AFGHANISTAN Scheda informativa sugli sviluppi più recenti Alla
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AFGHANISTAN Scheda informativa sugli sviluppi più recenti Alla
Ministero degli Affari Esteri AFGHANISTAN Scheda informativa sugli sviluppi più recenti Alla ricerca di una nuova strategia A otto anni dall’intervento militare del 2001, la perdurante instabilità dell’Afghanistan ha indotto i responsabili statunitensi ad avviare un processo di revisione della strategia. La nuova visione di Washington tende a considerare le vicende afgane congiuntamente allo scenario pakistano e, soprattutto, a inserire lo sforzo militare in una strategia a più ampio spettro. Il cambio di rotta sembra necessario anche alla luce degli scarsi progressi registrati finora. Nel 2008 il Pil è cresciuto nominalmente del 3,4%, tuttavia il tasso di inflazione viene stimato attorno al 10%. Il 42% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, mentre il 20% a ridosso. Soddisfare i bisogni primari rimane un problema per larga parte della popolazione, soprattutto per quanti abitano nelle campagne e nelle aree montuose: solo il 23% degli afgani ha accesso all’acqua potabile, il 45% non ha un’adeguata alimentazione e solamente il 12% ha la possibilità di usufruire di cure sanitarie adeguate. Le strutture educative non sono dotate di mezzi sufficienti, cosicché, nonostante alcuni progressi, solo il 28% degli afgani è in grado di leggere e scrivere, una percentuale che si riduce ulteriormente per le donne (18%). La condizione femminile è in effetti migliorata e le donne sono presenti in tutte le istituzioni rappresentative, dalle due camere del parlamento, dove costituiscono circa il 26% dei membri, alle assemblee provinciali, dove la loro incidenza sale al 30%. Questi dati sembrano comunque sopravvalutare lo status delle donne, dato che la loro presenza nelle cariche che contano è ancora scarsa, mentre nella vita quotidiana rimangono in uno stato di inferiorità che la sconfitta dei talebani ha solo leggermente intaccato. La strategia politico-militare elaborata da Stanley McChrystal, il nuovo comandante delle forze statunitensi e della missione Nato (Isaf), mira a recuperare il consenso della popolazione e a isolare gli insorti. Concentrandosi sull’attività di repressione nei confronti della guerriglia, gli eserciti alleati hanno infatti trascurato la dimensione politica del conflitto, mentre le frequenti stragi di civili hanno alienato le simpatie di molti afgani dalle forze Nato e dallo stesso governo di Kabul. Per McChrystal è essenziale evitare vittime tra i civili e aprire trattative con i guerriglieri. La guerriglia afgana è animata da vari gruppi che solo impropriamente possono essere definiti talebani. Accanto ai talebani veri e propri esistono infatti diverse fazioni e signori della guerra radicati sul territorio. Anzi lo stesso fronte talebano appare in realtà frastagliato e molti militanti dei ranghi inferiori combattono più per tornaconto personale che per fedeltà al credo jihadista. La nuova strategia americana si propone di acuire le divergenze fra gli insorti e di offrire contropartite tali da indurne un numero consistente a deporre le armi o a schierarsi con il governo di Kabul. In sostanza si tratterebbe di mettere in pratica, con alcuni aggiustamenti dovuti alle diverse caratteristiche del territorio, la strategia impiegata con successo dagli Usa contro la guerriglia irakena, a cui McChrystal ha partecipato personalmente. Come mostra l’esempio dell’Iraq, tale strategia può avere successo a due condizioni: un aumento delle truppe e il consolidamento dello stato afgano. Attualmente sono presenti in Afghanistan circa 100.000 soldati stranieri, di cui 62.000 statunitensi; McCrystal ha chiesto di aumentare di 40.000 unità gli effettivi americani e di migliorare la capacità di combattimento delle forze di sicurezza afgane. La polizia afgana dovrebbe a tal fine aumentare dalle attuali 80.000 a 160.000 unità, mentre l’esercito dovrebbe aumentare da 85.000 a 240.000 soldati. I rinforzi servirebbero ad aumentare il livello di sicurezza sul territorio, accrescendo la legittimità degli eserciti stranieri agli occhi della popolazione locale; ciò creerebbe inoltre le condizioni necessarie affinché una parte almeno degli insorti possa abbandonare il fronte della guerriglia senza dover temere rappresaglie da parte talebana. Fino ad oggi infatti le trattative con gli insorti hanno avuto scarso successo anche a causa dell’incapacità dell’Isaf e dell’esercito afgano di garantire la sicurezza degli ex insorti e delle loro famiglie. McChrystal ha escluso che l’aumento delle truppe possa bastare a stabilizzare l’Afghanistan, ma per il generale statunitense si tratta di una condizione necessaria, senza la quale le iniziative politiche da intraprendere parallelamente sarebbero destinate a cadere nel vuoto. Le truppe dovrebbero rimanere sul territorio per un periodo abbastanza lungo, per consolidare le istituzioni afgane ed impedire alla guerriglia di ricostituire le proprie basi; già in passato i ribelli afgani hanno mostrato di essere capaci di riprendersi dai pesanti colpi subiti e di reclutare nuovi militanti. Barack Obama ha più volte insistito sulla necessità di rimanere in Afganistan, operando una distinzione netta tra la “guerra necessaria” afgana e la “guerra scelta” in Iraq. In marzo Obama ha già inviato 17.000 soldati, ma di recente si è mostrato restio a concedere un ulteriore incremento; la Casa Bianca deve fare i conti con la crescente impopolarità della missione in Afghanistan: secondo recenti sondaggi il 54% degli americani si dichiara favorevole al mantenimento del contingente militare nel paese asiatico, ma solo il 38% si dichiara favorevole all’invio di nuovi effettivi. A Washington c’è inoltre una malcelata insoddisfazione nei confronti degli alleati della Nato: gli Usa auspicherebbero un maggiore contributo in uomini e mezzi da parte dei membri dell’Alleanza atlantica, ma, stando ai sondaggi, l’opinione pubblica europea è decisamente contraria all’invio di altri soldati in Afghanistan, il che rende i governi nazionali restii ad un maggiore coinvolgimento. Come se non bastasse i contingenti dei vari paesi continuano ad agire secondo regole di ingaggio differenti, rischiando di compromettere l’efficacia globale della missione. Obama ha rinviato la decisione sull’aumento delle truppe, in attesa dell’esito dell’elezioni afgane; la credibilità dello stato afgano è infatti altrettanto essenziale per il successo della strategia anti-guerriglia, che non può ottenere risultati duraturi se il governo di Kabul non viene considerato legittimo dalla maggioranza degli afgani. Sembra inoltre emergere un progressivo scollamento tra l’amministrazione di Washington e il presidente afgano Hamid Karzai, il cui governo è giudicato da più parti corrotto e inefficiente. Il processo elettorale nel limbo Le elezioni svoltesi il 20 agosto dovevano rappresentare un importante banco di prova per valutare il consolidamento delle istituzioni afgane. Rispetto alle elezioni del 2004 le autorità afgane hanno svolto compiti maggiori e hanno curato l’organizzazione e la gestione del processo elettorale, che in precedenza era stato interamente affidato alla coalizione internazionale. In totale si sono presentati 41 candidati alla presidenza, tra cui due donne; contemporaneamente al Capo dello Stato, i cittadini afgani sono stati chiamati ad eleggere i componenti dei consigli provinciali, un’istituzione importante dal punto di vista rappresentativo, ma dotata di scarsi poteri, dato che a livello locale il potere esecutivo è affidato ai governatori, nominati direttamente dal governo centrale. Le operazioni di voto e di scrutinio si sono svolte in un clima di violenza e di irregolarità, che ha fortemente condizionato la credibilità dei risultati. Le forze militari internazionali hanno registrato più di 400 attacchi nel giorno delle elezioni; l’intento della guerriglia di far fallire la consultazione è almeno parzialmente riuscito, dato che l’affluenza alle urne è stata decisamente bassa: meno della metà degli aventi diritto si è recata ai seggi, mentre in diversi distretti la partecipazione è stata inferiore al 10%. In base ai risultati pubblicati dalla Commissione elettorale, il presidente uscente Hamid Karzai avrebbe ottenuto il 54% delle preferenze, mentre il suo principale sfidante, Abdullah Abdullah, si sarebbe attestato sotto il 30%. Questi dati sono stati contestati da più parti e la Commissione elettorale ha ricevuto più di 2.000 ricorsi per brogli. La decisione di ricontare il 10% delle schede non è servita a fugare i dubbi sulla correttezza delle elezioni e secondo gli osservatori europei circa un milione e mezzo di voti sarebbero irregolari. Il riconteggio ha comunque permesso di modificare i risultati finali e in base ai nuovi dati Karzai non avrebbe superato il 50% dei suffragi. Dopo un periodo di intense discussioni tra il governo di Kabul e gli inviati americani, Karzai ha accettato di procedere con il secondo turno, una prospettiva resa necessaria anche dalla riluttanza dei due sfidanti a formare un governo di coalizione. Il ballottaggio è previsto per il 7 novembre, tuttavia lo stato di insicurezza in cui si trovano molte province pone seri ostacoli all’organizzazione di uno scrutinio credibile e si teme che l’affluenza possa risultare ancor più ridotta del primo turno. E’ importante notare che nella realtà politica afgana non esistono veri e propri partiti, dotati di una struttura e di un programma politico proprio; le alleanze vengono formate sulla base degli interessi e dell’appartenenza etnico-religiosa. Il presidente uscente Hamid Karzai sembra il candidato che più si è adattato a questa realtà. Karzai è un esponente della comunità pashtun, l’etnia maggioritaria nel paese da cui i talebani hanno tratto la maggior parte dei loro simpatizzanti; per accrescere la sua popolarità Karzai si è premurato di stringere solide relazioni con gli altri gruppi di potere, presentando come suoi vice il generale Mohammad Quasim Fahim e Karim Khalili. Fahim è stato uno dei capi dell’Alleanza del Nord ed è di etnia tagica. Khalili è un hazara ed è il presidente del partito sciita Hizb-e-Wahdat, considerato vicino all’Iran. Karzai è inoltre riuscito a guadagnarsi il sostegno di molti altri esponenti locali, tra cui l’influente signore della guerra Rashid Dostum, di etnia uzbeca. Importante esponente dell’opposizione anti-talebana, lo sfidante Abdullah Abdullah è nato da madre tagika e da padre pashtun; tra il 2001 e il 2006 ha ricoperto l’incarico di ministro degli esteri, prima di essere allontanato in seguito ai suoi contrasti con Karzai. Abdullah si è presentato con un programma riformista, proponendo tra l’altro l’istituzione di un regime parlamentare e l’elezione diretta dei governatori provinciali. Candidati alla vicepresidenza con Abdullah sono Cheragali Cherag, medico e accademico con scarse esperienze politiche, e Sardar Homayon Shah Asifi, diplomatico appartenente alla dinastia che ha regnato sull’Afganistan fino all’instaurazione della repubblica. La principale base di sostegno di Abdullah è nel nord, dove è più forte la componente tagika, tuttavia egli è stato capace di guadagnare consensi anche nel resto del paese e di aumentare la sua credibilità agli occhi della comunità internazionale. Volatilità del contesto regionale La situazione interna dell’Afganistan ha ripercussioni su tutta la regione, coinvolgendo in particolare il Pakistan, l’India e l’Iran. Le aree occidentali del Pakistan godono di ampia autonomia e sfuggono al controllo del governo centrale pakistano. Esse costituiscono da tempo la base logistica della guerriglia afgana e secondo alcune fonti vi si nasconderebbero i dirigenti dell’insurrezione afgana. Le tribù locali sono in larga maggioranza di etnia pashtun, l’etnia maggioritaria in Afganistan, e sono fortemente ancorate ad una visione tradizionalista dell’Islam. Nell’ultimo periodo l’attivismo dei militanti islamisti locali è andato oltre il semplice supporto ai talebani afgani, arrivando a minacciare lo stesso governo di Islamabad. L’esercito pakistano è attualmente impegnato in una vasta operazione volta a stroncare le basi dei talebani pakistani, che hanno comunque mostrato una notevole capacità di resistenza. Inoltre sembra profilarsi un’alleanza strategica tra i talebani delle aree tribali e i gruppi della galassia jihadista pakistana, come il Jaish-e-Mohammad e il Lashkar-e-Jahnv; tale prospettiva sembra sempre più concreta alla luce della facilità con cui i talebani sono riusciti a estendere il loro raggio d’azione oltre le loro basi di insediamento, raggiungendo il Punjab e le aree circostanti la capitale Islamabad. Contemporaneamente gli Usa hanno incoraggiato l’Iran ad assumere un ruolo maggiore in Afganistan. L’Iran è da sempre ostile all’estremismo wahabita e il terrorismo sunnita costituisce un problema anche per Teheran, come mostra il recente attentato contro un corpo d’elite dell’esercito iraniano. Tuttavia il governo di Teheran ha fino ad ora rifiutato di partecipare alle conferenze internazionali sull’Afghanistan e rimane sospettoso sulle reali intenzioni dell’amministrazione Obama, con cui è in contrasto a causa del suo programma nucleare di Teheran. Anche l’India segue da presso gli sviluppi della crisi afgana. Gli obiettivi di Nuova Delhi erano inizialmente due: sottrarre l’Afghanistan dall’influenza pakistana e abbattere la forza dell’estremismo islamico. Entrambi gli obiettivi sembravano realizzati con lo spodestamento dei talebani da Kabul, ma ora le cose sembrano più complesse. La guerriglia afgana, con il suo influsso sui movimenti pakistani, sembra aver accresciuto l’influenza dell’Islam wahabita nella regione e l’eventuale ascesa degli integralisti al governo di Islamabad è visto come un incubo dagli indiani. Di fatto il governo di Nuova Delhi sembra attualmente più vicino a quello pakistano in forza della comune avversione ai talebani e del comune interesse alla stabilizzazione dell’Afghanistan. La sua impopolarità presso i pashtun impedisce all’India di svolgere un ruolo più visibile nella partita afgana, tuttavia un’eventuale riconciliazione con il Pakistan sarebbe di grande importanza per la regione: l’alleggerimento della tensione sulla frontiera indo-pakistana permetterebbe infatti all’esercito pakistano di impiegare più forze nella lotta ai talebani. Gli Stati Uniti stanno esercitando la loro influenza per ottenere una riconciliazione tra Islamabad e Nuova Delhi, tuttavia tale prospettiva è ancora lontana, anche a causa dell’opposizione che susciterebbe in Pakistan un’eventuale intesa con l’India. Alcuni dati sull’Afghanistan Agosto 2005 Agosto 2007 Agosto 2009 Forze di sicurezza 55.000 125.000 175.000 Truppe straniere 26.000 60.000 102.000 117 172 176 Abbonati telefonici (in milioni) 2,2 5,6 8,0 Bambini che frequentano la scuola (in milioni) 4,7 5,5 6,3 Tasso di crescita annuale 15% 20% 10% Corruzione – posizione nella classifica globale (su 180 stati; fonte: Transparency International) Fonte: Brookings Institution Produzione annuale di oppio in Afghanistan (tonnellate) e percentuale della produzione mondiale, 1990 – 2009 9000 100% 93% 93% 92% 8000 87% 90% 89% 8200 80% 79% 7000 75% 75% 7700 70% 6900 6000 70% 6100 62% 61% 60% 58% 5000 Tonnellate 52% 52% 51% 48% 46% 4000 50% 4200 4568 3600 3416 4100 40% 42% 3400 2804 3000 2335 2330 2000 3276 30% 2693 2248 20% 1970 1980 1000 1570 11% 10% 185 0 Fonte: Brookings Institution 0% % produzione mondiale Stime delle iscrizioni annuali alle scuole elementari e medie 2002 – 2009 Ragazzi Ragazze Fonte: Brookings Institution Aiuti internazionali all’Afghanistan (2002 – 2013) Impegni (in milioni di $) U.S. 31.682 Britain 2.897 World Bank 2.800 Asia Development Bank 2.200 Japan 1.900 European Commission (EC) 1.768 Netherland 1.697 Canada 1.479 India 1.200 Iran 1.164 Germany 1.108 Norway 997 Denmark 683 Italy 637 Saudi Arabia 533 Fonte: CSIS Truppe in Afghanistan per paese COUNTRY US UK GERMANY FRANCE ITALY CANADA POLAND NETHERLANDS AUSTRALIA SPAIN ROMANIA TURKEY DENMARK SWEDEN BELGIUM NORWAY TOTAL 62.000 9.000 4.200 3.200 2.800 2.500 2.000 1.800 1.550 1.200 1.000 800 700 500 500 500 Fonte: IISS Effettivi missione ISAF 60.000 56.420 50.000 47.332 40.000 31.267 30.000 20.000 19.597 10.000 5.581 8.065 9.685 ago-04 lug-06 0 ago-03 Fonte: NATO set-06 nov-06 mar-08 feb-09 Effettivi missione ISAF (Totale 67.700), luglio 2009 1,000 Fonte: NATO Effettivi USA in Iraq e Afghanistan 200.000 180.000 160.000 140.000 120.000 100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0 gen-07 giu-07 gen-08 giu-08 gen-09 giu-09 Iraq 128.569 150.336 155.846 182.000 142.000 130.000 Afghanistan 20.947 26.480 26.607 48.250 37.000 56.000 Fonte: CSIS Spese annuali USA per le guerre in Iraq e Afghanistan (miliardi di $) 160 140 120 100 80 60 40 20 0 Iraq Afghanistan Fonte: CSIS FY01/02 FY03 FY04 FY05 FY06 FY07 FY08 FY09 0 53 75,9 85,5 101,7 133,6 140,9 93,5 20,8 14,7 14,5 20 19 36,9 42,1 55,3 Perdite in Afghanistan (per paese) COUNTRY TOTAL US 881 NORWAY 4 UK 221 CZECH 3 CANADA 131 LATVIA 3 FRANCE 36 HUNGARY 2 GERMANY 34 PORTUGAL 2 SPAIN 26 SWEDEN 2 DENMARK 25 TURKEY 2 ITALY 22 BELGIUM 1 NETHERLANDS 21 FINLAND 1 POLAND 15 LITHUANIA 1 AUSTRALIA 11 NATO 1 ROMANIA 11 SOUTH KOREA 1 ESTONIA 6 Fonte : www.icsasualties.org TOTAL 1463 Comandi regionali ISAF e Provincial Reconstruction Teams (PRT) Fonte: NATO Principali unità ISAF Fonte: NATO Livello di sicurezza per area Fonte: NATO Gruppi etnici Fonte: Library of Congress