Il buon pastore nella didattica montessoriana

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Il buon pastore nella didattica montessoriana
Il buon pastore nella didattica montessoriana (Ia parte)
di Marcella Vigilante
Introduzione
“La catechesi è stata sempre considerata dalla Chiesa come uno dei suoi
fondamentali doveri, poiché, prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli
Apostoli un’ultima consegna: la missione e il potere di annunciare agli uomini ciò
che essi stessi avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le
loro mani riguardo al Verbo di vita (Gv 1,1)” (CT 1).
“La IV Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, celebrata durante il mese di
ottobre del 1977” […] “ha insistito sul cristocentrismo di ogni autentica catechesi.
Centro e oggetto della catechesi è essenzialmente il mistero di Cristo (CT 2).”
“Catechizzare è condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue
dimensioni, è cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di
Cristo, dei segni da lui operati, poiché essi a un tempo nascondono e rivelano il suo
mistero” (CT 5). “Ma cristocentrismo, in catechesi significa pure che mediante
essa non si trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma
l’insegnamento di Gesù Cristo la via, la verità, la vita (Gv 14,6). È Cristo che
viene insegnato, è Cristo che insegna” (CT 6, SC 7).
“La catechesi deve essere centrata sull’essenziale e, al tempo stesso, popolare, fatta
di gesti e di parole semplici, capace di toccare i cuori” (CT 4).
Maria Montessori soleva affermare che la capacità dei fanciulli di porsi in dialogo
con Dio nasce dal fatto che essi sono appena usciti dalle mani del loro Creatore.
I bambini non sono contenitori da riempire a nostro piacimento, in cui riversare le
nostre conoscenze, far questo, in quanto educatori, significherebbe interferire con
la loro peculiare essenza svilendo il carattere di unicità e singolarità che è specifico
di ognuno di loro. “Noi non possiamo dare una forma al bambino, e non dobbiamo
cercare di farlo perché non sarebbe la sua forma. Noi dobbiamo aiutarlo a
manifestare la forma per la quale è stato creato e della quale non dobbiamo noi
decidere”1.
È compito dell’educatore condurre il bambino all’epifania della bellezza del suo
essere, aiutarlo a manifestare la “forma” per la quale è stato “creato”, rimanendo
nell’azione educativa il più possibile fedele al bambino e al progetto che il Creatore
ha fissato per la sua creatura.
La “Catechesi del buon Pastore” è un metodo per l’educazione religiosa che si basa
sulla Bibbia, sulla Liturgia e sui principi montessoriani.
Il principio fondamentale di questa metodologia è che il bambino, già dalla tenera
età, è dotato di un potenziale religioso. Tale capacità gli è connaturale2 e si
1
Joosten A. M., XXIII Corso Montessori Indiano di Nuova Dheli, 1959.
“E' un campo in fondo ancora tanto controverso questo: alcuni negano addirittura che il bambino
sia capace di un rapporto con Dio, concentrano tutto sul fatto razionale; quindi prima dei sei anni il
bambino non ha un pensiero razionale compiuto, è incapace di rapporto con Dio. Questo, però,
contrasta anche col fatto che battezziamo il bambino fin dalla nascita: allora dovremmo aspettare
2
89
sviluppa solo se adeguatamente alimentata, tale processo nel suo divenire richiama
certamente alla mente l’immagine evangelica del granello di senape che si sviluppa
in un albero (Mt 13,31-32).
Tuttavia l’eredità della Montessori, antesignana in campo di educazione religiosa, e
la metodologia del “buon Pastore”, incontrano oggi ancora grandi difficoltà ad
essere accolti nel nostro paese.
Maria Montessori dice del bambino che è un “embrione spirituale” pronto a
svolgersi spontaneamente a spese dell’ambiente3, gli studi antropologici che ha
condotto hanno dato una spinta notevole a chi, seguendo la sua impostazione
metodologica e le sue intuizioni circa “la presenza di un istinto religioso nel
bambino”4, si è dedicato dopo la sua scomparsa all’educazione religiosa.
È stata, infatti, la sperimentazione in campo di Sofia Cavalletti, Gianna Gobbi ed
altri, che ha dimostrato che sono insiti alla natura del bambino dei bisogni spirituali
che, come le sensazioni di sete e di fame, come il bisogno d’amare ed essere amato,
di conoscere, hanno la necessità di essere soddisfatti. Questi bisogni inoltre
orientano il bambino verso l’annuncio della fede a cui sente di dover e poter
rispondere con gioia.
Il materiale costruito sui principi della didattica montessoriana, messo a punto in
un’esperienza di cinquant’anni, aiuta il bambino nell’incontro con Dio.
Dio per il bambino non è un concetto astratto, ma è colui che lo conosce
profondamente e lo vuole incontrare in un modo tutto speciale nel Cristo “buon
Pastore”, “Alfa e Omega” della creazione, che tutto ricapitola a sé, come dicono i
bambini “chiama a sé”.
La figura dell’educatore all’interno della didattica montessoriana, quindi nel
metodo del “buon Pastore”, assume un ruolo diverso da quello solitamente
attribuitogli, un ruolo che potremmo definire con il termine evangelico del “servo
inutile”5 (CT n. 6).
In questo lavoro potremo ammirare con lo stesso stupore dei piccoli, attraverso del
materiale fotografico, la bellezza del “Buon Pastore”, figura parabolica che, meglio
l'età della ragione! Invece, quello che in genere concedono gli studiosi più "generosi" in questo
campo, è un certo «innatismo religioso» nel bambino. A me non soddisfa neanche questo, dirò la
verità: mi piace di più parlare di connaturalità del bambino con Dio. Non ho una sufficiente
preparazione filosofica per chiarire bene la differenza fra innatismo e connaturalità, comunque
l'innatismo mi fa pensare a qualche cosa di un po' passivo, che c'è nel bambino, ma sta lì e dorme; la
connaturalità mi piace soprattutto per questa particella con, che esprime il rapporto. Parlo di
connaturalità, non parlo sul piano teorico, ma in base a quello che ho visto: ho visto come bambini di
questa età possano godere in modo vitale, profondo, globale di un rapporto con Dio; questo mi fa
pensare a persone che abbiano trovato corrispondenza essenziale, cercata, che appaga esigenze
profonde; che abbiano trovato l'ambiente, la persona che cercavano”. FORTELLI MAURO, Intervista a
SOFIA CAVALLETTI, “Come pesci nell’acqua di Dio” ne “il Sicomoro” n°7, edizioni La Nuova
Tipolito, Felina (RE) 1998, 33-39.
3
MONTESSORI MARIA, Formazione dell’uomo, Garzanti, Milano 1949.
4
SCOCCHERA AUGUSTO, Maria Montessori una storia per il nostro tempo, Ed. Opera Nazionale
Montessori, Roma 1997, 179-187. 182-183.
5
CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino – Descrizione di una esperienza con
bambini dai 3 ai 6 anni, Città Nuova, Roma 1979, 47.
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delle altre, stimola nel bambino il riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio e
“Signore che salva”.
Una peculiarità dell’incontro tra il bambino e Gesù “buon Pastore” è che il
bambino è attratto più dalla sua “bellezza” e dalla sua maternità (la cura che ha per
le pecore) che dalla sua bontà.
Il “buon Pastore” spesso è simile alla figura materna e sappiamo che, quando un
bimbo si rivolge alla propria mamma, non dice che è “buona” ma che è “bella”,
quasi il bambino riesca a cogliere tutte le sfumature del termine greco “kalòs” che
tradotto letteralmente suona: “bello”. Gesù è il “pastore bello”, il “pastore
ideale”, colui che unisce in sé bontà e bellezza, amore e tenerezza, gioia e luce.
Non si può che rimanere incantati nell’assistere ad una catechesi in cui il materiale
sensoriale e i testi biblici aiutano il bambino a lasciare operare in lui l’efficace
Parola di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, perché produca quegli effetti per i
quali è stata inviata (Is 55,10-11)6.
La grazia in potenza ricevuta al Battesimo diventa in lui grazia operosa, intimo
dialogo con il Padre.
“La meraviglia [del metodo] sta in questo: la riscoperta vissuta dell’intima,
connaturale rispondenza delle leggi psicologiche dello sviluppo spirituale del
bambino, quali la recente scienza sempre più precisamente ci svela assieme alle
loro ripercussioni sui sistemi educativi e didattici, al metodo che, nel campo
dell’insegnamento e dell’educazione religiosa, la Chiesa, sin dal suo nascere e
ormai da venti secoli, possiede, per tutti i suoi figli, nella Liturgia7”.
Questo metodo di catechesi è sempre in fase di sperimentazione, in quanto si
costruisce sulle esigenze dei bambini, quindi non è possibile trovare studi o
pubblicazioni parallele di osservatori esterni capaci di avvalorare, con una certa
obiettività, il metodo e i suoi principi. Ma è certo che le osservazioni fatte dalla
Cavalletti, dalla Gobbi e da tutti gli altri collaboratori hanno un carattere di
oggettività che, per sé stessi, permettono di rilevare la fondatezza di questa
esperienza religiosa vissuta da bambini di tutto il mondo, di tutte le culture, di tutte
le etnie, normali e diversamente abili, di confessioni cristiane diverse, il cui
risultato è stato sempre lo stesso: i bambini a contatto con il materiale
montessoriano, con i testi eucologici e con i segni liturgici, in un ambiente
preparato per loro, rispondono tutti positivamente all’esperienza dell’atrio,
concretizzando il loro incontro con il Signore.
Il godimento dell’incontro con Gesù “buon Pastore” dimostra che il bambino ha
una connaturalità con Dio ed è capace di penetrare il Mistero della sua vita
intratrinitaria, raggiungendo le vette teologiche dell’evangelista Giovanni e di
Paolo di Tarso.
6
“Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la
terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da
mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver operato ciò
che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.
7
VAGAGGINI CIPRIANO, Presentazione a “Educazione religiosa, liturgia e metodo Montessori” di
CAVALLETTI SOFIA, GOBBI GIANNA, Ed. Paoline, Roma 1961, 7-9.
91
Così, educato da Gesù “buon Pastore”, è capace di lunghissimi silenzi e pause di
meditazione, di bellissime preghiere spontanee, è capace di partecipare alle
celebrazioni liturgiche con una serietà che ha dell’incredibile, sovvertendo le
attuali teorie psicologiche e pedagogiche che ancora “considerano i bambini come
entità amorfe da modellare con travasi di conoscenze e di schemi culturali
preordinati”8.
In Appendice è riportata un’intervista alla sig.ra Sofia Cavalletti, fatta
personalmente a Roma il 20 maggio del 2006. Dall’intervista si rileva l’assoluta
trasparenza e chiarezza del progetto di catechesi, iniziato in collaborazione con
Gianna Gobbi cinquant’anni fa, a conferma che “l’età, il tempo che è passato, non
ha cambiato questo lavoro perché c’è un rapporto diretto e fresco, vissuto con i
bambini, con la Parola e Gesù. Ci troviamo di fronte ad un dono, ad un dono
gratuito che supera ogni nostra capacità, il più bel dono fatto ai bambini”9.
Il metodo Montessori nell’educazione religiosa
Il percorso storico che segue ha lo scopo di descrivere il contesto prossimo in cui
ha operato la dott.ssa Montessori per chiarire come mai questa figura della storia
italiana, della nostra storia, possa essersi circondata di un alone di negatività che
ancora oggi non riesce ad essere superato. Inoltre ricostruisce la storia degli eventi
che hanno portato alla nascita della prima “Casa dei Bambini viventi nella Chiesa”,
in cui la dottoressa applica per la prima volta i principi del suo Metodo10
all’educazione religiosa.
Gli studi intrapresi dalla dottoressa circa le capacità religiose del bambino mai
approfondite per motivi di carattere politico, storico e ideologico, hanno aperto
strade inesplorate.
Le sue intuizioni e i suoi principi educativi, infatti, hanno permesso a Sofia
Cavalletti, Gianna Gobbi ed altri collaboratori, che hanno intrapreso e continuato
questo cammino, di concepire un vero e proprio Metodo per l’insegnamento
dell’educazione religiosa, in Italia ancora poco conosciuto, dimostrando che il
bambino è dotato di un “potenziale religioso”11.
8
PIACENTINI MARIA, Intervento agli Atti del 56° Convegno “Settimana Liturgica Nazionale”, Olbia
22-26 agosto 2005, pubblicato nel volume a cura del Centro di Azione Liturgica, “PARROCCHIA
COMUNITA’ EUCARISTICA” – Un solo pane un solo corpo, Edizioni Liturgiche, Roma 2006.
9
CAVALLETTI S., Discorso di apertura, del “50° Anniversario della Catechesi del Buon Pastore”,
Roma 6 novembre 2004.
10
In realtà la Montessori attribuirà raramente a sé il Metodo, sarà sempre propensa a parlare di un
Metodo del Bambino. Cf. SCOCCHERA AUGUSTO, Maria Montessori una storia per il nostro tempo,
Ed. Opera Nazionale Montessori, Roma 1997, 51-54. 53.
11
CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino – Descrizione di una esperienza con
bambini dai 3 ai 6 anni, Città Nuova, Roma 1979.
92
Il contesto storico-politico
Nel 1916 Maria Montessori scrive “L’autoeducazione” in cui ammette: “Durante
la mia esperienza non ho mai avuto occasione di assistere ad un ciclo di sviluppo
interiore [religioso]. Le mie prime esperienze sull’educazione religiosa sono state
finora necessariamente scarse: infatti nella “Casa dei bambini” di via Giusti,
tenuta dalle suore francescane, l’educazione religiosa era data con i metodi
comuni e non si potevano fare studi ed osservazioni originali”.
Il “metodo comune”, di cui scrive la dottoressa e cui accennerò più avanti,
contrastava con i principi educativi montessoriani, mentre nella “Casa dei bambini
S. Lorenzo”, che era pubblica, l’educazione religiosa non veniva impartita12.
Quest’ultimo impedimento era di natura politica:
“Lo stato democratico ha il dovere di non pregiudicare lo sviluppo libero
delle generazioni infantili ed è il metodo della pedagogia scientifica
moderna che esclude astrazioni che vadano a contatto di menti infantili e
vuole che si proceda dal noto all’ignoto, dalla realtà concreta
all’astrazione” 13.
La scuola italiana del primo novecento, era chiusa a intere masse di bambini
normali e “subnormali”14.
Un articolo del Regolamento scolastico intimava di espellere dalle scuole tutti
quelli che, pur ammessi, manifestassero cattiva volontà o insufficienza morale.
“Il nostro paese confida illusoriamente nella carità e nella filantropia credendo
che in fondo ovunque possa ripetersi il miracolo della “Nave Redenzione” dei
garaventini”15.
Mentre lo Stato italiano brancolava ancora nel buio a livello di programmazione
didattica, la Montessori invitava a non accontentarsi delle opere di carità, che da
sole non bastavano per recuperare una situazione di decadenza quale era quella
della scuola italiana, denunciando che occorrevano educatori specializzati, una
particolare organizzazione scolastica e delle riforme scolastiche radicali .
Il Metodo, pubblicato nel 1909 con il nome “Il metodo della pedagogia scientifica
applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”, risulta essere
veramente innovativo rispetto ai sistemi educativi del tempo16, come è confermato
12
SCOCCHERA A., Maria Montessori…, 1997, 179-181.
Da un dibattito in Parlamento nel 1908, sulla mozione del socialista Bissolati richiedente
l’abolizione dell’obbligo di impartire l’insegnamento della religione. Cf. ACQUARONE ANGELO, Lo
Stato catechista. Introduzione. La discussione alla camera sulla mozione Bissolati contro
l’insegnamento religioso nella scuola elementare [18-27 febbraio 1908], Parenti, Firenze 1961.
14
Il termine è stato oggi sostituito dalla dicitura “diversamente abile”.
15
La Montessori si riferisce all’opera del filantropo Nicola Garaventa che fonda a Genova una casa di
accoglienza per piccoli delinquenti e figli di prostitute, sulla nave “Redenzione”. Cf. SCOCCHERA A.,
Maria Montessori…, 1997, 34-35.
16
La Montessori è la prima a parlare della pedagogia come scienza oltre che come arte. Scienza
“come sistema pratico ed organizzato sulla base di principi e tecniche sperimentati e applicabili”. Cf.
SCOCCHERA A., Maria Montessori …, 1997, 53.
13
93
anche da innumerevoli e illustri autori suoi contemporanei e di fama internazionale
quali Lev Vygotskij17, Eduard Claparéde18, David Elkind, uno dei massimi
studiosi del Piaget19, Sigmund Freud20.
Il bambino era considerato dalla cultura del tempo come un prolungamento
dell’adulto, un “piccolo uomo” e, secondo un concetto
ormai millenario, incapace di autoeducarsi , con una naturale tendenza al gioco, al
disordine e alla “perdizione”.
Nella “Divini illius magistri”21 Pio XI ribadisce la necessità di una educazione
cristiana che spetta in modo sopraeminente alla Chiesa e alla famiglia, in ordine al
fine ultimo, e allo Stato, in ordine al bene comune, ammette la necessità
nell’educatore di dover correggere “certe inclinazioni” fin dalla più tenera età, per
questo cita: “La stoltezza è legata al cuore del fanciullo e la verga della disciplina
la scuoterà di dosso” (Prv 22,15).
Nello stesso documento accusa alcuni “novatori dell’educazione” di “naturalismo
pedagogico” che “miseramente si illudono nella pretesa di liberare il fanciullo,
17
Intorno agli anni ’30 questo psicologo russo menziona gli esiti del lavoro della Montessori,
contenuti in “Il Metodo” (1913) e “L’autoeducazione” (1916), nel suo lavoro “Studi sulla storia del
comportamento- La scimmia, l’uomo primitivo, il bambino”. In questo lavoro Vygotskij contesta,
come già la dottoressa aveva fatto, gli studi e i dati tratti dai test del Q.I. di Binet per il fatto che non
tenevano conto dell’influenza esercitata dall’ambiente e dalla cultura sulle strutture dei processi
psicologici dei bambini. Comprese l’importanza del materiale montessoriano costruito sull’esperienza
dei bambini handicappati e non. Compreso anche come questo li guidasse nello sviluppo intellettuale
e nell’apprendimento delle strutture logico-matematiche e della scrittura già all’età di quattro anni.
Tuttavia la cultura scientifica e sociale del tempo non avrebbe mai consigliato un evento del genere,
poiché nessun sistema scolastico avrebbe retto ad una simile rivoluzione: molte questioni politiche
erano in gioco. A questo si aggiunga il sentimento di rifiuto della classe borghese al “comune metodo
psichico”, in quanto utilizzato sia per l’apprendimento dei bambini normali sia dei bambini
subnormali. La Montessori, purtroppo, non venne mai a sapere dei meriti che questo psicologo, noto
nel suo paese ma quasi sconosciuto in Europa, le riconobbe. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori… ,
1997, 40-42; 70-72.
18
“Psicologo dell’attivismo” che, pur criticando il materiale montessoriano, ammira il clima di gioia
presente nelle “Case dei bambini”, tanto che nel 1914 inaugura a Ginevra la “Maison des pétits” e
accoglie in “Psicologia del fanciullo” la nuova “visione del bambino”montessoriana.
19
Agli albori del suo lavoro fu un sostenitore della Montessori, dirigendo per qualche tempo
l’Associazione svizzera Montessori. Nel 1935 in “Encyclopédie Française” apprezza il materiale
“che -scrive- conduce alla conoscenza assai più rapidamente di ottimi libri e dello stesso
linguaggio”. Qualche anno dopo pur apprezzando il metodo, poiché induce il bambino all’attività,
rinnegherà il materiale montessoriano, considerato materiale standard, ipotizzando la possibilità per il
bambino di costruirsi un proprio materiale. La Montessori anni prima si era discostata da questa idea
sostenendo che non è possibile abbandonare il bambino in un “vagabondaggio mentale”, quale
sarebbe quello che si avrebbe qualora si realizzasse l’ipotesi del Piaget. Il materiale montessoriano,
infatti, permette al bambino di sapere esattamente cosa sta facendo, rimanendo il centro della propria
conoscenza. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 69-70.
20
S. Freud si è sempre dichiarato concorde ai principi e al modo di operare della Montessori,
sottolineando che la psicoanalisi non avrebbe motivo di esistere se la società prendesse ad esempio il
piano educativo delle “Case dei bambini” ove si opera un controllo non violento degli istinti infantili.
Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 99-101.
21
Enciclica “Divini illius magistri”, 31 dicembre 1929 A.A.S., vol. XXII (1930), 49-86.
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mentre lo rendono piuttosto schiavo del suo cieco orgoglio e delle sue disordinate
passioni”, che “si appellano ad una pretesa autonomia e libertà sconfinata del
fanciullo e che sminuiscono l’autorità e l’opera dell’educatore, attribuendo al
fanciullo un primato esclusivo d’iniziativa e un’attività indipendente da qualsiasi
legge superiore naturale e divina, nell’opera della sua educazione”.
Queste accuse ricadono impropriamente anche sulla Montessori che invece si è
sempre distaccata da certe tendenze pedagogiche naturaliste di stampo roussauiano
o froebeliano. Lei che, già giovanissima, prende le distanze dalla millenaria visione
del bambino, condivisa anche dalla Chiesa, e che ritiene essere la fonte degli errori
educativi della pedagogia di tutti i tempi.
Per la Chiesa e per la società è più forte la preoccupazione di voler preservare
l’anima del bambino dall’inferno (Prv 23,13-14) che cercare di pensare il bambino
come ad un essere dotato di una propria autonomia22. Basti pensare che anche il
teologo protestante Edwards J. definì i bambini “piccole vipere infinitamente più
odiose a Dio che le vipere stesse”.
Lo stesso Giovanni Gentile nel 1914 nel suo “Sommario di pedagogia come
scienza” scrive: “il corpo va trattato come spirito non come corpo e, pertanto, non
è antieducativo non riconoscere ad esso il diritto al castigo. Il futuro uomo chiede
all’educatore il castigo che lo redimerà”23.
La filosofia idealista assegna un primato alla ragione pur ammettendo che essa da
sola non è capace di autoeducarsi e di cogliere i principi morali universali. Rimedio
è il continuo ricorso alla disciplina punitiva, al decalogo, alla grazia dei sacramenti,
quasi che questi aggiungano qualcosa dall’esterno. Ma grazia e sacramenti non
perfezionano ciò che l’umana natura ha già in sé? E la Ragione per gli idealisti non
è strumento di verità?
Alla Montessori, invece, non interessa tanto la relazione Fede- Ragione-Grazia,
quanto il fatto che il bambino è inibito in un ambiente di giganti24, privato della
libertà, costretto ad un’istruzione nozionistica, che è disordinato perché cresce in
un ambiente che non gli è congeniale25.
22
MONTESSORI MARIA, “I reattivi psichici”, in “Rivista Montessori”, n.3, in SCOCCHERA A., Maria
Montessori una storia…, 1997.
23
“Contro Gentile, che riteneva che il bambino potesse essere posto di fronte alla religione come
filosofia primordiale o inferior o mito, la Montessori assume una posizione di condanna: “proprio
oggi che dalle scuole si tende a levare la religione, vorrebbe essa farvisi entrare coltivando la
favola”. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 181.
24
MONTESSORI MARIA, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Ed. Loescher & C., Roma 1916.
25
In più di un’occasione la Montessori denuncia la secolare inferiorità della donna e del bambino:
Congresso femminile di Berlino nel 1896; 1°Congresso pedagogico nazionale di Torino nel 1898 ove
presenta l’”Ordine del giorno” vero e proprio manifesto in cui chiede la scolarizzazione di tutti i
bambini; International Council of Women a Londra nel 1899; 2° Congresso pedagogico nazionale di
Napoli del 1902, negli atti del Congresso c’è la sua relazione “Norme per una classificazione dei
deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione”; “Il Discorso alle madri” in “il Metodo” del
1909; in “L’autoeducazione” del 1916 c’è un capitolo intitolato “I diritti civili del bambino del XX
secolo” dove afferma: “Il bambino è un uomo”; la prefazione di “Il segreto dell’infanzia” del 1936 è
intitolata “L’infanzia questione sociale”; MONTESSORI MARIA,“Educazione e pace”. Raccolta in
volume delle 15 conferenze tenute dal 1932 al 1939, Garzanti, Milano, 1949; “Il cittadino
95
Tra le novità che il Metodo Montessori apporta c’è, quindi, la nuova concezione
del bambino.
Il bambino per la Montessori è un essere dotato di vita psichica propria fin dalla
nascita, è capace di costruire il proprio essere, la propria mente, perché questa
carica di energia psichica è tale e reattiva che, nel rispetto dell’ordine biologico dei
“periodi sensitivi”, stimolata dall’ambiente circostante, gli permette di potersi
sviluppare superando anche eventuali condizioni di svantaggio ambientale e fisico:
il bambino è padrone del proprio sviluppo.
Queste convinzioni della dottoressa saranno per anni osteggiate e condannate dalla
maggior parte dei pedagoghi e degli psicologi, soprattutto italiani, intanto perché la
pedagogia non era considerata una scienza ma un’arte, poi perché il “metodo era
considerato una prigione”26.
L’insegnante era l’elemento centrale nell’educazione scolastica e aveva il compito
di “piegare” la volontà del bambino con metodi punitivi.
Nonostante le accuse insensate, nate da una totale ignoranza del Metodo, per tutta
la vita, la Montessori rimane salda a queste sue convinzioni.
Le conoscenze pedagogiche, sociologiche, antropologiche, il ricco bagaglio
culturale, il suo amore per la ricerca e soprattutto il valore che assegna alla vita
umana27, le danno la capacità di vedere il bambino come “ il padre dell’umanità e
della civilizzazione, il nostro maestro, anche nei riguardi della sua educazione”28.
Arriva persino ad ammettere che né la psicologia, né la pedagogia possono scoprire
o risolvere i veri problemi dell’educazione; le ricerche, che i suoi colleghi
conducono, sono falsate e non possono essere ritenute scientifiche, poiché partono
da presupposti sbagliati: gli ambienti poco congeniali in cui il bambino è collocato.
Si può riconoscere in questo nuovo modo di concepire il bambino e nel materiale,
che lei produce per le “Case dei Bambini”, una prima causa delle contestazioni
degli esperti dell’educazione suoi contemporanei, anche se, in seguito, le fu
riconosciuto il merito di aver dato al bambino una nuova dignità e alle scienze
psicologiche una nuova spinta.
L’educazione religiosa nel metodo montessoriano
La Montessori era certa che il bambino, che lei stessa definisce un “embrione
spirituale chiuso nella carne”, fosse dotato di un’intensa attività psichica sin dalla
dimenticato” messaggio inviato all’UNESCO nel 1951 per la celebrazione della “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo”.
26
Rosa Agazzi rifiuta esplicitamente qualunque metodo: “l’insegnante può solo liberamente ispirarsi
ad un metodo, adeguandolo alle situazioni, all’ambiente e ai bambini senza imitarlo
pedissequamente”. Cf. GASPARINI DUILIO, Cenni di storia della scuola materna in Italia, in
“Conoscere e educare il bambino – Guida all’esame di concorso per insegnanti di scuola materna”,
AA.VV., Le Monnier, Firenze 1990, 169-191. 174.
27
“Ogni uomo è il prodotto dello sviluppo di un bambino”. MONTESSORI MARIA, Il cittadino
dimenticato, in “Vita dell’infanzia”, A.I., n.1, 1952, in SCOCCHERA A., Maria Montessori una
storia…, 1997.
28
EAD, La mente assorbente, Conferenza, 1949, in SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…,
1997..
96
nascita e che questa gli permettesse non di imparare dall’ambiente ma di
sviluppare, rispetto a questo, la capacità di adattamento, al fine di accrescersi e
attuare le proprie potenzialità29.
Gli studi che conduce diventano il fondamento anche delle sue sperimentazioni
nell’ambito dell’educazione religiosa.
Non potendo condurre delle ricerche dal punto di vista scientifico sulle capacità
religiose del bambino, poggia il suo lavoro su queste basi antropologiche nel
tentativo di fissare un metodo per l’educazione religiosa: il bambino va verso la
religione perché è oggetto dell’ambiente circostante30.
Gli elementi centrali dell’educazione religiosa montessoriana sono: la gioia, il
silenzio e il raccoglimento31, che sono frutto del “ciclo di lavoro”32, e, soprattutto,
la Liturgia.
La Liturgia è considerata dalla dottoressa come “l’espressione grandiosa del
contenuto della fede, metodo pedagogico della Chiesa Cattolica, che non paga di
insegnare per mezzo della parola ascoltata dai fedeli, rappresenta i vari fatti e i
simboli della religione, li fa come rivivere e permette al popolo di prendervi parte
anche ogni giorno” .
La Liturgia è lo strumento fondamentale di catechesi, a questo riguardo già si era
pronunciato papa Pio X nel suo Decreto sulla Comunione: “Educhiamo il popolo a
vivere più attivamente negli atti liturgici… insegnandogli il perché delle cose
liturgiche”.
La Chiesa è veramente madre per i piccoli: il variare dei colori dell’anno liturgico,
i simboli e i segni nella liturgia dei sacramenti, gli arredi sacri hanno una forte
presa sulla tenera mente dei piccoli “attenti a tutto ciò che è simbolico e rivestito
gli appare di maestà”.
Ecco l’altra grande intuizione della Montessori l’aver individuato nel “linguaggio
dei segni”, che è proprio della Liturgia, l’unico vero Metodo a fondamento di una
sana educazione religiosa.
29
Come è riuscito a spiegare Mauro Laeng (Docente Emerito alla III Università di Roma) la mente
del bambino opera secondo due modalità: coglie le strutture d’ordine della realtà, cioè i rapporti tra
gli elementi del sistema che gli permettono di dare un senso all’ambiente che lo circonda, ed è dotato
di un surplus di energie psichiche che gli permettono di adattarsi all’ambiente imparando lingue,
costumi e luoghi diversi. Stiamo parlando del meccanismo più comunemente conosciuto con il nome
di “socializzazione”. I meccanismi di integrazione che il bambino apprende tramite la famiglia si
attuano perché sono in potenza già capacità della mente del bambino, essi pian piano passano
dall’inconscio allo stato di coscienza. Cf. LAENG MAURO, Presentazione in “Il potenziale religioso
tra i 6 e 12 anni. Descrizione di un’esperienza”, di CAVALLETTI SOFIA, Città Nuova Editrice, Roma
1996.
30
SCOCCHERA A., Maria Montessori…, 1997, 183.
31
MONTESSORI MARIA, I bambini viventi nella Chiesa, Aldo Garzanti Editore, Milano 1970;
CAVALLETTI S., Il potenziale religioso del bambino…, 1979.
32
“Chiamiamo ciclo di lavoro la serie degli atti che il bambino compie, quando nell’applicazione del
mio metodo, sceglie spontaneamente le sue occupazioni tra i mezzi che l’ambiente appositamente
preparato gli offre. In questa serie di attività sembra compiersi un ciclo regolare in rapporto ai
bisogni psichici che calmano il bambino e che lo fortificano nella vita interiore dell’anima”. Cf.
MONTESSORI M., I bambini viventi nella Chiesa, 1970, 26 in nota 1.
97
I principi fondamentali del metodo Montessori
Il Metodo pone particolare attenzione all’ambiente in cui il bambino svolge le sue
attività, infatti, perché possa vivere a proprio agio e possa apprendere e valorizzare
le proprie capacità, è essenziale un ambiente che gli si confaccia, preparato con
molta cura dall’insegnante, ove tutto è alla sua portata, meglio a misura.
Uno spazio in cui nessuno dei suoi atti è affidato al caso, ma è discretamente
“guidato” dall’insegnante e dal materiale.
Un ambiente che ostacola le esigenze vitali del bambino ne assorbirà anche le
energie, provocando quel tanto condannato “disordine”.
E’ per questo motivo che la Montessori pensò per l’educazione religiosa, così come
aveva fatto per l’educazione scolastica, ad un “atrium”, ovvero ad un ambiente
adeguatamente preparato che avesse la stessa funzione degli “atrii” delle antiche
basiliche cristiane, in cui avveniva la catechesi dei catecumeni durante la sacra
liturgia.
Un luogo materiale e metaforico che fosse di preparazione all’esperienza del sacro,
via di mezzo tra la classe e la chiesa.
Nuovo è anche il concetto di insegnante che deve dirigere il bambino in modo
discreto33 e senza sopraffarlo, anche se qualche autore vede erroneamente in questo
modo di operare dell’insegnante un certo stato di passività34.
S. Agostino nel “De Magistro” scrive: “Chi insegna può soltanto ammonire il
discepolo perché egli stesso interroghi la verità e ascolti il Maestro interiore.[…]
Eseguito tale ministero il lavoro dell’insegnante è finito, ed egli ha l’obbligo di
farsi da parte, perché il vero Maestro possa svolgere la sua opera in un colloquio
individuale con il discepolo. Chi avrebbe il coraggio di intromettersi e disturbare
una simile interna conversazione?”35.
È questo l’atteggiamento che dovrebbe assumere il catechista36, non dovrebbe
moltiplicare le parole e intromettersi in quel dialogo interiore che si svolge tra
l’unico vero Maestro celeste e la sua creatura.
33
CAVALLETTI S., GOBBI G., Educazione religiosa…, 1961, 14.
GASPARINI D., Cenni di storia della scuola materna in Italia, 1990, 169-191. 176.
35
Cavalletti S.- Gobbi G., Educazione religiosa…, 1961 28.
36
“Occorre forse rimandare all’etimologia del termine catechizzare (catècheo), formato da catà =
completamente, a fondo, ed echèo = giungo, arrivo, pervengo, mi trovo; catechèo, catechizzare,
(p.v.) = RISUONO, istruisco a viva voce; catechès, catechista, (sost.) = RISUONANTE; catechèsis,
catechesi (sost.) = insegnamento A VIVA VOCE. Il risuonare presuppone un suono precedente che
trova in noi una eco, un rimando, una uscita; a viva voce è la trasmissione da persona a persona, da
bocca ad orecchio; giungo, arrivo, pervengo indica un movimento; mi trovo: uno stare, un permanere
nel movimento; completamente, a fondo: la totalità e l’assolutezza di questo pervenire e trovarsi.
Catechizzare, in sostanza, significa essere una eco di Dio nel movimento/relazione con l’altro, nella
stabilità di un annuncio incarnato nella propria vita, in modo totale ed assoluto. Parimenti, l’educare
alla fede consiste nella trasmissione di un’esperienza di Dio, non di un sapere (il termine conoscere in
senso biblico rimanda sempre al rapporto nunziale), nell’esperienza globale ed indivisa dell’essere. Il
bambino piccolo e piccolissimo sperimenta e conosce la realtà che lo circonda attraverso tutto il suo
essere: non esiste scissione o frammentazione tra corpo, anima, spirito ma ogni conoscenza, ogni
esperienza, ogni relazione viene assunta e agita nella totalità. Non è forse questo che ogni persona
34
98
“Mi scriveva adesso un’allieva croata catechista che una bambina di tre anni
aveva fatto un disegno, poi ne aveva cominciato a fare un altro e lei, per zelo, si è
avvicinata e le ha chiesto: "Adesso che stai facendo?". E lei ha risposto: "Scostati!
Scostati! Vai via!". Solo a disegno finito gliel'ha fatto vedere. Evidentemente era
un intervento assolutamente indebito, il momento del lavoro personale è il
momento costruttivo: è l'ascolto del Maestro interiore. Non siamo noi che
insegniamo e questo per gli adulti è difficile”.37
L’insegnante come del resto il catechista38 non dovrebbe percorrere la strada al
posto dell’allievo, è tutta una questione di fede, fede nelle capacità del bambino,
ma soprattutto in quella Parola che diventa annuncio e che si tramuta nel “seme di
grano posto nella terra” per diventare spiga matura.
Il metodo evangelico in fondo consiste proprio in questo!
Il catechista annuncia una Parola che non è sua, Gesù stesso durante la sua
predicazione non si è mai arrogato questo diritto (Gv 7,16; Gv 3,34; Gv 8,26; Gv
12,49-50; Gv 14,10; Gv 17,7-8; Gv 17,14; CCC n. 427; CT 6).
Al catechista spetta solo il compito di creare le condizioni in cui può avvenire
l’incontro tra Dio e il bambino e, quando questo avviene, deve mettersi da parte per
non interferire in quel dialogo d’amore che si svolge tra Creatore e creatura (CCC
n. 426), in quel silenzio che è ascolto interiore, oserei dire mistica contemplazione.
La catechesi assume così il suo carattere di servizio e il catechista è “servo inutile”
(CT n.6).
Si respira nel Metodo un’innata religiosità dovuta sicuramente al credo religioso e
alla visione del mondo cattolica della Montessori. L’assenza di esplicite
dichiarazioni sul suo credo religioso nei suoi libri è certamente dovuta proprio a
questo “ chi penserebbe a esplicite menzioni dell’aria che respira?”39.
Un altro elemento fondamentale del Metodo è il materiale didattico che permette al
bambino di completare l’atto dell’apprendimento e all’insegnante di rispettare
quelli che sono i suoi tempi, tempi in cui tutto ciò che l’insegnante presenta è
ripensato dal bambino in un momento che non è ancora quello dell’astrazione vera
e propria ma che gli permette di ripensare nella propria anima le verità esposte.
“I sensi sono le finestre dell’intelletto sul mondo, è astraendo dall’esperienza dei
sensi che noi arriviamo alla conoscenza”, il materiale didattico montessoriano è
costituito da “astrazioni materializzate”; il bambino vedendo, toccando e
ritoccando simili materializzazioni arriva all’astrazione. La dottoressa diceva che
adulta cerca affannosamente e rincorre per tutta la vita: l’armonia e l’unità, la ricomposizione delle
fratture del sé in una relazione d’amore con l’altro da sé? Non è allora anche questo che intende dire
Gesù riguardo al ritornare bambini?”. PIACENTINI M., Intervento agli atti del 56°.., 2006, 105 –
124.
37
FORTELLI M., Intervista a SOFIA CAVALLETTI, “Come pesci nell’acqua…, 1998, 33-39.
38
“La Montessori voleva che l’insegnante facesse precedere il suo lavoro da un esame di coscienza,
riconoscendo di avere due peccati capitali nei riguardi del bambino: orgoglio e ira; l’orgoglio che ci
fa sopravvalutare l’opera nostra nella formazione e l’ira che ne deriva se vediamo che il bambino
“nostro” allievo (o addirittura “nostro possesso” ) non risponde esattamente a quando ci
aspettavamo da lui”. Cf. CAVALLETTI S., GOBBI G., Educazione religiosa…, 1961, 28.
39
EADEM, Educazione religiosa…1961, 14 .
99
“la mente per alzarsi nel regno delle astrazioni ha prima bisogno di lavorare con
le cose materiali”40.
I bambini montessoriani, dunque, dopo la lezione espositiva dell’insegnante,
prendono contatto con il materiale, lo toccano, lo montano, lo smontano
liberamente, nella totale indipendenza e quante volte vogliono.
“Un’insegnante montessoriana non cattolica, ad un gruppo di studenti ai quali
cerca di spiegare cosa il bambino cerca nell’uso del materiale ripetendolo più
volte dice: “Non è l’esercizio per se stesso che conta, ma lo sviluppo che si
produce nella mente del bambino, uno sviluppo del quale l’azione esteriore non è
che un segno. E’, infatti, una cosa simile a quello che i cattolici dicono dei
sacramenti, cioè che sono segno esteriore di una grazia interiore”[…] La pratica
dell’esercizio conduce ad un risultato nel campo psichico”41.
La “ripetizione dell’esercizio”42 non serve solo all’apprendimento ma dà al
bambino un godimento che lo rende tranquillo e disciplinato.
Questo “godimento” è un fenomeno noto alle insegnanti montessoriane e,
nell’ambito dell’educazione religiosa, si realizza continuamente in ogni fase di
lavoro del bambino.
Comprendiamo bene che il materiale da presentare deve essere preparato tenendo
conto del principio dei “periodi sensitivi”, individuati dalla Montessori con molto
anticipo rispetto ad altri studiosi, il materiale rispetta pienamente tali periodi di
sviluppo, più saranno piccoli i bambini più il materiale didattico dovrà avere presa
sui sensi.
Un altro principio fondamentale del Metodo è quello di “isolare le difficoltà”43.
Il materiale didattico è fatto in modo da presentare una realtà non nella sua
interezza e complessità, ma in maniera semplificata, scomposta, così da permettere
al bambino di assorbire tale realtà in un tempo più o meno lungo (secondo il
principio della ripetizione), dandogli la possibilità di ordinarlo nella propria mente.
La “Casa dei bambini viventi nella Chiesa”
L’educazione religiosa nelle “Case dei bambini” ha degli inizi assai singolari. È
necessario ricordare che non è ancora possibile, al tempo in cui si svolgono questi
eventi, distinguere tra catechesi e insegnamento della religione.
Le tensioni tra Stato e Chiesa iniziate nel 1870, dopo la presa di Roma,
provocarono l’emarginazione dell’insegnamento religioso nella scuola fino
all’abolizione nel 1908. Solo nel 1923 lo Stato permise il rientro della religione
nella scuola elementare: “Le innovazioni pedagogiche di Zammarchi e di
Pavanelli-Vigna (promotori del movimento catechistico italiano) avevano
smussato la forza delle accuse contro il preteso controsenso didattico del
40
EADEM, 30-31.
EADEM, 32.
42
MONTESSORI M., Il metodo della pedagogia scientifica, Morano, Napoli, 1921.
43
EAD, 1921.
41
100
catechismo. Le idee personali di Gentile (Ministro dell’Istruzione), che vedeva
nella religione un momento pre-filosofico adatto ai fanciulli, fecero il resto”44.
“Il programma ministeriale del novembre del 1923 prescriveva di dare il corso di
religione nello spirito che anima l’opera religiosa di Alessandro Manzoni per
ispirare ai bambini l’amore, il timore filiale, la fede nella Provvidenza, il senso del
divino”. Era sfuggito a molti autori ciò che poi si ribadisce nei programmi per la
scuola elementare del febbraio 1945 che divennero cristocentrici: “L’educazione
religiosa primaria deve ispirarsi alla persona di Cristo come appare nel Vangelo,
più che all’opera del Manzoni”45.
Quando nel 1909 P. Casulleras, della Missione di S. Vincenzo de’ Paoli, rientrò dal
Guatemala nutriva nel cuore il desiderio che i fanciulli dovessero essere introdotti
nella Chiesa per vivervi e crescervi, convinto che la Chiesa fosse il vero luogo
dell’educazione del bambino46 e sentiva la necessità di avere delle “Case dei
Bambini all’ombra della Chiesa”.
Nel 1910 P. Casulleras venne a conoscenza di un libro della Montessori in cui si
descriveva l’esperienza delle “Case dei Bambini” a Roma.
“Sembrò al P. Casulleras provvidenziale la coincidenza dei nomi, e leggendo la
descrizione del mio metodo lo giudicò adatto alle sue case dei bambini. […]
Benché quei Padri non mi conoscessero e ignorassero perciò che io ero cattolica, e
benché nel mio libro non facessi nessuna professione diretta di fede religiosa,
sembrò loro che il mio metodo fosse cattolico nella sua sostanza medesima.
L’umiltà e pazienza della maestra, i fatti messi in valore più che le parole,
l’ambiente sensoriale come inizio della vita psichica, il silenzio e il raccoglimento
ottenuto dai piccoli bambini, la libertà di perfezionarsi lasciata all’anima infantile
e la cura minuziosa nel prevenire e correggere tutto quanto è male o anche
semplice errore o tenue imperfezione […] il rispetto della vita interiore dei
bambini professato con culto di carità, erano tutti principi di pedagogia che
sembrarono loro emanati e ispirati direttamente dal cattolicesimo”47.
È fondamentale, a questo punto, la partecipazione di Anna Maccheroni,
collaboratrice della Montessori, al Congresso Liturgico che si tenne nella Basilica
di Montserrat. Il clima che si respirava era quello delle reazioni cattoliche in
seguito all’emarginazione dell’insegnamento della religione nelle scuole italiane
che dettero il via anche al movimento catechistico.
Era il tempo di papa Pio X che aveva appena emanato il decreto sulla prima
Comunione. L’accorato discorso di Anna Maccheroni, messo agli atti del
Congresso, esprimeva la possibilità di poter far iniziare l’educazione religiosa dai
fascicoletti 4, 5, e 6 della dottrina cristiana approvata da papa Pio X e riguardanti
l’insegnamento liturgico.
44
RONZONI GIORGIO, Il progetto catechistico italiano. Identità e sviluppo dal Concilio Vaticano II
agli anni 90, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1997. 14.
45
MORETTA PIETRO, L’enseignement de la religion en Italie. Vue d’ensemble, “Lumen Vitae” 4
(1949), 1, 137-160.
46
MONTESSORI M., I bambini viventi..., 1970, 9.
47
EAD, 1970, 10.
101
La Maccheroni aggiunse di voler tentare l’esperimento con i bambini dai 3 ai 6
anni della Escola Montessori della Deputazione di Barcellona.
Fu così che s’inaugurò la prima “Casa dei Bambini nella Chiesa” fortemente voluta
dall’abate di Montserrat Enrico Prat de la Riba, istituita dal P. Casulleras e seguita
dal giovane sacerdote Mossèn Iginio Anglès, al quale fu affidato il compito di
condurre i fanciulli ai sacramenti dell’Eucarestia e della Cresima.
Nella Escola si pensò alla preparazione di un “atrio” per la catechesi e ad una
cappella, la “Cappella degli infanti”, decorata in oro e in bianco, ove tutto era a
misura di bambino dagli arredi dell’altare ai sedili.
Le acquasantiere, i quadri e le statuine, i piccoli sedili, tutti ad altezza di bimbo,
accoglievano finalmente i “pargoli viventi nella Chiesa”.
In “I Bambini viventi nella Chiesa” del 1922, testo dal titolo originale per quel
tempo, la Montessori narra della sua esperienza nella “Casa” di Barcellona e
scrive: “Il Metodo Montessori nelle Case dei Bambini prepara i bambini nella vita
consueta della classe, a esercizi che sono in se stessi del tutto indipendenti
dall’educazione religiosa, ma che sembrano ad essa una preparazione. Infatti, essi
perfezionano il bambino rendendolo calmo, obbediente, attento ai propri
movimenti, capace di silenzio e di raccoglimento”. Riferendosi all’esperienza
dell’educazione religiosa avviata nella Escola Montessori di Barcellona, scrive: “si
raccolse questo eccellente frutto, vale a dire che la Chiesa apparve quasi il fine
dell’educazione che il Metodo si propone di dare”.
In realtà l’iniziativa di Barcellona termina con la morte di chi volle con la
Montessori e la Maccheroni la “Casa dei bambini nella Chiesa” e, come lei stessa
scrive in i “Bambini viventi nella Chiesa”, i motivi sono da ricercare
nell’evoluzione e nei cambiamenti che subì la cultura catalana in quegli anni.
In linea con i cambiamenti culturali di tutto l’occidente, l’avanzata al potere in
molte nazioni occidentali dei partiti socialisti, comunisti e repubblicani, condannati
a più riprese dalla Chiesa cattolica, anche la cultura catalana tenta di dare alla
propria società un volto laicale .
Nel 1846 Pio IX promulga la condanna al comunismo prima in “Qui pluribus” poi
nel “Sillabo”, § IV.
Nel 1878 Leone XIII promulga l’enciclica “Quod apostolici muneris”.
Tra il 1925 e il 1937 Pio XI promulga sei encicliche: “Quas primas” nel 1925 sui
rischi del laicismo, nel 1928 “Miserentissimus Redemptor”, in cui denuncia
nell’apostasia di tali governi il “principio dei dolori”. Nel 1931 ”Quadragesimo
anno”, in cui condanna l’ideologia socialista. Nel 1932 “Charitate Christi”, in cui
condanna l’ateismo dilagante nella società moderna e “Acerba animi” sulla
situazione della Chiesa messicana. Nel 1933 la “Dilectissima Nobis” sulla
situazione della Chiesa spagnola e la “Divini Redemptoris”48, in cui condanna il
comunismo ateo.
48
Pio XI denuncia nella “Divini Redemptoris” i rischi del comunismo ateo che offre alla società falsi
ideali di giustizia e uguaglianza sociale che trovano adepti a motivo della cattiva distribuzione delle
ricchezze nella società. La dottrina materialista dei teorici del marxismo bolscevico è vista da Pio XI
come la causa dell’acuirsi della violenza nella lotta tra le classi sociali, della privazione della libertà e
della dignità dell’uomo, gli effetti che la Chiesa aveva denunciato non tardarono a dare i loro frutti
102
I governi laicisti di Messico, Russia e Spagna, avevano promulgato delle leggi che
vietavano a Congregazioni e ordini religiosi l’insegnamento, per questo motivo
molte scuole cattoliche erano state chiuse, tra queste anche la “Escola Montessori”
di Barcellona.
In questi stati s’impose la confisca dei beni della Chiesa per il bene nazionale e si
lasciarono pochi sacerdoti per la pratica del culto religioso. Il fine era quello di
escludere la religione dalla vita dei cittadini al solo fine di produrre una società
atea. In alcuni Stati si giunse non solo a scacciare dal paese i religiosi e i sacerdoti,
ma a perseguitare chi si opponeva a questa politica.
Nell’opera citata la dottoressa si pone una legittima domanda: “Perché Iddio vorrà
permettere che una tempesta ci mandi via dalla prima Casa dei Bambini nella
Chiesa? Forse perché siamo sospinti a procedere avanti nel nostro apostolato:
Andate, e insegnate a tutte le genti, tra i popoli più diversi. Tale è forte e
consolante parola di Gesù Cristo”.
In realtà, terminato l’esperimento di Barcellona, si raccolsero velocemente i frutti e
i consensi in tutto il mondo.
Dopo la Spagna, la Montessori, pur operando in contemporanea in Gran Bretagna,
in Danimarca, in Olanda, in Germania, pensò di rientrare in Italia dove fondò la
“Scuola di formazione per insegnanti, ma non riuscì a far espandere il suo Metodo
sia per la corrente politica idealista di stampo gentiliano, sia a causa delle celate
accuse di naturalismo pedagogico, lanciate contro di lei da alcuni colleghi cattolici
e dalla Chiesa49, e mai ritirate. A questo si aggiunga il successo del metodo
educativo per la scuola materna delle sorelle Agazzi50, fortemente sostenute dalla
politica gentiliana.
L’Italia non voleva la Montessori: i suoi modelli educativi, ispirati alla pace51, alla
giustizia sociale, alla parità di diritti tra gli uomini erano incompatibili con i
principi fascisti e nazionalsocialisti tedeschi.
La Montessori si dimette nel 1933 dall’Opera Montessori, il cui presidente onorario
era Benito Mussolini, allora Capo del Governo, e lascia l’Italia con l’accusa
infamante di “pacifista”, per tornare in Spagna da dove andrà di nuovo via per
sfuggire alla guerra civile.
nefasti. Un altro duro colpo giunge alla Chiesa dal governo tedesco. Il Reich in Germania comincia
la politica di repressione della libertà religiosa e il conseguente annientamento dell’uomo. Cf.
L’enciclica “Mit brennender Sorge. La situazione della chiesa cattolica nel Reich germanico”
promulgata da Pio XI nel 1937 contro il nazionalsocialismo tedesco.
49
Ricordo la “Divini illius magistri” di Pio XI.
50
Le sorelle Agazzi rivedono l’indirizzo froebeliano dei “Giardini dell’infanzia”, istituiti in Francia e
nati sotto l’influenza della filosofia idealista. Per Froebel lo sviluppo della personalità del bambino
avveniva nel gioco e quindi ogni sua attività era tesa al gioco spontaneo. Le Agazzi nella loro
didattica mantengono il principio dell’attività spontanea del bambino ma lo sviluppano in occupazioni
e attività che si rifanno alla vita domestica. Cf. GASPARINI D., Cenni di storia della scuola materna in
Italia, in Conoscere e educare il bambino…, 1990, 169-191.
51
Nel 1943 la nostra dottoressa era tra i candidati per il premio Nobel per la pace che quell’anno fu
consegnato alla F.A.O., appena costituita dall’O.N.U. L’opera che le permise di ottenere tale
riconoscimento fu “Educazione e pace”. Pur essendo italiana, fu accolta benevolmente in India
durante gli anni della seconda guerra mondiale, per le sue idee. Qui rimase fino alla fine del conflitto
come internata di guerra, ammirata da Tagore e da Mahatma Gandhi.
103
Rientrerà in Italia solo nel 1947, accolta ancora in un clima di ostilità culturale e
scientifica.
La guerra aveva rallentato notevolmente le ricerche scientifiche in campo
pedagogico, l’Italia viveva in una totale arretratezza, il torpore fu scrollato solo
dalla diffusione dell’opera piagetiana, dalle correnti strutturalistiche e
cognitivistiche che finalmente iniziarono a circolare, ma che erano ancora molto
indietro rispetto agli sviluppi della ricerca pedagogica montessoriana52.
La sperimentazione dell’educazione religiosa, secondo i principi montessoriani,
svolta da Sofia Cavalletti e Gianna Gobbi, inizia nel 1954 a Roma, tre anni dopo la
morte della dottoressa, in modo del tutto casuale, più corretto provvidenziale, e con
pochissimi bambini, appena cinque.
Il successo con questi piccoli di sette anni fu tale da far pensare ad un corso più
organizzato l’anno seguente che prese il nome di “Catechesi del buon Pastore”.
La sperimentazione di Sofia Cavalletti e di Giovanna Gobbi
La Catechesi del “buon Pastore” è sempre in sperimentazione, perché i suoi
fondamenti didattici nascono da un lavoro corale e simbiotico delle catechiste del
“Buon Pastore” di tutto il mondo che ancora non termina.
La Cavalletti e i suoi collaboratori hanno prodotto un materiale, nel pieno rispetto
dei principi montessoriani su citati, che è il frutto di una sperimentazione sul
campo e dell’osservazione delle reazioni alla catechesi di bambini dai due anni e
mezzo ai dodici anni.
L’osservazione condotta ha dato la possibilità di verificare un fenomeno già noto
alla Montessori nella sua esperienza di Barcellona, vale a dire che gruppi interi di
bambini avevano accolto e penetrato le Verità di fede.
Ancor di più l’esperienza della Cavalletti e della Gobbi ha dimostrato che lo stesso
fenomeno continua a ripetersi con fanciulli di estrazione sociale e culture diverse,
che è comune ai bimbi di tutto il mondo e, poiché ci rimanda alle esperienze della
Montessori, possiamo dire di tutti i tempi, provocando in loro sempre gli stessi
effetti: appagamento e serenità.
L’esperienza religiosa appaga i bisogni affettivi53 dei fanciulli e questa è una
“costante”, per dirla come la nostra autrice, che supera ogni barriera di età, di
52
I testi di Psicoaritmetica, pubblicati all’estero nel 1934, saranno pubblicati in Italia solo nel 1971,
dopo che le ricerche di psicodidattica dell’autrice entreranno nell’interesse degli esperti e degli
educatori italiani. Nelle “Case dei Bambini” la Montessori aveva anticipato l’attività della scrittura e
della lettura ai 3-4 anni, l’attività matematica ai 5. Gli “Orientamenti” didattici della Commissione
preposta all’approvazione dei nuovi programmi per la scuola materna nel 1958 si rifanno alla più nota
corrente pedagogica di J. Dewey, psicologo e filosofo della corrente attivista, sono d’ispirazione
montessoriana, ma per lo più testimoni del meglio dell’opera agazziana, infatti, resta ancora proibita
ogni anticipazione scolastica “del leggere, dello scrivere, del calcolo, salvo il caso di organici metodi
di differenziazioni didattiche”. ( Cf. Orientamenti per l’attività educativa della scuola materna,
D.P.R. 11 giugno 1958, n. 584).
53
CAVALLETTI S., Il potenziale religioso del bambino…da 3 a 6 anni, 1979.
104
sesso, di cultura, di tempo: negarla significa negare l’esistenza di un’esigenza
vitale54 nel bambino, anche nel più piccolo.
I motivi, azzarda la Cavalletti nell’opera citata, sono da ricercare nella vita interiore
stessa del bambino la cui formazione, soprattutto nei primi anni di vita, si basa
sulla relazione amorosa con la madre.
L’amore è parte della stessa natura del bambino, ma è anche ciò su cui si fonda
l’esperienza religiosa.
Il bambino conosce il reciproco scambio d’amore con la madre e lo trova
appagante, ma scopre, pure, quando è aiutato a farne esperienza,
che è minoritario rispetto all’amore indefettibile di Dio.
Nel fenomeno descritto sopra, come nell’esperienza precedentemente fatta dalla
Montessori agli inizi dello scorso secolo, erano sottoposti all’osservazione bambini
normali non dotati di particolari doni di “grazia”.
Alcune di queste esperienze sono descritte nelle opere citate in nota, insieme ad
altre, riguardanti bambini che, pur vivendo in un ambiente ateo o privi di
qualunque educazione religiosa in famiglia, hanno intuito o fatto esperienza della
presenza di un Essere trascendente che ordina e crea55.
L’esperienza nell’atrio di religione descritta dalla Cavalletti, non fa altro che
confermare che il bambino è capace di un’esperienza religiosa e che è dotato di un
potenziale religioso, perché ciò che si osserva nei bambini durante la catechesi è
reale, concreto, esperienza vissuta.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un plagio o di “magismo” del bambino,
ma il compito dell’adulto in questa catechesi, è di guida discreta che di suo mette
ben poco, lo ricordo ancora è “un servo inutile”.
I bambini, anche i più piccini, comunicano la loro personale esperienza religiosa
con il linguaggio che gli è proprio, diverso da quello degli adulti. La Cavalletti
custodisce con molta cura più di mille disegni56, carichi di significati teologici. Ma
anche il silenzio, il raccoglimento nello svolgere l’attività sono ricchi di significato.
Il linguaggio dei bambini è costituito da fatti e atteggiamenti interiori più che da
parole57, questa loro capacità di interiorizzazione degli eventi gli permette di
penetrare forse più dell’adulto la realtà nascosta che si cela dietro il linguaggio dei
segni e delle parabole. Questo ci fa comprendere qual è il motivo per cui la
54
EAD, Il potenziale religioso del bambino tra i 6 e i 12 anni- descrizione di una esperienza, Città
Nuova, Roma 1996.
55
A questo riguardo è molto utile leggere le esperienze riferite dalla Cavalletti, dalla Montessori, ma
anche da altri autori. Nell’Autoeducazione la Montessori cita la relazione del prof. Ghidionescu,
tenuta al Congresso Internazionale di Pedagogia a Bruxelles nel 1911, insieme ad altre esperienze
fatte da lei personalmente. Cf. MONTESSORI MARIA, L’autoeducazione, Garzanti, Milano 1962, 308309; ANNE MARIE VAN DER MEER, Uomini e Dio, ed. Paoline, Alba 1964, 16-18; Padre DUDKO
DIMITRI, Parroco a Mosca. Conversazioni serali, Quaderni della “Rivista del centro studi Russa
Cristiana”, Milano (1976), 144-145; CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino tra i 3 e i
6 anni, 1979, 23-26.
56
Vedi Appendice, viene riferito in sede di intervista; EAD, Il potenziale religioso … da 3 a 6 anni,
1979; EAD., Il potenziale religioso…dai 6 ai 12 anni, 1996.
57
EAD, Il potenziale…, 1979, pag.30.
105
“catechesi dei segni”, tanto sostenuta dalla Montessori e praticata dalla Chiesa fin
dai suoi albori, abbia successo.
I bambini, più degli adulti, penetrano l’invisibile realtà che essa nasconde58.
Il catechista, durante la catechesi è come il bambino “uno che accoglie” la Parola,
che con il bambino l’ascolta e la penetra e si mette al suo servizio.
La relazione educatore-bambino ed educatore-Parola non è di servizio-sudditanza.
Come in una sorta di rito d’iniziazione59, l’educatore conduce il bambino alla
penetrazione profonda della realtà divina attraverso una vera e propria
“mistagogia” dei segni.
Possiamo affermare, quindi, come la Cavalletti, che la fanciullezza è un’età
privilegiata per l’accoglienza del kerygma.
Stando alle testimonianze delle sue esperienze in questo campo, anche la scelta dei
temi della catechesi riserva ai piccoli la parte migliore.
Le fonti di questo lavoro sono la Bibbia e i testi liturgici, che già la Montessori
utilizzava, anche se in modo diverso.
La penetrazione delle parabole evangeliche e la conoscenza dei testi eucologici
avviene attraverso l’uso di un materiale che guida il bambino all’interiorizzazione
di quel Mistero della vita intratrinitaria cui il piccolo sente pian piano di
appartenere.
Ogni parabola o testo eucologico deve essere presentato al bambino, senza
interpretazioni o manipolazioni dell’adulto, nella sua interezza, al catechista spetta
il compito di spiegare i termini meno comprensibili.
Il materiale, che rispetta il principio dei periodi sensitivi e quello dell’isolamento
delle difficoltà, aiuterà il bambino di qualunque età, cultura o estrazione sociale,
normale o svantaggiato, in quella fase di dialogo interiore in cui entra in contatto
con l’unico Maestro interiore.
Non è l’esperienza dell’educatore in primo piano, ma la Parola: quanta fede è
necessaria nell’educatore perché questo accada!
Questo modo di concepire l’educatore è assolutamente nuovo rispetto al comune
modo di operare.
Molti in una simile situazione si porrebbero al posto della Parola cercando di
trascinare il bambino in inutili concettualizzazioni che il piccolo non
comprenderebbe, finendo col perdere la sua attenzione e innervosendolo per averlo
relegato in un ruolo che non vuole assolutamente ricoprire.
Il materiale preparato ha lo scopo di condurre il bambino non a concettualizzazioni,
ma alla conoscenza di una Persona viva.
Induce alla “ripetizione degli esercizi” che, proprio perché soddisfano le esigenze
del bambino, producono in lui quell’appagamento e quella calma interiore che lo
guidano a riconsiderare nella propria anima il tutto. La ripetizione di questi atti nel
silenzio, il dialogo interiore, in cui tutto l’essere è aperto all’azione dello Spirito
58
EAD, 33-40.
“L’iniziazione è anche un atto di conoscenza… garantisce la rigenerazione dell’iniziato, gli rivela
segreti di natura metafisica e alimenta contemporaneamente la vita, la forza e la conoscenza”. Cf.
ELIADE MIRCEA, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino 2001, 55-56.
59
106
Santo attraverso la Parola annunciata, realizzano nel bambino contemplazione e
preghiera.
Sono ormai cinquant’anni che la sperimentazione è in atto non solo in Italia, ma
anche in altri continenti, paesi e culture diverse hanno accolto la “Catechesi del
buon Pastore”. In Tanzania, in Ciad, in Brasile, negli Stati Uniti, in tutto il NordEuropa, in Croazia, in Messico, nel Perù, in Colombia60, in Uruguay, in Paraguay,
in Canada, ora anche in Asia esistono “atri” di religione.
Non c’è dubbio, quindi, che questa catechesi abbia un marcato carattere apostolico,
lo dimostra il fatto che catechisti di fede cattolica hanno potuto operare anche con
fanciulli di confessione anglicana e luterana.
La catechesi del Buon Pastore
Dopo aver riscontrato che il bambino già in tenera età è capace di fare una vera
esperienza religiosa, è necessario un salto nel passato per ricercare le radici di
questa esperienza.
È importante risalire alle origini per capire meglio qual è stato il punto di partenza
e poterne osservare lo sviluppo.
Il valore storico di quest’esperienza religiosa sarà sottolineato nel capitolo
successivo, al momento è importante rilevare che proprio ai bambini va il merito di
aver individuato quali temi della dottrina cristiana rispondono meglio alle loro
esigenze, permettendogli di penetrare le Verità di fede. Non solo, data l’importanza
dei temi indicati quali la celebrazione eucaristica, il Battesimo e le parabole, è stato
necessario rivolgersi loro con un linguaggio appropriato, quello biblico/liturgico.
I catechisti del “Buon Pastore” temevano che questo fosse il meno adatto per loro,
ma anche in questo caso gli stessi bambini si sono dimostrati pronti e maturi per
comprenderlo ed acquisirlo.
60
Presso le Facoltà di Teologia è possibile conseguire un Diploma nella “Catechesi del Buon
Pastore”. “In Messico, nella sola Diocesi di Chihuahua, i bambini che usano gli album “Io sono il
buon Pastore” sono 27.000, più di 800 le catechiste che hanno partecipato alla riunione nazionale.
In USA ci sono circa 102 corsi per catechisti, in Montana sono stati dati corsi di formazione nella
parrocchia della riserva dei Chippewa e dei Creel e si sta provvedendo alla costruzione di due
“atri”. In Spagna Francesca Cocchini, collaboratrice della Cavalletti, è stata invitata a Valencia dai
padri Scolopi per dare una prima presentazione della catechesi, tornerà probabilmente a settembre
per predicare gli esercizi spirituali ai preti della diocesi, perché il provinciale dell’ordine è rimasto
colpito da come sono state lette le parabole (nello stesso modo in cui si leggono ai bambini). In
Colombia sono pronti tre nuovi “atri” nella diocesi di Manizales. In Slovenia a Lubiana sono in
funzione quattro “atri” e il corso si tiene presso la Facoltà di Teologia. A Reggio Emilia e Rimini
partecipano ai corsi più di cento persone, alla presentazione generale della catechesi a Rimini sono
accorse più di 500 persone. In America Latina il “buon Pastore” è arrivato in Honduras. In Pakistan
un “atrio” è stato chiuso per motivi di sicurezza. A Panama esiste un “pre-atrio” che accoglie bimbi
dai 18 mesi ai 2 anni e qualcosa di simile si sta muovendo anche negli Stati Uniti dove alcune
catechiste sono diventate nonne. In Tennesee una catechista episcopaliana ha portato la catechesi
nelle carceri”. Cf. Relazione dell’Assemblea dell’Associazione Maria Montessori per la formazione
religiosa del bambino, Roma 21 marzo 2006.
107
Questo nuovo passaggio ha reso possibile raggiungere il traguardo più alto di ogni
itinerario per l’iniziazione cristiana: è stato fondamentale per farli entrare in
dialogo con Dio nella preghiera e nella Liturgia.
Il dinamismo delle ricerche e delle sperimentazioni svolte intorno ai fanciulli negli
“atri di religione”, a mio avviso, smentiscono quanto asseriscono catecheti ed
esperti di Pastorale circa l’incapacità dei bambini di poter vivere la Chiesa in senso
pieno.
La “Catechesi del buon Pastore” porta i fanciulli a comprendere a fondo il
significato teologico della Chiesa, del suo essere “corpo mistico” di Cristo, tutta
tesa a preparare il “banchetto nuziale” per lo Sposo. E senza quelle pericolose
devianze che altro non sono che il frutto di catechesi errate.
Non mi soffermerò sul senso teologico delle parabole, perchè ciò che ci interessa è
guardare come cresce in seno al bambino il significato profondo che esse
contengono e come si sviluppa la formazione morale proprio a partire da queste.
Dalle “case dei bambini” agli “Atri di religione”
Punto focale dell’educazione religiosa attuata dalla Montessori è stata la Liturgia.
La dottoressa pensò bene di iniziare l’insegnamento dalla nomenclatura degli arredi
dell’altare, degli oggetti essenziali per la liturgia dei sacramenti e per la
celebrazione della Messa, dalla nomenclatura del vestiario del sacerdote. Tutto
l’occorrente per il lavoro dei fanciulli era predisposto nell’”atrio”.
Un sacerdote aveva il compito di spiegare i sacramenti coinvolgendo, attraverso la
drammatizzazione, i fanciulli.
Questi a loro volta potevano ripetere liberamente gli esercizi attraverso l’utilizzo di
quel materiale che era l’esatta copia, in piccolo, dell’originale.
I bambini più grandi potevano leggere un Messale preparato per loro, ricopiare le
preghiere liturgiche e ripetere la gestualità.
Lo studio della Creazione avveniva attraverso l’osservazione del creato e dei cicli
della natura, attraverso la presentazione delle letture dei brani biblici che
esaltavano la Creazione o attraverso la vita di Santi particolarmente legati alla
natura. Nella scuola di Barcellona fu ideato, addirittura, un osservatorio
astronomico.
Nella “Vita in Cristo” del 1931 la dottoressa tratta dell’Anno Liturgico, ne spiega
con molta precisione i tempi in rapporto alla vita dell’uomo perché questo possa
vivere pienamente in Cristo.
Distingue l’anno liturgico dal calendario civile, presenta anche il materiale di
supporto in cui si accenna continuamente alle variazioni dei colori dei tempi
liturgici.
Nella “Santa Messa spiegata ai bambini” del 1932, (edizione inglese ristampata
per il mercato italiano solo nel 1949), proprio nella Prefazione individua alcuni
comunissimi errori dell’educazione religiosa impartita ai bambini quali quello, già
noto, dell’intervento continuo dell’educatore sul bambino per “impedirgli di fare
male” o il “trasmettere con parole i racconti della Storia Sacra ed affidare la
108
dottrina cristiana alla sua memoria”61. Era, inoltre, nell’uso comune impartire la
catechesi liturgica durante le celebrazioni anche nei momenti che avrebbero dovuto
essere di maggior silenzio e raccoglimento, quali la Consacrazione eucaristica,
impedendo ai bambini la preghiera.
Altro errore che individua è la sovrabbondanza di nozioni e di figure nei testi, che,
per quanto tentavano di spiegare la gestualità liturgica, finivano con l’assumere un
carattere rubricistico, fuorviante per la mente e per la fede del fanciullo come
dell’adulto.
Ciò che conta per la dottoressa non è far sapere al bambino cosa accade durante la
celebrazione eucaristica, ma consentirgli la partecipazione interiore all’offerta di
Gesù al Padre.
Nel testo sono descritti gli arredi dell’altare e i paramenti sacri, una breve storia
della Messa e lo svolgimento della Messa secondo ovviamente il rito che precede il
Concilio Vaticano II.
La linea che sceglie è anch’essa di tipo rubricistico, ma dobbiamo sempre pensare
che il testo è stato scritto per gli educatori, non certo per i bambini, e che ai
bambini veniva presentato sempre attraverso un materiale e in un ambiente
appositamente preparati.
La dottoressa da molta importanza all’offertorio62 le cui specie sono preparate dalle
mani operose dei bambini, che, nel primo esperimento di Barcellona, addirittura
coltivano in un giardino il grano e le viti da cui essi stessi traggono la farina per le
particole e il vino per l’offerta.
Nel tempo di preparazione alla Prima Comunione, fissato in cinque settimane, si
provvedeva all’istruzione del nucleo dell’insegnamento religioso: il Simbolo, il
Decalogo, i Sacramenti, l’Orazione e i precetti della Chiesa.63
Ogni settimana si consegnava ai bambini un Simbolo (secondo l’uso del TradditioRedditio): uno per i Comandamenti, uno per il Credo, uno per il Pater, il Mater e il
Gloria, uno per la Confessione e uno per l’Eucarestia.
La “Catechesi del buon Pastore”, pur partendo dagli stessi presupposti, si
discosterà da questi per una via originale: quella indicata dai bambini.
Si parte sempre dalla nomenclatura degli arredi dell’altare e dei paramenti del
sacerdote, dai colori dell’anno liturgico perché i bambini devono avere familiarità
con il calendario liturgico e, nel suo svolgimento, devono osservare la variazione
dei colori degli arredi dell’atrio, della Chiesa e dei paramenti del sacerdote.
Il variare dei colori sottolinea l’azione trasformante dello Spirito nella vita
dell’uomo.
L’apporto originale dei bambini consiste nell’aver individuato il nucleo della
catechesi nella celebrazione eucaristica, in particolare nella Consacrazione
Eucaristica.
Sin dagli inizi, inoltre, è stata riscontrata una particolare rispondenza dei bambini
tra i 3 e i 6 anni alle parabole del “Buon Pastore” (Gv 10, 1-16; Lc 15, 4-6) e alle
61
MONTESSORI M., I bambini viventi nella Chiesa, 1970, 11.
EAD, 20.
63
Secondo le indicazioni della “Acerbo nimis”, enciclica del 1905 di Pio X. Cf. “Enchiridion delle
encicliche”, vol 4, EDB, Bologna, 1998, 125.
62
109
parabole “misteriose” del Regno dei Cieli (Mt 13, 31-32; Mt 13, 33; Mt 13, 4445).
Il linguaggio della catechesi
L’iniziazione cristiana dei fanciulli certamente deve prevedere, messi questi
presupposti, non solo una certa familiarità con l’ambiente ecclesiale, ma anche
l’utilizzo del linguaggio proprio di Cristo e della Chiesa: il linguaggio liturgico e
parabolico.
“Due sono i momenti dell’apprendimento: il primo nel quale lo scolaro ascolta dal
maestro, sta in una posizione di passiva ricettività; il secondo, nel quale lo scolaro
rimedita quello che il maestro ha insegnato, ci riflette sopra e pian piano lo fa
suo”64.
Entrambi i linguaggi rispettano i due momenti essenziali dell’apprendimento.
Il linguaggio liturgico oltre che comporsi di un codice verbale si compone anche di
un ricco codice gestuale, visivo, olfattivo, gustativo aventi una funzione
semeiotica65. Detto anche dei “segni”, il linguaggio liturgico si arricchisce di gesti,
oggetti materiali (l’acqua, l’olio, il pane, il vino, il fuoco) che vanno a colpire i
sensi.
Come il linguaggio delle parabole, anche il linguaggio liturgico racchiude in sé un
significato profondo che rimanda alla realtà soprasensibile e la realizza, in questo è
“segno” che racchiude un’infinità di significati66.
La parabola è parola, in quanto parola è anch’essa “segno” che non esplicita, che
vela una verità nascosta, è quindi rivelatrice di una realtà quotidiana e di una realtà
trascendente ontologicamente simili, così, per esempio, il Regno dei cieli è simile
ad un granello di senapa, al lievito, al tesoro nascosto, alla perla preziosa.
È tipico della parabola dispiegare il suo significato con il tempo, con la
meditazione, con la preghiera, non si può spiegarne il contenuto nascosto attraverso
definizioni e formule67, poiché queste esaurirebbero velocemente il suo significato,
se ne distruggerebbe il valore didattico, impedendo a chi ascolta di andare alla
scoperta del significato vitale e alla Parola di incarnarsi nell’esistenza umana.
64
CAVALLETTI SOFIA, GOBBI GIANNA, “Io sono il buon Pastore” – Dottrina cristiana per la prima
classe- guida per il catechista, a cura dell’Ufficio catechistico di Roma, Arti Grafiche, Città di
Castello (Perugia) 1965, 51-57. 51.
65
BONACCORSO GIORGIO, La comunicazione liturgica. Il gesto rituale, in Teologia, RFTIS 1/2004,
81.
66
“Il simbolismo permette il passaggio, la circolazione da un livello all’altro, da un modo all’altro,
integrando tutti questi livelli e piani, senza fonderli… tende a integrare il “tutto” in un sistema, a
ridurre la molteplicità a situazione unica, in modo da renderla il più trasparente possibile”. Cf.
ELIADE M., Trattato di storia delle religioni, 2001, 411- 416.
67
ALONSO- SCHOKEL LUIS, Il dinamismo della tradizione, Paideia, Brescia 1970, 265.
110
La funzione della parabola nella catechesi
La parabola è presentata con un materiale che abbiamo detto essere “astrazione
materializzata”: una scena riproduce un ambiente stilizzato in cui si svolgono gli
eventi narrati, in cui il bambino muove dei personaggi di legno anch’essi stilizzati e
a due dimensioni68.
- 1^ FASE DELLA PRESENTAZIONE:
la presentazione ha inizio con il racconto del contenuto della parabola, il
catechista deve essere essenziale e fedele al testo evangelico, per poi passare
alla meditazione comunitaria della parabola, in cui pone ai bambini degli
interrogativi ai quali non dovrà mai rispondere. Quando i bambini hanno capito
che il testo nasconde altro, allora passa alla lettura solenne del brano, in questo
momento spesso nasce la preghiera spontanea.
- 2^ FASE DELLA MEDITAZIONE PERSONALE:
il catechista presenta gli elementi del materiale, rilegge il testo e muove le
figure di legno che rappresentano i vari personaggi.
Liberamente i bambini ritornano a lavorare con il materiale delle parabole da
soli o a gruppi: uno legge il testo, gli altri muovono i personaggi, i più piccoli
che non sanno leggere possono partecipare aiutati dalla lettura dei più grandi o
raccontano da sé la parabola.
È la fase del lavoro in cui il bambino riconsidera la parabola senza l’aiuto
dell’adulto, nella sua personale meditazione ripete a se stesso i dettagli, li penetra e
li applica alla sua vita. Può anche concettualizzare il lavoro svolto attraverso poche
parole o disegni o ricopiando i testi dei brani evangelici.
La Cavalletti ricorda che “Sant’Agostino diceva del segno liturgico: una cosa si
vede un’altra se ne intende. [Allo stesso modo] si può dire delle parabole: una cosa
si ascolta un’altra se ne intende. I bambini devono essere capaci di ricercare, dietro
l’aspetto esteriore delle cose, il loro significato misterioso e riposto. La Liturgia,
non solo, rende evidente e tangibile la realtà soprasensibile attraverso i segni, ma ci
fa vedere quelle realtà che essa opera; “nell’acqua battesimale devono saper vedere
la vita eterna, nella semplice trama delle parabole del Regno devono saper vedere il
Regno di Dio dentro di noi. Quando i Padri della Chiesa evangelizzavano intere
masse pagane utilizzavano espressioni del tipo: “Avete visto”, “vedete”,
“guardiamo”. Invitavano a trarre il significato dei segni più dalla contemplazione
di questi che dalla comprensione delle loro parole.
Il nostro insegnamento oggi si conclude piuttosto con un “avete capito?”, si rivolge
all’intelletto più che alla persona nella sua interezza”69. Dimostrazione che non
ancora abbiamo superato la matrice idealista-positivista che è all’origine degli
errori educativi individuati dalla Montessori. “L’arte del catechista consisterà nel
lasciare che tali cose parlino esse stesse il loro linguaggio impressivo […] La
catechesi deve essere oggettiva al massimo; il catechista deve ripetere la parola di
68
Per le scene storiche, invece, sia i personaggi che gli ambienti sono una riproduzione fedele della
realtà: i pupazzi e le ambientazioni sono tridimensionali, come quelli dei presepi. Questo permette ai
bambini di cogliere la differenza tra parabole ed eventi storici.
69
CAVALLETTI S., GOBBI G., “Io sono il buon Pastore” – Dottrina cristiana per la prima classe…,
1965, 4-6.
111
Dio che salva, non le sue personali parole: più sarà capace di nascondersi, di
sparire dietro le grandi verità che insegna, esponendole con il linguaggio biblico e
liturgico, meglio compirà la sua opera. Si serva dunque del metodo di Dio, del suo
linguaggio”70.
Le parabole del Buon Pastore
(Gv 10, 1-16; Lc 15, 3-7)71 E L’EUCARESTIA.
La parabola del “buon Pastore” (Gv 10,1-16) ha molti elementi ed è importante,
quindi “isolare le difficoltà”, presentarla evitando, per i più piccoli, quelle parti
poco comprensibili dei vv. 1-2 e 7-10 che sono presentate più avanti nel tempo. Se
i bambini sono molto piccoli si devono evitare nella prima presentazione anche il
lupo e il mercenario, due figure che spaventano i bambini.
I punti che riscuotono maggior favore presso i bambini anche molto piccoli sono:
la conoscenza profonda che il buon Pastore nutre per le sue pecorelle, “Egli
chiama le sue pecore una per una”; la conoscenza delle loro necessità, “cammina
innanzi a loro” per indicare la via e per allontanarle dai pericoli; l’amore protettivo
che nutre per loro, “il buon pastore offre la vita per le pecore”.
La parabola di Lc 15, 4-6 completa l’aspetto protettivo e amorevole del “buon
Pastore”: anche una sola pecorella è importante per lui, addirittura arriva a portarla
sulle sue spalle. Con i più piccoli è inutile sottolineare l’aspetto morale che inizia a
prefigurarsi intorno ai 7 anni.
Il bambino coglie l’amore per la pecorella analogicamente all’amore che la madre
nutre per lui, per questo motivo, quando si chiede al bambino con chi si può
identificare il “buon Pastore” nella sua vita, di solito, si riferisce alla madre o a un
familiare a lui particolarmente caro. Indice che il momento kerygmatico della
catechesi soddisfa i suoi bisogni affettivi.
Dopo aver raccontato le parabole, il catechista passa alla meditazione comunitaria
evitando di spiegare i brani.
I bambini non sempre giungono a collegare immediatamente le pecorelle a noi, il
catechista deve guidarli alla scoperta ma senza rivelargli il significato nascosto.
Il materiale di queste parabole è composto di figure bidimensionali del Pastore,
delle pecore, del prato, del lupo e del mercenario.
Il “buon Pastore” e le pecorelle sono poste in un ovile su un prato verde, un piano
di legno circolare colorato; il catechista rilegge il testo muovendo le figurine di
legno (foto n. 1-2-3).
Dalla sperimentazione è stato osservato che si stabilisce un legame affettivo tra i
bambini e il “buon Pastore” simile alla relazione con la mamma, rilevabile da
alcuni disegni in cui la figura materna compare sottoforma di casa o, nei piccoli di
due anni, sottoforma di cerchi (segno del rapporto intrauterino con la madre).
70
71
Cf. EADEM, 1965, 6; CAVALLETTI S., Il potenziale.., 1979, 57-67.
EAD, 1979.
112
Foto n. 1-2 - (N. B. Le fotografie sono riportate soltanto nell'edizione a stampa
del n. 2 di "Laboratorio Montessori")
113
Foto n. 3
Il disegno nella foto n. 4 è di una bimba messicana che ha spiegato che il cerchio al
centro del foglio è il “buon Pastore”, i cerchi più piccoli sono le pecore, si noti
come la bimba colleghi pecore e “buon Pastore” con delle linee.
Un bimbo di due anni e mezzo, statunitense, nello spiegare il suo disegno dice che
il cerchio grande rosso è il “buon Pastore” e quello piccolo giallo, disegnato dentro,
è la pecorella (foto n. 5).
Inoltre bambini di cinque, sei anni non mancano quasi mai di disegnare la pecorella
o un bambino in posizione fetale nel suo grembo (foto n. 6).
114
Foto n. 4
Foto n. 5
115
Foto n. 6
Riporto due esempi di bambini che hanno applicato le parabole alla loro vita: “Una
catechista chiede ad un bimbo di 5 anni perché ha messo due bambini (figure di
legno) nel recinto con le pecore, il bambino risponde che ha capito che le pecorelle
siamo noi”. Un altro bambino di quattro anni e mezzo fa uscire dall’ovile le pecore
una ad una; ogni volta, che una pecora lascia il recinto, il bambino volta la figura
del “buon Pastore” verso la pecora che esce, la catechista gli chiede il perché, egli
risponde che il Pastore “la chiama per nome”72.
Alla presentazione delle parabole del “buon Pastore” segue la presentazione
eucaristica.
Il materiale è costituito da un piccolo altare posto su di un panno verde su cui è
collocata inizialmente una piccola figurina, sempre in legno e a due dimensioni, del
“buon Pastore” (foto n. 7).
72
CAVALLETTI S., Il potenziale religioso.. da 3 a 6 anni, 1979.
116
Foto n. 7
Durante la presentazione il “buon Pastore” chiama dall’altare le pecorelle, la
catechista sposta con molta calma le pecorelle dall’ovile per radunarle intorno
all’altare.
Il bambino intuisce che esiste un altro ovile, la Chiesa, dove il “buon Pastore”
incontra le sue pecorelle in un modo molto speciale, a questo punto la figura è
sostituita dai modellini del calice e della patena: la relazione tra il Pastore e le sue
pecore non è cambiata, lui si rende presente nelle specie del pane e del vino (foto n.
8).
Colta questa relazione, il catechista va avanti e inizia a sostituire le pecorelle con
delle figure umane, sempre in legno e a due dimensioni, sono adulti e bambini tutti
radunati intorno all’altare, tra questi c’è una pecorella speciale, posta dietro l’altare
che rappresenta il sacerdote o il vescovo, che sono lì per rendere presente Gesù
sull’altare (foto n. 9).
Foto n. 8
117
Foto n. 9
Una cosa è chiara ai bambini che hanno colto gli aspetti essenziali delle parabole: il
“buon Pastore” conosce ogni pecorella per nome, le pecorelle siamo noi, ci chiama
per incontrarlo in un ovile speciale che è la Chiesa, la parabola si lega
profondamente all’Eucarestia.
Di fronte a questa presentazione i piccoli rimangono incantati, iniziano a fare
sintesi tra Bibbia e Liturgia, tra il “buon Pastore” delle parabole e la presenza di
Cristo nelle specie eucaristiche. Tutto il coinvolgimento affettivo delle parabole è
trasferito nella Messa, d’ora in poi la loro partecipazione all’offerta del Buon
Pastore non sarà più la stessa.
Via via che crescono i bambini lasceranno il materiale e ritorneranno spesso sul
testo per ricopiarlo e drammatizzarlo.
118