Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele
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Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele
Per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele PIANO STRAORDINARIO PER LA RIMOZIONE DELLE SITUAZIONI A RISCHIO PIÙ ALTO contenente “L’INDIVIDUAZIONE E LA PERIMETRAZIONE DELLE AREE A RISCHIO IDROGEOLOGICO MOLTO ELEVATO PER L’INCOLUMITÀ DELLE PERSONE E PER LA SICUREZZA DELLE INFRASTRUTTURE E DEL PATRIMONIO AMBIENTALE E CULTURALE” D.L. 11/06/98, n°180 convertito in legge 03/08/98, n°267 D.P.C.M. 29/09/98, D.L. 13/05/99, n°132 convertito in legge 13/07/99, n°226 Rischio di Frana RELAZIONE GENERALE II Fase IL RESPONSABILE E COORDINATORE SCIENTIFICO DEL SETTORE GEOLOGICO IL RESPONSABILE E COORDINATORE Geol. Domenico Guida Il Direttore del C.U.G.RI. Prof. Ing. Leonardo Cascini C.U.G.RI. - Salerno SCIENTIFICO DEL RISCHIO FRANE C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” INDICE 1. Premessa 1.1 L’Autorità di Bacino di Sinistra Sele: consistenza amministrativa e territoriale 1.2 Il contesto ambientale di riferimento : il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano 2. 1.3 Aspetti Geologici del territorio cilentano 1.4 Aspetti geomorfologici del territorio cilentano 1.5 Aspetti geomorfologici del territorio cilentano 1.6 Caratteristiche dei bacini idrografici cilentani Il rischio da frane 2.1 Generalità 2.1.1 Dati esistenti e disponibili 3. 4. 5. 2.2 Il D.L. 180/98, la L. 267/98, il D.P.C.M./98, la L. 226/99 2.3 Metodologia di lavoro Fenomeni franosi e massime intensità attese 3.1 Generalità 3.2 Classificazione dei fenomeni franosi 3.3 Ambiti morfologici 3.4 Stato di attività 3.5 3.4.1. Distribuzione territoriale delle frane e modelli geomorfologici della franosità Scenari delle massime intensità attese Tessuto urbano e danni segnalati 4.1 Insediamenti urbani e infrastrutturali 4.2 Danni segnalati La perimetrazione delle aree a rischio molto elevato (R4) Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 2 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 1. Premessa Il Decreto Legge n.180 del 11 giugno 1998, e successive modificazioni ed integrazioni, hanno tra le finalità, la salvaguardia della vita umana, del patrimonio strutturale e di quello ambientale nei confronti di alcuni rischi idrogeologici, tra i quali il rischio da frana. Al fine di agevolare il conseguimento degli scopi prefissati il DL 180/98 è integrato da "Atti di indirizzo e coordinamento" contenuti nel D.P.C.M. 29/9/98 (G.U. n. 3 del 5/1/99), nei quali si delineano i criteri da seguire e le attività che possono concorrere alla individuazione delle soluzioni più adeguate nel rispetto di tempi particolarmente ristretti. Si osserva, a tale riguardo, che la consapevolezza del legislatore circa la complessità delle azioni da porre in essere traspare dai rinvii concessi per i necessari adempimenti inizialmente fissati prima per il 30/06/99 e successivamente prorogati fino al 30/10/99. La disponibilità di proroghe, sicuramente indispensabili, non ha in ogni caso semplificato il compito dell’ Ente competente per una molteplicità di motivi quali: le difficoltà connesse con la definizione del rischio per il quale non si dispone di procedure opportunamente testate e/o universalmente adottate; la estensione del territorio da investigare (circa 1800 kmq); la scarsa sensibilità delle Amministrazioni Locali che avrebbero dovuto fornire tutti gli elementi utili per il conseguimento degli obiettivi; la necessità di integrarsi con le attività per gli adempimenti della legge 183/89, per la quale l’Autorità di Bacino deve ancora avviare indagini e studi sistematici. Per ottemperare alle diverse esigenze si è dovuto, quindi, compiere uno sforzo organizzativo e conoscitivo rilevante che, in ogni caso, è apparso doveroso per il fine lodevole del dettato legislativo. Le numerose azioni condotte, sempre con lo spirito di privilegiare l’acquisizione ottimizzata del dato di base, sono descritte nella presente relazione. In particolare si illustrano le metodologie utilizzate sia per la redazione dei singoli tematismi che per la definizione e la perimetrazione delle aree a rischio elevato, con qualche accenno alle azioni da intraprendere per le misure di salvaguardia e la mitigazione Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 3 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” del rischio, per le quali si rimanda alle relazioni appositamente redatte data la rilevanza dei temi. 1.1 L’Autorità di Bacino Sinistra Sele: consistenza amministrativa e territoriale Il Consiglio Regionale della Campania, avvalendosi della Legge Quadro sulla Difesa del Suolo (L. 183/89) e della facoltà che deriva dall’apposita norma statutaria di cui all’art.69, con Legge Regionale 7 febbraio 1994, n.8 ha istituito le seguenti Autorità di Bacino Regionale (art. 3): - Autorità di Bacino Nord-Occidentale - Autorità di Bacino del Sarno - Autorità di Bacino Destra Sele - Autorità di Bacino Sinistra Sele In particolare quest’ ultima Autorità è preposta al governo dei seguenti bacini idrografici Minori Costieri in sinistra Sele, Alento, Fiumarella, Lambro, Mingardo, Bussento, Minori Costieri del Cilento. Nell’ambito di tali bacini l’Autorità è chiamata a perseguire l’unitario e razionale governo del territorio, in conformità agli obiettivi prefissati dalla legge n. 183/89, con il compito di indirizzare, coordinare e controllare le attività conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione. La perimetrazione del territorio nella quale si esplica l’azione dell’Autorità di bacino è fornita nella Carta degli Insediamenti e del Patrimonio Ambientale, in scala 1:70.000, contenente contestualmente anche quella del Parco e dei Comuni interessati. Le tabelle delle pagine seguenti forniscono un quadro sintetico dei Comuni di interesse con indicazioni delle relative superfici e dei sottobacini (fonte Autorità di Bacino Sinistra Sele). Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 4 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” COMUNE Sup. Comune (Kmq) Popolazione Bacino Sottobacino Zona altimetrica Agropoli Alfano 32.61 4.61 18.423 1.695 Testene Mingardo Costiero Montano Interno Ascea Camerota Cannalonga 37.63 70.18 17.68 5.186 7.546 1.242 Fiumarella Mingardo Alento Testene Fiume di Prune E Fosso Faraone Fiumarella Torrente Isca Palistro Capaccio 111.56 20271 Solofrone Torrente Capodifiume Casalvelino Casalletto Spartano 31.79 40.17 4498 1.952 Alento Bussento Caselle in Pittari 44.62 2.402 Bussento Castellabate Castelnuovo Cilento 37.01 18.50 8.114 2.479 Minori costieri Alento Celle di Bulgheria 31.54 2.2240 Mingardo Vallone Grande Centola 47.50 4.952 Mingardo Mingardo Ceraso 45.98 3.117 Alento Palistro Cicerale 41.12 1.876 Alento Cuccaro Vetere 17.54 694 Lambro Futani 14.88 1.648 Lambro Vallone Corbella La Fiumarella, Vallone della Bruca Lambro Gioi Cilento 28.05 1.941 Alento Giungano 11.57 1.249 Solofrone Ispani 8.3 1.055 Laureana Cilento 13.69 1.112 Minori Costieri Testene Laurito 19.93 1.173 Mingardo Fiumara della Selva Vallone Tramonti, Vallone Savarello Torrente del Castellaro Torrente Dell’Acquarone Mingardo Lustra 15.10 1.264 Alento Costa Moio delta Civitella 16.94 1.795 Alento Badolato Montano Antilia 33.40 2.763 Mingardo Serapotimo Montecorice 22.13 2.529 Torrente Roviscelli Alento Rio di Casaletto Torna e Badolato Testene 724 Minori costieri Alento Morigerati 22.01 21.53 877 Bussento Novi Velia 34.64 2.213 Alento Ogliastro Cilento 13.22 2.402 Minori costieri Monteforte Cilento Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Il Fiumarella, Fosso Fiume, Fosso Capodifiume, Fosso Leonora Fiumicello Rio di Casaletto, Rio Del Gerdenaso Vallone del Persico Torrente Rio Dell’Arena Costiero Costiero Montano Interno Costiero Montano Costiero Montano Interno Montano Interno Montano Collinare Montano Interno Montano Interno Costiero Collinare Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Costiero Montano Montano Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Costiero Montano Interno Montano Interno Montano Interno Costiero Collinare Relazione generale rischio di frane 6 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Omignano 10.17 1.604 Alento La Fiumara Orria 26.34 1.583 Alento Perdifumo Perito 23.67 23.86 2.015 1.301 Minori costieri Alento Vallone di Orria Fiumara Della Serra Rio dell’Arena 976 Minori Costieri Minori Costieri Alento Vallone di Orria Torrente Fiumicello Torrente lantoli E Mortella Il Fiumicello 42.23 2.127 Mingardo Vallone Grande Cuccaro Vetere 17.54 694 Lambro Futani 14.88 1.648 Lambro Gioi Cilento 28.05 1.941 Alento Giungano 11.57 1.249 Solofrone Ispani 8.3 1.055 Laureana Cilento 13.69 1.112 Minori Costieri Testene Laurito 19.93 1.173 Mingardo Fiumara della Selva Vallone Tramonti, Vallone Savarello Torrente del Castellaro Torrente Dell’Acquarone Mingardo Lustra 15.10 1.264 Alento Costa Magliano Vet. (fraz. Capizzo) Moio delta Civitella 16.94 1.795 Alento Badolato Montano Antilia 33.40 2.763 Mingardo Serapotimo Montecorice 22.13 2.529 Torrente Roviscelli Alento Rio di Casaletto Torna e Badolato Testene Pisciotta 30.73 3.539 Pollica 27.89 3.077 Prignano Cilento 11.94 Roccagloriosa 724 Minori costieri Alento Morigerati 22.01 21.53 877 Bussento Novi Velia 34.64 2.213 Alento Ogliastro Cilento 13.22 2.402 Omignano 10.17 1.604 Minori Costieri Alento Orria 26.34 1.583 Alento Perdifumo Perito 23.67 23.86 2.015 1.301 Minori costieri Alento Monteforte Cilento Pisciotta 30.73 3.539 Pollica 27.89 3.077 Prignano Cilento 11.94 976 Minori Costieri Minori Costieri Alento Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Corbella La Fiumarella, Vallone della Bruca Lambro La Fiumara Vallone di Orria Fiumara Della Serra Rio dell’Arena Vallone di Orria Torrente Fiumicello Torrente lantoli E Mortella Il Fiumicello Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Costiero Costiero Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Costiero Montano Montano Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Costiero Montano Interno Montano Interno Montano Interno Costiero Collinare Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Costiero Costiero Montano Relazione generale rischio di frane 7 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Roccagloriosa 42.23 2.127 Mingardo Vallone Grande Rofrano 58.85 2.446 Mingardo Rutino 9.64 1.024 Alento Fiume di Pruno, Fosso Faraone Torrente Costa S. Giovanni A Piro 37.77 4.404 Minori Costieri S. Manna S. Mauro Cilento 28.23 15.12 3.365 1.211 S. Mauro La Bruca Salento 18.93 23.77 1.022 2.223 Alento Minori Costieri Lambro Alento Sanza 127.11 3.260 Bussento Sapri 13.99 7.378 Serramezzana 7.20 471 Sessa Cilento Stella Cilento Stio ( fraz. Gorga) Torchiara 16.03 14.38 1.720 1.084 Minori Costieri Minori Costieri Alento Alento 8.31 1.364 Testene Torraca 15.69 1.182 Torre Orsaia 23.75 2.856 Minori Costieri Bussento Tortorella 44.69 842 Bussento Trentinara 23.38 1.792 Solofrone Vallo della Lucania 25.09 8.142 Alento Vibonati 20.34 3.092 Minori Costieri TOTALE SUP. BACINO TOTALE ABITANTI 1.672 Torrente Diamonte Fortella Alento Torrente Lavis Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Costiero e Costiero Collinare Montano Fiumarello Fiumara della Selva Vallone del Persico Rio Cacafava Costiero Rio Lavis Montano Interno La Fiumara Fiumara Montano Interno Montano Interno Vallone dell’Acquarona Torrente Cacafava T. Vallonara e T. Violi Rio del Gerdenaso Vallone Tremonti Badolato Montano Interno Rio Cacafava Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno Montano Interno 174.333 Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 8 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” II territorio si sviluppa sul lato NW, nell’ambito del Comune di Capaccio in corrispondenza della sponda sinistra del Fiume Capodifiume. Sul lato N-NE, confina con l’Autorità di Bacino Interregionale "Sele", seguendo una linea ideale che unisce gli spartiacque morfologici costituiti dai seguenti rilievi montuosi: Monte Soprano (1083 in), Monte Chianello (1314 in), Monte Falascoso (1494 m), Monte Cervati (1899 m), Monte Forcella (1192 in), Monte Juncolo (1221 m) e Serralunga (1405 m). Sul lato sud, confina con l’Appennino Lucano che rappresenta la demarcazione tra le provincie di Salerno e di Potenza. Il lato Ovest è rappresentato dalla fascia costiera, compresa tra il tratto sud del Golfo di Salerno, comprendente il Litorale di Paestum-Capaccio, il Litorale del F.Alento e quello di Policastro, sino al tratto sud del litorale di Sapri, al confine con la Regione Basilicata. I punti estremi, sono rappresentati da “Punta degli Infreschi”, “Capo Palinuro” e “Punta Licosa”. Sotto il profilo amministrativo il Bacino in sinistra del fiume Sele, comprende cinquantanove Comuni della Provincia di Salerno. Ricadono nel Bacino sei Comunità Montane, e precisamente: COMUNITÀ MONTANA COMUNI (N°) ELENCO DEI COMUNI SUP. COMUNITÀ MONTANA (Kmq) ABITANTI AL 1996 CALORE SALERNITANO 4 CAPACCIO, GIUNGANO, MONTEFORTE C.,STIO, MAGLIANO VETERE TRENTINARA CICERALE, LAUREANA, LUSTRA, MONTECORICE, OGLIASTRO, OMIGNANO, PERDIFUMO, POLLICA, PRIGNANO, RUTINO, S. MAURO C., SESSA C., STELLA C, SERRAMEZZANA, CASTELLABATE, CASALVELINO, TORCHIARA CANNALONGA, CERASO, GIOI, MOIO DELLA CIVITELLA NOVI VELIA, ORRIA PERITO, VALLO DELLA LUCANIA ALFANO, ASCEA, CAMEROTA, CELLE DI BULGHERIA, LAURITO, MONTANO ANTILIA, CENTOLA, CUCCARO VETERE, FUTANI, PISCIOTTA, ROCCAGLORIOSA, ROFRANO, S. GIOVANNI A PIRO, S MAURO LA BRUCA CASALETTO SPARTANO CASELLE IN PITTARI, ISPANI, MORIGERATI, SANTA MARINA, SAPRI, TORRACA, TORRE ORSAIA, TORTORELLA VIBONATI. SANZA 168.54 24.03 6 320.68 36.141 218.52 21.334 465.73 41.425 296.31 25.001 127.11 3.260 17 ALENTO STELLA MONTE 8 GELBISON CERVATI 14 LAMBRO MINGARDO E 10 BUSSENTO VALLO DI DIANO Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 10 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” TOTALI 53 1496.76 147.938 ed i seguenti Consorzi di Bonifica: - Consorzio di Bonifica Sinistra Sele, relativamente alle aree poste in sinistra orografica del fiume Sele. - Consorzio di Bonifica Velia, relativamente alle zone meridionali cilentane: CONSORZIO BONIFICA COMUNI (N°) ELENCO DEI COMUNI SINISTRA SELE 4 VELIA 24 AGROPOLI, CAPACCIO, GIUNGANO, TRENTINARA ASCEA, SUP. CONSORZIO (Kmq) 148.40 ABITANTI AL 1996 41.735 444.87 52.045 CANNALONGA, CASALVELINO, CASTELNUOVO CERASO, C., CICERALE, CUCCARO VETERE, GIOI, LUSTRA, MOIO DELLA CIVITELLA, MONTEFORTE C., NOVI VELIA, OGLIASTRO C., OMIGNANO, ORRIA, PERITO, PRIGNANO C., RUTINO, SALENTO, SESSA C., STELLA C., TORCHIARA, TRENTINARA, VALLO DELLA LUCANIA Per quanto concerne le tematiche ambientali, nel comprensorio anzidetto molte sono le aree interessate dal vincolo idrogeologico, di cui al R.D. 3267/23 ed alla L.R. n.11/96. In detto comprensorio opera l’Ente Parco Nazionale del Cilento, istituito con Legge n.394/91, così come definito nel successivo paragrafo 1.2 Il contesto ambientale : il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano Il Parco Nazionale del Cilento è situato nella porzione meridionale della Provincia di Salerno, al confine tra la Regione Campania e la regione Basilicata ed al suo interno ricade gran parte del territorio dell'Autorità di bacino. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 11 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Da un punto di vista fisiografico il Parco è costituito da un ambiente costiero, montano e vallivo, e si estende su una superficie totale di 180.000 ettari entro limiti geografici ben determinati dal Mare Tirreno e dalla rete idrografica del Sele-Tanagro. Il tratto del Mar Tirreno compreso tra il Golfo di Salerno e il Golfo di Policastro lo contorna da Ovest a Sud, il corso del fiume Sele lo limita a Nord e l'ampia depressione del Vallo di Diano, attraversato dal Fiume Tanagro affluente del Sele, lo chiude a Est. Per le sue particolari caratteristiche geomorfologiche e microclimatiche il Parco è sede di siti di eccezionale interesse dal punto di vista fisico e vegetazionale. La morfologia è caratterizzata da rilievi montuosi degradanti verso il mare, dove la costa è formata da una successione di falesie, spiagge, insenature e promontori interessati da fenomeni carsici e ricchi di grotte marine e sorgenti d'acqua dolce. Essa è frutto dello scontro delle zolle tettoniche, attraverso il quale l'orientamento generale del massiccio appenninico, caratterizzato da un andamento Nord-Ovest/Sud-Est, si combina a fenomeni orogenetici contrastanti e dà luogo a rilievi irregolari di diversa litologia, separati da vallate trasversali e longitudinali. I massicci della parte orientale sono formati da calcari, calcari dolomitici e dolomie stratificate. Essi raggiungono le altitudini più elevate in corrispondenza dei Monti Alburni (1742 m), il Monte Cocuzzo (1411 m) il Monte Motola (1700) e il Monte Cervati (1898 m) che a Ovest del Vallo di Diano racchiudono la costa formando un grande arco. I versanti presentano lunghe incisioni percorse da corsi d'acqua a carattere sporadico. I fenomeni erosivi e carsici, le doline, gli inghiottitoi, le grotte e le sorgenti caratterizzano il paesaggio, costituito da falsi piani, tavolati, forre dalle pareti scoscese, strette e profonde valli a V come quelle del Fiume Calore e del suo affluente Sammaro. I rilievi della parte occidentale, con l'eccezione del Monte Bulgheria, anch'esso di natura calcarea, sono costituiti da successioni stratificate di rocce sedimentarie di differenti origini: argille, quarzoareniti, arenarie, marne e conglomerati, che formano il cosiddetto “Flysch del Cilento” Auctorom. Il massiccio più elevato è il Monte Sacro o Gelbison (1702 m) dalla geomorfologia meno aspra dei rilievi calcarei, ma non meno articolata. Tra il Gelbison e la costa, i massicci sono meno elevati, ma le caratteristiche geomorfologiche e Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 12 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” litologiche sono le stesse del Monte Stella (1131 m), separato dal Gelbison dalla rete idrografica del fiume Alento. A causa delle particolari condizioni geomorfologiche, della posizione geografica e del clima il Parco è caratterizzato da una ricchezza eccezionale di habitat e di vegetazione. A questa varietà di ambienti naturali è associato un elevato grado di diversità biologica, provato dalla esistenza di circa 3200 - 3500 specie vegetali superiori non coltivate. Procedendo dal basso verso l’alto è possibile distinguere le seguenti fasce di vegetazione: - fascia mediterraneo-arida: zona costiera con boschi litoranei spontanei di pino d'Aleppo (Pinus halepensis); garighe ad ampelodesma (Ampelodesmos mauritanicus) sulla costa e a cisto (Cistus monspeliensis) sulle colline a ridosso della costa; vegetazione erbacea dei pascoli aridi (Thero-Brachypodietea); macchie presenti sia in questa fascia che in quella mediterranea, olivo spontaneo (Olea europaea var. sylvestris), carrubo (Ceratonia siliqua), ginepro fenicio (Juniperus phoenicia); macchia ad euforbia arborea (Euphorbia dendroides); - fascia mediterranea: valli interne e altitudini fino a 600 con boschi di leccio (Quercus ilex) su calcare governati a ceduo fino ai tempi recenti che conservano una ricca varietà di specie come Asplenium onopteris, Rubia peregrina, Asparagus acutifolius, Viburnum tinus; macchia di leccio che dalla zona litoranea si spinge all'interno fino a 800 m; macchia bassa e costiera con specie presenti sia in questa fascia che in quella mediterraneo-arida; - fascia appenninica (sannitica lucana):tra i 400 m e i 1000 m boschi di cerro (Quercus cerris) con esemplari di 25 - 30 m e altre caducifoglie a alto fusto (Acer obtusatum, Alnus cordata, Ostryia carpinifolia); boschi cedui di querce (Quercus cerris e Quercus pubescens), aceri e carpini (Carpinus orientalis e Carpinus betulus); castagneti diffusi nel Parco interno per l'azione antropica; boscaglie di ontano napoletano (Alnus cordata) che hanno sostituito i popolamenti di latifoglio la cui estensione originaria è stata ridotta dall'intervento umano; nei pendii rocciosi calcarei soggetti a pascolo tra i 700 e i 900m garighe a Euphorbia spinosa; oltre i 900 m garighe a Lavandula angustifolia; sui terreni calcarei di pascolo molto sfruttati Asphodelus albus o Asphodeline lutea; elevato numero di specie dei pascoli aridi (Thero-Brachypodietea); Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 13 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” - fascia subatlantica: a quote comprese tra i 1000 e i 1800 m nei Monti Alburni, Monte Cervati, Monte Motola e Monte Gelbison, boschi di faggio (Fagus sylvatica) in fustaie di notevole altezza, in cui il faggio è specie quasi esclusiva. Nel sottobosco è a volte presente Ilex aquifolium; - fascia mediterranea altomontana: al di sopra del limite superiore della faggeta, sulle porzioni più elevate dei versanti calcarei rocciosi e sui pianori carsici sommitali, si sviluppano le praterie d'altitudine a Sesleria tenuifolia i cui aspetti più estesi si trovano nel Monte Cervati. Alla vegetazione ripartita in fasce climatico-zonali si aggiungono specie insediate in habitat di particolari condizioni ecologiche o di suolo, dipendenti quindi da fattori azonali. Numerose sono le specie endemiche ospitate dal Parco, quali la Primula Palinuri, estesa su circa 50 km di costa da Palinuro a Marina di Camerota sino a 400 m di altitudine. Tra gli habitat naturali figurano numerosi siti definiti di interesse generale e prioritario dalla direttiva dell’Unione Europea 92/43 del Consiglio del 21/5/92, relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi naturali e della flora e della fauna selvatiche. Tale ricchezza e diversità vegetazionale non è attribuibile ai soli fattori naturali poiché l'azione umana ha interagito dalle epoche più lontane con il quadro naturale condizionandone costantemente le caratteristiche. Le forme tradizionali di utilizzo del territorio hanno nel tempo realizzato il paesaggio del parco e sostenuto la diversità biologica. L'ambiente fisico - con la sua collocazione geografica, i condizionamenti topografici e climatici, le opportunità offerte dalle varietà di paesaggi e le caratteristiche dei suoli e delle rocce - ha a sua volta offerto il quadro entro cui la vicenda umana ha trovato ricovero, sostentamento e linfa vitale per l'alimentazione materiale e spirituale. Dai ripari sotto roccia frequentati nel Paleolitico, agli insediamenti neolitici, ai commerci carovanieri e le navigazioni dell'Età dei Metalli fino alle somme realizzazioni urbane di Paestum e Velia del mondo greco e lucano, il Parco del Cilento conserva le tracce di una utilizzazione della terra che ha intessuto una relazione di forte carica culturale e spirituale con la natura. Come le specie naturali e gli ambienti geografici così le genti hanno trovato in questi luoghi il punto di contatto, la contaminazione e la fusione. Il Cilento ha realizzato nei secoli e nei millenni l'incontro di popoli e civiltà Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 14 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” diverse. La sua biodiversità è inscindibile dalla diversità paesistica e culturale. Riunificati dalla trama dei percorsi il mare, le grotte, i crinali, le fonti, i pendii, le vette, le valli sono diventati nel corso del tempo l’espressione strutturale di un progetto umano. Essi, pure in forme diverse, continuamente ricorrono nei vari momenti storici e vengono riutilizzati nella economia, ridisegnati con l'agricoltura, arricchiti dall'arte e l'architettura, assunti nella concezione mitica, metafisica e culturale. In epoca medievale l'arcaico sistema dei percorsi di crinale del Cilento messo ai margini dalle vie di penetrazione romana ha una nuova rivitalizzazione e si corona di una trama di paesi, insediamenti, chiese e santuari sviluppati secondo precise regole e motivazioni che sincretizzano e rinnovano le antiche tradizioni. Fino all'epoca moderna il Cilento continua ad arricchire il suo territorio, configurandosi come un complesso e stratificato paesaggio evolutivo. Ma, come gran parte dei paesaggi europei, esso ha subito nel corso di questo secolo, e particolarmente negli ultimi decenni, cambiamenti molto più rapidi e devastanti di quelli dei secoli precedenti. In relazione ai mutamenti strutturali della società e dell’economia contemporanea si è avviata una fase convulsa di transizione, che presenta sindromi diversificate ed aspetti profondamente contradditori. E’ in questo quadro complesso e dinamico che si situano i principali problemi che la gestione del territorio ricadentecontemporaneamente nel Parco e nell'Autorità di Bacino Sinistra Sele deve affrontare, primo fra tutti quello "strutturale" della convivenza con la dinamica idrogeomorfologica, vista contemporaneamente come risorsa e come rischio. 1.3 Aspetti Geologici del territorio cilentano Dal punto di vista geografico fisico, il Cilento costituisce una entità territoriale ben definita e delimitata, corrispondente al promontorio, tozzamente quadrangolare e prevalentemente montuoso e collinare, compreso fra la Piana del Sele, a NW, il Vallo di Diano e la Valle del Tanagro a Nord e NE, il Golfo di Policastro a Sud e la fascia costiera tirrenica ad Ovest. L’intero Cilento, come sopra definito, è stato denominato “Provincia Morfostrutturale” come subunità della più vasta Regione Geotettonica Campano-lucana. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 15 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Le diverse Unità Litostratigrafiche affioranti possono essere così sintetizzate - Unità Sicilidi, ovvero ad “Affinità Sicilide” - Unità Nord Calabresi - Unità Alburno-Cervati - Unità Bulgheria e Sub-Unità di Roccagloriosa - Unità Neogeniche Le recenti acquisizioni di geologia regionale evidenziano che l’assetto strutturale attuale di queste unità è stato acquisito prevalentemente a seguito di fasi compressive e traslative avvenute tra il Tortoniano Superiore ed il Pleistocene Inferiore, secondo uno stile tettonico che, per questo settore dell’Appennino Meridionale, viene riferito ad un sistema tipo “duplex”, dove le falde di origine interna si sono accavallate come “roof thrusts” sul margine esterno dell’avampaese apulo-garganico, scavalcando unità strutturali ancora più esterne disposte in forma di embrici (“ horses”) sepolti. In particolare, nel Cilento si riconosce la sovrapposizione delle Unità Sicilidi e Nord Calabresi sulle Unità Alburno Cervati e Bulgheria e la suturazione delle superfici di accavallamento da parte delle Unità Neogeniche. Uno dei più evidenti elementi strutturali del Cilento è l’allineamento tettonico che va da Paestum a Sapri e che ribassa a gradinata verso il Tirreno le strutture carbonatiche affioranti a NE di alcune migliaia di metri, separando nettamente in due settori fisiografici l’intera “ Provincia”. Sulle unità tettoniche così strutturate poggiano in maniera discontinua e discordanti depositi quaternari clastici e/o vulcanici da caduta risedimentati in diversi ambienti di tipo fluviali, lacustre o fluvio-lacustre, come per esempio al Vallo di Diano ed alla Valle del Tanagro, nell’ambito di depressioni strutturali parallele al fronte compressivo legate a “rifting” di retroarco. Le grandi depressioni morfotettoniche, come il basso strutturale della Piana del Sele-Golfo di Salerno e più a Sud, del Golfo di Policastro, colmate da sedimenti fluvio-marini ed orientate obliquamente ed ortogonalmente al fronte compressivo, sembrano essersi attivate successivamente a causa di regimi tettonici distensivi e/o trascorrenti, così come i bacini lacustri del M.te Bulgheria. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 16 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” In tale contesto, il Cilento costituisce un segmento di catena appenninica morfotettonicamente isolato rispetto alla zona assiale attraverso i “corridoi” della valle del Tanagro a Nord, del Vallo di Diano ad Est e della linea Sapri-Rivello a SE. Lungo la fascia tirrenica, il Cilento geologico non è limitato dalla linea di costa, ma dal margine della piattaforma continentale e dalla sottostante scarpata impostatasi lungo le grandi faglie bordiere che accompagnano il progressivo ampliamento della piana batiale “oceanica” del Mar Tirreno. In riferimento al quadro geologico cilentano sopra esposto, nella zona interessata , affiorano terreni che possono essere riferiti alle quattro successioni litostratigrafiche principali e che sono rappresentati sulla Tavola I : Carta Geologica del Territorio della Comunità Montana del Lambro e del Mingardo, che può rappresentare un “prototipo” inedito di elaborato geologico da estendere all’intero territorio dell’Autorità di bacino Sinistra Sele: - Successioni fliscioidi “cilentane” s.l., appartenenti al Gruppo delle Unità Interne - Successioni carbonatico-pelitiche dell’Unità del M.te Bulgheria - Successioni carbonatico-pelitiche della Sub-unità di Roccagloriosa - Successioni carbonatiche della Unità Alburno Cervati - Depositi della copertura quaternaria Per una più dettagliata conoscenza dei caratteri litologici e stratigrafici di queste successioni, qui di seguito ne vengono riportati gli elementi essenziali e significativi. - Successioni flyscioidi “cilentane”, appartenenti al Gruppo delle Unità Interne. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 17 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Le successioni fliscioidi di natura pelitica e subordinatamente calcareo-silicoclastica, (descritte in letteratura con le denominazioni di Unità del Flysch del Cilento, Complesso Liguride e Sicilide, Unità del Cilento ed Unità Sicilide - AMORE et Alii 1988 -) sono stati oggetto di numerosi studi e ricerche scientifiche anche recenti. I primi autori che studiarono questi terreni li interpretarono come autoctoni cioè sedimentati in continuità sulle successioni carbonatiche sottostanti, nel 1962 SELLI in un lavoro di sintesi regionale diede a queste successioni un’interpretazione alloctona, proponendo l’Appennino Meridionale come una “Catena a Coltri di Ricoprimento”. L’autore studiò le successioni in due aree tipo; il Cilento ed il Confine Calabro lucano definendo per entrambe l’assetto stratigrafico. Nel 1969 OGNIBEN propose una correlazione tra le due successioni e le accorpò in un unico “Complesso Liguride” formatosi in un bacino eugeosinclinale individuatosi tra la Piattaforma campano-lucanapanormide ed un massiccio calabride, la cui successione era formata dal basso in alto da una serie basale ofiolitica, di età compresa tra il Giura medio-superiore ed il Cretacico inferiore (Calcari di Mezzana, Pillow lavas, diaspri e calcari marnosi, calcari a Calpionelle), a cui seguiva la formazione del Frido e delle Crete Nere, che per similitudine litologica (1000 m. di argilloscisti ofiolitiferi a cui seguivano 400 m. di argilliti siltose fogliettate nero-bluastre) e cronostratigrafica (età Neocomiano-Albiano), era ritenuta equivalente e, pertanto correlabile, alla fomazione di Santa Venere in Cilento. A questa seguivano la Fomazione del Saraceno, potente 600 m. costituita da un’alternanza di calcareniti, calcari con liste e noduli di selce, argille scure o verdastre di età AlbianoDaniano, correlata alla Formazione di Pollica in Cilento. La formazione di Albidona, potente 2200-2300 m., descritta come un’alternanza di arenarie, peliti, marne bianche e calcari marnosi, discordante sulla precedente per fenomeni “intrageosinclinalici” di importanza locale, è datata Eocene medio e correlata alla Formazione di S. Mauro in Cilento. Una nuova organizzazione di tali Unità per quanto riguarda la litostratigrafia e le possibili correlazioni fra i vari settori dell’Appennino meridionale, viene proposta da Ietto et Alii, nel 1984, in questo lavoro la successione del Flysch del Cilento viene suddivisa in unità tettoniche sovrapposte tra loro : Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 18 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” -Unità Argillitica Inferiore, comprendente le Formazioni del Frido e delle Crete Nere ed -Unità Torbiditica superiore corrispondente alle formazioni di Pollica e di S. Mauro in cui la prima è considerata eteropica della seconda. Successivamente, BONARDI et Alii, nel 1988 (Fig. 9) propongono un nuovo modello delle successioni del Cilento e del Confine Calabro-lucano, nel quale venivano ringiovanite al Burdigaliano-Langhiano anche le Formazioni di Pollica e di S. Mauro. Gli Autori individuano dal basso: A) le Unità Liguridi s.s. comprendenti l’Unità del Frido e il Melange di Episcopia - S. Severino, B) l’Unità Nord-Calabrese, costituita dalle ofioliti e dalla formazione delle Crete Nere, e dalla Formazione del Saraceno. C) l’Unità dei “Terreni ad Affinità Silicide”, contemporanea alla precedente e ad essa eteropica. D) l’Unità o Gruppo del Cilento, comprendente le formazioni di Pollica, di Torrente Bruca, di S.Mauro, di Monte Sacro e di Albidona, considerato quest’ultimo, come un ciclo sedimentario di età Burdigaliano-Langhiano discordante sul substrato deformato e che per affinità litologiche e cronostratigrafiche è stato assimilato ai depositi miocenici dell’Unità Alburno-Cervati corrispondenti al secondo ciclo miocenico individuato nelle calciruditi di Piaggine da SGROSSO (1981) e nella Formazione del torrente Raganello da SANTO e SGROSSO (1987). Recentemente, le nuove acquisizioni cronostratigrafiche estese a livello regionale hanno sostanzialmente modificato il contesto geometrico ed il significato paleogeografico del “Complesso Liguride” Auct: (PATACCA et Alii, 1990 a, b e c). La Formazione di Albidona, equivalente al confine calabro lucano dell’insieme delle Formazioni di Pollica, di S. Mauro in Cilento, viene riconosciuta come sequenza torbiditica trasgressiva discordante sulle falde interne (Unità Nord Calabrese - BONARDI et Alii, 1988 ed Unità Sicilidi AUCT.) messa in posto sul dominio appenninico più interno costituito dal dominio del Pollino su cui si è successivamente sedimentato il ciclo di Gorgoglione (del Tortoriano sup-Messiniano). Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 19 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Le formazioni affioranti , pertanto, sono: - Successioni carbonatiche dell’Unità M.te Bulgheria Una delle prime descrizioni del Monte Bulgheria è opera del Di STEFANO (1894), il quale riconobbe dei calcari compatti grigio chiaro che attribuì al Lias inferiore per la presenza di una varietà di Rhynchonellina Seguenzae Gemm., e dei calcari a crinoidi grigio scuri, raramente rossastri, stratigraficamente sovrapposti ai primi. Nella parte alta dei calcari a crinoidi, laddove a questi ultimi si intercalano delle marne, lo stesso Autore rinviene Pentacrinus jurensis Quenst., Hildoceras Levisioni Simps. Al di sopra di questa formazione del Lias sup. veniva riconosciuta un Titonico trasgressivo, con Ellipsactinie, facente passaggio verso l’alto ai calcari cretacei. Nel 1949 MIRIGLIANO rende noto la presenza del Pliocene tra Licusati e Porto degli Infreschi. Più recentemente SELLI nella regione in questione riferisce al Nordico e al Retico “dolomie e calcari dolomitici chiari più spesso nerastri”; al Doger “calcareniti con interstrati marnosi” al Malm “calcareniti, brecciole e calcari scuri oolitici”; al Cretacico Inferiore “calcareniti e brecciole organogene nerastre”; al Miocene (Aquitaniano) tragressivo “calcareniti”. Nel 1962 Cestari annuncia il rinvenimento di una scaglia di età Cretaceo superiore-Eocene. La prima stratigrafia dettagliata della serie del Monte Bulgheria è opera di Scandone & Sgrosso nel 1963. Gli Autori individuano dal basso: - Formazione delle Dolomie Nere : dolomie cristalline da grigie a nere ben stratificate del TRIAS SUP. - Formazione dei Calcari Dolomitici: dolomie, calcareniti grigio-azzurre stratificate e non; sormontate o passanti lateralmente a brecce di scogliera a matrice calcarea nerastra, LIAS INF. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 20 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” - Formazione dei Calcari con Selce: calcilutiti e calcarentiti grigio scure, ben stratificate, con liste noduli e arnioni di selce, con radioli di echinidi e rari crinoidi, LIAS MEDIO. - Membro delle Marne Gialle: marne e marne argillose giallastre; calcareniti e calcari marnosi, LIAS SUP. - Formazione dei Calcari Oolitici: calciluditi e calcareniti grigio-azzurre ben stratificate; calcilutiti nere; calcareniti oolitiche con liste di selce, BERRIASIANOBAIOCIANO. - Formazione dei Calcari a Frammenti di Rudiste: calciruditi a frammenti di rutiste e calcareniti grigie ben stratificate, CRETACICO SUP. - Formazione della Scaglia Rossa: calcilutiti grigie ben stratificate calcari marnosi giallasti, rosati e rossi (“scaglia”) in strati e straterelli - OLIGOCENE - SENONIANO SUP. -Formazione dei Calcari a Miogypsine: calcareniti grigie ben stratificate, LANGHIANO - AQUITANIANO - Formazione del Flysch Nero: alternanza di strati e straterelli di marne, argille e calcari marnosi verdognoli, grigi e nerastri con livelli di quarzoareniti, calcareniti e brecciole calcaree - AQUITANIANO - OLIGOCENE. Le conoscenze di geologia regionale finora acquisite attribuiscono le successioni descritte alla evoluzione tettono-sedimentaria del margine più interno della Piattaforma Campano-lucana, con facies sedimentarie di scarpata, di periscogliera e fino a facies più francamente di bacino profondo. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 21 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” L’assetto strutturale del massiccio del Monte Bulgheria è caratterizzato da una piega coricata a vergenza Nord e con asse E-W che a luoghi prende la forma di piega-faglia, accavallandosi lungo il bordo settentrionale alle sequenze terrigene mioceniche. L’ampia piega originaria, parzialmente conservata solo lungo il fronte settentrionale, è stata disarticolata da faglie dirette che hanno ribassato la struttura verso Sud. - Successione della Sub-unità di Roccagloriosa Questa successione forma la dorsale prevalentemente calcarea che si allunga per poco più di sei chilometri in direzione NE-SW da Roccagloriosa a Castel Ruggero. E’ costituita (Sgrosso & Torre, 1967) da - Formazione dei Calcari Cristallini calcari cristallini in strati e banchi, generalmente amalgamati; MAASTRICHTIANO - Formazione di M.te Capitenali : calcareniti e calciruditi con interstrati argillosi, via via crescenti, (Maastrichtiano-Eocene Inf.) cui seguono - Formazione di Boccaladrone : argilliti ed argille marnose con livelli lentiformi di calciruditi e calcareniti (Eocene superiore), - Formazione di S.Cataldo: argilliti, marne, arenarie e brecce calcaree (OligoceneMiocene Inferiore). Le caratteristiche della successione sopra descritta fanno ritenere (Sgrosso &Torre 1967) i termini argillitici e argillo-marnosi il prodotto della sedimentazione in un ambiente tranquillo e probabilmente profondo, e le calcareniti e calciruditi ad esse intercalate, apporti per frane sottomarine. Tali frane presentano in qualche caso le caratteristiche di flusso-torbiditi. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 22 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Le caratteristiche petrografiche e paleontologiche dei litoclasti denunziano la loro provenienza in parte dei terreni dellla successione appartenente alla Unità M.te Bulgheria, in parte dai terreni della Unità Alburno-Cervati della Piattaforma Carbonatica Appenninica. Attualmente i terreni descritti affiorano in finestra tettonica sotto quelle che in precedenza sono state denominate Successioni Fliscioidi “cilentane” ovvero la Unità Nord Calabrese e le Successioni ad Affinità Sicilide( sulla Carta Geologica Ufficiale ricomprese nella Unità “Flysch del Cilento”). Il corpo centrale della dorsale di M.te Capitenali costituisce la zona centrale di un apparato a conoide carbonatica sottomarina, mentre la zona del rilievo di Roccagloriosa costituisce la fascia laterale con corpi sedimentari carbonato-clastici lenticolari e discontinui. La Successione della Unità Alburno Cervati (Pollino) L’Unità ACP è costituita dalla base da : - Calcari a Megalodon e Gervilleia, dolomie bianche e grigie con intercalazioni argillose e livelli a scisti ittiolitici, dolomie bianche massicce e calcari e marne ad Avicula.; la presenza degli scisti ittiolitici, scisti bituminosi e le marne ad avicula stanno ad indicare una circolazione delle acque in un ambiente ristretto e poco ossigenato. L’ambiente è quello tipico di una piana tidale, relativo ad una piattaforma, con frequenti fenomeni di emersione, a testimonianza di vari livelli calcarei stromatolitici. - Dolomie e calcari dolomitici del Lias inferiore (Infralias) - Calcari a Paleodasycladus mediterraneus del Lias medio-sup. ; questo fossile guida per aver avuto una enorme estensione areale in un breve periodo, rende possibile correlare a scala regionale le varie unità carbonatiche. Segue una successione monotona carbonatica costituita da - Calcari a Lithiotis,e Orbitopsella, del Dogger e Malm; - Calcari oolitici, calcari a requiene ed a rudiste, del Cretacico Inferiore e Superiore, con intercalate, a quota del Cretacico medio, un livello di circa 10 m. di marne verdastre ad Orbitolina. Dopo il Cretacico sup., con il Paleocene abbiamo una trasgressione individuata da una Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 23 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” lacuna e da una leggera discordanza angolare. Infatti, al di sopra dei calcari a rudiste del Maastrichtiano si arriva fino al Senoniano con la Formazione di Trentinara trasgressiva sui termini sottostanti. Quest’ultima è costituita da conglomerati, calcareniti a miliodidi e spirolina. All’interno della formazione si osservano sacche di erosione con livelli argillitici di colore rossastro.( “ argille rosse bauxititiche”) Tale trasgressione non è coeva in tutti i punti. Infatti, in alcuni punti inizia nel Paleocene ed in altri punti nell’Eocene. Alla Formazione di Trentinara seguono altre formazioni trasgressive che si ritrovano in tutto l’Appennino meridionale. Tali trasgressioni hanno i seguenti caratteri generali: 1) i caratteri sedimentari sono uguali a quelli del substrato; 2) è concordante; 3) si ha una evoluzione da calcari biocostruiti a formazioni terrigene ed a volte torbiditiche. Nell’ACP questa trasgressione comincia nell’Aquitaniano con litotipi calcarenitici organogeni per poi passare ad arenarie, siltiti e quarziti. Queste successioni sono riconosciute nella Formazione di Roccadaspide, Formazione di Capaccio, oppure, al confine calabro-lucano dalle Formazioni di Cerchiara e del Bifurto. Seguono sedimenti in facies caotica con il tipico aspetto di “ wildflysch” che passano ad arenarie arcosico-litiche(Arenarie di Piaggine). L’ Unità Alburno Cervati Pollino affiora estesamente lungo il margine settentrionale ed orientale del territorio ricadente nella Autorità di Bacino “Sinistra Sele” ed in particolare costituisce l’ossatura dei rilievi montuosi allungati in forma di dorsale culminanti nelle vette di M.te Soprano e m.te Vesole e nel più limitato rilievo di M.te Sottano. Dal punto di vista geostrutturale , tali rilievi costituiscono delle emianticlinali con asse NW-SE e con vergenza NNE troncate lungo il fianco meridionale da un fascio di faglie dirette aventi rigetto di diverse centinaia di metri che ribassano il basamento calcareo sotto le “coltri silentine”. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 24 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” L’Unità affiora ancora più estesamente ad Est della stretta di Magliano nell’ambito del Massiccio del M.te Cervati di cui nel territorio dell’A.d.B. Sx Sele ricade solamente parte del margine meridionale con i rilievi di M.te Rotondo, Cima di Mercori, M.te Faiatella, Raia del Padale e la vetta del M.te Cervati. A SE della conca di Sanza le successioni della Unità affiorano lungo i rilievi di M.te Forcella e M.te Jungolo e più a Sud lungo I rilievi alto-collinari di M.te S. Michele, m.te Pannello e M.te Zepparra.Più ad Est affiora , ancora, nei rilievi di M.te Cocuzzo e Serralunga ed , infine, nel massiccio del M.te Coccovello. Le Unità Neogeniche sono rappresentate essenzialmente dal Gruppo del Cilento come sopra definito; qui di seguito viene data una breve descrizione delle principali formazioni come cartografate sulla Carta Geologica in scala 1:25.000 del territorio della Comunità Montana del Lambro e del Mingardo. - Membro di Caporra arenaceo-siltoso: Costituito da strati e straterelli di arenarie micacee calcarifere nere estremamente fratturate e con fratture riempite calcite spatica e intercalazioni da grigio-piombo a nere; l'analisi degli affioramenti ha evidenziato la presenza di strati deformati inglobati e litologicamente correlabili alla Formazione del Saraceno; lo stato di deformazione varia da contorto a caotico superiormente passa con gradualita' ad una successione più ordinata; spessore poco definibile, ma non inferiore a 200 metri; affiora estesamente lungo i piedimonti di Monte Sacro e di M.te Centaurino, nonché nei dintorni della Civitella e di M.te Vesole zona Retara. Affiora ancora all’intorno del rilievo di Castelloccio e delle colline pisciottane. Il Membro è ricoperto in genere da forti spessori detritici grossolani ed è coinvolto da diffusi fenomeni gravitativi di versante; - Formazione di Pollica o Membro delle arenarie straterellate: fitte alternanze di strati straterelli di arenarie ed argilliti brune; a luoghi sono presenti intervalli caotici a "slumpings” ; la parte bassa di questo membro è assimilabile per litologia e grado di deformazione al cosiddetto "Membro Cannicchio" della Formazione di Pollica. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 25 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Lo spessore risulta non inferiore a 100 metri; affiora alla base dei versanti montagnosi al limite con il piedimonte. - Formazione di San Mauro o Membro arenaceo-marnoso: alternanze regolari di strati e banchi di arenarie, marne e corpi canalizzatì di conglomerati grossolani ed orizzonti arenaceo-siltosi e corrispondenti alla tipica sequenza della Formazione dì S. Mauro ; lo spessore è variabile e non inferiore a 400 metri; - Megatorbidite calcareo marnosa o Megastrato a Marna Fogliarina: orizzonte calcareo-marnoso dello spessore variabile fino ad oltre 20 metri corrisponde ai noti livelli di "Marna Fogliarina" della Formazione di 5. Mauro;affiora a Monte Stella, a M.te Sacro ed a M.te Centaurino; con minore continuità affiora al contorno della dorsale di Castelluccio e del rilevo del Tempone di S.Marina. Formazione di San Mauro alta o Membro arenaceo conglomeratico: Con banchi e banconi di conglomerati poligenici cementati ad andamento lentiforme ed amalgamati; costituisce le cime più alte dei massicci del M.te Stella, M.te Sacro e M.te Centaurino. Orizzonti caotici "Olistostromi": conglomerati poligenici a matrice siltosa prevalente ("debris flow", plebbly mudstone, sand flow") depostisi a piu' livelli nell 'ambito della successione conglomeratica della Formazione Arenaceo-conglomeratica e di S. Mauro; gli spessori chiaramente molto variabili raggiungono un massimo di 60-70 m fino ad annullarsi. Formazione di Monte Sacro o Membro conglomeratico Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 26 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” con strati e banchi arenacei e conglomeratici in evidente discordanza angolare sulle sequenze sottostanti. - Successioni della copertura quaternaria Tra i terreni quaternari quelli che hanno una maggiore estensione ed una maggiore importanza sono i Conglomerati della Formazione di Centola s.l.. Le prime notizie bibliografiche relative a questa formazione derivano da Sgrosso & Ciampo (1966) in cui si accenna alla presenza lungo il litorale e nell’entroterra, di estesi lembi di depositi conglomeratici mal stratificati, con clasti sempre ben arrotondati aventi diametro variabile da pochi cmq a vari mq, immersi in una matrice grossolana e intercalati a lenti sabbiose a volte argillo-siltose. Questi depositi vengono messi in relazione alla ingressione marina e alla successiva regressione, causa della deposizione dei terreni calabriani di M.te Bulgheria. Successivamente (Baggioni M. 1975) questa formazione è stata messa in relazione ad una orogenesi tardiva responsabile dell’attuale disegno delle coste silentine nei terreni fliscioidi; all’azione delle acque correnti defluenti su versanti molto acclivi sarebbe dovuta l’eterometria e la struttura del deposito. Laureti L. (1975) attribuisce a fasi tettoniche plioquaternarie la distruzione dei rilievi delle Unità silentine con la conseguente deposizione di “conglomerati stratificati”. In Guida D. et Alii (1979) vengono individuate come aree sorgenti M.te Sacro e M.te Centaurino per gli affioramenti che si trovano ad alte e medie quote, mentre per la parte bassa, intorno all’abitato di Centola, la probabile area sorgente è la dorsale CastelluccioT.pa Rondinella. Questi depositi possono essere attribuiti per correlazioni geomorfologiche al Pliocene Sup.-Pleistocene Inferiore, ovvero ad una delle prime fasi glaciali che hanno interessato questo settore dell’Appennino Meridionale. Questi terreni non affiorano nell’ambito dell’area di interesse per il progetto e si ritrovano a costituire estese coperture tra il M.te Chiancone e l’abitato di Centola. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 27 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” I terreni della copertura detritica più antichi presenti nell’area in esame sono costituiti dai detriti calcarei cementati, informalmente denominati Brecce di Poderia, composti da corpi detritici stratoidi amalgamati in forma di conoidi antiche anastomizzate e di falde detritiche al piede del versante calcareo settentrionale del M.te Bulgheria e del relativo piedimonte , fino al fondovalle del F. Mingardo. Sovrapposti ai precedenti e di età più recente sono presenti sempre lungo la fascia pedemontana di M.te Bulgheria, detriti calcarei sciolti, differenziabili in ragione della maggiore o minore presenza di matrice argillosa. Accumuli di frana antichi, recenti ed attuali ricoprono i versanti collinari, alternati agli accumuli colluviali che colmano le depressioni topografiche sul substrato e sui dtriti calcarei cementati e sciolti. Depositi colluviali sono diffusi lungo I varsanti montagnosi e collinari sia in forma di “talus” che di vallette a fondo concavo; si possono distinguere colluvioni limoso-argillose e colluvioni sabbioso-limose Alluvioni fluviali e torrentizie, lungo i fondovalle dei principali corsi d’acqua Depositi marini e lacustri antichi del Monte Bulgheria Depositi di spiaggia attuali 1.4 Il contesto ambientale : il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano Dal punto di vista geomorfologico, il paesaggio cilentano è contraddistinto dalla netta diversificazione esistente fra i massicci carbonatici, costituenti le dorsali ed i rilievi discontinui nel settore nord-orientale ed orientale della Provincia Morfostrutturale, e le dorsali terrigene comprese nel settore sudoccidentale lungo una larga fascia compresa fra il Golfo di Salerno ed il Golfo di Policastro. Il M.te Bulgheria costituisce una entità fisiografica di tipo carbonatico isolata e localizzata all’estremo settore meridionale del Cilento. L’andamento morfologico attuale dell’intera “Provincia” è strettamente connesso Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 28 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” all’assetto strutturale ed alle modalità attraverso cui esso è stato raggiunto durante l’intera storia geologica. Sui corpi geologici così strutturati a seguito della tettogenesi, già a partire dalla emersione della catena avvenuta a partire dal Miocene terminale, si è impostato un modellamento polifasico e poligenico che ha portato allo smantellamento delle coperture terrigene pre e sinorogene dei massicci carbonatici, mentre durante tutto il Pliocene e fino al Pleistocene Inferiore-medio la creazione di rilievo locale e regionale è stata accompagnata non solo da movimenti verticali, ma anche da motivi trascorrenti, come testimoniato da recenti ricerche geologiche e geomorfologiche a scala regionale. Gli effetti combinati del controllo strutturale acquisito dalla tettogenesi, della neotettonica, dalla morfogenesi e dalle oscillazioni glacioeustatiche del livello del mare, hanno condotto alla formazione delle principali morfostrutture del Cilento. Si possono riconoscere le seguenti morfostrutture principali, descritte da Nord a Sud e raggruppate secondo i loro caratteri fondamentali: - Morfostrutture dei massicci carbonatici (M.te Alburno, M.te Motola, M.te Vesole- Chianello, M.te Cervati, M.te Rotondo-Forcella, M.te Bulgheria, M.te CocuzzoSerralunga). Tutte queste morfostrutture, di cui ancora si riconosce l’originario assetto monoclinalico ed emianticlinalico, sono caratterizzate da lembi, più o meno estesi e disposti su varie quote, di superfici carsiche sommitali, con doline e campi carsici, e da grandi versanti bordieri relativamente acclivi con il tipico aspetto rupestre ed il profilo poco regolarizzato con i piedimonti costituiti in genere da paesaggi collinari evoluti su terreni argillosi, disposti in forma di depressioni intermontane. I massicci sono profondamente carsificati con sistemi ipogei molto sviluppati, sia orizzontalmente che verticalmente, di notevole interesse speleologico e socio-economico . - Morfostrutture dei massicci terrigeni (M.-te Stella M.te Sacro M.te Centaurino M.ti di Pisciotta). Al contrario delle precedenti, queste presentano lembi molto più limitati di paesaggi sommitali, in quanto l’attività di smantellamento areale e lineare dei corsi d’acqua ha fatto arretrare talmente le testate vallive da serrare quasi completamente gli spartiacque ridotti a displuvi stretti ed irregolari. I versanti bordieri, residuo del modellamento passato, sono ridotti a tipiche “faccette triangolari” disposte in forma di interfluvi tra gli sbocchi dei valloni principali. Il profilo irregolare dei rilievi risente della Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 29 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” alternanza di successioni litologiche a diversa competenza, modellate secondo il meccanismo della morfoselezione. - Morfostrutture dei rilievi collinari (Valle dell’alto Calore Salernitano Valle dell’alto Alento, Valle dell’alto Mingardo valle del medio e basso Bussento). Costituiscono la tipica morfologia alto-collinare, con crinali sommitali che non superano gli 800 metri modellate in tempi successivi a quelli delle superfici dei massicci maggiori; i versanti conservano ancora tracce del controllo strutturale, anche se il reticolo drenante è sensibilmente influenzato dagli eventi denudazionali, di tipo erosivo e gravitativo (frane). E’ nell’ambito di queste morfostrutture che si è svolta maggiormente l’occupazione antropica del territorio durante i secoli e dove si registrano le modificazioni, positive e negative, indotte dalle attività umane. - Morfostrutture alluvionali (Piana del Sele, Valle del Tanagro, Valle del Solofrone, Vallo di Diano, Piana dell’Alento,Valle medio-bassa del Lambro e Mingardo, Golfo di Policastro). Costituiscono l’effetto deposizionale di tutti gli eventi morfogenetici avvenuti nelle zone a monte. L’epoca di impostazione di questi bassi strutturali, sede di intensi fenomeni di alluvionamento, è da attribuire al Pleistocene Inferiore, se come “marker” si utilizza l’unica formazione presente in Cilento ed attribuibile a quell’intervallo temporale: la formazione di Centola. Legate a queste morfostrutture sono anche gli ambiti costieri che hanno ciascuno una loro peculiarità geomorfologica e che non è possibile inquadrare a scala generale. 1.5 Aspetti geomorfologici del territorio cilentano L’area cilentana, per quanto riguarda gli aspetti idrogeologici, può essere differenziata in tre grandi settori: - i massicci carbonatici, - i rilievi costituiti dalla successione terrigena flyscioide ed - i depositi clastici quaternari che riempiono le piane alluvionali dei principali elementi idrografici del territorio. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 30 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” I massicci carbonatici, come già esposto nella parte geologica e geomorfologica, oltre a rappresentare i principali rilievi montagnosi del territorio, ne costituiscono le principali fonti di risorse idriche. Essi si compongono essenzialmente di rocce calcaree di età mesozoica che, per il comportamento fragile a seguito delle vicissitudini del passato geologico, risultano essere generalmente molto fratturate e che, per la loro composizione chimica, sono soggette a fenomeni carsici mediante i quali l'azione di dissoluzione delle acque meteoriche tende ad ampliare e a sviluppare la rete delle fratturazioni preesistenti fino alla formazione di grandi sistemi carsici epigei ed ipogei. La presenza di queste discontinuità diffuse e dei condotti carsici induce intensi fenomeni di infiltrazione che si concretizzano in un prevalente deflusso sotterraneo (85 - 95 %) rispetto al ruscellamento superficiale. I massicci carbonatici possono essere considerati come grandi acquiferi sotterranei in cui la circolazione idrica ipogea, generalmente basale, ma anche con livelli intermedi, è condizionata dai rapporti geometrici con le unità geologiche circostanti oltre che dalle grandi discontinuità strutturali interne (faglie e diaclasi). Nel Cilento i rilievi carbonatici sono, nella maggior parte dei casi, sovrapposti per faglia inversa e giustapposti per faglia diretta con le successioni arenaceo-argillose che, avendo una permeabilità notevolmente inferiore, ne limitano inferiormente e lateralmente la circolazione idrica sotterranea, orientandola verso i punti di contatto più depressi; in questi punti si concentrano le principali sorgenti dell'intera area. Nell'area cilentana, a Sud della valle del Tanagro e ad Ovest del Vallo di Diano, i rilievi carbonatici costituiscono varie unità idrogeologiche principali, generalmente suddivise in strutture minori, in cui la circolazione idrica sotterranea è indipendente dalle altre unità circostanti: Monte Alburno, Monte Motola, Monte Cervati-Monte Vesole, Monte Forcella-Monte Salice, Monte Coccovello e Monte Bulgheria. Le prime si sono impostate nell’ambito dell’Unità Alburno-Cervati, l’ultima nell’ambito della omonima Unità del Monte Bulgheria. Ad Est del Vallo di Diano sono presenti altre strutture idrogeologiche di grande potenzialità, che hanno i propri recapiti in parte sul versante cilentano ed in parte sul versante lucano. Le successioni flyscioidi terrigene, per la loro inferiore potenzialità idrica, sono state oggetto di studi solo a carattere generale dai quali si è potuto trarre soltanto le caratteristiche complessive della circolazione idrica sotterranea. I terreni delle successioni Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 31 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” flyscioidi affioranti nel Cilento hanno caratteristiche idrogeologiche variabili in relazione alla prevalenza dei termini litoidi (prevalentemente arenacei e subordinatamente calcarei) su quelli pelitici; i primi infatti hanno un grado di permeabilità da medio a scarso ed un tipo di permeabilità, primaria, per porosità e, secondaria, per fratturazione, mentre i secondi, per le loro caratteristiche sedimentologiche e la scarsa fratturazione, possono essere considerati impermeabili. Pertanto nelle successioni arenaceo-pelitiche la frequente presenza dei termini pelitici conferisce nel complesso uno scarso grado di permeabilità, mentre nelle successioni prevalentemente arenacee o arenaceo-conglomeratiche la minore presenza di interstrati pelitici e la scarsa continuità laterale conferiscono un grado di permeabilità relativamente più elevato. Per le generali caratteristiche di bassa permeabilità dei terreni arenaceo-pelitici, il deflusso idrico globale si manifesta maggiormente sotto forma di ruscellamento ed in minor misura come deflusso idrico sotterraneo; quest’ultimo si realizza non come una falda di base ma si sviluppa come falde sospese sovrapposte e si concretizza prevalentemente nella parte più superficiale ed alterata dei versanti, sotto forma di falde spesso discontinue, laddove la fratturazione del substrato e la presenza di eluvioni e colluvioni favoriscono i processi di infiltrazione. Le emergenze sorgentizie sono numerose, ma singolarmente molto modeste, mediamente di pochi decimi di litro al secondo e al massimo di pochissimi litri al secondo; le condizioni di emergenza sono spesso legate a locali situazioni strutturali, giaciturali e morfologiche, a volte di difficile interpretazione. Questo modello di circolazione idrica sotterranea può essere ritenuto rappresentativo dei termini arenaceo pelitici e calcareo pelitici della successione del "Flysch del Cilento" Auct. e cioè delle Formazioni di San Mauro p.p., Pollica, Saraceno e Unità dei "terreni ad affinità sicilide" p.p., cioè in quelle parti della successione torbiditica dove la frazione pelitico-argillosa è presente in maniera continua tra gli strati arenacei o calcarei, tanto da costituire un ostacolo alla circolazione delle acque di infiltrazione efficace e da conferire globalmente un carattere di scarsa permeabilità. In questo complesso idrogeologico il deflusso idrico sotterraneo è, per il generalizzato scarso grado di permeabilità, una piccola frazione del deflusso globale, circa il 19% (Celico et alii, 1992). Nella successione del "Flysch del Cilento" Auct. fanno eccezione a questo generale comportamento i termini arenaceo-conglomeratici, ascrivibili ai membri stratigraficamente Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 32 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” più elevati del Gruppo del Cilento (Bonardi et alii, 1988) e, in particolare, alla parte alta della Formazione di San Mauro, i quali sono caratterizzati dalla presenza di strati e banchi arenacei di spessore variabile tra 1 e 3 m, con interstratificazioni pelitiche esigue e discontinue lateralmente; ciò comporta una maggiore attitudine ai fenomeni di infiltrazione e quindi una circolazione idrica più o meno profonda, condizionata dalla presenza di discontinuità stratigrafiche costituite, nella fattispecie, da intervalli di strati a carattere areanaceo-pelitico. Il deflusso idrico sotterraneo è stimabile in circa il 25% del deflusso globale. Infine i termini conglomeratico-arenacei con i quali la successione del "Flysch del Cilento" Auct. culmina nella Formazione di Monte Sacro, hanno caratteristiche idrogeologiche marcatamente differenti dai precedenti, essendo dotati di una permeabilità media per porosità e fratturazione; la scarsa presenza di interstratificazioni pelitiche rende possibile l’instaurarsi di un unico corpo idrico sotterraneo a deflusso unitario. Il deflusso idrico sotterraneo rappresenta un’aliquota cospicua del deflusso globale, circa 30% (Celico et alii, 1993). Tra le unità idrogeologiche costituite dai terreni del “Flysch del Cilento” Auct. di maggiore rilievo sono da ricordare quelle del Monte Sacro, del Monte Centaurino e del Monte della Stella (Guida et alii,1980; Casciello et alii, 1994); oltre a queste sono da menzionare unità minori come quelle di Monte Vesalo e di Pisciotta-San Mauro La Bruca e di Santa Marina. I terreni quaternari sono rappresentati dai depositi detritici presenti in maniera cospicua al bordo dei massicci carbonatici e soprattutto dai depositi di riempimento delle piane alluvionali dei principali corsi d’acqua dell’area. Questi terreni hanno nel complesso una discreta importanza poiché sono spesso dotati di una buona permeabilità, e soprattutto, oltre ad essere alimentati direttamente dalle acque di infiltrazione meteorica, sono alimentati dai corpi idrici superficiali fluviali ed anche dalle strutture carbonatiche adiacenti. Tra le unità idrogeologiche di una certa importanza sono da menzionare quelle costituite dalle coltri di sedimenti alluvionali presenti nella bassa valle dei fiumi Testene, dell’Arena, Alento, Lambro-Mingardo e Bussento. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 33 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 1.6 Caratteristiche dei bacini idrografici cilentani Il territorio del Cilento ha una superficie di circa 1818 Kmq e ricade essenzialmente in 5 bacini idrografici principali( vedi Tabella allegata): - il bacino del F. Calore Salernitano(o Lucano) la cui superficie di circa 780 Kmq è compresa, nel suo corso medio superiore, entro i confini del Parco ed è ricompreso nella Autorità di Bacino Interregionale del Sele; - Bacini, in sinistra del fiume Sele, fiumi Solofrone, Testene, Alento, Lambro, Mingardo e Bussento . Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 34 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” SOTTOBACINI PRINCIPALI Corso D’acqua Piccoli corsi d’acqua compresi tra la foce del Sele e la foce dell’Alento (Minori costieri) Il Fiumarella, Fosso Fiume, Fosso Capo di Fiume, Fosso Leonora, Solofrone, Testene, Rio Lavis Alento Lunghezza asta principale e estensione bacino Kmq 383.83 Km.38.30 Kmq 414.50 Fiumarella Km 12,35 Kmq 4829 Piccoli corsi d’acqua, tra la foce dell’Alento e la foce del Lambro (Vallone del Fiumicello e Vallone Carusella Lambro Kmq 40.84 Mingardo Km Kmq 223.11 Piccoli corsi d’acqua tra la foce del Mingardo alla foce del Bussento (V. del Mangano) Bussento Km Piccoli corsi d’acqua tra la foce del Bussento e Torre Mezzanotte (Rio Cacafava ed altri Km 3.5 Kmq 87.27 Totale Km Kmq 76.7 Comuni ricadenti e relativa superficie (Kmq) Principali affluenti in destra idraulica. Lunghezza ed estensione bacino Principali affluenti in sinistra idraulica. Lunghezza ed estensione bacino Vallone Le Manete,Vallone Corbella, Vallone Prignano, Il Fiumicello, La Fiumara, Vallone dei Lauri, Vallone di Orria, Fiumara Selva dei Santi, Torrente Badolato, Torrente Fiumicello, Torrente Palistro Capaccio, Trentinara, Prignano C., Perdifumo, Giungano, Agropoli, Ogliastro C., Laureana C., Castellate, Pollica, Serramezzana Monteforte C., Casalvelino, Cuccaro Vetere, Ceraso, Cannalonga, Cicerale, Torchiara, Rutino, Lustra, Omignano, Sessa Cilento, Serramezzana, Stella C., Orria, Gioi C., Salento, Vallo della Lucania, Moio della Civitella Ceraso, Cuccaro Vetere, Ascea, Pisci otta Ascea, Pisciotta, Centola Montano Antilia, Futani, Cuccaro Vetere, S. Mauro La Bruca Rofrano, Laurito, Roccagloriosa, Montano Antilia, Celle di Bulgheria S. Giovanni a Piro Kmq 89.65 Km Kmq 351 76 superficie Sanza, Caselle in Pittari, Casaletlo Spartano, Tortorella, Morigerati Rofrano, TorreOrsaia, Roccagloriosa, S. Giovanni a Piro Vibonati, Sapri sottobacini principali: Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 1655,51 kmq Relazione generale rischio di frane 35 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 2. Il tema del rischio da frana 2.1 - Generalità La valutazione del rischio da frana in aree di rilevante estensione presenta non poche difficoltà per vari ordini di motivi: - la eterogenità, spaziale e temporale, del contesto geo-ambientale nel quale i fenomeni franosi hanno sede - - la diversificazione degli approcci metodologici per lo studio di questi ultimi; -l’articolazione dei tessuti urbani ed infrastrutturali esposti al rischio da frana e la necessità di comprendere la logica che ne sottintende lo sviluppo, spesso caotico ed irrazionale. - la molteplicità di proposte metodologiche sulla valutazione del rischio alla quale concorrono molteplici fattori molto spesso di difficile reperimento, soprattutto in tempi ristretti; - - la improrogabile necessità di delineare uno scenario del rischio con il medesimo grado di approfondimento su tutto il territorio al fine di scongiurare il pericolo di una informazione disomogenea le cui conseguenze potrebbero essere peggiori dell’assenza di informazioni. Con riferimento alla intrinseca complessità dei fenomeni franosi si osserva che l’evento frana ha sede in contesti geo-ambientali molto variegati all’interno dei quali sono presenti rocce e/o terreni che, alla scala dell’elemento di volume e nei problemi al finito, possono presentare caratteri fisico-meccanici estremamente complessi ed articolati. D’altra parte le modalità di innesco e di evoluzione dell’evento-frana dipendono da una molteplicità di elementi quali i fattori predisponenti, le cause innescanti e gli interventi antropici il cui ruolo si estrinseca su scale spaziali e temporali estremamente diverse tra loro. La complessità dell’ ”universo frane” si traduce, innanzitutto, in una molteplicità di classifiche disponibili per l’inquadramento di tali fenomenologie e, all’interno di ciascuna classifica, in un’ampia varietà di casi. A titolo di esempio, la classifica proposta da Carrara et al. (1978) comprende circa 100 tipologie di frana diverse, essenzialmente suddivise sulla base dei Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 36 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” caratteri cinematici del fenomeno. Per fortuna, nell’ambito delle diverse classifiche non è raro ritrovare l’utilizzo degli stessi termini per indicare fenomenologie sostanzialmente analoghe. Volendo procedere ad una selezione delle classifiche proposte, il Progetto Finalizzato “Conservazione del Suolo”, Sottoprogetto “Fenomeni Franosi”, suggerisce di adottare la classifica proposta da Varnes (1978), della quale Carrara et al. (1978) – anticipando una tendenza attualmente consolidata – ne hanno fornita la traduzione. Gli Atti di Indirizzo citati suggeriscono di fare riferimento alle raccomandazioni del WP/WLI (1990;1993) ed alla classifica di Cruden e Varnes (1994) che costituisce un aggiornamento della classificazione di Varnes D.J. (1978). Anche nell’ambito dello svolgimento del presente studio, la classifica in questione è stata ritenuta la più efficace e, pertanto, ad essa si è fatto riferimento, pur essendosi rese necessarie alcune integrazioni per la peculiarità degli obiettivi del D.L. 180/98. Per quanto riguarda lo studio dei fenomeni franosi si osserva che le finalità perseguite possono essere molteplici e riguardare la messa a punto di modelli di evoluzione dei versanti a scala geologica, la definizione su basi fisico-meccaniche dei cinematismi che governano i processi di rottura e di propagazione, la valutazione del rischio a piccola e grande scala, l’individuazione di metodologie progettuali per gli interventi di stabilizzazione, etc. A seconda delle finalità perseguite sono privilegiati aspetti di geologia, geomorfologia, geotecnica etc., che si differenziano per la diversa scala, spaziale e temporale, con cui viene condotto lo studio. In alcuni casi l’attenzione è rivolta alla genesi ed all’evoluzione dei fenomeni franosi su scala territoriale, in altri gli sudi si concentrano sul meccanismo della fenomenologia. Appartengono prevalentemente al primo tipo gli studi a carattere geologico, mentre ricadono generalmente nella seconda categoria quelli di tipo ingegneristico. Entrambi gli approcci presentano vantaggi e svantaggi. Nel primo caso sono delineati i fattori predisponenti e le cause innescanti i movimenti franosi, ma mancano dati oggettivi in grado di sostanziare le ipotesi formulate; nel secondo le conoscenze estremamente dettagliate sul singolo evento non risultano di grande utilità in ambiti arealmente più estesi rispetto a quello di studio. Un’alternativa agli studi settoriali è offerta dagli approcci di tipo interdisciplinare che tendono a fare confluire in un unico schema le risultanze delle analisi geologiche e di quelle squisitamente ingegneristiche. Un esame, anche non esaustivo, della letteratura degli anni più recenti (ISL, 1984; 1988; 1992) evidenzia il crescente numero dei gruppi di ricerca che tendono Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 37 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” ad analizzare organicamente ed unitariamente i molteplici fattori che condizionano la franosità (Brand, 1984; 1988). Ovviamente tali studi richiedono approfondimenti che possono essere conseguiti soltanto se si dispone di risorse economiche adeguate e scadenze temporali non eccessivamente ravvicinate. Il panorama estremamente variegato delle metodologie oltre che delle finalità degli studi sui fenomeni franosi si ripercuote inevitabilmente sulle modalità di valutazione del rischio, come ampiamente testimoniato dalla letteratura sull’argomento. Nella valutazione del rischio rientrano, infatti, molteplici fattori che sono finalizzati, da una parte, alla descrizione dell’evento franoso e, dall’altra, degli elementi esposti. Le principali differenze tra le modalità di valutazione del rischio risiedono essenzialmente nei criteri adottati per descrivere e quantificare tali fattori. Ad esempio l’intensità di un fenomeno franoso può essere identificata con le conseguenze prodotte dall’evento (DRM 1988 e 1990) con la sua velocità (Hungr, 1981; Cruden e Varnes, 1994) o con la dimensione del volume mobilitato (Fell, 1984). Ovviamente la scelta dell’approccio più idoneo è subordinata alla disponibilità dei dati di base che concorrono a definire le varie componenti del rischio o alla concreta possibilità di una loro adeguata acquisizione. Quest’ultima è, a sua volta, legata allo svolgimento di indagini e studi oltre che alla fattiva collaborazione degli Enti preposti alla gestione del territorio. Tale collaborazione risulta non sempre proficua anche se è assolutamente indispensabile per la individuazione degli elementi esposti e per la comprensione della evoluzione del tessuto urbano ed infrastrutturale che, in una ottica di corretta gestione del territorio, deve essere compatibile con le caratteristiche del sistema fisico nel quale ha sede. Si precisa, ancora, che laddove l’attività di pianificazione è in una fase iniziale e e tale è lo stato dell’A.d.B. Sinistra Sele. Per l’area dell’Autorità di Bacino in Sinistra Sele gli strumenti conoscitivi esistenti e disponibili sono: 1) POP Campania esteso alla intera provincia di Salerno condotto dal CUGRI (elaborati in possesso del CUGRI) Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 38 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 2) Valutazione del Rischio da Frana nell’ambito del Piano di Previsione e Prevenzione della Provincia di Salerno , condotta dal gruppo coordinato dal prof. Cascini(elaborati in possesso del CUGRI); 3) Studio Integrato sulla Franosità del territorio della C.M. “ Lambro e Mingardo” esistente presso l’ente e disponibile per l’aggiornamento a cura del CUGRI, composto da: a) Carta delle Frane, scala 1:5000 e relativo database collegato; b) Carta Geolitologica del Substrato e delle coperture, in scala 1:5000 c) Carta dei fenomeni erosivi, in scala 1:5000; 4) Studio Geologico sulla Stabilità del territorio della C.M. Bussento esistente presso l’Ente e disponibile per l’aggiornamento a cura del GUGRI, composto da : a) Carta delle Frane, in scala 1:10000 b) Carta Geolitologica, in scala 1:10000 Sono disponibili ancora i seguenti lavori scientifici su vasta aree che riguardano aspetti specifici sulle frane e sulla valutazione del rischio da frana: 1) Il bacino del F.Mingardo (Cilento): evoluzione geomorfologica, fenomeni franosi e rischio a franare (Guida D. et al., 1979), contenente: - Carta delle frane, scala 1:25000 - Carta Geolitologica, scala 1:25000 - Carta Geomorfologica, scala 1:25000 - Carta del Rischio a franare - Carta del reticolo drenante gerarchizzato; 2) Geologia e franosità del F. Lambro ( Guida D. et al., 1981), contenente: - Carta delle frane, scala 1:25000 - Carta geologia, scala 1:25000 - Carta del rischio a franare, scala 1:25000 3) Ricostruzione di sequenze morfoevolutive ad W di M.te Sacro ( Guida D. et. Al., 1980) contenente: - Carta delle frane, scala 1:25000 - Carta geologica, scala 1:25000 Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 39 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” - Carta geomorfologica, scala 1:25000. 4) Tipologia e diffusione delle DGPV nel settore meridionale dell’Appenninmo Campanolucano ( Guida D. et al., 1988), contenente una carta delle DGPV, in scala 1:200000; Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 40 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 2.2 – Il D.L. 180/98, la L. 267/98, il D.P.C.M.29/9/98, la L. 226/99 La rilevante complessità del tema Rischio da Frane, l’ampiezza delle possibilità offerte, la mancanza di una metodologia consolidata e la ristrettezza dei tempi a disposizione, trovano puntuale riscontro nel decreto legislativo 180/98, ampiamente discusso e commentato nella relazione “Quadro legislativo di riferimento”. Qui di seguito se ne riportano soltanto alcuni stralci che si ritengono significativi ai fini delle considerazioni in precedenza accennate e delle scelte metodologiche discusse nel successivo paragrafo. In particolare, a pag.12, secondo e terzo capoverso, del suddetto decreto si legge: “Per quanto attiene la valutazione del rischio dipendente da tali fenomeni di carattere naturale, si fa riferimento alla sua formulazione ormai consolidata in termini di rischio totale. Nella espressione di maggiore semplicità tale analisi considera il prodotto di tre fattori: pericolosità o probabilità di accadimento dell’evento calamitoso, valore degli elementi a rischio (intesi come persone, beni localizzati, patrimonio ambientale); vulnerabilità degli elementi a rischio (che dipende sia dalla loro capacità di sopportare le sollecitazioni esercitate dall’evento, sia dall’intensità dell’evento stesso). Si dovrà far riferimento a tale formula solo per la individuazione dei fattori che lo determinano, senza tuttavia porsi come obiettivo quello di giungere ad una valutazione di tipo strettamente quantitativo.” A pag. 14, “Fase di perimetrazione e valutazione dei livelli di rischio”, si legge: “Dalla fase di individuazione delle aree pericolose si passa a quella della perimetrazione delle aree a rischio attraverso una valutazione basata sull’esistenza di persone, beni e attività umane e del patrimonio ambientale. Nella sostanza questa fase è finalizzata da un lato alla individuazione delle aree pericolose, ai fini della pianificazione territoriale; d’altro lato alla specifica valutazione delle strutture ed attività a rischio in maniera da consentire di predisporre le più opportune e urgenti misure di prevenzione (attività pianificatoria, vincolistica temporanea, ecc.). Utilizzando la cartografia tecnica a scala minima 1:25000 recante la perimetrazione ricavata dalla carta dei fenomeni franosi e valanghivi, con l’ausilio eventuale delle foto aeree, è possibile individuare la presenza degli elementi, già indicati nelle premesse, che risultano vulnerabili da eventi di frana e valanga. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 41 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Mediante tali elementi si costituisce la carta degli insediamenti, delle attività antropiche e del patrimonio ambientale di particolare rilievo. Sulla base della sovrapposizione della carta dei fenomeni franosi e della carta degli insediamenti, delle attività antropiche e del patrimonio ambientale è possibile una prima perimetrazione delle aree a rischio, secondo differenti livelli, al fine di stabilire le misure di prevenzione, mediante interventi strutturali, e/o vincolistici.” Ancora, all’ultimo capoverso di pag.11, si osserva: “Tuttavia, i limiti temporali impostati dalla norma per realizzare la perimetrazione delle aree a rischio consentono, di poter assumere, quale elemento essenziale per l’individuazione del livello di pericolosità, la localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato riconoscibili o dei quali si ha al momento presente cognizione.” Infine, nel D.P.C.M. del 29/9/98, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5/1/99, a pag.10, si legge: “La individuazione e perimetrazione sia delle aree a rischio (art. 1, comma 1), sia di quelle dove la maggiore vulnerabilità del territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale (art. 1, comma 2) vanno perciò intese come suscettibili di revisione e perfezionamento, non solo dal punto di vista delle metodologie di individuazione e perimetrazione, ma anche, conseguentemente, nella stessa scelta sia delle aree collocate nella categoria di prioritaria urgenza, sia delle altre.” Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 42 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 2.3 – La metodologia di lavoro Pur in possesso di numerosi dati ed elementi non appare superfluo sottolineare la rilevante complessità di una adeguata definizione, in tempi brevi, del rischio da frana, in base al dettato del D.L. 180/98 che, pur condivisibile nello spirito, in quanto teso alla eliminazione (in tempi rapidi) delle situazioni emergenziali, è in più punti di non facile interpretazione, in quanto richiede di: - fare riferimento a valutazioni qualitative dei parametri che concorrono alla definizione del rischio, pur riconoscendone la estrema difficoltà; - effettuare la perimetrazione sulla base delle segnalazioni degli Enti, procedura questa che potrebbe dare luogo, nel migliore dei casi, ad una individuazione del rischio a “macchia di leopardo”, non condivisibile e facilmente strumentabile; - definire un programma degli interventi che, pur utili, potrebbero essere progettati e realizzati in tempi troppo brevi e senza seguire una effettiva scala delle priorità; - disporre misure di salvaguardia che possono stravolgere, senza una base razionale, interi tessuti urbani, tralasciando altre situazioni emergenziali non evidenziate dall’inerzia degli Enti competenti. Avendo colto lo spirito propositivo della legge, l’Autorità di Bacino, attraverso la Convenzione con il CUGRI, ha cercato di fornire risposte soddisfacenti a quanto richiesto dal D.L. 180/98, intendendo questo dettato normativo come uno dei passi preliminari del più ampio percorso da compiere per ottemperare alla L. 183/89. Elementi di valutazione sulle metodologie adottate nella presente fase emergenziale sono forniti nello schema di fig. 2.1, dal quale si evince che le attività svolte hanno riguardato essenzialmente due distinti percorsi. Il primo, illustrato nella parte alta dello schema, è stato finalizzato alla redazione della “Carta inventario dei fenomeni franosi” e della “Carta delle intensità dei fenomeni franosi in funzione delle massime velocità attese”. Hanno concorso alla redazione della prima: - i rilievi da foto aeree; - i rilevamenti di campagna mirati - la raccolta delle segnalazioni dagli Enti; Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 43 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” - la raccolta delle dichiarazioni di pericolo incombente presso il Dipartimento di Protezione Civile. La “Carta inventario dei fenomeni franosi”, congiuntamente a valutazioni scaturite dall’esame della letteratura scientifica e dal catalogo AVI, dalla acquisizione di elementi di geologia e geomorfologia ritenuti di utilità quali, per esempio, gli ambiti morfologici, hanno permesso di redigere la “Carta delle intensità dei fenomeni franosi”, che consente di operare una opportuna distinzione tra i diversi fenomeni franosi che, sulla base del solo criterio di esistenza, avrebbero dato luogo ad una indistinta, e poco significativa, distribuzione del rischio sul territorio. Il secondo gruppo di attività, riportato nella parte bassa dello schema, è stato indirizzato alla stesura di un elaborato di sintesi che a partire dalla “Carta degli insediamenti urbani, delle infrastrutture e del patrimonio ambientale” nell’ambito della quale sono stati implicitamente considerati “I danni segnalati da Enti vari”. La “Carta delle aree a rischio di frana molto elevato” è, quindi, scaturita dalla sovrapposizione dei tematismi A3 e B1, e riporta, al proprio interno, la perimetrazione delle aree a rischio più elevato (R4), e di quelle che lo potrebbero diventare a seguito dell’acquisizione degli elementi più volte richiesti e non forniti dalle Autorità competenti, oltre che di ulteriori zone per le quali appare, fin da ora, necessario un livello di attenzione particolarmente elevato. E’ evidente che il metodo di lavoro adottato, che si è sempre ispirato all’acquisizione sistematica ed in forma omogenea del dato di base, rispetta lo spirito del D.L. 180/98, assumendo a riferimento il percorso più complesso in esso indicato. Va, infatti, osservato che alla perimetrazione delle aree R4 si perviene attraverso la redazione di elaborati nei quali sono insite alcune valutazioni qualitative dei parametri che concorrono alla definizione del rischio (intensità I, pericolosità H, danno potenziale W e vulnerabilità V). Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 44 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 3. Fenomeni franosi e massime intensità attese 3.1 Generalità Come è facile intuire la popolazione delle frane esistenti sul territorio è costituito da fenomeni di complessa identificazione ed interpretazione, caratterizzati da un diverso grado di “leggibilità morfologica” di cui è stato tenuto conto nell’affrontare la fase di “inventario su vasta area”. La necessità di aggiornare il quadro delle conoscenze con un dettaglio utile ai diversi scopi dell’Autorità di Bacino ha richiesto l’applicazione di criteri e metodi innovativi in vaste zone caratterizzate da condizioni geolitologiche e morfoevolutive molto diversificate, già sperimentati in alcune aree dell’Appennino Meridionale. Alla base dei criteri adottati sussiste il presupposto che i fenomeni franosi non sono distribuiti in modo casuale nei diversi tratti del rilievo, e che le crisi di franosità avvenute nel corso delle ultime migliaia di anni hanno determinato, nelle diverse aree, la sovrapposizione di frane di differente estensione areale e di età morfologica variabile. La ricomposizione dei processi di franosità di versante è, pertanto, basata sulla intersezione dei parametri geologici, litostratigrafici, geomorfologici e geomorfico-applicativi attraverso l’applicazione di criteri e sistemi integrati, finalizzati alla definizione delle caratteristiche di fondo del rilievo e della sua evoluzione morfologica recente. La metodologia adottata filtra gli indizi morfologici e geologici utili per la identificazione dei singoli eventi franosi, consentendone il “riconoscimento”, la classificazione per tipologia e per caratteristiche morfologiche principali ed infine facilita il loro posizionamento su base topografica alla scala prescelta. Il sistema utilizzato è stato reso flessibile ed integrato con una preliminare analisi ed interpretazione delle aereofoto stereoscopiche, che a loro volta sono lo strumento di analisi territoriale più diffuso, che “cristallizza” lo stadio di sviluppo delle frane in un determinato momento della storia evolutiva del paesaggio, con opportune “tarature” sul terreno. Succesivamente è stato impostato uno studio geomorfologico essenziale di tipo morfoevolutivo tale da consentire di integrare i dati fotogeologici in un preliminare modello di evoluzione dei versanti. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 45 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Tale modello doveva rendere disponibile uno strumento speditivo per la definizione degli ambiti morfologici significativi , utile alla individuazione delle aree di espansione dei fenomeni franosi e di quegli indicatori morfologici utili alla definizione delle più probabili tendenze evolutive di tipo gravitativo dei versanti. La scelta delle informazioni da discriminare nella fase di raccolta dei dati è stata adeguata in questa fase ai vincoli temporali imposti dal D.L. 180/98 e proposti nel relativo allegato tecnico. Un ulteriore miglioramento è stato raggiunto integrando gli indirizzi di lavoro sperimentati negli ultimi anni, non escluse le fasi emergenziali del ’97 e ’98. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 46 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 3.2 – Classificazione dei fenomeni franosi A partire dalla classificazione di Varnes del 1978, comunemente riconosciuta ed accettata in ambito scientifico e tecnico, è stata elaborata una riformulazione originale, apportando alcune modifiche ed integrazioni alla precedente, in modo tale che la “Carta inventario dei fenomeni franosi” a cui è riferita, meglio si adattasse come “strumento di lavoro operativo” per i successivi passaggi ad altre carte tematiche e, nel complesso, in modo da rispondere meglio agli scopi previsti dal D.L. 180/98. La riclassificazione adottata è riportata nella Legenda alla Carta Inventari delle Frane; le diverse tipologie franose sono state riaggregate in gruppi in funzione del cinematismo prevalente e dei caratteri morfodinamici Per ciascuno dei tipi di dissesto considerato, riaggregati in gruppi, sono di seguito riportate alcune brevi note di commento. Gruppo 1 – Frane di crollo e ribaltamento Sono fenomeni tipici delle scarpate morfologiche con forte acclività e sono molto diffusi nelle successioni lapidee, ma frequenti anche lungo le scarpate fluviali, quindi, in terre più o meno addensate. Il distacco è improvviso e lo spostamento dei materiali avviene in caduta libera nel vuoto. Gruppo 2 – Frane di flusso rapido In tale gruppo sono stati riuniti tutti i fenomeni di flusso rapido, caratterizzati da attivazione improvvisa di primo distacco. Il movimento della massa mobilizzata spesso avviene lungo depressioni morfologiche ben definite, canali ed impluvi incisi su versanti con acclività elevata e tende ad invadere le zone di raccordo morfologico alla base dei versanti fino ai tratti pianeggianti. Colata rapida di fango Sono fenomeni caratterizzati dalla mobilizzazione improvvisa di una massa di materiali di origine vulcanica in posizione primaria (sabbie vulcaniche, ceneri e pomici) o secondaria (depositi vulcanici rielaborati di concavità morfologica), poggiati su un substrato carbonatico o Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 47 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” fliscioide di natura lapidea lungo versanti a bassa evoluzione morfologica. Dopo il distacco i materiali a prevalente contenuto di materiali fini e con elevato contenuto d’acqua si spostano verso valle incanalandosi lungo zone di deflusso già esistenti nella morfologia del versante. Il movimento continua fino a quando il materiale di frana raggiunge la base del pendio o le aree con bassa acclività, dove si esaurisce l’energia di movimento. Il materiale di frana si amplia con sagoma a conoide ricoprendo superfici proporzionali alla massa mobilizzata ed all'energia di questa. Colate di detrito Sono fenomeni riscontrabili in ambienti morfologici fortemente accidentati ed in litologie carbonatiche o arenaceo-conglomeratiche, dove masse di detrito di versante, anche con granulometrie superiori alle ghiaie sono posizionate nelle porzioni superiori delle testate di impluvio o lungo tratti di canale a forte acclività. L’attivazione è in genere improvvisa ed il materiale a prevalente contenuto di materiale grossolano e con elevato contenuto d’acqua in seguito alla mobilizzazione tende ad invadere le zone di raccordo morfologico con i tratti pianeggianti, nelle aree di conoide. Colate rapide in terreni argillo-marnosi Sono fenomeni tipici delle aree di affioramento di depositi ad elevata componente argillosomarnosa o argillosa, in cui si registra il progressivo allentamento meccanico ed ammorbidimento della coltre di materiali più prossima alla superficie. Il movimento segue di norma percorsi preferenziali segnati da direttrici costituite da depressioni morfologiche o canali preesistenti che possono essere ostruiti o talora sepolti. Raramente questi fenomeni si verificano a partire da tratti di versante indisturbati, generalmente si originano quale effetto terminale , talora catastrofico, di sistemi franosi a lenta evoluzione ed a cinematismo non parossistico, ovvero quale rimobilitazione di coltri detritico-colluviali rimaneggiate nell'ambito di concavità morfologiche. Gruppo 3 – Frane di scorrimento e colamento In questo gruppo sono stati inseriti gli scorrimenti rotazionali e traslativi ed i colamenti, sia in terra che in roccia. A tal proposito si precisa che nel caso di frane complesse del tipo Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 48 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” scorrimento-colata lenta, quando si tratta di fenomenologie con evoluzione priva di discontinuità temporale, la simbologia adottata è data dalla sommatoria delle singole tipologie. Scorrimento traslativo Sono fenomeni tipici delle aree con strati in giacitura ordinata o con giunti di discontinuità orientati a franapoggio con inclinazione minore del versante, in cui il movimento avviene lungo discontinuità preesistenti, talora favorito dalla presenza di litologie a comportamento duttile; sono tipici di successioni ben stratificate, ma con litotipi a diversa competenza che si riscontrano in alcune successioni di bacino torbiditico, anche se non mancano esempi di frane analoghe in sequenze a comportamento rigido. Scorrimento rotazionale Sono frane con aspetto morfologico tipico, caratterizzato da una sagoma concava sede di una netta contropendenza del cumulo di frana, spesso associate ad una fase di colata lenta del materiale mobilizzato. Si riscontrano sia in litologie miste di terreni geotecnicamente complessi sia in presenza di successioni a comportamento rigido sovrapposte a litologie a comportamento plastico o duttile. Colata lenta – colamento Questi fenomeni franosi presentano continue deformazioni e/o movimenti che determinano tipiche ondulazioni della superficie della massa in frana, con raggio di curvatura da metrica a decimetrica; tali dissesti sono caratteristici di successioni con componente argilloso-marnoso significativa. Gruppo 4 – Espansioni laterali, D.G.P.V. e depositi di concavità morfologica In questo gruppo sono stati inseriti tutti gli altri movimenti di massa cartografati e riportati nella “Carta inventario dei fenomeni franosi”, incluse alcune tipologie che di norma non vengono considerate frane s.s.. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 49 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Espansione laterale di pendio In tal modo sono state cartografate le tipologie così definite in Varnes (1978), anche se tali dissesti non sono compresi in quelli riportati nella bozza di legenda allegata all’Atto di Indirizzo del D.L. 180/98. Questi movimenti sono stati riscontrati solo in presenza di successioni a comportamento rigido sovrapposte a litologie a prevalente componente argilloso-marnosa e consistono in un progressivo allontanamento reciproco di grandi blocchi o masse lapidee con creazione di trincee sommitali e rigonfiamenti basali. Deformazione gravitativa profonda di versante (D.G.P.V.) Le D.G.P.V. in genere coinvolgono l’intero sistema crinale-versante-fondovalle, dislocando ammassi di substrato di dimensioni discrete lungo discontinuità sia preesistenti che di neoformazione e con tempi di evoluzione lunghi; le forme presentano maggiore o minore evidenza a seconda del tipo di D.G.P.V. e dallo stato di attività. Anche in questo caso le situazioni più caratteristiche si manifestano in concomitanza di sovrapposizioni, tettoniche e/o stratigrafiche di successioni a comportamento fragile su successioni a comportamento duttile. Creep in depositi di concavità morfologica Comprendono i movimenti che si sviluppano in prevalenza nelle coltri di copertura, laddove si associano particolari condizioni idrogeologiche ; sono stati considerati solo gli accumuli detritico-eluvio-colluviali di concavità morfologica, in quanto nell'ambito di queste ultime sono stati riscontrati i casi più evidenti ed importanti. I movimenti si esplicano con deformazioni progressive delle masse interessate, che in superficie presentano tipiche ondulazioni da decimetriche a metriche, con smorzamento più o meno rapido degli stessi in profondità. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 50 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 3.3- Ambiti morfologici Le variazioni significative inserite nella legenda per meglio adattarsi alle esigenze di pianificazione territoriale derivano dalla discriminazione di elementi morfologici di riferimento effettuata tramite analisi del dettaglio morfologico delle aree di interesse, compatibilmente con la scala delle aereofoto. Come già esposto in precedenza i fenomeni franosi non sono collocati nell’ambito del paesaggio secondo una distribuzione casuale, ma sono controllati dalla evoluzione morfologica sviluppata sui versanti in epoca recente. D’altro canto per alcuni tipi di movimenti franosi, come i crolli e le frane di flusso rapido, la sola segnalazione del fenomeno non è sufficiente per una valutazione completa della potenziale pericolosità. In questi termini il problema di una valutazione qualitativa, o almeno di una stima, dell’ulteriore ampliamento della frana con elevata pericolosità può trovare soluzione nella definizione di uno “spazio versante” comprensivo della nicchia di distacco, della zona di transito o canale della frana e della zona raggiunta dall’accumulo. La interpretazione mirata di ciascun elemento citato e dei relativi indizi morfologici delle frane avvenute in epoca precedente consente la estrapolazione della possibile zona di invasione del materiale di frana, nel caso di eventi con mobilizzazione di volumi ingenti di materiali. Questa valutazione si basa sul presupposto che i volumi di possibile mobilizzazione devono essere realmente disponibili a monte dell’area di distacco. Ne deriva che la reinterpretazione su base morfologica delle aree situate a monte delle frane può aiutare nella comprensione sulle potenzialità del fenomeno, definendo la zona di alimentazione delle frane. Le esperienze condotte durante l’emergenza Sarno del 5 e 6 maggio 1998, consentono di ritenere affidabile l’impostazione concettuale e attendibili i risultati della valutazione, a livello qualitativo se l’analisi è condotta in prevalenza con interpretazione di aereofoto. In pratica i fenomeni franosi di crollo e di flusso rapido possono interagire solo con spazi versante situati all'intorno della nicchia, ovvero zona di distacco, nei quali si riscontra la presenza di terreni di copertura o volumi di roccia potenzialmente instabili. Il continuo arretramento della nicchia o il collasso di porzioni situate lungo i bordi può avvenire in presenza Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 51 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” di materiali riconoscibili per la sagoma morfologica delle concavità più o meno accentuate al margine della frana. Utilizzando alcuni dei parametri morfologici necessari per la definizione degli spazi versante interessati da frane, si può individuare un tratto di pendio compreso tra la zona sommitale del rilievo (ad evoluzione morfologica completa) o crinale sommitale ed il fondovalle più prossimo a valle della frana stessa, e limitata dai crinali morfologici secondari che limitano i bordi del tratto interessato dalla frana considerata. Questa operazione di non semplice esecuzione, per la necessità di integrare più parametri nella fase di lettura di aereofoto su tratti di estensione limitata , delimita uno spazio versante elementare in cui si mantengono costanti le condizioni litostratigrafiche, morfoevolutive, di presenza di materiali di copertura sul substrato locale e di evoluzione della franosità. Ne deriva che lo “spazio versante elementare” così delimitato può essere definito “ambito morfologico significativo” con un preciso significato rispetto alle frane di versante. Infatti la frana sviluppata all’interno dell’“ambito morfologico significativo”, possiede un potenziale sviluppo che non può interagire con elementi esterni, a meno di profonde alterazioni dell’attuale assetto morfologico locale. Nel caso dei crolli sono state prese in considerazione le caratteristiche delle zone di elevata acclività, con analisi della sagoma delle scarpate, per discriminare, laddove possibile, gli ultimi distacchi avvenuti. La impossibilità pratica di distinguere, con ragionevole precisione, la zona di transito dei materiali da quella di solo accumulo ha portato alla unificazione delle due aree. Allo stesso modo la estensione dell’area di transito e accumulo è stata definita con un certo grado di approssimazione utilizzando il riconoscimento della posizione raggiunta dai materiali delle frane pregresse. I limiti della zona di possibile invasione da parte dei materiali di frana, soggetti a rimbalzi e rotolii con traiettorie talora molto irregolari, sono stati adattati di volta in volta alla condizione morfologica del versante. Nel caso delle frane di colata rapida di fango sono state considerate le aree di monte, sede di possibili accumuli di materiali, che possono determinare ulteriori distacchi di una certa consistenza significativa ai fini della pericolosità; tali aree sono state completate verso valle dalla posizione della frana avvenuta, dalla segnalazione della zona di accumulo della frana e dell’area di probabile invasione interpretata sulla base dei fenomeni con maggiore evidenza morfologica, pertanto di più recente avvenimento. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 52 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Informazioni analoghe sono state registrate per i fenomeni di colata di detrito, per i quali si è tenuto conto delle condizioni morfologiche delle aree a monte dei canali e della esistenza di depositi lungo le aste torrentizie, purchè riconoscibili nelle aereofoto. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 53 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 3.4 - Stato di attività Lo stato di attività delle frane è uno degli altri elementi tecnici caratterizzanti i fenomeni franosi ed è stato utilizzato anche in modo più approfondito e mirato di quanto richiesto dal DL 180/98 con la distinzione dei fenomeni franosi in attivi, quiescenti ed inattivi. Per le frane valutate “inattive” è stato adottato un criterio estremamente prudenziale, definendo tali solo quelle fenomenologie che per conoscenza diretta o acquisita presentano condizioni idrogeomorfologiche tali da escludere categoricamente una loro riattivazione in toto (ad esempio cumulo in gran parte sepolto da depositi alluvionali e zona di distacco perfettamente regolarizzata). In ogni caso la lettura ed interpretazione delle aereofoto, anche se integrato dai parametri morfologici, invita ad una valutazione prudenziale dello stato di attività riconosciuto. Anche le esperienze riportate in letteratura confermano l’utilizzazione del criterio prudenziale specie nella discriminazione inattivo – quiescente, che potrà essere migliorata o rivista in parallelo con il progressivo incremento delle conoscenze acquisite sui singoli fenomeni e con gli ulteriori approfondimenti del contesto morfoevolutivo di quegli specifici settori di territorio. La categoria delle frane quiescenti comprende, invece, i fenomeni che per condizioni morfologiche del sito o dell’immediato intorno possono essere soggetti a riattivazione in occasione di eventi estremi particolarmente sfavorevoli. Si tralasciano le considerazioni e definizioni sul riconoscimento dei fenomeni “attivi”, che sono riferibili alle condizioni comunemente accettate dagli operatori del settore, nel caso di rilevamento prevalente da aereofoto e con taratura del sistema di interpretazione con riscontri sul terreno effettuato “a campione”. Nel territorio esaminato la “Carta inventario dei fenomeni franosi” ha registrato un elevato numero di eventi confermando la presenza e l’elevata diffusione di forme di franosità pregressa. In genere, per le frane con evoluzione più lenta, sviluppate nei terreni argilloso-marnosi, il riconoscimento delle diverse aree di franosità pregressa evidenzia lo stato di dissesto del territorio nei termini della “franosità ereditata”. In questo senso la fase di riconoscimento delle frane esistenti e cartografabili è stato effettuato in termini di lettura “mirata” delle aereofoto con valutazione preliminare del contesto morfologico del sito, tenendo in debito conto e nel giusto peso le caratteristiche geologiche e litostratografiche delle aree e dei siti esaminati. Il riconoscimento dei parametri geologici di base Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 54 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” è stato supportato dall’aggiornamento della cartografia geologica e dal continuo scambio di informazione tra i gruppi di lavoro, costituiti da rilevatori esperti nel settore geologico e geomorfologico. A valle della redazione della “Carta inventario dei fenomeni franosi”è stata realizzata una ulteriore verifica dello “stato di attività” dei fenomeni franosi inserendo e trasferendo le informazioni raccolte tramite sopralluoghi, consultazione degli Enti Locali, segnalazioni di danni di diversa provenienza tra cui quelle fornite dal Dipartimento di Protezione Civile, Ufficio Previsione e Prevenzione. Il peso assegnato a ciascuna segnalazione è stato valutato in funzione del grado di dettaglio della informazione e dell’entità del danno segnalato, determinandolo tramite il controllo di campagna, e/o il riesame con aereofoto del contesto morfologico del sito, nel caso di incongruenza con la “Carta inventario dei fenomeni franosi”. 3.4.1. Distribuzione territoriale delle frane e modelli geomorfologici della franosità L’analisi comparativa della distribuzione territoriale delle frane, di vario tipo, età, stato di attività e dimensione, in relazione ai caratteri geologici e geomorfologici prima esposti, consente di riconoscere e differenziare diversi modelli di franosità che giustificano la situazione attuale e rendono conto delle più probabili tendenze morfoevolutive del territorio. La corrispondenza fra modelli di franosità tipici ed entità territoriali omogenee, per assetto geostrutturale e storia geomorfologica, consente di giustificare la distribuzione dei fenomeni franosi riconosciuti e di rendere significativi gli eventuali approfondimenti geotecnici di carattere applicativo. La correlazione fra i modelli di franosità riconosciuti e l’assetto litostrutturale trova riscontro nella recente letteratura geologico-applicativa, anche se limitatamente all’analisi dei principali tipi morfostrutturali paralleli allo sviluppo delle deformazioni gravitative profonde di versante . Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 55 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” . Modello di franosità tipo: M.te della Stella Si estende dalla dorsale di Torchiara-Prignano al crinale principale di M.te della Stella e comprende il versante che degrada fino alla linea di costa nell’ambito del Quadrante “Paestum” e “Casal Velino-Punta Licosa”. Il modello di franosità è caratteristico della morfostruttura omonima ed in particolare del suo versante settentrionale, laddove si riscontra l’alternanza di strati e banchi della successione arenaceo-marnosa-conglomeratica della Formazione di San Mauro, disposti a franapoggio più o meno inclinati rispetto al tratto di pendio considerato. Il modello di franosità è caratterizzato da scivolamenti e scorrimenti complessi lungo piani di strato o intervalli pelitici, laddove questi intercettano superfici di discontinuità secondarie. L’addensamento dei fenomeni franosi non è in assoluto il più elevato, ma è tale da definire la distribuzione non casuale dei corpi di frana. Esempi storici di questo modello di franosità si riscontrano a Perdifumo ( frana con gravi danni al tessuto urbano nel 1976) a Laureana Cilento e a Eredita Cilento, come mostrato sulla Carta inventario delle Frane. La riattivazione saltuaria di alcuni fenomeni, come verificatosi nei pressi di Castellabate nel novembre del 1976 e prima dell’abitato di Perdifumo, nell’ambito dello stesso evento pluviometrico confermano modalità evolutive a più riprese di questi fenomeni. I riscontri geomorfologici evidenziano la ripetitività di queste fenomenologie, che nel corso della storia geomorfologica passata hanno concorso sensibilmente al modellamento dei versanti e degli impluvi secondo percorsi evolutivi che nella progressiva disarticolazione dei corpi dislocati da scorrimenti, e/o scivolamenti non escludono il loro coinvolgimento gravitativo in forma di colate detritico-fangose. Modello di franosità tipo: Alento Risulta caratteristica dei versanti collinari della media ed alta valle del F.me Alento, laddove affiorano le successioni arenaceo-argilloso-siltose della parte bassa del Gruppo del Cilento. Questi rilievi collinari presentano dei versanti “a faccette triangolari” residui di versanti strutturali evoluti, a partire da versanti bordieri e limitati da impluvi rettilinei incisi a “V”, che incidono trasversalmente i rilievi. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 56 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” La storia deformativa pregressa ha indotto fasce di “intenso disturbo tettonico” con formazioni di corpi di litologie del substrato limitati da superfici di taglio, che in particolari disposizioni giaciturali sono evoluti in forma di scorrimenti rotazionali i cui cumuli sono stati variamente ripresi in forma di colate detritico fangose, da rapide a lente. Gli allineamenti strutturali secondari hanno influenzato la definizione e la successiva evoluzione degli impluvi in forma di “vallette a fondo concavo” colmate da depositi eluviocolluviali durante gli ultimi “stadiali”. L’analisi della distribuzione delle frane attuali evidenzia la ripresa e la riattivazione di forme gravitative pregresse a causa del progressivo riadattamento della rete idrografica secondaria, all’ultimo assetto morfologico. Sia al bordo della valle principale che lungo le valli laterali la densità dei fenomeni franosi è medio-bassa con dimensione contenuta e, quasi sempre, per evoluzione di frane pregresse di età generalmente “recente”. Solo in corrispondenza di orizzonti litostratigrafici, caotici e/o caoticizzati (come per es. intorno Cardile) le fenomenologie di frana si discostano da questo modello e presentano l’aspetto di grandi dislocazioni gravitative anche di neoformazione tipiche di altri modelli di franosità. . Modello di franosità tipo: settore occidentale di M.te Sacro Corrisponde alla tipica situazione di paesaggio basso collinare compreso tra la zona pedemontana e la piana del F.me Alento, a valle della morfostruttura di M.te Sacro, laddove l’evoluzione passata ha indotto un modellamento articolato in più fasi, con formazione di rilievi anche a seguito di fasi tettoniche surrettive. Queste sensibili variazioni dell’altimetria hanno comportato il rapido smantellamento dei versanti montuosi arenaceo-conglomeratici, con il conseguente trasporto in massa di grandi volumi di materiali detritici inalveati lungo gli impluvi. I fenomeni di “valley filling” hanno colmato e regolarizzato le incisioni approfondite nelle successioni argilloso-marnose; in seguito le ulteriori fasi erosive hanno prodotto l’incisione laterale di questi accumuli e lo smantellamento gravitativo dei versanti di neoformazione, con la ripetizione dei trasporti di massa, dalle incisioni trasversali verso i canali maggiori. Le tipologie di dissesto prevalenti consistono in fenomeni complessi: scorrimenti rotazionali e, talora, traslativi che evolvono rapidamente in colate detritico-fangose, Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 57 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” generalmente di modesto spessore, che coinvolgono le coperture detritico-colluviali e la fascia più alterata e allentata del substrato. Per questo modello di franosità si dispone di un modello geomorfologico evolutivo proposto da Guida et alii (1980), che giustifica l’attuale distribuzione e tipologia dei fenomeni come tipica franosità ereditata che coinvolge il solo tratto elementare di versante collinare o, in alternativa, di impluvio collinare. Nell’area compresa tra Cannalonga, Vallo della Lucania e Castelnuovo Cilento, la densità dei fenomeni franosi è particolarmente evidente, con frane di colata e di scorrimento-colata che investono aree con estensione superiore al mezzo chilometro quadro e che di frequente sono articolate in distacchi minori e accompagnati da un corteo di fenomeni di dimensione minore. Modello di franosità tipo: M.te Centaurino È tipico della fascia pedemontana della Morfostruttura di M.te Sacro, versante meridionale ed orientale, di quella di Castelluccio e del versante occidentale del M.te Centaurino. Corrisponde alla situazione descritta come tipo morfostrutturale 1-2 in Guida et alii (1992) e consiste nella sovrapposizione di successioni stratigrafiche a comportamento rigido di notevole spessore (superiore ai 100 m) su un substrato a comportamento duttile il cui contatto è posto alla base del versante montagnoso più o meno regolarizzato con il piedimonte. Questo modello di franosità è stato studiato in particolare lungo i versanti bordieri del M.te Centaurino da Guida et alii (1988), laddove si riscontra la sovrapposizione stratigrafica della successione arenaceo-conglomeratica della Formazione del Torrente Bruca sulla sequenza detritico arenacea del Membro di Caporra. La ricostruzione di dettaglio del modello geologico, attraverso la correlazione fra termini geologici e geolitologici (successione litostratigrafica di M.te Centaurino, figg. 2.4 e 2.5) è stata integrata dai lineamenti di evoluzione geomorfologica del tratto di raccordo fra versante montagnoso e piedimonte, lungo quei settori dove la creazione di rilievi ed il conseguente approfondimento del reticolo idrografico ha consentito la regolarizzazione denudazionale e/o deposizionale del profilo del versante. In tali condizioni, l’intero sistema versante montagnoso-piedimonte-fondovalle viene coinvolto dalla dinamica gravitativa secondo meccanismi riconducibili, in parte, alle deformazioni gravitative profonde di versante, che danno luogo in genere agli scorrimenti rotazionali in roccia ed alle colate detritico-fangose (Varnes, 1978 e Cruden e Varnes, 1996). Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 58 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Dati i caratteri dimensionali ed i meccanismi cinematici ed evolutivi, per questi fenomeni, è stato suggerito il termine di “Sistemi franosi” nel senso di “insieme di frane complesse” riconducibili ad un nuovo meccanismo di deformazione nella fase iniziale di distacco che, nel corso dell’evoluzione a lungo termine, si disarticola in fenomeni secondari differenziati per tipo di movimento ed età. Modello di franosità tipo: M.te Bulgheria Corrisponde alla tipica franosità dei fronti montagnosi carbonatici sovrapposti tettonicamente a successioni argilloso-marnose. Tale condizione corrisponde al tipo morfostrutturale 1.1.1.di Guida et alii (1992), come sovrapposizione di tipo tettonico di grandi spessori di roccia più o meno fratturata a comportamento rigido su successioni di grandi spessori di argille marnose a comportamento duttile. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 59 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 3.5 - Scenari delle massime intensità attese Nella letteratura specializzata sono presenti numerose proposte che definiscono, in modo non univoco, l’intensità di un fenomeno franoso. Tra i vari esempi si ricordano i criteri stabiliti per il PER (Piani di Esposizione al Rischio) dal DRM (Délégation aux Risques Majeurs) (1990), con i quali l’intensità viene classificata in base alle possibili conseguenze sulla incolumità umana (tab. 1) o sui danni economici (tab. 2); la proposta di Cruden e Varnes (1994) che fanno corrispondere a ciascuna classe di velocità una classe di intensità (tab. 3) e la proposta di Fell (1984) che mette in relazione l’intensità con il volume della massa spostata (tab. 5). Le linee guida per la redazione del “Piano Stralcio per la Difesa delle aree in Frana”, approvate da vari Comitati dell’Autorità di Bacino, privilegiano il criterio di Cruden e Varnes (1994), perché ritenuto più idoneo per il bacino in esame, e propongono di semplificarlo, riducendo a tre il numero delle classi d’intensità. Anche nell’ambito delle attività finalizzate alla perimetrazione delle aree a rischio molto elevato (D.L. 180/98) si ritiene significativa la classificazione delle intensità in base alla velocità in quanto, tra quelle proposte, permette una più immediata definizione dei possibili effetti prodotti sugli elementi esposti nei riguardi delle varie tipologie di frana. Si deve tuttavia osservare che, pur così definita, l’intensità non assume valori univoci e facilmente determinabili, in quanto la velocità di un fenomeno franoso dipende da numerosi fattori quali, ad esempio, la storia geologica e geomorfologica del contesto nel quale esso ha sede, l’uso del suolo inteso in senso lato, la litologia e le proprietà fisico-meccaniche dei terreni coinvolti, le cause che ne producono l’innesco, ecc. Ne segue che per la medesima tipologia di frana ed anche nell’ambito del medesimo movimento franoso si possono avere velocità variabili nel tempo e nello spazio. Non c’è viceversa dubbio sul fatto che tra tutte le velocità la più significativa, ai fini dell’osservanza del D.L. 180/98, sia la massima attesa in quanto gli effetti del movimento franoso sugli elementi sono tanto maggiori quanto più elevata è la sua intensità. Una chiara dimostrazione di tale assunzione è fornita dalle frane maggiormente distruttive, quali i crolli in roccia e le “colate rapide di fango” per le quali, antecedentemente all’evento parossistico, non si rilevano effetti sugli elementi esposti, che sono, viceversa, spesso catastrofici Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 60 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” a seguito dell’innesco del fenomeno. Si ricorda, a tale riguardo, l’evento gravemente luttuoso che il 5-6 maggio del 1998 ha duramente colpito la Regione Campania. Sulla base delle precedenti considerazioni e ai fini della perimetrazione delle aree a rischio molto elevato richiesta dal D.L. 180/98, aree in cui “sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche”, si è, quindi, sostanzialmente adottata la classifica delle intensità degli eventi franosi riportata nelle Linee Guida per la redazione del “Piano Stralcio per la Difesa delle aree in Frana” adottato dall'Autorità di Bacino Nazionale del Volturno, raggruppando i movimenti franosi in tre classi d’intensità, così come riportato sulla Legenda del relativo elaborato grafico: 1. Intensità ALTA, comprendente i fenomeni franosi con velocità massima attesa da rapida a estremamente rapida (crolli in roccia e colate rapide); 2. Intensità MEDIA: comprendente i fenomeni franosi con velocità massima attesa da molto lenta a moderata (colate lente-colamenti, scorrimenti rotazionali e traslativi); 3. Intensità BASSA: comprendente i fenomeni con velocità massima attesa da estremamente lenta a lenta (espansioni laterali, deformazioni gravitative profonde di versante e concavità morfologiche in creep). Ciascuna tipologia di frana riportata nella “Carta inventario dei fenomeni franosi”, sia nel caso di frane attive che quiescenti, è stata quindi collocata in una delle tre classi d’intensità succitate. 1. Crolli e frane di flusso rapido (colate rapide di fango, colate di detrito e colate rapide in terreni prevalentemente marnoso-argillosi). E’ riconosciuto che questi fenomeni si manifestano con velocità da rapida ad estremamente rapida, collocabili nelle classi 5, 6 e 7 della classifica di Cruden e Varnes (1994); pertanto essi rientrano nella classe di intensità ALTA. 2. Colate lente-colamenti. L’analisi di alcuni dati di letteratura riferiti a casi riscontrati nell’Appennino Centro-Meridionale (Fig.1), lasciano supporre che tali fenomeni avvengano con velocità comprese tra 16 mm/anno e 1.8 m/h e, quindi, siano collocabili nella classe di intensità MEDIA. 3. Scorrimenti rotazionali e traslativi. Anche in questo caso, gli esempi di scorrimenti rotazionali e traslativi studiati si collocano prevalentemente nella classe d’intensità MEDIA. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 61 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Fanno eccezione i due casi di Senise e Colledimezzo, che vengono descritti come casi di neoformazione e che, quindi, esulano dai casi richiesti dal D.L. 180/98. 4. Tutte le tipologie di frana classificate con stato di attività “inattivo” possono presentare al massimo locali movimenti di assestamento con velocità estremamente lenta. 5. Deformazioni gravitative profonde di versante, espansioni laterali e concavità morfologiche in creep. Sono fenomeni classificabili da estremamente lenti a lenti e, quindi, si inseriscono nella classe d’intensità BASSA. Per la valutazione delle velocità delle colate lente-colamenti sono stati analizzati alcuni casi riportati in letteratura e avvenuti nell’Appennino Centro-Meridionale (Tab. 6 e FIG. 1). Per due di essi (Bisaccia e Castelfranci) sono note le velocità massime annuali, per la frana di Calitri, riattivata in seguito al sisma del 1980, si conosce la velocità massima oraria, mentre per le rimanenti si conoscono le velocità massime mensili. Nel primo caso (velocità riferita all’anno), i valori di velocità rientrano nella classe 2 di Cruden e Varnes (1994); nel caso di Calitri (m/h) si colloca nella classe 4, mentre le velocità massime mensili rientrano nella classe 3. In riferimento, invece, alla classifica semplificata, tutti i valori di velocità massime appartengono alla classe d’intensità MEDIA. Allo stesso modo, sono stadi studiati anche i casi di scorrimento rotazionale e traslativo avvenuti, ad eccezione della frana di Senise, in formazioni strutturalmente complesse dell’Appennino Centro-Meridionale. I movimenti analizzati comprendono le fasi parossistiche del fenomeno o le riattivazioni dello stesso, anche per sisma. Soltanto in quest’ultimo caso (Andretta e Torella) e per gli eventi di neo-formazione (Senise, Colledimezzo e S. Barbara) si riscontrano velocità moderate o rapide, con spostamenti significativi avvenuti in un intervallo temporale di qualche ora o qualche giorno. Nei casi di riattivazioni post-parossistiche, invece, le velocità rientrano nella classe 2 di Cruden e Varnes (1994) e gli spostamenti diventano considerevoli in un intervallo temporale di qualche mese o anno. Se si escludono i casi di neoformazione, che esulano dai casi richiesti dal D.L. 180/98, tutti gli eventi di tratti dalla letteratura ricadono nella classe d’intensità MEDIA. Per le D.P.G.P. sono stati analizzati i risultati del monitoraggio di Rosone, che risultano coerenti con l’inserimento di tali tipologie nella classe di intensità BASSA. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 62 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” In generale i dati ricavati dalle analisi dirette della bibliografia disponibile analizzata non sono in contrasto con quanto normalmente riportato in studi precedenti riguardanti le valutazioni sull’intensità dei fenomeni franosi. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 63 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 4 – Tessuto urbano e danni segnalati 4.1 – Insediamenti urbani e infrastrutturali Al fine della individuazione degli elementi urbani e infrastrutturali si sono censite tutte le aree nelle quali sono presenti insediamenti antropici, infrastrutture, beni di rilevanza storica, architettonica e culturale. Il censimento e’ stato effettuato attraverso lo studio di documenti di base opportunamente integrati opportuni approfondimenti e rilievi. In particolare si e’ proceduto a : • lettura ed elaborazione sintetica dei P.R.G. e dei P.d.F. disponibili dei comuni ricadenti sul territorio dell’Autorità; • lettura delle foto aree disponibili in varia scala ed in epoche recenti ; Si e’ proceduto , altresì, a: individuare gli agglomerati urbani: sono state perimetrate i nuclei urbani consolidati; individuare le zone di espansione: sono state perimetrate le aree destinate a nuovi insediamenti; individuare i nuclei con edificazione diffusa: dalle lettura delle foto aree si e’ provveduto a perimetrare tutte quelle aree nelle quali era visibilmente presente un nucleo diffusamente urbanizzato che non era stato censito dai P.R.G. o dai P.d.F.; individuare le aree su cui insistono gli insediamenti produttivi, gli impianti tecnologici di rilievo, sono state perimetrate le aree destinate ad insediamenti produttivi individuare le infrastrutture a rete e le vie di comunicazione di rilevanza strategica: , le vie di comunicazione di rilevanza strategica sia carrabili che ferrate. Per quanto riguarda le vie di comunicazione di rilevanza strategica sono state individuate le strade carrabili e quelle ferrate. Per le strade carrabili sono state censite tre tipologie, vale a dire, le autostrade, le strade di grande comunicazione, le strade di interesse regionale, sono stati tralasciati i tronchi, anche asfaltati, di interesse locale, individuare le aree di servizi pubblici e privati; individuare i vincoli a cui sono sottoposte aree e beni nel territorio dell’Autorità e soprattuto quelle perimetrate all'interno del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 64 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” L’insieme degli elementi censiti e’ stato elaborato su cartografia, in scala 1:25.000, dell’I.G.M. e riportato, al momento, su carta d’insieme in scala 1:70.000 circa. La Carta degli elementi urbani e delle infrastrutture e’ costruita come una semplice carta di rilievo, su cui e’ riportata la relativa legenda che fa essenzialmente riferimento agli elementi indicati nel D.L. 180/98: 1. Autostrade, cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000; 2. Strade di grande comunicazione cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000; 3. Strade di interesse regionale cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000; 4. Ferrovie cosi come rilevate dalla topografia di base e, nei casi di nuova costruzione, dall’Atlante Stradale del Touring Club Italiano in scala 1:200.000; 5. Zone A - B dei P.R.G. e dei P.d.F. (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone A sono gli agglomerati urbani che rivestono carattere storico, le zone B sono le aree di completamento nelle quali preesiste una diffusa edificazione); 6. Zone C dei P.R.G. e dei P.d.F. (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone C sono le zone di espansione che sono destinate a nuovi insediamenti in aree prive di struttura urbana e nelle quali la densità edilizia preesistente e’ ancora modesta); 7. Zone D esistenti e di progetto dei P.R.G. e dei P.d.F. . (dal D.L. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone D sono le parti del territorio destinate ad insediamenti per impianti produttivi ed ad essi assimilati); 8. Zone F dei P.R.G. e dei P.d.F (dal D.I. n. 1444 del 2 aprile 1968 le zone F sono le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale); 9. Cimiteri individuati dalla topografia di base; 10.Grandi parchi urbani esistenti e di progetto individuati nei P.R.G. e nei P.d.F.; 11.Zone turistiche individuate nei P.R.G. e nei P.d.F.; 12.Cave , discariche e depuratori censiti dai P.R.G. e dai P.d.F.; 13.Vincoli della Legge 1089/39 censiti dai P.R.G. e dai P.d.F.; Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 65 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” La difficoltà del compito, il numero elevato di oggetti da censire, la limitata disponibilità di tempo e, in alcuni casi la mancata collaborazione degli Enti individuati come detentori di informazioni necessarie per l’individuazione degli elementi esposti al rischio, ha fatto sì che la carta di sintesi degli elementi urbani e delle infrastrutture non sia omogenea su tutto il territorio dell’Autorità di Bacino, dovendo piuttosto intendersi come una base di partenza che può essere sistematicamente aggiornata in funzione delle conoscenze acquisite.. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 66 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 4.2 – Danni segnalati Al fine di acquisire elementi sui danni prodotti dai movimenti franosi si sono utilizzate le seguenti fonti: - Le schede inviate a tutti i comuni e gli enti locali ricadenti nel territorio del bacino dall'Autorità di Bacino ai sensi del D.L.180/98 e facenti parte della Proposta di Piano degli interventi della stessa Autorità - Le segnalazioni e le relative verifiche di pericolo incombente in possesso del Dipartimento di Protezione Civile. - Gli elenchi della Unita di Crisi di cui all'Ordinanza 2499/97 - Le schede dei sopralluoghi effettuati dal CTS di cui all'Ord. 2499/97 Le segnalazioni, sono state cartografate su basi topografiche I.G.M. in scala 1:25000 I danni segnalati dai Comuni sono stati confrontati con la "Carta degli insediamenti urbani e delle infrastrutture” (redatta con la metodologia discussa nel precedente capitolo), individuando, in prima approssimazione, i beni esposti a rischio così come definiti dal D.L. 180/98, per la individuazione delle aree a rischio molto elevato R4 nelle aree interessate da frane a media intensità. Si deve, a tal riguardo sottolineare che nonostante la parziale e disomogenea disponibilità dei dati è stato definito, anche se in maniera non estesa e completa, un primo quadro conoscitivo dei danni causati dalle frane. Comunque tale attività, come già accennato nella relazione generale, dovrà proseguire in funzione: • delle attività previste per il Piano stralcio delle aree in frana • delle azioni previste nel piano per la mitigazione del rischio idrogeologico. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 67 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” 5 – La perimetrazione delle aree a rischio molto elevato (R4) La cartografia tematica per la rappresentazione delle aree a rischio classificate R4 si è ottenuta dalla intersezione delle aree individuate nella “Carta delle intensità dei fenomeni franosi” con i danni segnalati dagli Enti. In particolare si sono perimetrate come R4 le aree di insediamento urbano o di infrastrutture importanti che ricadono nel perimetro dei fenomeni franosi classificati ad Intensità Alta nella “Carta delle intensità dei fenomeni franosi”; nel caso di fenomeni di flusso rapido il perimetro comprende non solo la zona di accumulo dell’evento franoso cartografato ma anche l’area di invasione documentata da fenomeni di immediato riconoscimento morfologico, già avvenuti nel passato molto recente. La restante area del perimetro di frana è stata classificata di Alta Attenzione, comprensiva per le frane di flusso rapido anche della possibile zona di alimentazione, situata a monte dei fenomeni, riconoscibile in base ad evidenze morfologiche. Nel caso di incompleta conoscenza del tessuto urbano oggi esistente e della localizzazione degli sviluppi previsti, per mancanza di informazioni, sono state perimetrate R4 le aree urbane ed infrastrutture segnalate, nella cartografia IGM 1954, STR CAMPANIA 1984/1992 per un raggio significativo. Nel perimetro di frane con velocità elevata, sono state indicate come zone di Alta Attenzione le restanti aree che ricadono nel perimetro della stessa frana. Nella restante parte di ciascun territorio comunale, le frane esterne alle aree urbanizzate e classificate con “Intensità Alta” sono state segnalate come aree di Alta Attenzione. In assenza di aggiornamento dei dati urbanistici e di programmazione urbanistica, le frane con “intensità alta” sono state ugualmente segnalate nel territorio comunale come Aree di Alta Attenzione. Aree di Rischio molto elevato sono state perimetrate anche in corrispondenza di insediamenti urbani ed infrastrutture importanti con danni persistenti e/o ingenti che ricadono all’interno dei perimetri di frana con “Intensità Media”. Sono state classificate “Aree di Attenzione” le porzioni di territorio che ricadono nel perimetro di frana con “intensità media” in cui ricadono insediamenti urbani o infrastrutture o beni ambientali di rilevante interesse. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 68 C.U.G.RI. Consorzio inter-Universitario per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi Università di Salerno – Università di Napoli “Federico II” Non sono state riportate nella “Carta del Rischio” le frane con intensità media, che non interagiscono con elementi riportati nel D.L. 180/98, le frane inattive, le Espansioni Laterali di Pendio e le Aree soggette a fenomeni di Deformazione Gravitative Profonde di Versante e i fenomeni di creep. Piano Straordinario per la rimozione delle situazioni a rischio più alto D.L.180/98 –L.267/98 – DPCM settembre ’98 - L.226/99 Relazione generale rischio di frane 69