartiere dei Pesci, nel rione dei Quadrupedi (sempre detto senza offesa) sanno di che pasta è fatta la signora Giovanna". Ed infatti sarà lei, con l’aiuto del signor Guglielmo e di Alessio che sta a casa con il morbillo a capire, grazie alle tracce offerte dai libri, chi è stato l’incendiario. D’altro canto lo sanno tutti che se i ragazzi di quella zona sono un po’ più svegli il merito è anche della bibliotecaria Giovanna (secondo me anche della maestra Angela). Sappiate intanto - finché non avrete letto il libro - che tutta la sezione romanzi di avventura della biblioteca è completamente salva! Per i bambini più piccoli, ma non proprio 28 piccolissimi, e per quelli che hanno comunque voglia di ragionare, c’è invece "Liberi tutti!" di Anna Papini (edizioni uovonero, 13.50 euro) che ha scritto la storia e disegnato le illustrazioni (bellissime!). In realtà la storia è di poche parole, anzi pochissime, ma si capisce benissimo. Per esempio: in una pagina uno strano tapiro grigio chiaro e grigio scuro sta fermo sotto l’ombrello rosso a ripararsi dalla pioggia. E il testo dice solo: "No. La pioggia". La pagina successiva, lo stesso tapiro, sempre grigio chiaro e grigio scuro, e sempre sotto la pioggia, si tuffa in una pozzanghera insieme a una rana piccola che più piccola non si può. E il testo recita: “Si. Le pozze”. I si e i no che si alternano nelle pagine insieme ai protagonisti colorati - una gallina, un coniglio, un orso, un gatto aiutano a riflettere. La neve, il sole, il buio, per i bambini possono spesso essere solo dei no ripetuti rischiando di diventare occasioni perdute. Le stesse cose possono infatti trasformarsi in autentiche avventure solo se gli adulti spesso iperprotettivi - non fanno sembrare il mondo una minaccia e un pericolo. Un noir? Un thriller? Una leggenda nera? Una storia macabra? O un miracolo che restituisce speranza? Tutte queste cose insieme è "Il matrimonio che salvò una città" di Yale Storm con le illustrazioni di Jenya Prosmitsky (traduzione dall’inglese di Rosanella Volponi, 15 euro), ultima uscita della collana Parpar dedicata ai bambini della storica casa editrice Giuntina di Firenze. Tutto inizia con un telegramma che il rabbino Yamferd (rabbino Tricheco) invia a Yiske "che dormiva fino a tardi dopo aver suonato": il rav invita Yiske e la sua orchestrina a Pinsk per suonare ad un matrimonio, niente di strano quindi. La sorpresa però giunge all’arrivo: in città c’è una terribile epidemia di colera, hanno fatto di tutto ma non c’è stato niente da fare per fermare il contagio. L’unica possibilità rimasta è realizzare un shvartse khasene, un matrimonio nero. "La leggenda spiega il rabbino Tricheco dice che se due orfani si sposano in un cimitero potrebbe accadere un miracolo". La speranza, aggiunge, è che "le anime dei loro genitori possano chiedere aiuto all’Onnipotente". Anche se sembra un po’ inquietante si tratta di una autentica leggenda diffusa tra le comunità ebraiche dell’Europa Oirentale. Yiske all’inizio è preoccupato che i suoi colleghi dell’orchestrina si spaventino di un matrimonio tanto bizzarro ma soprattutto è molto sorpreso: il rabbino non ha ancora trovato lo sposo! E ad Yiske non resta che andare a cercarlo mentre in città fervono i preparativi. Ma è un’impresa tutt’altro che facile: uno è troppo vanitoso, l’altro troppo avido. La storia ha, ovviamente, il lieto fine: Yiske troverà lo sposo adatto per la bionda Sheyndl-Rivke e il matrimonio surreale - tra lacrime e sorrisi si svolgerà, al cimitero, secondo tutte le norme ebraiche. Nelle pagine un po’ magiche e un po’ infantili la leggenda troverà la sua conferma: tempo quindici giorni la città è libera dall’epidemia. La storia, tra le pagine, porta ai bambini l’eco della grande letteratura dei fratelli Singer e i disegni, magici e dagli occhi sgranati, raccontano la magia dell’ebraismo dell’Europa orientale prima della guerra proprio come i film, il libri, i quadri e le fotografie ce lo hanno tramandato. Un mondo scomparso a cui d’altro canto Yale Storm, l’autore, ha dedicato anni di lavoro: è infatti regista, scrittore, musicista, ricercatore, compositore statunitense di musica kletzmer e rom e ha dedicato molti anni allo studio di quello stesso mondo da cui proviene Jenya Prosmitsk, nata a Minsk e trasferitasi negli Stati Uniti dopo un brillante percorso di studi proprio in illustrazione per bambini. Una magia un po’ macabra che serve a restituire la speranza. LIA TAGLIACOZZO L Libri, tra storia e mito a libreria Viella è benemerita per le pubblicazioni che produce e diffonde. Ecco in breve le ultime tre novità. Sopravvivere al ghetto di Serena Di Nepi racconta un momento del tutto speciale della storia ebraica degli ebrei di Roma nel Cinquecento: una ricerca di grande impegno, di grande rigore che merita di essere conosciuta e diffusa. L’ombra del kahal di Alessandro Cifariello scava con estrema attenzione all’interno dell’immaginario antisemita della Russia dell’Ottocento: un’analisi tra storia e mito che coinvolge profondamente e suscita turbamento. Dopo i testimoni a cura di Marta Baiardi e Alberto Cavaglion pone un problema angoscioso e non differibile: chi racconterà quello che è accaduto domani quando i testimoni saranno scomparsi definitivamente? Un testo rigoroso e che merita non solo di essere letto, ma anche meditato. Costantino Di Sante ha scritto Auschwitz prima di Auschwitz, edito da Ombre Corte, che prende in esame le ricerche di Massimo Adolfo Vitale sugli ebrei deportati dall’Italia: una risposta a domande molto importanti. Bele sì (proprio qui) di M.L. Giribaldi e R.M. Sardi (editore Morcelliana) racconta le vicende degli ebrei di Asti: una lettura emozionante, per chi ha il dono di emozionarsi. Charlotte. La morte e la fanciulla di Bruno Pedretti edito da Skira, racconta la tragica storia di Charlotte Salomon giovane artista ebrea berlinese incinta di quattro mesi e morta ad Auschwitz. Una lettura delicata. Charlotte di David Foenikos edito da Mondadori, si ispira anch’esso alla stessa figura femminile con altrettanta delicatezza. Lo sport nella persecuzione e la persecuzione nello sport 'S port e Shoà' (di Sergio Giuntini, Sedizioni editore) può lasciare apparentemente perplessi, perché sembra impossibile collegare una disciplina che è l'emblema dello star bene e della fisicità e una parola che è sinonimo di distruzione. Ci pensa una frase di Primo Levi nella poesia Il Decatleta a mettere le cose in chiaro: "credetemi, la maratona non è niente, né il martello, né il peso, nessuna gara singola può compararsi con la nostra fatica. Ho vinto, sì; sono più famoso di ieri, ma sono molto più vecchio e logoro". Questo interessante saggio propone alcune interessanti riflessioni. La prima riguarda il fatto che agli inizi del secolo scorso, soprattutto per via dei movimenti giovanili sionisti, si registrò una "rinascita fisica" dell'ebraismo. Parallelamente ad analoghi sviluppi in atto anche nel mondo non ebraico con il movimento scoutistico o con le polisportive che permettevano anche alle classi popolari di curare finalmente il proprio corpo, la salute e l’igiene, si crearono squadre, palestre e associazioni sportive ebraiche. Sia in Europa, che in Palestina, dove il "giudaismo muscolare" trovò una prima espressione organizzativa a Gerusa- Anna Frank. La voce della Shoah di Francine Prose edito da Castelvecchi, racconta la storia di questa giovane ragazza diventata un simbolo della persecuzione antiebraica. Commovente. Poesie scritte a tredici anni a Bergen Belsen (1944) di Uri Orlev, a cura di Sara Ferrari, edito da Giuntina, è un piccolo tesoro poetico. Da non perdere. Nei suoi occhi verdi di Arnost Lustig edito da Keller, è un romanzo scritto da un ebreo cecoslovacco sopravvissuto ai campi di sterminio. Difficile dimenticare Hanka, la protagonista. Una luce quando è ancora notte di Valentine Goby, edito da Guanda, narra la storia di una deportata nel campo di Ravensbrueck nel 1944 insieme ad altre quattrocento donne. Tragico. La storia di Mortimer Griffin di Mordecai Richler edito da Adelphi, è un romanzo spassoso, con pagine di delizioso umorismo; da non perdere. Sette anni di felicità di Edgar Keret, edito da Feltrinelli, è un libro ironico e sensibile dove si parla di questioni terribilmente serie con un sarcasmo tutto ebraico e israeliano. Da non perdere. È questa la terra promessa? di Eli Amir, edito da Giuntina, sin dal titolo mostra un carattere vivace, anticonformista: racconta storie emblematiche della vita israeliana e apre squarci di conoscenza su situazioni e personaggi singolari. Non a caso dal libro è stata tratta una serie di trasmissioni televisive. Trieste di Dasa Drndic, edito da Bompiani è un libro che racconta in modo documentato le vicende degli ebrei in Italia durante la persecuzione nazifascista e che lascia senza fiato. Sorprendente. La nemica di Irene Nemirovsky, edito da Eliot, è un romanzo intenso che descrive sullo sfondo della Parigi degli anni venti un conflitto tra madre e figlia. La Nemirovsky è morta ad Auschwitz. La Nemirovsky viene proposta anche da Castelvecchi che stampa ‘Nascita di una rivoluzione’, un racconto che trae ispirazione dalla rivoluzione di ottobre delle cui vicende la Nemirovsky, ucraina prima di essere naturalizzata francese, fu testimone oculare. RICCARDO CALIMANI lemme e Jaffa nel 1908. Queste ebbero sia il ruolo di emancipare gli ebrei facendoli confrontare sportivamente con altre realtà, sia di preparare fisicamente la giovane generazione per l'alià. L'immagine dell'ebreo malaticcio, dei ghetti, e tutto dedito alle attività intellettuali, trovava così un’altra prospettiva. La discriminazione prima, e lo sterminio poi, furono la reazione a questo tentativo di emancipazione anche fisica dell'ebraismo. E' così interessante verificare quali furono gli atteggiamenti del mondo sportivo di fronte alla Shoà, tra l'accondiscendenza al tripudio nazista delle Olimpiadi di Berlino, ai lodevoli episodi di solidarietà con gli atleti ebrei, neri o di altre "razze inferiori" a cui si impedì di gareggiare. Interessante l’episodio del pugile sinti Rukelie Trollmann che in Germania in piena epoca nazista prima di un incontro si tinse i capelli di biondo e si cosparse di farina per dileggiare la politica della razza ariana. Alcuni paragrafi del libro sono poi dedicati agli episodi surreali delle attività sportive all'interno dei campi di concentramento. Si possono anche trovare degli spunti per capire come il CONI, implementando nel 1942 al suo ordinamento le teorie razziali fasciste, parlava di attività volte al miglioramento della razza. Il libro racconta in maniera completa e ben informata (ottima la bibliografia) i successi sportivi di singoli ebrei o di team ebraici prima della Shoà. GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Pagine su pagine. Di ebrei e di cose ebraiche 29 CULTURA Quell’artista “enigmatica” Presenze e assenze, pieni e vuoti da colmare nell'installazione di Maya Attoun alla Givon Gallery di Tel Aviv Q GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 uesto mese parliamo di un’artista la cui personalità può essere sintetizzata con l’aggettivo “enigmatica”. Si tratta di Maya Attoun: nata a Gerusalemme, attualmente vive e lavora a Tel Aviv. Classe 1974, Attoun ha esposto in numerose gallerie internazionali tra cui la Sprechsaal gallery di Berlino (2015) e la galleria Marie-Laure Fleisch di Roma (2012), oltre che in importanti musei nazionali, dal Tel Aviv Museum of Art (2009) all’Israeli Museum di Gerusalemme (2011). Nel lavoro di Maya Attoun assume un ruolo centrale la linea. Che sia nel disegno, nell’incisione o nell’installazione sonora, viene sempre percepita come la superficie delle cose, capace di mettere sullo stesso piano caos e ordine, in un gioco di continui salti temporali in cui ambienti e scenari neogotici confluiscono nelle ansie del mito moderno. In questa sovrastruttura le assenze sono continuamente evocate, diventando presenze appena percettibili, gli 30 spazi vuoti fanno da contraltare ai pieni che adempiono al dovere di interagire con il pubblico. Si può così riassumere anche l’ultimo solo show di Attoun alla Givon Gallery di Tel Aviv, visitabile fino a gennaio, dal titolo Half Full (mezzo pieno). Per l’occasione l’artista ha letteralmente trasformato lo spazio della galleria in un duplex, appartamento famigliare su due livelli. Al piano terra vi sono la cucina e il soggiorno in un arredo minimal, dove campeggia la scritta al neon “hipertextualisation”, parola inventata che si riferisce all’influenza dei media e della tecnologia sulla vita. Su questo piano vi è anche una tenda, lasciando intendere che dietro nasconda un balcone. È curioso il pattern stampato su di essa in quanto si tratta della planimetria originale della galleria. Una scala di legno ci conduce al secondo piano dell’appartamento, ma prima di arrivare a questo possiamo ammirare lungo il muro una trentina di piccoli disegni incorniciati. La maggior parte delle immagini sono state scattate dall’artista attraverso Instagram, altre invece sono testi di libri. In ogni caso, tutti questi presentano un aspetto iperrealista, congelati in un bianco e nero dal sapore revivalistico. Il secondo piano si struttura in 3 camere e un bagno. Due ambienti sono completamente vuoti tranne che per un neon fortemente concettuale in cui è scritto “Ghost” (fantasma). La G è fulminata quindi quello che si legge è “Host” (ospite). Dunque ancora un rimando alle presenze, solamente evocate, percettibili anche dal rumore che proviene dalle stanze vuote di qualcuno che legge. Il bagno, infine, è interamente decorato da un finto piastrellato il cui motivo geometrico è interrotto da uno specchio circolare che riflette l’immagine conferendogli un aspetto ancor più psichedelico. Anche questo ambiente è caratterizzato da un suono che proviene da dietro lo specchio e allude ai rumori di un’altra stanza. Si tratta di una voce maschile atta a leggere per intero il libro Frankenstein, romanzo scritto da Mary Shelley nel 1818, a cui Maya Attoun si ispira ripetutamente. In questo spazio domestico, seppur ricostruito, centrale è la temporalità rappresentata da un nostalgico passato e un futuro che incombe, nostro malgrado, mutando quanto è stato, appropriandosi degli spazi, riempiendo i pieni. Il vuoto, si sa, è quanto ci viene lasciato da un passato a cui non si può rimediare, alla nostalgia, alle perdite incolmabili. Il vuoto rallenta così il progredire del tempo, per diventare una eco, in alcuni momenti appena percettibile, in altri presenza quasi tangibile. Attoun costruisce un vero e proprio set ambientale, un environment direbbero gli addetti ai lavori, dettando le condizioni per un’esperienza di visualizzazione dove si vede senza guardare in profondità. Così ci si lascia trasportare dalle parole che diventano immagini e viceversa, dai suoni che diventano presenze, dal tatto che inganna l’occhio e la mente. In questo modo l’artista mette in scena una dimensione illusoria scandita da un tempo che è quello di fruizione, quello trascorso nella realizzazione dell’opera dalla fase progettuale al suo compimento, quello interiore che si definisce nella ricerca costante di creare una connessione tra dentro e fuori. Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, dipende dal punto di vista da cui si guardano le cose. L’artista preferisce il pieno e questa potremmo definirla una mostra “full” in tutti i sensi. GIORGIA CALÒ STORICA E CRITICA D’ARTE Dan Uzan, un eroe di Israele e della Danimarca L a Danimarca ha ricordato lo scorso dicembre l’eroe israeliano Dan Uzan z.l., che nel febbraio dello scorso anno ha fermato un terrorista islamico. Con il sacrificio della sua vita ha salvato le persone che celebravano il bat mitzvah di Hannah Ben Tov nella sinagoga di Copenaghen. I lettori del giornale Berlingske Tidende, uno dei più importanti in Danimarca, insieme con una giuria, hanno eletto Dan Uzan l’uomo dell’anno, con grande scarto rispetto agli altri nove candidati. Alla cerimonia ha partecipato anche Lars Løkke Rasmussen, il primo ministro danese che ha consegnato il premio al padre di Dan, Sergio Mordechai Uzan. YAARIT RAHAMIM Celebri i suoi travestimenti e le sue indagini. Dopo la liberazione, riuscì a recuperare i documenti della prigione nazista di via Tasso e a consegnarli alla Comunità ebraica L a storia professionale e internazionale, la vita personale e avventurosa di Giuseppe Dosi fanno di lui per genialità creativa e inventiva una personalità tra le più interessanti della storia della polizia europea, un poliziotto che ha sviluppato percorsi scientifici investigativi, con esempi e metodi di modernità sgomberi da pregiudizi, al di là di metodi repressivi e antiquati. Un uomo e un poliziotto accompagnato da qualità psicologiche e umane. Creò e inventò con doti culturali eccezionali una nuova visione della polizia, proiettata tra ricerca scientifica e il confronto dei diversi strumenti e linguaggi acquisiti nel bagaglio professionale. Fondatore della polizia italiana dell’Interpol nel dopoguerra, nel complesso periodo della ricostruzione, fu molto stimato all’estero soprattutto dalla polizia americana. Era nato a Roma il 18 Dicembre 1891; fu allievo di Salvatore Ottolenghi, fondatore della Scuola di Polizia Scientifica nel 1910. Le lezioni di medicina legale di Ottolenghi alla Sapienza segneranno la sua formazione e carriera prodigiosa. Grazie al suo amore per il palcoscenico utilizzerà metodi di travestimento nelle indagini che dovrà affrontare, memore dell’esperienza teatrale. Parlava l’inglese perfettamente, il francese, il tedesco. Esperto in casi complicati finirà per definire il suo lavoro “fregolismo detectivistico”. Diventerà perfino Regio Console e, nell’inchiesta sull’ex imperatore d’Austria Carlo d’Asburgo, sarà al servizio della polizia italiana e austriaca. Il caso che lo renderà noto, sarà la storia di un innocente: Gino Girolimoni, accusato di alcuni delitti sessuali contro bambine nel quartiere Prati di Roma. Sarà un cruccio e tormento per lui, ma il fascismo esigeva e necessitava di un capro espiatorio. Il vero assassino pedofilo si scoprirà essere il pastore anglicano Ralph Lyonel Brydges. Dosi pagherà caro le sue verità. Il regime non lo tollerava più. Arrestato Dosi, verrà internato per 17 mesi nel manicomio criminale di S. Maria della Pietà. Nel gennaio 1941, uscirà da questa SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO ELETTRAUTO AUTO DIAGNOSI MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] dolorosa esperienza segnato fortemente. Il 4 giugno 1944, alla Liberazione di Roma, si recherà in via Tasso, comando di sicurezza delle SS e prigione in mano a Kappler, a Priebke e ai loro camerati. La folla dei romani assaltata e saccheggiata la prigione nazista disperderà i materiali degli uffici dei nazisti. I tedeschi nei giorni precedenti all’arrivo degli Alleati avevano bruciato e asportato montagne di documenti. Dosi si renderà conto del valore storico di quei documenti, tracce e prove dei misfatti e dei crimini commessi e salverà la documentazione risparmiata dal saccheggio con l’aiuto di un giovane tedesco di origine svizzera. Fece giungere una parte della documentazione degli ebrei perseguitati, trucidati alle Fosse Ardeatine (24 Marzo 1944), e dei deportati, alla Comunità Ebraica di Roma. I documenti verranno destinati successivamente all’Archivio storico. Molte di queste storie sono state raccolte nel secondo quaderno pubblicato dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato (2014), a cura di Raffaele Camposano con i contributi di esperti, studiosi e testimonianze. Segnalo le pregevoli e intelligenti pagine di Maria Letizia Dosi che vanno oltre il semplice racconto familiare, senza inceppare nel sentimentalismo e l’autoreferenzialità. Un testo di qualità e freschezza del ricordo, di dignità italiana, verso un Giusto, al servizio più della giustizia e della verità, che della polizia corrotta di regime. Un altro poliziotto, come quel Giovanni Palatucci imbarazzante, scomodo, ribelle e fuori da qualsiasi schema di potere, tutti e due protesi verso una verità perennemente pericolosa. Il lavoro di Alessia A. Glielmi sull’archivio di Dosi offre una panoramica completa di un’eredità valorosa ed un impegno storico. La ricostruzione di Natale Fusaro aiuta i lettori ad affrontare una lettura coinvolgente del personaggio. Molti meriti vanno a Ornella Di Tondo senza il cui contributo questo primo quaderno dedicato a Giuseppe Dosi, non avrebbe raggiunto i risultati storico-scientifici di cui oggi disponiamo. Con un ritardo a dir poco scandaloso Giuseppe Dosi ha iniziato la sua nuova vita e la sua entrata ufficiale nella storia della polizia europea. Egli viveva nella memoria di pochi che non avevano dimenticato il nome e l’opera di verità e giustizia. Il volume è stato presentato alla Scuola Superiore di Polizia nell’aula Vincenzo Parisi, mercoledì 18 novembre 2015. GEORGES DE CANINO Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Dosi, il poliziotto-attore che inventò l’Interpol 31 ROMA EBRAICA La dura ricetta per sopravvivere: riduzione delle spese ed aumento delle entrate Lo spiega ai lettori di Shalom, l’Assessore al Bilancio della CER Roberto Coen R GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 oberto Coen è il nuovo Assessore al Bilancio della Comunità Ebraica di Roma. Lo abbiamo incontrato chiedendo di spiegare quale è la situazione economica e finanziaria della Comunità 32 Quali sono le condizioni delle ‘casse comunitarie’? Al nostro insediamento, l’esposizione bancaria, ovvero debiti verso le banche, ammontava ad € 6.500.000 circa. Come si chiuderà il bilancio consuntivo del 2015? Malissimo, il disavanzo fra entrate ed uscite e quindi la perdita dell’anno 2015, sarà di circa € 1.150.000. Come si è giunti a questo risultato tanto negativo? Il disavanzo è stato determinato dal fatto che: senza alcun impegno scritto da parte dell’Ospedale Israelitico, è stata prevista l’entrata di € 950.00, a fronte di spese per ordinaria amministrazione; tale importo non ci verrà versato a causa dello scandalo che ha colpito l'Ospedale. A questo mancata entrata va poi aggiunta la perdita strutturale delle attività della CER. Fino ad alcuni anni fa i bilanci erano sostanzialmente in pareggio. Da cosa nasce secondo te questo indebitamento? Cominciamo dagli aspetti positivi, le entrate sono aumentate di circa due milioni: uno proveniente dall'affitto della ex Scuola Polacco e quasi uno proveniente dall'Ospedale Israelitico; se la prima, però, era un'entrata sicura perché vi era un sottostante contratto di locazione, la seconda non poteva essere sicura, perché dipendente dalla volontà di un altro Ente, e perché non c'era un impegno scritto da parte dell'Ospedale; nonostante questo, le spese ordinarie sono aumentate notevolmente tenendo conto di una entrata non certa. Si è poi, purtroppo, verificato quanto alcuni di noi temevano e cioè che l'Ospedale non potesse versarci il contributo, ma ormai le spese sono state sostenute. Quali settori hanno visto aumentare le spese? Credo che l’aumento maggiore sia stato nel settore del Culto. Nel 2007 le spese ammontavano ad € 707.000 e nel 2009 erano salite ad € 1.336.000, nel 2011 ad € 1.590.000 e poi sono rimaste sostanzialmente le stesse. Anche le spese per la kasheruth sono notevolmente cresciute perché l’aumento del consumo della carne impone la necessità di avere due shochetim ed uno viene tutte le settimane da Israele. Cosa si pensa di fare per evitare la perdita anche nel 2016? A mio avviso si dovrebbero razionalizzare le spese, in modo da poter garantire, auspicabilmente, gli stessi servizi ma con costi più bassi. L'extrema ratio dovrebbe essere la riduzione dei servizi che offriamo ai nostri iscritti, e ciò per evitare di aumentare le entrate e cioè tributi e rette scolastiche. D'altronde non abbiamo alternativa, se diminuiscono le entrate non possiamo che ridurre le spese di pari importo. D'altronde, dobbiamo prendere atto che gli iscritti alle nostre scuole sono diminuiti negli ultimi anni di oltre 200 ragazzi - anche per effetto delle alyoth - e noi dovremmo proporzionalmente ridurre il personale docente e non, del nostro istituto ed in futuro si riverbererà anche sulle nostre entrate da tributi; 2) larghi settori della nostra Comunità, commercianti (am- bulanti e non), imprenditori, professionisti sono stati colpiti dalla crisi economica degli ultimi anni ed hanno subito una riduzione delle proprie entrate. Si potrebbero ridurre o tagliare i servizi offerti dalla Comunità? È difficile fare esempi perché qualsiasi taglio di spesa è doloroso perché significa ridurre i servizi o diminuirne la loro qualità. Penso, però, che tutti i comparti debbano essere coinvolti, senza pregiudizio ideologico ma con il solo intento di far quadrare i conti, seppure tenendo conto che siamo una Comunità e non un'azienda. Devo riconoscere che oggi non ridurrei le spese che sosteniamo per la sicurezza dei nostri ragazzi. Alcuni pensano che per ridurre le spese, si potrebbe o abolire il mensile Shalom o trasformarlo in un giornale solo on-line. Cosa ne pensa? Sono contrario a tale iniziativa. Shalom, da quasi 50 anni, arriva nelle case dei nostri iscritti ogni mese ed è un appuntamento a cui molti sono affezionati, magari iniziano a sfogliarlo verso destra a cominciare dall'ultima pagina, e leggono prima le lettere del Direttore, poi le pagine in cui si elencano le nascite ed i matrimoni. Per molti, e penso alle persone anziane o a chi non è attrezzato telematicamente, significherebbe non essere più raggiunti e perderebbero l'unico punto di contatto con la CER a parte la cartella delle tasse Quello che farei, però, è introdurre un prezzo simbolico di un euro al mese per riceverlo. Spesso le cose gratuite non vengono apprezzate come dovrebbero. C'è un settore in cui Lei aumenterebbe le spese? Personalmente penso che per i giovani over 18 si faccia ancora poco. Penso che bisognerebbe investire di più per dare loro maggiori occasioni di incontro, ma per poterlo fare bisognerà attendere che i conti siano nuovamente in ordine. Per aumentare le entrate come pensa di intervenire? Le uniche entrate che noi possiamo modificare, con sostanziali risultati, sono i tributi e le rette scolastiche. Il gettito dei tributi negli ultimi sette anni è diminuito ogni anno. È vero che abbiamo avuto la crisi economica più profonda dal dopoguerra ma è anche vero che qualcosa di più si sarebbe potuto fare. Probabilmente sarà necessario riformare l'intero settore ed applicare regole più chiare, magari stabilendo un contributo fisso minimo uguale per tutti, per poter usufruire dei servizi comunitari. Le rette scolastiche, invece, sono rimaste sostanzialmente le stesse e coprono solo un terzo del costo per ogni studente. Le rette scolastiche delle scuole Ebraiche di Milano sono il triplo delle nostre, ma la nostra priorità in questo momento deve essere quello di ridurre le spese. È ottimista? Sarà possibile arrivare al pareggio del bilancio? Si, sono convinto che si possa raggiungere. Stiamo passando un periodo difficile sia per quanto accaduto al nostro Ospedale sia per le tensioni internazionali ma credo che nostra Comunità abbia al proprio interno le risorse per farcela. È una Comunità sana, vivace, che riesce a fornire tutti i servizi di cui una Comunità Ebraica deve dotarsi; occorre, però, la volontà politica ed uno sforzo comune da parte di tutti i nostri iscritti per avere conti in ordine e non lasciare ai nostri nipoti debiti da pagare. G.K. Notizie dal Consiglio Il progetto di rilancio dell'Ospedale Israelitico e la costituzione del Comitato d’onore per le celebrazioni dei 50 anni degli ebrei libici a Roma Alberto Sed, eroe della nuova Italia D all’ottobre dello scorso anno, Alberto Sed è divenuto un Eroe della nuova Italia, ricevendo dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Alberto Sed è un sopravvissuto della Shoah. Testimone dei campi, per anni non riuscì a parlare della sua esperienza. Cercava invano di seppellire i ricordi delle atrocità subite. Una prima rivincita è quindi avvenuta con la creazione di una famiglia, fondata sui valori di amore e affetto che a lungo erano mancati nella sua vita. La sua vita cambia radicalmente quando incontra il Colonello dei Carabinieri, Roberto Riccardi. Rifiuta più volte la proposta di Riccardi di mettere per iscritto i suoi ricordi. Il Colonello - com'è solito chiamarlo Sed - però, è ancor più tenace. Non demorde e, con pazienza, ascolta le lacrime e i ricordi dolorosi del sopravvissuto. Da quell’incontro sono passati otto anni. In questo periodo, Alberto Sed ha allestito una stanza intera di onorificenze ricevute da alti esponenti o da umili studenti. Durante questi anni infatti Sed ha proseguito con forza il suo progetto educativo, cercando di raggiungere quanti più ascoltatori per poter esporre i suoi ricordi. E’ stato invitato in tutto il territorio italiano da scuole, carceri, centri culturali, conventi; informando sulle atrocità di Auschwitz e creandosi al tempo stesso amici di lunga durata grazie alla sua personalità serena e giocosa. Questo è il modo in cui Alberto Sed combatte per sradicare l’ignoranza di chi sa poco e nulla della Shoah. E’ un percorso difficle e lungo, ma non si è mai arreso e nonostante l'età ha continuato a girare per le scuole. Ora Alberto è un Eroe, premiato per il suo lavoro di divulgazione tra i giovani, ma Alberto Sed non dimentica che tutto ha avuto inizio dal lavoro svolto dal Colonnello Roberto Riccardi. Senza la sua stesura del libro, nulla di tutto questo sarebbe potuto accadere. MICOL SONNINO Festa per i 90 anni di Zi’ Pucchio P er festeggiare i 90 anni di zio Pucchio (Alberto Mieli) e la sua recente laurea honoris causa in storia, i suoi amici e parenti si sono riuniti al Circolo i ragazzi del ’48, per una piccola messibah. Zio Pucchio è stato festeggiato con un giorno di ritardo, visto che il 22 dicembre, giorno del suo compleanno, ricorreva il digiuno del 10 di Tevet. Tante le persone che insieme ai familiari sono venute per fare gli auguri a zio Pucchio: il presidente Ruth Dureghello, Riccardo Pacifici e Baffone che hanno promosso questa iniziativa e tante altre persone accorse per condividere questo momento di festa. GIORGIA CALÓ GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 N ell’ultimo Consiglio della Comunità del 2015, svoltosi lo scorso 14 dicembre, è intervenuto il nuovo Commissario straordinario dell’Ospedale Israelitico, Alfonso Celotto, che ha lanciato un segnale di speranza ma anche una certa preoccupazione per il ritorno alla normale attività. “Sono convinto che riapriremo – ha spiegato – ma permane un quadro di incertezza che dipende da una serie di procedure e di iter della burocrazia”. Ed infatti alla vigilia di Natale – ultimo giorno utile per evitare la chiusura - l’Ospedale ha ottenuto le prime autorizzazioni da parte della Regione cosa che ha così consentito la riapertura della sede all’Isola Tiberina, cui seguiranno le riaperture di via Veronese e di via Fulda. Un ospedale - ha ricordato Celotto - che prima del blocco incassava 150 mila euro al giorno ed effettuava 3.000 visite giornaliere. “La luce in fondo al tunnel l’abbiamo raggiunta - ha spiegato Celotto - e finalmente si può pensare a quelli che saranno il rilancio e la ristrutturazione dell’ospedale. La fase più difficile viene ora. Dobbiamo metterlo in condizioni di vivere. È difficile, ma ce la faremo”. Fra queste difficoltà la necessità di completare la nomina del secondo commissario, di nomina prefettizia: si tratta di Massimo Russo, designato dal prefetto Gabrielli il 2 dicembre scorso. Massimo Russo è però un magistrato e per entrare nel suo nuovo ruolo ha bisogno del nulla osta del Consiglio Superiore della Magistratura. Il nulla osta ancora non è arrivato. In Consiglio è seguita poi una relazione del capo rabbino rav Di Segni che ha sottolineato la partecipazione con grande entusiasmo dei vertici della Comunità all’accensione della Hanukkià organizzata dal movimento Chabad in piazza Barberini, “per dare un senso di unità e serenità”. Rav Di Segni ha poi brevemente illustrato l’importante documento del Vaticano sui rapporti della Chiesa con l’ebraismo, “un documento complesso che va studiato”. Il Consiglio ha poi provveduto alla ratifica dei nuovi revisori dell’Ospedale Israelitico nelle persone di Roberto Di Veroli, Ugo Besso e Riccardo Bauer. Come membro supplente è stato indicato Cesare Gattegna, mentre il secondo membro verrà nominato successivamente. Il Consiglio ha poi nominato il consigliere dello Sportello antiusura, Fabrizio Della Riccia e ha nominato i nuovi consiglieri della Casa di Riposo: Settimio Pavoncello detto Sergio e Livio Tagliacozzo, in sostituzione dei dimissionari Vito Kahlun e Marco Raccah. Infine, per dare avvio alla programmazione delle attività legate alla celebrazione per i 50 anni della presenza degli ebrei di Libia a Roma che si svolgeranno nel 2017, si è provveduto a costituire un Comitato d’onore formato dal presidente Ruth Dureghello e dai consiglieri Giorgia Calò, Claudia Fellus, Roger Hannuna e inoltre da David Zard, Sion Burbea, Mayer Nahaman, Avner Flavio Hannuna, Shalom Tesciuba, Rav Joseph Arbib, Mario Toscano, Jack Luzon, David Mantin, Elio Raccah e Huani Mimun. G. K. 33 ROMA LIBRIEBRAICA Una festa contro la paura L’accensione pubblica della channukià perché il terrorismo non ci deve condizionare C entinaia di persone sono giunte a Piazza Barberini a Roma domenica 6 dicembre per la prima sera di Chanukkà. L’accensione pubblica organizzata dai Chabad Lubavitch è stata l’occasione per dimostrare che né il clima di tensione che si è venuto a creare dopo gli attentati di Parigi, né l’imponente spiegamento di forze dell’ordine alla vigilia del Giubileo hanno frenato la voglia di vivere della gente. Non la si vuole dare vinta ai terroristi: questo è stato quanto hanno affermato i presenti. Ebrei e non, molti romani ma anche francesi, americani e israeliani: una folla eterogenea è stata quella giunta a celebrare un appuntamento che si ripete ormai dal 1987 e che si realizza contemporaneamente in molte città del mondo. Quest’anno la novità è stata rappresentata dalla Cambogia: si è così allargato il panorama a cui l’organizzazione dei Lubavitch può indirizzare il messaggio di Chanukkà, una campagna iniziata negli anni ’70 con il Rabbino Menachem Schneersohn. “Che queste fiammelle possano tornare a brillare” Un significato in più per l'accensione della channukià nell’Ospedale Israelitico S Numerose le autorità presenti: il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, l’Ambasciatore d’Israele Naor Gilon, il Commissario del Comune Francesco Paolo Tronca, la Consigliera Regionale Maria Teresa Petrangolini; il Presidente della Comunità Ruth Dureghello nel suo discorso ha voluto sottolineare l’importanza dell’iniziativa in un momento particolarmente delicato, affermando che in questa serata sono riusciti a prevalere i valori di civiltà e democrazia. Un pensiero lo ha poi dedicato alle vittime di Parigi e a Nathan Graff, l’ebreo 40enne accoltellato a Milano. A presentare la serata e a condurre l’accensione della prima candela della chanucchià, ovviamente, Rav Yitzchak Hazan. Dopo i discorsi di rito, i presenti si sono trattenuti a festeggiare con balli e canti tipici della festa, mentre degustavano le sufganiot che venivano distribuite. Una risposta forte alle tensioni delle ultime settimane: quest’anno il messaggio di Chanukkà e le sue luci hanno avuto così un significato ancor più profondo del solito. DANIELE TOSCANO GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Festa di Chanukkà per i giovani 34 S i è tenuta domenica 6 dicembre al Palazzo della Cultura l'annuale festa di Chanukkà del Dipartimento Educativo Ufficio Giovani, con la partecipazione dei movimenti giovanili ebraici Hashomer Hatzair e Bnei Akiva. Forte la solidarietà e in tanti hanno donato giocattoli, libri, sufganiot o semplicemente partecipato come volontari. Una piramide di giocattoli accoglieva quindi i bambini nello spazio del cortile della scuola. Lo stesso spirito di solidarietà ha caratterizzato la campagna "Adotta un libro" del DIPEDUC con cui è stato possibile donare libri ai bambini di diversi talmudei torà romani. La festa è stata divisa per tematiche: si poteva trovare uno stand i è svolta anche quest'anno, come di consuetudine, l’accensione pubblica della channukià nell’Ospedale Israelitico, con il coinvolgimento dei medici, del personale sanitario, dei pazienti e dei membri della Comunità Ebraica di Roma. La cerimonia, svoltasi nella sede dell'Isola tiberina, il quarto giorno di Channukkà, è stata quest'anno fortemente simbolica, "portatrice di luce e di speranza" - come l'ha definita il commissario straordinario Alfonso Celotto - "i cui significati assumono un valore ancora più profondo in queste ore in cui" - come ha annunciato - "siamo in procinto di riaccendere anche i servizi di questo antico Ospedale Israelitico che sin dal 1600 presta la sua opera a Roma." Usato anche dal ministro della salute, Beatrice Lorenzin, il parallelismo con la festa ebraica, che si è augurata che "queste fiammelle possano tornare a brillare"; e dal Rabbino Capo Riccardo Di Segni: "c'è sempre una boccetta di olio puro che rappresenta la continuità, il miracolo deve ripetersi qui, lo stiamo aspettando". Era presente all’evento anche Ruth Dureghello, presidente della CER, che ha ricordato come “il primo pensiero sia per i pazienti” essendo l’ospedale “un punto di riferimento”, in cui lavorano “centinaia di persone qualificate”, augurandosi che “possa rinascere in modo ancora migliore”. Anche l'accensione stessa della Channukkià è stata altamente significativa: lo Shammash è stato acceso dal commissario straordinario, la prima candela dal Rav Di Segni, la seconda dall'ambasciatore Israeliano a Roma Naor Gilon, la terza dalla Dureghello, e la quarta "da una dipendente dell'ospedale di religione ebraica", perché come è stato sottolineato "non tutti i dipendenti sono di religione ebraica". SARA HABIB con attività educative e creative sulla storia, sulle halachot, sulle tradizioni; educatori giravano sulla piazza cantando e ballando. Non sono mancati inoltre spazi con giochi e strategie di decisione nei giochi proposti dal Bene Akiva e dal Hashomer Hatzair. A rendere l’ambiente ancor più accogliente e gioioso era il dj, capace di far ballare mamme e papà e far battere le mani piene di colla dei bambini. La attività più entusiasmante per i piccini è stata il bingo, che aveva come premio i giocattoli della piramide. Nello stesso giorno si è tenuta nell’Oratorio di Castro, a Via Balbo, la tradizionale cena annuale di Hanukkà per le famiglie frequentanti il tempio, con gli interventi del Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni e dei rabbanim Gianfranco Di Segni, Alberto Piattelli e Enzo Di Castro. MICOL SONNINO Tempio dei giovani, il tempio della ‘forza’ L a festa di Chanukkà di questo anno segna un anniversario importante per il Tempio dei giovani. Trenta anni fa, durante la festa di Chanukkà, di mozzè shabbath, con una solenne cerimonia, veniva rimessa in uso la sinagoga della vecchia casa di riposo ebraica, voluta nel 1937 da Rav David Prato. Con l’acquisizione dell’immobile di via Fulda negli anni Settanta, il tempio venne chiuso, perché gli anziani furono trasferiti nella nuova struttura della Magliana. Nel 1985 Rav Toaff, di comune accordo con l’allora presidente dell’Ospedale Israelitico, Santoro Coen, decise di dare nuova vita alla vecchia sinagoga dedicata a due personaggi molto amati dagli ebrei romani: Rav David Panzieri, che grazie alla sua opera permise di svolgere le officiature anche nel 1944, durante l’occupazione nazista, e Amadio Fatucci, officiante trucidato alle Fosse Ardeatine. Durante la cerimonia mi resi conto che in realtà la riapertura era più un espediente per bloccare uno sciagurato progetto di un ricco signore inglese che voleva far cacciare l’ospedale per creare al suo posto un fantomatico museo dell’Isola Tiberina e del Tevere. A quel punto, in modo molto coraggioso e azzardato, dopo uno sguardo d’intesa con alcuni amici, mi feci dare le chiavi e annunciai che avremmo creato il.....’Tempio dei giovani’, senza sapere in realtà di cosa si trattasse realmente. Fu un inizio abbastanza difficile, per certi aspetti anche contrastato, ma che nel corso del tempo ebbe grande successo. Le funzioni furono sempre molto frequentate e si segnò un modo diverso di interpretare un bet haqneseth: non solo preghiere, ma anche studio e socializzazione. Da quella esperienza si sono creati altri due batté haqneseth: il Beth Shalom nel quartiere Marconi e il Beth Michael a Monteverde, due templi sempre molto frequentati e molto attivi anche nelle attività culturali e sociali. In pratica si era cambiata una tendenza, non più una struttura statica in attesa di frequentatori, ma strutture dinamiche che andavano incontro alle esigenze degli ebrei che ormai non erano più concentrati nel vecchio quartiere ebraico. Quel l’impegno iniziale era servito a creare anche una classe dirigente più consapevole di tematiche ebraiche, con un impegno non solo nello studio, ma anche nella gestione comunitaria. Oggi, a trent’anni di distanza, noi, che come ci ha definito la presidente Ruth Dureghello, siamo “diversamente giovani”, sentiamo la necessità di creare un nuovo progetto che faccia diventare nuovamente questa sinagoga un tempio dei giovani. Stiamo provando a creare un nuovo gruppo e il serbatoio naturale non può che essere la scuola ebraica, dove la gestione delle tefilloth e delle attività culturali sia totalmente gestita dai giovani della nostra comunità, che con umiltà vengano a studiare i canti romani, che mantengano le tradizioni romane, sempre più “contaminate” da influenze esterne, ma che siano sempre in sintonia con l’halachà. Dicono i Maestri del Pirqè Avoth: “ ... בן שלושים לכח...”, i trent’anni sono quelli della forza. In questo momento abbiamo veramente bisogno di una grande forza per affrontare questa sfida, vista la crisi economica, di valori, identitaria e le difficoltà che alcune nostre istituzioni stanno vivendo, ma se Rav Panzieri ha sfidato e avuto la meglio sui nazisti, noi, forti del suo insegnamento, possiamo farcela. Con questo spirito sabato 12 dicembre abbiamo festeggiato questi trent’anni allo Sheraton Hotel e colgo l’occasione per ringraziare la direzione dell’albergo per il trattamento, con una bellissima festa, con ottimo cibo, musica bellissima e soprattutto tanta gioia. Un ringraziamento particolare alle belle parole sincere della Presidente della Cer Ruth Dureghello e del Rabbino Capo, Rav Riccardo Di Segni. SANDRO DI CASTRO Da Roma la solidarietà al piccolo Yotam Tra i tanti aiuti va segnalata l’iniziativa partita da Roma, nata “dall’idea di un gruppo di amici" che si sono attivati e nel giro di pochi giorni hanno creato, con il passa-parola, una catena di solidarietà: sono stati raccolti ben 7.000 euro ma soprattutto 250 chili tra giocattoli, peluche, abiti, disegni, materiale per la didattica, ecc. (che sono stati inviati grazie alla collaborazione dell'El Al e che verranno consegnati con la collaborazione di alcuni italkim che vivono a Gerusalemme). “Il messaggio che volevamo mandare – ha spiegato uno degli organizzatori – era di togliere qualcosa ai nostri figli, per donare qualcosa ad un altro figlio. Un messaggio che tutti hanno compreso, i bambini sono venuti accompagnati dai loro genitori”. “Quando poi abbiamo contattato l’Ospedale Hadassah per organizzare la consegna del materiale – spiegano gli organizzatori – all’inizio la sig.ra Hadar Elboi, responsabile delle relazioni, non credeva alle sue orecchie ed è rimasta molto colpita dalla nostra iniziativa". "Una grande mitzvà, una solidarietà concreta - ha sottolineato il vice presidente della Cer, Ruben Della Rocca - che dimostra lo straordinario lavoro svolto dai volontari. Sono queste iniziative spontanee che costituiscono la ninfa vitale della nostra Comunità". Ferito gravemente in un attentato a Gerusalemme, ha ricevuto una montagna di doni e regali. Una bella iniziativa nata da un gruppo di volontari L o scorso 14 dicembre un attentatore palestinese si è lanciato con la sua autovettura contro un gruppo di persone in attesa alla fermata di un autobus a Gerusalemme. La violenza dell'urto dell'auto lanciata a forte velocità, ha persino sradicato un idrante ed ha ferito in modo molto serio 11 persone, fra di esse un bambino di appena 18 mesi, Yotam Shmuel ben Yael. A causa delle ferite riportate, al piccolo Yotam è stata necessaria amputare un gamba, un intervento che lo lascerà fisicamente invalido ma attorno al bambino si è subito attivata una rete di sostegno e di aiuto per dare solidarietà a lui e alla famiglia, immigrata recentemente dalla Francia. GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Celebrati i 30 anni di una sinagoga che oggi cerca un nuovo progetto per avvicinare allo studio e alla preghiera le nuove generazioni 35 ROMA LIBRIEBRAICA Incontro in Campidoglio per imparare ad insegnare S i è tenuto, lo scorso novembre nella sala della protomoteca in Campidoglio, un interessante seminario dal titolo “L’educazione metropolitana - Alleanze educative per la crescita della persona e delle relazioni sociali”. L’iniziativa è servita a mantenere vivo e progettuale il pensiero di quanti operano con e per i giovani, offrendo l’opportunità di diverse chiavi di lettura e occasioni di suggestione per contaminare sempre più, non solo le future politiche sociali e scolastiche ma anche le azioni quotidiane degli operatori di ogni ambito. E’ stato presentato il libro “La mappa e il territorio: ripensare l’educazione tra strada e scuola”, che riporta una serie di interventi riguardanti direttamente o indirettamente la metodologia dei Maestri di Strada. Il binomio interessante, suggerito da Cesare Moreno presidente dell’Associazione Maestri di Strada, era quello di ripensare ai piani educativi e ai piani sociali come ad un’unica possibilità di strada formativa, che non deve essere costruita separata e distante. Non si può investire pedagogicamente e politicamente in questa traiettoria, immaginando due mondi. Il pensiero sociale si intreccia con pensieri diversi, il pensiero del singolo deve essere per l’altro e quello dell’altro per il singolo; se non conosco me stesso non potrò capire chi ho davanti e in quest’ottica l’alleanza tra chi educa, chi vive e si muove nel sociale è strategica. Il lavoro svolto nel seminario in sottogruppi tematici di scambio e confronto (cui hanno partecipato la responsabile del Dipartimento Giovani Lidia Calò, insieme Alessandra Calò, Jessica Piazza, Karen Mieli, e Martina Terracina) ha proposto cinque parole chiave per ripensare l’educazione tra strada e scuola: 1. Educazione civile: educazione tra solidarietà umana e resistenza civile; 2. Periferie: educare le periferie ossia conoscere ed integrare ciò che sta alla periferia della mente, delle città e del mondo; 3. Pensare: far accadere il pensiero: la riflessività come comportamento sociale, il gruppo riflessivo come contenitore che può rendere possibile il pensiero; 4. Pedagogia errante: apprendere dai contesti, apprendere nelle transizioni, apprendere camminando; 5. Alleanze educative: per crescere un uomo è necessaria una città intera: alleanze educative per una educazione metropolitana. GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Israele e lo Spazio, un convegno al Pitigliani 36 I l 3 Dicembre Il Pitigliani ha ospitato l’incontro “Israele e lo spazio”, in cui è stato presentato un programma di ricerca spaziale del Technion e dell’Istituto di ricerca Asher Space, inoltre è stato firmato un accordo tra l’Università di Roma La Sapienza e il Technion stesso per l’equiparazione dei dottorati di ricerca. Il Technion è una delle più prestigiose Università Israeliane: nata nel 1912, la sua qualità ha raggiunto il culmine con l’arrivo degli scienziati scappati dalla Germania Nazista e, ad oggi, con i suoi 14 mila studenti è considerato uno dei più importanti centri di ricerca del mondo. Vi si studiava in lingua tedesca, in ebraico dopo la fondazione dello stato d’Israele e oggi tiene molti corsi di studio in inglese, fattore di grande attrazione per studenti provenienti da tutto il mondo. L'importanza di essere cittadini del mondo Molteplici le iniziative della scuola ebraica all’estero È ormai sempre più importante, nel mondo di oggi, avere una mentalità aperta, essere dei viaggiatori, conoscere più lingue. Sicuramente lo è nella visione delle scuole medie e superiori ebraiche, dove negli ultimi anni sono stati organizzati per gli allievi sempre più scambi culturali e campo-scuola all’estero. È attivo da ormai 4 anni il progetto per le terze medie, che prevede un viaggio d'istruzione di qualche giorno in una diversa capitale europea (di solito nell’area centro-orientale) per visitare la città e conoscerne la storia e la comunità ebraica, e soprattutto, un gemellaggio con la scuola ebraica del luogo, i cui studenti verranno poi in visita a Roma. Alcune delle città visitate (per ora Istanbul, Budapest, Praga, Bucarest e Berlino) sono inoltre mete molto poco turistiche, rendendo quindi il viaggio degli alunni un'esperienza unica per visitare nuovi posti. "È un progetto sul quale abbiamo massicciamente investito", dice il preside Rav Benedetto Carucci, "con questi viaggi gli studenti hanno la possibilità di conoscere coetanei di altri paesi, con una forma di educazione molto diversa. Tuttavia, essendo una scuola ebraica, il percorso è più semplice, nonostante tutto, c'è un retroterra comune". Simili i gemellaggi organizzati per il liceo, dove l'esperienza è però ancora più intensa. I ragazzi alloggiano infatti presso le case degli allievi del luogo, e ricambiano poi questi vengono in Italia. Le mete per ora sono state New York, e San Josè, in Costa Rica. Anche i campo-scuola “regolari” sono preferibilmente all'estero, gli alunni del linguistico si recano spesso in località dove si parlano lingue da loro studiate, mentre ogni anno tutti i ragazzi di secondo liceo vanno per due settimane in Israele. Viene inoltre supportato l’anno (o il semestre) di studio all’estero, di solito durante il quarto liceo, permettendo quindi agli alunni di vivere questa esperienza senza paura di future ripercussioni sul piano scolastico. "Fa tutto parte di una filosofia formativa nella quale viene molto valutata l'apertura" dice Carucci . "A volte la comunità ebraica di Roma pensa di essere un'entità autoreferenziale, visitando diverse comunità ebraiche è importante che gli studenti capiscano che l'ebraismo è legato alla tradizione locale, ma ha anche una dimensione globale". SARA HABIB “La visione profetica di Einstein ci ha portato dove siamo oggi, la battaglia per la sopravvivenza di Israele comincia dall’esperienza nel campo della tecnologia e dell’innovazione”, ha commentato l’Ambasciatore di Israele Naor Gilon. La prestigiosa realtà accademica del Technion rappresenta l’eccellenza Israeliana e con un accordo di equiparazione dei titoli permetterà una nuova apertura, nuovi sbocchi per gli studenti Italiani e l’avvio di una serie di attività e di progetti da condurre insieme. In rappresentanza dell’Asher Space Research Institute, è intervenuto il professor Pini Curfil, che ha presentato un nuovo progetto di tecnologia spaziale, il progetto SAMSON, a cui stanno lavorando congiuntamente questo laboratorio di ricerca e il Technion. Tale progetto è mirato alla costruzione e al lancio di tre nano-satelliti completamente autonomi, capaci però di operare nello spazio come un gruppo coordinato: si tratterebbe della prima costellazione di nano satelliti mai inviata nello spazio, un programma ambizioso sia a livello scientifico che geostrategico. REBECCA MIELI Foto Micol Funaro L’educazione metropolitana Organizzata dal KKL la conferenza “Georges Loinger racconta Exodus” “U n vero uomo” il protagonista dell’incontro del 29 novembre - anche anniversario dell’approvazione all’ONU del piano di ripartizione della Palestina, come ricordato all’evento - all’Hotel Quirinale, Georges Loinger, ebreo alsaziano, di ben 105 anni. “Un uomo che quando ha capito che erano in pericolo le vite dei bambini, non ha esitato a scappare da un “comodo” campo di prigionia per cercare di salvarli. Un uomo che ha camminato accanto a grandi della storia di Israele per decenni, senza mai dire di no ai progetti per migliorare il mondo” come lo ha definito Raffaele Sassun, presidente del KKL Italia, organizzatore dell'evento. "Ci sono forze malefiche che vogliono sottomettere il mondo occidentale" ha dichiarato legandosi all'attualità."Come diceva Einstein: 'Il mondo non sarà distrutto da chi fa del male, ma da quelli che guardano senza fare nulla', non è certo questo il caso di Loinger. Secondo il Talmud, in ogni generazione esistono 36 Zaddikim Nistarim, giusti nascosti. Persone speciali che grazie alle loro azioni giustificano davanti al Signore il diritto di esistenza del mondo, anche se il mondo è degenerato a livelli di barbarie totale"la poetica introduzione che gli ha riservato. "Questi Zaddikim, dopo aver compiuto le loro gesta, ritornano all'anonimato della vita normale, senza che la gente normale si accorga di loro. Ma chi è attento, ogni tanto, riesce a scoprire un Zaddik Nistar". “Il Signor Segre Amar Emanuel, presente all’evento, mi ha invitato prima a Torino, poi qui, perché non voleva uno storico, ma un testimone”, ha esordito Loinger. Incredibile è infatti la storia che ha narrato ai presenti. Portare il cielo in terra Il Fabrengen in ricordo di Rabbi Shneur Zalman di Liadi, primo Rebbe di Lubavitch Y ud Tet (19) Kislev, è una data molto significativa per il movimento Chabad Lubavitch, ricorda il rilascio dell'Alter Rebbe - Rabbi Shneur Zalman di Liadi, primo Rebbe di Lubavitch - da una prigione russa, e viene tradizionalmente festeggiata in tutto il mondo con dei Fabrengen. Anche a Roma se ne è tenuto uno, al palazzetto degli scout, organizzato da Chabad Lubavitch Roma. Ma cosa rende questa ricorrenza così speciale? "Questa data è considerata la 'Rosh Hashanà- Capo d'anno per la Chassidut' perché la liberazione del Rebbe rappresentava il segno che H. aveva approvato ciò che questi si prefiggeva di fare tramite la Chassidut, che fossero studiate le profondità della Torà, e che lo potessero fare tutti", ha spiegato alla serata il Dottor Yoav Dattilo. “La Chassidut non offre un percorso semplice, la soluzione facile è vana, non ha per noi valore, Arruolatosi nell'esercito francese, viene fatto prigioniero con i compagni di reggimento e portato in Germania, "lì eravamo tranquilli, protetti dall'esercito tedesco, nessuno lì scoprì mai che fossi ebreo, ero come gli altri. Addirittura, ogni settimana ci arrivavano dei pacchi di cibo dalle nostre mogli, dicevano che i tedeschi non sapevano cucinare”, racconta. Ma per amore della moglie decide di evadere, passando per Strasburgo, e si unisce alla resistenza ebraica, incorporata a quella francese, iniziando la sua opera di salvataggio. “Avevamo ricevuto molti soldi dagli americani per poter pagare delle famiglie francesi che ospitassero presso di loro dei bambini ebrei, ma alcuni ragazzi erano religiosi e si rifiutavano di vivere presso goim. Era un grande problema, dovevamo farli arrivare in Svizzera. Se il salvataggio è riuscito è stato anche grazie ad un soldato italiano, sono molto grato all’esercito italiano, che verso la fine del '42-'43 controllava il confine, e si è rivoltato, è andato contro Hitler". Finita la guerra ebbe poi un ruolo importante nell’affare Exodus, fu lui ad occuparsi delle modifiche necessarie a riadattare la nave, costruita per trasportare 500 persone in modo che ne potesse contenere 4500. “Allora ero il presidente della Compagnia di Navigazione Israeliana ZIM e ricevetti a Parigi la visita di due persone che parlavano ebraico. Mi dissero 'Noi sappiamo bene cosa sai fare, devi aiutarci'..... costruimmo nella nave anche dei motori speciali per farla andare più veloce". Gal Shachar di ZIM Italia, ha quindi rivolto all’ex presidente parole di lode e ringraziamento - “i tuoi successi sono diventati leggendari… Tu eri a capo della compagnia quando mosse i primi passi in Europa”. Nel 1959 poi, il gesuita Michel Riquet, amico di Loinger, deciso a dar vita a un atto simbolico di grande impatto di riconciliazione fra tedeschi e francesi organizzò il Primo Congresso Eucaristico, e affinché questa simbologia fosse davvero potente, volle che questo incontro avvenisse su una nave israeliana. Ci pensò ancora Loinger: come Direttore, nominato da Ben Gurion in persona, organizzò l'itinerario. Ultima tappa Barcellona dove gli ebrei erano stati cacciati nel 1492. SARA HABIB come tutte le cose, materiali e spirituali, non guadagnate con la fatica. E non dice: ‘Io ti porterò al cielo' anche perché, chi ha detto che bisogna arrivarci? H. non ci ha messo sulla terra per scapparne. La Chassidut ci mostra come portare il cielo in terra, come vivere nella realtà", ha poi sottolineato Rav Shalom Hazan, facendo chiarezza sulla vera natura della Chassidut. "Nella visione cosmica delle cose l'uomo ha un potere molto maggiore rispetto agli angeli, che sono uno strumento, programmati esclusivamente per svolgere il proprio compito. L'essere umano invece dispone di intelligenza, ha la possibilità di scegliere." "Cerchiamo di portare questi pensieri così alti terra-terra", ha esordito Rav Moshe Lazar, da Milano, ospite d'onore dell'evento, che si è invece concentrato maggiormente sull'aspetto pratico. "Diciamo sempre che il popolo ebraico è Chaii ve Kayam, perchè due verbi? Qual è la differenza tra i due? Uno significa vivere, l’altro esistere. C'è molta differenza tra i due: noi dobbiamo vivere ogni momento al meglio delle nostre capacità, non esistere aspettando che il tempo passi. L'obiettivo di questa serata è uscire accesi, per poter illuminare il mondo con la luce della Torà". SARA HABIB GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Uno Zadik nistar, un giusto nascosto 37 ROMA EBRAICA LA PILLOLA DEL MESE DOPO La rubrica anticonvenzionale da prendere quando la notizia è in "ritardo" Giubileo 2015: il risveglio della porta D iscreto afflusso di fedeli per il primo giorno di apertura della porta santa. Un po’ meno di quelli che ci si aspettava, visto che ne erano stati previsti 193,627 ma ne sono arrivati invece 10.000. L’arcano sulla discrepanza dei dati pare sia spiegato dal conteggio dei fedeli da parte della prefettura, effettuato in lire anziché in euro. Grandissimo invece il dispiegamento delle forze dell’ordine: polizia, carabinieri, vigili, guardia di finanza, GSSU, NOCS, Cisviaggiareinformati, forestale (vero! Ma non si sa mai, in questo periodo capita spesso di incontrare cinghiali aggirarsi per Borgo), volontari capitati e involontari malcapitati, tanto è vero che in un primo momento si è creduto fosse “Il giubileo delle forze armate”. Aggiunte in un secondo momento anche pattuglie di Stormtroopers, quelle di Star Wars per intenderci, ma faceva parte di un accordo segreto di collaborazione tra un alto prelato e l’imperatore del Lato Oscuro in persona. Presi alla sprovvista dal poco afflusso e totalmente inattivi, gli addetti alla sicurezza hanno cominciato ad effettuare perquisizioni tra di loro: “Da dove arriva?” “Apra il giubbetto antiproiettile”. Panico al momento della perquisizione corporale: “È armato, è armato!”. Una volta arrivati gli artificieri ed effettuati i dovuti controlli si è constatato che l’unica cosa che era scoppiata era il fegato dei negozianti, continuamente a braccia conserte. A proposito dei negozianti, a 10 giorni dall’inizio del giubileo, tirate le prime conclusioni: stampato subito in grande tiratura il giornale che rapporta l’anno santo ai problemi da questo causati al commercio al dettaglio, titolo “Giù bile e giubileo”. Nel frattempo, viste le brutte, anche il vicariato ha cominciato a correre ai ripari. Dietro pagamento di penali ha cominciato a disdire i contratti con note aziende, una fra tutte la Telemacom, con la quale aveva stipulato un accordo di portabilità dei pellegrini. Ultima, ma non per importanza, l’apertura di un sito internet creato appositamente per cercare di smaltire la merce religiosa ferma negli scaffali, dal nome “Giubilando”. Delusi anche i terroristi che, arrivati con tutte le buone intenzioni e pronti all’azione, non avendo trovato nessuno da terrorizzare hanno cominciato ad accoltellare ciò che gli capitava a tiro. Ne hanno purtroppo fatto le spese un povero poncho appeso sul gancio di un negozio, colpito al grido di allah achbar, e un ombrellone nero chiuso di un ristorante, scambiato per una terrorista con burqa all'arrivo delle forze dell'ordine. Increscioso poi quello che è accaduto ad un cameriere (vestito da cameriere ) che, alla domanda: “dove lavora?” ha risposto scocciato: “la’ al bar!!” ed è stato subito arrestato dai carabinieri. Alla fine di questo primo mese, dopo l’ennesima lamentela del tipo “Pe’ la santa porta se sbrigasse a finí sto giubileo”, è stato preso il primo immediato provvedimento: effettuato subito il cambio del nome, da “Giubileo straordinario della misericordia“ a “Giubileo della miseria straordinaria”. ATTILIO BONDÌ Passata di pomodoro kosher: un prodotto tutto italiano market (non kasher).Questa vendita segue di alcuni mesi la cessione, avvenuta alla vigilia dell’attentato all’Hypercacher Vincennes, dell’omonima catena, passata dalle mani dell’imprenditore delle carni Emsalem alla famiglia Mimoun. A sparigliare ulteriormente le carte l’ingresso in campo di un grossista/distributore, che ha aperto cinque punti vendita al pubblico con l’insegna Family Cash. MOSE SILVERA @Uomodelvino GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 L 38 e conserve a base di pomodoro sono un prodotto di nicchia perché l’azienda di cui trattiamo nello specifico, la calabrese Tenuta Agricola Monterosso, è specializzata nell’uso esclusivo di pomodori datterino e ciliegino, di coltivazione locale, in alcuni casi bio, quali base per sughi, salse e passate. Questa azienda si sta affermando nel mercato premium con il marchio commerciale Agromonte, ed abbiamo voluto chiedere al suo direttore commerciale Fabio Turtula cosa abbia spinto l’azienda ad aggiungere la Certificazione Kasher a cura della Orthodox Union:“La scelta di Agromonte di certificarsi Kosher nasce, da un lato, dalla richiesta da parte di alcuni clienti francesi che già operano nel mondo Kosher, dall’altro, dalla consapevolezza che una certificazione come quella Kosher oggi possa essere, sicuramente, un buon viatico per l’apertura di mercati dove entrare con prodotti convenzionali sarebbe più difficile. Oltre alla certezza che Kosher vuol dire qualità, vuol dire controllo rigido dei processi e standard molto alti”. E’ importante, per evitare di creare confusione nei consumatori, specificare che non tutti i prodotti a marchio Agromonte già reperibili nei negozi di gastronomia e nella grande distribuzione organizzata sono kasher ma l’azienda ha dato disponibilità per il futuro e compatibilmente con le esigenze del processo produttivo, in particolar modo l’esaurimento delle etichette già in giacenza, di apporre sulle nuove produzioni dei propri prodotti certificati il logo OU. Per il momento i prodotti kosher sono reperibili nel circuito kosher muniti di uno sticker riportante la Certificazione. Da segnale alcune novità dal mondo kasher. Molto fermento in Francia, per la decisione di Franck Naouri di vendere la seconda catena di supermercati Casher nazionale, cedendo la maggior parte delle superfici al gigante della GDO Casino, che li riconvertirà in city Allestimenti eventi con buffet dolci e salati Dolci per shabbath • Kiddushim per i Templi Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes Via Michelangelo Pinto 10/16 - Tel. 06.6531328 Via del Portico d’Ottavia 1A - Tel. 06.69309396 www.koshercakes.it - cell. 393.8598192 Un personaggio in cerca d’autore Q uando Berto aprì l’edicola quella mattina, nulla lasciava presagire la singolare esperienza che lo attendeva. Come ogni giorno dispose la mercanzia sui banchetti, sciolse i pacchi dei giornali, preparò le rese delle copie invendute. Poi dette una spazzata in terra e sistemò i tendalini esterni. La strada era ancora avvolta dalle brume dell’alba. Non c’era nessuno in giro e gli addobbi natalizi lampeggiavano malinconici sulle insegne dei negozi. In fondo alla strada avevano montato un albero pieno di luci. L’annuncio festoso di un Natale sfregiato dalle stragi di Parigi, pensò Berto. Faceva freddo e si strinse la sciarpa intorno al collo. Fu allora che avvertì il torpore. Un malessere vago, un formicolio alle mani, la testa vuota. L’albero in fondo alla strada ora era solo un barbaglìo di luci. Si affrettò a rientrare e si lasciò cadere sulla sedia. Era spaventato, inutile negarlo. Per lui, che di fronte al male non era mai stato un cuor di leone, ogni sintomo era l’annuncio sinistro di un decorso fatale. Si prese la testa fra le mani e respirò forte. Strinse i pugni. Il tremolio stava passando e anche la testa ora sembrava meno confusa. E’ passato, si disse, è passato! E già quella semplice constatazione lo fece stare meglio. “Sei ipocondriaco” disse una voce alle sue spalle. “Ne devo prendere nota.” Berto si volse di soprassalto, col cuore che gli batteva all’impazzata. C’era un uomo nell’angolo più buio dell’edicola. Era sprofondato in poltrona e lo fissava dritto negli occhi. Non l’ho sentito entrare, pensò Berto mentre realizzava che non c’erano poltrone nella sua edicola. Si stropicciò gli occhi ma questo non lo liberò della presenza dell’intruso. “Chi sei?” chiese con un filo di voce. “Non lo immagini?” ribatté quello senza scomporsi. Berto non era più in grado di immaginare nulla. Solo si chiedeva tremebondo se non fosse per caso già morto. Magari è cosi che succede, si disse. Magari questo è venuto a prelevarmi, pensò, sebbene l’uomo non avesse le parvenze di un messaggero celeste e per buona sorte nemmeno quelle di una creatura diabolica. “Chi sei?” ripeté sconfortato. L’uomo gli sorrise benevolo. “Puoi chiamarmi Autore, se vuoi. Oppure Creatore se ti piace di più...” “Autore di cosa?” chiese Berto più confuso che mai. “Davvero non lo capisci? Davvero non avverti il legame che ci unisce? Io sono il tuo Autore. Sono io che ti ho creato e ho fatto di te un personaggio. Tu senza di me non esisteresti...” Di fronte a una così bizzarra rivelazione Berto reagì con una risata. “Bello scherzo!” disse. “Chi lo ha organizzato?” L’uomo sulla poltrona rimase impassibile. “Tua moglie... Pensi spesso a lei dopo la sua scomparsa?” Una vena di tristezza attraversò lo sguardo di Berto. “Non c’è giorno che non pensi a lei...” “E come si chiamava...?” Berto roteò intorno lo sguardo con un’espressione smarrita. Aveva il vuoto nella mente. Come posso aver dimenticato il suo nome, si chiedeva disperato, senza sapersi dare risposta. “Non lo hai dimenticato, Berto. Non lo conosci, perché io non le ho mai dato un nome. Tu sei un personaggio. Lei è solo un’apparizione evanescente... Una comparsa sullo sfondo delle tue vicende.” Berto si passò le mani sul viso, si toccò le braccia. “Io sono qui in carne e ossa. Soffro, spero, gioisco come tutti. Non sono diverso dagli altri. Sono un uomo, non un personaggio.” Nel dirlo però, avvertiva il dubbio crescergli dentro, come un’escrescenza maligna capace di divorarlo. L’Autore lo fissò comprensivo. “Mi lusinga sai, il tuo smarrimento... Evidentemente ho fatto un buon lavoro. Ti ho dato un’anima, oltre che una presenza scenica.” Berto non sapeva più cosa pensare. “Cogito ergo sum...” mormorò confuso, cercando in quel motto filosofico, in quel latinorum di antica reminiscenza, il bandolo di un ragionamento da contrapporre alle surreali insinuazioni dell’Autore. “Io non sono una marionetta nelle tue mani” disse, cercando di imprimere convinzione nelle sue parole. “Io penso, ragiono, speculo con la mia testa, non con la tua!” “È un gioco di specchi il nostro... Ci con- frontiamo uno nell’altro. Il problema è che così facendo rischiamo di confondere i ruoli. Io ho inalato in te il mio soffio vitale ma...” “Giochi a fare Dio, adesso?” “Tutt’altro!” replicò l’Autore agitando una mano, come per scacciare un pensiero fastidioso. “Ma lo sai perché sono qui...? Te la sei chiesta la ragione della mia presenza?” Berto lo fissava senza espressione. Scrollò le spalle ma non disse nulla. “Ti dovevo incontrare per capire chi diavolo sei! Perché se è vero che io ti ho creato, è anche vero che ho perso il tuo controllo...” Ora Berto lo fissava, più incredulo che mai. “Questa è bella! Non solo sono un personaggio, ma all’improvviso mi ritrovo senza un autore. Non ti sembra di esagerare con le tue fandonie?” “Fandonie...” ripeté l’Autore pensoso. “All’inizio credevo anch’io di aver perso la ragione. Di riempire fogli insulsi, abbandonandomi a una trance schizoide. Eppure, quando rileggevo le novelle... Ah...! Mi riconoscevo in quelle trame che non avevo mai concepito... In quei dialoghi sgorgati al di fuori del mio controllo...” “Vuoi dire che...?” inizio Berto, intrigato suo malgrado da quella sofferta confessione. “Voglio dire che le tue novelle le scriviamo a quattro mani. Io ti do il là ma sei tu che componi la sinfonia mentre io mi limito a compilare lo spartito come un diligente copista. E allora mi domando: che razza di scrittore sono io, se devo mendicare le mie storie da uno dei miei personaggi? E cosa mai scriverò quando non scriverò più di te?” Berto che era rapidamente passato dall’incredulità al compiacimento, ora era preso da una gelida rabbia. “Ma guardati! Ti commiseri come un bambino. Cosa dovrei dire allora io? Guarda come mi hai fatto. Vecchio, malandato, infelice. Mi hai privato di mia moglie, non mi hai dato figli... E poi mi hai fatto mezzo ebreo, fuori della mia comunità, relegato in una terra di nessuno! Tu non mi fai pena! Tu mi hai dato la vita solo per farmela a pezzi, per condannarmi alla solitudine e alla depressione. Tu non sei il mio autore, tu sei il mio carnefice...!” Investito da quel rabbioso protestare, l’Autore si portò le mani al volto, mormorando con voce implorante: “Berto...! Berto...!” Quella voce arrivava da lontano. Berto apri gli occhi e faticò a mettere a fuoco il paramedico chino su di lui. Era confuso e spaventato ma volse lo sguardo verso il fondo dell’edicola. La poltrona era scomparsa e con essa l’intruso. Trasse un profondo respiro e si lasciò misurare la pressione. MARIO PACIFICI [email protected] GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 Berto l’edicolante 39 DOVE E QUANDO GENNAIO 18 LUNEDI 19 17.00 LE PALME Prove del coro delle Palme 18.00 Centro di Cultura Ebraica Golda International Events – Libreria Kiryat Sefer Libreria Kiryat Sefer, via del Tempio, 2 Presentazione del libro di Fiammetta Martegani “Life on Mars” Intervengono con l’autrice: Edoardo Camurri e Piero Vereni, modera Ariela Piattelli ------------------------------------------------------------------------------- 18.00 Centro di Cultura Ebraica Libreria Kiryat Sefer M A R T E D I Lezione con Yarona Pinhas: 24 25 La cacciata dall’Eden e la realtà umana Lezione a pagamento, posti limitati, prenotazione obbligatoria: 0645596107- [email protected] ------------------------------------------------------------------------------- 17.30 LE PALME Capodanno degli alberi: Seder di Tu Bishvat DOMENICA ------------------------------------------------------------------------------- 16.00 LE PALME Visita audiometrica eseguita dalla Dott.ssa Carola Astrologo LUNEDI 17.30 Comunità Ebraica di Roma – Fondazione Museo della Shoah – KKL – Regione Lazio - UCEI 26 Auditorium del Museo MAXXI, Via Guido Reni, 4 Presentazione del libro di Alberto Mieli e Ester Mieli “Eravamo Ebrei. Questa era la nostra unica colpa”, Marsilio editore ------------------------------------------------------------------------------- FEBBRAIO 04 11 27 Casina dei Vallati - Inaugurazione della mostra: MERCOLEDI Anne Frank una storia attuale GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 La mostra rimarrà aperta fino al 6 marzo 2016 40 17.00 LE PALME 31 Per non dimenticare: cerimonia in memoria della Shoah ------------------------------------------------------------------------------- 16.30 Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma - Centro di Cultura Ebraica – Dibac - Fondazione DOMENICA Museo della Shoah – Golda International Events Museo Ebraico di Roma Casa del Cinema, Largo Marcello Mastroianni, 1 Presentazione del documentario Tracce d’amor di Marina Piperno e Luigi Faccini. Ingresso gratuito su prenotazione fino ad esurimento posti. Tel. 06.5897589, [email protected] ------------------------------------------------------------------------------- 17.00 Le Palme I segreti della cucina ebraica G I O V E D I insegnati dai “Nonni” NOTES IL PITIGLIANI Lunedì 11 gennaio e lunedì 8 febbraio ore 19.45 Studio del Talmud a cura di Rav Benedetto Carucci Viterbi. Questo nuovo ciclo di incontri avrà come filo conduttore il trattato di Sotà. Info: Micaela Vitale [email protected] Domenica 17 gennaio dalle ore 10.00 alle ore 14.00 “Trova la tua nuova postura” attraverso il metodo Feldenkrais Seminario esperienziale condotto da Irene Habib Prenotazione obbligatoria Info: [email protected] Domenica 24 gennaio ore 10.30 Memorie di famiglia: i giovani tramandano le storie dei nonni – pranzo su prenotazione Info: Micaela Vitale [email protected] Gruppo Ghimel Tutti i giovedì dalle 16.30 con Davide Spagnoletto ed Elisabetta Anticoli Moscati Info: [email protected] Programmi educativi Domenica 24 gennaio e domenica 7 febbraio dalle 10.30 alle 15.30 Domeniche di ebraismo: tutto su radici e personaggi della storia ebraica Info e prenotazioni: Roberta Di Nepi [email protected] LA TOP TEN DELLA LIBRERIA KIRYAT SEFER M A R T E D I Centro Bibliografico Tullia Zevi, Lungotevere Sanzio, 5 16.00 Fondazione Museo della Shoah La parashà della settimana “Mishpatim” G I O V E D I spiegata da Rav Roberto Di Veroli 17.45 Collegio Rabbinico Italiano – Rassegna Mensile di Israel – Centro di Cultura Ebraica Presentazione del volume della Rassegna Mensile di Israel: “Rabbini di Roma nel Novecento. Vittorio Castiglioni, Angelo Sacerdoti, David Prato”, a cura di David Gianfranco Di Segni e Laura Quercioli Mincer Intervengono: Stefano Caviglia, Riccardo Di Segni, Mario Toscano e gli autori del volume Modera: Micaela Procaccia Saluti della Presidenza della Comunità Ebraica di Roma e dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ------------------------------------------------------------------------------- 17.00 Le Palme 1 L’EBRAISMO NELLA VITA QUOTIDIANA 2 LA CABBALA RIVELATA 3 HEIDEGGER E IL MITO DELLA COSPIRAZIONE EBRAICA 4 SAPERE ED ESSERE NELLA ROMA RAZZISTA 5 JIHAD 6 MARTIN BUBER INTERPRETE DELL’EBRAISMO 7 EBRAISMO E GIURISPRUDENZA 8 ALTROVE, FORSE 9 LA SCACCHIERA DI AUSCHWITZ 10 di E. Gugenheim, ed. Giuntina di M. Laitman, ed. Feltrinelli di P. Trawny, ed. Bompiani di S. H. Antonucci e G. Piperno Beer, ed. Gangemi di M. Molinari, ed. Rizzoli di G. Scholem, ed.Giuntina di P. D’Amico, ed. Rubbettino di A. Oz, ed. Feltrinelli di J. Donoghue, ed. Giunti LA PRINCIPESSA DEL SOLE di D. Grossmann, ed. Mondadori SHABAT SHALOM NASCITE Eithan Funaro di Simone e Marika Efrati Rachel, Simcha Pace di Maurizio e Federica Di Segni Ghila Perugia di David e Ester Etel Mutal Gaia, Miriam Regard di Daniele Massimo e Giorgia Volterra BAR/BAT MITZVÀ Rebecca Armignacca di Carlo e Sonia Di Neris Parashà: Bò Venerdì 15 GENNAIO Nerot Shabath: h. 16:46 Sabato 16 GENNAIO Mozè Shabath: h. 17:50 -------------------------------------Parashà: Beshallach Venerdì 22 GENNAIO Nerot Shabath: h. 16.54 Sabato 23 GENNAIO Mozè Shabath: h. 17.59 Parashà: Ytrò Venerdì 29 GENNAIO Nerot Shabath: h. 17.03 Sabato 30 GENNAIO Mozè Shabath: h. 18.09 -------------------------------------Parashà: Mishpatim Venerdì 5 FEBBRAIO Nerot Shabath: h. 17.12 Sabato 6 FEBBRAIO Mozè Shabath: h. 18.16 RINGRAZIAMENTI MATRIMONI Alberto Pavoncello – Ilana Bahbout Daniel Sciunnach – Giulia Calderoni e sempre pe’ questo ce se venga ... partecipazioni - mishmaroth - birchonim - editoria ebraica Via Giuseppe Veronese, 22 - Tel. 06.55302798 AUGURI Mazal tov ad Alberto Pavoncello, insegnante della scuola elementare ebraica e ad Ilana Bahbout, collaboratrice dell’UCEI, per il loro matrimonio. I migliori auguri anche a rav Scialom Bahbout, padre della sposa, rabbino capo di Venezia. Mazal tov a Simone Funaro e Marika Efrati per la nascita di Eithan. Auguri alla famiglia, in particolare al nonno Ugo Funaro, custode della scuola ebraica. Le scuole della Comunità Ebraica di Roma sentitamente ringraziano il sig. Luciano Di Castro che, volendo onorare la memoria della sorella Ermelinda deportata da Roma il 16/10/1943 ad Auschwitz-Birkenau, ha devoluto una somma in denaro da utilizzare per permettere a studenti in comprovato stato di bisogno di continuare gli studi presso le nostre scuole; nel pieno segno della continuità di vita che da sempre contraddistingue il popolo ebraico. Il Presidente della Deputazione Ebraica ed il Consiglio desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti a Sandro e Roberta Soliani che in occasione delle loro Nozze d'Oro hanno generosamente devoluto quanto destinato ai lori regali al sostegno delle famiglie in grave difficoltà della nostra Comunità. A Sandro e Roberta un affettuoso Mazal Tov!. Il Presidente della Deputazione Ebraica Piero Bonfiglioli ed il Consiglio desiderano ringraziare la Signora Anna Rosa Piperno, persona generosa e sempre vicina alla esigenze dell’Ente. Lo scorso dicembre David Sessa ha brillantemente superato al Collegio rabbinico, l’esame per la nomina a Maskil. Auguri dalla redazione di Shalom. Il Presidente della Deputazione Ebraica Piero Bonfiglioli ed il Consiglio desiderano ringraziare i Hatanim 5776 per il generoso e costante affetto manifestato nei confronti dell’Ente in queste piacevoli occasioni. È stata recentemente eletta la segreteria della Consulta, presieduta da Claudio Moscati. Essa è così formata: Giorgia Caló, Daniel Colasanti, Ruben Dell’Ariccia, Davide Jona Falco, Samuel Ouazana e Angelo Sed. Leonello, Alberto ed Italia Zarfati ringraziano tutti gli amici che sono stati vicini nella prematura scomparsa di Elena Di Segni in Zarfati Borsa di studio su beni culturali ebraici in Italia Desidero fare un ringraziamento particolare a tutti i volontari del GEV, Gruppo Ebraico Volontari, ai colleghi della CER, e a tutti gli amici che mi sono stati vicini nella scomparsa di mia mamma. So che Vi ringrazia anche Lei. Siete stati unici. Italia Zarfati CI HANNO LASCIATO Maria Luisa Bondì ved. Moscati 05/06/1926 – 30/11/2015 Anna Di Nepi ved. Cianci 10/03/1931 – 02/12/2015 Alberto Di Porto 21/12/1924 -05/12/2015 Alberto, Abramo Funaro 14/02/1931 – 12/12/2015 Giuseppe Novelli 18/07/1941 – 05/12/2015 Allegra Vivanti ved. Astrologo 01/09/1936 – 06/12/2015 Achille Volterra 12/02/1927 – 29/11/2015 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 La Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia Onlus (FBCEI) bandisce un concorso per una borsa di ricerca per la redazione di un lavoro originale su beni culturali ebraici in Italia. La Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia ha il compito istituzionale di promuovere la conservazione, il restauro, la valorizzazione del patrimonio storico-artistico ebraico in Italia, ivi compreso indicativamente ogni bene di interesse culturale, religioso, archeologico, bibliografico ebraico, gli studi e le ricerche in merito, diffonderne la conoscenza (anche a mezzo di pubblicazioni, convegni, seminari, ecc.) in Italia e all’Estero; nonché di concedere sovvenzioni, borse di studio e ricevere contributi per i fini anzidetti. Nell’ambito di tali finalità la Fondazione mette a bando per l’anno 2016 una borsa di ricerca, rivolta a giovani studiosi italiani e stranieri sotto i 35 anni. Il bando è pubblicato su www.beniculturaliebraici.it Le candidature possono essere presentate esclusivamente via mail all’indirizzo [email protected]. Termine per la presentazione dei progetti: 31 marzo 2016. 41 LETTERE AL DIRETTORE voce lettori La dei Insieme per Gerusalemme La Jerusalem Foundation fondata nel 1966 dal leggendario sindaco di Gerusalemme, Teddy Kollek, si pone l’obiettivo di rendere Gerusalemme, culla delle tre grandi religioni monoteistiche, una capitale moderna, tollerante e pluralistica. Il lavoro della Fondazione va oltre le complessità politiche della città e tocca tutti i settori della popolazione, ebrei, musulmani e cristiani, religiosi e laici, ogni gruppo sociale, di ogni età, in tutti i quartieri, est e ovest della città. Da cinquant’anni, con oltre 4000 progetti, la Jerusalem Foundation affronta le sfide di questa città speciale, creando cooperazioni filantropiche, lavorando insieme al Comune di Gerusalemme e collaborando con le principali organizzazioni della città, al fine di migliorare la vita di tutti i cittadini. Lavora con ogni segmento della popolazione, sostenendo in modo particolare coloro che vivono economicamente e socialmente ai margini. Sostiene la cultura, convinta che una cultura urbana dinamica diffonde la tolleranza, il rispetto e l’integrazione. Promuove la pacifica coesistenza, per mezzo di programmi educativi e attività comuni rivolte a bambini e ragazzi ebrei, musulmani e cristiani. GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 L 42 [email protected] Crea nuove opportunità per i giovani al fine di dare loro speranza per il futuro.La Jerusalem Foundation collega la comunità internazionale alla città e, insieme agli amici di tutto il mondo, si impegna al fine di rendere Gerusalemme un centro di ispirazione. Nel 2015-2016 la Jerusalem Foundation festeggia il suo cinquantenario, con vari eventi in tutto il mondo. Le celebrazioni principali si svolgeranno a Gerusalemme dal 20 al 22 settembre 2016, con la partecipazione dei nostri amici e sostenitori di tutti i paesi. Gerusalemme non è solo il conflitto, ma si svolgono anche molte attività per avvicinare le persone e favorire la comprensione e la tolleranza. Noi siamo orgogliosi di promuovere tali iniziative. Spero di farvi cosa gradita se di tanto in tanto invierò degli aggiornamenti su quanto succede a Gerusalemme. Un saluto da Gerusalemme, TAMAR MILLO Direttore Dipartimento Italia The Jerusalem Foundation Il popolo silenzioso Esiste una realtà che non fa rumore e che tutti fingono di ignorare. Un popolo con tradizioni religiose diverse da quelle cattoliche. Quelle della maggioranza degli italiani, ma con tanta saggezza si Un nuovo Maskil diplomato al Collegio rabbinico italiano o scorso dicembre David Sessa, allievo del Collegio rabbinico italiano, ha superato con successo gli esami per il conseguimento del diploma di Maskil. In un lungo esame orale, durato circa tre ore e mezzo, David ha risposto a domande sulla Torà, sul Tanakh, sulla Halakhà, sulla storia e lingua ebraica, sulla Tefillà e ha concluso con una prova di lettura pubblica di un brano della Torà con la cantillazione. Negli esami scritti al candidato era stato assegnato un brano da tradurre in ebraico e un tema da comporre in ebraico dal titolo “In un mondo globale si suppone che anche le religioni debbano dialogare fra loro: come ritieni che dobbiamo comportarci noi ebrei di fronte a una richiesta sempre più pressante in tal senso?”. La commissione esaminatrice, composta dal Direttore rav Riccardo Di Segni, dal rappresentate della Consulta rabbinica rav Alberto Somekh, dai rabbini Gad Eldad, Alberto Funaro, Umberto Piperno, Amedeo Spagnoletto e Gianfranco Di Segni, alla fine degli esami ha conferito a David il titolo di Maskil con queste parole: “La Commissione, constatata la preparazione del candidato, la sua condotta ebraica e la qualità del suo lavoro professionale, gli conferisce il titolo di Maskil”. La cerimonia per la consegna del diploma si svolgerà presto al Tempio Maggiore di Roma. David Sessa è nato a Roma, è sposato con Sharon Perugia ed è padre di un maschio e due femmine. Oltre agli studi al Collegio rabbinico si è diplomato all’istituto tecnico per geometri. È da anni dipendente della Comunità ebraica di Roma e si occupa sia del culto che della kashrut. Per due anni ha anche svolto attività culturali settimanali presso la Sinagoga di Ostia, che ormai ha un bacino d’utenza pari a quello di una piccola comunità ebraica italiana. A David le più calorose congratulazioni e gli auguri per il proseguimento degli studi al Corso superiore del Collegio. Buon compleanno Lo scorso 27 dicembre, Rina Terracina ha festeggiato presso la Casa di Riposo un importantissimo traguardo: i 100 anni. La signora Rina, insieme al fratello più ‘giovane’ (Alberto, 95 anni), ha tagliato la torta e spento le 100 candeline festeggiata da amici, parenti e molti consiglieri della Comunità. Du’ zeri intensi d’amore… Se’ svejato er cielo insieme all’occhi tua celeste mare… Che coloreno du’ zeri intensi pieni de’gioia e de’dolore… Se’ svejato proprio oggi un secolo d’amore… De’ forza de’coraggio dentro er core… Esile d’aspetto… pettinata… Na’ chioma che d’argento è diventata… Tu… roccia che hai respinto… di lacrime onde… Che hai custodito dentro saggezza e cose immonde… Se’ aperto er cielo a festeggia’un traguardo… E co’ no squarcio se ‘ntravede quarche sguardo… So’ le stelle tue che brindeno co’te stasera… ‘Na vita assaporata… ‘Na vita vera… Insieme alle ricchezze che er Signore D-o t’ha dato… Spegnerai le candeline prennenno tanto fiato… Perché tu sei la colonna portante della famija… E hai dato tarmente tanto che ancora lasci a scia… SILVANA MOSCATI Un grazie alla sorveglianza Voglio ringraziare a nome mio e a nome della “Compagnia del teatro giudaico romanesco”, il presidente della comunità Ruth Dureghello ed il responsabile della sicurezza Gianni Zarfati, per aver richiesto la presenza delle forze dell’ordine durante le serate della nostra rappresentazione. Vogliamo inoltre ringraziare di cuore tutti gli amici che hanno garantito con la loro presenza la sicurezza durante gli spettacoli. GIORDANA SERMONETA Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Qualche personaggio della carta stampata e dei soliti overdosati talk-show si è messo recentemente a discettare di sciiti e sunniti, animato dalle tradizionali e nazionalpopolari idee: poche, ma confuse. E così i sauditi, amicissimi fino a ieri, sono stati trasformati nei cattivoni del momento. A favore, naturalmente degli hayatollah di Teheran, accortamente riciclati nonostante il sostegno al micidiale despota di Damasco. Tutti li volevano “desanzionati” al più presto. Poi qualcuno si accorge che il prezzo del petrolio è in caduta libera, tra effetto serra, Conferenza di Parigi, crisi economica globale. Contrordine, editorialisti. Se arriva di colpo sul mercato il greggio di Teheran, le grandi compagnie del petrolio offshore, anche italiane, produrranno probabilmente in perdita. Come non bastasse, l’amico Obama ha sbloccato anche le vendite verso l’estero del greggio USA. Tranquilli, qui la benzina continueremo a pagarla cara. Smokéd PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ [email protected] Cell. 392.9395910 SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Giacomo Kahn Direttore responsabile Attilio Bondì Sara Habib Riccardo Calimani David Meghnagi Giorgia Calò Rebecca Mieli Giorgia Calò Maurizio Molinari Claudio Cerasa Mario Pacifici Ariel David Angelo Pezzana Georges De Canino Clelia Piperno Mario Del Monte Pierpaolo P. Punturello Jonatan Della Rocca Yaarit Rahamim Ruben Della Rocca Jacqueline Sermoneta Segretaria di redazione Jacqueline Sermoneta Sandro Di Castro Mosè Silvera Yuri Di Castro Micol Sonnino Piero Di Nepi Marco Spagnoli Riccardo Di Segni Lia Tagliacozzo Ruth Dureghello Francesca Tardella Alessandra Farkas Daniele Toscano Ghidon Fiano Ugo Volli Donato Grosser DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. 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GENNAIO 2016 • SHEVAT 5776 adegua pur non perdendo nulla della sua identità e della straordinaria storia che lo accompagna. Non fanno il presepe, “loro” non fanno l’albero ma nessuno vedrà mai uno di loro offendersi o protestare. Non si cibano di maiale, ma non hanno mai avuto la pretesa che scuole e mense cambiassero menù appositamente per non turbarli. Li vedi in uffici pubblici dove è appeso il crocefisso che nessuno mai ha pensato di togliere per non offenderli, non è un popolo che si offende facilmente. Purtroppo è invece un popolo che si dimentica facilmente. Viene nominato solo quando deve essere incolpato, strumentalizzato. Eppure… Ha contribuito alla crescita del paese come ogni italiano. Ha combattuto le guerre dell’italiano. Non ha mai rinunciato, anzi, è fiero della propria identità italiana. L’Italia non lo ha mai ripagato del suo impegno e troppe volte gli ha voltato le spalle. Il popolo ebraico italiano, silente e coraggioso. A cui nessuno ha mai concesso sgravi, bonus e buoni pasto, solo in virtù del loro essere stranieri. Le canzoni natalizie non offendono la comunità israelita italiana, uccide l’indifferenza. Eppure nessuno di loro grida “Ci siamo anche noi”. Sarebbe giusto che, almeno per una volta qualcuno non lo ricoprisse di infamie ma ne riconoscesse i meriti. Felice Hanukkah. CLAUDIA ZUFFI 43 www.positivoagency.com LASCIA UN BUON SEGNO TESTAMENTI I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore alle storie personali e collettive degli amici del popolo ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod. FONDI Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano. Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri. Nel presente e nel futuro. PROGETTI Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso - Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati, dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice. Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza Enrica Moscati - Responsabile Roma Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31, tel. 081.7643480 [email protected]