1 – BERNARD BIGOT, High Commissioner for atomic energy

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1 – BERNARD BIGOT, High Commissioner for atomic energy
“Standard di sicurezza e nuove frontiere tecnologiche per l’energia nucleare”
BERNARD BIGOT, High Commissioner for atomic energy CEA, Francia.
Signor presidente, se mi consente, parlerò in francese perché sono convinto che il
vostro interprete sarà in grado di tradurre meglio di quanto potrei esprimermi io in
italiano o inglese.
Vi ringrazio innanzitutto dell’invito. Sono onorato di condividere con voi qualche
elemento della nostra riflessione, che ha permesso alla Francia, nel 2005, di prendere
la decisione di avviare la costruzione di un nuovo reattore.
Sullo schermo state vedendo l’immagine del sito di Flamanville, con i primi due
reattori già oggi in funzione e il terzo in costruzione.
Come sapete, la Francia ha compiuto la scelta dell’energia di origine nucleare più
di cinquant’anni orsono ed ha realizzato uno sforzo notevole per dotarsi di un parco
reattori che le permette oggi di produrre quasi il 68 per cento dell’energia elettrica
che la Francia consuma, di origine nucleare, in combinazione con la sua produzione
di origine idroelettrica e con quella da fonti rinnovabili come biomassa ed eolico.
Con ciò si arriva a più del 90 per cento della sua produzione senza emissioni di gas a
effetto serra.
In questa slide potete vedere la crescita della domanda di energia elettrica, che
negli ultimi quindici anni è stata coperta essenzialmente grazie allo sviluppo del
parco nucleare. Il motivo è che, anche se non abbiamo più messo in funzione nuove
centrali dal 2000 ad oggi, in effetti abbiamo raccolto delle esperienze industriali che
ci permettono di far funzionare sempre meglio questi impianti, nel pieno rispetto
della sicurezza.
La Francia, naturalmente, produce l’elettricità di cui necessita ma, come sapete,
esporta in Europa una parte dell’elettricità che produce. Nella slide potete vedere,
anno per anno, il flusso di energia elettrica esportata: attualmente siamo al 15 per
cento della nostra produzione. È chiaro che, data la crescente domanda di elettricità,
non potremo continuare ad esportare a quei livelli, a meno che non torniamo ad
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“Standard di sicurezza e nuove frontiere tecnologiche per l’energia nucleare”
investire.
Il parco nucleare odierno è formato da cinquantotto centrali, ubicate in
diciannove siti, con un parco molto omogeneo. Come vedete, infatti, ci sono
trentaquattro centrali della stessa natura, con una standardizzazione industriale e
venti di altra natura, ma nell’ambito della stessa concezione, e poi quattro ancora più
potenti.
La capacità complessiva è pari a 63 miliardi di watt elettrici: è il secondo parco
elettronucleare al mondo, dopo quello degli amici americani. Come ognuno di noi
sa, questo grosso investimento è suddiviso sull’insieme del territorio francese e ha
permesso alla Francia – che già nel 1973 aveva esaurito le risorse fossili su cui
poggiava il suo sviluppo economico – di avere oggi un’indipendenza energetica
dell’ordine del 50 per cento, nonostante l’esaurimento delle proprie risorse fossili.
Nel 1973 eravamo al 26 per cento e, se non avessimo avuto il nucleare nel nostro
Paese, la dipendenza energetica della Francia sarebbe oggi superiore al 92 per cento.
Come potete immaginare, sarebbe stato qualcosa di assolutamente inaccettabile
per un grande Paese industriale. Il vantaggio di questo investimento nel nucleare è
stato anche, in un momento in cui il pianeta sempre più si occupa dell’impatto della
produzione energetica sull’ambiente e sul funzionamento globale del territorio, che
si sono potute avere basse emissioni di gas a effetto serra.
Occorre sapere che con un parco nucleare come il nostro, noi abbiamo la
possibilità di non emettere gas serra, ossia biossido di carbonio, in misura pari a
quella del nostro parco nucleare. Se non avessimo il parco nucleare, raddoppieremo
la nostra produzione di biossido di carbonio.
La popolazione francese sostiene in grande misura l’opzione nucleare. Il primo
motivo è che ne vede i vantaggi, che consistono in una stabilità dei prezzi
dell’energia elettrica.
Questa slide mostra un paragone tra i prezzi pagati dal cittadino per l’elettricità
nei vari Paesi: come vedete, c’è effettivamente una grande stabilità, a questo
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riguardo, ancor più facile da notare se si guarda il prezzo industriale. A partire dal
2005, molti Paesi hanno assistito ad una forte impennata dei costi dell’elettricità
industriale – dei prezzi di mercato, se così posso dire – perché il rincaro dei
combustibili fossili ha avuto un grande peso, mentre il prezzo francese, come vedete,
è rimasto molto stabile. È chiaro, quindi, che si sceglie il nucleare solo perché nei
vari soggetti c’è la percezione di ricavarne un vantaggio.
La nostra percezione è che la crescita della domanda di elettricità continuerà,
perché è un’energia pulita, che si può sviluppare in condizioni economiche
invidiabili. In Francia ci sono vari scenari, che ora non approfondisco, che mostrano
come, anche se noi facciamo uno sforzo massimo per risparmiare energia, il
consumo di elettricità crescerà comunque, perché l’insieme dei beni di consumo
nelle nostre case e lo sviluppo delle varie tecnologie ne avranno bisogno. E questo
senza parlare di una rottura del modello di trasporto individuale.
Se succedesse quello che molti oggi credono, cioè che nei prossimi vent’anni nel
mondo, ma sopratutto in Europa, si svilupperà la cosiddetta motorizzazione ibrida,
ossia una miscela di motorizzazione elettrica e termica, sia per garantire il rispetto
dell’ambiente, sia per mantenere i vantaggi di un trasporto sulle lunghe distanze,
ebbene, l’impatto sarà ancora maggiore.
Bisogna sapere che oggi, in Francia, abbiamo circa 36 milioni di auto individuali
o utilitarie: per percorrere il chilometraggio che questo parco macchine percorre
oggi (14.000 chilometri per auto individuali e il doppio per le auto di servizio,
furgoni eccetera) basterà costruire sei centrali nucleari per soddisfare l’intero
fabbisogno di quel parco macchine. Il motivo è chiaro: un motore termico ha un
rendimento del 15 per cento, mentre un motore elettrico può arrivare al 90 per cento
di rendimento.
In quelle previsioni non abbiamo inserito questa evoluzione, ma se essa si
verificasse, vedrete di che entità sarà la posta in gioco per le prospettive
dell’elettricità.
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Questa politica non è, dunque, una politica del momento, ma una politica
associata ad una programmazione, che comporta aspri dibattiti in Parlamento e che
coinvolge l’opinione pubblica. Nel luglio 2005 è stata votata una legge – la legge
sull’energia – che definisce quattro obiettivi per il Paese. Devo dirvi che dal 2005 il
panorama energetico è mutato e che, forse, bisognerebbe quindi aggiornare quella
prospettiva.
I quattro obiettivi sono: contribuire all’indipendenza e garantire la sicurezza
dell’approvvigionamento; avere prezzi competitivi, perché l’energia è un ingrediente
molto importante della competitività economica di un Paese e noi non possiamo
accettare di impegnarci su energie che non sarebbero competitive; rispettare e
tutelare la salute umana e ambientale, lottando, in particolare, contro l’aggravamento
degli effetti dei gas a effetto serra; consentire che l’energia sia accessibile alla vasta
massa della popolazione. L’energia è un bene essenziale per la vita.
Sono stati definiti, di conseguenza, quattro indirizzi di azione: cercare di
padroneggiare la domanda di energia: occorre risparmiare energia, la prima politica
che dobbiamo seguire è di fare tesoro dell’energia che abbiamo; non avere una
visione univoca (tutto nucleare, tutto rinnovabile oppure tutto carbone), ma invece
avere un insieme bilanciato; incrementare la ricerca, perché pensiamo che ci siano
grossi margini di progresso se si investe nella ricerca e nelle nuove tecnologie;
cercare di individuare nuovi metodi per trasportare e immagazzinare l’energia.
La diversificazione – come ho detto – è un’opzione importante e nel 2005 è stato
ribadito con nettezza che la Francia dovesse mantenere aperta l’opzione nucleare e
prepararsi, cioè, a conservare la capacità di produzione al livello in cui ci troviamo
adesso.
Abbiamo fatto questo, da un lato, lanciando la creazione di un nuovo reattore di
terza generazione, che rappresenta un miglioramento e un ritorno di esperienza dal
parco attualmente in funzione, per migliorare la sicurezza, la competitività
economica e quella che chiamiamo l’operatività, affinché un industriale possa
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lavorare come si deve; preparando la cosiddetta «quarta generazione» di reattori a
neutroni rapidi, su cui mi soffermerò tra breve; e aumentando lo sviluppo delle
energie rinnovabili.
Se le energie rinnovabili sono economicamente competitive, abbiamo ogni
interesse a ricavarne il miglior partito possibile. Noi vogliamo investire su quello,
ma non si potrà fare il salto dalla sera alla mattina, quindi avremo ancora bisogno di
energie fossili, anche se solo per qualche anno.
Parlavo prima di competitività economica: stiamo portando avanti studi serissimi
sui costi comparati delle varie fonti energetiche. Oggi, se prendiamo i costi
paragonabili dell’energia nucleare lungo tutta la filiera, dall’estrazione del minerale
fino alla gestione definitiva dei combustibili e delle scorie nucleari, si può notare –
lo studio è del 2003, ma è stato aggiornato nel 2007 e sarà ripubblicato a breve dal
Governo – che il nucleare è competitivo se lo si usa a dovere, cioè, come vedremo
tra pochi minuti, se la centrale funziona per un tempo minimo nell’arco dell’anno.
Una centrale nucleare non è fatta per fornire l’energia di punta o per un’esigenza
di qualche centinaia o migliaia di ore nell’arco dell’anno. A partire da 5.000 ore su
un totale annuo di 8.000 è chiaro che il nucleare è redditizio, mentre al di sotto di
questa quantità non è competitivo. Bisogna, quindi, riflettere sul fatto che il «tutto
nucleare» non funziona, sebbene comporti dei vantaggi.
La Francia ha ora una chiara prospettiva, basata su quattro generazioni. La prima
era quella dell’apprendistato. La seconda è stata la generazione dello sviluppo
tecnologico, con un parco che, ad oggi, conta quasi sessanta reattori, con
un’omogeneizzazione industriale che ci permette di avere un ritorno di esperienza,
nonché un’ottimizzazione economica. La terza generazione, che comincia a essere
quella dell’ampliamento del parco e della preparazione del rinnovo, incorpora tutti
questi ritorni di esperienza per garantire meglio la sicurezza (obiettivo prioritario), la
competitività economica e l’operatività. Dopodiché, bisogna guardare oltre, ossia ai
reattori di quarta generazione.
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Con la tecnologia odierna si usa meno del 2 per cento del contenuto energetico
dell’uranio naturale estratto dal sottosuolo. È chiaro che, qualora si riuscisse a fare di
meglio, sarebbe positivo. Con la quarta generazione si può sperare di fare cento
volte meglio, attraverso un processo di riciclaggio continuo: ciò cambierebbe
completamente la situazione e la Francia investe su questo, ma bisogna investire
soprattutto nella ricerca.
La prima fase è quella del rinnovo. Il grosso del parco risale agli anni ’80 e finora
si è parlato di una sua durata di vita media di 23 anni. In Francia la durata della vita
di un impianto non è certa fin dall’inizio. Ogni dieci anni, infatti, si compie una
verifica attentissima di ogni centrale per garantire che la sicurezza sia certa.
Se qualche autorità di controllo ci dice che la sicurezza non c’è più, allora
fermiamo la centrale. Oggi si punta su una durata di vita minima della centrale di
quarant’anni, perché l’esperienza che abbiamo e i campioni messi da noi nelle
centrali ci dimostrano che l’invecchiamento dei materiali, delle attrezzature e del
nocciolo è molto più lento di quanto noi non avessimo immaginato nelle nostre
stime, abbastanza conservative.
Nella slide sono evidenziate in blu chiaro le centrali oggi esistenti, con una durata
di vita media di quarant’anni.
Intorno al 2020 lanceremo la quarta generazione, che porterà a una crescita in
potenza, ma rispetto alla quale saremo pronti solo quando avremo risposto
all’esigenza dell’assoluta sicurezza.
La nostra scelta consiste nell’incominciare dal rinnovamento delle vecchie
centrali, con una sostituzione mediante reattori di terza generazione. Non appena
sarà matura la tecnologia della quarta generazione, la applicheremo. Sottolineo che
non è possibile passare da zero alla quarta generazione.
La quarta generazione impone che si adoperi l’uranio naturale o l’uranio
impoverito più il plutonio, che è prodotto dai reattori di terza generazione, ma anche
di quarta, se necessario. Per avviare il processo c’è bisogno, dunque, del plutonio e
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bisogna sapere che servono varie decine di anni di accumulo di plutonio per poter
avviare un reattore della generazione successiva. Ho voluto precisare questo perché
ritengo sia importante.
Questa slide vi presenta i nostri piani di sviluppo. Come vedete, nel 2004
abbiamo preso la decisione di principio di costruire il primo di questa serie di
reattori EPR. Sono poi seguite, per tre anni, le procedure legali e le consultazioni
dell’opinione pubblica, fino all’assunzione – nel 2007 – della decisione formale di
cominciare a costruire. La previsione è che i primi reattori siano pronti nel 2012, tra
cinque anni. Il primo esperimento su questo tipo di reattore, il primo nel suo genere
in ambito industriale, risale al 2005.
In questo modo si è dunque deciso di costruire non più un reattore di tanto in
tanto, ma due reattori all’anno, per i dieci o quindici anni seguenti, al fine di
rinnovare il parco esistente. A quel punto avremo raggiunto la sicurezza massima.
Vorrei citare anche le esigenze di sicurezza, un miglior uso della risorsa uranio e
una competitività economica maggiore: questi sono gli obiettivi della terza
generazione, con una esigenza di sicurezza assoluta, che poggia sia sulla concezione
del reattore, sia sulla cultura degli operatori. La cultura della sicurezza è un’esigenza
che bisogna coltivare continuamente. Proprio per questo, noi abbiamo varato un
certo numero di disposizioni che garantiscano il permanere di questa cultura.
Cerchiamo di migliorare l’efficienza a partire da una concezione migliore.
Studiamo tutti gli scenari conseguenti ad un possibile incidente, per garantire di
poter padroneggiarne le sue conseguenze in modo che non vi siano impatti
sull’ambiente e sulla popolazione circostante. Questa è la nostra strategia.
Un reattore quasi uguale a quello che si sta costruendo a Flamanville – che forse
conoscete come EPR – è in costruzione in Finlandia, ma anche in Cina e in
Inghilterra: a breve si firmerà un accordo al riguardo. Ebbene, questo reattore ha
moltiplicato i dispositivi a garanzia della sicurezza, come i sistemi di raffreddamento
indipendenti e il confinamento a tutta prova. Si può gestire ogni incidente senza
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rischi per l’ambiente, quindi, con l’obiettivo di un funzionamento di sessanta anni.
Abbiamo messo in atto un certo numero di strategie che non vi espongo qui nel
dettaglio.
Se ho ancora qualche minuto, signor presidente, vorrei spiegarvi il processo che,
in Francia, si è seguito per giungere a questo risultato. Ci sono tre dispositivi che
funzionano in parallelo. C’è il dispositivo dell’operatore, dell’impresa che decide di
costruire l’impianto (in Francia si chiama Électricité de France, EDF); c’è poi
l’amministrazione, il Governo, che deve definire i dispositivi di inquadramento
normativo e garantirne il rispetto; infine, c’è il momento di consultazione
dell’opinione pubblica e degli enti locali coinvolti da questo processo, che è un
processo lento, considerato che la decisione si è assunta nel 2004.
In Francia esiste una commissione nazionale per la discussione pubblica, che ha
la responsabilità di organizzare la discussione pubblica tra operatori privati,
amministrazioni e opinione pubblica sui grandi investimenti strutturali (autostrade,
stabilimenti chimici, acciaierie e impianti nucleari). Dopo questa discussione
pubblica c’è un rapporto pubblico, cui segue un’autorizzazione. Questo processo
deve aver luogo prima dell’avvio della costruzione.
Questa discussione pubblica, a mio giudizio, è un elemento cruciale per fare un
investimento che durerà per un secolo: il tempo dell’istruttoria, cui si aggiungono
quelli della costruzione, del funzionamento e della gestione. Non si avvia un siffatto
progetto senza la chiara comprensione da parte di tutti coloro che sono coinvolti: la
discussione pubblica è un ingrediente importante.
Questo non è successo fin dall’inizio. Solo dal 1995 la legge ha imposto questo
tipo di organizzazione. Non mi addentro ora nei dettagli dell’organizzazione di
questa pubblica discussione, che prevede una fase preparatoria di circa sei mesi, nei
quali si riuniscono le varie parti interessate perché si esprimano, presentino
documenti; c’è poi una fase pubblica, che dura quattro mesi e, infine, si restituiscono
i vari elementi. Il tempo è un fattore importante, quando si investe sulla lunga
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durata. Non mi addentro in maggiori dettagli per rispettare i tempi stabiliti.
Vorrei solo aggiungere che la cosa più importante, quando ci si impegna in un
processo di questo genere, è costruire un rapporto di fiducia con l’opinione pubblica.
In Francia, come vedete in questo schema, anno dopo anno, l’opinione pubblica è
consultata circa sulla questione se ci siano più vantaggi o più inconvenienti nel fatto
che più del 75 per cento dell’elettricità prodotta in Francia viene dal nucleare. Non
viene chiesto se si è favorevoli o contrari al nucleare, ma se conviene investire in
questo modo.
Generalmente coloro che vedono più vantaggi sono stati sempre più del 50 cento,
ma certo ci sono anche quelli che vedono più inconvenienti. Questi ultimi si situano
storicamente al tempo in cui il petrolio costava dodici dollari al barile. Con la vista
corta ci si domandava all’epoca perché impegnarsi nel nucleare, se il petrolio
costava così poco. Poi, nel 2006-2007, si è visto che la configurazione delle cose si
modifica e che l’opinione pubblica si è spostata in funzione di questi elementi.
In conclusione, penso che la mia convinzione più profonda, come commissario
per l’energia atomica, sia la seguente: un Paese sceglie il nucleare solo se c’è una
chiara maggioranza della sua popolazione e dei suoi leader politici e industriali che
siano convinti che, sul lungo termine, i vantaggi di un investimento nel nucleare
siano superiori ai rischi. Questo vuol dire capire bene i rischi e i benefici e,
soprattutto, prendere provvedimenti per ridurre questi rischi al minimo.
Posso dire che il mio convincimento è che noi siamo oggi capaci di gestire il
nucleare in condizioni in cui i rischi siano accettabili e ragionevoli e che, quindi, ci
si può organizzare di conseguenza. Secondariamente, dobbiamo applicare un
dispositivo regolamentare che garantisca la trasparenza sul funzionamento degli
impianti.
In conclusione, signor presidente, vorrei dire che la Francia – che ha questa
esperienza, l’ha vissuta in positivo e oggi ne ricava chiaramente un certo beneficio –
è pronta a condividere questa esperienza con voi, sul piano della discussione
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pubblica, con i leader; è pronta a condividere con voi la consapevolezza della
necessità di una cultura della sicurezza e tutto il quadro regolamentare che potrà
essere necessario; ma anche ad andare oltre, forse con grandi partenariati industriali,
se così deciderete di fare.
Ecco, presidente, quanto intendevo dire.
ANDREA GIBELLI, Presidente della X Commissione, Attività produttive,
commercio e turismo, delegato al coordinamento delle attività del Comitato VAST.
Ringrazio Bernard Bigot per il contributo che ha voluto oggi fornire alla
discussione.
Ricordo che la documentazione che ci avete inviato sarà a disposizione fra poco
sul sito web della Camera, in modo che i nostri ospiti e le persone che ci stanno
seguendo in diretta via internet abbiano a disposizione gli elementi che ci avete
fornito, per una puntuale e compiuta osservazione su tanti degli elementi di
esperienza che la Francia ci ha voluto oggi ricordare.
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