Il ruolo della struttura narrativa nella terapia del

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Il ruolo della struttura narrativa nella terapia del
Il ruolo della struttura narrativa nella terapia del dolore cronico.
Sezione “Parola e Terapia” del Convegno internazionale COMPALIT
Messina, 18 - 20 novembre 2010
Francesco Galofaro
Fondazione ISAL - Rimini
Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica
0. Scopo dell'intervento.
L'intervento ha lo scopo di esporre alcuni risultati di una ricerca sulla comunicazione del dolore
cronico condotta in collaborazione tra la fondazione ISAL di Rimini e l'Università di Bologna. Lo
studio, condotto su Facebook, trae le mosse da una discussione con un gruppo di pazienti
affetti da dolore cronico sui loro problemi, biografia e vita quotidiana, dalle difficoltà a svolgere
le attività più comuni alle tattiche per fronteggiare il male, alla strategia più complessiva entro
cui inquadrare la propria vita. Lo scopo della ricerca è trovare una alternativa ai problemi che
impediscono oggi il costituirsi di un sapere medico sul dolore cronico, cosa che impedisce la
proposta di nuove soluzioni terapeutiche.
L'antropologia ha indicato diversi casi in cui la dimensione performativa del linguaggio è
sufficiente non tanto alla remissione della patologia, quanto alla messa in opera di strategie e
tattiche atte a fronteggiare il dolore: la frontiera della ricerca in questo campo è la narrativebased medicine. Evidentemente, vi è un problema nella epistemologia medica: non si tratta
solo di una forma di riduzionismo; è lo stesso modello semiotico medico a non essere adeguato
al problema del dolore cronico. Le discipline semiotiche si rivelano utili alla formazione di un
nuovo modello che tenga conto del ruolo della performance linguistica e narrativa.
1. Aspetti del problema epistemologico.
Mi sono occupato altrove (Galofaro 2010) delle difficoltà di ordine epistemologico incontrate
dalla medicina tradizionale. Le riassumo qui per sommi capi. Uno sguardo alla storia della
medicina mostra che i suoi successi degli ultimi secoli sono stati ottenuti grazie ad una
strategia particolarizzante (cfr. Nuland 2004):
dalla malattia come squilibrio olistico del sistema-individuo della teoria dei fluidi umorali si è
passati a studiare le deformazioni a carico del singolo organo e del tessuto (con Morgagni,
Bichat, Laennec), della cellula (con Virchow e Bernard) fino al codice genetico odierno.
Questa strategia particolarizzante nel caso del dolore cronico non funziona: dall'emicrania ai
dolori post traumatici alla fibromialgia, il dolore è a carico di regioni del corpo le più diverse. Il
paziente stesso si rivolge a specialisti molto differenti i quali riconoscono con difficoltà una
patologia cronica; una indagine epidemiologica tradizionale risulta estremamente problematica.
Questo è uno dei motivi per cui si è provato a raggiungere i pazienti attraverso un social
network.
Da un punto di vista semiotico, l'intero ragionamento medico riposa su uno schema per cui il
dolore è sintomo di una patologia che ne è causa, e a collegarli è l'interpretazione del medico
(cfr. Galofaro 2007). Una volta eliminata la causa, dovrebbe scomparire anche il segno. Ma il
dolore cronico spesso è ciò che perdura ben oltre la propria causa (dolore post operatorio)
oppure non ha una causa ben determinata almeno per il momento (emicrania; sindrome da
stanchezza cronica). Ne segue che il dolore cronico per il paziente non ha senso. i pazienti non
riescono a concludere il racconto della propria esperienza dolorosa: non riescono a darle una
forma, una logica, un senso narrativo: proprio la difficoltà di narrare è uno dei risultati originali
della ricerca: in precedenza la letteratura sul dolore cronico si era concentrata sul racconto più
che sulla difficoltà di raccontare, e su aspetti linguistici più che testuali.
2. La dimensione performativa della parola
Lo sguardo semiotico ed antropologico al problema del dolore origina dal celebre studio di LéviStrauss sul racconto sciamanico durante il parto. Lo richiamiamo per sommi capi: lo sciamano
interviene durante le difficoltà del parto. Attraverso un racconto intraprende una lotta contro
gli spiriti che impediscono il parto stesso. Inserisce così il dolore della donna entro un universo
mitico che portano una forma ed un senso laddove la partoriente percepiva un caos di
sensazioni assurde (Le Breton 1995, tr. it. p. 60). Vorremmo approfondire meglio questo
punto. Da un lato, come scrive Lévi - Strauss, si incontrano spesso situazioni in cui la cura è
una "simulazione" della lotta contro gli spiriti (1964, tr. it. p. 215); dall'altro, <<lo sciamano
non si limita a proferire l'incantesimo; ne è l'eroe, poiché è lui a penetrare negli organi
minacciati in testa al battaglione soprannaturale degli spiriti, e a liberare l'anima prigioniera>>
(p. 223). Ecco che d'improvviso la struttura narrativa della cura diviene rilevante. Lo è tanto di
più se consideriamo che la lingua in cui lo sciamano intona il canto è un codice sacro che la
donna comprende appena. Come nota Marrone (2001:XXXIV - XXXVI) è piuttosto un teatro
fatto di simulacri (le figurine intagliate degli spiriti), di dati sensoriali (il ritmo del canto; i
suffumigi di cacao) ad operare una efficacia simbolica sulla paziente. Un teatro che con
l'incantesimo condivide la struttura narrativa, performativa, passionale, somatica.
Tutto questo dimostra l'ampiezza della dimensione performativa della parola: lo sciamano non
si limita a descrivere le misteriose forze che agiscono nel corpo femminile in modo che la
donna interpreti e razionalizzi il proprio dolore; la stessa parola dello sciamano è una delle
forze in campo, e combatte per la buona riuscita del parto stesso.
3. Performatività della parola e discorso medico
Lévi - Strauss sottolinea le analogie dell'incantesimo sciamanico con le pratiche psicanalitiche,
con le debite differenze: l'incantesimo fa riferimento ad una mitologia collettiva condivisa dallo
sciamano e dalla partoriente; manipolando l'incantesimo cura un problema organico. Come mai
i medici occidentali non curano con la parola? Lévi-Strauss risponde che i batteri sono reali, i
mostri evocati dallo sciamano immaginari. Ma la risposta è affrettata: Byron Good sottolinea
come la performatività sia una componente normale anche nel discorso medico: il linguaggio
ha un ruolo centrale non solo per la comprensione della malattia da parte del paziente, ma
anche nelle strategie per fronteggiarla. <<La diagnosi è uno sforzo per descrivere l'origine
della malattia, per localizzarne e oggettivarne la causa. Tuttavia, è anche uno sforzo per
"invocare" una reazione efficace. La narrativizzazione è un processo di localizzazione della
sofferenza nella storia, di collocazione degli eventi in un ordine temporale dotato di senso. Ha
inoltre lo scopo di schiudere il futuro ad un esito fausto, di consentire al sofferente di
immaginare un odo per superare le avversità e i tipi di attività che consentirebbero
all'esperienza della vita di rispecchiare la storia progettata>> (Good 2006:197).
4. Un modello semio-narrativo.
Rispetto a tutto ciò sottolineo come siamo passati dal racconto dello sciamano a quello del
paziente attraverso la condivisione di una struttura a tappe. Possiamo vederlo nei termini di un
percorso narrativo canonico (cfr. Greimas – Courtés 1979). In senso generale la narrazione è
riconducibile ad un percorso secondo il quale il soggetto: (1) in seguito al contratto con un
destinante (2) si dota della competenza per (3) eseguire una performance e (4) ricevere una
sanzione dal destinante sull'esito della performance. Al termine del percorso il soggetto passa
da uno stato di disgiunzione ad uno stato di congiunzione con un oggetto di valore. Allo stesso
modo il paziente, disgiunto da un oggetto di valore (la salute), si reca dal medico (il
destinante) il quale emette la diagnosi e suggerisce una terapia. Così dotato di una
competenza il paziente mette in atto una performance (si sottopone alla terapia) fino alla
guarigione (sanzione finale, recupero della salute).
5. Impossibilità di raccontare il dolore cronico.
Il racconto del dolore cronico è il caso critico su cui intendo mettere alla prova questa
prospettiva. In particolare, è possibile riscontrare una difficoltà del paziente affetto da dolore
cronico a narrare la propria esperienza. Il dolore cronico è un dolore di origine organica, senza
cause particolari, o in cui l'individuazione della causa non porta di per sé ad alcuna cura
definitiva (dolore post-traumatico, post-operatorio, oncologico). La diagnosi costituisce così
nella vita del paziente una svolta "incompiuta": un passo avanti nella comprensione di un
dolore irrazionale e de-realizzante, ma non la sua riconciliazione con il vissuto quotidiano.
Il percorso narrativo canonico di Greimas aiuta a comprendere come la difficoltà a raccontare il
dolore sia di natura strutturale. Il paziente che soffre di dolore cronico si rivolge al medico
aspettandosi di intraprendere il percorso che abbiamo delineato. Al contrario, il medico
specialista spesso non emette alcuna diagnosi, fallendo nella fase contrattuale (1). Dopo una
serie di tentativi andati a vuoto, può accadere che il medico consigli il paziente di rivolgersi ad
uno psichiatra. Il paziente teme così di essere folle. Anche le persone intorno a lui cominciano
a dubitare della sua malattia. Ma escluse cause psichiatriche, finalmente il paziente incontra un
medico che gli diagnostica un dolore cronico. In questo modo certamente un primo passo per
ristabilire la razionalità della propria condizione è compiuto, ma non viene garantita alcuna
terapia. Il racconto del dolore non riesce a concludersi in un arco narrativo compiuto. Il
paziente che soffre di dolore cronico è posto di fronte alla impossibilità del suo racconto.
6. Prospettive
Il riconoscimento di un ruolo importante della narratività nell'esperienza del paziente ha
portato negli anni recenti ad un nuovo modo di considerare la relazione tra malattia e
linguaggio che si concretizza nella proposta di una Narrative Based Medicine (NBM), il cui
scopo è affiancare, non certo di sostituire, il paradigma consolidato della Evidence Based
Medicine (EBM) - cfr. Galvagni (2009). Si tratta di una riconciliazione tra medicina ed
umanesimo quanto mai auspicabile per una figura di medico all'altezza dei tempi - cfr. Cagli
(2009).
D'altra parte, sono note alla letteratura quanto le esperienze creative, la poesia, l'arte, il diario,
possano aiutare il paziente a combattere il dolore. In questa lotta per raccontare l'inenarrabile,
è possibile assistere il paziente ponendolo di fronte a varie forme dell'espressione di dolore, da
Leopardi a Rilke e Joseph Roth, da Epicuro a Wittgenstein, da Frida Kahlo a Jaqueline Du Pré.
Trasformare il dolore nel piano del contenuto di una performance narrativa vuol dire lavorare
sulla sua forma e dargli un senso: questo è il motivo per cui la narrazione è un'arma
irrinunciabile nelle tattiche per fronteggiare e combattere il dolore.
Riferimenti bibliografici
Cagli, Vito, 2009, "Un medico per per il nostro tempo. Solo un tecnico efficiente, o anche un
uomo di cultura?" in Etica della ricerca medica ed identità culturale europea, a cura di
Francesco Galofaro, CLUEB, Bologna.
Galofaro, Francesco, 2007, “Interpreting Radiograms”, in Peirce and image 1, G.
Proni (ed.), Working Papers and pre-publications, Università di Urbino, Urbino.
Galofaro, Francesco, 2010, Pragmatica, dolore e forme di vita. Una ricerca sul dolore cronico a
partire da Wittgenstein. Atti del XVII congresso della società di filosofia del linguaggio, in corso
di pubblicazione.
Galvagni, Lucia, “Narrazioni e creatività morale: nuovi approcci etici in medicina”, in Etica della
ricerca medica ed identità culturale europea, a cura di Francesco Galofaro, CLUEB, Bologna.
Good, Byron J., 2006, Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medicopaziente, Einaudi, Torino.
Le Breton, David, 1995, Anthropologie de la douleur, éditions Métailié, Paris (tr. it.
Antropologia del dolore, Meltemi, Roma, 2007).
Nuland, Sherwin, 2004, Storia della medicina, Mondadori, Milano
Greimas, A.J. e Courtés, J., 1979, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie
du langage, Hachette, Paris.