Un paesaggio mediterraneo e un territorio alpino Forme del potere e
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Un paesaggio mediterraneo e un territorio alpino Forme del potere e
Un paesaggio mediterraneo e un territorio alpino Forme del potere e aree di strada lungo i laghi prealpini tra età tardoantica e medioevo* Roberto Leggero – USI-LabiSAlp *lezione tenuta il 14. maggio. 2015 all’interno del corso del Prof. João Nunes, USI – Accademia di Architettura ______________________________________________________________________________ I. Gli spazi dai quali gli uomini si lasciano contenere hanno una loro storia 1 Gli spazi dai quali gli uomini si lasciano contenere hanno una loro storia. La prima considerazione che possiamo fare a proposito dei laghi prealpini tra età tardoantica ed età medievale è relativa alla necessità di non considerare soltanto le superfici dei laghi di per sé, come se fossero ambiti separati rispetto al territorio che li circonda, ma considerare invece il contorno e cioè le aree urbane e i centri di potere che si stabilirono nel corso del tempo, esercitando sulle regioni lacuali la loro iniziativa tesa all’utilizzo e allo sfruttamento di quei bacini. Inserire i laghi in un contesto più ampio consentirà di visualizzare in modo diverso il paesaggio, includendo in esso anche le componenti meno visibili come le forme di esercizio della sovranità che generano i segni legati alla presenza del potere. Aree di lago Inoltre vale la pena di tenere presente che il territorio ha un suo costante dinamismo e se certi elementi apparentemente rimangono invariati né i luoghi né le popolazioni né le entità politiche permangono identiche a se stesse. A ciò si aggiunga che « l’unità di uno spazio esteso come un lago o una valle non era affatto scontata» 2. L’unità non è scontata Non "laghi", dunque ma "aree di lago". Ma quanto ampie dovranno essere le aree da prendere in considerazione? Tenendo conto del fatto che i principali laghi prealpini (Lago d’Orta, Lago Maggio re, Lago di Lugano, Lago di Como, Lago di Garda) si trovano lungo gli stessi itinerari che consentono di superare la catena delle Alpi e di giungere nella Pianura Padana (e viceversa), e valutando anche il fatto che non esistono, almeno fino alla fine dell’età medievale, insediamenti urbani in prossimità dei laghi – con la notevole eccezione della città di Como – l’area da prendere in considerazione è abbastanza vasta, tanto da comprendere tutte le città che tendevano a esercitare un controllo sui laghi: Vercelli, Novara, Milano, Como, Brescia e Verona. Fino alle città della Pianura Padana Infatti, se incominciamo a considerare le aree di lago a partire da una delle culture più antiche di queste regioni, e cioè la Cultura di Golasecca (IX-IV secolo a.C.) è possibile osservare come essa fosse diffusa in un’ampia fascia perilacuale e, nello stesso tempo, organizzata in vasti insediamenti protourbani, che comprendevano le località piemontesi e lombarde di Castelletto Ticino, Golasecca, Sesto Calende ed erano dunque collocati in particolare attorno all’emissario del Lago Maggiore, il fiume Ticino. A partire da tali insediamenti, a parere degli storici di questa età, gruppi umani si sarebbero spostati verso la pianura e avrebbero dato origine a un porto collocato al centro di una rete di fiumi e di canali naturali navigabili destinato a diventare la città Golasecca (IXIV secolo a.C.) 1 P. Sloterdijk, Sfere I. Bolle. Microsferologia, Raffaello Cortina, Milano 2014, p. 80. Della Misericordia, La comunità sovralocale. Università di valle, di lago e di pieve nell'organizzazione politica del territorio nella Lombardia dei secoli XIV-XVI, in Lo spazio politico locale in età medievale, moderna e contemporanea, a c. di R. Bordone, P. Guglielmotti, S. Lombardini, A. Torre, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2007, p. 106. 2 2 di Milano. Successivamente, proprio nel luogo dove era collocata l’oppidum golasecchiano, i Romani avrebbero posto l’incrocio tra il cardo e il decumano di Mediolanum. Vale la pena di ricordare che con la conquista romana della pianura che si estende a nord del Po (l’XI Regio, la Gallia Transpadana), i tracciati viari erano caratterizzati da percorsi che si snodavano in pianura e nei fondovalle, da un’attività costante di manutenzione e riparazione delle strade, da collegamenti postali e commerciali regolari e dal controllo politico e militare di quegli itinerari. Tracciati viari in età romana Tutte queste condizioni sono importanti per comprendere la differenza tra gli itinerari di epoca romana e quelli delle epoche successive nelle quali vengono a mancare sia le attività manutentive sia il controllo della viabilità, con la conseguenza che gli itinerari tenderanno a innalzarsi di quota per evitare impaludamenti, frane, esondazioni o altre condizioni calamitose che colpivano le strade collocate lungo i fondovalle o in prossimità dei fiumi e dei laghi. Tracciati viari in età medievale II. Una ricerca sul dove si interroga sul luogo che gli uomini producono per avere ciò in cui possono apparire quello che sono 3 Una ricerca sul dove si interroga sul luogo che gli uomini producono per avere ciò in cui possono apparire quello che sono. Il controllo politico esercitato nella vasta area lacuale prealpina dalla presenza romana rese i laghi aree adatte alla produzione ma anche alla villeggiatura e allo svago. Ciò è evidente quando si consideri l’alto numero di ville adatte sia alle attività produttive sia all’otium. In esse potevano convivere attività agricole e lo svago derivante dall’apprezzamento dei possidenti romani per i luoghi ameni. I laghi: luoghi adatti all’otium Il primo di questi due aspetti, e cioè quello produttivo, era direttamente connesso alla simultanea presenza di vie di comunicazioni di terra e d’acqua. La presenza di vie di comunicazione costituisce, infatti, per definizione una delle costanti nella scelta del luogo di edificazione di un edificio come una villa (gli altri erano la fertilità del terreno e la buona irrigazione, condizioni che si ritrovavano negli agri centuriati). Gli scrittori latini come Varrone consigliavano a chi avesse voluto edificare un edificio rustico con intenti produttivi di collocarlo in prossimità di corsi d’acqua per la maggiore economia per quanto riguardava le spese di trasporto. Inoltre Varrone consigliava anche 4 di realizzare presso la villa una taberna per la vendita dei prodotti agricoli ai viaggiatori di passaggio. Ville di produzione e di otium L’amenità dei luoghi nei quali sono collocate le ville consentiva inoltre di rispondere agli antichi ideali di dignità – importanti soprattutto per il ceto senatorio – i quali imponevano al buon romano di dedicarsi esclusivamente all’attività agricola evitando il commercio (anche se ciò era ben lontano dalle pratiche quotidiane, anche quelle dei senatori). Ideali di dignità del ceto senatorio Gli impegni legati all’attività commerciale, infatti, avrebbero distratto il proprietario portandolo lontano dalla villa e impedendo l’otium e cioè l’insieme delle attività di ristoro e di svago ma anche di riflessione intellettuale e di meditazione che 3 4 P. Sloterdijk, Sfere I. Bolle. Microsferologia, Raffaello Cortina, Milano 2014, p. 21. De re rustica, Libro I, cap. II. Attività commerciale e mos maiorum 3 distinguevano (e separavano) il divites romano dagli artigiani e dai mercanti. Il ristoro e la riflessione rappresentavano il soddisfacimento di necessità essenziali per il mantenimento della buona salute del corpo e dello spirito, connotando positivamente la condotta di vita e la moralità di chi voleva ispirarsi al mos maiorum (il comportamento degli avi), custode di un buon tempo antico e mitico nel quale i condottieri romani lavoravano la terra con le loro stesse mani. In particolare, dell’ambiente lacuale prealpino si apprezzava il clima che consentiva di godere le temperature miti dell’autunno e dell’inverno associandole alla grandiosa visione delle nevi della catena alpina. Il clima temperato Accanto alle ville rustiche, dedicate all’attività produttiva, troviamo le ville d’otium che non contemplano se non marginalmente, funzioni agricole. Inoltre non bisogna dimenticare il ruolo di status symbol che queste strutture esercitavano e il prestigio sociale che esse conferivano ai proprietari. Queste costruzioni sono di solito legate alle élite politico-economiche romane e un esempio estremamente significativo è quello rappresentato dalla villa romana detta “Le grotte di Catullo” a Sirmione costruita a picco sul Lago di Garda o dalla villa di Desenzano, sempre sul Garda, aperta su una ampia insenatura e i cui edifici erano costruiti parallelamente alla linea di costa. Ville d’otium come staus symbol La villa intitolata al poeta latino, morto nel 54 a.C., probabilmente non l’ha mai ospitato ma sotto di essa sono state ritrovate le tracce di un edificio più antico, forse proprio quello appartenuto al poeta. La villa – realizzata tra la fine del I sec. a.C e il I sec. d.C. – di cui ancora oggi sono visibili i resti (collegati soprattutto ai vani di sostruzione, alla enorme cisterna e a lacerti pavimentali) ha una pianta di forma rettangolare di circa 167 metri per 105 metri e copre un’area di circa 2 ettari (20.000 mq). Le Grotte Catullo La villa romana di Desenzano, invece, aveva una superficie di oltre un ettaro (11.000 mq) e venne costruita tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del IV secolo d.C. In essa sono evidenti i settori di rappresentanza e quello residenziale, quello termale (l’uso delle fonti termali e le terme sono è particolarmente importante nel mondo antico) e quello rustico. Villa di Desenzano Motivo di svago per i proprietari delle ville doveva essere anche l’occuparsi della costruzione o del loro ampliamento, come scrive Plinio il Giovane al suo corrispondente Romano 5 in una lettera che viene riportata qui di seguito. Importante è anche la lettera a Caninio Rufo nella quale, chiedendogli notizie della villa che Caninio possedeva preso Como, ne descrive gli ambienti: Plinio il Giovane Tu mi scrivi che sei intento a fabbricare. Io me ne rallegro. La mia difesa è già pronta. Fabbrico anch’io e con ragione, perché tu fai lo stesso (…) tu fabbrichi presso il mare, io presso il lago di Como. Ho molte ville sulle sue rive, ma due tra le altre mi danno più gioia ma più imbarazzo al tempo stesso. L’una, fabbricata come quelle che si vedono sulla costa di Baia [golfo di Pozzuoli], s’erge sopra gli scogli e domina il lago; l’altra fabbricata allo stesso modo lo tocca. Io dunque di solito le chiamo l’una Tragedia, l’altra Commedia. La prima perché, per così dire, si è messa i coturni, e la seconda le semplici pianelle. Ognuna delle due ha la sua bellezza, e anche la diversità Epistolae, 9, 7 5 Epistolae, 9, 7 di 4 accresce la bellezza per colui che le possiede. L’una gode il lago più da vicino, l’altra ne ha la vista più ampia. L’una fabbricata in forma di semicircolo, abbraccia un seno o vogliamo dire un porto; l’altra forma due porti differenti con la sua altezza, che entra nel lago. In una tu hai un viale unito che si stende lungo la riva; nell’altra un doppio viale spazioso e coperto d’alberi, ma che ha una dolce pendenza. Le onde non s’avvicinano alla prima, e si rompono alla seconda. Dall’una tu puoi pescare senza uscire dal tuo appartamento, e quasi senza levarti dal letto, da dove puoi gettare l’amo come da una barca. Non è sorprendente che, nel XVI secolo, in una temperie culturale di riscoperta dei classici e dei valori morali, ideali ma anche architettonici ed estetici del mondo antico, il vescovo, medico e scrittore Paolo Giovio realizzi a Como (spinto dal «pazzo capriccio dell’edificare» come scrive in una lettera) la villa detta “il Museo” – nella quale collocare la sua imponente collezioni di ritratti di letterati e uomini d’arme – a imitazione delle ville possedute e descritte da Plinio. Letteralmente un luogo che Giovio realizzò per possedere ciò attraverso cui apparire per quello che era 6. Paolo Giovio III. Dove siamo quando siamo al mondo? Siamo in un esterno che supporta mondi interni 7 Dove siamo quando siamo al mondo? Siamo in un esterno che supporta mondi interni. La percezione del mondo e degli spazi si modifica al passaggio tra età tardoantica ed età medievale. La presenza del potere si “verticalizza”. È una tendenza che nasce dall’appropriazione delle torri delle cinte murarie urbane da parte dei vescovi per la costruzione dei palazzi episcopali. La persistenza dell’autorità si manifestava negli ambienti e gli edifici connessi alla cattedra episcopale – la cattedrale, il battistero, il palazzo vescovile ovvero la cosiddetta insula episcopalis – che assumevano tanto più rilievo nel tessuto urbano in quanto in essi e attraverso di essi si manifestava e operava la figura di maggiore prestigio in città. Da un lato il vescovo aveva imitato il potere politico manifestando visivamente in immobili imponenti la sua presenza ma, d’altro canto, il potere politico civile avrebbe teso a imitare i vescovi innalzando anch’esso le sue torri. A seguire le élite urbane avrebbero innalzato le proprie torri private, insieme simbolo di prestigio e segnale che indicava il luogo di svolgimento di affari e di cambio del denaro. Anche le pievi (cioè le chiese campestri con diritto di battesimo che servivano ampie aree) si presentavano sfruttando la verticalità delle località sulle quali erano poste e/o la torre campanaria per segnalare da lontano la loro presenza. Dal punto di vista economico l’unità della villa rustica romana venne sostituita dalla dall’azienda curtense (curtis) il cui dominus poteva essere il sovrano, un’istituzione religiosa o un privato. Contrariamente a quello che in genere si pensa, però, le proprietà che formavano la curtis potevano anche essere collocate a decine di chilometri di distanza l’una dall’altra, in una frammentazione anch’essa tipica del periodo. Infine si consideri la tendenza della viabilità medioevale ad alzarsi di quota e la moltiplicazione dei tracciati viari in itinerari alternativi, ciò che i medievisti hanno chiamato “aree di strada”. 6 Alcuni studiosi hanno letto una continuità tra lo studium aedificandi di paolo Giovio e la sua storiografia. 7 P. Sloterdijk, Sfere I. Bolle. Microsferologia, Raffaello Cortina, Milano 2014, p. 21. Il Medioevo: verticalità, economia rurale e viabilità 5 In buona sostanza si tratta di un fenomeno determinato dall’interruzione per larghi tratti delle vie romane che costringevano a seguire itinerari paralleli a quello principale o, nei luoghi dove ciò era possibile, ad alzarsi di quota per evitare i problemi o i rischi derivanti da tracciati stradali ora difficili o pericolosi da percorrere. Inoltre, con l’aumentare degli insediamenti rurali si determinavano nuovi percorsi che legavano alla viabilità principale i villaggi, le pievi e gli insediamenti religiosi. Aumento degli insediamenti e deterioramento delle strade Nelle aree di lago è possibile ritrovare sia un tracciato alto, collinare o montuoso – come nel caso del Lago di Como contornato da montagne alte fino a duemila metri che si affacciano direttamente sul bacino lacustre – e uno litoraneo, che collegava i villaggi sulle rive ed era correlato alla viabilità lacustre. Spesso anche questo tracciato era costretto a innalzarsi per evitare di essere cancellato dalle piene del lago o dagli impaludamenti. Tracciati alti Le vie d’acqua, se possibile, accrebbero la loro importanza in età medievale, sia per la convenienza derivante dalla riduzione dei tempi di trasporto di merci e viaggiatori, sia per le capacità di carico delle imbarcazioni sia per la relativa sicurezza di cui potevano godere i viaggiatori e i marinai rispetto ad assalti o attacchi. Vie d’acqua Nelle nuove esigenze strategiche del primo medioevo, tra V e VI secolo, comportarono il rafforzamento delle fortificazioni delle vallate alpine attraverso le chiuse. L’unico elenco delle località in cui esistevano delle chiuse è contenuto nelle Honorantie civitatis Papie, composto nel primo quarto dell’XI secolo ma con riferimento al X. Nonostante la data tarda e il fatto che si connetta a un momento in cui le chiuse costituiscono ormai delle barriere doganali più che difensive, il documento può essere considerato indicativo, sia pur con cautela, per la localizzazione di massima di alcune chiuse tardoantiche che, per l’area che ci interessa sono, Bellinzona, Chiavenna, Bolzano e Volargne presso Verona 8. Le chiuse I laghi assumevano un ruolo importante nel definire le aree di arresto ma, nello stesso tempo, essi potevano rivelarsi utili rifugi per le autorità in fuga dalle pianure sottostanti. Tuttavia con la discesa in Italia dei Longobardi i laghi e le fortificazioni (castra) «già esistenti e particolarmente importanti dal punto di vista strategico» e dal punto di vista daziario come l’Isola di San Giulio, Castelseprio, Stazzona, Pombia, Castelnovate e l’Isola Comacina «poste nella zona compresa tra i laghi prealpini, sono a tutti gli effetti da considerarsi territorio di frontiera nel quadro della guerra tra Longobardi e Bizantini»9. I laghi territori di frontiera Va segnalato, in questo contesto, il duplice ruolo svolto dalle numerose isole di cui sono punteggiati i laghi prealpini. Spesso esse riunivano in sé una funzione religiosa e una funzione politico-militare. L’Isola Comacina sul Lago di Como fu rifugio di un’enclave bizantina che resistette vent’anni alla presenza longobarda. Nella seconda metà del X sec. in occasione della discesa in Italia dell’imperatore Ottone I, Berengario II d’Ivrea, re d’Italia, si rifugiò nel castrum di San Leo (Rimini) e i suoi figli Adalberto e Guido furono inviati a presidiare l’uno un’isola del Lago di Garda, l’altro l’isola Comacina, e la moglie Willa Funzione religiosa e militare delle isole 8 E. Mollo, Le chiuse: realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo, in Luoghi di strada nel medioevo. Fra il Po, il mare e le Alpi Occidentali, a cura di G. Sergi, Torino 1996, p. 46. 9 A. Bertani, Il ‘castrum’ dell’isola di San Giulio d’Orta in età longobarda, in Fonti archeologiche e iconografiche per la storia e la cultura degli insediamenti nell’alto medioevo, a c. di S. Lusuardi Siena, Vita e Pensiero, Milano 2003, p. 249. 6 l’isola di San Giulio sul Lago d’Orta. Peraltro il castrum sull’isola di San Giulio, presidiato dallo stesso Berengario, era già stato assediato dalle truppe imperiali alcuni anni prima. Nel corso del tempo le isole dei laghi prealpini perdettero il proprio ruolo tatticostrategico e già verso il XII secolo la loro funzione militare era divenuta anacronistica. Uno dei casi più evidenti del rapporto tra funzioni sacre e profane è quello dell’Isola di San Giulio sul Lago d’Orta. Un’isola, in termini simbolici, si presenta come un mondo separato e proprio per questo carico di ambiguità, di valenze positive e negative insieme. La leggenda dei Santi Giulio e Giuliano (risalente al VII-VIII sec. ma edita da Mombrizio nel Quattrocento) secondo la quale i due fratelli avrebbero cristianizzato nel IV secolo la Riviera d’Orta su richiesta dell’aristocrazia romana locale, li celebra come costruttori ed edificatori di chiese e indica in Giulio il liberatore dell’isola dalla presenza infestante dei serpenti che avevano il completo dominio su di essa. A bordo del proprio mantello Giulio avrebbe raggiunto l’isola e scacciato il maligno. L’isola di San Giulio Questa base leggendaria giustifica le antiche strutture religiose presenti nell’isola arricchitesi nel corso del tempo di nuovi edifici, come risultato della predicazione del santo. Un altro mito, questa volta di natura storico-politica, identifica nell’isola la sede del ducato longobardo ma gli studi più recenti hanno contribuito a eliminare l’idea di una residenza abituale e continuativa del potere politico locale in età longobarda e ad accantonare la certezza che essa fosse il centro di un distretto amministrativo (anche se forse essa lascia intravvedere un’anomala «attitudine circoscrizionale» del Novarese 10). Miti religiosi e civili Ciò non significa che l’isola non svolgesse anche una funzione di residenza protetta – in tal senso verrà utilizzata anche dai vescovi novaresi quando ne entreranno in possesso – ma si consideri che il senso militare di una tale installazione poteva esistere solo se il controllo politico del territorio si estendeva alla terraferma. Nel caso specifico del lago d’Orta esso doveva comprendere tutto il lago e le sue adiacenze, la cosiddetta “riviera” e la strada che da Novara portava al Sempione intersecando il mercato e la fiera di Gozzano. Controllo del territorio Così occorre leggere la presenza di fortificazioni sul territorio, a partire dalla fase dell’incastellamento che incomincia tra X e XI secolo, in funzione soprattutto di iscrivere sul territorio un segno della presenza di un potere. Ciò può essere fatto sia attraverso la fortificazione di un villaggio, sia attraverso la costruzione di una torre, sia attraverso la progettazione di un nuovo insediamento, protetto dalla forza politicomilitare del suo fondatore. Tutto ciò si iscrive in quella logica che può essere riassunta dalla fortunata formula di uno storico italiano “proteggere e dominare” 11, il cui Funzione delle fortificazioni 10 Sergi, «S. Giulio d’Orta è certamente una residenza ducale; altrettanto certamente tale residenza è fortificata ed è probabile che ad essa faccia capo un presidio militare; possiamo giudicare probabile, in assenza di altre attestazioni ducali per il Piemonte nord-orientale, che quella sede esercitasse almeno un forte condizionamento militare su tutto il Novarese, sulla stabilità di questa sede e sulla sua natura di centro circoscrizionale non possiamo invece esprimerci. Qualora sia stato un normale ducato, come gli altri tre subalpini, sarebbe l’interessante anticipazione di un’anomala attitudine circoscrizionale del Novarese: come è noto, anche nel successivo ordinamento carolingio non fu Novara a essere centro di comitato, ma il vicino castello di Pombia» 11 Secondo A. A. Settia, i castelli di passo sorsero per la sicurezza dei percorsi stradali ma anche per il taglieggiamento dei viaggiatori. Cfr. A. A. Settia, Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell'Italia medievale, Viella, Roma 1999, p. 72. 7 significato implica che il dominio è giustificato e possibile in quanto si fornisce una protezione nei confronti di minacce vere o presunte. Ma in ogni caso, una volta che la struttura viene edificata, essa certamente sarà il centro da cui promana il controllo di quel territorio. Se osserviamo allora il dispiegarsi sul Lago d’Orta delle diverse autorità presenti nella zona, si potrà assistere a una dinamica tra tre attori principali: i conti di Pombia, eredi della distrettuazione longobarda e poi carolingia, la sede vescovile novarese, che a partire dalla dissoluzione dell’impero carolingio aveva acquistato funzioni politiche sulla città e il suo territorio e, a partire dall’XI secolo, il comune della città di Novara. Tre attori sulla Riviera d’Orta Come accade ovunque nell’Italia settentrionale, le strutture comunali ebbero la meglio sulle autorità concorrenti: signori territoriali locali e autorità ecclesiastiche. A volte, però, per ragioni spesso legate alla particolare orografia di porzioni di territorio, i vescovi riuscivano a mantenere il controllo di piccole enclave, come accade nel caso della Riviera di San Giulio, della quale il vescovo di Novara si fregiò del titolo di “principe” dal 1219 fino al 1767. In realtà il suo dominio non era assoluto e doveva tenere conto dell’universitas dei comuni della Riviera. La Riviera d’Orta enclave vescovile Nello stesso tempo il comune della città di Novara si riteneva legittimato a estendere il proprio controllo politico laddove arrivava la diocesi novarese. La stessa cosa, naturalmente, facevano i comuni urbani dell’Italia centrosettentrionale (Vercelli, Milano, Como, Verona). Così, nelle aree divenute di confine come il Lago Maggiore il Comune di Novara si confrontava con la prepotente espansione di Milano verso Arona. Espansione di Milano Nella lotta per la costruzione e l’espansione del proprio territorio e delle proprie sfere di influenza i laghi contavano moltissimo per varie ragioni: controllo delle strade, dei transiti e, soprattutto dei flussi di merci erano le motivazioni principali ma non esclusive. Le aree lacuali erano importanti anche per le coltivazioni pregiate – oltre che connesse a una dimensione religiosa – come quelle del vino e dell’olivo. Alla fine del medioevo la coltivazione dell’olivo era diffusa in Piemonte anche in luoghi non particolarmente adatti alla produzione anche se l’olivicoltura doveva essere scarsamente produttiva nelle aree dai caratteri climatici e pedologici meno adatte a questo tipo di coltivazione 12. Nella regione dei laghi prealpini il clima non consente una perfetta maturazione delle olive che non cadono dalla pianta e richiedono dunque la raccolta manuale (brucatura) che richiede molta forza lavoro 13. Coltivazioni pregiate Sul lago di Garda, testimonianze della presenza dell’olivo si hanno già per periodi protostorici. Durante l’età romana la produzione locale non era in grado di contrastare le importazioni provenienti dal mediterraneo ma nel medioevo la coltivazione dell’olivo è attestata fin dall’VIII secolo: nel 771 tale Andrea, un chierico, permuta alcune sue proprietà con la badessa di S. Salvatore di Brescia e quest’ultima si assicurava la possibilità di acquisire, oltre alle proprietà già ottenute, tra le quali quattro appezzamenti con olivi, altre novanta piante. Del 993 è un documento con il quale vengono concessi ad alcuni homines del vico Sioni case vigne e olivi per trent’anni; essi per contro sono tenuti a piantare 24 olivi all’anno per tutta la durata del contratto (700 piante) 14. Coltivazione dell’olivo sul Garda 12 Olivi e olio nel Medioevo italiano, a c. di A. Brugnoli, G. M. Varanini, Clueb, Bologna 2005, p. 422. A. Brugnoli, Una specializzazione agricola, p. 137. 14 Brugnoli, Una specializzazione agricola, pp. 128-133 13 8 Coltivazioni pregiate come quella dell’olivo o della vite vengono incrementate attraverso i contratti tra proprietari e affittuari anche se la prima non prevede gli incentivi che spesso i proprietari concedevano alla seconda. Tra il IX e il X secolo si tentò di realizzare sul lago di Garda una coltura intensiva dell’olivo e determinante a tal fine non furono tanto le condizioni climatiche quanto la forma organizzativa della proprietà. La presenza della grande proprietà soprattutto nei settori meridionali e orientali del lago, dove insistevano le grandi aziende agricole del fisco regio e dei grandi enti ecclesiastici, spesso beneficiati dagli imperatori e la vasta rete commerciale padana. A questa fase subentrò un restringimento dell’areale di diffusione della coltivazione che venne poi ripresa su impulso della proprietà cittadina 15. Colture intensive Inoltre fiumi e laghi fornivano la possibilità di approvvigionarsi di una risorsa alimentare molto importante come quella del pesce – trote e anguille – che poteva essere conservata e smerciata anche in luoghi lontani. Dai fiumi del novarese, inoltre, si estraevano i principali materiali da costruzione e anche l’oro. Nelle colline attorno ai laghi novaresi si estraevano minerali (notevole è il Motto Piombino nei pressi di Gignese, una località sul Lago Maggiore 16), si coltivavano le mandorle, le castagne, le noci e si raccoglievano le erbe officinali, che crescevano particolarmente numerose soprattutto intorno al Lago d’Orta 17. Le foreste consentivano, inoltre, l’allevamento dei maiali nelle varietà più rustiche rispetto a quelle attuali. Le proprietà che il monastero di Bobbio aveva sul Lago di Garda avevano delle proprie specializzazioni produttive che assegnavano alla pars dominica della proprietà collegate alla chiesa di San Colombano l’allevamento dei maiali in forma intensiva e alla corte di Summolaco la produzione di olio e l’allevamento delle trote e delle anguille 18. Altre risorse: minerali, pesce, castagne, erbe officinali Verso la fase finale dell’età medievale le cose cominciarono a cambiare anche sui laghi prealpini dove il controllo delle città si affievoliva man mano che aumentava il peso degli Stati regionali. «Il comune urbano, nel periodo in cui organizzò politicamente il suo contado, vi promosse in misura minima la responsabilità di soggetti collettivi sovracomunali o addirittura scoraggiò la loro iniziativa» in quanto il contado stesso costituiva un’entità sovracomunale. «Negli statuti di Como del secolo XIII ogni prerogativa e incombenza era attribuita ai singoli comuni rurali», come per esempio la manutenzione di tratti della strada Regina che risaliva il lago verso nord nei territori di competenza dei singoli comuni. Gli statuti di Como del 1335 «consentivano a ogni villa e borgo del contado di eleggere i propri ufficiali, mentre non permettevano che un analogo organigramma di magistrature stabili si costituisse a livello sovracomunale». Lo Stato tardomedievale privilegia le comunità locali «Il passaggio dal regime cittadino allo stato territoriale segnò una svolta politica: vi fu una consapevole scelta dei Visconti intesa alla valorizzazione delle federazioni. I signori di Milano, infatti, incoraggiarono il decentramento di funzioni, prima monopolizzate dalla città, a favore dei maggiori comuni dei contadi e delle federazioni Comuni e federazioni rurali 15 Brugnoli, Una specializzazione agricola, p. 140 E. Panero, Insediamenti celtici e romani in una terra di confine: materiali per un sistema informativo territoriale nel Verbano-Cusio-Ossola tra culture padano-italiche e apporti transalpini, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2003, p. 52, n. 43. 17 R. Leggero, Dando eis locum idoneus, p. 63 e segg. 18 Brugnoli, Una specializzazione agricola, p. 136 16 9 rurali, che dunque vennero assumendo competenze fino al primo Trecento esclusive del comune urbano» 19. 19 Massimo Della Misericordia, La comunità sovralocale. Università di valle, di lago e di pieve nell'organizzazione politica del territorio nella Lombardia dei secoli XIV-XVI, in Lo spazio politico locale in età medievale, moderna e contemporanea, a cura di R. Bordone, P. Guglielmotti, S. Lombardini, A. Torre, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2007, p. 101.