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14 14 LA RIVISTA DELLA SCUOLA INSERTO SPECIALE Filosofia della storia Software libero e della politica in Kant nica legislazione comune, c) secondo la legge dell’eguaglianza in quanto cittadini. Si tratta di una costituzione che prevede diritti sanciti da una carta e divisione dei poteri. Nell’“Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, Kant tenta di sostenere la plausibilità del passaggio alla pace tra Stati, consapevole che si tratta di congetture più che di argomenti probanti: in particolare, a chi sostiene che la pace può sussistere solo tra gli individui e non tra gli Stati, possiamo obiettare che sarebbe un’assurdità che la natura facesse regnare la teleologia tra le parti ma non nel tutto. Charles Addams -1956007 - La pubblicità Nell’ottava tesi, Kant sostiene che “si può considerare la storia del genere umano in grande come il compimento di un piano nascosto della natura volto ad instaurare una perfetta costituzione statale interna e anche esterna, in quanto unica condizione nella quale la natura possa completamente sviluppare nell’umanità tutte le sue disposizioni”: se – come abbiamo visto prima - originariamente è il conflitto a sviluppare le disposizioni umane degli individui, le quali però giungono a compimento soltanto in condizioni pacifiche, allora ciò varrà anche per gli Stati, cosicché la condizione di pace sarà in assoluto la più favorevole allo sviluppo delle disposizioni umane. La nona tesi è presentata come un’integrazione dell’ottava: “un tentativo filosofico di elaborare la storia universale secondo un piano della natura che tenda alla perfetta unificazione civile nel genere umano deve essere considerato possibile, e anzi tale da promuovere questo scopo naturale”. Ciò significa che i filosofi non possono pianificare la storia e creare un ordine giusto, il quale è invece il prodotto della natura stessa; tuttavia, essi possono chiarire e, dunque, accelerare tale sviluppo e proprio in ciò risiede il compito dell’Aufklärung. Passiamo ora a “Per la pace perpetua”: si tratta di un libro che, a tutta prima, può risultare strano per via della sua articolazione inconsueta. Infatti, vi troviamo una prima sezione contenente sei articoli, poi una seconda contenente gli articoli definitivi, dopo di che un primo ampliamento e, dopo, un secondo ampliamento. Questa strana struttura si spiega se teniamo conto che Kant, nello scrivere questo testo, ha ironicamente assunto come paradigma letterario i trattati di pace stesi dai diplomatici del suo tempo: in particolare, egli si rifà al testo del trattato di pace siglato a Basilea nel 1795 e traveste il suo saggio nelle forme di un trattato avente le sue precondizioni, le sue parti centrali e le “clausole segrete” (così si spiega il curioso titolo del secondo supplemento: “Articolo segreto per la pace perpetua”). Abbiamo in precedenza definito il primo dei tre articoli definitivi dell’opera, quello secondo cui ogni costituzione civile dev’essere una repubblica. Il secondo introduce l’elemento esterno, in quanto guarda al rapporto intercorrente tra gli Stati, ossia al diritto internazionale, che deve risol- versi in una “confederazione di liberi Stati” (liberi nel senso di sovrani, cioè privi di un potere superiore) tale da poter dirimere le controversie tra Stati senza far ricorso alla guerra. Kant è pienamente consapevole del rischio che si possa voler risolvere il problema dei rapporti tra Stati creando uno Stato “planetario” (del resto già Dante pensava ad una “monarchia universale”): ma ciò comporterebbe – egli rileva – un dispotismo tale da costringere gli altri Stati attraverso princìpi troppo rigidi. Tuttavia, egli riconosce anche che, se tale Stato planetario fosse attuabile in modo non dispotico, non sarebbe una cattiva cosa: ma poiché ciò è difficilmente attuabile, ci dobbiamo accontentare di un “surrogato negativo” dello Stato planetario, ossia dobbiamo puntare ad una confederazione che ripudi la guerra e faccia regnare la pace. Il terzo e ultimo articolo riguarda il “diritto cosmopolitico”, col quale Kant pare legittimare un diritto di accoglienza e, dunque, porre le basi per una società multiculturale. In realtà, per Kant tale diritto dev’essere limitato alle condizioni dell’ospitalità universale, la quale non è una forma di filantropia, ma è piuttosto il diritto di uno straniero a non essere trattato “in modo ostile quando arriva sul suolo di un altro Stato”. --------------------------- “ per Kant l’ospitalità universale non è una forma di filantropia, ma è piuttosto il diritto di uno straniero a non essere trattato in modo ostile quando arriva sul suolo di un altro Stato --------------------------gli non si propone qui di tratteggiare una società multiculturale in cui trovino posto gli stranieri di ogni dove, ma sta piuttosto criticando quelle politiche coloniali dell’Occidente che si imponevano occupando altri territori e violando tale diritto di ospitalità (lo mutavano anzi in diritto di occupazione). Si tratta – precisa Kant – di un “diritto di visita”: tutti hanno diritto ad occupare una porzione di superficie terrestre senza essere cacciati. Passando alla prima sezione dell’opera, vi troviamo quegli “articoli preliminari” che enunciano ciò che gli Stati debbono o non debbono fare se si vuole ottenere la pace: ad esempio, nei trattati di pace non ci devono essere clausole che prevedano ulteriori occasioni di guerra, lo Stato non può considerarsi proprietà patrimoniale del sovrano, gli eserciti devono gradualmente sparire del tutto, non si devono contrarre debiti di guerra tra Stati, nessuno Stato deve intromettersi con la forza nel governo degli altri. Kant prevede inoltre uno ius in bello tale per cui nessuno Stato deve permettersi, in guerra, di usare sicari, avvelenatori e frodi di altro genere: l’idea di fondo è che anche in guerra si debbano rispettare norme ed evitare “stratagemmi infami”, poiché deve sussistere un minimo di fiducia anche negli Stati, altrimenti mai si arriverà a siglare una pace e le guerre termineranno soltanto col la distruzione totale del nemico. Il “primo supplemento” dell’opera si occupa delle garanzie della pace perpetua e, a tal proposito, Kant recupera le sue riflessioni di filosofia della storia emerse nell’“Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico: a garantire la pace è il “piano della natura” e anche una repubblica “di diavoli”, se razionale, riuscirebbe a dare una soluzione conveniente al problema della convivenza. E Antonio Fundarò Anno XXX11, 1/28 febbraio 2011, n. 6 per una Scuola Libera di ROSITA BONO, CORRADO TIRALONGO, ANTONIO FUNDARÒ Tagli alle scuole e mantenere aggiornati ed efficienti i laboratori scolastici non sono sinonimi. Riduzione delle spese e ottimizzazione dei costi diventano essenziali per portare avanti gli obiettivi didattici dell’istituzione. “Le tribolazioni aguzzano il cervello”, scriveva Manzoni, e il Free Software è libero e gratuito. L a “licenza”, in ambito informatico, è il contratto che può accompagnare un prodotto software. Tale contratto specifica le modalità con cui l'utente (privato, professionista, ente o azienda) può usare tale prodotto, garantendo dei diritti (per esempio la possibilità di utilizzarlo) ed imponendo degli obblighi (il costo per acquistarlo, l'impossibilità di copiarlo o modificarlo, ecc.). I termini contrattuali della “licenza d'uso” sono imposti da chi detiene (paternità) il copyright sul prodotto software (software-house o singolo programmatore informatico), nel rispetto, ovviamente, delle leggi vigenti nel paese di destinazione. “Il Software Libero (Free Software) è un software rilasciato con una licenza che permette a chiunque di utilizzarlo e che ne incoraggia lo studio, le modifiche e la redistribuzione; per le sue caratteristiche, si contrappone al software proprietario, incentrandosi sulla libertà dell’utente” (tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera). Un software libero è, quindi, un software rilasciato con una licenza tale che permette a chiunque di poter eseguire il programma per qualunque scopo, sia in ambito personale (educativo, svago) che professionale (aziende, imprese), che ne incoraggia lo studio di come il software è fatto, cioè accedere alla struttura interna del programma (codice sorgente), è permesso a chiunque lo voglia di apportare modifiche per migliorarlo (risolvere difetti, aggiungere funzionalità) e consente, senza nessun vincolo, la redistribuzione, ovvero farne delle copie e diffonderlo a coloro che lo vogliono utilizzare (attraverso cd-rom, siti internet, ecc.). Per le sue caratteristiche, questa licenza “aperta”, denominata “Gnu GPL” (Gnu General Public License), si contrappone a quelle tipiche del software proprietario, i cosiddetti programmi commerciali a codice sorgente “chiuso” (sistemi operativi, pacchetti per l’ufficio, programmi per la grafica, ecc.), che oltre a proporre un prezzo da pagare per acquistarne la semplice licenza d’uso (e non il prodotto) e delle forti restrizione nel loro utilizzo rispetto alle libertà appena citate. Il software libero, e quindi anche Linux, è distribuito liberamente, gratuitamente, attraverso diversi canali. Richard Matthew Stallman (nato a Manhattan, New York, il 16 marzo 1953) è uno dei padri fondatori del concetto del “copyleft” nonchè pioniere della nascita e diffusione del software libero. Nel 1983 Stallman iniziò a lavorare al progetto Gnu (acronimo ricorsivo che fa riferimento al movimento filosofico) ed elaborò il Manifesto Gnu, fondando nel 1985 la Free Software Foundation. Nel 1989 ideò il concetto di “copyleft” (copia libera) contrapposto a quello di “copyright” (diritto d’autore). Il sistema operativo Linux è, sicuramente, l’emblema del Software Libero ma è molto di più di un sistema operativo sicuro e libero. Linux e il software libero vengono mossi da questi ideali etici di lunga portata: il diritto alla conoscenza deve essere garantito a tutti. Non il capitale economico come motore della ricerca e dello sviluppo ma la competenza e la voglia di migliorare e migliorarsi. Linux, a differenza di qualche anno fa, è ormai diventato alla portata di tutti. Se un tempo, infatti, il sistema operativo del pinguino era dominio esclusivo di esperti e smanettoni informatici, adesso con le possibilità offerte dalle varie interfacce grafiche (finestre e icone), anche i profani possono apprezzare i vantaggi offerti di questo sistema operativo. Il sistema operativo Linux, come prodotto concreto di questo nuovo modo di concepire il software, vede la luce nel 1991 grazie al giovane studente Linus Torvalds, appassionato di programmazione. Oggi Gnu/Linux è il prodotto tangibile di tantissimi appassionati e indipendenti informatici, creato per pura sfida intellettuale, senza vincoli commerciali. Questo ha generato due importanti conseguenze: in primo luogo il risultato ottenuto è la sorprendente collaborazione di migliaia di programmatori sparsi in tutto il mondo, (per questo viene considerato come il più grosso progetto collaborativo della storia dell’uomo); il secondo aspetto è la “liberalizzazione” del prodotto, questo significa che Gnu/Linux è un software libero che permette agli utenti di avere a disposizione un sistema completamente funzionante slegato dalle classiche leggi commerciali. Non esiste un’unica versione di questo sistema operativo, ma esistono diverse distribuzioni (Ubuntu, Mandriva, Mint, ecc.) solitamente create da comunità di sviluppatori o da società che preparano e scelgono i pacchetti software da includere (programmi di videoscrittura, per la gestione della posta elettronica e per la navigazione sul web, per il foto-ritocco, per la visione e l’ascolto dei file audio e video) nonché l’aspetto grafico (colori, finestre, sfondi). Tutte le distribuzioni però condividono il cosiddetto kernel di Linux (cioè il cuore del sistema). Utilizzare Linux insieme a tutto il software libero che viene dato a corredo del sistema operativo, in sostanza, significa liberarsi dalle logiche commerciali dei software proprietari che propongono costantemente versioni aggiornate dei loro prodotti spesso non compatibili tra loro solo per il puro profitto, e liberarsi da software poco testati e quindi poco stabili e sicuri. Utilizzare Linux e software libero significa avere libertà di scegliere quali prodotti utilizzare tra loro equivalenti e compatibili (OpenOffice, KOffice, LibreOffice, ecc.), significa la possibilità di adattare il software alle nostre esigenze e non viceversa e, infine, significa avere più soldi in tasca visto che il software libero è anche gratuito. In realtà, nel Software Libero il significato della parola “libero” non è incondizionato perché è soggetto ai precisi vincoli della licenza d’uso, come qualsiasi altra licenza d’uso, solo che in questo caso l’autore si “espropria” di alcuni (molti) diritti per cederli agli utenti. Questi vincoli sono studiati in maniera tale da favorire il tipo di libertà cosiddetta “copyleft”, che ha come obiettivo principale la condivisione del sapere, un sapere che deve essere accessibile a tutti e per tutti, cercando di eliminare eventuali barriere per l’accesso (lingua e nazionalità, disponibilità economica). Pertanto, il Software Libero parte da considerazione sociali e, per molti aspetti, è innanzitutto una forma di filosofia. Secondo Richard Stallman e la Free Software Foundation da lui fondata, un software per poter essere definito libero deve garantire quattro libertà fondamentali: - Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo (chiamata “libertà 0”) - Libertà di studiare il programma e modificarlo (“libertà 1”) - Libertà di copiare il programma in modo da aiutare il prossimo (“libertà 2”) - Libertà di migliorare il programma e di distribuirlo pubblicamente (“libertà 3”). Il Software Libero viene distribuito con la licenza GNU/GPL (GNU General Public License), scritta da Stallman e Eben Moglen per garantire legalmente a tutti gli utenti le quattro libertà fondamentali. Il Software Libero, invece, non deve essere confuso con il software “freeware”, che è distribuibile gratuitamente, ma spesso solo per uso personale e non commerciale, ma che non è né Software Libero né opensource. Da precisare che il termine inglese “free”, in questo caso, non è utilizzato nell’accezione di “gratuito” ma di “libero”, ciò significa che il software rilasciato come Free Software potrebbe avere anche un prezzo (ciò di solito avviene quando si chiede ad un esperto programmatore di personalizzare il software con delle modifiche che ci interessano). Il Software Libero non deve, infatti, necessariamente essere sviluppato a titolo gratuito o a fondo perduto. Purché si rispettino i vincoli della licenza d’uso, è possibile vendere del Software Libero, ma essendo libero lo si può liberamente, e gratuitamente, ri-distribuire. Molte aziende, professionisti e programmatori hanno creato dal nulla enormi profitti “vendendo” assistenza e personalizzando il software adattandolo alle specifiche richieste del cliente (vedi Canonical con il sistema ubuntu Linux Server o Sun Microsystem con OpenOffice e Java). L’unico requisito che queste aziende hanno messo in campo è stata l’abilità e la capacità di soddisfare queste richieste nel miglior modo possibile. D’altra parte, i margini di risparmio per chi utilizza un software libero, aziende, enti e liberi professionisti, sono considerevoli visto che non viene richiesto nessun prezzo per la licenza d’uso. Dati alla mano, numerose versioni di Linux sono “caricate”, a nostra insaputa, all’interno di una enorme varietà di elettrodomestici e apparati tecnologici oggi in uso (lettori dvd, navigatori satellitari, telefonini e smartphone, ricevitori digitali per la TV, televisori di ultima generazione). E, sempre dati alla mano, importanti enti pubblici e privati e aziende quali banche e operatori di borsa, hanno di recente apprezzato gli enormi vantaggi di questi sistemi operativi, in termini di costi ma sopratutto di affidabilità e sicurezza, installando nei loro computer server sistemi operativi “free and open” come Linux.