montevarchi - estetica della citta
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montevarchi - estetica della citta
IL RITRATTO DI MONTEVARCHI Marco Romano Chi arriva a Montevarchi – con il treno, supponiamo – entra in una cittadina di aspetto antico, uno dei centomila centri storici dei quali è punteggiata l’Europa, e potrebbe rimanersene soddisfatto di aver constatato che il suo aspetto corrisponde alle raccomandazioni della guida turistica del Touring Club e che i suoi edifici monumentali esistano davvero. Ma uno sguardo più attento rileva aspetti parecchio più intriganti, nelle sue curiose trasgressioni racconta l’anima contraddittoria della sua civitas, dei suoi cittadini. Non è certo la piazza della stazione, che in definitiva rispecchia come in molte altre città - per non andare lontano, a San Giovanni Valdarno - i suggerimenti della società concessionaria delle ferrovie, che doveva decidere dove far passare la strada ferrata e dove costruire la stazione: e, in città che non avevano neppure pensato che potesse esistere un piano regolatore, i disegni loro presentati erano giustamente convincenti, una bella piazza a giardino lì davanti, aperta sulla strada foranea forse più importante, quella fuori porta fiorentina, e completata in seguito, di fronte, dall’ospedale. E neppure di lì, verso la città antica, sarà la piazza aperta dove intravediamo la strada maggiore del centro storico, con il suo monumento a Mazzini e il suo torrione medievale - e, un poco, anche la pagoda liberty sullo sfondo - a incuriosirci, semmai è il suo lungo portico neoclassico a sembrarci un accenno monumentale inconsueto. Piazza della stazione e piazza Mazzini Ma poi la sequenza della strada maggiore, nel cuore del centro più antico, non ha nulla di inconsueto, interrotta da una piazza conventuale e soprattutto dalla piazza principale con il palazzo municipale, con la chiesa e con un lungo portico che annuncia il suo essere anche piazza del mercato: e del resto, se foste lì un giovedì, la bancarelle le trovereste davvero. 1 La piazza principale con la chiesa, il palazzo municipale e il mercato Neppure la strada principale diritta che percorre la città da porta a porta e neppure la sua forma fusiforme – artifici visti nel Duecento anche altrove senza che qualcuno attribuisse loro un qualche significato, un modello da codificare e ripetere – ci raccontano qualcosa di particolare. Le piante duecentesche di Castelbolognese e di la Bastide Clairence A sorprenderci è invece che la strada maggiore, che la attraversa tutta da occidente a oriente, sia dominata in fondo dallo svettare di una altissima torre che, vista poi da vicino, è un singolare e raffinato exploit architettonico del déco più consapevole degli anni Trenta del Novecento, una torre fuori dal consueto che costituisce a suo modo un pendant del portico neoclassico di piazza Mazzini. La pianta di Montevarchi 2 La strada maggiore con la torre déco A guardar meglio questa prorompente e recente volontà estetica ha le sue lontane radici ancora nel Trecento, quando Montevarchi era soltanto lo spiazzo di un mercato con qualche casa e qualche locanda e una piccola Collegiata – il seme di quella grandiosa di adesso – e i fiorentini le costruivano intorno una corona di città nuove, San Giovanni Valdarno, Castelfranco di Sopra, Terranuova, destinate a presidiare il territorio verso Arezzo e a raccogliere i contadini di certe grandi famiglie di matrice feudale da scardinare piano piano, tra le altre appunto i Guidi che di quel mercatale avevano il possesso. Le terre nuove erano il colmo dell’eleganza, tracciate da celebrati architetti e da colti agrimensori, veri monumenti di una nascente arte di disegnare città, quando Montevarchi era poi, nell’immaginario comune, una piazza del mercato dominata dalla chiesa e disposta tra i due ponti della strada fiorentina e della strada aretina. 3 Città fondate con piante rettangolari erano state frequenti – Gattinara nel 1242 o Manfredonia nel 1265 – ma San Giovanni Valdarno, tracciata da Arnolfo di Cambio così rettangolare, ha una consolidata ascendenza nelle piante di Camaiore e di Pietrasanta, fondate dai lucchesi verso il 1255, e avrà poi un seguito immediato in quella di Terranuova e qualche decennio dopo nella pianta di Cittaducale, che Roberto d’Angiò affiderà a Rustichello da Pisa, ed un’ultima replica nel 1565 nell’avamposto fiorentino nelle Romagne, Terra del Sole, tutte parecchio meno eleganti di quella di San Giovanni, la cui autentica invenzione era stata quella di tematizzare tutte le strade che la attraversano longitudinalmente con la medesima piazza traversale, quella maggiore con le due porte principali ma assicurando anche a quelle minori il dignitoso fondale di una torre, dove forse in tempo di pace sarebbe stato possibile aprire una pusterla. Le piante di Gattinara e di Manfredonia 4 Le piante di Camaiore e di Pietrasanta La pianta di Terranuova e di Cittaducale La pianta di Terra del Sole Arnolfo di Cambio sembrava avesse poi fatto ricorso, a procedure agrimensorie raffinate forse ispirate ai suggerimenti del matematico pisano Leonardo Fibonacci - allora trentenne - che peraltro compariranno con qualche variante anche a Terranuova, sicché San Giovanni, dove agli inizi del Quattrocento il palazzo municipale era stato circondato da un portico diventerà un caso esemplare del modo moderno di disegnare una città con la piazza principale sul davanti e la piazza del mercato, separata dal palazzo municipale medesimo, sullo sfondo 5 Le geometrie di San Giovanni e di Terranuova E’ per l’appunto la piazza di San Giovanni Valdarno il modello delle tavola di Urbino dove Leon Battista Alberti disegna nei quattro palazzi in primo piano come avrebbe potuto essere una bella piazza tutta circondata dai palazzi dei maggiorenti - come l’avrebbero voluta i senesi nel 1295, quando avevano chiesto a chi avesse ricostruito una casa sul Campo di abbellirla con bifore - con sullo sfondo le case artigiane e mercantili nella loro architettura tradizionale, i lotti stretti e i tetti sporgenti, affacciate sulla piazza del mercato dietro alla rotonda porticata così simile nel modello architettonico al palazzo municipale di San Giovanni Valdarno, e con la chiesa sullo sfondo. La piazza della tavola di Urbino e quella di San Giovanni Valdarno Della celebrità di San Giovanni i fiorentini erano consapevoli così tanto da evocarne la veduta, ancora nel 1627, nella sala delle allegorie sullo sfondo di un affresco di soggetto mitologico, mentre Montevarchi dovrà accontentarsi di uno scorcio ai piedi di un quadro conservato nel museo della Collegiata. 6 Allegoria di San Giovanni Valdarno La veduta di Montevarchi, con l’evocazione sulla montagna del castello dei Guidi e sulla strada dopo il ponte dell’osteria di Levane, la cui eccellente tavola costituiva un’attrazione cosmopolita. Profittando di una nota di Giorgio Vasari che attribuisce anche Castelfranco di Sopra ad Arnolfo di Cambio i suoi cittadini gli hanno eretto un statua bronzea nei pubblici giardini e lo hanno anche fatto ritrarre mentre mostra a Dante Alighieri il crescere dell’opera sua, un soggetto ottocentesco ispirato paro paro dall’immenso affresco che il granduca Cosimo aveva fatto dipingere dal Vasari sul soffitto della sala dei Cinquecento a palazzo Vecchio, Arnolfo nell’atto di mostrare ai maggiorenti della città il progetto delle nuove mura e il nuovo piano regolatore. 7 L’ampio gesto di Arnolfo a Firenze e il suo cauto braccio a Castelfranco Solo che a uno sguardo critico attento questa attribuzione non sembra reggere molto perché Castelfranco appartiene a una diversa genealogia di città nuove, città quadrate con una piazza centrale tendenzialmente chiusa e non passante, come per esempio Cherasco, fondata nel 1242. Le piante di Castelfranco di Sopra e di Cherasco La pianta di Crevalcore fondata nel 1231 Se per i cittadini di Castelfranco questa lettura critica potrebbe sembrare una diminutio della loro tradizione dobbiamo sottolineare che, mentre il modello di 8 San Giovanni avrà la breve vita che abbiamo visto, la loro città quadrata avrà invece un seguito clamoroso, a partire dalla città ideale proposta nel suo trattato da Francisco Eiximenis nel 1389 e da quella disegnata da Filarete nel 1464, costituita da due città quadrate sovrapposte e ruotate di 45°. Le città di Eiximenis e di Filarete Come è evidente lo schema quadrato consente di costituire quattro quartieri tematizzati da una loro piazza, una soluzione più convincente di quella adottata a San Giovanni, di tematizzarli con la piazza principale e la veduta di una torre sullo sfondo della strada. Città con questo schema saranno numerose: molto curiosa è la pianta a nove lati di Palmanova, dove il suggerimento di Filarete viene interpretato tracciando tre strade maggiori, con una schiera di palazzi a corte, fiancheggiate da due quartieri ciascuna con la loro piazza, ma potremmo ricordarne molte altre, tra cui la più recenti forse Città del Guatemala nel 1776 e Adelaide, in Australia, nel 1836: e poi anche le città ricostruite in Calabria dopo il terremoto del 1783, come Bianco e Mileto. Le piante di Palmanova, Città del Guatemala e Adelaide 9 Le piante di Bianco e di Mileto Genealogie illustri, dunque, quelle delle tre Terre Nuove fiorentine che fanno corona a Montevarchi, ma Montevarchi sarà poi delle quattro la più ricca, una ricchezza sulla cui origine possiamo forse fare qualche congettura – i grandi patrimoni fondiari gravitavano sul mercatale di Montevarchi e non sulle Terre Nuove dei fiorentini - ma fatto sta che nella seconda metà dell’Ottocento Montevarchi diventerà un cospicuo centro industriale alla radice di un vivacissima crescita economica. E questa nuova ricchezza la città vorrà mostrarla nella sua forma visibile, una forma così perentoria da eclissare – o quanto meno ridimensionare – le glorie passate di San Giovanni, di Castelfranco, di Terranuova, facendo disegnare agli inizi degli anni Venti del Novecento un piano regolatore con tutti i crismi delle conoscenze tecniche dei tempi. Motivo dominante del piano è una croce di strade il cui braccio settentrionale costituisce una sorta di circonvallazione del vecchio centro con due nuovi ponti e il cui braccio longitudinale viene tematizzato da piazza Mazzini e dalla sua loggia, con un incrocio smussato che allude a un decoro monumentale. La croce di strade è un tema antichissimo delle città – ne esiste persino una traccia in una tavoletta babilonese – e la troviamo di frequente perseguita con determinazione, da Parigi al caso celeberrimo di Palermo, ma dobbiamo nutrire il 10 sospetto che in questo caso l’estensore del piano di Montevarchi avesse in mente soprattutto la croce di strade del piano ottocentesco di Arezzo, anche questo probabilmente suggerito dalla compagnia ferroviaria. La città di Nimrud, la pianta di Palermo e la croce di Arezzo Ecco che questa avrebbe potuto essere stata davvero l’occasione per Montevarchi di una dignità estetica comparabile a quella delle Terre Nuove fiorentine di sei secoli prima, ma le cose non sono andate così: perché poi la strada grande, quella lunga trasversale da est a ovest, è stata tracciata larga sedici metri, una larghezza corrente – via Etnea a Catania, dopo il 1693, è larga appunto sedici metri e sedici metri saranno le strade di Bari nel 1812 – per strade che vogliano essere anche nuove strade principali con due schiere di negozi affacciati, ma questa è piuttosto l’anima di una new town soltanto residenziale, e dunque già a quei tempi con la larghezza di quei trenta metri adottati già nel 1765 a Edimburgo e larghezza corrente dei boulevard contemporanei. La new town di Edimburgo Così quella croce di strade che, a vederla disegnata, sembra costituire la versione novecentesca di una città a suo modo esemplare come erano state al loro tempo le 11 Terre Nuove sarà un’occasione perduta, e a Montevarchi le successive vicende – l’arricchimento della sequenza con il giardino pubblico - non riusciranno a darle quell’aspetto monumentale che altre città avevano conseguito anche molto tempo prima. La croce di strade con la sequenza settentrionale e la passeggiata con lo stadio; e piazza Mazzini al centro della croce Quasi cent’anni prima la croce di strade di Paternò Casi consimili di città la cui urbs non corrisponde alla dignità conseguita dalla civitas nella sfera politica o in quella culturale sono del resto frequenti, quella Berlino capitale della Germania che aveva vinto la sua guerra con la Francia nel 1870 ha dovuto confrontarsi de visu con lo sfolgorio della Parigi appena uscita dalla mani di Haussmann, una irrimediabile inferiorità nella sfera simbolica che andrà trascinandosi e rinfocolandosi ancora negli anni Trenta del Novecento, quando Albert Speer disegnerà finalmente una prospettiva monumentale per la futura capitale del Terzo Reich: e sappiamo come andrà a finire, Berlino dilaniata dalle bombe e divisa nell’appartenenza politica, Parigi ancora una volta trionfante nella prospettiva nuova delle Défense. 12 Il progetto di Speer e la Défense vista dall’arco di Trionfo Negli anni più recenti la consapevolezza di questa sfasatura tra il crescente ruolo economico di Montevarchi e la relativa modestia del suo habitat ha suggerito di ricorrere alla provata competenza dei maggiori esperti di città chiedendo loro di rivedere il piano regolatore dando campo alla loro competenza, e certo con i vincoli e le norme generali della pianificazione regionale non avrebbero potuto far di meglio che una oculata ridistribuzione di strade e di case e di quant’altro una comunità così vigorosa avrebbe richiesto Ma i vincoli delle procedure stabilite dal governo regionale non consentono in realtà di dispiegare quel vero e proprio colpo d’ala che sarebbe forse stato necessario, seppure un giorno o l’altro – a dispetto dei documenti degli ordini degli architetti contrari al consumo di suolo – forse potremmo riprendere il filo del Trecento e progettare una città tutta nuova della quale Montevarchi e le Terre 13 Nuove fiorentine diventerebbero quasi i quartieri, come Henrici aveva sognata Monaco di Baviera sullo scorcio dell’Ottocento: una città nuova per nuovi cittadini che oggi neppure potrebbero immaginare. www.esteticadellacitta.it 14