Primo Piano

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Primo Piano
Primo Piano
Sulla scia di
Moitessier
Stamurino da sei lustri, Luciano Bilancioni, ha due grandi passioni:
il mare e i navigatori d’altri tempi.
U
n distinto signore, dallo
stile sobrio e misurato,
l’imprenditore Luciano
Bilancioni, Lucien Balance, come
lo chiamò un amico francese e
come qualcuno lo chiama ancor
oggi, non ama molto parlare di
sé, ma preferisce che a farlo
siano le sue creature, capi “di
nautica romantica”,
come
ama definirli,
con cui veste gli
amanti
del
mare, ispirandosi a navigatori celebri del
passato.
Lo
incontriamo,
perché ci racconti la Stamura
e il mare secondo lui.
Entri in Stamura 30 anni fa: con
quale ruolo? E quali gli incarichi
poi svolti nel tempo nella
Polisportiva?
L. B.: Non sono uno stamurino
“doc” di quelli che provengono
dalle derive. Sono arrivato dalla
campagna, quand’ero già adulto,
negli anni in cui era difficilissimo
avere un posto in Stamura. Sono
entrato grazie a Miro Bartoletti,
così che in cambio mi offrii di
sponsorizzare i Campionati d’inverno, che all’epoca stavano per-
dendo un po’ di smalto, istituendo il trofeo FLY3. Poi, sono entrato in consiglio quando Miro era
vicepresidente, ma l’esperienza è
durata solo un paio d’anni. Da
quel momento, la mia partecipazione con la polisportiva è continuata sporadicamente e solo con
la mia azienda, “Gente di mare”.
Un nome, un programma
L. B.: (ride) Il nome la dice lunga:
sono un appassionato del mare in
ogni forma, ma soprattutto della
vita sul mare, nonché ovviamente
di regate. L’idea del nome, però,
mi è venuta in Capitaneria di
Porto, dove “Gente di mare” è il
nome dell’ufficio di collocamento
di tutti gli uomini di mare.
Qualche episodio che in questo
lungo periodo ricordi con piacere?
L. B.: Senz’altro i vari campionati
d’inverno, dove con certi avversari si gareggiava per vincere,
oltre alla coppa, la ‘mucigna’, la
cassa di pesce dei marinai del
Mandracchio.
Ci vuoi parlare della tua
Mediterraneo e dell’esperienza
in regata?
L. B.: Tutte le mie barche si sono
sempre chiam a t e
Mediterraneo,
ma
quando
sono diventate
più grandi ed è
diventato difficile
mettere
insieme
un
Francoise
Moitessier
equipaggio, ho
nella sua casa
smesso con le
a Marsiglia
tra Patrizia
regate. Ne ho
e Luciano
conservata
Bilancioni.
appena qualcuna lunga, ma solo con amici.
La Barcolana, per esempio, dove
con Gigi Lanari al timone abbiamo tenuto alto il nome della
Stamura. Senza risultati eclatanti,
ho vestito i colori stamurini anche
oltreoceano con una Arc (regata
oceanica) e una Antigua sailing
week. Il nome Mediterraneo mi
venne in mente nel 1992 a
Kastellorizo, un’isola greca dove
Salvatores stava girando l’omonimo film. L’attuale Mediterraneo è
uno starkel 64, una ‘barca da
crociera’, che non disdegna la
velocità e, se gestita bene, come
la gemella ‘Qukal’ degli amici
Cagnoni, si distingue anche in
regata.
In che rapporto sei con gli altri
Stamurini? Qualche rapporto
privilegiato?
L. B.: Non saprei… Miro era un
grande amico, lo rimpiango e proprio ieri ho partecipato alla commovente commemorazione del
primo anno dalla sua scomparsa
(venerdì 15 ottobre, ndr); poi
Leonardo Zuccaro, che mi ha insegnato ad andare in barca, Luigi
Lanari, uno dei più bravi timonieri
nella Stamura, senza dimenticare
Lambert e Lambertson, due istituzioni che io così ho ribattezzato.
Ma c’è amicizia e stima verso tutto
il consiglio, composto da amici
che conosco da oltre vent’anni.
Solo il ‘vice’, Francesco Flamini, è
una conoscenza più recente, ma è
il più simpatico.
Che cosa potrebbe fare ancora
la società?
L. B.: Continuare con lo stesso
impegno di ora. Il direttivo attuale
ha tolto grigiore alla società, è
attivissimo (pensa solo a come
lavora Andrea Giorgetti!) e mi ha
riavvicinato al Circolo. Proseguirei
infine con la politica di collaborazione e integrazione con altri circoli.
Alcune tue collezioni sono dedicate a Bernard Moitessier, il
navigatore, avventuriero, filosofo e scrittore, icona dagli
anni 60 della vera vita di mare.
Tu hai conosciuto Francoise,
sua seconda delle tre mogli.
Com’è andata?
L. B.: Dedico da sempre alcune
maglie a Bernard Moitessier, un
vero mito per la
gente di mare.
Quando ho scoperto nella primavera scorsa che la
sua
seconda
moglie abitava a
Marsiglia, sopra il
negozio di un
nostro cliente, le ho chiesto di
incontrarci. Sono andato con mia
moglie Patrizia, e la signora ci ha
accolto con simpatia e gran signorilità. Ci ha raccontato, tra le tante
cose, che ripartirebbe ancora oggi,
ultrasettantenne, ma solo e sempre con questo concetto “romantico” del navigare, con la vela, per il
solo piacere di stare in acqua,
senza quelle esasperazioni,
quell’ansia da performance, purtroppo oggi molto diffuse in mare.
E, come diceva il suo Bernard,
solo ‘per ascoltare quel silenzio
apparente del vento che scivola
sulle vele’. Le abbiamo regalato la
maglia a lei dedicata, la ‘Madame
Tamata’, e l’ha apprezzata molto.
Un concetto “romantico” di
navigazione che è anche il tuo. E
che da sempre trasferisci
nell’abbigliamento.
L. B.: Esatto, ed è un concetto
molto vicino anche a quello del
nostro presidente: il gusto del mare
per il mare, senza esasperazioni,
sia nel mezzo sia nell’abbigliamento. Al posto delle uniformi in
stile ciclista di oggi, preferisco lo
stile anni 60, dove anche nei campionati di Coppa America, ci si
vestiva come su Weatherly (tutti in
bianco senza scritte) o su
Shamrock, il cui armatore, Sir
Thomas Lipton, il re del thè, navigava in doppiopetto e papillon.
E’ per questo che dedichi la
Diego Cafasi
Diego Cafasi
Luciano Bilancioni
sulla sua Mediterraneo,
uno starkel 64.
maggior parte delle tue collezioni ai miti del passato?
L. B.: I nostri sono capi, come amo
definirli, di “nautica romantica”,
indumenti che si ispirano a capi
indossati da uomini o a situazioni
di mare. La collezione dedicata a
Hemingway, per esempio, si rifà a
uno dei suoi classici maglioni.
L’avevo chiamata con il suo nome,
ma la fondazione newyorkese
omonima si oppose per un problema di diritti. Così l’ho chiamata
Pilar, come la sua barca.
E poi ci sono maglie dedicate
proprio a Moitessier.
L. B.: C’è Joshua, il nome della
sua barca, e Tamata, il nome che
gli diedero i polinesiani, che significa ‘tentare’ nella loro lingua, quando abbandonò una regata intorno
al mondo, mentre era in testa,
comunicandolo con un messaggio
lanciato con una fionda su un
cargo. Nel messaggio aveva scritto: ”proseguo senza scalo per le
isole del Pacifico, perché sono
felice in mare e forse per salvare la
mia anima.”
Puoi dirci una massima all’insegna della quale vivi e lavori?
L. B.: La scrivo sui capi Fly3 da
trent’anni ed è di Saint Exupery:
“Nessuna cosa raggiunge la perfezione quando non c’è niente da
aggiungere, ma quando non c’è
più niente da togliere.” Vale sia per
l’abbigliamento sia per la vita.
Elisabetta Flamini

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