La decisione sul caso Breivik rappresenta l

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La decisione sul caso Breivik rappresenta l
Diceva Voltaire che la civiltà di un Paese si misura dalle sue carceri. Affermazione, questa, che
trascende i tempi, li attraversa ed arriva ai giorni nostri con prepotente attualità. La sentenza con
cui la Corte distrettuale di Oslo ha riconosciuto al condannato Anders Berhring Breivik - autore
nel 2011 dell'uccisione di 77 persone - un risarcimento per aver patito un trattamento detentivo
"inumano e degradante", farà sicuramente discutere. Ma ci piace definirla una decisione
illuminata. Non può sorprendere che il collegio giudicante norvegese, presieduto da una donna,
abbia ritenuto che Breivik meriti di essere ristorato per aver affrontato cinque anni di detenzione
nel più totale isolamento, insieme al frequente obbligo di portare le manette ai polsi e per essere
stato sottoposto a continue perquisizioni. Non può sorprendere perchè il fatto, che destò orrore in
tutto il mondo per la lucida premeditazione ed efferatezza con cui fu portato a compimento,
rappresenta l'icona di un sistema penale, quello scandinavo, che intende l'espiazione della pena
come reale strumento di recupero e di risocializzazione del reo, ma soprattutto descrive la sua
dignità come principio fondamentale al quale non può mai derogarsi, quando anche costui si sia
reso responsabile dei crimini più atroci. Fin da subito, la vicenda destò scalpore anche per l'entità
della pena, 21 anni di reclusione, che venne applicata a Breivik. Un trattamento edittale che, specie
nel nostro Paese, molti ritennero del tutto esiguo ed incongruo rispetto all'entità dell'azione
delittuosa commessa. Sarebbe agevole immaginare, come di fatto è accaduto, che nel nostro Paese,
per un fatto di quelle dimensioni, si sarebbero invocati patiboli, forche, pene capitali. Questo non
accadde in Norvegia, dove il codice penale non prevede l'ergastolo e dove i cittadini di Oslo, il
giorno dopo la strage, si riunirono in una manifestazione pacifica nella quale colorarono le vie
della città con mazzi di rose rosse in memoria delle vittime di quella sciagurata giornata. E a
nessuno passò per la testa di sollecitare punizioni esemplari verso il mostro che aveva ucciso con
gelida pervicacia quasi 80 persone, molte delle quali erano giovani ragazzi. L'approccio del popolo
scandinavo a quella vicenda, libero da ogni eccesso emotivo, è l'espressione più vera ed autentica
di uno Stato il cui sistema sanzionatorio nulla concede all'afflizione e alla retribuzione come esiti
ultimi di quel sentimento di vendetta che spesso inevitabilmente muove la pubblica opinione. E
che spesso nel nostro Paese viene raccolto dalle forze politiche alla costante ricerca di consenso
elettorale, trasformandosi in provvedimenti legislativi che contrastano con i principi informatori di
uno stato democratico. In quest'ottica, la ragione di fondo che sorregge l'impianto motivazionale
della decisione di risarcire il "carnefice" Breivik risiede nell'elementare considerazione che il
diritto costituisce e rappresenta un valore fondamentale di una società democratica, e deve essere
riconosciuto anche agli autori dei crimini peggiori. Il regime detentivo a cui è stato sottoposto "il
killer di Utoya" in questi anni non ha rispettato gli standard minimi, anche per quanto concerne le
dimensioni della cella. E la cella in questione non era un pertugio di pochi metri, umido e malsano,
bensì un trilocale di ben 31 metri quadri, diviso in stanza da letto, stanza palestra, stanza lavoro,
bagno angolo cottura, oltre a tv, playstation e computer senza connessione a internet. Se
dovessimo raffrontarla con le celle riservate ai detenuti in Italia, il nostro Paese dovrebbe elargire
loro cospicui risarcimenti per le condizioni, davvero inumane e degradanti, in cui spesso sono
costretti a vivere. Quanto meno se dovessero essere adottati i criteri di valutazione posti dai giudici
di Oslo a fondamento della loro decisione. Colpisce, ma fino ad un certo punto, come molti mass
media italiani abbiano definito quella di Oslo una "sentenza shock". Questo è indicativo di come il
significato di questa decisione rappresenti per noi qualcosa di anomalo rispetto al nostro modo di
percepire ed intendere l'idea di dignità della persona. E' vero però che questa decisione non può e
non deve essere annoverata, puramente e semplicemente, come un normale provvedimento
giurisdizionale, al pari di tanti altri. Essa rappresenta l'espressione di un'altissima civiltà giuridica
ed ancor prima democratica di cui la Norvegia ha dato, per l'ennesima volta, lezione al mondo. Ed
anche all'Italia.
Roma, 21 aprile 2016
La Giunta