Vi prego, indignatevi! - Comune di Pecetto di Valenza

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Vi prego, indignatevi! - Comune di Pecetto di Valenza
er babàn d’Apsaei
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Un duplice successo nel segno dell’arte
di Maria Patrizia Peola
Primo Premio - Angeleri “Il giallo vince il blu”
Secondo Premio - Iuricich “Albero in piazza”
Terzo Premio - Oddone “Dalle redini”
La Pro Loco “Giuseppe Borsalino” ha organizzato nello scorso
mese di settembre due importanti manifestazioni apprezzate
dai Pecettesi: una mostra fotografica ed un concorso di pittura
estemporanea. In particolare, il 2
settembre è stata inaugurata, alla
presenza delle autorità comunali,
una mostra di fotografie che
ha raccolto 23 riproduzioni di
aspetti caratteristici del nostro
paese nella bella saletta appositamente allestita presso il centro
comunale di cultura. Alcune
istantanee sono state ricavate
da cartoline d’epoca, altre sono
state scattate recentemente dal
socio e membro del direttivo
Claudio Bonadio e, particolarmente apprezzate, quattro opere
offerte dal sindaco Flavio De
Stefani raffiguranti persone di
Pecetto riprese nelle loro attività
quotidiane. Per molti di noi è
stata l’occasione per tornare con
la memoria al passato: il lavoro
degli artigiani, i carri trainati
dai buoi, la fatica dei contadini,
le vigne, il profumo del mosto,
ecc.
Il ricordo del passato ha anche
sollecitato il direttivo Pro Loco
a riprendere una consuetudine
dimenticata alcuni decenni fa:
il concorso di pittura estemporanea. In concomitanza con
la festa patronale, nei giorni 7
e 8 settembre si è svolta la gara
che ha visto la partecipazione di
20 pittori provenienti da varie località della Regione e non solo.
Le opere, tutte molte pregevoli,
hanno ripreso alcuni angoli di
Pecetto; sono state utilizzate tecniche diverse – olio, acquerelli,
tempere, pastelli – in ogni caso
con intelligenza e fantasia. Il
primo premio è stato assegnato
alla pittrice Liliana Angeleri per
l’originalità dell’opera “Il giallo
vince sul blu”. Si è aggiudicato
il secondo premio il sig. Juricich,
pittore molto noto a Pecetto per
aver partecipato a molte edizioni
del concorso ottenendo sempre
risultati di rilievo, con l’opera
“Albero in piazza”. Terzo classificato il sig. Oddone, pittore
pecettese di adozione che ha presentato una particolare “Veduta
dalle redini” apprezzata dalla
giuria e dal pubblico presente
alla premiazione.
Da segnalare la simpatica e
qualificata partecipazione della
famiglia Evaso, davvero famiglia di artisti: il padre ingegnere
è stato premiato con il quarto
premio per la bella “Veduta di
Pecetto”; il figlio ha ricevuto una
menzione per la perfetta prospettiva e l’originalità della tecnica
con la quale ha rappresentato Via
Borsalino e la Parrocchiale; la
figlia ha partecipato con un’ope-
ra pop dai colori contrastanti di
sicuro effetto.
Il quinto premio è stato assegnato a Maddalena Anna la quale,
timida al momento dell’iscrizione, dichiarava di partecipare
per gioco non pensando di avere
alcuna possibilità di aggiudicarsi
un premio, mentre il suo quadro,
di piccole dimensioni ma ben
eseguito, è stato valutato positivamente dalla giuria.
Questi i vincitori, tuttavia tutte
le opere esposte sono state giudicate ad alto livello e, se qualche inevitabile polemica è stata
suscitata dalla scelta dei giudici,
molti hanno apprezzato l’organizzazione e la cordialità della
manifestazione. A ricordo della
giornata a tutti i partecipanti
sono stati donati vino ed uva (offerti dalla famiglia Marchelli),
amaretti forniti dalla pasticceria
Torti di Valenza e l’amaro dei
Frati della Confraternita del SS
Rosario di Pecetto.
Vorrei esprimere un sentito ringraziamento ai componenti della
giuria per la loro disponibilità e
competenza: dott.ssa Stefania
Novello – vice sindaco; prof.
Luciano Orsini – esperto d’arte;
sig. Fortunato Andreosi – pittore;
dott. Fabio Bosco – artista.
E ora si riprende con le attività
dell’autunno: il coinvolgimento
dei bambini delle scuole in un
importante progetto sul riciclaggio dei rifiuti e la raccolta
differenziata che si concluderà
in prossimità del Natale con
l’esposizione dei lavori ed un
simpatico scambio di auguri;
le conferenze del prof. Luciano
Orsini e del gruppo astrofili; lo
spettacolo teatrale della compagnia “Teatro della nebbia” (19
gennaio) che porterà in scena la
commedia “I ladri” di Dario Fo;
e le mostre personali di pittori
che si avvicenderanno con cadenza mensile.
Segnalo, inoltre, un’iniziativa
che potrà essere realizzata nel
mese di maggio con il contributo
di tutte le signore che vorranno
esprimere la propria creatività
sul tema “Le rose” attraverso
ricami, decoupages, ceramiche,
ecc. In ultimo un consiglio: curate i vostri balconi ed i giardini
in modo che a maggio possano
essere un trionfo di colori e profumi.
Vi prego, indignatevi!
di Pierpaolo Pavese
L’indignazione, secondo il vocabolario della lingua italiana, è lo
stato d’animo di chi prova sdegno, risentimento. L’indignazione è un sentimento importante;
essa induce un essere umano a
reagire di fronte a fatti o situazioni che offendono l’orgoglio,
la dignità, il comune senso civico
o, peggio, che calpestano i diritti
e la libertà del nostro prossimo e,
quindi, anche la nostra.
L’indignazione è il campanello
d’allarme che ci avvisa quando
si supera il limite del non rispetto dei valori cardine della nostra
società.
Non sono soltanto la negazione
dei diritti umani da parte di dittature, o i delitti efferati, o gli
scempi alla natura e all’arte che
devono farci indignare e reagire,
ma più semplicemente devono
esserlo i comportamenti e gli
atteggiamenti che ci coinvolgono tutti i giorni ma che passano
sempre più inosservati alla nostra coscienza perché ritenuti (o
divenuti?) “normali”. Un caso
per tutti accaduto la scorsa estate
su un’affollata spiaggia palermitana: un settantacinquenne, colto
da un malore, muore e viene
lasciato coperto da un asciugamano per ben cinque ore prima
di essere portato via. Intorno al
cadavere bambini che giocano e
adulti intenti a spalmarsi creme
abbronzanti o a godersi i benefici
di un bel bagno.
Potremmo elencare chissà quanti
altri episodi di cui veniamo a conoscenza che non inducono più
in noi sdegno, pur rappresentando inciviltà, prepotenza ed egoismo. Così stupore, incredulità e
rassegnazione hanno sostituito
poco a poco l’indignazione. Il
degrado della nostra società,
non più molto lento, celebra la
sua vittoria. Per questo motivo
credo che sia necessario riflettere su quali comportamenti e
informazioni non si debbano più
accettare senza reagire con sdegno. Non dobbiamo celare questi
sentimenti; esterniamoli e contagiamo il nostro prossimo, facendo sentire in imbarazzo o “isolato” chi si rende autore di azioni
incivili o prepotenti. Basta uno
sguardo, una parola, per non accettare lo sgarbo ad un anziano,
le immondizie disperse per strada o smaltite impropriamente, le
parolacce che diventano un’intercalare, le furberie anche solo
raccontate, e nemmeno le notizie
di cronaca nera dispensate come
fossero favole o fumetti.
Tuteliamo la nostra società dal
degrado dell’inciviltà, anche
quella è una forma d’inquinamento.
Vi prego, indignatevi!
er babàn d’Apsaei
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Centro Culturale Borsalino: un primo bilancio
di Flavio De Stefani
A un anno di distanza dall’inaugurazione del Centro Culturale
Comunale e dalla sua straordinaria ristrutturazione conservativa,
mi preme sottolineare l’aiuto
ed il sostegno ricevuto da parte
della Regione Piemonte nei confronti di un progetto originale
ed interessante che da subito ha
cercato di coniugare al suo interno diverse anime e molteplici
obiettivi. Alla prima tranche di
finanziamenti di € 400.000,00
per il salone e € 120.000,00 per
la biblioteca, si è aggiunta una
seconda tranche di € 25.000,00
per il completamento degli impianti e l’integrazione degli arredi dell’auditorium e € 50.000,00
per l’abbattimento delle barriere
architettoniche e l’integrazione
degli arredi della biblioteca,
della ludoteca e dell’emeroteca
(ricordo che la differenza è stata
compensata dall’amministrazione comunale con gli introiti della
discarica).
I funzionari regionali hanno valutato positivamente l’intenzione
di mischiare tutte quelle iniziative aggreganti che una piccola società come la nostra è in grado di
produrre e promuovere (cultura,
tradizioni eno-gastronomiche,
intrattenimento, musica, ballo,
gioco, volontariato, …), attività che potrebbero determinare
qualche difficoltà nella gestione
organizzativa degli spazi per la
convivenza di pubblico, privato ed associazionismo, ma che
rappresentano proprio la nostra
forza nonché motivo di vanto.
I contributi ricevuti non sono stati, tuttavia, sufficienti per completare l’acquisto degli arredi:
per questo motivo, in qualità di
Sindaco, ho deciso di rivolgermi
personalmente ad alcuni pecettesi con i quali condivido rapporti
di stima ed amicizia chiedendo la
disponibilità a donazioni mirate
(a seguire l’elenco dei “benefattori”). In questo modo, dal
mese di giugno ad oggi abbiamo
raccolto € 15.900,00 un importo
notevole che chiunque potrà
ulteriormente incrementare rivolgendosi al sottoscritto oppure
agli assessori comunali.
Sarà, inoltre, possibile contribuire alla completa realizzazione del
Centro Culturale anche donando
materiale relativo alla storia del
nostro Paese – per lasciare alle
generazioni future le memorie
del passato – e materiale bibliografico che potrà incrementare
i volumi a disposizione della
biblioteca.
Roberto Dezani ha 38 anni, di origini astigiane, è nato ad Alessandria e risiede a
Pecetto di Valenza dal 1996; sposato con Alessandra e papà di Luca, 4 anni.
Eentrato nell’Arma come militare di leva, ha poi scelto di rimanere ed ha frequentato il Corso per Sottufficiali a Velletri (RM) per seguire la propria vocazione e la
tradizione di famiglia.
Attualmente è Maresciallo Capo dei Carabinieri, Comandante del nucleo radiomobile della Compagnia Carabinieri di Voghera ed ha partecipato alla Missione IPU
come volontario.
L’impegno, la partecipazione e
la pazienza dei singoli saranno
elementi imprescindibili per far
crescere e decollare un progetto
degno di nota senza condannarlo
ad un possibile fallimento.
Elenco donazioni:
Associazione Violenza Po Onlus
€ 500,00
Callegher Flaviano e famiglia
€ 3.000,00
De Stefani Flavio e famiglia
€ 1.000,00
Fratelli Amodio
€ 4.000,00
Lucotti Ercole e famiglia
€ 1.100,00
Orsini Mauro e famiglia
€ 500,00
Pastelli Riccardo e famiglia
€ 4.000,00
N.N.
€ 300,00
N.N.
€ 500,00
N.N.
€ 1.000,00
Missione “I.P.U.” in Bosnia Erzegovina
di Roberto Dezani
Nei Paesi Europei ed Extraeuropei sono attive più di dieci missioni che vedono la presenza dei
Carabinieri Italiani come forza
militare e di polizia. Attualmente
sono più di 1000 i nostri Carabinieri impegnati in “missioni
attive fuori area” sia sotto il patrocinio di ONU, NATO, UE, e
OSCE, sia in seguito ad accordi
internazionali.
Sin dal 1855 l’Arma dei Carabinieri può vantare una forte
consuetudine di interventi volti
al conseguimento della pace, a
supporto di operazioni umanitarie e per l’addestramento delle
Forze di Polizia e Gendarmeria
di Paesi stranieri.
Ciò che la contraddistingue come
forza militare e, nel contempo,
come forza di polizia le ha facilmente permesso di essere parte
attiva e sinergica nei molteplici
interventi a cui ha partecipato.
Il fiore all’occhiello dell’Arma
dei Carabinieri in tema di missioni operative fuori area è rappresentato dai Reggimenti MSU
(Multinational Specialised Unit)
creati nel 1998 per sopperire all’esigenza di sicurezza che si era
venuta a creare nei territori balcanici della Ex-Jugoslavia, dove
le varie missioni sotto l’egida
della NATO necessitavano di
un supporto militare e, al tempo
stesso, di polizia.
I Reggimenti MSU dei Carabinieri hanno eliminato efficacemente la cosiddetta “area grigia”
contraddistinta dal mancato
addestramento specifico e settoriale delle truppe militari che
si sono formate dopo il tragico
conflitto nella gestione delle
problematiche inerenti a compiti
propri di polizia.
I complessi scenari operativi,
cui le MSU sono stata chiamate
a intervenire in ambito NATO,
hanno portato l’Unione Europea ad istituire delle analoghe
unità da impiegare rapidamente
nei medesimi teatri operativi, in
ottemperanza ai compiti scaturiti
dal Trattato di Petersberg.
Attualmente, in Bosnia Erzegovina è operativo il Reggimento
IPU (Integrated Police Unit),
alle dirette dipendenze dell’EUFOR. Il Reggimento IPU
composto da 300 Carabinieri
specificatamente individuati dal
Comando Generale, da unità
rumene, ungheresi, olandesi e
turche, fornisce un importante
supporto alle polizie locali.
Da quando le aree balcaniche si
sono stabilizzate, gli sforzi della
MSU e della IPU sono orientati
principalmente verso la lotta alla
criminalità organizzata, assicurando supporto e collaborazione
fattiva alle Autorità Bosniache:
sono stati arrestati, infatti, pericolosi latitanti ricercati in tutto
il mondo per crimini di guerra e
contro le popolazioni civili, oltre
che per reati comuni.
In questo contesto, e precisamente presso la Base Militare Butmir di Sarajevo, si colloca la
mia permanenza alle dipendenze
del Reggimento IPU in Bosnia
Erzegovina dal 30 giugno 2006
al 10 aprile 2007, esperienza che
mi ha arricchito enormemente,
non solo da un punto di vista
professionale (confrontandomi
quotidianamente con appartenenti alle più svariate forze di
polizia di diversi Paesi Europei
ed Extraeuropei), ma soprattutto
dal punto di vista umano.
Infatti, non potrò mai scordare
la gioia sincera espressa dai
bambini bosniaci di una piccola
comunità sulle alture di Sarajevo
quando mi sono recato con altri
militari appartenenti alle forze
di coalizione a portar loro generi
alimentari e giocattoli provenienti dall’Italia in occasione
delle festività del Santo Natale
2006.
er babàn d’Apsaei
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Formazione professionale: aperte le iscrizioni
di Maria Antonietta Tucciarone
La Scuola di Formazione Professionale del Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali del
Valenzano e Basso Monferrato
opera da oltre 20 anni nel settore
della formazione degli adulti
occupati e disoccupati attraverso iniziative didattiche rivolte
al personale dei servizi socioeducativi, socio-assistenziali e
socio-sanitari.
I corsi erogati di Prima Formazione, Riqualificazione e
Aggiornamento, sono finanziati
dalla Provincia di Alessandria
mediante contributi nazionali
e comunitari. In particolare la
Prima Formazione ha l’obiettivo
di valorizzare segmenti di popolazione non attivi nel mondo
del lavoro o che necessitano di
una ricollocazione lavorativa: in
tal senso il C.I.S.S. si configura
come agenzia del territorio ope-
rativa nella politica sociale.
Il 95% degli allievi qualificati
trova un lavoro nel settore di
pertinenza, in particolare è consuetudine che gli allievi frequentanti i corsi di Operatore Socio
Sanitario siano ricercati come
futuri tecnici ancora prima della
chiusura dei corsi stessi, tanto
forte è l’esigenza di tale figura
professionale.
Le metodologie utilizzate nelle
attività formative cercano di
valorizzare il potenziale dei
soggetti coinvolti, garantendo la
centralità degli allievi ed il loro
coinvolgimento attivo.
La Scuola di Formazione Professionale oltre ad essere certificata
per il Sistema Qualità secondo la
norma UNI EN ISO 9001:2000 è
anche accreditata dalla Regione
Piemonte come Sede Operativa
di Formazione Professionale.
OPERATORE SOCIO-SANITARIO (1.000 ore) Sede di svolgimento: Valenza/Alessandria
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
ELEMENTI DI ASSISTENZA FAMILIARE (200 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
TECNICHE DI SOSTEGNO ALLA PERSONA (400 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
OPERATORE SOCIO-SANITARIO MODULO FINALE (400 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
ELEMENTI DI ASSISTENZA FAMILIARE (240 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: immigrati stranieri disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria di 1° grado
TECNICHE DI SOSTEGNO ALLA PERSONA (400 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: immigrati stranieri disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria di 1° grado
EDUCATORE PRIMA INFANZIA (1.000 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 2° grado
TECNICO DI LABORATORIO EDUCATIVO (600 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 2° grado
OPERATORE ADDETTO PULIZIA (130 ore) Sede di svolgimento: Alessandria
Destinatari: immigrati stranieri disoccupati privi di licenza di scuola secondaria di 1° grado
SVILUPPO COMPETENZE AZIENDALI IN AMBITO SOCIO-SANITARIO (200 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di qualifica relativa al personale
socio-sanitario
TECNICHE DI PREVENZIONE DEL BURN OUT (90 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di qualifica relativa al personale
socio-sanitario
TECNICHE DI ASSISTENZA DEMENZE E ALZHEIMER (90 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di qualifica relativa al personale
socio-sanitario
TECNICHE DI ANIMAZIONE GERIATRICA (200 ore) Sede di svolgimento: Valenza
foto al
Peracchio
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di qualifica relativa
personale
socio-sanitario
AIUTANTE CUCINA (280 ore) Sede di svolgimento: San Salvatore Monferrato
Destinatari: immigrati stranieri disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria di 1° grado
OPERATORE DI GIARDINAGGIO (800 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) disoccupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
AGGIORNAMENTO INFORMATICO – ECDL (120 ore) Sede di svolgimento: Valenza
Destinatari: giovani (>18 anni) e adulti (>25 anni) occupati in possesso di licenza di scuola secondaria
di 1° grado
L’ammissione ai corsi è subordinata al superamento di prova selettiva
Per maggiori informazioni rivolgersi alla Segreteria della Scuola di Formazione Professionale del
CISS Strada per Solero, 10 – Regione Gropella – 15048 Valenza (AL)
dal lunedì al venerdì con orario 09.00-13.00 / 14.00-17.00
Tel. 0131-921418/19 Fax 0131- 941168
e-mail: [email protected]
sito web: www.cisscomuniassociati.it/formazione
AZIONI FINANZIATE DALLA PROVINCIA DI ALESSANDRIA MEDIANTE
CONTRIBUTI NAZIONALI E COMUNITARI
LA FREQUENZA AI CORSI E’ COMPLETAMENTE GRATUITA
I CORSI VERRANNO ATTIVATI SOLO DOPO AUTORIZZAZIONE E FINANZIAMENTO
DA PARTE DELLA PROVINCIA DI ALESSANDRIA
er babàn d’Apsaei
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Progetto “Filiera Corta”: per educare al consumo responsabile
di Viviana Forsinetti
Il progetto “filiera corta” è un’iniziativa promossa dagli Assessorati alle Politiche Ambientali,
Coldiretti, AIAB (Associazione
Italiana Agricoltura Biologica),
Istituzioni e Associazioni a Tutela dei Consumatori, che si sta
diffondendo con esiti positivi ed
ha lo scopo di ridurre ai minimi
termini il sistema distributivo e
la distanza fra il luogo di produzione e il consumatore finale.
L’idea è semplice: limitare al
minimo gli intermediari e accorciare lo spazio fra il campo e la
bocca. Questa opportunità sarebbe vantaggiosa sia da un punto
di vista sociale che ecologico,
soprattutto riuscendo a creare
un rapporto diretto tra piccoli
coltivatori di alimenti di qualità e acquirenti, offrendo prezzi
più convenienti e garantendo
un’equa remunerazione attraverso nuovi canali di vendita. Parliamo quindi di prodotti locali “a
chilometro zero”, sostenibili dal
punto di vista ambientale poiché
minimizzano il consumo di carburante necessario al trasporto,
contribuendo così a ridurre l’inquinamento atmosferico e, nello
stesso tempo, garantiscono migliori condizioni di genuinità e
freschezza, conseguenza diretta
della loro stagionalità.
Si delinea, quindi, un modello
di sviluppo locale più corretto e
consapevole, più equilibrato che
lentamente si promuove attraverso i mercatini nelle piazze (ad
esempio il mercatino terre alessandrine, tutti i secondi sabati del
mese in Alessandria o l’analoga
iniziativa mensile a Valenza), ma
anche con spazi sugli scaffali dei
centri commerciali dove i prodotti locali del territorio possono
trovare posto.
Secondo la Coldiretti, consumando prodotti locali e di stagione e con un po’ di attenzione
agli imballaggi, una famiglia
può risparmiare fino a 1000 chili
di anidride carbonica l’anno, un
dato significativo che ci invita a
riflettere sul nostro stile di vita e
di consumo, sulle nostre abitudini
alimentari. Agire di conseguenza
significa impegnarci a consumare alimenti prodotti vicino a noi,
ad organizzare la nostra dieta, per
quanto possibile, con ingredienti
che si trovano stagionalmente
nella nostra zona, invece che
farli spedire da luoghi esotici.
Un impegno richiesto anche alle
amministrazioni comunali che,
al fine di migliorare l’accesso ai
mercati degli alimenti locali, dovrebbero destinare spazi adeguati agli imprenditori agricoli che
desiderano vendere direttamente
i loro prodotti.
In Italia le iniziative “a chilometro zero” si moltiplicano, segno
che la coscienza ambientale sta
progressivamente maturando e
che una parte dei consumatori
ha riconosciuto ed identificato
quei locali (ristoranti, trattorie,
gelaterie) che utilizzano prodotti
del territorio (olio, vino, verdura,
frutta, carne, salumi, formaggi)
acquistati direttamente in zona,
spesso utilizzati anche nelle
mense scolastiche ed ospedaliere. Questa nuova tendenza all’acquisto diretto sembra ancora
(in apparenza) sporadica ma, nel
2005 ad esempio, il 35% delle
famiglie italiane ha fatto almeno
una volta la spesa direttamente in
azienda.
Indicazioni confortanti che
trovano riscontro nei numerosi
gruppi di acquisto collettivi che
vanno diffondendosi e che sono
diventati naturali valvole di sfogo per le produzioni locali poiché visti come interessanti bacini
di mercato.
Parliamo di gruppi spontanei di
persone che si aggregano e comprano ciò che serve direttamente
da chi produce, una forma efficace di resistenza al rincaro dei
prezzi e un ammirevole tentativo
di ridurre inquinamento e spreco
di energia derivanti dai ripetuti
spostamenti che le merci subiscono. Scegliendo cosa, quando
e quanto consumare, da chi
comprare, insomma valutando
criticamente le nostre scelte economiche, è possibile contribuire
a ridurre problemi ed emergenze
ormai mondiali ma soprattutto
sostenere ed incentivare economie e produzioni locali.
C’era una volta... Scene di vita quotidiana
di Claudia Lombardi
Siamo negli anni Trenta, è inverno ed è una qualsiasi giornata di
una famiglia contadina. La prima
ad alzarsi, verso le sei e mezza,
è la mamma che scende in cucina e subito si lava il viso con
l’acqua del secchio (non tutte le
abitazioni sono servite dall’acqua potabile e normalmente si
utilizza quella del pozzo per gli
usi domestici), accende il fuoco
nel camino con scarò (canne)
e tutè (tutoli delle pannocchie)
per riscaldare la pentola d’acqua che le servirà a “bagnare” il
cibo delle galline. Sale poi sulla
cascina e butta giù dal grupiò
(un apposito foro nel soffitto) il
fieno per il bue che è nella stalla
sottostante. Rientra in cucina e
aggiunge all’acqua calda crusca
e farina gialla: una sorta di polentone che versa su un’asse nel
cortile; le galline libere nell’aia
subito accorrono a beccare il loro
pasto. Approfittando del fatto
che le ignare galline stanno mangiando, la signora le “tocca” per
accertarsi se deporranno le uova.
Svolte queste prime incombenze, la mamma sveglia le figlie e
il marito e prepara la colazione:
latte con il pane casereccio per le
bambine e caffé a volte corretto
con grappa per il marito. È ora
di andare a scuola, fa freddo, bisogna coprirsi bene: una bartula
in testa, uno sciarpone al collo
e calzettoni confezionati dalla
mamma – tutti di lana che magari pungono un po’ ma sono tanto
caldi – e gli zoccoli di legno ai
piedi. La mamma riscalda nuovamente l’acqua per preparare
“il bere” del bue, aggiunge foglie
di verze, pezzi di zucca e crusca.
Una volta intiepidito, il marito
lo porta nella stalla per il bue.
In mattinata la mamma accende
la stufa per riscaldare la casa,
rifà i letti e sbriga le faccende
domestiche, quindi prepara il
pranzo. Abitualmente cucina una
minestra con fagioli o verze, con
il riso o con la pasta fatta in casa,
oppure la polenta e il merluzzo
o altri intingoli, tranne la domenica quando è consuetudine
preparare gli gnocchi al sugo. Il
papà dopo aver accudito il bue,
se il tempo, seppure freddo, è
bello e asciutto, va nella vigna
a bracià (operazione che serve a
preparare il terreno per impiantare nuovi vitigni o coltivare l’orto
in primavera). A mezzogiorno
tutti a tavola, al caldo della stufa;
a volte però, se si brucia legna
ancora verde si produce un fumo
nero e denso ed è necessario
spalancare la porta per respirare, e addio caldo! Dopo pranzo,
il papà si reca nella stalla per il
riposino, raggiunto poi dal resto
della famiglia. Le bambine fanno
i compiti, la mamma sferruzza o
rammenda, ci sono le balle di paglia e alcuni sgabelli per sedersi.
Nel pomeriggio la stalla diventa
il luogo di ritrovo anche per il
vicinato, c’è il giusto tepore, si
sta bene e si risparmia la legna
della stufa. Gli uomini parlano
dei lavori in campagna, raccontano storie di guerra e a volte
ne intonano i canti. Le donne si
dedicano a lavori di cucito tutte
raccolte intorno alla fievole luce
di una lampadina che scende dal
soffitto; anche i pettegolezzi sul
resto del paese sono un ottimo
argomento di conversazione a
patto di non rivelarli a nessuno!
Terminati i compiti, le bambine
sono intrattenute dalle donne
più anziane con favole e vecchi
racconti mentre, in periodo di
novene, si va in chiesa a pregare
e cantare.
Verso le cinque, ognuno torna
a casa propria per preparare la
cena: una minestrina, un’insalata
di cavoli, un pezzetto di salamino con le verze, formaggio, patate bollite o castagne e per finire
in pumè rustaiò (mele piccole,
rosse e molto dolci). A volte si
mangia la marmellata di pesche,
di fichi o la mostarda con la zucca, ovviamente preparate dalla
mamma e conservate nelle ulle
di terracotta.
La mamma, dopo aver rigovernato la cucina, porta in casa il
secchio d’acqua del pozzo e la
legna per il mattino dopo, mette
nei letti i prev e gli scaldini con
la brace prodotta dalla stufa, e si
torna al calduccio nella stalla con
tutti i vicini. Si chiacchiera, si
ride, si scherza e si gioca molto
animatamente a carte a briscola
in otto (nessuno vuole perdere);
se c’è un avvenimento particolare, ad es. un onomastico oppure
un compleanno, il padrone di
casa offre una bottiglia di vino
chiaretto dolce, si brinda tutti
insieme e verso le dieci tutti a
dormire.
La camera è gelata, i cristalli di
ghiaccio disegnano i vetri delle
finestre, ma il letto è caldo e accogliente… Buona notte, domani
si ricomincia.
La Sagra dell’Agnolotto:
un nuovo successo!
di Fulvio Vercellese
Anche quest’anno, in occasione della tradizionale Sagra
dell’Agnolotto, l’Associazione
Socio Culturale “La Fenice”,
con il patrocinio del Comune di
Pecetto per la concessione d’uso
del Centro Sportivo “Claudio
Orsini”, ha riscosso un enorme
successo. Quattro sere di festa,
momenti per stare insieme all’insegna della buona cucina e della
musica.
Vincente, anche se azzardata, la
scelta di abbandonare, per la serata del sabato, i canoni classici
della musica tradizionale (ballo
liscio) a favore di rock band e
canzoni degli anni ‘60-‘70 magistralmente interpretate dal gruppo Disco Inferno che ha attirato
un numerosissimo pubblico di
giovani, ma non solo.
Doverosi ringraziamenti sono
rivolti a tutta l’Amministrazione
Comunale, ai soci della Fenice
ed ai ragazzi che con il loro aiuto
hanno permesso l’ottimo svolgimento della Sagra.
Grazie a tutti e arrivederci …
ad Agosto 2008!!
6
er babàn d’Apsaei
Arte e storia: i monumenti a Pecetto
La “Grangia certosina” - quinta parte
di Federico Orsini
Mentre s’affievoliva l’eco del
banditore che aveva appena
gridato a perdifiato ai pecettesi
che erano le dieci di sera e tutto andava bene, nella profonda
oscurità della notte segnata solo
dal gran numero di stelle che allora si potevano contare in cielo
per l’assenza di inquinamento
luminoso, nella buia cella cubicolaria (la camera da letto) del
priore si accendeva una lanterna
dalla fiammella tremolante che
mandava sulle pareti l’ombra del
monaco intento a sciacquarsi le
mani ed il viso con la poca acqua
versata nel catino di terracotta,
sistemato con la brocca accanto
al letto di legno. Erano le 22:45
ed iniziava una nuova giornata
di preghiera e lavoro uguale a
quella che si era conclusa al tramonto ed assolutamente identica
a quella che sarebbe seguita fino
all’estinguersi del calendario.
Il certosino che aveva, nell’ambito delle sue pertinenze, anche un
luogo apposito riservato alla preghiera con un inginocchiatoio,
un Crocefisso ed una immagine
della Vergine Maria, si accingeva
a leggere il Mattutino dell’Ufficio della Madonna occupando
il resto del tempo in esercizi di
pietà devozionale. Gettato poi
sulle spalle il mantello (il resto
dell’abbigliamento conventuale
non era stato tolto neppure per
dormire, come da antichissima
tradizione certosina) il priore
chiudeva dietro di sé la pesante
porta di noce del suo appartamento per percorrere quel tratto
di corridoio che lo portava alla
cappella interna della grangia
mentre i bagliori della lampada
facevano strada davanti a lui.
Entrando in chiesa egli tirava,
con un gesto ormai meccanico
per l’abitudine, la corda dell’unica campana posta sul castelletto
esterno al chiostro dando così
il segnale a tutti gli ospiti della
certosa che era giunto il momento della prima preghiera, vale a
dire la recita comune del mattutino e delle lodi, come previsto
dalla liturgia delle ore riservata
all’Ordine fondato da san Bruno.
Di lì a poco, fuori dalle spesse
ed ovattate mura del convento,
la stessa voce di sempre avrebbe
gridato ai pecettesi ben chiusi
nelle loro case e coricati sulle
ruvide foglie secche del loro povero giaciglio: “... è mezzanotte e
tutto va bene…”.
Nella chiesa in penombra i monaci ed i conversi facevano, ad
uno ad uno, genuflessione e si
sdraiavano in breve adorazione
davanti al tabernacolo, poi raggiungevano il coro e si apprestavano a prender posto nel loro
apposito stallo di legno scolpito.
Sul badalone centrale, anch’esso
di legno massiccio appoggiato
ad un armadio di media altezza
a pianta quadrata uso alla conservazione dei testi, un grosso
libro dalla robusta copertina di
cuoio ornata di lucide borchie
d’ottone veniva aperto alla pagina del giorno ed iniziavano le
preci dell’Ufficio canonico con il
susseguirsi di antifone, salmi ed
inni che in parte erano recitati in
canto con la tradizionale salmodia certosina.
Le luci accese sulle candele di
pura cera d’api erano davvero
poche e, vuoi per l’ora, vuoi per
l’età, qualche monaco cadeva in
un transitorio sonno o momentaneo torpore dal quale era svegliato dall’ebdomadario che aveva il
compito per una settimana intera,
a turno, di tener desti ed attenti
tutti i coristi. Terminata la recita
di queste preci il monaco tornava
nel suo appartamento per recitare privatamente le Lodi dell’Ufficio della Madonna e poi, verso
le due di notte, al suo giaciglio
per riprendere il sonno.
Alle sei del mattino i ripetuti
rintocchi della campana lo risvegliavano ed egli, alzatosi
dal cubicolo e nuovamente rinfrescatosi nell’acqua del solito
catino, apriva le imposte cieche
interne delle finestre lasciando
inondare la camera della luce del
sole e subito, con rinnovato slancio, riprendeva le orazioni con
la recita dell’Angelus al quale
seguiva un’ulteriore compunta
meditazione spirituale che copriva lo spazio di quasi un’ora.
Alle sette in chiesa veniva celebrata la messa conventuale
cantata tutti i giorni dell’anno,
alla quale assistevano anche i
conversi e tutti coloro che in quel
momento si trovavano all’interno della certosa. Terminato il
rito, ancora in cella per assumere
una frugalissima colazione fatta
di poco latte caldo servito dal
converso addetto attraverso la
ruota e qualche tozzo di pane
raffermo e poi ancora preghiera
e meditazioni, unitamente al
disbrigo delle attività inerenti
alla propria persona, fra le quali
il bucato ed il rammendo degli
abiti conventuali.
Non mancavano in quei momenti anche attività manuali
relative alla rilegatura di libri,
alla trascrizione di documenti
o al semplice spaccare della legna per il camino. Non ultimo,
specialmente per il priore e per
il suo vicario, il contatto con
i contadini che lavoravano le
terre di proprietà della grangia e
dei quali il monaco procuratore
era diretto responsabile nonché
immediato superiore. C’erano
visite alla cantina in tempo di
vinificazione, ai granai in periodo di raccolta del frumento, alle
dispense quando venivano trasferiti cereali e formaggi e non
mancava un gran da fare quando
si dovevano inviare merci e vini
ad altre certose consorelle.
Poiché la nostra grangia, in
ragione della sua dislocazione
geografica, era famosa per la
produzione di vino bianco destinato alla mensa eucaristica
delle chiese collocate nei singoli
monasteri dell’Ordine, il monaco procuratore doveva provvedere all’allestimento dei carichi
là destinati, facendo attenzione
che il frutto dell’uva venisse ben
alloggiato sui carri e ben protetto
da danni esterni o da indesiderati
ed inopportuni assaggi durante il
percorso che poteva durare giorni, se non intere settimane.
Qualcuno bussava frequentemente al portone della grangia
per chiedere elemosine o soccorso, rifugio da soprusi o violenze,
per avere il conforto religioso o
l’assoluzione dei peccati; c’era
poi chi domandava ai frati di
essere informato sulle Sacre
Scritture ed essere erudito nella
crescita della fede, oppure indicazioni sulla coltivazione della
vite o la semina del frumento,
sulla conservazione dei cereali o
sulla cura degli animali dell’aia,
ed allora bisognava soddisfare
anche queste esigenze spirituali
o umane.
Tornando allo scadenzario della
tradizionale giornata certosina,
alle 10:30 un tocco di campana
indicava che era il momento
per tornare in cella, apprestarsi
alla recita di ulteriori preghiere
e prepararsi opportunamente al
pranzo. Il cibo era ben preparato,
gradevole al palato, persino abbondante, comprensivo di frutta
fresca o secca, ma sempre di magro come prescriveva la regola di
San Bruno, accompagnato solo
dall’acqua del grande pozzo che
veniva attinta con l’uso di una
monumentale ruota di legno.
Il certosino abitualmente pranzava in solitudine tutti i giorni
dell’anno eccetto le domeniche
e le feste di precetto o quelle
segnate in rosso sul calendario
che prevedevano le ricorrenze
dell’Ordine. In questi casi tutti si
ritrovavano nel refettorio in una
camera molto accogliente e ben
illuminata, con ampie finestre
che davano sia sul retro che sul
cortile, oltre che debitamente
riscaldata in inverno. I frati che
si lavavano le mani alla grande
vasca collocata all’ingresso della
sala recitavano in coro la preghiera dell’Angelus o del Regina
coeli in tempo di Pasqua e poi
assumevano il cibo in silenzio
ascoltando letture sacre o testi
tratti dagli statuti certosini.
Terminato il pranzo era prevista
una breve ricreazione comune
ed una volta al mese una passeggiata all’esterno delle mura
della certosa sui terreni ad essa
pertinenti. Questa uscita, detta
“spaziamento”, aveva la durata di alcune ore ed includeva
esercizi di pietà comune che
venivano recitati mentre i monaci si muovevano in campagna.
Nei giorni normali alle 12:30
tutti erano nuovamente in cella
dopo l’intervallo programmato
del dopopranzo per le letture
spirituali e, dopo un’ora circa di
raccoglimento, per la recita delle
due None dell’Ufficio canonico
e di quello della Madonna. Alle
15:30 molto puntuali, sempre
nella solitudine della loro camera di meditazione, inginocchiati
davanti alla Croce ed alla statua della Vergine leggevano il
Vespro della Madonna e poi, in
chiesa, il canto corale del Vespro
canonico al quale seguiva di
norma, una volta la settimana (di
solito il martedì o il venerdì), il
Vespro dei defunti. Il tempo correva veloce scandito da orazioni
e raccoglimento e, dopo le preci
comuni in cappella, il monaco
poteva nuovamente dedicarsi ai
lavori manuali e di distrazione a
lui più graditi.
Nei tempi ordinari, mai in Avvento ed in Quaresima, durante
le Quattro Tempora ogni mercoledì della settimana e nelle
vigilie delle solennità il monaco
assumeva la cena che non era
condivisa, neppure nelle feste,
con i confratelli. Solo i conversi
potevano partecipare in comune
a tutti i pasti serviti nella certosa
e lo facevano in una saletta a
loro riservata dove comunque un
monaco leggeva pagine di Vangelo o degli Atti degli Apostoli
durante i convivi. Una minestra
calda di verdure, un piatto misto
di legumi, oppure una scodella
di latte appena munto, un poco
di pane, formaggio, forse un
uovo, un frutto e la solita brocca
di acqua cristallina.
Negli appartamenti dei singoli
frati non poteva essere conservato cibo di qualsivoglia natura;
anche quello eventualmente
avanzato dai pasti doveva essere restituito sempre per il
tramite della ruota, nella quale
si deponevano anche le stoviglie
usate, opportunamente ripulite e
lavate.
Alle 18 in punto, con il suono
della campana dell’Ave Maria,
avveniva la personale recita dell’Angelus e delle due Compieta
dell’Ufficio canonico e di quello
della Madonna. Ultimate queste
orazioni il certosino chiudeva la
sua giornata insieme alle imposte delle finestre, accendeva il
suo debole lume e prendeva posto nel suo giaciglio per addormentarsi dopo una giornata che
era iniziata, come abbiamo visto,
alle 22:30 del giorno prima.
Così vivevano i monaci che abitarono la nostra grangia a partire
dagli ultimi anni del XIV secolo
e fino alla seconda metà del
XVIII e così vivono ancor oggi i
frati di quest’Ordine che abitano
le certose operative ancora sparse nei quattro Continenti della
terra! Dal momento della loro
fondazione sono passati nove
secoli ma la loro vita claustrale
non è mai stata riformata.
Terminata la visita alla grangia
ed alle sue pertinenze nonché
preso atto della vita quotidiana
dei monaci che l’abitavano, non
rimane che darci l’appuntamento
per il prossimo numero dove inizieremo a trattare della confraternita della SS. Trinità che noi
meglio conosciamo come chiesa
dei “battuti”.
Corre tuttavia l’obbligo di fare
gli auguri di Natale ed allora
mi sia permesso usare una frase
che i certosini si scambiavano in
occasione della ricorrenza della
nascita di Gesù:
“... il Figlio di Dio che viene nel
mondo possa essere tuo fratello
e tu che ami come Lui lo stesso
Padre, possa accoglierlo nel tuo
cuore come una grande luce che
porta la pace e l’amore ...”.
A tutti Buon Natale ed un sereno
Anno Nuovo.
er babàn d’Apsaei
7
Osservare il cielo con un binocolo
di Luigi Poli
“Mi piace l’osservazione del
cielo, mi piacerebbe poterla effettuare anche con l’ausilio di
uno strumento, ma non so quale
può essere quello che fa al mio
caso”.
Molte persone hanno avuto o
hanno questo desiderio. Tra i
vari modi di fare osservazioni
astronomiche, quello con l’uso
di un binocolo è tra i più affascinanti e molte volte risulta più
spettacolare di quello condotto
con l’uso di uno strumento superiore, come un telescopio amatoriale. Un binocolo, infatti, ha il
grande vantaggio di offrire una
visione appunto “binoculare”,
quindi stereoscopica. Guardare
con entrambi gli occhi è, infatti,
più riposante e più naturale che
con uno solo. Inoltre la visione
binoculare evidenzia maggiormente il senso di profondità ed
i binocoli prismatici più comuni
sono realizzati con caratteristiche
tali da accentuarla. Il binocolo
rappresenta lo strumento ideale
per l’osservazione delle Comete.
Non a caso, infatti, i binocoli
giganti, tipo i 20x80, 20x100,
20x125, potenti ma dal costo
proibitivo di alcune migliaia di
Euro, sono tra gli strumenti più
usati dai “Cacciatori di comete”;
ma per chi non ha la pretesa
di scoprirne di nuove, bensì di
osservare quelle già note, va
benissimo il classico 7x50 o
10x50 dal costo decisamente più
abbordabile (tra i 70 e i 150-200
Euro). Puntare un binocolo al
cielo in una bella serata può dare
un’emozione nuova per la quantità di stelle che si riesce a vedere rispetto alla visione ad occhio
nudo. Ecco, quindi, che può essere affascinante individuare un
Ammasso Globulare come M13
nella Costellazione dell’Ercole
in primavera. Oppure “esplorare” il grande fiume della Via Lattea in estate, tra le costellazioni
del Sagittario, dello Scorpione,
dell’Ofiuco, dell’Aquila, del
Cigno e della Lira, alla scoperta
delle gemme in esse contenute.
Ma grande soddisfazione può
dare anche l’osservazione delle
Costellazioni o delle Stelle doppie come, ad esempio, “Mizar e
Alcor” nel timone del Grande
Carro, per citarne una. La Luna è
un buon soggetto da osservare e
cominciare ad apprezzare i Crateri ed i Mari sulla sua superficie. Durante un’eclisse di Luna il
basso contrasto fa si che binocoli
dotati di grandi pupille d’uscita
siano più vantaggiosi per questo
genere di osservazione. Un 7x50
permette, infatti, di osservare
uno spettacolo unico come la
Luna eclissata in un campo pieno
di stelle o di osservare la debole
“luce cinerea”, visibile a cavallo
del novilunio.
Caratteristiche tecniche
La maggior parte dei binocoli
porta incisa vicino ad un oculare
una sigla del tipo: 7x50, 10x50,
ecc. Il primo numero indica di
quante volte viene ingrandito il
soggetto osservato, il secondo
il diametro degli obiettivi in
millimetri. Più l’ingrandimento
è forte più il soggetto viene “avvicinato”, più gli obiettivi sono
grandi maggiore è la luminosità
dell’immagine. Poiché la pupilla
di uscita in un binocolo è determinata dal rapporto tra il diametro degli obiettivi ed il valore
degli ingrandimenti, ecco che la
pupilla d’uscita di un 7x50 ha un
diametro di 7 mm, di un 10x50
di 5 mm e cosi via. Per una più
confortevole visione si consiglia
di utilizzare un appoggio stabile
per le braccia o i gomiti oppure
di fissare il binocolo ad uno stativo come un cavalletto fotografico tramite una staffa facilmente
reperibile in commercio o facilmente costruibile, come si può
osservare nella foto.
Binocolo su staffa autocostruita
Le osservazioni astronomiche
Esaurite le informazioni tecniche sui binocoli, passiamo
decisamente al loro uso nella
visione degli oggetti visibili in
autunno/inverno, cominciando
dal “Doppio Ammasso” nella
costellazione di Perseo, estremamente spettacolare per la
visione distinta dei due ammassi
luminosissimi. Si può facilmente
rintracciarlo tra il vertice della
Y rovesciata di Perseo e la costellazione di Cassiopea, che in
questa stagione vediamo proprio
sopra le nostre teste con la sua
caratteristica forma di W. Possiamo approfittarne per cercare gli
ammassi aperti di cui la costellazione è ricca, da M103 nella
parte orientale della costellazione formato da circa 25 stelle, ad
M52 nella parte occidentale tra
Cassiopea e Cefeo formato da
un centinaio di stelle. Se da Perseo ci spostiamo un poco verso
Ovest incontriamo Andromeda
dove possiamo vedere già ad
occhio nudo M31 o la “Grande
galassia di Andromeda” che è
l’oggetto più lontano visibile ad
occhio nudo, a 2.280.000 anni
luce. In un binocolo 10x50 si può
ammirarla in tutta la sua bellezza
insieme alle sue due galassie sa-
telliti M32 ed M110. Nelle sere
invernali, nella Costellazione del
Toro, un po’ più sotto al Perseo,
possiamo distinguere già ad occhio nudo i due ammassi aperti
delle “Pleiadi” e delle “Iadi”. Le
Pleiadi ad occhio nudo si presentano come una piccola macchia
nella quale i più dotati di acutezza visiva distinguono fino a
sette stelle, con un binocolo si
rivelano invece dozzine di stelle
luminosissime. L’ammasso delle
Iadi (che costituisce il muso del
Toro) si proietta sulla rossa stella
Aldebaran ed è così vasto che
necessita di un binocolo a grande
campo come un 7x30 o 8x30 per
una vantaggiosa osservazione.
Sempre nel Toro si può provare
a rintracciare M1 o “nebulosa
Granchio” che è ciò che rimane
dell’esplosione di una supernova
nel 1054. Si può già vedere con
un 10x50 ma si apprezza meglio con strumenti più potenti.
Si trova vicino alla stella Zeta
Tauri che determina la punta
del corno meridionale del Toro.
Spostandoci nella costellazione
dell’Auriga, rintracciabile subito
sopra al Toro, è facile individuare gli ammassi aperti M36, M37
ed M38 praticamente allineati
ad intersecare il lato sud-orientale del pentagono che forma la
figura della costellazione. Gli
ammassi aperti abbastanza densi
di stelle richiedono per una buona osservazione l’uso di binocoli
potenti che offrono le migliori
prestazioni grazie al maggior
ingrandimento che si traduce in
una migliore risoluzione delle
stelle. Invece negli ammassi più
vasti e meno densi come quello
che circonda Alfa Persei, la stella
più brillante della costellazione
di Perseo, è utile impiegare strumenti a grande campo e bassi ingrandimenti. Se ci spostiamo ora
poco sotto al Toro troviamo forse
la più bella costellazione del cielo e cioè Orione, inconfondibile
per la sua forma maestosa, nella
quale possiamo intuire il cacciatore che brandisce la clava con
la quale fronteggia la carica del
toro. Dalle tre stelle che formano
la “Cintura di Orione” scendendo verso la “Spada” del gigante
si può ammirare il sistema di nebulose formato da M42 ed M43
che insieme formano la “Grande
Nebulosa di Orione”, uno degli
oggetti più famosi del cielo che,
con un buon binocolo, può regalare uno splendido spettacolo.
Sempre in Orione possiamo provare l’identificazione di M78, un
poco più in alto a sinistra delle
stelle della cintura. Si tratta di
una nebulosa che nei binocoli
assume l’aspetto di una macchia
nebbiosa non molto distinta.
Passiamo ai Gemelli, a Nord-Est
di Orione, identificabile dalle
due stelle principali “Castore
e Polluce” nei cui confini quest’anno possiamo vedere Marte,
il “pianeta rosso” che sarà il 25
dicembre in opposizione, vale a
dire in posizione diametralmente
opposta al Sole, quindi nelle migliori condizioni di osservabilità.
Ai confini della costellazione,
vicino alla clava di Orione, possiamo trovare M35 un notevole
ammasso aperto. Nella costellazione del Cancro, infine, ad
Est dei Gemelli si può cercare
nella parte centrale della stessa il
bellissimo ammasso aperto M44,
denominato anche “Presepe” tra
le stelle Delta e Gamma Cancri,
note come “Gli Asinelli”. Si
tratta di un ammasso piuttosto
grande già visibile ad occhio
nudo. Ovviamente per la visione
di tutti questi oggetti, ad eccezione di un paio di essi, vale sempre
la regola di cercare un cielo buio
o lontano da luci che ne renderebbero difficile la ricerca e la
successiva osservazione.
Per informazioni, sito web:
www.astrogalileo.altervista.org
E-mail: [email protected]
8
er babàn d’Apsaei
In confidenza... Festività natalizie:
trascorriamole serene
del Dott. Mario Rosario Masini - Questore della Provincia di Alessandria
.
L’approssimarsi della stagione
invernale e delle festività natalizie ripropone, come ogni anno,
i pericoli legati alla circolazione
stradale e ai festeggiamenti che
implicano l’utilizzo dei cosiddetti “botti” di Capodanno. Sembra,
pertanto, utile richiamare alcuni
accorgimenti da seguire per evitare incidenti.
Riguardo al primo punto è noto
a tutti che il maltempo, e soprattutto la nebbia, può essere causa
di incidenti stradali che però si
possono evitare seguendo poche
ma fondamentali regole:
- viaggiate ad una velocità inferiore ai 50 km/h e mantenete
un’andatura moderata e costante;
- fate un corretto uso delle luci,
dei fendinebbia, del retronebbia
Il vero significato del
Natale
e della segnalazione luminosa
di pericolo (“quattro frecce”) in
caso di improvvisi rallentamenti;
- mantenete la distanza di sicurezza;
- fate particolare attenzione alla
segnaletica sulla strada per avere un sicuro riferimento nella
guida.
Relativamente al secondo punto
si ricorda che purtroppo tutti gli
anni si verificano incidenti più o
meno gravi, legati all’acquisto e
all’utilizzo dei “botti natalizi”,
che provocano feriti e talvolta
vittime soprattutto tra i giovanissimi. Nonostante i controlli
effettuati costantemente dalle
forze dell’ordine, infatti, quello
che dovrebbe essere per tutti un
momento di festa, per qualcuno
si trasforma in tragedia.
Ci rivolgiamo soprattutto ai più
giovani: i “botti” sono pericolosi. Evitate di acquistare quelli
proibiti. Se proprio non potete
farne a meno, comprate solo
quelli legali presso esercizi commerciali autorizzati e, dopo aver
seguito le istruzioni per l’utilizzo, adoperateli con cautela.
Un appunto anche per gli esercenti commerciali autorizzati:
rispettate i divieti di vendita ai
minori.
Infine un consiglio ai genitori
che acquistano i “botti”: prestate
la massima attenzione affinché
non vengano maneggiati impropriamente dai vostri figli.
Buone Feste a tutti dai poliziotti
della Questura di Alessandria.
Inaugurazione del canile consortile
di Stefania Novello
Sabato 24 novembre alle ore
11,00, presso il Centro Culturale
Comunale “Giuseppe Borsalino”,
è stato inaugurato il canile sanitario e rifugio “Casa di Licia”
realizzato dall’Amministrazione
Comunale di Pecetto di Valenza
in convenzione con i Comuni di
Montecastello, Pietra Marazzi
e Rivarone e dall’Associazione
Tutela Animali in qualità di ente
gestore.
La struttura nasce, con il contributo economico della Regione
Piemonte e dell’A.T.A. ed il
supporto teorico del Presidio
Multizonale di Profilassi, tra le
colline pecettesi in un ambiente
immerso nel verde, tranquillo e
sicuro anche dal punto di vista
idrogeologico.
Tutti i soggetti coinvolti nel progetto si sono trovati sintonici nel
tentativo di realizzare un canile
moderno ed innovativo all’interno del quale non solo garantire
e promuovere il benessere degli
animali da affezione ed il soddisfacimento dei loro bisogni fisiologici ed etologici con continuità
e senso di responsabilità, ma anche riflettere e sensibilizzare circa il fenomeno del randagismo,
foto Peracchio
occuparsi di soggetti portatori di
disagio e/o disabilità e creare occasioni di contatto rispettoso con
la natura e gli animali.
Il canile inizierà ufficialmente le
sue attività dal 1 gennaio 2008
con i servizi di canile sanitario,
canile rifugio, pet therapy e percorso odoroso; successivamente
saranno approntati il giardino
delle farfalle, gli spazi per l’orticoltura ed il giardinaggio, l’area
per l’addestramento di cani con
problemi comportamentali e
le voliere per l’inserimento di
animali selvatici feriti recuperati
dagli operatori del Parco del Po e
non reinseribili in natura a causa
di danni permanenti.
Vi terremo informati sugli orari
di apertura della struttura ma,
sin da ora, ci preme sottolineare
come ogni canile, per quanto innovativo, rappresenti una situazione di costrizione e chiediamo
anche il vostro impegno nella ricerca continua e collaborativa di
famiglie affidatarie per ridurre al
minimo il tempo di permanenza
dei cani nel rifugio.
di don Luciano
Ancora pochi giorni e sarà nuovamente Natale; un anno è già
passato velocemente e forse tutti
quei buoni propositi che ci eravamo augurati non hanno potuto
o voluto compiersi.
Forse è stata complice la nostra
distrazione, o forse la mancanza
di tempo in un mondo che ci rincorre quotidianamente in mille
proposte alternative, tutte belle,
tutte simpatiche, tutte allettanti.
Spero che, se qualcosa è rimasto
in fondo al cassetto delle promesse, non sia stato dimenticato
per mancanza d’amore.
Perché è proprio questa virtù che
ci viene donata con il Santo Natale che non si limita ad essere la
bella favola di un bambinello che
nasce in una grotta fra un bue ed
uno stupito asinello, ma è la rilucente realtà di un messaggio che
da duemila anni si ripete sulla
terra in attesa di essere condiviso
ed accettato da tutti gli uomini;
un messaggio portato da un
Bambino che ha saputo praticare
l’Amore abbracciando tutti coloro che da allora ha incontrato
sulla Sua strada.
Dimentichiamo per un attimo il
nostro volere a tutti i costi stare
tranquilli, per pensare a coloro
che nel Natale non trovano la
stessa serenità che a noi è donata
dalla gioia della famiglia, dal
caldo della casa, dalla fraternità
degli amici.
Spegniamo per un momento le
luminarie delle nostre contrade
per accendere una luce nel cuore
e pensiamo per un momento a
quelli che forse dispongono dei
nostri stessi mezzi ma sono privi
di quell’amore che carezza la
vita, perché non hanno più fiducia negli altri e non trovano più
il senso della condivisione dalla
quale si sentono inesorabilmente
esclusi.
Pensiamo a quelli che hanno
fame, non di cibo materiale ma
di affetto; a quelli che non hanno
una casa, non perché senza un
tetto sulla testa ma nudi della
solidarietà degli altri; a quelli
che sono soli non perché non
abbiano nessuno intorno ad essi
ma perché più nessuno parla con
loro.
Se in questo Natale sapremo
cancellare anche uno solo di
questi motivi di sofferenza nei
nostri fratelli avremo capito il
vero senso di questa Festa e potremo farci vicendevolmente gli
auguri con un valore che supera
l’umano, le barriere, le difficoltà
e potrà abbracciare tutto insieme
il mondo!
A Tutti gli auguri per un sereno,
lieto, condiviso Santo Natale in
Cristo!
er babàn d’Apsaei
9
Un albero a portata di mano
di Andrea Bortoloni
Curiosando tra gli hobby e le
passioni a cui si dedicano i nostri
concittadini, ci imbattiamo nella
piacevole attività del giardinaggio: nel nostro paese, dove si
trovano più campi che strade
asfaltate, è naturale che il verde
interagisca con la popolazione
ed è normale, quindi, dedicarsi
ad abbellire le proprie residenze con fiori e piante mettendo
alla prova il cosiddetto “pollice
verde”. Ma, se cimentarsi in quest’impresa è un piacere alla portata di tutti, ottenere dei buoni
risultati è un’altra cosa. Provate
poi ad immaginare se alle piante
tradizionali sostituissimo esemplari in miniatura: certamente
le difficoltà aumenterebbero in
modo inversamente proporzionale alla dimensione da realizzare.
Mi riferisco naturalmente all’arte del “bonsai”, termine costituito da due parole: bon (vassoio
o contenitore) e sai (albero o
pianta) ovvero l’espressione dell’antica arte cinese e giapponese
di riprodurre in miniatura alberi
che conservano le proporzioni e
l’aspetto di quelli cresciuti naturalmente. Una tecnica all’apparenza difficile ma dispensatrice
di intense emozioni.
E non manca certo di grande
calma e tanta passione il sig.
Barbero Dalmazio, classe 1936,
abitante in frazione Pellizzari
che da anni è appassionato di
quest’arte, i cui esiti (meravigliosi bonsai) custodisce gelosamente a casa insieme a numerosi
dipinti da lui stesso eseguiti che
ne rivelano una grande sensibilità d’animo.
Sig. Barbero quando ha cominciato ad interessarsi di bonsai?
Tutto è iniziato circa vent’anni
fa quando ricevetti in regalo un
bonsai che, però, nel volgere di
poco tempo perse vitalità fino a
morire, ma fu proprio la sua morte a spalancarmi le porte di questo mondo fantastico. Cominciai
a consultare pubblicazioni e
riviste, allora in verità ancora
piuttosto rare, per informarmi in
modo più specifico sugli errori
commessi nella sua cura ed in
breve ne rimasi affascinato.
Quali sono le attenzioni e le difficoltà maggiori nella realizzazione dei bonsai?
Nella mia esperienza le difficoltà
maggiori le ho avute nel dosare
le giuste quantità d’acqua da
erogare giornalmente stagione
dopo stagione ma, al di là di
questo, credo che il vero segreto
per ottenere dei buoni risultati
stia tutto nel non scordare mai
che un bonsai è un essere vivente
e come tale deve essere amato e
curato quotidianamente assecon-
dando tutte le sue esigenze; non
deve mai essere trascurato perché una semplice disattenzione
può cagionarne la salute, a volte
in modo irrimediabile.
Quanti bonsai possiede?
Tra quelli ormai completati ed
altri ai quali sto ancora lavorando, ne possiedo circa 20; a questi
si aggiungono 20 pre-bonsai. Si
tratta di esemplari di: Melograno, Lagestroemia, Ginkgo Biloba, Conifere Melo, Acero, ecc.
Quali sono le emozioni trasmesse da quest’arte?
Curare e mantenere un bonsai
non è solo una tecnica, ma è anche un’espressione artistica che
infonde serenità con la natura e
con se stessi riportandoci ai ritmi
naturali ed allontanando i problemi di tutti i giorni. Io stesso
devo a questa pratica il merito
di avermi più volte rigenerato
dopo giornate difficili trascorse
al lavoro.
Per chi volesse intraprendere
questo hobby, cosa suggerirebbe?
In commercio si trovano alcune
pubblicazioni in più rispetto al
passato che introducono sufficientemente i profani a questo
mondo in miniatura, ma un prezioso aiuto è possibile trovarlo
rivolgendosi ed iscrivendosi a
qualche associazione come, ad
esempio, l’Alessandria Bonsai
Club alla quale anch’io sono
iscritto, che organizza corsi
pratici ai quali presenzia spesso
il maestro giapponese H. Suzuki
e diverse esposizioni in collaborazione con il Giardino Botanico
di Alessandria.
Auguri a...
Invitiamo chi vive un’occasione
di festa (matrimonio, nascita,
laurea, anniversario, …) a renderne partecipe tutta la cittadinanza informando la redazione.
Sarà nostra cura pubblicare le
vostre segnalazioni nel primo
numero utile del periodico.
foto E. Olivero
I nostri auguri a Florio Gennaro
e Anashkina Hanna che si sono
uniti in matrimonio il 20 agosto
2007; ed a Pacchiotti Gian Luca
e Gai Patrizia, sposi il 2 settembre 2007.
Un lieto benvenuto ad Alessia
nata il 21 agosto da mamma Luisella Villanova e papà Davide
Piantino.
er babàn d’Apsaei
10
Le nostre tradizioni
Piva Piva ‘R’oli d’oliva
di Gianni Pasino
Un bambino si cimenta per la
prima volta nell’allestimento
del presepe ma, per poterlo
completare, si improvvisa investigatore…
Era il giorno dell’Immacolata.
Sebbene dicembre fosse iniziato
ormai da più d’una settimana la
mattina non era gelida, ma una
nuvolaglia grigia e immobile
sovrastava le colline e qualcuno,
che si vantava di saperla più lunga degli altri, scrutando il cielo,
aveva pronosticato un’imminente nevicata.
I bar e i negozi del paese avevano già addobbato le vetrine con
decorazioni natalizie: nell’aria si
percepiva tutta la frenesia per le
prossime festività.
Angelo si era alzato presto, anche se quello non era giorno di
scuola: non stava più nella pelle
di andare in solaio a prendere lo
scatolone con le statuine per preparare il presepe.
In casa sua il dilemma tra albero
e presepe non si era mai posto;
il padre contadino, sempre indaffarato, aveva demandato alla
moglie il compito di rispettare
le tradizioni: “Pensij tei, che me
a n’ho zà pù che pento”. E lei,
donna religiosa e di idee chiare,
si era fatta carico di quella piacevole incombenza fino all’anno
precedente, mentre al figlio era
toccato il ruolo di assistente.
Avendo compiuto, da oltre due
mesi, i dieci anni, Angelo stabilì
che fosse arrivato il suo momento!
Si preparò e fece colazione in
fretta, con una mezza scodella
di latte appena munto e un velo
di marmellata di mele cotogne
spalmato su una fetta di pane
e burro. Informò sua madre di
quanto stava per mettere in pratica e, senza aspettare risposta, si
diresse alla volta della scala, dai
gradini sbrecciati, che conduceva al sottotetto.
Una punta di paura gli trafisse i
pensieri quando, aperta una vecchia porta cigolante e varcata la
soglia, si avventurò tra il buio e
la polvere, augurandosi di trovare presto ciò che stesse cercando.
Non c’era illuminazione e lui
non aveva avuto l’accortezza di
portarsi una torcia elettrica, per
farsi strada.
“Fantasmi?” si disse, “Nònca a
parlèni, non esistono! Sono solo
un’invenzione dei grandi per farci stare buoni”.
Ma intanto rimaneva fermo, i
muscoli irrigiditi anche dalla
bassa temperatura e le orecchie
tese a catturare il minimo rumore. Quando gli occhi, adattatisi all’oscurità, gli permisero di
imboccare una direzione precisa,
dovette fare lo slalom tra una
vecchia culla arrugginita, un
cassettone tarlato e il reparto coltivazione bachi da seta, risorsa
economica delle famiglie rurali,
prima di raggiungere l’obiettivo
della missione.
Via dal tavolino libri e quaderni
che usava per studiare. Poi Angelo ricoprì la superficie in formica
con un bel foglio di carta verde
erba, attaccò al muro il fondale
sul quale erano disegnate le case
di Betlemme, i monti di Giuda, e
il cielo stellato e cominciò a dare
forma alla sua composizione.
Da un sacchetto di carta estrasse
i personaggi in miniatura, passandosi fra le mani il pescatore,
il cacciatore, la lavandaia, la
donna che cuoce la polenta, i
pastori e, rammentando ciò che
aveva imparato alle lezioni di
Catechismo, si soffermò a riflettere sul fatto che, a quei tempi,
nonostante miseria e carestie, la
gente riuscisse a trovare la felicità nelle piccole cose quotidiane.
Poi tirò fuori anche la vecchina
che fila la lana, il panettiere, Maria, Giuseppe e gli angeli.
Da una scatola di plastica colorata cavò gli animali: bue e asinello
prima di tutti gli altri, poi pecore,
agnelli, cani, cammelli, galline
ed ancora oche e pesci.
Fu lì che il bambino ebbe l’idea
di creare un piccolo lago, ricavandolo da uno specchietto
rotondo che bordò con minuscoli
sassi di ghiaia bianca. In seguito
formò prati e stradine e, quando
si avvide che il muschio non gli
sarebbe bastato, andò da sua madre che lo sorvegliava da lontano
a chiedere i soldi necessari per
l’acquisto.
Nel pomeriggio del giorno
seguente, all’uscita di scuola,
Angelo sarebbe passato nella
tabaccheria di Piazza Italia, dalla
Pierina d’i Flà: una donnina materna e gentile, che accoglieva i
clienti col sorriso a fior di labbra
e metteva in vendita i più disparati generi di merce, fra cui il
materiale occorrente per allestire
il presepe. Il ragazzino ne avrebbe approfittato per sbirciare le
novità.
Durante il periodo antecedente
il Santo Natale, l’atmosfera era
rallegrata dal dolce suono delle
zampogne: “Piva, piva ‘r’oli d’
oliva, piva, piva ‘r’oli d’oliva”.
Vestiti con pelli di montone,
cappello a forma conica, stivali
legati con la corda e una borsa
nera a tracolla, due zampognari
percorrevano, in lungo e in largo, le vie del paese d’Apsaei, per
portare il loro messaggio di pace,
rallentando a ogni cancello, a
ogni portone.
Il pomeriggio della Vigilia An-
gelo si sentiva esaltato. Certo,
la festa incombente e l’attesa dei
regali lo rendevano trepidante,
ma ciò che veramente lo faceva
fremere d’impazienza e vibrare
d’orgoglio era poter dimostrare
la propria abilità ai genitori.
Mancava il tocco finale: collocare il Bambino nella capanna,
in mezzo alla Madonna e San
Giuseppe e il suo capolavoro
sarebbe stato pronto.
Cercò la statuina ma non la trovò: il sacchetto era vuoto. In preda a un moto di stizza frugò nello
scatolone, senza venire a capo di
nulla. Gesù si era eclissato.
Nella sua mente, ottenebrata
da cupe fantasie, iniziarono a
sovrapporsi svariate congetture:
poteva averlo nascosto Sandro,
il compagno di scuola e di giochi, che si era intrattenuto con
lui durante la preparazione del
presepe.
Andò in cortile, per vedere se lo
avesse lasciato nell’incavo dell’albero di pere, il loro nascondiglio segreto, però non c’era.
Rabbiosamente ritenne che glielo avesse rubato. Poi considerò
che si trattava del suo migliore
amico. Erano cresciuti assieme!
No, non poteva avergli fatto
questa cattiveria. E allora? Dove
poteva essere finito il Bambinello Santo?
Scartò, senza il minimo dubbio,
l’ipotesi di tornare in soffitta per
un’infruttuosa ricerca, in quanto
si ricordò che lo scatolone prelevato fosse chiuso perfettamente.
Cenò in silenzio e si coricò
presto, ma non si addormentò
subito e continuò a rimuginare
sull’accaduto.
Dopo essersi voltato e rivoltato
per lungo tempo fra lenzuola
e coperte, Angelo diede corpo
a una supposizione, dapprima
appena accennata e via via sempre più consistente: in casa sua
erano venuti gli zampognari a
rifocillarsi e, forse, approfittando di un attimo di distrazione
generale, avevano compiuto il
furto. Magari per portare quella
statuina ai figli, per i quali non
potevano permettersi lussi superflui. Sarebbe stato il loro dono di
Natale…
Vinto dalla stanchezza, col pòver
fiolén, cadde in un sonno disturbato da sogni inquietanti. Il
Venticinque si svegliò con poca
voglia. Neanche la neve, abbondantemente caduta nella notte,
gli metteva allegria.
Angelo si sentiva confuso e maldisposto a celebrare la ricorrenza
più importate dell’anno. Ragionare sul significato della festa
della bontà gli provocava un’intima vergogna, al ricordo delle
strampalate ipotesi che aveva
formulato la sera precedente per
spiegarsi la sparizione della preziosa statuina.
D’impeto prese la decisione:
avrebbe confessato tutto quanto
alla madre, donna buona e saggia, la quale avrebbe compreso,
perdonato e trovato rimedio. Lo
aspettava una lieta sorpresa.
Dirigendosi in cucina per fare
colazione, Angelo rivolse uno
sguardo intristito al frutto del
suo lavoro.
Gli piaceva proprio il suo presepe, era venuto davvero bene,
peccato che non fosse riuscito
a terminarlo egli stesso, senza
nessun aiuto.
Ma quando indirizzò lo sguardo
verso la capanna, strabuzzò gli
occhi, spalancò la bocca e trattenne il fiato…: Gesù Bambino
era lì, deposto sul giaciglio di
paglia, così bello, con i capelli
biondi, gli occhi grandi e azzurri e un sorriso così dolce, così
tenero, così buono, che lo fece
commuovere.
Frastornato dalla profonda emozione che gli pervadeva il cuore,
Angelo non si accorse dell’arrivo della madre che lo attirò a sé,
stringendolo forte.
Quando riemersero dall’abbraccio, il figlio le raccontò tutto
quanto, di getto, per liberarsi in
fretta di ciò che lo angustiava.
La mamma gli svelò il mistero:
il Redentore nasce a Natale e
soltanto in questo preciso giorno
può mostrarsi ai fedeli.
Perciò era stata lei stessa, come
aveva sempre fatto, a tenere da
parte la statuina per metterla nel
presepe al momento opportuno.
E gli zampognari, gente povera e
onesta, hanno sempre suonato al
meglio i loro artigianali strumenti per offrire a Gesù, con devozione, la ninna nanna più bella.
Illustrazione di Federico Orsini
er babàn d’Apsaei
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UN ANNO IN ELEGANZA...
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