Bernard Berenson
Transcript
Bernard Berenson
Bernard Berenson VIAGGIO IN SICILIA Traduzione di Arturo Loria A Lyda e Yana Messina, 19 Maggio 1953 Era dal 1889 che non mi capitava di viaggiare in treno da Napoli verso il Meridione, come sto facendo ora. Nel lasciare la città, ho visto per la prima volta le rovine degli edifici colpiti dai bombardamenti aerei ai lati della linea ferroviaria. L’uomo ha compiuto qui, in un minuto, la distruzione che la natura, pur con tutta la sua violenza, produsse in un tempo relativamente lungo a Ercolano, a Pompei. Il paesaggio, specie tra Agropoli e Sapri lussureggiante, semitropicale, rivaleggia con quello della costa amalfitana. Promontori, fenditure, picchi torreggianti, precipizi, e sempre il mare visibile fino a grande distanza. Non vi sono spiagge vere e proprie, ma soltanto stretti arenili di color ferrigno tra la terra montuosa e il mare. Olivi giganteschi a bosco e folte macchie di ginestre gialle, in fiore. Pochissimi forestieri con noi. Ho udito le voci nasali di una coppia di americani e ho osservato un vecchio francese dal volto fine e arguto. Le carrozze sono quasi esclusivamente occupate da Italiani. Questi dimostrano adesso un bisogno o un desiderio di muoversi, che mai io avevo costatato a tal grado, durante i miei sessant’anni di permanenza in Italia. V’influisce, immagino, l’odierna comodità dei viaggi. A Villa San Giovanni c’è un interminabile treno della Croce Rossa con gl’infermi che vanno in pellegrinaggio a 143 BERNARD BERENSON Lourdes. Quale tributo alla speranza! Mentre la nave-traghetto, gioiosamente affollata, si avvicina a Messina, vengo assalito da un male di cui forse sono il solo a soffrire. L’ho identificato e gli ho dato un nome, derivandolo, secondo l’uso, dal greco: “Xenodochiofobia”. Ma intanto, non ho tregua. Si tratta della particolare ansia per come mi troverò nell’albergo al quale sono diretto. Mi domando se la stanza non avrà, per caso, un aspetto a me ostile: troppo alta, troppo bassa, troppo stretta; con mobili sproporzionati, polverosi, impiastricciati, o con carta, sui muri, strappata via a pezzi; e inoltre, se non mancherà di una lampada per leggere a letto, di un cestino per buttarvi i fogli inutili, perché so che allora io vi starò in misere condizioni d’animo e di corpo. Più volte, al termine di lunghe giornate di viaggio in automobile e di visite a chiese, musei, templi, moschee e rovine, in Spagna, in Grecia, in Siria, in Algeria, ho talmente temuto ciò che m’aspettava alla sosta notturna che, per quanto stanchissimo, avrei preferito tirare avanti. I miei timori riguardo all’albergo, qui a Messina, non erano poi del tutto infondati. La sala d’ingresso ha una sua magnificenza dovuta a uno scalone a doppia branca che porta su alle camere ch’io non posso lodare e per le quali si paga un prezzo esorbitante, ma indubbiamente relativo al lusso di salirvi per quelle gradinate. In compenso, come dappertutto in Sicilia, un’amichevole premura di venire incontro ai tuoi desideri, cibo sanissimo e servito con prontezza. Messina, 20 Maggio Questa città è ora piena di vita e di trambusto come tanti altri capoluoghi di provincia in Italia. Strade larghe, 144 VIAGGIO IN SICILIA edifizi che sembrano ispirati da una esposizione di architettura. Vi prevale una certa gaiezza, la vista del mare e la brezza marina. Tuttavia, io penso nostalgicamente alla Messina che visitai per la prima volta nel 1888, con il suo nobile lungomare, detto “La Palazzata” e con vie parallele a questo, fronteggiate da palazzi o palazzetti di buona linea. Tutte le loro finestre avevano un balcone, e ogni balcone era racchiuso in una gabbia di ferro battuto e dorato. Il lastrico delle strade s’incurvava dai lati verso il centro per facilitare lo scorrimento dell’acqua piovana. Di quella Messina, allora ricca di chiese e monumenti, che cosa c’è rimasto? Ben poco: la piccola, ma squisita Chiesa dei Catalani; la grandiosa fontana del Montorsoli, la più bella, direi, che in questo genere si veda in Italia o altrove; e alcune parti dell’antica Cattedrale, per lo più pesantemente e pomposamente restaurata. A proposito della fontana del Montorsoli, mi colpisce il fatto curioso che non esista, almeno a mia conoscenza, una monografia che la riproduca in tutti i suoi elementi e dia un adeguato rendiconto della sua storia. Eppure, essa offre un repertorio di motivi michelangioleschi come non è trovabile altrove, quando si eccettuino i lavori di Michelangelo stesso. Ma prescindendo dalla sua importanza nella storia dell’arte italiana, si tratta di un’opera di considerevole merito tanto nell’insieme, per disegno e composizione, quanto per i suoi piacevoli e spesso finissimi particolari. Un gran numero d’interessanti sculture di tarda antichità, medievali, rinascimentali e barocche, e di frammenti architettonici, salvati tra i rottami di chiese e conventi distrutti dal terremoto, sono ora in via di riordinamento al Museo Nazionale. Questo è stato ingrandito e allogato in un vecchio edifizio monastico, che ha un bel chiostro, nella parte settentrionale della città, in riva al mare. Vi si trovano anche parecchi quadri, tra cui i due famosi del Caravaggio e altri dovuti a suoi stretti seguaci. 145 BERNARD BERENSON Messina, 21 Maggio Ho chiesto un giornale del mattino. Me ne hanno portato uno che si scagliava cosí furiosamente contro De Gasperi e contro gli Americani ch’io l’ho preso per un foglio pro-sovietico. Il portiere dell’albergo, mio immediato consulente in questo caso, mi ha assicurato ch’era, invece, l’organo locale del partito monarchico; quindi mi ha fatto avere un giornale ritenuto “indipendente”. Debbo dire che la differenza col primo stava solo nel tono meno violento. Ma che vogliono costoro? Davvero preferiscono fascisti, comunisti, monarchici, chiunque, insomma, voglia buttar giù l’attuale Governo? Alcuni amici siciliani si lamentano, parlando con me, di errori commessi da De Gasperi. Senza dubbio, De Gasperi avrà commesso degli errori; ma il governare è un compito più che altro empirico, esposto a soffrir di ogni specie di mosse sbagliate e di vicoli ciechi: un compito complicato, in regime parlamentare, al punto da essere quasi sovrumano. A me sembra che nessuno possa disconoscere l’abilità e la buona volontà di De Gasperi. Nella loro grande maggioranza gl’Italiani, quando parlano, scrivono o discutono di politica, si abbandonano a un eccesso di passione, per cui vanno trattandola come se, invece del maneggio delle faccende di casa su scala nazionale, fosse teologia. La principale ragione del mio fermarmi a Messina per tre giorni è la mostra dei dipinti di Antonello da Messina, l’unico pittore universalmente famoso della Sicilia, anzi di tutta l’Italia Meridionale, tra quelli del Quattrocento. La mostra non contiene che una parte delle sue opere. Mancano i quadri di Londra, di Parigi, di Washington, e manca, purtroppo, il suo capolavoro: il San Sebastiano della Galleria di Dresda, che vogliamo sperare sia scomparso solo temporaneamente. Intanto, le autorità sovietiche avrebbero dichiarato di non saper nulla circa la sua presente ubicazione; ma ciò può venir detto per moti146 VIAGGIO IN SICILIA vi di carattere diplomatico. Oltre a un numero di ritratti più che sufficiente per dare una adeguata idea della grandezza di Antonello come ritrattista, vi si trova l’“Annunciazione” che Lionello Venturi scoprí a Palazzolo Acreide e la sublime “Pietà” del Museo Correr di Venezia. E poi due “Crocifissioni”: una giovanile, che proviene dalla città di Transilvania, che un tempo si chiamava Hermannstadt, e una, di epoca più matura, da Anversa. V’è, nei fondi paesistici di entrambe e in quello frammentario dell’“Annunciazione”, un senso veritiero della distanza, di una distanza, dirò cosí, vissuta, sentita per averla percorsa con i propri passi, qual raramente, e forse mai, si riscontra nei Fiorentini del Quattrocento, ad onta del loro appassionato dedicarsi agli studi di prospettiva. Anche nei migliori, prendiamo Piero della Francesca, Baldovinetti, Pollaiuolo, il senso della distanza risulta più che altro in una specie di sintesi topografica. Dinanzi alla “Pietà” del Museo Corrier, mi riesce difficile comprendere, ora, come accadde che tutti noi, critici d’arte, mancassimo di riconoscervi la mente e la mano di Antonello. Forse, perché quest’opera ha impronta cosí fortemente derivata da Giovanni Bellini. Tuttavia, ciò che rimane del paesaggio e dell’architettura, come anche qualcosa nelle teste degli angeli e nel disegno bizantino delle loro ali, avrebbe dovuto darci il bandolo della matassa da svolgere fino alla attribuzione giusta. Dunque, onore a Roger Fry, il pittore e saggista inglese mancato a Londra nel 1934, che fu il primo a trovarla. Misteriosissima è la carriera di Antonello. I suoi inizi, quali si vedono anche qui alla mostra, non son poi troppo promettenti. La convinzione da me avuta per molti anni che Antonello fosse, da giovane, sotto l’influenza di Petrus Christus, è confermata, come mi dice il professor Bottari di Catania, da un documento scoperto negli Archivi di 147 BERNARD BERENSON Milano. Esso prova che Antonello e Petrus s’incontrarono e lavorarono insieme in quella città. Nel 1474, o, al più tardi, nel 1475, Antonello andò a Venezia, dove la sua pala d’altare per San Cassiano fu un avvenimento straordinario quanto la presentazione al pubblico di certe tele di Cézanne, nella Parigi dei tempi nostri. E ciò per ragioni tecniche, senza dubbio, poiché dal punto di vista compositivo la pala di Antonello è convenzionalmente bellinesca e non ha nuovi ardimenti d’espressione. Questa, anzi, vi è piuttosto debole. Egli finí per diventare quasi del tutto un pittore veneziano, come si vede bene dal “San Sebastiano” e dai ritratti eseguiti negli ultimi tre anni della sua vita. Viene da chiedersi a quale suprema grandezza sarebbe giunto, se la morte non lo avesse troncato nel 1479, mentr’era appena quarantenne. Messina, 22 Maggio Tra i vari viaggi da me compiuti in Sicilia ve ne fu uno nel maggio del 1908. Ricordo che, trovandomi a Messina, andai su per le boscose alture che le stanno a ridosso. E cosí feci ieri, di nuovo, seguendo la strada che conduce a Palermo e che si arrampica subito tra meravigliosi cespugli di gerani rosso scarlatto, come attraverso un nobile parco privato, offrendo una delle più poetiche viste di cielo, mare e promontori ch’io conosca. Nel dicembre di quel medesimo anno io ero a Washington, quando la mattina del 29, leggendo il giornale, appresi dell’immane disastro che aveva colpito questa città il giorno prima. Orribile fu il pensiero delle vittime e della distruzione avvenuta, e a ciò si aggiunse l’angoscia acutissima per un mio caro amico che sapevo trovarsi a Messina. Egli rimase miracolosamente salvo; ma nessuna ricerca valse mai a sco148 VIAGGIO IN SICILIA prire traccia di sua moglie e dei suoi quattro bambini, periti sotto le macerie. Taormina, 23 Maggio Quando io venni qui per la prima volta, l’unico albergo era una casetta dipinta in rosa proprio sotto al Teatro Romano. Che differenza con l’attuale caravanserraglio costituito dagli alberghi e dalle pensioni, che ora formano il nucleo della piccola città! Piccola, ma già con una sua parte importante nella storia antica della Sicilia. Sempre in guerra, al pari delle consorelle, contro l’una o l’altra di loro: perfino contro il villaggio di Mola, che le sta sopra, in vetta a un alto picco ad obelisco. Il suo richiamo e maggior titolo di gloria risiede nella vista dal cosiddetto Teatro Romano. Curioso è che, quando il Teatro era “un’impresa funzionante”, secondo un’espressione americana, gli spettatori non avrebbero potuto vedere ciò che godiamo noi ora, perché, come ogni teatro greco o romano, aveva una permanente scena architettonica, retta da un muraglione, che impediva qualsiasi sguardo al paesaggio. La ricostruzione di una simile scena a Sabratha e l’esame di una ancor più completa ad Aspendos, in Asia Minore, mostrano a quale considerevole altezza esse giungessero. Questo, per altro, mi fa tornare in mente un cenno storico che riguarda, invece, il Teatro di Siracusa. Io non ricordo se sia proprio Tucidide a dire che parte dei Siracusani, durante la loro difesa contro gli Ateniesi, affollarono il teatro, ansiosi di veder di là l’esito della battaglia nel porto interno, oppure se ciò non sia una fantasia di storici posteriori. Se però Tucidide lo dice, v’è da ritenere che il teatro di Siracusa sia stato ben diverso da tutti o quasi tutti gli altri. 149 BERNARD BERENSON Comunque, io sospetto che gli antichi Greci e i loro discepoli, i Romani, non avessero speciale amore per i paesaggi in quanto compongono vedute grandiose e incantevoli, ma solo alleandoli con una sensibilità pratica e poetica per la freschezza del mattino e della sera o con la delizia di starsene calmi e sereni in una solitudine boscosa. Taormina, 24 Maggio Stamani mi son levato alle 4.45 e mi son messo al balcone della mia stanza per vedere l’alba sull’Etna. Il suo colore era argento e viola sopra un delicato rossore, che sembrava venirgli di dentro. In vetta, un diadema di neve, e sotto, la collana delle nubi. La grande altezza della montagna non appariva per via dei suoi morbidi e lunghi fianchi. Il mare era uno specchio che rifletteva i colori del cielo, via via pervaso di rosso per il sorgere dal basso del sole, sempre più presente, sebbene non fosse ancor scoperto al mio occhio. Una calma senza suoni, eccetto quello vasto e subito spento della grande distesa del mare che si infrangeva sulla riva. Solo un poeta come Wordsworth e in uno stato d’animo simile a quello del suo sonetto sull’attesa della levata del sole sul Westminster Bridge a Londra, avrebbe potuto comunicare a coloro che non hanno visto quest’alba, ciò ch’essa significava per me, con la sua pura felicità visiva, con la sublime armonia e il solenne silenzio ch’io godetti tanto egoisticamente. Ho appena detto che i morbidi pendii dell’Etna c’impediscono di avvertir bene quanto la montagna sia alta. Ma io, in particolari circostanze, ebbi modo di averne il sentimento. Nei primi giorni del dicembre, nel 1888, venivo dal Pireo sopra un piccolo piroscafo mercantile, che 150 VIAGGIO IN SICILIA doveva lasciarmi a Messina. Il mare ci castigò con una delle sue più matte burrasche, calmandosi poi, mentre ci avvicinavamo alla Sicilia. Salito sul ponte, io guardai al firmamento cristallino e vidi una bianca curva seguirlo fino a un punto che mi sembrò lo Zenit. Allora chiesi che fosse mai quello che gli occhi scoprivano. Mi fu risposto: “È l’elevazione dell’Etna che s’inarca per adattarsi alla curva del cielo”. Illusione? Realtà? Posso solo dire che non ho mai più dimenticato quella straordinaria visione. Taormina, 25 Maggio Che cos’è che mi spinge a lasciar questo luogo cosí bello, comodo, riposante? Forse la coscienza di non aver io nulla da fare, qui, specie adesso che cammino male, con gambe appesantite, e che non riesco più a compiere lunghe passeggiate. Una permanenza protratta potrebbe ricondurmi, trascorso un periodo di non spiacevole noia, ad uno stato abbastanza creativo e quindi atto a procurarmi maggior soddisfazione di quella prevista nel passare da un disagio all’altro per veder cose che s’erano mirabilmente esaltate nella mia memoria di visite giovanili e che ora posso trovar sfigurate da aggiunte e volgarità di ogni sorta. E se fosse “Wanderlust”? In fondo, mi par proprio di riconoscerla anche in me. E come mai ci sottomettiamo, obbediamo cosí fedelmente a questo universale stimolo a mutar luogo? Perché il turista se ne va da una parte all’altra del globo e con tanta velocità? Ovunque si fermi, ben poco afferra all’infuori del ricordo di essere stato in quel luogo e la coscienza ch’esso è ancora sulle carte geografiche. Non ha alcun psichiatra freudiano scritto un libro sulla “Wanderlust”, o “Reiselust” che sia? 151