Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele

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Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele
Per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi
Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II”
Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele
PIANO STRAORDINARIO PER LA RIMOZIONE
DELLE SITUAZIONI A RISCHIO PIÙ ALTO
contenente
“L’INDIVIDUAZIONE E LA PERIMETRAZIONE DELLE AREE A RISCHIO IDROGEOLOGICO
MOLTO ELEVATO PER L’INCOLUMITÀ DELLE PERSONE E PER LA SICUREZZA DELLE
INFRASTRUTTURE E DEL PATRIMONIO AMBIENTALE E CULTURALE”
D.L. 11/06/98, n°180 convertito in legge 03/08/98, n°267
D.P.C.M. 29/09/98,
D.L. 13/05/99, n°132 convertito in legge 13/07/99, n°226
Rischio di Frana
RELAZIONE GENERALE
II Fase
IL RESPONSABILE E COORDINATORE
SCIENTIFICO DEL SETTORE GEOLOGICO
IL RESPONSABILE E COORDINATORE
Geol. Domenico Guida
Il Direttore del C.U.G.RI.
Prof. Ing. Leonardo Cascini
C.U.G.RI. - Salerno
SCIENTIFICO DEL RISCHIO FRANE
C.U.G.RI.
Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi
Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II”
INDICE
1.
Premessa
1.1
L’Autorità di Bacino di Sinistra Sele: consistenza amministrativa e
territoriale
1.2
Il contesto ambientale di riferimento : il Parco Nazionale del Cilento e del
Vallo di Diano
2.
1.3
Aspetti Geologici del territorio cilentano
1.4
Aspetti geomorfologici del territorio cilentano
1.5
Aspetti geomorfologici del territorio cilentano
1.6
Caratteristiche dei bacini idrografici cilentani
Il rischio da frane
2.1
Generalità
2.1.1 Dati esistenti e disponibili
3.
4.
5.
2.2
Il D.L. 180/98, la L. 267/98, il D.P.C.M./98, la L. 226/99
2.3
Metodologia di lavoro
Fenomeni franosi e massime intensità attese
3.1
Generalità
3.2
Classificazione dei fenomeni franosi
3.3
Ambiti morfologici
3.4
Stato di attività
3.5
3.4.1. Distribuzione territoriale delle frane e modelli geomorfologici della
franosità
Scenari delle massime intensità attese
Tessuto urbano e danni segnalati
4.1
Insediamenti urbani e infrastrutturali
4.2
Danni segnalati
La perimetrazione delle aree a rischio molto elevato (R4)
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99
Relazione generale rischio di frane
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1. Premessa
Il Decreto Legge n.180 del 11 giugno 1998, e successive modificazioni ed integrazioni,
hanno tra le finalità, la salvaguardia della vita umana, del patrimonio strutturale e di quello
ambientale nei confronti di alcuni rischi idrogeologici, tra i quali il rischio da frana.
Al fine di agevolare il conseguimento degli scopi prefissati il DL 180/98 è integrato da
"Atti di indirizzo e coordinamento" contenuti nel D.P.C.M. 29/9/98 (G.U. n. 3 del 5/1/99),
nei quali si delineano i criteri da seguire e le attività che possono concorrere alla
individuazione delle soluzioni più adeguate nel rispetto di tempi particolarmente ristretti.
Si osserva, a tale riguardo, che la consapevolezza del legislatore circa la complessità
delle azioni da porre in essere traspare dai rinvii concessi per i necessari adempimenti
inizialmente fissati prima per il 30/06/99 e successivamente prorogati fino al 30/10/99.
La disponibilità di proroghe, sicuramente indispensabili, non ha in ogni caso
semplificato il compito dell’ Ente competente per una molteplicità di motivi quali: le
difficoltà connesse con la definizione del rischio per il quale non si dispone di procedure
opportunamente testate e/o universalmente adottate; la estensione del territorio da
investigare (circa 1800 kmq); la scarsa sensibilità delle Amministrazioni Locali che
avrebbero dovuto fornire tutti gli elementi utili per il conseguimento degli obiettivi; la
necessità di integrarsi con le attività per gli adempimenti della legge 183/89, per la quale
l’Autorità di Bacino deve ancora avviare indagini e studi sistematici.
Per ottemperare alle diverse esigenze si è dovuto, quindi, compiere uno sforzo
organizzativo e conoscitivo rilevante che, in ogni caso, è apparso doveroso per il fine
lodevole del dettato legislativo.
Le numerose azioni condotte, sempre con lo spirito di privilegiare l’acquisizione
ottimizzata del dato di base, sono descritte nella presente relazione.
In particolare si illustrano le metodologie utilizzate sia per la redazione dei singoli
tematismi che per la definizione e la perimetrazione delle aree a rischio elevato, con
qualche accenno alle azioni da intraprendere per le misure di salvaguardia e la mitigazione
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99
Relazione generale rischio di frane
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del rischio, per le quali si rimanda alle relazioni appositamente redatte data la rilevanza dei
temi.
1.1 L’Autorità di Bacino Sinistra Sele: consistenza amministrativa e territoriale
Il Consiglio Regionale della Campania, avvalendosi della Legge Quadro sulla Difesa
del Suolo (L. 183/89) e della facoltà che deriva dall’apposita norma statutaria di cui
all’art.69, con Legge Regionale 7 febbraio 1994, n.8 ha istituito le seguenti Autorità di
Bacino Regionale (art. 3):
-
Autorità di Bacino Nord-Occidentale
-
Autorità di Bacino del Sarno
-
Autorità di Bacino Destra Sele
-
Autorità di Bacino Sinistra Sele
In particolare quest’ ultima Autorità è preposta al governo dei seguenti bacini
idrografici Minori Costieri in sinistra Sele, Alento, Fiumarella, Lambro, Mingardo,
Bussento, Minori Costieri del Cilento.
Nell’ambito di tali bacini l’Autorità è chiamata a perseguire l’unitario e razionale
governo del territorio, in conformità agli obiettivi prefissati dalla legge n. 183/89, con il
compito di indirizzare, coordinare e controllare le attività conoscitive, di pianificazione, di
programmazione e di attuazione.
La perimetrazione del territorio nella quale si esplica l’azione dell’Autorità di bacino è
fornita nella Carta degli Insediamenti e del Patrimonio Ambientale, in scala 1:70.000,
contenente contestualmente anche quella del Parco e dei Comuni interessati.
Le tabelle delle pagine seguenti forniscono un quadro sintetico dei Comuni di interesse
con indicazioni delle relative superfici e dei sottobacini (fonte Autorità di Bacino Sinistra
Sele).
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
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COMUNE
Sup. Comune
(Kmq)
Popolazione
Bacino
Sottobacino
Zona altimetrica
Agropoli
Alfano
32.61
4.61
18.423
1.695
Testene
Mingardo
Costiero
Montano
Interno
Ascea
Camerota
Cannalonga
37.63
70.18
17.68
5.186
7.546
1.242
Fiumarella
Mingardo
Alento
Testene
Fiume di Prune
E Fosso
Faraone
Fiumarella
Torrente Isca
Palistro
Capaccio
111.56
20271
Solofrone
Torrente
Capodifiume
Casalvelino
Casalletto Spartano
31.79
40.17
4498
1.952
Alento
Bussento
Caselle in Pittari
44.62
2.402
Bussento
Castellabate
Castelnuovo Cilento
37.01
18.50
8.114
2.479
Minori
costieri
Alento
Celle di Bulgheria
31.54
2.2240
Mingardo
Vallone Grande
Centola
47.50
4.952
Mingardo
Mingardo
Ceraso
45.98
3.117
Alento
Palistro
Cicerale
41.12
1.876
Alento
Cuccaro Vetere
17.54
694
Lambro
Futani
14.88
1.648
Lambro
Vallone
Corbella
La Fiumarella,
Vallone della
Bruca
Lambro
Gioi Cilento
28.05
1.941
Alento
Giungano
11.57
1.249
Solofrone
Ispani
8.3
1.055
Laureana Cilento
13.69
1.112
Minori
Costieri
Testene
Laurito
19.93
1.173
Mingardo
Fiumara della
Selva
Vallone
Tramonti,
Vallone
Savarello
Torrente del
Castellaro
Torrente
Dell’Acquarone
Mingardo
Lustra
15.10
1.264
Alento
Costa
Moio delta Civitella
16.94
1.795
Alento
Badolato
Montano Antilia
33.40
2.763
Mingardo
Serapotimo
Montecorice
22.13
2.529
Torrente
Roviscelli
Alento
Rio di
Casaletto
Torna e
Badolato
Testene
724
Minori
costieri
Alento
Morigerati
22.01
21.53
877
Bussento
Novi Velia
34.64
2.213
Alento
Ogliastro Cilento
13.22
2.402
Minori
costieri
Monteforte Cilento
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99
Il Fiumarella,
Fosso Fiume,
Fosso
Capodifiume,
Fosso Leonora
Fiumicello
Rio di
Casaletto, Rio
Del Gerdenaso
Vallone del
Persico
Torrente Rio
Dell’Arena
Costiero
Costiero
Montano
Interno
Costiero
Montano
Costiero
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Collinare
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
Collinare
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Costiero
Montano
Montano
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Costiero
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
Collinare
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Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi
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Omignano
10.17
1.604
Alento
La Fiumara
Orria
26.34
1.583
Alento
Perdifumo
Perito
23.67
23.86
2.015
1.301
Minori
costieri
Alento
Vallone di
Orria Fiumara
Della Serra
Rio dell’Arena
976
Minori
Costieri
Minori
Costieri
Alento
Vallone di
Orria
Torrente
Fiumicello
Torrente lantoli
E Mortella
Il Fiumicello
42.23
2.127
Mingardo
Vallone Grande
Cuccaro Vetere
17.54
694
Lambro
Futani
14.88
1.648
Lambro
Gioi Cilento
28.05
1.941
Alento
Giungano
11.57
1.249
Solofrone
Ispani
8.3
1.055
Laureana Cilento
13.69
1.112
Minori
Costieri
Testene
Laurito
19.93
1.173
Mingardo
Fiumara della
Selva
Vallone
Tramonti,
Vallone
Savarello
Torrente del
Castellaro
Torrente
Dell’Acquarone
Mingardo
Lustra
15.10
1.264
Alento
Costa
Magliano Vet. (fraz. Capizzo)
Moio delta Civitella
16.94
1.795
Alento
Badolato
Montano Antilia
33.40
2.763
Mingardo
Serapotimo
Montecorice
22.13
2.529
Torrente
Roviscelli
Alento
Rio di
Casaletto
Torna e
Badolato
Testene
Pisciotta
30.73
3.539
Pollica
27.89
3.077
Prignano Cilento
11.94
Roccagloriosa
724
Minori
costieri
Alento
Morigerati
22.01
21.53
877
Bussento
Novi Velia
34.64
2.213
Alento
Ogliastro Cilento
13.22
2.402
Omignano
10.17
1.604
Minori
Costieri
Alento
Orria
26.34
1.583
Alento
Perdifumo
Perito
23.67
23.86
2.015
1.301
Minori
costieri
Alento
Monteforte Cilento
Pisciotta
30.73
3.539
Pollica
27.89
3.077
Prignano Cilento
11.94
976
Minori
Costieri
Minori
Costieri
Alento
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99
Corbella
La Fiumarella,
Vallone della
Bruca
Lambro
La Fiumara
Vallone di
Orria Fiumara
Della Serra
Rio dell’Arena
Vallone di
Orria
Torrente
Fiumicello
Torrente lantoli
E Mortella
Il Fiumicello
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
Costiero
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Costiero
Montano
Montano
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Costiero
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
Collinare
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
Costiero
Montano
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Roccagloriosa
42.23
2.127
Mingardo
Vallone Grande
Rofrano
58.85
2.446
Mingardo
Rutino
9.64
1.024
Alento
Fiume
di
Pruno,
Fosso
Faraone
Torrente Costa
S. Giovanni A Piro
37.77
4.404
Minori
Costieri
S. Manna
S. Mauro Cilento
28.23
15.12
3.365
1.211
S. Mauro La Bruca
Salento
18.93
23.77
1.022
2.223
Alento
Minori
Costieri
Lambro
Alento
Sanza
127.11
3.260
Bussento
Sapri
13.99
7.378
Serramezzana
7.20
471
Sessa Cilento
Stella Cilento
Stio ( fraz. Gorga)
Torchiara
16.03
14.38
1.720
1.084
Minori
Costieri
Minori
Costieri
Alento
Alento
8.31
1.364
Testene
Torraca
15.69
1.182
Torre Orsaia
23.75
2.856
Minori
Costieri
Bussento
Tortorella
44.69
842
Bussento
Trentinara
23.38
1.792
Solofrone
Vallo della Lucania
25.09
8.142
Alento
Vibonati
20.34
3.092
Minori
Costieri
TOTALE SUP. BACINO
TOTALE ABITANTI
1.672
Torrente
Diamonte
Fortella
Alento
Torrente Lavis
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Costiero
e
Costiero Collinare
Montano
Fiumarello
Fiumara
della
Selva
Vallone
del
Persico
Rio Cacafava
Costiero
Rio Lavis
Montano Interno
La Fiumara
Fiumara
Montano Interno
Montano Interno
Vallone
dell’Acquarona
Torrente
Cacafava
T. Vallonara e
T. Violi
Rio
del
Gerdenaso
Vallone
Tremonti
Badolato
Montano Interno
Rio Cacafava
Montano Interno
Montano Interno
Montano Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
Montano
Interno
174.333
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
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II territorio si sviluppa sul lato NW, nell’ambito del Comune di Capaccio in
corrispondenza della sponda sinistra del Fiume Capodifiume.
Sul lato N-NE, confina con l’Autorità di Bacino Interregionale "Sele", seguendo una
linea ideale che unisce gli spartiacque morfologici costituiti dai seguenti rilievi montuosi:
Monte Soprano (1083 in), Monte Chianello (1314 in), Monte Falascoso (1494 m),
Monte Cervati (1899 m), Monte Forcella (1192 in), Monte Juncolo (1221 m) e Serralunga
(1405 m). Sul lato sud, confina con l’Appennino Lucano che rappresenta la demarcazione
tra le provincie di Salerno e di Potenza.
Il lato Ovest è rappresentato dalla fascia costiera, compresa tra il tratto sud del Golfo di
Salerno, comprendente il Litorale di Paestum-Capaccio, il Litorale del F.Alento e quello di
Policastro, sino al tratto sud del litorale di Sapri, al confine con la Regione Basilicata.
I punti estremi, sono rappresentati da “Punta degli Infreschi”, “Capo Palinuro” e “Punta
Licosa”. Sotto il profilo amministrativo il Bacino in sinistra del fiume Sele, comprende
cinquantanove Comuni della Provincia di Salerno.
Ricadono nel Bacino sei Comunità Montane, e precisamente:
COMUNITÀ
MONTANA
COMUNI
(N°)
ELENCO DEI COMUNI
SUP. COMUNITÀ
MONTANA
(Kmq)
ABITANTI AL
1996
CALORE
SALERNITANO
4
CAPACCIO,
GIUNGANO,
MONTEFORTE C.,STIO, MAGLIANO
VETERE TRENTINARA
CICERALE, LAUREANA, LUSTRA,
MONTECORICE,
OGLIASTRO,
OMIGNANO,
PERDIFUMO, POLLICA,
PRIGNANO, RUTINO, S. MAURO C.,
SESSA
C.,
STELLA
C,
SERRAMEZZANA,
CASTELLABATE, CASALVELINO,
TORCHIARA
CANNALONGA, CERASO, GIOI,
MOIO DELLA CIVITELLA NOVI
VELIA, ORRIA PERITO, VALLO
DELLA LUCANIA
ALFANO, ASCEA, CAMEROTA,
CELLE DI BULGHERIA, LAURITO,
MONTANO ANTILIA, CENTOLA,
CUCCARO
VETERE,
FUTANI,
PISCIOTTA,
ROCCAGLORIOSA,
ROFRANO, S. GIOVANNI A PIRO, S
MAURO LA BRUCA
CASALETTO SPARTANO CASELLE
IN PITTARI, ISPANI, MORIGERATI,
SANTA MARINA, SAPRI,
TORRACA,
TORRE
ORSAIA,
TORTORELLA VIBONATI.
SANZA
168.54
24.03 6
320.68
36.141
218.52
21.334
465.73
41.425
296.31
25.001
127.11
3.260
17
ALENTO
STELLA
MONTE
8
GELBISON
CERVATI
14
LAMBRO
MINGARDO
E
10
BUSSENTO
VALLO DI DIANO
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99
Relazione generale rischio di frane
10
C.U.G.RI.
Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi
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TOTALI
53
1496.76
147.938
ed i seguenti Consorzi di Bonifica:
- Consorzio di Bonifica Sinistra Sele, relativamente alle aree poste in sinistra orografica
del fiume Sele.
- Consorzio di Bonifica Velia, relativamente alle zone meridionali cilentane:
CONSORZIO BONIFICA
COMUNI (N°)
ELENCO DEI COMUNI
SINISTRA SELE
4
VELIA
24
AGROPOLI, CAPACCIO,
GIUNGANO,
TRENTINARA
ASCEA,
SUP. CONSORZIO
(Kmq)
148.40
ABITANTI
AL 1996
41.735
444.87
52.045
CANNALONGA,
CASALVELINO,
CASTELNUOVO
CERASO,
C.,
CICERALE,
CUCCARO VETERE, GIOI,
LUSTRA,
MOIO
DELLA
CIVITELLA,
MONTEFORTE C., NOVI
VELIA, OGLIASTRO C.,
OMIGNANO,
ORRIA,
PERITO, PRIGNANO C.,
RUTINO,
SALENTO,
SESSA C., STELLA C.,
TORCHIARA,
TRENTINARA,
VALLO
DELLA LUCANIA
Per quanto concerne le tematiche ambientali, nel comprensorio anzidetto molte sono le
aree interessate dal vincolo idrogeologico, di cui al R.D. 3267/23 ed alla L.R. n.11/96.
In detto comprensorio opera l’Ente Parco Nazionale del Cilento, istituito con Legge
n.394/91, così come definito nel successivo paragrafo
1.2 Il contesto ambientale : il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano
Il Parco Nazionale del Cilento è situato nella porzione meridionale della Provincia di
Salerno, al confine tra la Regione Campania e la regione Basilicata ed al suo interno ricade
gran parte del territorio dell'Autorità di bacino.
Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto
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Da un punto di vista fisiografico il Parco è costituito da un ambiente costiero, montano e
vallivo, e si estende su una superficie totale di 180.000 ettari entro limiti geografici ben
determinati dal Mare Tirreno e dalla rete idrografica del Sele-Tanagro. Il tratto del Mar
Tirreno compreso tra il Golfo di Salerno e il Golfo di Policastro lo contorna da Ovest a
Sud, il corso del fiume Sele lo limita a Nord e l'ampia depressione del Vallo di Diano,
attraversato dal Fiume Tanagro affluente del Sele, lo chiude a Est.
Per le sue particolari caratteristiche geomorfologiche e microclimatiche il Parco è sede
di siti di eccezionale interesse dal punto di vista fisico e vegetazionale.
La morfologia è caratterizzata da rilievi montuosi degradanti verso il mare, dove la
costa è formata da una successione di falesie, spiagge, insenature e promontori interessati
da fenomeni carsici e ricchi di grotte marine e sorgenti d'acqua dolce. Essa è frutto dello
scontro delle zolle tettoniche, attraverso il quale l'orientamento generale del massiccio
appenninico, caratterizzato da un andamento Nord-Ovest/Sud-Est, si combina a fenomeni
orogenetici contrastanti e dà luogo a rilievi irregolari di diversa litologia, separati da vallate
trasversali e longitudinali. I massicci della parte orientale sono formati da calcari, calcari
dolomitici e dolomie stratificate. Essi raggiungono le altitudini più elevate in
corrispondenza dei Monti Alburni (1742 m), il Monte Cocuzzo (1411 m) il Monte Motola
(1700) e il Monte Cervati (1898 m) che a Ovest del Vallo di Diano racchiudono la costa
formando un grande arco. I versanti presentano lunghe incisioni percorse da corsi d'acqua a
carattere sporadico. I fenomeni erosivi e carsici, le doline, gli inghiottitoi, le grotte e le
sorgenti caratterizzano il paesaggio, costituito da falsi piani, tavolati, forre dalle pareti
scoscese, strette e profonde valli a V come quelle del Fiume Calore e del suo affluente
Sammaro.
I rilievi della parte occidentale, con l'eccezione del Monte Bulgheria, anch'esso di natura
calcarea, sono costituiti da successioni stratificate di rocce sedimentarie di differenti
origini: argille, quarzoareniti, arenarie, marne e conglomerati, che formano il cosiddetto
“Flysch del Cilento” Auctorom. Il massiccio più elevato è il Monte Sacro o Gelbison (1702
m) dalla geomorfologia meno aspra dei rilievi calcarei, ma non meno articolata. Tra il
Gelbison e la costa, i massicci sono meno elevati, ma le caratteristiche geomorfologiche e
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litologiche sono le stesse del Monte Stella (1131 m), separato dal Gelbison dalla rete
idrografica del fiume Alento.
A causa delle particolari condizioni geomorfologiche, della posizione geografica e del
clima il Parco è caratterizzato da una ricchezza eccezionale di habitat e di vegetazione. A
questa varietà di ambienti naturali è associato un elevato grado di diversità biologica,
provato dalla esistenza di circa 3200 - 3500 specie vegetali superiori non coltivate.
Procedendo dal basso verso l’alto è possibile distinguere le seguenti fasce di vegetazione:
-
fascia mediterraneo-arida: zona costiera con boschi litoranei spontanei di pino
d'Aleppo (Pinus halepensis); garighe ad ampelodesma (Ampelodesmos mauritanicus) sulla
costa e a cisto (Cistus monspeliensis) sulle colline a ridosso della costa; vegetazione
erbacea dei pascoli aridi (Thero-Brachypodietea); macchie presenti sia in questa fascia che
in quella mediterranea, olivo spontaneo (Olea europaea var. sylvestris), carrubo
(Ceratonia siliqua), ginepro fenicio (Juniperus phoenicia); macchia ad euforbia arborea
(Euphorbia dendroides);
-
fascia mediterranea: valli interne e altitudini fino a 600 con boschi di leccio
(Quercus ilex) su calcare governati a ceduo fino ai tempi recenti che conservano una ricca
varietà di specie come Asplenium onopteris, Rubia peregrina, Asparagus acutifolius,
Viburnum tinus; macchia di leccio che dalla zona litoranea si spinge all'interno fino a 800
m; macchia bassa e costiera con specie presenti sia in questa fascia che in quella
mediterraneo-arida;
-
fascia appenninica (sannitica lucana):tra i 400 m e i 1000 m boschi di cerro
(Quercus cerris) con esemplari di 25 - 30 m e altre caducifoglie a alto fusto (Acer
obtusatum, Alnus cordata, Ostryia carpinifolia); boschi cedui di querce (Quercus cerris e
Quercus pubescens), aceri e carpini (Carpinus orientalis e Carpinus betulus); castagneti
diffusi nel Parco interno per l'azione antropica; boscaglie di ontano napoletano (Alnus
cordata) che hanno sostituito i popolamenti di latifoglio la cui estensione originaria è stata
ridotta dall'intervento umano; nei pendii rocciosi calcarei soggetti a pascolo tra i 700 e i
900m garighe a Euphorbia spinosa; oltre i 900 m garighe a Lavandula angustifolia; sui
terreni calcarei di pascolo molto sfruttati Asphodelus albus o Asphodeline lutea; elevato
numero di specie dei pascoli aridi (Thero-Brachypodietea);
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-
fascia subatlantica: a quote comprese tra i 1000 e i 1800 m nei Monti Alburni,
Monte Cervati, Monte Motola e Monte Gelbison, boschi di faggio (Fagus sylvatica) in
fustaie di notevole altezza, in cui il faggio è specie quasi esclusiva. Nel sottobosco è a volte
presente Ilex aquifolium;
-
fascia mediterranea altomontana: al di sopra del limite superiore della faggeta,
sulle porzioni più elevate dei versanti calcarei rocciosi e sui pianori carsici sommitali, si
sviluppano le praterie d'altitudine a Sesleria tenuifolia i cui aspetti più estesi si trovano nel
Monte Cervati.
Alla vegetazione ripartita in fasce climatico-zonali si aggiungono specie insediate in
habitat di particolari condizioni ecologiche o di suolo, dipendenti quindi da fattori azonali.
Numerose sono le specie endemiche ospitate dal Parco, quali la Primula Palinuri, estesa su
circa 50 km di costa da Palinuro a Marina di Camerota sino a 400 m di altitudine. Tra gli
habitat naturali figurano numerosi siti definiti di interesse generale e prioritario dalla
direttiva dell’Unione Europea 92/43 del Consiglio del 21/5/92, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e semi naturali e della flora e della fauna selvatiche. Tale ricchezza e
diversità vegetazionale non è attribuibile ai soli fattori naturali poiché l'azione umana ha
interagito dalle epoche più lontane con il quadro naturale condizionandone costantemente
le caratteristiche.
Le forme tradizionali di utilizzo del territorio hanno nel tempo realizzato il paesaggio
del parco e sostenuto la diversità biologica. L'ambiente fisico - con la sua collocazione
geografica, i condizionamenti topografici e climatici, le opportunità offerte dalle varietà di
paesaggi e le caratteristiche dei suoli e delle rocce - ha a sua volta offerto il quadro entro
cui la vicenda umana ha trovato ricovero, sostentamento e linfa vitale per l'alimentazione
materiale e spirituale. Dai ripari sotto roccia frequentati nel Paleolitico, agli insediamenti
neolitici, ai commerci carovanieri e le navigazioni dell'Età dei Metalli fino alle somme
realizzazioni urbane di Paestum e Velia del mondo greco e lucano, il Parco del Cilento
conserva le tracce di una utilizzazione della terra che ha intessuto una relazione di forte
carica culturale e spirituale con la natura. Come le specie naturali e gli ambienti geografici
così le genti hanno trovato in questi luoghi il punto di contatto, la contaminazione e la
fusione. Il Cilento ha realizzato nei secoli e nei millenni l'incontro di popoli e civiltà
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diverse. La sua biodiversità è inscindibile dalla diversità paesistica e culturale. Riunificati
dalla trama dei percorsi il mare, le grotte, i crinali, le fonti, i pendii, le vette, le valli sono
diventati nel corso del tempo l’espressione strutturale di un progetto umano. Essi, pure in
forme diverse, continuamente ricorrono nei vari momenti storici e vengono riutilizzati
nella economia, ridisegnati con l'agricoltura, arricchiti dall'arte e l'architettura, assunti nella
concezione mitica, metafisica e culturale. In epoca medievale l'arcaico sistema dei percorsi
di crinale del Cilento messo ai margini dalle vie di penetrazione romana ha una nuova
rivitalizzazione e si corona di una trama di paesi, insediamenti, chiese e santuari sviluppati
secondo precise regole e motivazioni che sincretizzano e rinnovano le antiche tradizioni.
Fino all'epoca moderna il Cilento continua ad arricchire il suo territorio, configurandosi
come un complesso e stratificato paesaggio evolutivo. Ma, come gran parte dei paesaggi
europei, esso ha subito nel corso di questo secolo, e particolarmente negli ultimi decenni,
cambiamenti molto più rapidi e devastanti di quelli dei secoli precedenti. In relazione ai
mutamenti strutturali della società e dell’economia contemporanea si è avviata una fase
convulsa di transizione, che presenta sindromi diversificate ed aspetti profondamente
contradditori.
E’ in questo quadro complesso e dinamico che si situano i principali problemi che la
gestione del territorio ricadentecontemporaneamente nel Parco e nell'Autorità di Bacino
Sinistra Sele deve affrontare, primo fra tutti quello "strutturale" della convivenza con la
dinamica idrogeomorfologica, vista contemporaneamente come risorsa e come
rischio.
1.3 Aspetti Geologici del territorio cilentano
Dal punto di vista geografico fisico, il Cilento costituisce una entità territoriale ben
definita e delimitata, corrispondente al promontorio, tozzamente quadrangolare e
prevalentemente montuoso e collinare, compreso fra la Piana del Sele, a NW, il Vallo di
Diano e la Valle del Tanagro a Nord e NE, il Golfo di Policastro a Sud e la fascia costiera
tirrenica ad Ovest. L’intero Cilento, come sopra definito, è stato denominato “Provincia
Morfostrutturale” come subunità della più vasta Regione Geotettonica Campano-lucana.
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Le diverse Unità Litostratigrafiche affioranti possono essere così sintetizzate
-
Unità Sicilidi, ovvero ad “Affinità Sicilide”
-
Unità Nord Calabresi
-
Unità Alburno-Cervati
-
Unità Bulgheria e Sub-Unità di Roccagloriosa
-
Unità Neogeniche
Le recenti acquisizioni di geologia regionale evidenziano che l’assetto strutturale attuale
di queste unità è stato acquisito prevalentemente a seguito di fasi compressive e traslative
avvenute tra il Tortoniano Superiore ed il Pleistocene Inferiore, secondo uno stile tettonico
che, per questo settore dell’Appennino Meridionale, viene riferito ad un sistema tipo
“duplex”, dove le falde di origine interna si sono accavallate come “roof thrusts” sul
margine esterno dell’avampaese apulo-garganico, scavalcando unità strutturali ancora più
esterne disposte in forma di embrici (“ horses”) sepolti.
In particolare, nel Cilento si riconosce la sovrapposizione delle Unità Sicilidi e Nord
Calabresi sulle Unità Alburno Cervati e Bulgheria e la suturazione delle superfici di
accavallamento da parte delle Unità Neogeniche.
Uno dei più evidenti elementi strutturali del Cilento è l’allineamento tettonico che va da
Paestum a Sapri e che ribassa a gradinata verso il Tirreno le strutture carbonatiche
affioranti a NE di alcune migliaia di metri, separando nettamente in due settori fisiografici
l’intera
“ Provincia”.
Sulle unità tettoniche così strutturate poggiano in maniera discontinua e discordanti
depositi quaternari clastici e/o vulcanici da caduta risedimentati in diversi ambienti di tipo
fluviali, lacustre o fluvio-lacustre, come per esempio al Vallo di Diano ed alla Valle del
Tanagro, nell’ambito di depressioni strutturali parallele al fronte compressivo legate a
“rifting” di retroarco. Le grandi depressioni morfotettoniche, come il basso strutturale della
Piana del Sele-Golfo di Salerno e più a Sud, del Golfo di Policastro, colmate da sedimenti
fluvio-marini ed orientate obliquamente ed ortogonalmente al fronte compressivo,
sembrano essersi attivate successivamente a causa di regimi tettonici distensivi e/o
trascorrenti, così come i bacini lacustri del M.te Bulgheria.
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In tale contesto, il Cilento costituisce un segmento di catena appenninica
morfotettonicamente isolato rispetto alla zona assiale attraverso i “corridoi” della valle del
Tanagro a Nord, del Vallo di Diano ad Est e della linea Sapri-Rivello a SE.
Lungo la fascia tirrenica, il Cilento geologico non è limitato dalla linea di costa, ma dal
margine della piattaforma continentale e dalla sottostante scarpata impostatasi lungo le
grandi faglie bordiere che accompagnano il progressivo ampliamento della piana batiale
“oceanica” del Mar Tirreno.
In riferimento al quadro geologico cilentano sopra esposto, nella zona interessata ,
affiorano terreni che possono essere riferiti alle quattro successioni litostratigrafiche
principali e che sono rappresentati sulla Tavola I : Carta Geologica del Territorio della
Comunità Montana del Lambro e del Mingardo, che può rappresentare un “prototipo”
inedito di elaborato geologico da estendere all’intero territorio dell’Autorità di bacino
Sinistra Sele:
- Successioni fliscioidi “cilentane” s.l., appartenenti al Gruppo delle Unità Interne
- Successioni carbonatico-pelitiche dell’Unità del M.te Bulgheria
- Successioni carbonatico-pelitiche della Sub-unità di Roccagloriosa
- Successioni carbonatiche della Unità Alburno Cervati
- Depositi della copertura quaternaria
Per una più dettagliata conoscenza dei caratteri litologici e stratigrafici di queste
successioni, qui di seguito ne vengono riportati gli elementi essenziali e significativi.
- Successioni flyscioidi “cilentane”, appartenenti al Gruppo delle Unità Interne.
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Le successioni fliscioidi di natura pelitica e subordinatamente calcareo-silicoclastica,
(descritte in letteratura con le denominazioni di Unità del Flysch del Cilento, Complesso
Liguride e Sicilide, Unità del Cilento ed Unità Sicilide - AMORE et Alii 1988 -) sono stati
oggetto di numerosi studi e ricerche scientifiche anche recenti.
I primi autori che studiarono questi terreni li interpretarono come autoctoni cioè
sedimentati in continuità sulle successioni carbonatiche sottostanti, nel 1962 SELLI in un
lavoro di sintesi regionale diede a queste successioni un’interpretazione alloctona,
proponendo l’Appennino Meridionale come una “Catena a Coltri di Ricoprimento”.
L’autore studiò le successioni in due aree tipo; il Cilento ed il Confine Calabro
lucano definendo per entrambe l’assetto stratigrafico. Nel 1969 OGNIBEN propose una
correlazione tra le due successioni e le accorpò in un unico “Complesso Liguride”
formatosi in un bacino eugeosinclinale individuatosi tra la Piattaforma campano-lucanapanormide ed un massiccio calabride, la cui successione era formata dal basso in alto da
una serie basale ofiolitica, di età compresa tra il Giura medio-superiore ed il Cretacico
inferiore (Calcari di Mezzana, Pillow lavas, diaspri e calcari marnosi, calcari a
Calpionelle), a cui seguiva la formazione del Frido e delle Crete Nere, che per similitudine
litologica (1000 m. di argilloscisti ofiolitiferi a cui seguivano 400 m. di argilliti siltose
fogliettate nero-bluastre) e cronostratigrafica (età Neocomiano-Albiano), era ritenuta
equivalente e, pertanto correlabile, alla fomazione di Santa Venere in Cilento.
A questa
seguivano la Fomazione del Saraceno, potente 600 m. costituita da un’alternanza di
calcareniti, calcari con liste e noduli di selce, argille scure o verdastre di età AlbianoDaniano, correlata alla Formazione di Pollica in Cilento.
La formazione di Albidona, potente 2200-2300 m., descritta come un’alternanza di
arenarie, peliti, marne bianche e calcari marnosi, discordante sulla precedente per fenomeni
“intrageosinclinalici” di importanza locale, è datata Eocene medio e correlata alla
Formazione di S. Mauro in Cilento.
Una nuova organizzazione di tali Unità per quanto riguarda la litostratigrafia e le
possibili correlazioni fra i vari settori dell’Appennino meridionale, viene proposta da Ietto
et Alii, nel 1984, in questo lavoro la successione del Flysch del Cilento viene suddivisa in
unità tettoniche sovrapposte tra loro :
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-Unità Argillitica Inferiore, comprendente le Formazioni del Frido e delle Crete Nere ed
-Unità Torbiditica superiore corrispondente alle formazioni di Pollica e di S. Mauro in cui
la prima è considerata eteropica della seconda.
Successivamente, BONARDI et Alii, nel 1988 (Fig. 9) propongono un nuovo modello
delle successioni del Cilento e del Confine Calabro-lucano, nel quale venivano ringiovanite
al Burdigaliano-Langhiano anche le Formazioni di Pollica e di S. Mauro. Gli Autori
individuano dal basso:
A) le Unità Liguridi s.s. comprendenti l’Unità del Frido e il Melange di Episcopia - S.
Severino,
B) l’Unità Nord-Calabrese, costituita dalle ofioliti e dalla formazione delle Crete Nere, e
dalla Formazione del Saraceno.
C) l’Unità dei “Terreni ad Affinità Silicide”, contemporanea alla precedente e ad essa
eteropica.
D) l’Unità o Gruppo del Cilento, comprendente le formazioni di Pollica, di Torrente
Bruca, di S.Mauro, di Monte Sacro e di Albidona, considerato quest’ultimo, come un ciclo
sedimentario di età Burdigaliano-Langhiano discordante sul substrato deformato e che per
affinità litologiche e cronostratigrafiche è stato assimilato ai depositi miocenici dell’Unità
Alburno-Cervati corrispondenti al secondo ciclo miocenico individuato nelle calciruditi di
Piaggine da SGROSSO (1981) e nella Formazione del torrente Raganello da SANTO e
SGROSSO (1987).
Recentemente,
le nuove acquisizioni cronostratigrafiche estese a livello regionale
hanno sostanzialmente modificato il contesto geometrico ed il significato paleogeografico
del “Complesso Liguride” Auct: (PATACCA et Alii, 1990 a, b e c). La Formazione di
Albidona, equivalente al confine calabro lucano dell’insieme delle Formazioni di Pollica,
di S. Mauro in Cilento, viene riconosciuta come sequenza torbiditica trasgressiva
discordante sulle falde interne (Unità Nord Calabrese - BONARDI et Alii, 1988 ed Unità
Sicilidi AUCT.) messa in posto sul dominio appenninico più interno costituito dal dominio
del Pollino su cui si è successivamente sedimentato il ciclo di Gorgoglione (del Tortoriano
sup-Messiniano).
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Le formazioni affioranti , pertanto, sono:
- Successioni carbonatiche dell’Unità M.te Bulgheria
Una delle prime descrizioni del Monte Bulgheria è opera del Di STEFANO (1894),
il quale riconobbe dei calcari compatti grigio chiaro che attribuì al Lias inferiore per la
presenza di una varietà di Rhynchonellina Seguenzae Gemm., e dei calcari a crinoidi grigio
scuri, raramente rossastri, stratigraficamente sovrapposti ai primi. Nella
parte
alta
dei
calcari a crinoidi, laddove a questi ultimi si intercalano delle marne, lo stesso Autore
rinviene Pentacrinus jurensis Quenst., Hildoceras Levisioni Simps. Al di sopra di questa
formazione del Lias sup. veniva riconosciuta un Titonico trasgressivo, con Ellipsactinie,
facente passaggio verso l’alto ai calcari cretacei.
Nel 1949 MIRIGLIANO rende noto la presenza del Pliocene tra Licusati e Porto
degli Infreschi. Più recentemente SELLI nella regione in questione riferisce al Nordico e
al Retico “dolomie e calcari dolomitici chiari più spesso nerastri”; al Doger “calcareniti
con interstrati marnosi” al Malm “calcareniti, brecciole e calcari scuri oolitici”; al
Cretacico Inferiore “calcareniti e brecciole organogene nerastre”; al Miocene
(Aquitaniano) tragressivo “calcareniti”. Nel 1962 Cestari annuncia il rinvenimento di una
scaglia di età Cretaceo superiore-Eocene. La prima stratigrafia dettagliata della serie del
Monte Bulgheria è opera di Scandone & Sgrosso nel 1963. Gli Autori individuano dal
basso:
- Formazione delle Dolomie Nere : dolomie cristalline da grigie a nere ben stratificate
del TRIAS SUP.
- Formazione dei Calcari Dolomitici: dolomie, calcareniti grigio-azzurre stratificate e
non; sormontate o passanti lateralmente a brecce di scogliera a matrice calcarea nerastra,
LIAS INF.
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- Formazione dei Calcari con Selce: calcilutiti e calcarentiti grigio scure, ben
stratificate, con liste noduli e arnioni di selce, con radioli di echinidi e rari crinoidi, LIAS
MEDIO.
- Membro delle Marne Gialle: marne e marne argillose giallastre; calcareniti e calcari
marnosi, LIAS SUP.
- Formazione dei Calcari Oolitici: calciluditi e calcareniti grigio-azzurre ben
stratificate; calcilutiti nere; calcareniti oolitiche con liste di selce, BERRIASIANOBAIOCIANO.
- Formazione dei Calcari a Frammenti di Rudiste: calciruditi a frammenti di rutiste
e calcareniti grigie ben stratificate, CRETACICO SUP.
- Formazione della Scaglia Rossa: calcilutiti grigie ben stratificate calcari marnosi
giallasti, rosati e rossi (“scaglia”) in strati e straterelli - OLIGOCENE - SENONIANO
SUP.
-Formazione dei Calcari a Miogypsine: calcareniti grigie ben stratificate,
LANGHIANO - AQUITANIANO
- Formazione del Flysch Nero: alternanza di strati e straterelli di marne, argille e
calcari marnosi verdognoli, grigi e nerastri con livelli di quarzoareniti, calcareniti e
brecciole calcaree - AQUITANIANO - OLIGOCENE.
Le conoscenze di geologia regionale finora acquisite attribuiscono le successioni
descritte alla evoluzione tettono-sedimentaria del margine più interno della Piattaforma
Campano-lucana, con facies sedimentarie di scarpata, di periscogliera e fino a facies più
francamente di bacino profondo.
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L’assetto strutturale del massiccio del Monte Bulgheria è caratterizzato da una piega
coricata a vergenza Nord e con asse E-W che a luoghi prende la forma di piega-faglia,
accavallandosi lungo il bordo settentrionale alle sequenze terrigene mioceniche.
L’ampia piega originaria, parzialmente conservata solo lungo il fronte settentrionale, è
stata disarticolata da faglie dirette che hanno ribassato la struttura verso Sud.
- Successione della Sub-unità di Roccagloriosa
Questa successione forma la dorsale prevalentemente calcarea che si allunga per
poco più di sei chilometri in direzione NE-SW da Roccagloriosa a Castel Ruggero.
E’ costituita (Sgrosso & Torre, 1967) da
- Formazione dei Calcari Cristallini calcari cristallini in strati e banchi, generalmente
amalgamati; MAASTRICHTIANO
- Formazione di M.te Capitenali : calcareniti e calciruditi con interstrati argillosi, via
via crescenti, (Maastrichtiano-Eocene Inf.) cui seguono
- Formazione di Boccaladrone : argilliti ed argille marnose con livelli lentiformi di
calciruditi e calcareniti (Eocene superiore),
- Formazione di S.Cataldo: argilliti, marne, arenarie e brecce calcaree (OligoceneMiocene Inferiore).
Le caratteristiche della successione sopra descritta fanno ritenere (Sgrosso &Torre
1967) i termini argillitici e argillo-marnosi il prodotto della sedimentazione in un ambiente
tranquillo e probabilmente profondo, e le calcareniti e calciruditi ad esse intercalate,
apporti per frane sottomarine. Tali frane presentano in qualche caso le caratteristiche di
flusso-torbiditi.
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Le caratteristiche petrografiche e paleontologiche dei litoclasti denunziano la loro
provenienza in parte dei terreni dellla successione appartenente alla Unità M.te Bulgheria,
in parte dai terreni della Unità Alburno-Cervati della Piattaforma Carbonatica
Appenninica. Attualmente i terreni descritti affiorano in finestra tettonica sotto quelle che
in precedenza sono state denominate Successioni Fliscioidi “cilentane” ovvero la Unità
Nord Calabrese e le Successioni ad Affinità Sicilide( sulla Carta Geologica Ufficiale
ricomprese nella Unità “Flysch del Cilento”).
Il corpo centrale della dorsale di M.te Capitenali costituisce la zona centrale di un
apparato a conoide carbonatica sottomarina, mentre la zona del rilievo di Roccagloriosa
costituisce la fascia laterale con corpi sedimentari carbonato-clastici lenticolari e
discontinui.
La Successione della Unità Alburno Cervati (Pollino)
L’Unità ACP è costituita dalla base da :
- Calcari a Megalodon e Gervilleia, dolomie bianche e grigie con intercalazioni
argillose e livelli a scisti ittiolitici, dolomie bianche massicce e calcari e marne ad Avicula.;
la presenza degli scisti ittiolitici, scisti bituminosi e le marne ad avicula stanno ad indicare
una circolazione delle acque in un ambiente ristretto e poco ossigenato.
L’ambiente è quello tipico di una piana tidale, relativo ad una piattaforma, con frequenti
fenomeni di emersione, a testimonianza di vari livelli calcarei stromatolitici.
-
Dolomie e calcari dolomitici del Lias inferiore (Infralias)
-
Calcari a Paleodasycladus mediterraneus del Lias medio-sup. ; questo fossile
guida per aver avuto una enorme estensione areale in un breve periodo, rende possibile
correlare a scala regionale le varie unità carbonatiche.
Segue una successione monotona carbonatica costituita da
-
Calcari a Lithiotis,e Orbitopsella, del Dogger e Malm;
-
Calcari oolitici, calcari a requiene ed a rudiste, del Cretacico Inferiore
e
Superiore, con intercalate, a quota del Cretacico medio, un livello di circa 10 m. di marne
verdastre ad Orbitolina.
Dopo il Cretacico sup., con il Paleocene abbiamo una trasgressione individuata da una
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lacuna e da una leggera discordanza angolare.
Infatti, al di sopra dei calcari a rudiste del Maastrichtiano si arriva fino al Senoniano con
la Formazione di Trentinara trasgressiva sui termini sottostanti.
Quest’ultima è costituita da conglomerati, calcareniti a miliodidi e spirolina. All’interno
della formazione si osservano sacche di erosione con livelli argillitici di colore rossastro.( “
argille rosse bauxititiche”)
Tale trasgressione non è coeva in tutti i punti. Infatti, in alcuni punti inizia nel
Paleocene ed in altri punti nell’Eocene.
Alla Formazione di Trentinara seguono altre formazioni trasgressive che si ritrovano in
tutto l’Appennino meridionale.
Tali trasgressioni hanno i seguenti caratteri generali:
1) i caratteri sedimentari sono uguali a quelli del substrato;
2) è concordante;
3) si ha una evoluzione da calcari biocostruiti a formazioni terrigene ed a volte
torbiditiche.
Nell’ACP questa trasgressione comincia nell’Aquitaniano con litotipi calcarenitici
organogeni per poi passare ad arenarie, siltiti e quarziti. Queste successioni sono
riconosciute nella Formazione di Roccadaspide, Formazione di Capaccio, oppure, al
confine calabro-lucano dalle Formazioni di Cerchiara e del Bifurto.
Seguono sedimenti in facies caotica con il tipico aspetto di “ wildflysch” che passano ad
arenarie arcosico-litiche(Arenarie di Piaggine).
L’ Unità Alburno Cervati Pollino affiora estesamente lungo il margine settentrionale
ed orientale del territorio ricadente nella Autorità di Bacino “Sinistra Sele” ed in
particolare costituisce
l’ossatura dei rilievi montuosi allungati in forma di dorsale
culminanti nelle vette di M.te Soprano e m.te Vesole e nel più limitato rilievo di M.te
Sottano. Dal punto di vista geostrutturale , tali rilievi costituiscono delle emianticlinali con
asse NW-SE e con vergenza NNE troncate lungo il fianco meridionale da un fascio di
faglie dirette aventi rigetto di diverse centinaia di metri che ribassano il basamento calcareo
sotto le “coltri silentine”.
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L’Unità affiora ancora più estesamente ad Est della stretta di Magliano nell’ambito del
Massiccio del M.te Cervati di cui nel territorio dell’A.d.B. Sx Sele ricade solamente parte
del margine meridionale con i rilievi di M.te Rotondo, Cima di Mercori, M.te Faiatella,
Raia del Padale e la vetta del M.te Cervati. A SE della conca di Sanza le successioni della
Unità affiorano lungo i rilievi di M.te Forcella e M.te Jungolo e più a Sud lungo I rilievi
alto-collinari di M.te S. Michele, m.te Pannello e M.te Zepparra.Più ad Est affiora , ancora,
nei rilievi di M.te Cocuzzo e Serralunga ed , infine, nel massiccio del M.te Coccovello.
Le Unità Neogeniche sono rappresentate essenzialmente dal Gruppo del Cilento come
sopra definito; qui di seguito viene data una breve descrizione delle principali formazioni
come cartografate sulla Carta Geologica in scala 1:25.000 del territorio della Comunità
Montana del Lambro e del Mingardo.
-
Membro di Caporra arenaceo-siltoso:
Costituito da strati e straterelli di arenarie micacee calcarifere nere estremamente
fratturate e con fratture riempite calcite spatica e intercalazioni da grigio-piombo a
nere; l'analisi degli affioramenti ha evidenziato la presenza di strati deformati inglobati
e litologicamente correlabili alla Formazione del Saraceno; lo stato di deformazione
varia da contorto a caotico superiormente passa con gradualita' ad una successione più
ordinata; spessore poco definibile, ma non inferiore a 200 metri; affiora estesamente
lungo i piedimonti di Monte Sacro e di M.te Centaurino, nonché nei dintorni della
Civitella e di M.te Vesole zona Retara. Affiora ancora all’intorno del rilievo di
Castelloccio e delle colline pisciottane. Il Membro è ricoperto in genere da forti spessori
detritici grossolani ed è coinvolto da diffusi fenomeni gravitativi di versante;
- Formazione di Pollica o Membro delle arenarie straterellate:
fitte alternanze di strati straterelli di arenarie ed argilliti brune; a luoghi sono presenti
intervalli caotici a "slumpings” ; la parte bassa di questo membro è assimilabile per
litologia e grado di deformazione al cosiddetto "Membro Cannicchio" della Formazione di
Pollica.
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Lo spessore risulta non inferiore a 100 metri; affiora alla base dei versanti montagnosi al
limite con il piedimonte.
- Formazione di San Mauro o Membro arenaceo-marnoso:
alternanze regolari di strati e banchi di arenarie, marne e corpi canalizzatì di
conglomerati grossolani ed orizzonti arenaceo-siltosi e corrispondenti alla tipica sequenza
della Formazione dì S. Mauro ; lo spessore è variabile e non inferiore a 400 metri;
- Megatorbidite calcareo marnosa o Megastrato a Marna Fogliarina:
orizzonte calcareo-marnoso dello spessore variabile fino ad oltre 20 metri corrisponde ai
noti livelli di "Marna Fogliarina" della Formazione di 5. Mauro;affiora a Monte Stella, a
M.te Sacro ed a M.te Centaurino; con minore continuità affiora al contorno della dorsale di
Castelluccio e del rilevo del Tempone di S.Marina.
Formazione di San Mauro alta o Membro arenaceo conglomeratico:
Con banchi e banconi di conglomerati poligenici cementati ad andamento lentiforme ed
amalgamati; costituisce le cime più alte dei massicci del M.te Stella, M.te Sacro e M.te
Centaurino.
Orizzonti caotici "Olistostromi":
conglomerati poligenici a matrice siltosa prevalente ("debris flow", plebbly mudstone,
sand flow") depostisi a piu' livelli nell 'ambito della successione conglomeratica della
Formazione Arenaceo-conglomeratica e di S. Mauro; gli spessori chiaramente molto
variabili raggiungono un massimo di 60-70 m fino ad annullarsi.
Formazione di Monte Sacro o Membro conglomeratico
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con strati e banchi arenacei e conglomeratici in evidente discordanza angolare sulle
sequenze sottostanti.
- Successioni della copertura quaternaria
Tra i terreni quaternari quelli che hanno una maggiore estensione ed una maggiore
importanza sono i Conglomerati della Formazione di Centola s.l.. Le prime notizie
bibliografiche relative a questa formazione derivano da Sgrosso & Ciampo (1966) in cui si
accenna alla presenza lungo il litorale e nell’entroterra, di estesi lembi di depositi
conglomeratici mal stratificati, con clasti sempre ben arrotondati aventi diametro variabile
da pochi cmq a vari mq, immersi in una matrice grossolana e intercalati a lenti sabbiose a
volte argillo-siltose. Questi depositi vengono messi in relazione alla ingressione marina e
alla successiva regressione, causa della deposizione dei terreni calabriani di M.te
Bulgheria.
Successivamente (Baggioni M. 1975) questa formazione è stata messa in relazione
ad una orogenesi tardiva responsabile dell’attuale disegno delle coste silentine nei terreni
fliscioidi; all’azione delle acque correnti defluenti su versanti molto acclivi sarebbe dovuta
l’eterometria e la struttura del deposito.
Laureti L. (1975) attribuisce a fasi tettoniche plioquaternarie la distruzione dei
rilievi delle Unità silentine con la conseguente deposizione di “conglomerati stratificati”.
In Guida D. et Alii (1979) vengono individuate come aree sorgenti M.te Sacro e M.te
Centaurino per gli affioramenti che si trovano ad alte e medie quote, mentre per la parte
bassa, intorno all’abitato di Centola, la probabile area sorgente è la dorsale CastelluccioT.pa Rondinella.
Questi depositi possono essere attribuiti per correlazioni geomorfologiche al Pliocene
Sup.-Pleistocene Inferiore, ovvero ad una delle prime fasi glaciali che hanno interessato
questo settore dell’Appennino Meridionale.
Questi terreni non affiorano nell’ambito dell’area di interesse per il progetto e si
ritrovano a costituire estese coperture tra il M.te Chiancone e l’abitato di Centola.
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I terreni della copertura detritica più antichi presenti nell’area in esame sono costituiti
dai detriti calcarei cementati, informalmente denominati Brecce di Poderia, composti da
corpi detritici stratoidi amalgamati in forma di conoidi antiche anastomizzate e di falde
detritiche al piede del versante calcareo settentrionale del M.te Bulgheria e del relativo
piedimonte , fino al fondovalle del F. Mingardo.
Sovrapposti ai precedenti e di età più recente sono presenti sempre lungo la fascia
pedemontana di M.te Bulgheria, detriti calcarei sciolti, differenziabili in ragione della
maggiore o minore presenza di matrice argillosa.
Accumuli di frana antichi, recenti ed attuali ricoprono i versanti collinari, alternati agli
accumuli colluviali che colmano le depressioni topografiche sul substrato e sui dtriti
calcarei cementati e sciolti.
Depositi colluviali sono diffusi lungo I varsanti montagnosi e collinari sia in forma di
“talus” che di vallette a fondo concavo; si possono distinguere colluvioni limoso-argillose
e colluvioni sabbioso-limose
Alluvioni fluviali e torrentizie, lungo i fondovalle dei principali corsi d’acqua
Depositi marini e lacustri antichi del Monte Bulgheria
Depositi di spiaggia attuali
1.4 Il contesto ambientale : il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano
Dal punto di vista geomorfologico, il paesaggio cilentano è contraddistinto dalla netta
diversificazione esistente fra i massicci carbonatici, costituenti le dorsali ed i rilievi
discontinui nel settore nord-orientale ed orientale della Provincia Morfostrutturale, e le
dorsali terrigene comprese nel settore sudoccidentale lungo una larga fascia compresa fra il
Golfo di Salerno ed il Golfo di Policastro. Il M.te Bulgheria costituisce una entità
fisiografica di tipo carbonatico isolata e localizzata all’estremo settore meridionale del
Cilento. L’andamento morfologico attuale dell’intera “Provincia” è strettamente connesso
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all’assetto strutturale ed alle modalità attraverso cui esso è stato raggiunto durante l’intera
storia geologica. Sui corpi geologici così strutturati a seguito della tettogenesi, già a partire
dalla emersione della catena avvenuta a partire dal Miocene terminale, si è impostato un
modellamento polifasico e poligenico che ha portato allo smantellamento delle coperture
terrigene pre e sinorogene dei massicci carbonatici, mentre durante tutto il Pliocene e fino
al Pleistocene Inferiore-medio la creazione di rilievo locale e regionale è stata
accompagnata non solo da movimenti verticali, ma anche da motivi trascorrenti, come
testimoniato da recenti ricerche geologiche e geomorfologiche a scala regionale. Gli effetti
combinati del controllo strutturale acquisito dalla tettogenesi, della neotettonica, dalla
morfogenesi e dalle oscillazioni glacioeustatiche del livello del mare, hanno condotto alla
formazione delle principali morfostrutture del Cilento.
Si possono riconoscere le seguenti morfostrutture principali, descritte da Nord a Sud e
raggruppate secondo i loro caratteri fondamentali:
-
Morfostrutture dei massicci carbonatici (M.te Alburno, M.te Motola, M.te Vesole-
Chianello, M.te Cervati, M.te Rotondo-Forcella, M.te Bulgheria, M.te CocuzzoSerralunga). Tutte queste morfostrutture, di cui ancora si riconosce l’originario assetto
monoclinalico ed emianticlinalico, sono caratterizzate da lembi, più o meno estesi e
disposti su varie quote, di superfici carsiche sommitali, con doline e campi carsici, e da
grandi versanti bordieri relativamente acclivi con il tipico aspetto rupestre ed il profilo
poco regolarizzato con i piedimonti costituiti in genere da paesaggi collinari evoluti su
terreni argillosi, disposti in forma di depressioni intermontane. I massicci sono
profondamente carsificati con sistemi ipogei molto sviluppati, sia orizzontalmente che
verticalmente, di notevole interesse speleologico e socio-economico .
-
Morfostrutture dei massicci terrigeni (M.-te Stella M.te Sacro M.te Centaurino
M.ti di Pisciotta). Al contrario delle precedenti, queste presentano lembi molto più limitati
di paesaggi sommitali, in quanto l’attività di smantellamento areale e lineare dei corsi
d’acqua ha fatto arretrare talmente le testate vallive da serrare quasi completamente gli
spartiacque ridotti a displuvi stretti ed irregolari. I versanti bordieri, residuo del
modellamento passato, sono ridotti a tipiche “faccette triangolari” disposte in forma di
interfluvi tra gli sbocchi dei valloni principali. Il profilo irregolare dei rilievi risente della
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alternanza di successioni litologiche a diversa competenza, modellate secondo il
meccanismo della morfoselezione.
-
Morfostrutture dei rilievi collinari (Valle dell’alto Calore Salernitano Valle
dell’alto Alento, Valle dell’alto Mingardo valle del medio e basso Bussento). Costituiscono
la tipica morfologia alto-collinare, con crinali sommitali che non superano gli 800 metri
modellate in tempi successivi a quelli delle superfici dei massicci maggiori; i versanti
conservano ancora tracce del controllo strutturale, anche se il reticolo drenante è
sensibilmente influenzato dagli eventi denudazionali, di tipo erosivo e gravitativo (frane).
E’ nell’ambito di queste morfostrutture che si è svolta maggiormente l’occupazione
antropica del territorio durante i secoli e dove si registrano le modificazioni, positive e
negative, indotte dalle attività umane.
-
Morfostrutture alluvionali (Piana del Sele, Valle del Tanagro, Valle del Solofrone,
Vallo di Diano, Piana dell’Alento,Valle medio-bassa del Lambro e Mingardo, Golfo di
Policastro). Costituiscono l’effetto deposizionale di tutti gli eventi morfogenetici avvenuti
nelle zone a monte. L’epoca di impostazione di questi bassi strutturali, sede di intensi
fenomeni di alluvionamento, è da attribuire al Pleistocene Inferiore, se come “marker” si
utilizza l’unica formazione presente in Cilento ed attribuibile a quell’intervallo temporale:
la formazione di Centola. Legate a queste morfostrutture sono anche gli ambiti costieri che
hanno ciascuno una loro peculiarità geomorfologica e che non è possibile inquadrare a
scala generale.
1.5 Aspetti geomorfologici del territorio cilentano
L’area cilentana, per quanto riguarda gli aspetti idrogeologici, può essere differenziata
in tre grandi settori:
-
i massicci carbonatici,
-
i rilievi costituiti dalla successione terrigena flyscioide ed
-
i depositi clastici quaternari che riempiono le piane alluvionali dei principali
elementi idrografici del territorio.
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I massicci carbonatici, come già esposto nella parte geologica e geomorfologica, oltre a
rappresentare i principali rilievi montagnosi del territorio, ne costituiscono le principali
fonti di risorse idriche. Essi si compongono essenzialmente di rocce calcaree di età
mesozoica che, per il comportamento fragile a seguito delle vicissitudini del passato
geologico, risultano essere generalmente molto fratturate e che, per la loro composizione
chimica, sono soggette a fenomeni carsici mediante i quali l'azione di dissoluzione delle
acque meteoriche tende ad ampliare e a sviluppare la rete delle fratturazioni preesistenti
fino alla formazione di grandi sistemi carsici epigei ed ipogei. La presenza di queste
discontinuità diffuse e dei condotti carsici induce intensi fenomeni di infiltrazione che si
concretizzano in un prevalente deflusso sotterraneo (85 - 95 %) rispetto al ruscellamento
superficiale. I massicci carbonatici possono essere considerati come grandi acquiferi
sotterranei in cui la circolazione idrica ipogea, generalmente basale, ma anche con livelli
intermedi, è condizionata dai rapporti geometrici con le unità geologiche circostanti oltre
che dalle grandi discontinuità strutturali interne (faglie e diaclasi). Nel Cilento i rilievi
carbonatici sono, nella maggior parte dei casi, sovrapposti per faglia inversa e giustapposti
per faglia diretta con le successioni arenaceo-argillose che, avendo una permeabilità
notevolmente inferiore, ne limitano inferiormente e lateralmente la circolazione idrica
sotterranea, orientandola verso i punti di contatto più depressi; in questi punti si
concentrano le principali sorgenti dell'intera area. Nell'area cilentana, a Sud della valle del
Tanagro e ad Ovest del Vallo di Diano, i rilievi carbonatici costituiscono varie unità
idrogeologiche principali, generalmente suddivise in strutture minori, in cui la circolazione
idrica sotterranea è indipendente dalle altre unità circostanti: Monte Alburno, Monte
Motola, Monte Cervati-Monte Vesole, Monte Forcella-Monte Salice, Monte Coccovello e
Monte Bulgheria. Le prime si sono impostate nell’ambito dell’Unità Alburno-Cervati,
l’ultima nell’ambito della omonima Unità del Monte Bulgheria. Ad Est del Vallo di Diano
sono presenti altre strutture idrogeologiche di grande potenzialità, che hanno i propri
recapiti in parte sul versante cilentano ed in parte sul versante lucano.
Le successioni flyscioidi terrigene, per la loro inferiore potenzialità idrica, sono state
oggetto di studi solo a carattere generale dai quali si è potuto trarre soltanto le
caratteristiche complessive della circolazione idrica sotterranea. I terreni delle successioni
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flyscioidi affioranti nel Cilento hanno caratteristiche idrogeologiche variabili in relazione
alla prevalenza dei termini litoidi (prevalentemente arenacei e subordinatamente calcarei)
su quelli pelitici; i primi infatti hanno un grado di permeabilità da medio a scarso ed un
tipo di permeabilità, primaria, per porosità e, secondaria, per fratturazione, mentre i
secondi, per le loro caratteristiche sedimentologiche e la scarsa fratturazione, possono
essere considerati impermeabili. Pertanto nelle successioni arenaceo-pelitiche la frequente
presenza dei termini pelitici conferisce nel complesso uno scarso grado di permeabilità,
mentre nelle successioni prevalentemente arenacee o arenaceo-conglomeratiche la minore
presenza di interstrati pelitici e la scarsa continuità laterale conferiscono un grado di
permeabilità relativamente più elevato. Per le generali caratteristiche di bassa permeabilità
dei terreni arenaceo-pelitici, il deflusso idrico globale si manifesta maggiormente sotto
forma di ruscellamento ed in minor misura come deflusso idrico sotterraneo; quest’ultimo
si realizza non come una falda di base ma si sviluppa come falde sospese sovrapposte e si
concretizza prevalentemente nella parte più superficiale ed alterata dei versanti, sotto
forma di falde spesso discontinue, laddove la fratturazione del substrato e la presenza di
eluvioni e colluvioni favoriscono i processi di infiltrazione. Le emergenze sorgentizie sono
numerose, ma singolarmente molto modeste, mediamente di pochi decimi di litro al
secondo e al massimo di pochissimi litri al secondo; le condizioni di emergenza sono
spesso legate a locali situazioni strutturali, giaciturali e morfologiche, a volte di difficile
interpretazione. Questo modello di circolazione idrica sotterranea può essere ritenuto
rappresentativo dei termini arenaceo pelitici e calcareo pelitici della successione del
"Flysch del Cilento" Auct. e cioè delle Formazioni di San Mauro p.p., Pollica, Saraceno e
Unità dei "terreni ad affinità sicilide" p.p., cioè in quelle parti della successione torbiditica
dove la frazione pelitico-argillosa è presente in maniera continua tra gli strati arenacei o
calcarei, tanto da costituire un ostacolo alla circolazione delle acque di infiltrazione
efficace e da conferire globalmente un carattere di scarsa permeabilità. In questo
complesso idrogeologico il deflusso idrico sotterraneo è, per il generalizzato scarso grado
di permeabilità, una piccola frazione del deflusso globale, circa il 19% (Celico et alii,
1992). Nella successione del "Flysch del Cilento" Auct. fanno eccezione a questo generale
comportamento i termini arenaceo-conglomeratici, ascrivibili ai membri stratigraficamente
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più elevati del Gruppo del Cilento (Bonardi et alii, 1988) e, in particolare, alla parte alta
della Formazione di San Mauro, i quali sono caratterizzati dalla presenza di strati e banchi
arenacei di spessore variabile tra 1 e 3 m, con interstratificazioni pelitiche esigue e
discontinue lateralmente; ciò comporta una maggiore attitudine ai fenomeni di infiltrazione
e quindi una circolazione idrica più o meno profonda, condizionata dalla presenza di
discontinuità stratigrafiche costituite, nella fattispecie, da intervalli di strati a carattere
areanaceo-pelitico. Il deflusso idrico sotterraneo è stimabile in circa il 25% del deflusso
globale.
Infine i termini conglomeratico-arenacei con i quali la successione del "Flysch del
Cilento" Auct. culmina nella Formazione di Monte Sacro, hanno caratteristiche
idrogeologiche marcatamente differenti dai precedenti, essendo dotati di una permeabilità
media per porosità e fratturazione; la scarsa presenza di interstratificazioni pelitiche rende
possibile l’instaurarsi di un unico corpo idrico sotterraneo a deflusso unitario. Il deflusso
idrico sotterraneo rappresenta un’aliquota cospicua del deflusso globale, circa 30% (Celico
et alii, 1993).
Tra le unità idrogeologiche costituite dai terreni del “Flysch del Cilento” Auct. di
maggiore rilievo sono da ricordare quelle del Monte Sacro, del Monte Centaurino e del
Monte della Stella (Guida et alii,1980; Casciello et alii, 1994); oltre a queste sono da
menzionare unità minori come quelle di Monte Vesalo e di Pisciotta-San Mauro La Bruca
e di Santa Marina.
I terreni quaternari sono rappresentati dai depositi detritici presenti in maniera cospicua
al bordo dei massicci carbonatici e soprattutto dai depositi di riempimento delle piane
alluvionali dei principali corsi d’acqua dell’area. Questi terreni hanno nel complesso una
discreta importanza poiché sono spesso dotati di una buona permeabilità, e soprattutto,
oltre ad essere alimentati direttamente dalle acque di infiltrazione meteorica, sono
alimentati dai corpi idrici superficiali fluviali ed anche dalle strutture carbonatiche
adiacenti. Tra le unità idrogeologiche di una certa importanza sono da menzionare quelle
costituite dalle coltri di sedimenti alluvionali presenti nella bassa valle dei fiumi Testene,
dell’Arena, Alento, Lambro-Mingardo e Bussento.
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1.6 Caratteristiche dei bacini idrografici cilentani
Il territorio del Cilento ha una superficie di circa 1818 Kmq e ricade essenzialmente in 5
bacini idrografici principali( vedi Tabella allegata):
-
il bacino del F. Calore Salernitano(o Lucano) la cui superficie di circa 780 Kmq è
compresa, nel suo corso medio superiore, entro i confini del Parco ed è ricompreso nella
Autorità di Bacino Interregionale del Sele;
-
Bacini, in sinistra del fiume Sele, fiumi Solofrone, Testene, Alento, Lambro,
Mingardo e Bussento .
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SOTTOBACINI PRINCIPALI
Corso D’acqua
Piccoli corsi d’acqua
compresi tra la foce
del Sele e la foce
dell’Alento (Minori
costieri)
Il
Fiumarella,
Fosso
Fiume, Fosso Capo
di Fiume, Fosso
Leonora, Solofrone,
Testene, Rio Lavis
Alento
Lunghezza
asta
principale e estensione
bacino
Kmq 383.83
Km.38.30
Kmq 414.50
Fiumarella
Km 12,35
Kmq 4829
Piccoli corsi d’acqua,
tra
la
foce
dell’Alento e la foce
del Lambro (Vallone
del Fiumicello e
Vallone Carusella
Lambro
Kmq 40.84
Mingardo
Km Kmq 223.11
Piccoli corsi d’acqua
tra la foce del
Mingardo alla foce
del Bussento (V. del
Mangano)
Bussento
Km
Piccoli corsi d’acqua
tra la foce del
Bussento e Torre
Mezzanotte
(Rio
Cacafava ed altri
Km 3.5
Kmq 87.27
Totale
Km
Kmq 76.7
Comuni ricadenti e
relativa
superficie
(Kmq)
Principali
affluenti
in
destra
idraulica.
Lunghezza ed estensione
bacino
Principali affluenti
in
sinistra
idraulica.
Lunghezza
ed
estensione bacino
Vallone Le Manete,Vallone
Corbella, Vallone Prignano,
Il Fiumicello, La Fiumara,
Vallone dei Lauri,
Vallone di Orria,
Fiumara Selva dei
Santi,
Torrente
Badolato, Torrente
Fiumicello, Torrente
Palistro
Capaccio, Trentinara,
Prignano
C.,
Perdifumo, Giungano,
Agropoli, Ogliastro C.,
Laureana
C.,
Castellate,
Pollica,
Serramezzana
Monteforte
C.,
Casalvelino, Cuccaro
Vetere,
Ceraso,
Cannalonga, Cicerale,
Torchiara,
Rutino,
Lustra,
Omignano,
Sessa
Cilento,
Serramezzana, Stella
C., Orria, Gioi C.,
Salento, Vallo della
Lucania, Moio della
Civitella
Ceraso,
Cuccaro
Vetere, Ascea, Pisci
otta
Ascea,
Pisciotta,
Centola
Montano
Antilia,
Futani,
Cuccaro
Vetere, S. Mauro La
Bruca
Rofrano,
Laurito,
Roccagloriosa,
Montano Antilia, Celle
di Bulgheria
S. Giovanni a Piro
Kmq 89.65
Km Kmq 351 76
superficie
Sanza,
Caselle
in
Pittari,
Casaletlo
Spartano, Tortorella,
Morigerati
Rofrano,
TorreOrsaia,
Roccagloriosa, S.
Giovanni a Piro
Vibonati, Sapri
sottobacini
principali:
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kmq
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2. Il tema del rischio da frana
2.1 - Generalità
La valutazione del rischio da frana in aree di rilevante estensione presenta non poche
difficoltà per vari ordini di motivi:
-
la eterogenità, spaziale e temporale, del contesto geo-ambientale nel quale i fenomeni
franosi hanno sede
-
- la diversificazione degli approcci metodologici per lo studio di questi ultimi; -l’articolazione dei tessuti urbani ed infrastrutturali esposti al rischio da frana e la
necessità di comprendere la logica che ne sottintende lo sviluppo, spesso caotico ed
irrazionale.
-
la molteplicità di proposte metodologiche sulla valutazione del rischio alla quale
concorrono molteplici fattori molto spesso di difficile reperimento, soprattutto in tempi
ristretti;
-
- la improrogabile necessità di delineare uno scenario del rischio con il medesimo grado
di approfondimento su tutto il territorio al fine di scongiurare il pericolo di una
informazione disomogenea le cui conseguenze potrebbero essere peggiori dell’assenza
di informazioni.
Con riferimento alla intrinseca complessità dei fenomeni franosi si osserva che l’evento frana
ha sede in contesti geo-ambientali molto variegati all’interno dei quali sono presenti rocce e/o
terreni che, alla scala dell’elemento di volume e nei problemi al finito, possono presentare
caratteri fisico-meccanici estremamente complessi ed articolati. D’altra parte le modalità di
innesco e di evoluzione dell’evento-frana dipendono da una molteplicità di elementi quali i
fattori predisponenti, le cause innescanti e gli interventi antropici il cui ruolo si estrinseca su
scale spaziali e temporali estremamente diverse tra loro.
La complessità dell’ ”universo frane” si traduce, innanzitutto, in una molteplicità di
classifiche disponibili per l’inquadramento di tali fenomenologie e, all’interno di ciascuna
classifica, in un’ampia varietà di casi. A titolo di esempio, la classifica proposta da Carrara et al.
(1978) comprende circa 100 tipologie di frana diverse, essenzialmente suddivise sulla base dei
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caratteri cinematici del fenomeno. Per fortuna, nell’ambito delle diverse classifiche non è raro
ritrovare l’utilizzo degli stessi termini per indicare fenomenologie sostanzialmente analoghe.
Volendo procedere ad una selezione delle classifiche proposte, il Progetto Finalizzato
“Conservazione del Suolo”, Sottoprogetto “Fenomeni Franosi”, suggerisce di adottare la
classifica proposta da Varnes (1978), della quale Carrara et al. (1978) – anticipando una
tendenza attualmente consolidata – ne hanno fornita la traduzione.
Gli Atti di Indirizzo citati suggeriscono di fare riferimento alle raccomandazioni del WP/WLI
(1990;1993) ed alla classifica di Cruden e Varnes (1994) che costituisce un aggiornamento della
classificazione di Varnes D.J. (1978).
Anche nell’ambito dello svolgimento del presente studio, la classifica in questione è stata
ritenuta la più efficace e, pertanto, ad essa si è fatto riferimento, pur essendosi rese necessarie
alcune integrazioni per la peculiarità degli obiettivi del D.L. 180/98.
Per quanto riguarda lo studio dei fenomeni franosi si osserva che le finalità perseguite
possono essere molteplici e riguardare la messa a punto di modelli di evoluzione dei versanti a
scala geologica, la definizione su basi fisico-meccaniche dei cinematismi che governano i
processi di rottura e di propagazione, la valutazione del rischio a piccola e grande scala,
l’individuazione di metodologie progettuali per gli interventi di stabilizzazione, etc.
A seconda delle finalità perseguite sono privilegiati aspetti di geologia, geomorfologia,
geotecnica etc., che si differenziano per la diversa scala, spaziale e temporale, con cui viene
condotto lo studio. In alcuni casi l’attenzione è rivolta alla genesi ed all’evoluzione dei fenomeni
franosi su scala territoriale, in altri gli sudi si concentrano sul meccanismo della fenomenologia.
Appartengono prevalentemente al primo tipo gli studi a carattere geologico, mentre ricadono
generalmente nella seconda categoria quelli di tipo ingegneristico.
Entrambi gli approcci presentano vantaggi e svantaggi. Nel primo caso sono delineati i fattori
predisponenti e le cause innescanti i movimenti franosi, ma mancano dati oggettivi in grado di
sostanziare le ipotesi formulate; nel secondo le conoscenze estremamente dettagliate sul singolo
evento non risultano di grande utilità in ambiti arealmente più estesi rispetto a quello di studio.
Un’alternativa agli studi settoriali è offerta dagli approcci di tipo interdisciplinare che tendono
a fare confluire in un unico schema le risultanze delle analisi geologiche e di quelle
squisitamente ingegneristiche. Un esame, anche non esaustivo, della letteratura degli anni più
recenti (ISL, 1984; 1988; 1992) evidenzia il crescente numero dei gruppi di ricerca che tendono
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ad analizzare organicamente ed unitariamente i molteplici fattori che condizionano la franosità
(Brand, 1984; 1988). Ovviamente tali studi richiedono approfondimenti che possono essere
conseguiti soltanto se si dispone di risorse economiche adeguate e scadenze temporali non
eccessivamente ravvicinate.
Il panorama estremamente variegato delle metodologie oltre che delle finalità degli studi sui
fenomeni franosi si ripercuote inevitabilmente sulle modalità di valutazione del rischio, come
ampiamente testimoniato dalla letteratura sull’argomento.
Nella valutazione del rischio rientrano, infatti, molteplici fattori che sono finalizzati, da una
parte, alla descrizione dell’evento franoso e, dall’altra, degli elementi esposti. Le principali
differenze tra le modalità di valutazione del rischio risiedono essenzialmente nei criteri adottati
per descrivere e quantificare tali fattori. Ad esempio l’intensità di un fenomeno franoso può
essere identificata con le conseguenze prodotte dall’evento (DRM 1988 e 1990) con la sua
velocità (Hungr, 1981; Cruden e Varnes, 1994) o con la dimensione del volume mobilitato (Fell,
1984).
Ovviamente la scelta dell’approccio più idoneo è subordinata alla disponibilità dei dati di base
che concorrono a definire le varie componenti del rischio o alla concreta possibilità di una loro
adeguata acquisizione. Quest’ultima è, a sua volta, legata allo svolgimento di indagini e studi
oltre che alla fattiva collaborazione degli Enti preposti alla gestione del territorio. Tale
collaborazione risulta non sempre proficua anche se è assolutamente indispensabile per la
individuazione degli elementi esposti e per la comprensione della evoluzione del tessuto urbano
ed infrastrutturale che, in una ottica di corretta gestione del territorio, deve essere compatibile
con le caratteristiche del sistema fisico nel quale ha sede.
Si precisa, ancora, che laddove l’attività di pianificazione è in una fase iniziale e e tale è
lo stato dell’A.d.B. Sinistra Sele.
Per l’area dell’Autorità di Bacino in Sinistra Sele gli strumenti conoscitivi esistenti e
disponibili sono:
1) POP Campania esteso alla intera provincia di Salerno condotto dal CUGRI (elaborati in
possesso del CUGRI)
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2) Valutazione del Rischio da Frana nell’ambito del Piano di Previsione e Prevenzione della
Provincia di Salerno , condotta dal gruppo coordinato dal prof. Cascini(elaborati in
possesso del CUGRI);
3) Studio Integrato sulla Franosità del territorio della C.M. “ Lambro e Mingardo” esistente
presso l’ente e disponibile per l’aggiornamento a cura del CUGRI, composto da:
a) Carta delle Frane, scala 1:5000 e relativo database collegato;
b) Carta Geolitologica del Substrato e delle coperture, in scala 1:5000
c) Carta dei fenomeni erosivi, in scala 1:5000;
4) Studio Geologico sulla Stabilità del territorio della C.M. Bussento esistente presso l’Ente e
disponibile per l’aggiornamento a cura del GUGRI, composto da :
a) Carta delle Frane, in scala 1:10000
b) Carta Geolitologica, in scala 1:10000
Sono disponibili ancora i seguenti lavori scientifici su vasta aree che riguardano aspetti
specifici sulle frane e sulla valutazione del rischio da frana:
1) Il bacino del F.Mingardo (Cilento): evoluzione geomorfologica, fenomeni franosi e rischio
a franare (Guida D. et al., 1979), contenente:
-
Carta delle frane, scala 1:25000
-
Carta Geolitologica, scala 1:25000
-
Carta Geomorfologica, scala 1:25000
-
Carta del Rischio a franare
-
Carta del reticolo drenante gerarchizzato;
2) Geologia e franosità del F. Lambro ( Guida D. et al., 1981), contenente:
-
Carta delle frane, scala 1:25000
-
Carta geologia, scala 1:25000
-
Carta del rischio a franare, scala 1:25000
3) Ricostruzione di sequenze morfoevolutive ad W di M.te Sacro ( Guida D. et. Al., 1980)
contenente:
-
Carta delle frane, scala 1:25000
-
Carta geologica, scala 1:25000
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-
Carta geomorfologica, scala 1:25000.
4) Tipologia e diffusione delle DGPV nel settore meridionale dell’Appenninmo Campanolucano ( Guida D. et al., 1988), contenente una carta delle DGPV, in scala 1:200000;
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2.2 – Il D.L. 180/98, la L. 267/98, il D.P.C.M.29/9/98, la L. 226/99
La rilevante complessità del tema Rischio da Frane, l’ampiezza delle possibilità offerte, la
mancanza di una metodologia consolidata e la ristrettezza dei tempi a disposizione, trovano
puntuale riscontro nel decreto legislativo 180/98, ampiamente discusso e commentato nella
relazione “Quadro legislativo di riferimento”. Qui di seguito se ne riportano soltanto alcuni
stralci che si ritengono significativi ai fini delle considerazioni in precedenza accennate e delle
scelte metodologiche discusse nel successivo paragrafo.
In particolare, a pag.12, secondo e terzo capoverso, del suddetto decreto si legge:
“Per quanto attiene la valutazione del rischio dipendente da tali fenomeni di carattere
naturale, si fa riferimento alla sua formulazione ormai consolidata in termini di rischio totale.
Nella espressione di maggiore semplicità tale analisi considera il prodotto di tre fattori:
pericolosità o probabilità di accadimento dell’evento calamitoso, valore degli elementi a rischio
(intesi come persone, beni localizzati, patrimonio ambientale); vulnerabilità degli elementi a
rischio (che dipende sia dalla loro capacità di sopportare le sollecitazioni esercitate dall’evento,
sia dall’intensità dell’evento stesso). Si dovrà far riferimento a tale formula solo per la
individuazione dei fattori che lo determinano, senza tuttavia porsi come obiettivo quello di
giungere ad una valutazione di tipo strettamente quantitativo.”
A pag. 14, “Fase di perimetrazione e valutazione dei livelli di rischio”, si legge:
“Dalla fase di individuazione delle aree pericolose si passa a quella della perimetrazione
delle aree a rischio attraverso una valutazione basata sull’esistenza di persone, beni e attività
umane e del patrimonio ambientale.
Nella sostanza questa fase è finalizzata da un lato alla individuazione delle aree pericolose,
ai fini della pianificazione territoriale; d’altro lato alla specifica valutazione delle strutture ed
attività a rischio in maniera da consentire di predisporre le più opportune e urgenti misure di
prevenzione (attività pianificatoria, vincolistica temporanea, ecc.).
Utilizzando la cartografia tecnica a scala minima 1:25000 recante la perimetrazione ricavata
dalla carta dei fenomeni franosi e valanghivi, con l’ausilio eventuale delle foto aeree, è possibile
individuare la presenza degli elementi, già indicati nelle premesse, che risultano vulnerabili da
eventi di frana e valanga.
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Mediante tali elementi si costituisce la carta degli insediamenti, delle attività antropiche e del
patrimonio ambientale di particolare rilievo.
Sulla base della sovrapposizione della carta dei fenomeni franosi e della carta degli
insediamenti, delle attività antropiche e del patrimonio ambientale è possibile una prima
perimetrazione delle aree a rischio, secondo differenti livelli, al fine di stabilire le misure di
prevenzione, mediante interventi strutturali, e/o vincolistici.”
Ancora, all’ultimo capoverso di pag.11, si osserva:
“Tuttavia, i limiti temporali impostati dalla norma per realizzare la perimetrazione delle aree
a rischio consentono, di poter assumere, quale elemento essenziale per l’individuazione del
livello di pericolosità, la localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato
riconoscibili o dei quali si ha al momento presente cognizione.”
Infine, nel D.P.C.M. del 29/9/98, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5/1/99, a pag.10, si
legge:
“La individuazione e perimetrazione sia delle aree a rischio (art. 1, comma 1), sia di quelle
dove la maggiore vulnerabilità del territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le cose
ed il patrimonio ambientale (art. 1, comma 2) vanno perciò intese come suscettibili di revisione
e perfezionamento, non solo dal punto di vista delle metodologie di individuazione e
perimetrazione, ma anche, conseguentemente, nella stessa scelta sia delle aree collocate nella
categoria di prioritaria urgenza, sia delle altre.”
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2.3 – La metodologia di lavoro
Pur in possesso di numerosi dati ed elementi non appare superfluo sottolineare la rilevante
complessità di una adeguata definizione, in tempi brevi, del rischio da frana, in base al dettato
del D.L. 180/98 che, pur condivisibile nello spirito, in quanto teso alla eliminazione (in tempi
rapidi) delle situazioni emergenziali, è in più punti di non facile interpretazione, in quanto
richiede di:
-
fare riferimento a valutazioni qualitative dei parametri che concorrono alla definizione
del rischio, pur riconoscendone la estrema difficoltà;
-
effettuare la perimetrazione sulla base delle segnalazioni degli Enti, procedura questa che
potrebbe dare luogo, nel migliore dei casi, ad una individuazione del rischio a “macchia di
leopardo”, non condivisibile e facilmente strumentabile;
-
definire un programma degli interventi che, pur utili, potrebbero essere progettati e
realizzati in tempi troppo brevi e senza seguire una effettiva scala delle priorità;
-
disporre misure di salvaguardia che possono stravolgere, senza una base razionale, interi
tessuti urbani, tralasciando altre situazioni emergenziali non evidenziate dall’inerzia degli Enti
competenti.
Avendo colto lo spirito propositivo della legge, l’Autorità di Bacino, attraverso la
Convenzione con il CUGRI, ha cercato di fornire risposte soddisfacenti a quanto richiesto dal
D.L. 180/98, intendendo questo dettato normativo come uno dei passi preliminari del più ampio
percorso da compiere per ottemperare alla L. 183/89.
Elementi di valutazione sulle metodologie adottate nella presente fase emergenziale sono
forniti nello schema di fig. 2.1, dal quale si evince che le attività svolte hanno riguardato
essenzialmente due distinti percorsi.
Il primo, illustrato nella parte alta dello schema, è stato finalizzato alla redazione della “Carta
inventario dei fenomeni franosi” e della “Carta delle intensità dei fenomeni franosi in funzione
delle massime velocità attese”. Hanno concorso alla redazione della prima:
-
i rilievi da foto aeree;
-
i rilevamenti di campagna mirati
-
la raccolta delle segnalazioni dagli Enti;
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-
la raccolta delle dichiarazioni di pericolo incombente presso il Dipartimento di Protezione
Civile.
La “Carta inventario dei fenomeni franosi”, congiuntamente a valutazioni scaturite
dall’esame della letteratura scientifica e dal catalogo AVI, dalla acquisizione di elementi di
geologia e geomorfologia ritenuti di utilità quali, per esempio, gli ambiti morfologici, hanno
permesso di redigere la “Carta delle intensità dei fenomeni franosi”, che consente di operare una
opportuna distinzione tra i diversi fenomeni franosi che, sulla base del solo criterio di esistenza,
avrebbero dato luogo ad una indistinta, e poco significativa, distribuzione del rischio sul
territorio.
Il secondo gruppo di attività, riportato nella parte bassa dello schema, è stato indirizzato alla
stesura di un elaborato di sintesi che a partire dalla “Carta degli insediamenti urbani, delle
infrastrutture e del patrimonio ambientale” nell’ambito della quale sono stati implicitamente
considerati “I danni segnalati da Enti vari”.
La “Carta delle aree a rischio di frana molto elevato” è, quindi, scaturita dalla
sovrapposizione dei tematismi A3 e B1, e riporta, al proprio interno, la perimetrazione delle aree
a rischio più elevato (R4), e di quelle che lo potrebbero diventare a seguito dell’acquisizione
degli elementi più volte richiesti e non forniti dalle Autorità competenti, oltre che di ulteriori
zone per le quali appare, fin da ora, necessario un livello di attenzione particolarmente elevato.
E’ evidente che il metodo di lavoro adottato, che si è sempre ispirato all’acquisizione
sistematica ed in forma omogenea del dato di base, rispetta lo spirito del D.L. 180/98, assumendo
a riferimento il percorso più complesso in esso indicato. Va, infatti, osservato che alla
perimetrazione delle aree R4 si perviene attraverso la redazione di elaborati nei quali sono insite
alcune valutazioni qualitative dei parametri che concorrono alla definizione del rischio (intensità
I, pericolosità H, danno potenziale W e vulnerabilità V).
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3. Fenomeni franosi e massime intensità attese
3.1
Generalità
Come è facile intuire la popolazione delle frane esistenti sul territorio è costituito da fenomeni
di complessa identificazione ed interpretazione, caratterizzati da un diverso grado di “leggibilità
morfologica” di cui è stato tenuto conto nell’affrontare la fase di “inventario su vasta area”.
La necessità di aggiornare il quadro delle conoscenze con un dettaglio utile ai diversi scopi
dell’Autorità di Bacino ha richiesto l’applicazione di criteri e metodi innovativi in vaste zone
caratterizzate da condizioni geolitologiche e morfoevolutive molto diversificate, già sperimentati
in alcune aree dell’Appennino Meridionale.
Alla base dei criteri adottati sussiste il presupposto che i fenomeni franosi non sono distribuiti
in modo casuale nei diversi tratti del rilievo, e che le crisi di franosità avvenute nel corso delle
ultime migliaia di anni hanno determinato, nelle diverse aree, la sovrapposizione di frane di
differente estensione areale e di età morfologica variabile.
La ricomposizione dei processi di franosità di versante è, pertanto, basata sulla intersezione
dei parametri geologici, litostratigrafici, geomorfologici e geomorfico-applicativi attraverso
l’applicazione di criteri e sistemi integrati, finalizzati alla definizione delle caratteristiche di
fondo del rilievo e della sua evoluzione morfologica recente. La metodologia adottata filtra gli
indizi morfologici e geologici utili per la identificazione dei singoli eventi franosi,
consentendone il “riconoscimento”, la classificazione per tipologia e per caratteristiche
morfologiche principali ed infine facilita il loro posizionamento su base topografica alla scala
prescelta.
Il sistema utilizzato è stato reso flessibile ed integrato con una preliminare analisi ed
interpretazione delle aereofoto stereoscopiche, che a loro volta sono lo strumento di analisi
territoriale più diffuso, che “cristallizza” lo stadio di sviluppo delle frane in un determinato
momento della storia evolutiva del paesaggio, con opportune “tarature” sul terreno.
Succesivamente è stato impostato uno studio
geomorfologico essenziale di tipo
morfoevolutivo tale da consentire di integrare i dati fotogeologici in un preliminare modello di
evoluzione dei versanti.
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Tale modello doveva rendere disponibile uno strumento speditivo per la definizione degli
ambiti morfologici significativi , utile alla individuazione delle aree di espansione dei fenomeni
franosi e di quegli indicatori morfologici utili alla definizione delle più probabili tendenze
evolutive di tipo gravitativo dei versanti.
La scelta delle informazioni da discriminare nella fase di raccolta dei dati è stata adeguata in
questa fase ai vincoli temporali imposti dal D.L. 180/98 e proposti nel relativo allegato tecnico.
Un ulteriore miglioramento è stato raggiunto integrando gli indirizzi di lavoro sperimentati negli
ultimi anni, non escluse le fasi emergenziali del ’97 e ’98.
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3.2 – Classificazione dei fenomeni franosi
A partire dalla classificazione di Varnes del 1978, comunemente riconosciuta ed accettata in
ambito scientifico e tecnico, è stata elaborata una riformulazione originale, apportando alcune
modifiche ed integrazioni alla precedente, in modo tale che la “Carta inventario dei fenomeni
franosi” a cui è riferita, meglio si adattasse come “strumento di lavoro operativo” per i successivi
passaggi ad altre carte tematiche e, nel complesso, in modo da rispondere meglio agli scopi
previsti dal D.L. 180/98.
La riclassificazione adottata è riportata nella Legenda alla Carta Inventari delle Frane; le
diverse tipologie franose sono state riaggregate in gruppi in funzione del cinematismo prevalente
e dei caratteri morfodinamici
Per ciascuno dei tipi di dissesto considerato, riaggregati in gruppi, sono di seguito riportate
alcune brevi note di commento.
Gruppo 1 – Frane di crollo e ribaltamento
Sono fenomeni tipici delle scarpate morfologiche con forte acclività e sono molto diffusi nelle
successioni lapidee, ma frequenti anche lungo le scarpate fluviali, quindi, in terre più o meno
addensate. Il distacco è improvviso e lo spostamento dei materiali avviene in caduta libera nel
vuoto.
Gruppo 2 – Frane di flusso rapido
In tale gruppo sono stati riuniti tutti i fenomeni di flusso rapido, caratterizzati da attivazione
improvvisa di primo distacco. Il movimento della massa mobilizzata spesso avviene lungo
depressioni morfologiche ben definite, canali ed impluvi incisi su versanti con acclività elevata e
tende ad invadere le zone di raccordo morfologico alla base dei versanti fino ai tratti
pianeggianti.
Colata rapida di fango
Sono fenomeni caratterizzati dalla mobilizzazione improvvisa di una massa di materiali di
origine vulcanica in posizione primaria (sabbie vulcaniche, ceneri e pomici) o secondaria
(depositi vulcanici rielaborati di concavità morfologica), poggiati su un substrato carbonatico o
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fliscioide di natura lapidea lungo versanti a bassa evoluzione morfologica. Dopo il distacco i
materiali a prevalente contenuto di materiali fini e con elevato contenuto d’acqua si spostano
verso valle incanalandosi lungo zone di deflusso già esistenti nella morfologia del versante. Il
movimento continua fino a quando il materiale di frana raggiunge la base del pendio o le aree
con bassa acclività, dove si esaurisce l’energia di movimento. Il materiale di frana si amplia con
sagoma a conoide ricoprendo superfici proporzionali alla massa mobilizzata ed all'energia di
questa.
Colate di detrito
Sono fenomeni riscontrabili in ambienti morfologici fortemente accidentati ed in litologie
carbonatiche o arenaceo-conglomeratiche, dove masse di detrito di versante, anche con
granulometrie superiori alle ghiaie sono posizionate nelle porzioni superiori delle testate di
impluvio o lungo tratti di canale a forte acclività. L’attivazione è in genere improvvisa ed il
materiale a prevalente contenuto di materiale grossolano e con elevato contenuto d’acqua in
seguito alla mobilizzazione tende ad invadere le zone di raccordo morfologico con i tratti
pianeggianti, nelle aree di conoide.
Colate rapide in terreni argillo-marnosi
Sono fenomeni tipici delle aree di affioramento di depositi ad elevata componente argillosomarnosa o argillosa, in cui si registra il progressivo allentamento meccanico ed ammorbidimento
della coltre di materiali più prossima alla superficie. Il movimento segue di norma percorsi
preferenziali segnati da direttrici costituite da depressioni morfologiche o canali preesistenti che
possono essere ostruiti o talora sepolti. Raramente questi fenomeni si verificano a partire da tratti
di versante indisturbati, generalmente si originano quale effetto terminale , talora catastrofico, di
sistemi franosi a lenta evoluzione ed a cinematismo non parossistico, ovvero quale
rimobilitazione di coltri detritico-colluviali rimaneggiate nell'ambito di concavità morfologiche.
Gruppo 3 – Frane di scorrimento e colamento
In questo gruppo sono stati inseriti gli scorrimenti rotazionali e traslativi ed i colamenti, sia in
terra che in roccia. A tal proposito si precisa che nel caso di frane complesse del tipo
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scorrimento-colata lenta, quando si tratta di fenomenologie con evoluzione priva di discontinuità
temporale, la simbologia adottata è data dalla sommatoria delle singole tipologie.
Scorrimento traslativo
Sono fenomeni tipici delle aree con strati in giacitura ordinata o con giunti di discontinuità
orientati a franapoggio con inclinazione minore del versante, in cui il movimento avviene lungo
discontinuità preesistenti, talora favorito dalla presenza di litologie a comportamento duttile;
sono tipici di successioni ben stratificate, ma con litotipi a diversa competenza che si riscontrano
in alcune successioni di bacino torbiditico, anche se non mancano esempi di frane analoghe in
sequenze a comportamento rigido.
Scorrimento rotazionale
Sono frane con aspetto morfologico tipico, caratterizzato da una sagoma concava sede di una
netta contropendenza del cumulo di frana, spesso associate ad una fase di colata lenta del
materiale mobilizzato. Si riscontrano sia in litologie miste di terreni geotecnicamente complessi
sia in presenza di successioni a comportamento rigido sovrapposte a litologie a comportamento
plastico o duttile.
Colata lenta – colamento
Questi fenomeni franosi presentano continue deformazioni e/o movimenti che determinano
tipiche ondulazioni della superficie della massa in frana, con raggio di curvatura da metrica a
decimetrica; tali dissesti sono caratteristici di successioni con componente argilloso-marnoso
significativa.
Gruppo 4 – Espansioni laterali, D.G.P.V. e depositi di concavità morfologica
In questo gruppo sono stati inseriti tutti gli altri movimenti di massa cartografati e riportati
nella “Carta inventario dei fenomeni franosi”, incluse alcune tipologie che di norma non
vengono considerate frane s.s..
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Espansione laterale di pendio
In tal modo sono state cartografate le tipologie così definite in Varnes (1978), anche se tali
dissesti non sono compresi in quelli riportati nella bozza di legenda allegata all’Atto di Indirizzo
del D.L. 180/98.
Questi movimenti sono stati riscontrati solo in presenza di successioni a comportamento
rigido sovrapposte a litologie a prevalente componente argilloso-marnosa e consistono in un
progressivo allontanamento reciproco di grandi blocchi o masse lapidee con creazione di trincee
sommitali e rigonfiamenti basali.
Deformazione gravitativa profonda di versante (D.G.P.V.)
Le D.G.P.V. in genere coinvolgono l’intero sistema crinale-versante-fondovalle, dislocando
ammassi di substrato di dimensioni discrete lungo discontinuità sia preesistenti che di
neoformazione e con tempi di evoluzione lunghi; le forme presentano maggiore o minore
evidenza a seconda del tipo di D.G.P.V. e dallo stato di attività. Anche in questo caso le
situazioni più caratteristiche si manifestano in concomitanza di sovrapposizioni, tettoniche e/o
stratigrafiche di successioni a comportamento fragile su successioni a comportamento duttile.
Creep in depositi di concavità morfologica
Comprendono i movimenti che si sviluppano in prevalenza nelle coltri di copertura, laddove
si associano particolari condizioni idrogeologiche ; sono stati considerati solo gli accumuli
detritico-eluvio-colluviali di concavità morfologica, in quanto nell'ambito di queste ultime sono
stati riscontrati i casi più evidenti ed importanti. I movimenti si esplicano con deformazioni
progressive delle masse interessate, che in superficie presentano tipiche ondulazioni da
decimetriche a metriche, con smorzamento più o meno rapido degli stessi in profondità.
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3.3- Ambiti morfologici
Le variazioni significative inserite nella legenda per meglio adattarsi alle esigenze di
pianificazione territoriale derivano dalla discriminazione di elementi morfologici di riferimento
effettuata tramite analisi del dettaglio morfologico delle aree di interesse, compatibilmente con la
scala delle aereofoto.
Come già esposto in precedenza i fenomeni franosi non sono collocati nell’ambito del
paesaggio secondo una distribuzione casuale, ma sono controllati dalla evoluzione morfologica
sviluppata sui versanti in epoca recente. D’altro canto per alcuni tipi di movimenti franosi, come
i crolli e le frane di flusso rapido, la sola segnalazione del fenomeno non è sufficiente per una
valutazione completa della potenziale pericolosità. In questi termini il problema di una
valutazione qualitativa, o almeno di una stima, dell’ulteriore ampliamento della frana con elevata
pericolosità può trovare soluzione nella definizione di uno “spazio versante” comprensivo della
nicchia di distacco, della zona di transito o canale della frana e della zona raggiunta
dall’accumulo.
La interpretazione mirata di ciascun elemento citato e dei relativi indizi morfologici delle
frane avvenute in epoca precedente consente la estrapolazione della possibile zona di invasione
del materiale di frana, nel caso di eventi con mobilizzazione di volumi ingenti di materiali.
Questa valutazione si basa sul presupposto che i volumi di possibile mobilizzazione devono
essere realmente disponibili a monte dell’area di distacco.
Ne deriva che la reinterpretazione su base morfologica delle aree situate a monte delle frane
può aiutare nella comprensione sulle potenzialità del fenomeno, definendo la zona di
alimentazione delle frane.
Le esperienze condotte durante l’emergenza Sarno del 5 e 6 maggio 1998, consentono di
ritenere affidabile l’impostazione concettuale e attendibili i risultati della valutazione, a livello
qualitativo se l’analisi è condotta in prevalenza con interpretazione di aereofoto.
In pratica i fenomeni franosi di crollo e di flusso rapido possono interagire solo con spazi
versante situati all'intorno della nicchia, ovvero zona di distacco, nei quali si riscontra la
presenza di terreni di copertura o volumi di roccia potenzialmente instabili. Il continuo
arretramento della nicchia o il collasso di porzioni situate lungo i bordi può avvenire in presenza
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di materiali riconoscibili per la sagoma morfologica delle concavità più o meno accentuate al
margine della frana.
Utilizzando alcuni dei parametri morfologici necessari per la definizione degli spazi versante
interessati da frane, si può individuare un tratto di pendio compreso tra la zona sommitale del
rilievo (ad evoluzione morfologica completa) o crinale sommitale ed il fondovalle più prossimo a
valle della frana stessa, e limitata dai crinali morfologici secondari che limitano i bordi del tratto
interessato dalla frana considerata.
Questa operazione di non semplice esecuzione, per la necessità di integrare più parametri
nella fase di lettura di aereofoto su tratti di estensione limitata , delimita uno spazio versante
elementare in cui si mantengono costanti le condizioni litostratigrafiche, morfoevolutive, di
presenza di materiali di copertura sul substrato locale e di evoluzione della franosità. Ne deriva
che lo “spazio versante elementare” così delimitato può essere definito “ambito morfologico
significativo” con un preciso significato rispetto alle frane di versante. Infatti la frana sviluppata
all’interno dell’“ambito morfologico significativo”, possiede un potenziale sviluppo che non può
interagire con elementi esterni, a meno di profonde alterazioni dell’attuale assetto morfologico
locale.
Nel caso dei crolli sono state prese in considerazione le caratteristiche delle zone di elevata
acclività, con analisi della sagoma delle scarpate, per discriminare, laddove possibile, gli ultimi
distacchi avvenuti. La impossibilità pratica di distinguere, con ragionevole precisione, la zona di
transito dei materiali da quella di solo accumulo ha portato alla unificazione delle due aree. Allo
stesso modo la estensione dell’area di transito e accumulo è stata definita con un certo grado di
approssimazione utilizzando il riconoscimento della posizione raggiunta dai materiali delle frane
pregresse. I limiti della zona di possibile invasione da parte dei materiali di frana, soggetti a
rimbalzi e rotolii con traiettorie talora molto irregolari, sono stati adattati di volta in volta alla
condizione morfologica del versante.
Nel caso delle frane di colata rapida di fango sono state considerate le aree di monte, sede di
possibili accumuli di materiali, che possono determinare ulteriori distacchi di una certa
consistenza significativa ai fini della pericolosità; tali aree sono state completate verso valle dalla
posizione della frana avvenuta, dalla segnalazione della zona di accumulo della frana e dell’area
di probabile invasione interpretata sulla base dei fenomeni con maggiore evidenza morfologica,
pertanto di più recente avvenimento.
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Informazioni analoghe sono state registrate per i fenomeni di colata di detrito, per i quali si è
tenuto conto delle condizioni morfologiche delle aree a monte dei canali e della esistenza di
depositi lungo le aste torrentizie, purchè riconoscibili nelle aereofoto.
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3.4 - Stato di attività
Lo stato di attività delle frane è uno degli altri elementi tecnici caratterizzanti i fenomeni
franosi ed è stato utilizzato anche in modo più approfondito e mirato di quanto richiesto dal DL
180/98 con la distinzione dei fenomeni franosi in attivi, quiescenti ed inattivi.
Per le frane valutate “inattive” è stato adottato un criterio estremamente prudenziale,
definendo tali solo quelle fenomenologie che per conoscenza diretta o acquisita presentano
condizioni idrogeomorfologiche tali da escludere categoricamente una loro riattivazione in toto
(ad esempio cumulo in gran parte sepolto da depositi alluvionali e zona di distacco perfettamente
regolarizzata). In ogni caso la lettura ed interpretazione delle aereofoto, anche se integrato dai
parametri morfologici, invita ad una valutazione prudenziale dello stato di attività riconosciuto.
Anche le esperienze riportate in letteratura confermano l’utilizzazione del criterio prudenziale
specie nella discriminazione inattivo – quiescente, che potrà essere migliorata o rivista in
parallelo con il progressivo incremento delle conoscenze acquisite sui singoli fenomeni e con gli
ulteriori approfondimenti del contesto morfoevolutivo di quegli specifici settori di territorio.
La categoria delle frane quiescenti comprende, invece, i fenomeni che per condizioni
morfologiche del sito o dell’immediato intorno possono essere soggetti a riattivazione in
occasione di eventi estremi particolarmente sfavorevoli.
Si tralasciano le considerazioni e definizioni sul riconoscimento dei fenomeni “attivi”, che
sono riferibili alle condizioni comunemente accettate dagli operatori del settore, nel caso di
rilevamento prevalente da aereofoto e con taratura del sistema di interpretazione con riscontri sul
terreno effettuato “a campione”.
Nel territorio esaminato la “Carta inventario dei fenomeni franosi” ha registrato un elevato
numero di eventi confermando la presenza e l’elevata diffusione di forme di franosità pregressa.
In genere, per le frane con evoluzione più lenta, sviluppate nei terreni argilloso-marnosi, il
riconoscimento delle diverse aree di franosità pregressa evidenzia lo stato di dissesto del
territorio nei termini della “franosità ereditata”.
In questo senso la fase di riconoscimento delle frane esistenti e cartografabili è stato effettuato
in termini di lettura “mirata” delle aereofoto con valutazione preliminare del contesto
morfologico del sito, tenendo in debito conto e nel giusto peso le caratteristiche geologiche e
litostratografiche delle aree e dei siti esaminati. Il riconoscimento dei parametri geologici di base
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è stato supportato dall’aggiornamento della cartografia geologica e dal continuo scambio di
informazione tra i gruppi di lavoro, costituiti da rilevatori esperti nel settore geologico e
geomorfologico.
A valle della redazione della “Carta inventario dei fenomeni franosi”è stata realizzata una
ulteriore verifica dello “stato di attività” dei fenomeni franosi inserendo e trasferendo le
informazioni raccolte tramite sopralluoghi, consultazione degli Enti Locali, segnalazioni di danni
di diversa provenienza tra cui quelle fornite dal Dipartimento di Protezione Civile, Ufficio
Previsione e Prevenzione. Il peso assegnato a ciascuna segnalazione è stato valutato in funzione
del grado di dettaglio della informazione e dell’entità del danno segnalato, determinandolo
tramite il controllo di campagna, e/o il riesame con aereofoto del contesto morfologico del sito,
nel caso di incongruenza con la “Carta inventario dei fenomeni franosi”.
3.4.1. Distribuzione territoriale delle frane e modelli geomorfologici della franosità
L’analisi comparativa della distribuzione territoriale delle frane, di vario tipo, età, stato di
attività e dimensione, in relazione ai caratteri geologici e geomorfologici prima esposti, consente
di riconoscere e differenziare diversi modelli di franosità che giustificano la situazione attuale e
rendono conto delle più probabili tendenze morfoevolutive del territorio.
La corrispondenza fra modelli di franosità tipici ed entità territoriali omogenee, per assetto
geostrutturale e storia geomorfologica, consente di giustificare la distribuzione dei fenomeni
franosi riconosciuti e di rendere significativi gli eventuali approfondimenti geotecnici di carattere
applicativo.
La correlazione fra i modelli di franosità riconosciuti e l’assetto litostrutturale trova
riscontro nella recente letteratura geologico-applicativa, anche se limitatamente all’analisi dei
principali tipi morfostrutturali paralleli allo sviluppo delle deformazioni gravitative profonde di
versante .
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Modello di franosità tipo: M.te della Stella
Si estende dalla dorsale di Torchiara-Prignano al crinale principale di M.te della Stella e
comprende il versante che degrada fino alla linea di costa nell’ambito del Quadrante “Paestum” e
“Casal Velino-Punta Licosa”.
Il modello di franosità è caratteristico della morfostruttura omonima ed in particolare del
suo versante settentrionale, laddove si riscontra l’alternanza di strati e banchi della successione
arenaceo-marnosa-conglomeratica della Formazione di San Mauro, disposti a franapoggio più o
meno inclinati rispetto al tratto di pendio considerato.
Il modello di franosità è caratterizzato da scivolamenti e scorrimenti complessi lungo piani
di strato o intervalli pelitici, laddove questi intercettano superfici di discontinuità secondarie.
L’addensamento dei fenomeni franosi non è in assoluto il più elevato, ma è tale da definire
la distribuzione non casuale dei corpi di frana.
Esempi storici di questo modello di franosità si riscontrano a Perdifumo ( frana con gravi
danni al tessuto urbano nel 1976) a Laureana Cilento e a Eredita Cilento, come mostrato sulla
Carta inventario delle Frane.
La riattivazione saltuaria di alcuni fenomeni, come verificatosi nei pressi di Castellabate
nel novembre del 1976 e prima dell’abitato di Perdifumo, nell’ambito dello stesso evento
pluviometrico confermano modalità evolutive a più riprese di questi fenomeni.
I riscontri geomorfologici evidenziano la ripetitività di queste fenomenologie, che nel
corso della storia geomorfologica passata hanno concorso sensibilmente al modellamento dei
versanti e degli impluvi secondo percorsi evolutivi che nella progressiva disarticolazione dei
corpi dislocati da scorrimenti, e/o scivolamenti non escludono il loro coinvolgimento gravitativo
in forma di colate detritico-fangose.
Modello di franosità tipo: Alento
Risulta caratteristica dei versanti collinari della media ed alta valle del F.me Alento,
laddove affiorano le successioni arenaceo-argilloso-siltose della parte bassa del Gruppo del
Cilento. Questi rilievi collinari presentano dei versanti “a faccette triangolari” residui di versanti
strutturali evoluti, a partire da versanti bordieri e limitati da impluvi rettilinei incisi a “V”, che
incidono trasversalmente i rilievi.
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La storia deformativa pregressa ha indotto fasce di “intenso disturbo tettonico” con
formazioni di corpi di litologie del substrato limitati da superfici di taglio, che in particolari
disposizioni giaciturali sono evoluti in forma di scorrimenti rotazionali i cui cumuli sono stati
variamente ripresi in forma di colate detritico fangose, da rapide a lente.
Gli allineamenti strutturali secondari hanno influenzato la definizione e la successiva
evoluzione degli impluvi in forma di “vallette a fondo concavo” colmate da depositi eluviocolluviali durante gli ultimi “stadiali”.
L’analisi della distribuzione delle frane attuali evidenzia la ripresa e la riattivazione di
forme gravitative pregresse a causa del progressivo riadattamento della rete idrografica
secondaria, all’ultimo assetto morfologico.
Sia al bordo della valle principale che lungo le valli laterali la densità dei fenomeni franosi
è medio-bassa con dimensione contenuta e, quasi sempre, per evoluzione di frane pregresse di
età generalmente “recente”.
Solo in corrispondenza di orizzonti litostratigrafici, caotici e/o caoticizzati (come per es.
intorno Cardile) le fenomenologie di frana si discostano da questo modello e presentano l’aspetto
di grandi dislocazioni gravitative anche di neoformazione tipiche di altri modelli di franosità.
.
Modello di franosità tipo: settore occidentale di M.te Sacro
Corrisponde alla tipica situazione di paesaggio basso collinare compreso tra la zona
pedemontana e la piana del F.me Alento, a valle della morfostruttura di M.te Sacro, laddove
l’evoluzione passata ha indotto un modellamento articolato in più fasi, con formazione di rilievi
anche a seguito di fasi tettoniche surrettive. Queste sensibili variazioni dell’altimetria hanno
comportato il rapido smantellamento dei versanti montuosi arenaceo-conglomeratici, con il
conseguente trasporto in massa di grandi volumi di materiali detritici inalveati lungo gli impluvi.
I fenomeni di “valley filling” hanno colmato e regolarizzato le incisioni approfondite nelle
successioni argilloso-marnose; in seguito le ulteriori fasi erosive hanno prodotto l’incisione
laterale di questi accumuli e lo smantellamento gravitativo dei versanti di neoformazione, con la
ripetizione dei trasporti di massa, dalle incisioni trasversali verso i canali maggiori.
Le tipologie di dissesto prevalenti consistono in fenomeni complessi: scorrimenti
rotazionali e, talora, traslativi che evolvono rapidamente in colate detritico-fangose,
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generalmente di modesto spessore, che coinvolgono le coperture detritico-colluviali e la fascia
più alterata e allentata del substrato.
Per questo modello di franosità si dispone di un modello geomorfologico evolutivo
proposto da Guida et alii (1980), che giustifica l’attuale distribuzione e tipologia dei fenomeni
come tipica franosità ereditata che coinvolge il solo tratto elementare di versante collinare o, in
alternativa, di impluvio collinare.
Nell’area compresa tra Cannalonga, Vallo della Lucania e Castelnuovo Cilento, la densità
dei fenomeni franosi è particolarmente evidente, con frane di colata e di scorrimento-colata che
investono aree con estensione superiore al mezzo chilometro quadro e che di frequente sono
articolate in distacchi minori e accompagnati da un corteo di fenomeni di dimensione minore.
Modello di franosità tipo: M.te Centaurino
È tipico della fascia pedemontana della Morfostruttura di M.te Sacro, versante meridionale
ed orientale, di quella di Castelluccio e del versante occidentale del M.te Centaurino.
Corrisponde alla situazione descritta come tipo morfostrutturale 1-2 in Guida et alii (1992)
e consiste nella sovrapposizione di successioni stratigrafiche a comportamento rigido di notevole
spessore (superiore ai 100 m) su un substrato a comportamento duttile il cui contatto è posto alla
base del versante montagnoso più o meno regolarizzato con il piedimonte.
Questo modello di franosità è stato studiato in particolare lungo i versanti bordieri del M.te
Centaurino da Guida et alii (1988), laddove si riscontra la sovrapposizione stratigrafica della
successione arenaceo-conglomeratica della Formazione del Torrente Bruca sulla sequenza
detritico arenacea del Membro di Caporra. La ricostruzione di dettaglio del modello geologico,
attraverso la correlazione fra termini geologici e geolitologici (successione litostratigrafica di
M.te Centaurino, figg. 2.4 e 2.5) è stata integrata dai lineamenti di evoluzione geomorfologica
del tratto di raccordo fra versante montagnoso e piedimonte, lungo quei settori dove la creazione
di rilievi ed il conseguente approfondimento del reticolo idrografico ha consentito la
regolarizzazione denudazionale e/o deposizionale del profilo del versante.
In tali condizioni, l’intero sistema versante montagnoso-piedimonte-fondovalle viene
coinvolto dalla dinamica gravitativa secondo meccanismi riconducibili, in parte, alle
deformazioni gravitative profonde di versante, che danno luogo in genere agli scorrimenti
rotazionali in roccia ed alle colate detritico-fangose (Varnes, 1978 e Cruden e Varnes, 1996).
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Dati i caratteri dimensionali ed i meccanismi cinematici ed evolutivi, per questi fenomeni,
è stato suggerito il termine di “Sistemi franosi” nel senso di “insieme di frane complesse”
riconducibili ad un nuovo meccanismo di deformazione nella fase iniziale di distacco che, nel
corso dell’evoluzione a lungo termine, si disarticola in fenomeni secondari differenziati per tipo
di movimento ed età.
Modello di franosità tipo: M.te Bulgheria
Corrisponde alla tipica franosità dei fronti montagnosi carbonatici sovrapposti
tettonicamente a successioni argilloso-marnose.
Tale condizione corrisponde al tipo morfostrutturale 1.1.1.di Guida et alii (1992), come
sovrapposizione di tipo tettonico di grandi spessori di roccia più o meno fratturata a
comportamento rigido su successioni di grandi spessori di argille marnose a comportamento
duttile.
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3.5 - Scenari delle massime intensità attese
Nella letteratura specializzata sono presenti numerose proposte che definiscono, in modo non
univoco, l’intensità di un fenomeno franoso. Tra i vari esempi si ricordano i criteri stabiliti per il
PER (Piani di Esposizione al Rischio) dal DRM (Délégation aux Risques Majeurs) (1990), con i
quali l’intensità viene classificata in base alle possibili conseguenze sulla incolumità umana (tab.
1) o sui danni economici (tab. 2); la proposta di Cruden e Varnes (1994) che fanno corrispondere
a ciascuna classe di velocità una classe di intensità (tab. 3) e la proposta di Fell (1984) che mette
in relazione l’intensità con il volume della massa spostata (tab. 5).
Le linee guida per la redazione del “Piano Stralcio per la Difesa delle aree in Frana”,
approvate da vari Comitati dell’Autorità di Bacino, privilegiano il criterio di Cruden e Varnes
(1994), perché ritenuto più idoneo per il bacino in esame, e propongono di semplificarlo,
riducendo a tre il numero delle classi d’intensità.
Anche nell’ambito delle attività finalizzate alla perimetrazione delle aree a rischio molto
elevato (D.L. 180/98) si ritiene significativa la classificazione delle intensità in base alla velocità
in quanto, tra quelle proposte, permette una più immediata definizione dei possibili effetti
prodotti sugli elementi esposti nei riguardi delle varie tipologie di frana.
Si deve tuttavia osservare che, pur così definita, l’intensità non assume valori univoci e
facilmente determinabili, in quanto la velocità di un fenomeno franoso dipende da numerosi
fattori quali, ad esempio, la storia geologica e geomorfologica del contesto nel quale esso ha
sede, l’uso del suolo inteso in senso lato, la litologia e le proprietà fisico-meccaniche dei terreni
coinvolti, le cause che ne producono l’innesco, ecc. Ne segue che per la medesima tipologia di
frana ed anche nell’ambito del medesimo movimento franoso si possono avere velocità variabili
nel tempo e nello spazio.
Non c’è viceversa dubbio sul fatto che tra tutte le velocità la più significativa, ai fini
dell’osservanza del D.L. 180/98, sia la massima attesa in quanto gli effetti del movimento
franoso sugli elementi sono tanto maggiori quanto più elevata è la sua intensità.
Una chiara dimostrazione di tale assunzione è fornita dalle frane maggiormente distruttive,
quali i crolli in roccia e le “colate rapide di fango” per le quali, antecedentemente all’evento
parossistico, non si rilevano effetti sugli elementi esposti, che sono, viceversa, spesso catastrofici
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a seguito dell’innesco del fenomeno. Si ricorda, a tale riguardo, l’evento gravemente luttuoso che
il 5-6 maggio del 1998 ha duramente colpito la Regione Campania.
Sulla base delle precedenti considerazioni e ai fini della perimetrazione delle aree a rischio
molto elevato richiesta dal D.L. 180/98, aree in cui “sono possibili la perdita di vite umane e
lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale,
la distruzione di attività socio-economiche”, si è, quindi, sostanzialmente adottata la classifica
delle intensità degli eventi franosi riportata nelle Linee Guida per la redazione del “Piano
Stralcio per la Difesa delle aree in Frana” adottato dall'Autorità di Bacino Nazionale del
Volturno, raggruppando i movimenti franosi in tre classi d’intensità, così come riportato sulla
Legenda del relativo elaborato grafico:
1.
Intensità ALTA, comprendente i fenomeni franosi con velocità massima attesa da rapida
a estremamente rapida (crolli in roccia e colate rapide);
2.
Intensità MEDIA: comprendente i fenomeni franosi con velocità massima attesa da molto
lenta a moderata (colate lente-colamenti, scorrimenti rotazionali e traslativi);
3.
Intensità BASSA: comprendente i fenomeni con velocità massima attesa da
estremamente lenta a lenta (espansioni laterali, deformazioni gravitative profonde di versante e
concavità morfologiche in creep).
Ciascuna tipologia di frana riportata nella “Carta inventario dei fenomeni franosi”, sia nel
caso di frane attive che quiescenti, è stata quindi collocata in una delle tre classi d’intensità
succitate.
1.
Crolli e frane di flusso rapido (colate rapide di fango, colate di detrito e colate rapide in
terreni prevalentemente marnoso-argillosi). E’ riconosciuto che questi fenomeni si manifestano
con velocità da rapida ad estremamente rapida, collocabili nelle classi 5, 6 e 7 della classifica di
Cruden e Varnes (1994); pertanto essi rientrano nella classe di intensità ALTA.
2.
Colate lente-colamenti. L’analisi di alcuni dati di letteratura riferiti a casi riscontrati
nell’Appennino Centro-Meridionale (Fig.1), lasciano supporre che tali fenomeni avvengano con
velocità comprese tra 16 mm/anno e 1.8 m/h e, quindi, siano collocabili nella classe di intensità
MEDIA.
3.
Scorrimenti rotazionali e traslativi. Anche in questo caso, gli esempi di scorrimenti
rotazionali e traslativi studiati si collocano prevalentemente nella classe d’intensità MEDIA.
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Fanno eccezione i due casi di Senise e Colledimezzo, che vengono descritti come casi di
neoformazione e che, quindi, esulano dai casi richiesti dal D.L. 180/98.
4.
Tutte le tipologie di frana classificate con stato di attività “inattivo” possono presentare al
massimo locali movimenti di assestamento con velocità estremamente lenta.
5.
Deformazioni gravitative profonde di versante, espansioni laterali e concavità
morfologiche in creep. Sono fenomeni classificabili da estremamente lenti a lenti e, quindi, si
inseriscono nella classe d’intensità BASSA.
Per la valutazione delle velocità delle colate lente-colamenti sono stati analizzati alcuni casi
riportati in letteratura e avvenuti nell’Appennino Centro-Meridionale (Tab. 6 e FIG. 1). Per due
di essi (Bisaccia e Castelfranci) sono note le velocità massime annuali, per la frana di Calitri,
riattivata in seguito al sisma del 1980, si conosce la velocità massima oraria, mentre per le
rimanenti si conoscono le velocità massime mensili. Nel primo caso (velocità riferita all’anno), i
valori di velocità rientrano nella classe 2 di Cruden e Varnes (1994); nel caso di Calitri (m/h) si
colloca nella classe 4, mentre le velocità massime mensili rientrano nella classe 3. In riferimento,
invece, alla classifica semplificata, tutti i valori di velocità massime appartengono alla classe
d’intensità MEDIA.
Allo stesso modo, sono stadi studiati anche i casi di scorrimento rotazionale e traslativo
avvenuti, ad eccezione della frana di Senise, in formazioni strutturalmente complesse
dell’Appennino Centro-Meridionale. I movimenti analizzati comprendono le fasi parossistiche
del fenomeno o le riattivazioni dello stesso, anche per sisma. Soltanto in quest’ultimo caso
(Andretta e Torella) e per gli eventi di neo-formazione (Senise, Colledimezzo e S. Barbara) si
riscontrano velocità moderate o rapide, con spostamenti significativi avvenuti in un intervallo
temporale di qualche ora o qualche giorno. Nei casi di riattivazioni post-parossistiche, invece, le
velocità rientrano nella classe 2 di Cruden e Varnes (1994) e gli spostamenti diventano
considerevoli in un intervallo temporale di qualche mese o anno. Se si escludono i casi di neoformazione, che esulano dai casi richiesti dal D.L. 180/98, tutti gli eventi di tratti dalla letteratura
ricadono nella classe d’intensità MEDIA.
Per le D.P.G.P. sono stati analizzati i risultati del monitoraggio di Rosone, che risultano
coerenti con l’inserimento di tali tipologie nella classe di intensità BASSA.
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In generale i dati ricavati dalle analisi dirette della bibliografia disponibile analizzata non sono
in contrasto con quanto normalmente riportato in studi precedenti riguardanti le valutazioni
sull’intensità dei fenomeni franosi.
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4 – Tessuto urbano e danni segnalati
4.1 – Insediamenti urbani e infrastrutturali
Al fine della individuazione degli elementi urbani e infrastrutturali si sono censite tutte le aree
nelle quali sono presenti insediamenti antropici, infrastrutture, beni di rilevanza storica,
architettonica e culturale.
Il censimento e’ stato effettuato attraverso lo studio di documenti di base opportunamente
integrati opportuni approfondimenti e rilievi.
In particolare si e’ proceduto a :
• lettura ed elaborazione sintetica dei P.R.G. e dei P.d.F. disponibili dei comuni ricadenti sul
territorio dell’Autorità;
• lettura delle foto aree disponibili in varia scala ed in epoche recenti ;
Si e’ proceduto , altresì, a:
individuare gli agglomerati urbani: sono state perimetrate i nuclei urbani consolidati;
individuare le zone di espansione: sono state perimetrate le aree destinate a nuovi
insediamenti;
individuare i nuclei con edificazione diffusa: dalle lettura delle foto aree si e’ provveduto a
perimetrare tutte quelle aree nelle quali era visibilmente presente un nucleo diffusamente
urbanizzato che non era stato censito dai P.R.G. o dai P.d.F.;
individuare le aree su cui insistono gli insediamenti produttivi, gli impianti tecnologici di
rilievo, sono state perimetrate le aree destinate ad insediamenti produttivi
individuare le infrastrutture a rete e le vie di comunicazione di rilevanza strategica: , le vie
di comunicazione di rilevanza strategica sia carrabili che ferrate. Per quanto riguarda le vie di
comunicazione di rilevanza strategica sono state individuate le strade carrabili e quelle ferrate.
Per le strade carrabili sono state censite tre tipologie, vale a dire, le autostrade, le strade di
grande comunicazione, le strade di interesse regionale, sono stati tralasciati i tronchi, anche
asfaltati, di interesse locale, individuare le aree di servizi pubblici e privati;
individuare i vincoli a cui sono sottoposte aree e beni nel territorio dell’Autorità e
soprattuto quelle perimetrate all'interno del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
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L’insieme degli elementi censiti e’ stato elaborato su cartografia, in scala 1:25.000,
dell’I.G.M. e riportato, al momento, su carta d’insieme in scala 1:70.000 circa.
La Carta degli elementi urbani e delle infrastrutture e’ costruita come una semplice carta di
rilievo, su cui e’ riportata la relativa legenda che fa essenzialmente riferimento agli elementi
indicati nel D.L. 180/98:
1. Autostrade, cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione,
dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000;
2. Strade di grande comunicazione cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di
nuova costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000;
3. Strade di interesse regionale cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova
costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000;
4. Ferrovie cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione,
dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000;
5. Zone A - B dei P.R.G. e dei P.d.F. (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone A sono gli
agglomerati urbani che rivestono carattere storico, le zone B sono le aree di completamento nelle
quali preesiste una diffusa edificazione);
6. Zone C dei P.R.G. e dei P.d.F. (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone C sono le zone di
espansione che sono destinate a nuovi insediamenti in aree prive di struttura urbana e nelle quali
la densità edilizia preesistente e’ ancora modesta);
7. Zone D esistenti e di progetto dei P.R.G. e dei P.d.F. . (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968
le zone D sono le parti del territorio destinate ad insediamenti per impianti produttivi ed ad essi
assimilati);
8. Zone F dei P.R.G. e dei P.d.F (dal D.I. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone F sono le parti del
territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale);
9. Cimiteri individuati dalla topografia di base;
10.Grandi parchi urbani esistenti e di progetto individuati nei P.R.G. e nei P.d.F.;
11.Zone turistiche individuate nei P.R.G. e nei P.d.F.;
12.Cave , discariche e depuratori censiti dai P.R.G. e dai P.d.F.;
13.Vincoli della Legge 1089/39 censiti dai P.R.G. e dai P.d.F.;
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La difficoltà del compito, il numero elevato di oggetti da censire, la limitata disponibilità di
tempo e, in alcuni casi la mancata collaborazione degli Enti individuati come detentori di
informazioni necessarie per l’individuazione degli elementi esposti al rischio, ha fatto sì che la
carta di sintesi degli elementi urbani e delle infrastrutture non sia omogenea su tutto il territorio
dell’Autorità di Bacino, dovendo piuttosto intendersi come una base di partenza che può essere
sistematicamente aggiornata in funzione delle conoscenze acquisite..
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4.2 – Danni segnalati
Al fine di acquisire elementi sui danni prodotti dai movimenti franosi si sono utilizzate le
seguenti fonti:
-
Le schede inviate a tutti i comuni e gli enti locali ricadenti nel territorio del
bacino dall'Autorità di Bacino ai sensi del D.L.180/98 e facenti parte della Proposta di Piano
degli interventi della stessa Autorità
-
Le segnalazioni e le relative verifiche di pericolo incombente in possesso del
Dipartimento di Protezione Civile.
-
Gli elenchi della Unita di Crisi di cui all'Ordinanza 2499/97
-
Le schede dei sopralluoghi effettuati dal CTS di cui all'Ord. 2499/97
Le segnalazioni, sono state cartografate su basi topografiche I.G.M. in scala 1:25000
I danni segnalati dai Comuni sono stati confrontati con la "Carta degli insediamenti urbani e
delle infrastrutture” (redatta con la metodologia discussa nel precedente capitolo), individuando,
in prima approssimazione, i beni esposti a rischio così come definiti dal D.L. 180/98, per la
individuazione delle aree a rischio molto elevato R4 nelle aree interessate da frane a media
intensità.
Si deve, a tal riguardo sottolineare che nonostante la parziale e disomogenea disponibilità dei
dati è stato definito, anche se in maniera non estesa e completa, un primo quadro conoscitivo dei
danni causati dalle frane.
Comunque tale attività, come già accennato nella relazione generale, dovrà proseguire in
funzione:
•
delle attività previste per il Piano stralcio delle aree in frana
•
delle azioni previste nel piano per la mitigazione del rischio idrogeologico.
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5 – La perimetrazione delle aree a rischio molto elevato (R4)
La cartografia tematica per la rappresentazione delle aree a rischio classificate R4 si è ottenuta
dalla intersezione delle aree individuate nella “Carta delle intensità dei fenomeni franosi” con i
danni segnalati dagli Enti.
In particolare si sono perimetrate come R4 le aree di insediamento urbano o di infrastrutture
importanti che ricadono nel perimetro dei fenomeni franosi classificati ad Intensità Alta nella
“Carta delle intensità dei fenomeni franosi”; nel caso di fenomeni di flusso rapido il perimetro
comprende non solo la zona di accumulo dell’evento franoso cartografato ma anche l’area di
invasione documentata da fenomeni di immediato riconoscimento morfologico, già avvenuti nel
passato molto recente. La restante area del perimetro di frana è stata classificata di Alta
Attenzione, comprensiva per le frane di flusso rapido anche della possibile zona di
alimentazione, situata a monte dei fenomeni, riconoscibile in base ad evidenze morfologiche.
Nel caso di incompleta conoscenza del tessuto urbano oggi esistente e della localizzazione
degli sviluppi previsti, per mancanza di informazioni, sono state perimetrate R4 le aree urbane
ed infrastrutture segnalate, nella cartografia IGM 1954, STR CAMPANIA 1984/1992 per un
raggio significativo. Nel perimetro di frane con velocità elevata, sono state indicate come zone
di Alta Attenzione le restanti aree che ricadono nel perimetro della stessa frana.
Nella restante parte di ciascun territorio comunale, le frane esterne alle aree urbanizzate e
classificate con “Intensità Alta” sono state segnalate come aree di Alta Attenzione.
In assenza di aggiornamento dei dati urbanistici e di programmazione urbanistica, le frane con
“intensità alta” sono state ugualmente segnalate nel territorio comunale come Aree di Alta
Attenzione.
Aree di Rischio molto elevato sono state perimetrate anche in corrispondenza di
insediamenti urbani ed infrastrutture importanti con danni persistenti e/o ingenti che ricadono
all’interno dei perimetri di frana con “Intensità Media”.
Sono state classificate “Aree di Attenzione” le porzioni di territorio che ricadono nel
perimetro di frana con “intensità media” in cui ricadono insediamenti urbani o infrastrutture o
beni ambientali di rilevante interesse.
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Non sono state riportate nella “Carta del Rischio” le frane con intensità media, che non
interagiscono con elementi riportati nel D.L. 180/98, le frane inattive, le Espansioni Laterali di
Pendio e le Aree soggette a fenomeni di Deformazione Gravitative Profonde di Versante e i
fenomeni di creep.
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