Le riflessioni di inizio anno

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Le riflessioni di inizio anno
Marzo - numro 24
TENNIS WORLD
La rinascita e la salute del tennis Americano
Federer - Dubai
Riflessioni di
inizio anno
Nishikori - intervista
Il talento può diventare
un problema
Nick Kyrgios
La generazione di
mezzo
Le riflessioni di inizio anno
by Chiara Gambuzza
Quando si conclude un torneo, soprattutto quando a concludersi
è il primo Slam dell'anno, tante sono le riflessioni che si fanno.
Quando si conclude un torneo, soprattutto quando a
concludersi è il primo Slam dell'anno, tante sono le
riflessioni che si fanno. Le analisi riguardano
soprattutto i giocatori più forti ma non solo e ci si
chiede se quanto visto in Australia può essere una
fedele proiezione di quanto accadrà nel corso della
stagione 2015. Prevedere cosa accadrà nell'arco di 10
mesi è sempre molto difficile ma certamente gli
"spunti" australiani sono stati molteplici.
Il trionfatore a Melbourne è stato Novak Djokovic e il
serbo si trova in cima al ranking mondiale
meritatamente.
Numeri alla mano e basandoci sul livello di gioco da
lui espresso, è probabile che abbia consolidato la sua
posizione in classifica già nel primo mese dell'anno.
E' un giocatore che si adatta a tutte le superfici e il
Roland Garros è l'unico Slam che manca al suo
palmares. Lui stesso ha ammesso che è il grande
obiettivo del 2015 e combatterà per far sì che il suo
nome venga scritto nell'albo d'oro del torneo
paragino. Solido e determinato sono gli aggettivi che
possiamo utilizzare per descrivere questo avvio di
stagione.
Da alcuni anni a questa parte la solidità è invece una
caratteristica che non appartiene a Roger Federer. Il
suo 2014 sarà ricordato come un anno fantastico,
segnato dal trionfo in Coppa Davis e dalla vittoria di
tanti tornei. L'amaro in bocca, dal suo punto di
vista,lo ha lasciato la finale di Wimbledon in cui non
è riuscito a portare a termine la rimonta.
Le considerazioni, di solito, vengono fatte alle fine di
un percorso ma quanto accaduto a Melbourne può
rivelarsi un presagio, uno specchio fedele di questa
annata.
Ha giocato gli ultimi 20 Slam vincendone "soltanto"
uno.
La stanchezza accumulata alla fine del 2014, si è fatta
sentire non solo durante il match con Seppi ma
anche nei turni precedenti. Un Federer ad
intermittenza che però è sempre pronto a stupire e a
lasciare il segno quando conta. A detta di molti, le
sue chance di vincere ancora un Major sono legate al
torneo di Wimbledon, ma nulla è impossibile
soprattutto per un campione del suo calibro.
Tanti punti interrogativi incombono nella testa di
Rafael Nadal. Lo spagnolo si è presentato a
Melbourne in condizioni fisiche incerte ed è apparso
vulnerabile rispetto al passato tanto da perdere
seccamente da un avversario che lo aveva battuto
circa 9 anni fa.
Il cemento, soprattutto quello di Melbourne, non gli
è mai stato amico se escludiamo il 2009, e
appare molto chiaro che Rafa vede ROSSO. In tutti i
sensi. Riuscire a vincere "La Decima" a Parigi
avrebbe dell'eccezionale e dell’incredibile allo stesso
tempo, ma deve fare attenzione a non scendere
troppo in classifica in questi primi mesi del 2015.
Il ristretto cerchio dei Fab4 si conclude con Andy
Murray. Lo scozzese ha raggiunto la finale a
Melbourne Park ma, ancora una volta, non ha
convinto. Si trovava ad affrontare un avversario
oggettivamente più forte di lui ma le occasioni non
sfruttate sono state parecchie. I passi avanti da lui
compiuti sono tanti ma ci si aspetta sempre di più.
Amelie Mauresmo è stata scelta proprio per questo.
Le considerazioni, di solito, vengono fatte alle fine di
un percorso ma quanto accaduto a Melbourne può
rivelarsi un presagio, uno specchio fedele di questa
annata.
Australian Open: le piccole
sorprese del tabellone maschile
by Giorgio Giannaccini
Possiamo dirci soddisfatti per le rinascite di vari
giocatori
Tralasciando per un momento le imprese dei
maggiori giocatori del nostro circuito e le fasi ultime
degli Australian Open che hanno visto, come al
solito, in finale un monologo tra due Fab Four,
possiamo dirci soddisfatti per le rinascite di vari
giocatori che sono tornati presenti addirittura in un
palcoscenico importante dopo diverse annate non
proprie positive.
Oltre a due nostri connazionali che hanno figurato
bene, cioè Paolo Lorenzi e Andreas Seppi. Il
primo è finalmente riuscito a sfatare il tabù del
primo turno in un torneo dello Slam, andando a
sconfiggere un acciaccato Dolgopolov - partita
comunque non semplice, vista la grande differenza
fra i due in fatto di tennis giocato e classifica.
Al toscano rimane - sebbene questa evoluzione qualche rimpianto per l'epilogo nella partita persa al
secondo turno contro il canadese Pospisil, dove ha
perso con l'onorevole punteggio di 6-7(3) 7-6(4) 6-3
6-4 contro uno dei migliori giovani adesso in
circolazione.
Venendo invece ad Andreas Seppi, ha fatto
sicuramente clamore in tutto il mondo la sua vittoria
contro il re del tennis moderno, Roger Federer,
vittoria ottenuta per 6-4 7-6(5) 4-6 7-6(5), grazie ad
una prestazione molto solida, non straordinaria ma
di alto livello, conclusa con un match point pazzesco.
Sicuramente sono più i demeriti di Federer ad aver
contribuito a questo incredibile risultato, difatti
l'elvetico non è sembrato in condizione fisica
ottimale, molto scarico e poco reattivo sulle gambe.
La sconfitta invece rimediata nel turno successivo da
Andreas contro l'australiano Kyrgios, non credo che
sia un passo indietro, anzi.
A parer mio, Seppi ha giocato nettamente meglio del
match contro Federer, trovando semplicemente un
avversario più forte di quello che era stato lo svizzero
nella giornata precedente, e la qualità del tennis è
stata nettamente maggiore e più piacevole agli occhi.
C'è da dire che quasi certamente Kyrgios diventerà
un grande giocatore, ha mostrato di avere
tecnicamente tutti i colpi, di avere fisico, e di avere
anche una dote molta rara oggi: estro e fantasia (si
vedano le sue discese a rete e le sue palle corte, unite
con la potenza di ambedue i colpi da fondo campo).
E anche di avere testa, ha lottato punto su punto
contro un giocatore di grande esperienza come
Seppi, annullando un match point e imponendosi
con un tiratissimo 5-7 4-6 6-3 7-6(5) 8-6, davvero
una grande impresa. Rimane buona l'avventura di
Andreas in Australia.
Parlando invece di giocatori stranieri, mi hanno ben
impressionato i vari Gilles Muller, il ritorno a buoni
livelli di Marcos Baghdatis, e la crescita miracolosa
compiuta da Donald Young.
Andando con ordine e parlando del lussemburghese
Gilles Muller, dobbiamo dire che in realtà non è
neanche una sorpresa così assoluta: l'ex numero 1 al
mondo nella categoria Juniores aveva già ben
figurato negli Slam, ottenendo un quarto di finale
agli Us Open nel 2008 e due terzi turno a
Wimbledon nel 2005 e nel 2011, in più il suo bel
gioco, fatto di serve and volley e chip and charge, si
dimostra molto adatto per le superfici veloci, sia in
erba che cemento. Inoltre è apparso più solido dalla
parte del rovescio dove, oltre a giocare il suo classico
back radente, ha migliorato il suo rovescio bimane in
top, conferendo al suo gioco una migliore solidità
difensiva da fondo campo.
I risultati parlano chiaro visto che ha raggiunto il
quarto turno degli Australian Open, battendo forti
giocatori come Roberto Bautista Agut e John Isner,
dovendosi arrendere solo al numero 1 al mondo,
Novak Djokovic, peraltro in 3 tiratissimi set per 6-4
7-5 7-5.
Ritorno, invece, improvviso quello di Marcos
Baghdatis, che da mesi sembrava essersi persa ogni
possibile traccia di quel giocatore che nel lontano
2006 aveva centrato la finale degli Australian Open e
la semifinale nei Championships di Wibledon.
Australian Open molto intenso e spettacolare per il
cipriota che nel match d'esordio ha estromesso dal
tabellone il potentissimo russo Teymuraz Gabashvili
in un lungo e lottato match per 6-2 6-7 3-6 6-4 6-4,
poi nel secondo match ha sconfitto il giovane e
talentoso belga David Goffin in 4 set (6-1 6-4 4-6 60), per poi cedere al terzo turno contro il colui che
potrebbe diventare il nuovo Federer per stile di
gioco: Grigor Dimitrov. Il bulgaro ha avuto grandi
difficoltà contro il cipriota, solo un calo fisico
avvenuto al quarto set ha permesso al bulgaro di
aggiudicarsi la partita
contro il più anziano rivale per 4-6 6-3 3-6 6-3 6-3.
Baghdatis ha comunque dimostrato di essere tornato
al top della forma come gioco espresso e di essere
ancora un giocatore temibile per tutti i giocatori del
ranking mondiale.
Finiamo la nostra rassegna con colui che forse è stata
la maggiore sorpresa in fatto di crescita tennistica di
questi Australian Open: Donald Young.
Questo ragazzo afroamericano, sebbene la giovane
età, non era affatto sconosciuto nel mondo del
tennis: eterna promessa incompiuta degli Stati Uniti,
nonché pupillo di John McEnroe che aveva asserito
che tale ragazzo fosse più talentoso addirittura di lui
stesso, aveva fino a qui deluso per anni. Sembrava
totalmente privo di requisiti tecnici superiori agli
altri. Quello visto quest'anno agli Australian Open è
sembrato tutt'altro giocatore. Nonostante abbia
perso appena al secondo turno, e tra l'altro non
contro un giocatore qualsiasi, ma contro Milos
Raonic, numero 8 del mondo, per 6-4 7-6(3) 6-3, ha
mostrato notevolissimi cambiamenti tecnici.
La prima di servizio che un tempo viaggiava a
velocità soporifere si è trasformata in un'ottima
prima che garantisce buona spinta e un discreto
numero di servizi vincenti, il dritto non è più solo
anticipo ma anche potenza che consente di
comandare lo scambio e fare anche diversi vincenti,
in più il rovescio piatto, usato quasi sempre per il
palleggio da fondo campo, appare ottimo a livello di
timing, pulito nell'impatto, e davvero molto solido
negli scambi.
Se uniamo a queste doti tecniche anche una buona
intelligenza tattica dimostrata negli attacchi contro
tempo a rete che assicurano punti facili vinti a rete, e
un uso giusto e mai fuori luogo del back di rovescio –
insieme ad un rafforzamento fisico del ragazzo stesso
piuttosto evidente nei recuperi e
nella potenza dei colpi – allora ci troviamo di fronte
a un potenziale top 30, se continuerà su questa
strada. I presupposti ci sono e i risultati stanno
venendo, infatti, dopo l'Australia, Young ha
collezionato una semifinale a Memphis e una finale a
Delray Beach.
Forse sarà davvero il momento buono?
Staremo a vedere...
Australian Open la rinascita a stelle e strisce
by Marco Avena
Gli Stati Uniti sono più vivi che mai nel mondo del tennis,
per lo meno al femminile
Una rinascita a stelle e strisce. Gli Stati Uniti sono
più vivi che mai nel mondo del tennis, per lo meno al
femminile perché se in campo maschile agli ultimi
Australian Open il meglio l'hanno saputo ottenere
John Isner e Steve Johnson arrivando fino al terzo
turno, tra le donne è stato un autentico tripudio che
fa ben sperare, la USTA, la federazione americana
della racchetta in molti altri anni di dominio, anche
quando le sorelle Williams decideranno di smettere.
L'inossidabile 'Serenona' Williams si è aggiudicata il
torneo – il 19° Slam in carriera – e Madison Keys si è
fermata in semifinale proprio contro la connazionale
che insieme alla sorella Venus ne ispirò la carriera.
Ai quarti e agli ottavi erano stata invece,
rispettivamente, la già citata Venus e Madison
Brengle ad arrendersi proprio contro la Keys.
Tutto qua? Niente affatto perché fino al terzo turno ci
erano arrivate anche Coco Vandeweghe, Varvara
Lepchenko e Bethanie Mattek-Sand.
Un risultato di tutto rispetto visto che nessun altro
paese è stato capace di fare meglio al Melbourne
Park, a conferma di un movimento che vive di una
sua linfa vitale proprio grazie a quanto sono state
capaci di fare le sorelle Williams negli ultimi anni e
di un sistema tennis che, seppur in tono minore
rispetto al passato, ancora funziona.
La stessa Venus è tornata a giocare un quarto di
finale a distanza di cinque anni dall'ultima volta,
In un tennis sempre più globalizzato, quello ottenuto
agli Australian Open 2015 è un risultato di altissima
qualità
confermando ancora determinazione e voglia di lottare sul campo.
In un tennis sempre più globalizzato, quello ottenuto agli
Australian Open 2015 è un risultato di altissima qualità, una
parziale risposta anche al guru Nick Bollettieri che neanche
qualche mese fa, agli US Open, lamentava la presenza di una sola
giocatrice – Serena Williams – e di nessun giocatore agli ottavi di
finale del torneo newyorkese e sentenziava la morte del tennis
americano.
Forse il tempo darà ragione al buon Nick, ma di fatto quanto fatto
vedere quest'anno in Australia ha sentenziato che il tennis 'Made
in USA' in rosa è più vivo che mai, la conferma che Williams e
socie possono portare nuovo grande lustro a un paese che fino a
un paio di decenni fa era considerato il 'non plus ultra' del tennis
mondiale anche grazie al suo sistema universitario.
Già, proprio quei campionati NCAA che erano il bacino di utenza
da cui attingere per lanciare i migliori tennisti nei circuiti pro e che
oggi invece sono snobbati dalla maggior parte dei migliori.
Oggi, – ma già ieri, basti ricordare il talento in erba di Jennifer
Capriati, passata professionista a 13 anni e 11 mesi – la situazione
è radicalmente cambiata e le esigenze di uno sport che ti porta a
crescere il prima possibile fanno virare le famiglie su altre
soluzioni.
Keys - Difficile dire quando entrerà nelle top 5: di
sicuro, con lei in campo il tennis americano potrà stare
tranquillo ancora per un bel pezzo.
Basti pensare che la stessa Madison Keys, colei su cui
la leggendaria Chris Evert si è sbilanciata dicendo
che “può diventare la numero 1”, mise piede in
campo la prima volta da pro a 14 anni e 84 giorni.
Proprio Madison ha tutte le carte in regola per
prendere in mano il testimone che prima o poi le
lasceranno le sorelle Williams e dalle quali ha
appreso il mestiere del tennis: potenza, timing e
velocità di palla sono le caratteristiche che meglio la
contraddistinguono.
Difficile dire quando entrerà nelle top 5 o, come
spera e afferma la Evert, potrà diventare numero 1.
Di sicuro, con lei in campo il tennis americano potrà
stare tranquillo ancora per un bel pezzo.
La realtà che inganna
by Giovanni Larosa
Un'analisi sul tennis americano femminile degli ultimi
dieci anni
Febbraio 2005. Lindsay Davenport è numero uno
del ranking mondiale, seguita da Amelie Mauresmo e
da Serena Williams. Il tennis americano vive un
periodo di ottima salute, con Venus Williams e
Jennifer Capriati in top ten. Dodici titoli WTA
portati a casa nella stagione precedente, il quartetto
americano è, di gran lunga, il più forte sulla scena
mondiale, con la sola Russia di Myskina, Dementieva
e delle giovani Sharapova e Kuznetsova a tenere
testa.
Febbraio 2015. A dieci anni di distanza la
situazione del tennis statunitense è decisamente
diversa. L'unico punto in comune è rappresentato
dalla leadership nel ranking WTA, saldamente
ancorata nelle mani di una Serena Williams che,
nonostante il passare degli anni, è ancora capace di
avere una marcia in più rispetto alle rivali.
Dietro di lei, però, non ci sono altre americane nella
top ten. La sola Venus, che sembra essersi ritrovata
in questi ultimi mesi risalendo all'11esimo posto del
ranking, continua però a vivere di alti e bassi. Si
tratta, tuttavia, di due tenniste rispettivamente classe
'81 e '80 e quindi, ipoteticamente, sul viale del
tramonto.
Dati alla mano le prospettive sembrerebbero, quindi,
tutt'altro che rosee per il tennis in gonnella
americano. Un po' come è accaduto agli uomini di
casa USA si potrebbe quasi naturalmente concordare
sul fatto che dieci anni fa gli States stavano molto
meglio e che adesso si ritrovano ad andare avanti
aggrappandosi disperatamente a due istituzioni
come le sorelle Williams.
Beh, niente di più sbagliato. Perché? Basta scorrere
la classifica un po' più in giù per rendersi infatti
conto di quanto le cose siano ben diverse rispetto a
come appaiono.
Sì, perché è vero che il tennis americano di dieci anni
fa portava con sé quattro grandissime campionesse,
delle certezze a livello mondiale. È altrettanto vero,
però, che di queste quattro tenniste due erano ormai
prossime ai trent'anni (e, infatti, non avrebbero più
vinto altri titoli dello Slam).
Serena e Venus, che all'epoca avevano
rispettivamente 24 e 25 anni, rappresentavano
invece il vero motore trainante del tennis americano.
Dietro di loro, infatti, non vi era nessuna capace di
lasciar intravedere anche la minima speranza di
gloria per l'USTA. In quelle che potevano essere
considerate le seconde linee americane, ossia tutte le
giocatrici dalla top 20 a scendere, di potenziale ce
n'era, infatti, ben poco. E, peggio ancora, di giovani
interessanti quasi neanche l'ombra. La top 100
americana conteneva una lista di giocatrici sì valide,
ma quasi tutte in fase di pre-pensionamento:
dall'indimenticabile Amy Frazier alla futura “sol
doppista” Lisa Raymond, da Jill Craybas a Mashona
Washington. I più rilevanti prodigi del tennis
americano di quegli anni rispondevano ai nomi di
Shenay Perry, Jamea Jackson e Ashley Harkleroad.
Un po' poco insomma.
Oggi, invece, sebbene non ci siano quattro americane
nella top ten, ciò che non manca è la presenza di
tante giovani di belle speranze nella top 100.
I dati statistici a riguardo la dicono lunga sulla salute
del movimento.
Ad oggi, con la sola eccezione di Varvara Lepchenko,
classe '86 (e, ovviamente, delle due Williams che
fanno corsa a parte) nella top 100 risultano esserci
altre 10 tenniste americane, tutte sotto i 24 anni.
Il dato si allarga a macchia d'olio e sale a ben 18 se si
considera la top 200. Numeri decisamente
impressionanti, sintomatici di una grossa crescita del
movimento statunitense.
Numeri che diventano quasi imbarazzanti se si pensa
che dieci anni fa, di questi tempi, vi erano solo 3 top
100 sotto i 24 anni (Spears '81, Gould '80 e Perry
'84) e tutte e tre posizionate comunque dalla
70esima posizione a scendere.
L'aspetto più interessante non è però rappresentato
dal solo dato quantitativo, ma dalla qualità delle
giovani emergenti del tennis americano. Di Madison
Keys, attuale numero 20 del mondo e fresca
semifinalista agli Australian Open, si è già detto
molto.
La neo-ventenne di Rock Island rappresenta soltanto
la punta di un movimento in costante crescita.
Giocatrice dal potenziale pazzesco, la Keys ha in sé
tutte le qualità per andare a porsi come la naturale
erede di Serena Williams e diventare la numero uno
del tennis in gonnella a stelle e strisce. Le manca
ancora un po' di continuità ma il lavoro che con lei
sta portando avanti Lindsay Davenport è,
sicuramente, degno di nota ed è preventivabile
che la giovane Madison riesca a raggiungere, anche
solo nei prossimi dodici mesi, risultati di assoluto
valore.
Cosa dire però di Sloane Stephens? Una che a 21 anni
(si, 21!) sembra già essere una veterana del circuito.
Una facilità di gioco più che rara e la sensazione di
avere un prodotto di assoluta qualità, la semifinalista
degli Aus Open 2013 sta vivendo adesso un periodo
particolarmente negativo. Scivolata fuori dalla top
40, Sloane ha però tutti i mezzi (e anche il tempo)
necessari per poter ritrovare se stessa, avendo già
chiaramente dimostrato come, nel suo caso, il
problema principale sia una forte mancanza di
continuità e di fiducia in se stessa. Il suo ritmo di
gioco incessante e il bagaglio tecnico lasciano
pensare che, se inserita nei binari giusti, la ragazza
possa arrivare ad essere devastante.
E se forse tra le altre top 100 americane manca la
potenziale numero 1 mondiale (ma avercele, ad oggi,
due giocatrici del valore di Keys e Stephens), la
salute dell'intero movimento è rappresentata anche
da quelle giocatrici che, invece, con una certa
consistenza sono riuscite a costruirsi un
ranking di buon livello: da Alison Riske a Christina
McHale, da Lauren Davis alla spesso bistrattata Coco
Vandeweghe. Tutte ragazze che, tra l'altro, hanno
ancora molti anni di tennis a buon livello davanti a
loro.
Teniamo, per ultime, quelle che potrebbero essere
due grosse stelle del futuro per il tennis americano:
Taylor Townsend e Catherine Bellis. Della prima
si è discusso molto in passato, purtroppo più per le
sue forme “non convenzionali” e per il famoso caso
che la coinvolse nel 2012 (quando la USTA si rifiutò
di pagarle le spese per gli Us Open juniores
semplicemente perché in sovrappeso, nonostante
fosse comunque la numero 1 mondiale di categoria)
che per le qualità tennistiche. Qualità che, invece,
sono chiaramente evidenti anche agli occhi dei non
addetti ai lavori.
Un tennis bello, vario, completo cui la ragazza
affianca una personalità da vincente. Taylor possiede
the “whole package” come direbbero negli States e sì,
lei ha davvero tutte le carte in regola per arrivare in
cima.
Di CiCi Bellis, invece, si è parlato soltanto negli
ultimi mesi, quando l'allora 15enne americana
superò al primo turno degli Us Open Dominika
Cibulkova. Che dire? A neanche 16 anni l'americana
si ritrova tra le prime 250 del ranking WTA. Un
prospetto più che interessante, non solo per il buon
bagaglio tecnico (sul quale, ovviamente, c'è ancora
da lavorare) ma anche e soprattutto per la grande
attitudine e il carattere che porta con sé quando
scende in campo.
Madison Brengle
by Marco Avena
La felicità dopo il tumore
In piena 'trance agonistica', la Brengle si è presentata
agli Australian Open con grande determinazione e
dopo aver superato al primo turno la testa di serie
numero 13, la tedesca Andrea Petkovic, ha fatto fuori
nell'ordine le connazionali Falconi e Vandeweghe
prima di arrendersi ad un'altra Madison, che di
cognome fa Keys, agli ottavi di finale, ottenendo così
il suo miglior risultato in uno Slam.
Una delle più belle immagini che ci ha colpito in
questo primo breve ma già intenso scorcio di
stagione tennistica è stato il viso pulito di Madison
Brengle. Un viso che avevamo già notato in passato
ma sul quale mai come in questo momento ci
eravamo soffermati a guardare, anzi ad ammirare.
Già, perché Madison da Dover, nel Delaware, appena
qualche mese fa – precisamente a settembre – si era
sottoposta a un controllo clinico a causa di una
strana macchia su una gamba. Risultato? Un cancro
alla pelle che aveva richiesto un rapido
intervento. Rimosso il tumore cutaneo,
fortunatamente rivelatosi allo stadio iniziale, la
24enne americana aveva dovuto attendere solamente
cinque settimane prima di tornare ad allenarsi. Sarà
stato un caso, o forse no, ma sta di fatto che da quel
momento in poi, la crescita di Madison è stata
esponenziale: l'inizio 2015 è stato in assoluto il
migliore della sua carriera, perché dopo aver
superato le qualificazioni e i primi due turni nel
tabellone principale a Brisbane, la tennista 'a stelle e
strisce' ha sfiorato l'impresa nel successivo
appuntamento a Hobart, sconfitta in finale
solamente dalla britannica Heather Watson.
Ma chi è Madison Brengle?
È una ragazza americana come tante, vi dirà
qualcuno, cresciuta in una delle molte accademie di
tennis che negli Stati Uniti negli anni sono sorte
come funghi. Una figlia d'arte, perché è la mamma (e
maestra) Gaby ad averla allevata a pane e tennis
insieme al fratello David.
È cresciuta con i libri in una mano (le è sempre
piaciuto studiare finché ha dovuto rinunciare
all'università per motivi sportivi, ndr) e con pallina e
racchetta nell'altra, prima per gioco e poi sempre più
seriamente, percorrendo per filo e per segno tutte le
tappe che questo sport richiede: dopo aver giocato
nei tornei giovanili americani, ha iniziato a mettere
piede sui campi dei tornei ITF e nel 2005, a
Baltimora, quando aveva appena 15 anni, si è
aggiudicata il primo torneo da pro.
Dopo aver superato la paura di un tumore, una partita
di tennis contro una delle migliori può sembrare
veramente una passeggiata....
Un primo passo importante verso una carriera che
nel 2007 le ha regalato la finale agli Australian Open
juniores, sconfitta da Anastasia Pavlyuchenkova, e
nello stesso anno la prima vittoria nel circuito
maggiore, per 6-1 6-3 ai danni di Flavia Pennetta a
Los Angeles.
Da allora è stato un crescendo di risultati, altri 6
successi ITF, una prima finale WTA di cui sopra e al
momento in cui scriviamo (18 febbraio), una
classifica che la pone alla 45ª posizione nel ranking
mondiale di singolare, miglior risultato di sempre di
una carriera che potrà riservarle ancora molte
grandissime soddisfazioni perché, dopo aver
superato la paura di un tumore, una partita di tennis
contro una delle migliori può sembrare veramente
una passeggiata....
Venus Williams riparte
col botto
by Alessandro Varassi
Il 2015 parte con la rinascita della più grande delle sorelle Williams, che sembra
almeno al momento essersi messa da parte i tanti problemi degli ultimi anni.
Parlare di rinascita alle soglie dei 35 anni fa sempre
impressione, ma il mondo del tennis, specie in ATP,
sta registrando sempre più la presenza di top player
dall’età avanzata.
Anche il mondo WTA non sembra da meno, a
giudicare da quello a cui stiamo assistendo in questi
primi mesi del 2015.
Venus Williams, classe 1980, ha stupito tutti quelli
che la davano ormai per finita, vincendo 11 delle 12
partite disputate in questa stagione finora. Un titolo
vinto ad Auckland, il numero 46 della sua bacheca,
ed un quarto di finale Slam quasi vinta, a Melbourne
contro Lauren Davis, come a voler dire: scusate, ci
sono ancora.
Venere ne ha passate di ogni tipo negli ultimi anni,
dal 2010, quando le viene diagnostica la Sindrome di
Sjogren, malattia che porta ad una atrofizzazione dei
muscoli e alla secchezza di occhi e labbra.
Non il massimo per una sportiva come lei, capace di
arrivare ad essere la numero 1 del mondo e di
mettere in bacheca 7 titoli dello Slam in singolare e
13 in doppio (più altri 2 titoli in doppio misto, tanto
per gradire), e 4 ori olimpici (1 in singolare e 3 in
doppio).
Le sue apparizioni in campo negli ultimi anni sono
state sporadiche e non certo continue, dovute a sopra
citato problema fisico che appare e scompare ad
intermittenza.
Fisico longilineo, potenza fuori dal comune, Venus si
caratterizza anche per gli interessi fuori dal campo, in
particolare per la moda.
Fisico longilineo, potenza fuori dal comune, Venus si
caratterizza anche per gli interessi fuori dal campo,
in particolare per la moda: i completini che indossa
sono infatti disegnati da lei stessa, e fanno spesso
discutere per scelte non convenzionali per tipologie e
colori.
Dopo un 2014 dove ha brillato il solo titolo vinto a
Dubai, nel 2015 il risultato di Melbourne è il migliore
a livello Slam dagli Us Open 2010. Intervistata sulle
sue intenzioni, Venus è sempre stata sfuggente, ma
non nasconde di voler continuare a giocare, e a
raccogliere altre soddisfazioni.
Con la sorella minore Serena che continua ad essere
la dominatrice indiscussa del circuito, Venus, se
continuerà su questi livelli, potrebbe essere
un’avversaria temibile per la numero 1 del mondo.
Non ce ne vogliano Sharapova, Halep e le altre, ma la
peggiore avversaria per Serenona potrebbe essere
proprio la sua sorella maggiore: proprio per questo,
la clamorosa sconfitta (per come è arrivata) contro la
connazionale Lauren Davis agli ultimi Australian
Open ha privato il pubblico di una semifinale tutta in
famiglia che incuriosiva non poco appassionati e
addetti ai lavori.
La speranza è che a breve ci siano altre occasioni,
specie sui palcoscenici maggiori.
La generazione di mezzo
by Adriano S
Esistono nel tennis e più in generale nel mondo dello
sport delle finestre temporali di 'stanca'.
Esistono nel tennis e più in generale nel mondo dello
sport delle finestre temporali di 'stanca'.
Dopo grandi ere generazionali il ricambio è sempre
difficoltoso ed è lì che si sono inserite le cosiddette
generazioni di mezzo.
A fine anni '90 terminò il dominio di Pete Sampras e
anche i grandissimi di quel decennio segnavano
ormai il passo, col solo Agassi in grado di competere
ad alti livelli.
Nei primi anni del nuovo millennio è toccato così agli
Hewitt, ai Moya, ai Ferrero spartirsi i grandi trofei
internazionali.
Epoca comunque impreziosita dalla presenza dei
Kuerten, Roddick, Safin. Insomma parliamo dei nati
fra la seconda metà degli anni '70 e i primissimi '80:
loro che hanno rappresentato a detta di molti la
generazione meno forte della storia Atp.
A testimoniarlo, le numerose critiche al record di 17
Slam di Roger Federer, raggiunto secondo i più
maligni solo per la 'debolezza' dei competitor dei
primi anni 2000. Alla longevità dello svizzero, alla
comunque ancor giovane età di Nadal si sono
aggiunte anche le esplosioni di Djokovic e Murray,
andando a creare una delle epoche più importanti
della storia del tennis, non a caso appellata come
Golden Era.
E' dunque mancata quella finestra temporale
sfruttata da altri in passato. I pochissimi passi falsi
dei big 4 sono stati trasformati in oro dalle storiche
seconde linee: Davydenko, Soderling, Del Potro,
Wawrinka, Ferrer, Tsonga, lo stesso Cilic, persino
Berdych, hanno saputo cogliere le poche occasioni
concesse dai cannibali del tennis moderno.
La nuova generazione, dai classe '89 ai classe '92,
quella dei Dimitrov, dei Nishikori, dei Raonic,
Janowicz &co, non sembra nemmeno al loro livello.
C'è bisogno di tempo, certo, prima di trarre
conclusioni definitive, ma è a 23-25 anni che
solitamente escono fuori i campioni veri, che
arrivano i primi grandi trofei, e i problemi non
finiscono qua: Djokovic, Murray e Del Potro hanno
27 anni, ergo se li porteranno dietro fino al termine
delle loro carriere.
Il secondo punto è rappresentato dalla vera new
generation in arrivo, quella di Kyrgios, Coric e Zverev
Il secondo punto è rappresentato dalla vera new
generation in arrivo, quella di Kyrgios, Coric e
Zverev: giocatori che tecnicamente ed
agonisticamente sembrano avere un potenziale ben
superiore a quello degli '89-'91, enormemente
superiore a quello dei '92-'94 come Tomic o Sock, col
solo Thiem come speranza.
C'è quindi il rischio che una volta liberati dai fab4
arrivi una nuova tempesta.
4 finali Masters 1000, 1 finale Slam, 4 semifinali
Slam sono finora il magro bottino della generazione
di mezzo, con Nishikori a tirare la carretta.
Fisiologicamente qualche grande trofeo dovrà pur
arrivare, ma la tanto discussa generazione '75-'81
sarà ancora considerata la più scarsa fra le vincenti
dell'era Open?
Intervista a Nick Kyrgios
by David Cox (traduzione di Katherina Savino)
“Posso giocare con i migliori del mondo”
“I ragazzi ai vertici sono atleti incredibili,” Nick
Kyrgios si stupisce mentre riflette su una campagna
degli Australian Open che l’ha visto scatenare quel
tipo di frenesia che non si sentiva da quando Lleyton
Hewitt riuscì ad arrivare in finale a Melbourne nel
2005. “Sono fisicamente a un altro livello. Questo è
quello che più viene fuori.”
La corsa di Kyrgios è terminata ai quarti di finale il
mese scorso perdendo tre set di fila contro il finalista
Andy Murray, ma il teenager di Camberra ha
mostrato a tutti che ha il gioco per andare
sicuramente più lontano, e nell’arco di un paio di
anni, potrebbe persino contendersi il titolo.
Comparato a Andy Murray, egli stesso un junior
prodigio che vinse il titolo juniores degli Australian
Open nel 2004, alla stessa età Kyrgios è già un paio
di passi avanti.
Murray non è riuscito a raggiungere i quarti di finale
di un Grande Slam fino ai 21 anni. Kyrgios ce l’ha
fatta due volte prima del suo 20esimo compleanno, e
una vittoria contro il 14 volte campione Rafael Nadal.
Ma come Murray ha detto alla folla della Rod Laver
Arena durante un’intervista post-partita, Kyrgios ha
bisogno di tempo e c’è ancora un po’ di strada da fare
prima che si possa muovere nel territorio dei
contendenti di un Grande Slam.
Per quel che riguarda l’uomo in sé, la vita sembra
ancora un po’ un turbine, sono passati solo due anni
da quando ha conquistato il titolo junior degli
Australian Open con la vittoria a scapito dell’amico
Thanasi Kokkinakis.
“E’ successo tutto così velocemente da allora,” dice.
“Non sembra essere passato tanto tempo da quella
partita. Sembra sia stato giusto un paio di settimane
fa che giocavo nel tabellone degli Australian Open
per la prima volta. Io e Thanasi non riusciamo a
credere a cosa sia successo da allora.”
Negli ultimi dodici mesi, Kyrgios è passato dal
numero 162 del mondo a 35 ed è diventato uno dei
volti più conosciuti dello sport australiano, l’uomo in
testa a una schiera di junior estremamente talentuosi
che molti sperano faranno rivivere i tempi d’oro del
tennis australiano. Solo alcune settimane prima che
battesse Nadal al Central Court di Wimbledon, ha
giocato alcuni challenger di basso livello di fronte ad
appena una manciata di spettatori.
Sentendo alcune fitte allo stomaco mentre si
accingeva a giocare a Wimbledon, per un momento
ha persino pensato di ritirarsi. “Alcune settimane
prima, pensavo di andare a casa,” rivela.
“Ho avuto un incontro con i miei allenatori. È stato
deciso che la cosa migliore per me era rimanere e
giocare la settimana di qualificazione per questo
challenger di Nottingham. Ho finito per vincere quel
torneo e ho passato alcune delle settimane più belle
della mia vita.”
Questi sbalzi alla fine hanno caratterizzato il 2014 di
Kyrgios. Un momento fuoriclasse, il momento dopo
steso per terra in preda a spasmi alla schiena, i suoi
sforzi hanno pagato pegno su un corpo ancora
fragile.
“E’ stato un anno divertente,” dice. “Molti alti e bassi.
Come le montagne russe.”
1,93 m di altezza, con un uno dei servizi più potenti
del circuito maschile, Kyrgios a primo sguardo
appare un campione fisicamente imponente. La sua
costituzione naturalmente muscolosa ha fatto sì che
la sua transizione da junior a senior fosse
apparentemente facile, ad un’età in cui molti dei suoi
colleghi faticano ad orientarsi contro professionisti
stagionati che possono avere anche dieci anni di più.
Comunque il livello di fisicità richiesto dal circuito
ATP è diverso da quello juniores e persino dai
Challenger. Questo è un mondo in cui regna la
scienza dello sport e i migliori passano ore a
rafforzarsi, recuperare, migliorare flessibilità e
potenza per guadagnare ogni margine possibile sui
loro avversari. Mentre il tennis di Kyrgios può essere
buono abbastanza per confrontarsi con alcuni dei
migliori giocatori, ma sa che ha molta strada da fare
fuori dal campo.
“La fisicità è ovviamente una parte importantissima
del mio gioco che ho bisogno di migliorare,” dice. “A
Wimbledon ho giocato una partita ai cinque set e ho
faticato molto al quinto. Ma in Australia ho giocato
due partite ai cinque set e me la sono cavata bene in
entrambe le occasioni ed esserci riuscito a 19 anni mi
da molta fiducia. E queste partite erano su campi in
sintetico quindi c’erano più scambi. C’è molto di
positivo che posso prendere. Sto ancora crescendo
nel mio corpo. Ho ancora tempo dalla mia parte.”
Kurgios ha osservato attentamente i top ten al lavoro
in palestra e in allenamento in campo.
“Semplicemente osservando giocatori come Tomas
Berdych, vedere quello che fanno fuori dal campo, in
palestra, ho imparato molto da loro. Non stavo
attingendo dalle loro menti. Stavo osservando quello
che facevano prima e dopo le partite. Fanno un sacco
di lavoro. Fino a due sessione di palestra al giorno,
più lavoro in campo. E quando gioco contro Murray,
è incredibile quante palle rimetta in gioco. Ci sono
stati punti che avrei vinto più di cinque volte, in cui
mi faceva giocare una palla extra.”
Ma come direbbero Murray e molti altri a Kyrgios,
con l’aumento di popolarità, arriva anche l’aumento
di critiche. Durante gli Australian Open, il 19 enne si
è ritrovato di fronte a molte critiche provenienti da
molte parti per le sue buffonate estroverse in campo
e gli occasionali sbotti verbali.
Pat Rafter ha affermato che Kyrgios può essere
troppo emotivo ma l’uomo in sé afferma che è parte
della natura della sua personalità.
“Ovviamente non sarò quel tipo di persona che si
comporta come un automa, che non mostra nessuna
emozione,” ha detto.
“Ma credo che più crescerò, più diventerò maturo.
Scoprirò cosa mi aiuta di più in campo. Credo che
giocherò il mio tennis migliore quando troverò il
giusto equilibrio tra l’essere veramente positivo e lo
stare calmo. Ho un buon team con me che mi aiuta
in tutte queste cose. Sto ancora crescendo, quindi
non penso di sapere davvero quale sia la cosa
migliore da fare.”
Per quel che riguarda i suoi obiettivi per il resto del
2015, insiste sul fatto che non sarà trascinato via.
“Il mio obiettivo è rimanere in salute, rimanere in
campo e competere. Penso che il mio livello vada
decisamente bene. Posso giocare con alcuni dei
migliori. Penso di essere sicuramente in grado di
entrare nella top 30.”
La top 30, potrebbe essere una minimizzazione.
Lo strano caso di
Nick Kyrgios
by Valerio Carriero
L’australiano sta scalando rapidamente il ranking, tuttavia per
ora vive di rendita solamente grazie agli exploit negli Slam. Ma
non è l’unico
Sacrifici, viaggi in posti improbabili per prize money
irrisori, situazioni scomode. Tutto per inseguire un
solo sogno: scalare il ranking per giocarsela con i
migliori sui palcoscenici più importanti del circuito.
E’ quanto capitato a Nick Kyrgios, che dall’alto dei
suoi 193 cm ha preferito questo magnifico sport al
basket. Una rapidissima ascesa, considerando che la
sua carriera è iniziata solamente verso i 14 anni.
Un concentrato di furore agonistico e arroganza, un
mix che gli ha permesso e gli permette di strappar
consensi e infiammare il pubblico delle piazze più
prestigiose: gli Slam.
E’ questo, fino ad ora, il terreno di caccia preferito
del giovane Nick. Il formato 3 su 5 gli consente di
sopperire agli inevitabili blackout dovuti alla poca
esperienza e caratteristiche di gioco ultra offensive.
Avvisaglie del potenziale del giovane “aussie” erano
visibili già al Roland Garros del 2013, prima
apparizione assoluta in un Major.
Risultato: 3 set a 0 ad un veterano quale Radek
Stepanek.
Poi nel 2014 il secondo turno raggiunto a Melbourne,
prima dell’esplosione definitiva: i tre challenger vinti
in primavera gli valgono una Wild Card per
Wimbledon e il resto è storia
Ad appena 19 anni, Kyrgios raggiunge i quarti
superando tra gli altri Richard Gasquet, annullando
9 match point, ma soprattutto Rafael Nadal. Una
personalità inaudita dimostrata dai 37 ace e nessun
segno di timore reverenziale, stesso carattere
palesato pochi mesi più tardi a New York, torneo che
lo vide protagonista sino al terzo turno. Ma è nel
2015 che Nick compie una piccola grande impresa,
conquistando un secondo quarto di finale Slam da
“teenager”, nella sua terra, purtroppo a scapito del
nostro Andreas Seppi.
Exploit importanti che lo hanno proiettato sino alla
top40.
Classifica meritatissima e in costante ascesa, ma
frutto di un dato abbastanza singolare: al di fuori di
Major e Davis, Kyrgios ha vinto solamente una
partita, nel Master di Toronto contro Giraldo.
Quello dell’australiano, però, non è un caso isolato.
Nella WTA è stata Sloane Stephens a stupire tutti
nel 2013, piazzando una semifinale ed un quarto a
Melbourne e Wimbledon, e raggiungendo la seconda
settimana anche a Parigi e Flushing Meadows. Ma
l’americana ha deluso le aspettative nei tornei
“minori”: solo 20 le partite vinte in tutta la stagione
al di fuori dei Major.
La sua ottima striscia è proseguita poi nel 2014 con
altri ottavi di finale a Melbourne e Roland Garros,
tuttavia le tantissime difficoltà nel far punti in
Premier e International hanno provocato uno
scivolone sino alle porte della top50.
Chi invece sembra aver bruciato definitivamente le
tappe è Eugenie Bouchard, autrice nel 2014 di
una cavalcata da sogno nei tornei dello Slam:
due semifinali, una finale ed un ottavo il suo bottino,
piazzamenti che le hanno permesso di centrare la
qualificazione a Singapore. Anche la canadese, però,
non ha brillato particolarmente in altri eventi del
circuito: dopo Melbourne, Genie ha vinto solamente
9 partite sino a maggio, quando conquistò il suo
primo titolo Wta a Norimberga. Dopo la finale di
Wimbledon, poi, bruttissima trasferta americana con
un solo successo (su tre tornei disputati) in
preparazione agli Us Open. Per la Bouchard il 2015 si
presenta come l’anno della conferma: per evitare il
crollo della Stephens e difendere le importantissime
cambiali dei Major avrà sicuramente bisogno di
tenere alto il livello per gran parte della stagione.
Giovani ambiziosi dalle altissime aspettative. I tornei
dello Slam rappresentano il palcoscenico ideale per
dare il meglio di sé, per mettere in mostra il loro
enorme potenziale e la freschezza di un fisico non
ancora provato da anni di battaglie sul circuito.
Il futuro appartiene a loro ma per compiere il
definitivo salto di qualità ed entrare nel gotha di
questo meraviglioso sport, quattro exploit all’anno
certamente non bastano.
Djokovic come Laver?
by Adriano s
Fare il Grande Slam è il sogno dei grandi campioni Atp.
Fare il Grande Slam è il sogno dei grandi campioni
Atp.
L'unico in grado di completarlo nell'arco della stessa
stagione è stato il leggendario Rod Laver. Più volte vi
sono andati vicini supercampioni come Federer o
Nadal, ma mai è realmente apparsa possibile
l'impresa, vuoi per le difficoltà di Roger a Parigi, vuoi
per gli infortuni e le difficoltà sul veloce di inizio
carriera per Rafa.
Tocca adesso a Novak Djokovic tentare l'impresa, e a
mio avviso con più possibilità rispetto a quante non
ne abbiano avute Federer e Nadal nei loro anni
migliori.
Con l'ottavo Slam in bacheca Nole ha raggiunto
Andre Agassi, Ivan Lendl, Fred Perry e Jimmy
Connors nel conto degli Slam vinti in carriera e sono
soltanto 7 i tennisti che ne hanno vinti di più. Un
conto che molto probabilmente è destinato a
rimpinguarsi.
Difficile infatti immaginare il serbo senza almeno un
titolo al Roland Garros a fine carriera.
Djokovic sembra quindi destinato ad aggiungersi a
Laver, Emerson, Perry, Agassi, Nadal e Federer
nell'esclusiva lista di campioni in grado di
completare il Grande Slam nel corso degli anni.
Ma come detto la sfida, fattibile, è farlo nello stesso
anno.
Il dominio di Djokovic è a tratti eclatante ed è
soprattutto la sua continuità a fare la differenza.
Novak non ha avversari del suo livello su cemento, con
la nuova generazione che è ancora distante anni luce e
un Murray poco solido..
Novak sembra più competitivo su tutte le superfici
rispetto a quanto lo siano stati Nadal e Federer negli
anni scorsi. Sarà il favorito a New York, come a
Wimbledon e come anche al Roland Garros, dopo
aver vinto ovviamente da favorito a Melbourne.
Oltre alla forza di Djokovic bisogna infatti tener
conto degli avversari; Federer ha dovuto subire lo
strapotere Nadal su terra rossa, Rafa quello di
Federer sull'erba, prima che l'esplosione di Djokovic
ne incrinasse le sicurezze anche su cemento.
Novak non ha avversari del suo livello su cemento,
con la nuova generazione che è ancora distante anni
luce e un Murray poco solido, ne ha pochi a
Wimbledon, con un Federer prossimo al canto del
cigno, e ne ha in pratica solo uno al Roland Garros,
un Nadal in perenne sofferenza fisica.
Tutto ciò senza dimenticare che ad agosto si gioca
anche Cincinnati, l'unico Masters 1000 che manca
alla sua collezione.
Nel 2015 il discorso GOAT potrebbe quindi
clamorosamente riaprirsi, con Djokovic prepotente
candidato e anzi, perchè no a sorpresa chiudersi
dopo Flushing Meadows, in barba all'atavica
questione.
Record Slam : Djokovic può
ambire al trono?
by Roberto Marchesani
Novak Djokovic ha vinto in Australia il suo 8° trofeo del
Grande Slam.
Novak Djokovic ha vinto in Australia il suo 8° trofeo
del Grande Slam. La carta d’identità del serbo recita
22 maggio 1987, quindi quest’anno deve compiere 28
anni. Oggi Nole è sulla carta nettamente il più forte
in circolazione, specialmente sulla lunga distanza del
3 set su 5. Può il serbo sperare di ambire al record
dei 17 Slam di Roger Federer?
E’ una domanda forse inutile ma che può iniziare a
costituire un tema di dibattito.
Fino ad oggi si è sempre parlato più di Nadal come
possibile candidato a superare quota 17 ma mai del
serbo. Ci sono ovvi motivi, naturalmente.
In primis il semplice fatto che Nadal è sempre stato
molto più avanti come numero di Major al serbo.
Nadal ha 14 Slam.
Federer dista solamente 3 titoli.
Può essere poco come può essere tantissimo.
Lo spagnolo resta in assoluto colui che ha maggiori
possibilità, è di fatto quello più vicino. Ma
inevitabilmente un logorio fisico c’è stato, ed un calo
dopo il super 2013 è stato evidente. L’anno scorso la
strepitosa vittoria a Parigi l’ha poi pagata con altri 5
mesi di assenza, tra infortuni, fasi di scarico e via
dicendo e ancora adesso la condizione non è delle
migliori. Al Roland Garros sarà sempre il favorito se
la condizione lo sorregge, ma quanto durerà? Può
durare? Vincere 3 Slam è poco o tanto? Ecco allora
che spunta Novak Djokovic. Il n.1 del mondo con la
sua 5° vittoria a Melbourne ha raggiunto per la prima
volta una cifra lodevole di attenzione. A quota 8 ha
raggiunto mostri sacri come Rosewall, Agassi,
Connors e Lendl. Può anche partire una disperata
caccia al primo posto. E come in tutte le operazioni ci
sono motivi di buon auspicio e altri meno.
Pro : la forza del campione e la sua duttilità
Djokovic ha una continuità devastante. Negli Slam
arriva praticamente sempre in semifinale dal 2011 ad
oggi. Ha fallito solo agli Australian Open 2014 dove è
stato battuto da Stan Wawrinka nei quarti – solo 9-7
al quinto – che poi andrà a conquistare il titolo.
Per il resto solo semifinali come minimo risultato.
Questo vuol dire straordinaria capacità di essere al
top della forma in ogni momento dell’anno e su tutte
le superfici. Djokovic può vincere ovunque : agli
Australian Open ha vinto 4 delle ultime 5 edizioni ed
è in generale il suo miglior Slam (per me batterà il
record di Emerson, ne deve vincere altri 2). Il Roland
Garros è ancora una chimera ma anche in questo
torneo parte sempre con reali possibilità di vittoria
ed il problema in realtà è solo uno : si chiama Rafael
Nadal.
Tolto lui sarebbe strafavorito anche a Parigi. Il
torneo di Wimbledon è quello in teoria meno adatto
alle sue caratteristiche, ma è solo una teoria, perché
a conti fatti si nota che ha vinto 2 titoli, disputato
un’altra finale (persa contro un ottimo Murray) e
altre 2 semifinali.
L’erba non dovrebbe essere così speciale per il suo
gioco eppure si muove benissimo sui prati e in queste
condizioni di palle/attrezzi/campi il suo gioco è
estremamente redditizio. Quindi anche all’All
England Club parte sempre in prima fila. US Open :
in teoria (ma anche in questo caso è solo una teoria)
dovrebbe/potrebbe essere il suo Slam per campi
(cemento, adattissimo a lui) e per l’ambiente, che fa
al caso di Nole. Eppure ha vinto solamente una volta.
Stranissimo. Ci sono però anche altre 4 finali (tutte
perse) che rafforzano il pensiero : forse un Open
degli Stati Uniti è un po’ stretto come risultato. In
fondo a New York parte da favorito ogni volta dal
2011 ad oggi.
Pro : chi all’orizzonte?
Poi c’è il capitolo avversari. Nole può davvero
sbranare la concorrenza. Nadal e Federer non
possono essere quelli di una volta. Roger gioca
ancora divinamente ma sulla lunga distanza non può
che pagare dazio a 33 anni che diventeranno 34 il
prossimo agosto. Nadal è quasi un coetaneo di
Djokovic… ma solo sulla carta. Lo spagnolo è esploso
tennisticamente prima del serbo, a 18 anni già
recitava un ruolo da protagonista macinando
decisamente più chilometri.
Il suo stress fisico e mentale non è paragonabile a
quello di Djokovic. La differenza di un solo anno
sulla carta d’identità è molto più ampia.
Poi c’è Murray. Un grande ma non un fuoriclasse di
quel calibro e soprattutto non con quella tenuta.
A Melbourne ha dato il massimo eppure si è
squagliato nell’ultima ora del match. Wawrinka,
Cilic, Del Potro, Tsonga sono pericolosissimi ma
alterni e forse già in fase calante. I nuovi sono
Nishikori (bel talento) e Raonic. Con quest’ultimo
Djokovic va a nozze e il giapponese non si sa ancora
se è davvero in grado di promuovere il suo status, da
giocatore pericoloso a serio e costante contender.
Ferrer non ha le caratteristiche giuste, oltretutto ha
quasi 33 anni. Berdych gran giocatore ma Nole
sembra il perfetto prototipo per disinnescarlo. I
giovani latitano. Dimitrov è tutto da verificare, i
Coric e i Kyrgios sono buoni ma non sembrano di
quella pasta. Djokovic avrebbe tutto per fare incetta.
Contro : tenuta mentale
Nonostante sia uno dei tennisti più forti
mentalmente, in alcuni frangenti proprio la testa ha
tradito Novak Djokovic. I suoi sbalzi umorali sono
frequenti e nei momenti decisivi a larghi tratti gli son
costati molto.
US Open 2013, tanto per fare un esempio. Nel terzo
set è nettamente il giocatore migliore in campo,
tecnicamente superiore all’avversario.
Poi è bastato un grande Nadal a metterlo ko prima
che nel gioco proprio nella psiche.
Non puoi mollare cosi solo perché l’altro ha fatto un
numero pazzesco per riequlibrare le sorti di un
singolo set.
E’ comprensibile ma non accettabile, considerata
anche la superiorità tecnica mostrata fino ad allora.
Quello può rientrare nella serie degli Slam possibili e
non conquistati.
Il dubbio è proprio questo : in futuro riuscirà a
limarli o come possibile saranno più o meno
frequenti come sempre accaduto nelle stagioni
passate?
Contro : viaggiare a ritmi mai avuti
Descritta così sembra che Nole debba solo
continuare a fare quello che ha fatto in passato. O
che in passato abbia già fatto quello che si chiede o si
propone di fare in futuro al campione serbo. Ma non
è cosi. Negli ultimi 3 anni (2012, 2013 e 2014) la
situazione era più o meno identica.
Djokovic era sempre il miglior giocatore in
circolazione, Nadal e Federer ci sono stati ma solo a
sprazzi o grandi sprazzi. Murray ha sempre avuto alti
e bassi. Outsider sempre altalenanti. Eppure il serbo
ha vinto la “miseria” di 1 Slam all’anno.
Troppo poco per uno che è realmente definito da
tutti come il migliore sulla piazza. Uno Slam all’anno
per 3 anni vuol dire semplicemente 3 Slam in 12
tentativi.
Troppo poco. E questo nel periodo idealmente
migliore della sua carriera, dai 25 ai 27 anni. E’
comprensibile chi non crede ad un suo
miglioramento nella resa dai 28 ai 30 anni, età
storicamente critica per ogni campione della storia di
questo sport. Non è mai avvenuto che un giocatore
vincesse più Slam dai 28 in su di quanto non ne
abbia fatto dai 20 ai 28. Poi qualcuno potrà anche
dire “come ne ha persi molti per un filo, ne può
vincere tanti di un filo da ora in poi”. Tutto è
possibile.
Contro : il nuovo elemento
Se è vero che le aspettative non sono delle più rosee
nel panorama giovanile, è anche vero che il “nuovo
elemento” può sempre esplodere. Pensate a Cilic.
Qualcuno davvero pensava che poteva vincere uno
Slam in quel modo lì? Certamente non ci si inventa
campioni, ma era difficile poter pensare che un Cilic
standardizzato in una tale maniera per un
quadriennio potesse poi esplodere con tale
splendore. Stesso discorso può esser fatto per
Wawrinka, vincitore dello Slam a 28 anni, non
proprio giovanissimo. Anche se non confermate,
restano mine vaganti letali. Ciclicamente è sempre
successo che un nome nuovo sia spuntato fuori
anche nei periodi meno indicati, per certi versi
all’improvviso. Una situazione che potrebbe
benissimo verificarsi nel prossimo triennio, anche se
per me è poco probabile.
Contro : motivazioni
Djokovic è ancora da testare sotto questo punto di
vista. E’ un giocatore che da sempre ha fatto
dell’ambizione un suo personale cavallo di battaglia.
Conciliato con un talento innato gli ha permesso di
arrivare sulla cima. A detta sua, il tennis non è un
sacrificio perché ama il gioco, ama fare il tennista
professionista. Ma sarà lo stesso a 30/31 anni? Il
fisico di Djokovic è straordinario, non ha mai avuto
particolari infortuni dimostrando una tenuta totale
sui 12 mesi che da anni ormai è la migliore del
mondo. E’ integro, anche fresco.
Ma il suo tennis, come del resto un po’ quello di tutti
i tennisti odierni, non può fare a meno di quella
freschezza. Per tenere il passo bisogna conservare
un’applicazione mentale estrema.
Quando Nole arriverà ai 30 anni e magari perderà un
pizzico di brillantezza fisica sarà pronto a riadattare
il suo gioco?
oppure la testa non avrà più la forza di rigenerare
quelle motivazioni?
Con un figlio e una bacheca già stracolma di trofei
potrebbe anche dire basta.
E questo l’ha detto 3 anni fa. “Se vincessi quello che
ha vinto Borg potrei anche smettere”, scherzava?
Il tempo lo dirà.
Ferrer, cosa possiamo ancora
aspettarci?
by Marco Di Nardo
Un fantastico avvio di 2015 ha permesso a David Ferrer di
rialzare le proprie quotazioni
Un fantastico avvio di 2015 ha permesso a David
Ferrer di rialzare le proprie quotazioni, dopo un 2014
che aveva fatto pensare ad un declino definitivo.
I primi mesi della nuova stagione, hanno invece
messo in risalto le qualità e la longevità del giocatore
di Javea, capace a quasi 33 anni di essere ancora
competitivo ad altissimi livelli.
Avvio di stagione da record.
L'ultimo ad avere un rendimento così alto nei primi
mesi della stagione, prima di Ferrer, era stato Novak
Djokovic, che nel 2011 aveva vinto le prime 41 partite
giocate, e nel 2013 le prime 17.
David in questo momento ha un record stagionale di
18 vittorie ed una sola sconfitta, quella subita contro
Kei Nishikori negli ottavi di finale dell'Australian
Open.
Per il resto sono arrivati, come abbiamo detto, solo
vittorie, quelle che gli anno permesso di trionfare nei
tornei Atp di Doha (250), Rio de Janeiro (500) e
Acapulco (500).
Nessuno ha vinto quanto lui nel 2015, sia in termini
di partite, che di trofei. Le due vittorie di Rio e
Acapulco gli hanno inoltre permesso di eguagliare un
record che durava addirittura dal 1985, quando Ivan
Lendl riuscì a vincere in due settimane consecutive
due tornei su due superfici differenti.
Inoltre Ferrer è riuscito per la terza volta in carriera
a vincere due Atp 500 nella stessa stagione su
diverse superfici, impresa che non è riuscita ad alcun
altro giocatore nemmeno in una circostanza. David
aveva già vinto Acapulco e Valencia sia nel 2010 che
nel 2012, quando il torneo messicano si disputava
sulla terra rossa.
Ora cosa possiamo aspettarci?
Dopo una partenza di questo livello, sarebbe
impossibile non parlare delle possibilità future del
tennista spagnolo.
Guardando la Race to London, ovvero la classifica
che prende in considerazione solo i punti conquistati
nella stagione in corso, Ferrer è numero 4 (stando
all'aggiornamento del 9 marzo 2015), dietro a
Djokovic, Wawrinka e Murray, a meno di 1000 punti
dal serbo, che comanda la Race. Ora arrivano i
Masters 1000 sul cemento americano, dove in
passato 'Ferru' ha dimostrato di poter essere
competitivo, come nel 2013 quando a Miami arrivò al
match-point per conquistare il titolo contro Murray,
prima di arrendersi al tie-break decisivo.
Poi arriverà la stagione sulla terra rossa, il Roland
Garros e Wimbledon, prima del ritorno sul cemento
nordamericano nel mese di agosto, con i Masters
1000 di Canada e Cincinnati. Ed è proprio il torneo
che si disputa nell'Ohio la prima grande cambiale di
Ferrer, che lo scorso anno si fermò in finale.
Questo significa che per molti mesi Ferrer avrà la
possibilità di conquistare tanti punti, a partire da
Indian Wells dove nella scorsa annata non
partecipò.
Dove potrà arrivare David è davvero difficile da
prevedere, ma se una serie di circostanze lo
aiutassero, e se lo spagnolo dovesse continuare su
questa strada, vincendo tanto e perdendo poco,
sognare diventerebbe possibile.
Il numero 1 forse è davvero troppo per un giocatore
che si è sempre definito inferiore alla sua classifica,
ma se Djokovic dovesse steccare qualche torneo
come successe lo scorso anno in estate, anche questo
obiettivo potrebbe diventare più di un semplice
sogno, anche se in questo momento appare molto
lontano.
Avversari avvisati.
Fino a qualche mese fa, nessuno avrebbe scommesso
su Ferrer per un ritorno ad altissimi livelli, ma gli
attuali risultati non possono passare inosservati,
nemmeno per i migliori.
Quand'è che il talento diventa
un problema?
by Giovanni Larosa
Il tennis, si sa, è uno sport imprevedibile.
Il tennis, si sa, è uno sport imprevedibile. Tante sono
le componenti che agiscono nel determinare la
creazione di un campione.
Non basta, infatti, avere un ottimo bagaglio tecnico
per poter arrivare a vincere un titolo dello Slam,
conquistare la vetta del ranking ATP o, ancor di più,
entrare nel gotha di questo sport. A giocare un ruolo
chiave è anche e soprattutto l'aspetto psicologico.
La pressione può, infatti, diventare un peso difficile
da gestire ed è soltanto con una grossa solidità
mentale che si possono raggiungere risultati
importanti, che si può passare dall'essere un
predestinato al diventare un campione.
Tuttavia, sono pochi i tennisti capaci di gestire le
aspettative nel migliore dei modi e, anzi, capita
spesso di vedere giocatori estremamente talentuosi
finire divorati dalla pressione e dalle paure.
Perché essere privi di talento può essere frustrante,
ma essere pieni di talento e non riuscire a
concretizzare tutto ciò che per natura si ha può
diventare davvero mortificare.
Quand'è, quindi, che il talento diventa un problema?
La storia ci insegna che, nella maggior parte dei casi,
sono le donne ad avere i più grossi problemi di
gestione delle pressioni psicologiche, interne ed
esterne.
Tuttavia, anche il circuito ATP non è esente da casi
gravi di eterni incompiuti, giocatori dotati di un
talento sopra la media e incapaci di utilizzare
appieno ciò che il destino gli ha fornito in dote,
soggetti degni di analisi tali da scomodare i più
talentuosi terapisti.
Pensando al concetto di talento, il primo nome che
viene automaticamente associato a questa innata
qualità è quello di Roger Federer.
Nel mio caso, oltre all'elvetico (sul quale si potrebbe
scrivere di tutto e di più ma che, francamente, in
questo articolo non ha senso neanche esser
menzionato), il primo nome che balza alla mente è
quello di Richard Gasquet. Richard rappresenta
l'ideale protagonista di questo articolo.
L'Enfant prodige che non si è mai riuscito a
trasformare in un campione vero, cavallo di razza
incapace di dominare come dovrebbe, il transalpino
fa sicuramente parte della lista dei casi più complessi
all'interno del circuito ATP.
Capire il perché del suo “fallimento”, se così si può
definire la carriera di un ragazzo che ha vinto 11 titoli
del circuito maggiore e vanta un best ranking di
numero 7 al mondo, è cosa ardua. Anche perché
Gasquet è cresciuto circondato dalle luci della
ribalta, visto come la più granda speranza del tennis
francese, il futuro Noah, colui sul quale erano riposte
le attese di un'intera Nazione. L'Equipe lo sbatteva
sul proprio giornale a poco più di dieci anni e il
fenomeno mediatico che si era costruito intorno a lui
è paragonabile a quello che si sta avendo in questi
anni in Italia con Quinzi.
Richard era un predestinato. E, in effetti, i risultati di
inizio carriera lasciavano presagire un futuro ad
altissimi livelli.
Quel torneo di Montecarlo 2005 col successo su
Federer ha rappresentato il virtuale ingresso
nell'élite del tennis mondiale.
E in seguito?
L'incapacità di tenere testa alle attese non soltanto di
una nazione ma anche di un contesto nel quale
Gasquet era visto come il futuro del tennis. Un
potenziale crack finito vittima di scandali e periodi
decisamente bui (basti ripensare al famoso bacio alla
cocaina), che l'hanno visto piombare in uno stato di
sostanziale mediocrità, alternato a qualche sporadico
picco.
La sensazione è che, nel suo caso, i problemi più
grossi siano derivati dalla mancanza di una vera e
propria personalità in campo, dell'incapacità di
riuscire a gestire con la testa i momenti importanti di
una carriera. Perché fondamentalmente a Gasquet è
mancata la grinta, la tenacia, la fame di successo e
resta il rimpianto dell'”avrei potuto ma non ci son
riuscito”.
Discorso decisamente diverso, ma non per questo
meno complicato, quello di Ernests Gulbis.
Servirebbe anche in questo caso un trattato per
cercare di capire il perché un giocatore così
talentuoso e versatile, divertente da veder giocare e
con una personalità fuori da ogni tipo di schema,
non sia riuscito a sfondare. Entrare nei meandri della
psiche del lettone sarebbe, però, impresa
probabilmente molto ardua anche per lo stesso
Freud.
Genio e sregolatezza nella maniera più assoluta,
Gulbis ha, forse, peccato nell'aver condotto uno stile
di vita poco morigerato, nel non aver rispettato quel
rigido percorso che gli sportivi portano avanti
quotidianamente.
La voglia di agire al di fuori da ogni norma
preconfezionata lo ha portato a raccogliere ben poco
rispetto al suo talento e a farsi conoscere soprattutto
per le sue uscite extrasportive e i suoi commenti
senza filtro, in un percorso che ricorda vagamente
quello di Marat Safin (altro cavallo pazzo che,
comunque, riuscì a portare a casa due titoli dello
Slam). Proprio da un suo irriverente commento sul
livello del circuito maschile (“In top 100 ci sono
tennisti di cui non ho mai sentito parlare. Alcuni non
sanno neanche giocare a tennis”) è partita una sorta
di redenzione. Il vedere tennisti meno dotati di lui
dal punto di vista tecnico e della sensibilità è stato
motore trainante per una rinascita sportiva che lo ha
condotto tra i primi 20 del ranking. Il problema
resta, nel suo caso, nonostante i tanti progressi, una
vera assenza di dedizione alla causa e una capacità di
spegnere e accendere l'interruttore della mente con
una facilità disarmante.
Lo 0-5 con il quale ha aperto la stagione 2015
rappresenta, peraltro, un campanello d'allarme
piuttosto preoccupante.
E cosa dire, invece, di Alexandr Dolgopolov?
Tennista che se in giornata sa esprimere un gioco
meraviglioso, fatto di cambi di ritmo, drop-shots,
accelerazioni improvvise e variazioni a tutto spiano.
Il problema resta però sempre uno: la continuità.
Perché l'ucraino dal braccio fantastico e dal timing
eccezionale, ha fatto dell'incostanza una costante
della sua carriera, riuscendo a mancare svariate
opportunità. Il prodotto è di assoluta qualità ma,
anche in questo caso, vi è una vera e propria assenza
di motivazione tale da non riuscire a condurlo ai
livelli che merita. Perché due titoli ATP e un best
ranking di numero 13 al mondo per un giocatore così
dotato sono davvero nulla.
Chiudiamo la magica quadratura di questo cerchio in
terra italiana, spendendo due parole su quello che
ormai è diventato quasi un caso mediatico: Fabio
Fognini.
Sul numero uno azzurro si è detto e scritto ormai di
tutto e, in effetti, lo stesso Fabio ha dato spesso alla
stampa materiale succulento per poter trattare
diverse storie sul filo del gossip.
Speculazioni a parte, la situazione del ligure pare
davvero chiara.
Talento allo stato puro, gioco vario e completo,
Fognini non ha, dal punto di vista tecnico, un punto
debole.
La vera debolezza sta, semmai, nella sua psiche
contorta. Perché Fabio è semplicemente un ragazzo
da on/off.
Tecnica e psiche rappresentano due
facce della stessa medaglia e, come
tali, sono indispensabili
l'una all'altra.
Se l'interruttore è acceso può battere praticamente chiunque (basti
pensare al match con Murray in Coppa Davis o al recente successo
con Nadal a Rio) ma se, per caso, l'interruttore è spento può anche
perdere contro chiunque, rendendosi spesso protagonista di
situazioni poco piacevoli.
Perché sul fatto che il ligure, giunto lo scorso anno ad un passo
dalla top ten, possa raccogliere risultati prestigiosi nessuno osa
metter bocca. Vedere però un atteggiamento così deleterio e
autolesionista in campo, tale da inficiarne non solo la performance
stessa ma da renderlo quasi estraneo al match, è un approccio che,
purtroppo, a questo livello non può andare. Ed è un peccato
perché i margini per poter ambire a traguardi importanti ci sono
tutti. Ed è questo l'aspetto chiave su cui l'azzurro dovrà lavorare,
in quanto non si può pensare di attraversare periodi di buio lunghi
tre mesi nei quali non si riesce a vincere una partita.
La sfida di Fabio sta proprio nel riuscire ad accettare le proprie
debolezze e lavorarci su, con la calma e la consapevolezza che ci
vorrà del tempo per risolvere il problema ma che ci si potrà
riuscire.
Gasquet, Gulbis, Dolgopolov e Fognini. Quattro tennisti molto
diversi tra di loro ma tutti accomunati da un talento sopra le righe
e dall'incapacità di riuscire a sfruttarlo nella propria interezza. A
prescindere dalla tipologia di limite che ne ferma la crescita, sia
esso un blocco psicologico interiore, un'assenza di motivazione o
l'impossibilità di gestire le proprie emozioni, il percorso da
intraprendere resta lo stesso: lavorare su se stessi.
Kei Nishikori
by David Cox (traduzione by Katherina Savino)
Uno degli aspetti più affascinanti dello sport è la finestra
che ci offre sulla psiche umana.
Il tennis, con la sua natura intensa e combattiva non
ha uguali nella sua capacità di sezionare il carattere
di una persona nel corso di un evento. I giocatori ai
massimi livelli non solo hanno debolezze nella
tecnica di, ma anche nella personalità, punti deboli
nascosti in profondità che emergono solamente al
quinto set o sul 5-5 durante il tie-break. E per
raggiungere il top, spesso è necessario reinventarsi,
provare a rendere quel punto debole un po’ più
difficile da trovare.
Kei Nishikori capisce tutto per quel che riguarda il
reinventarsi. Mentre discutiamo il suo percorso per
diventare il primo tennista giapponese di sempre a
raggiungere una finale di un Grande Slam, spiega
che è stata una questione di cambiare il modo in cui
vedeva se stesso.
“Quando ero un junior giocavo e basta. Non pensavo
troppo, quindi potevo giocare un buon tennis con
chiunque. Una volta diventato professionista avevo
troppo rispetto per tutti, specialmente per i top
players. Era un grosso problema. Bisogna essere
veramente forti mentalmente contro di loro e la
prima volta che ho giocato contro Roger (Federer),
riuscivo a malapena a giocare perché lo rispettavo
troppo. Non cercavo neanche la vittoria, stavo solo
giocando contro il mio idolo.
Da 20enne introverso e timido, semplicemente felice
di essere nel circuito, Nishikori ha scoperto di
pavoneggiarsi un po’, a 25 anni e con l’ambizione di
emulare Li Na, la prima campionessa asiatica di un
doppio Grande Slam.
Il mio corpo si sta rinforzando
molto
Il linguaggio del corpo in campo ha un’importanza sorprendente,
specialmente contro Novak Djokovic e Rafael Nadal, giocatori che
si attaccano al più piccolo indizio di incertezza.
“Ora in campo cammina come dovrebbe”, dice Dante Bottini,
allenatore di Nishikori per molto tempo. “Sì sta dando un tono.
Tutto questo arriva con la sicurezza e con l’essere ai vertici.”
Arriva anche dallo stare relativamente senza infortuni,
un’esperienza rara per Nishikori, il cui fisico magro, quasi fragile
si è regolarmente piegato di fronte al rigore del circuito. Ai suoi
occhi è semplicemente questione di lavorare più duramente.
“E’ il tempo che ho passato in palestra, a recuperare, ad allenarmi,
tutte le piccole cose,” dice.
“Persino quando gioco nei tornei continuo a lavorare in palestra.
Forse questo aiuta. Ho comunque subito un altro paio di infortuni
che mi sono costati alcune partite importanti, ma agli US Open ho
giocato sette partite e in diverse sono arrivato al quinto set . Il mio
corpo si sta rinforzando molto.”
La visione leggermente più accorta di Bottini è che Nishikori sta
imparando a conoscere i limiti del suo corpo, quello che può
permettersi e quello che non può permettersi.
Nella sua testa non ha più paura di infortunarsi e quindi si sta
sforzando di più. Parte di ciò deriva dalle sagge parole di Michael
Chang, l’ex campione del Roland Garros che ha aggiunto un tocco
da maestro Zen a Nishikori.
“Adoro il suo modo di pensare,” dice con entusiasmo
Nishikori. “Quando ci parliamo provo ad entrare
nella sua mentalità. Sa come dovrei giocare.
Abbiamo un fisico molto simile. Ora sono un po’ più
aggressivo di prima, più solido dalla linea di fondo.
Sento che tutto quello che colpisco sarà un vincente,
dritto e rovescio. Prima di infortunarmi ero molto
contento del modo in cui stavo giocando sulla terra
rossa. E mi concentro meglio. Michael mi aiuta a
rimanere concentrato e a non essere troppo
frustrato.”
Come Chang, i polsi fini e i riflessi veloci l’aiutano
più di quanto non si pensi contro il gioco di molti
grandi campioni. Anche i suoi oppositori rispettano
la potenza letale che può generare.
“Mi è sempre piaciuto il suo rovescio perché lo
colpisce così facilmente e in maniera così liscia, ma il
dritto è sempre stata la sua arma,” dice Bottini.
“Questo era il colpo con cui ha sempre finito il punto
o ha provato a mettere l’avversario in difficoltà, sin
da quando ha iniziato. E quest’anno sta colpendo
davvero molto molto bene.”
Chang ha apportato alcuni aggiustamenti tecnici, in
particolar modo al servizio che è passato
dall’essere semplicemente un modo per iniziare il
punto, a una vera e propria arma; portare Nishikori
tra i top five è stata più una questione di aumentare
la fiducia in se stesso che di migliorare il suo gioco.
Bottini individua un paio di momenti nel 2014 in cui
ha veramente notato un improvviso cambiamento
nella mentalità di Nishikori, la sconfitta contro
Rafael Nadal al quarto turno degli Australian Open
(ovviamente era arrabbiato per aver perso ma
credeva assolutamente che avrebbe potuto batterlo.
Ci è andato molto molto vicino in tutti i set.) e la
semifinale a Miami in cui ha battuto Grigor
Dimitrov, David Ferrer e Roger Federer lungo la
strada.
Curiosamente né Bottini né Nishikori menzionano lo
US Open (dove ha battuto Milos Raonic, Stanislas
Wawrinka e Novak Djokovic per
raggiungere la finale).
Può essere stato un traguardo importantissimo ma
non ha sentito di aver giocato il suo miglior tennis,
neanche quando ha sconfitto Djokovic in cinque set.
“Faccio più caso alla sua mentalità e determinazione
nella partita che alla qualità del suo gioco,” Dice
Bottini.
Nishikori rivela che addirittura prima degli US Open,
aveva perso la paura che una volta sentiva quando
doveva affrontare le icone del tennis su palcoscenici
importanti. “Un volta avevo paura, sicuramente un
paio di anni fa e persino nel 2013, ma ora non più. Ci
sono da molto tempo, facendo molte cose meglio del
resto di altri tennisti. Ma le cose stanno cambiando.
Non devo più rispettarli così tanto.”
I Top8 momenti di Federer
a Dubai
by Roberto Marchesani
La storia di Federer a Dubai è particolarmente interessante vista
la stratosferica cifra di 7 titoli conquistati in 9 finali conseguite
su 12 partecipazioni totali.
La storia di Federer a Dubai è particolarmente
interessante vista la stratosferica cifra di 7 titoli
conquistati in 9 finali conseguite su 12 partecipazioni
totali.
Quando lo svizzero ha deciso di approdare negli
Emirati ha fallito l’accesso alla finale solo in 3
occasioni : nella prima visita, 2002, quando fu
bruciato all’esordio, nel 2008 quando un sorteggio
decisamente sfortunato lo ha messo di fronte Andy
Murray nel 1° turno della competizione e poi nel
2013 quando ha avuto 3 match point per rigiocarsi la
finale ma si è dovuto fermare in semi causa rimonta
di Tomas Berdych.
I top8 moments del 17 volte campione dello Slam nel
“500” che da ormai un decennio è considerato
piuttosto unanimemente come quello più prestigioso
(e ricco, conti alla mano) del circuito.
8. Lob tweener spalle alla rete (2014, round 1
contro Benjamin Becker)
E’ l’inizio della terza, quarta, quinta (!?) rinascita di
Roger?
La storia dice che Federer viene da un 2013 pessimo
con una schiena tormentata da mesi, risultati scarsi e
de profundis a 32 anni. Lo svizzero ha appena
disputato un buon Australian Open (semifinali,
battuto da Nadal) e dalla freschissima collaborazione
con Stefan Edberg, pare dunque esserci un buon
presupposto per ripartire. La nuova racchetta, ormai
definitivamente focalizzata, sembra dargli un
notevole vantaggio soprattutto dalla parte sinistra.
Dubai 2014 è il torneo che segna la rinascita e già nel
primo turno Roger fa mirabilie. Contro Benjamin
Becker, nel 6° game del secondo set, il fuoriclasse
elvetico si inventa un lob tweener (!) che disorienta il
povero Becker e procura poi il punto con una
semplice volee a campo aperto. Di tweener spalle alla
rete se ne erano visti tanti, anche di passanti, ma
addirittura un millimetrico lob… semplicemente
spettacoloso.
7. Altro strepitoso tweener… stavolta di
passante (2007, round 2 contro Daniele
Bracciali)
Balzo indietro di 7 anni e troviamo il Federer nel suo massimo
prime agonistico, dominatore assoluto del circuito, n.1 del mondo
incontrastato, che arriva a Dubai nel mese di febbraio 2007 in
striscia positiva da 36 incontri (tradotto, non perde un match
dall’estate dell’anno precedente). Nel 2° turno trova il nostro
Daniele Bracciali che fa una gran bella partita, cede il primo set
solo 7-5 e onorevolmente tiene il campo fino alla fine del match. Il
golden moment arriva sul 7-5 4-2 40-0 quando Federer si inventa
un altro momento di pura “erezione artistica”. Dopo un attacco in
slice di rovescio, Roger è costretto a correre all’indietro per un
perfetto lob di Daniele che lo ricaccia a fondocampo. Il punto non
può che essere finito, pensano in molti, nessuno può vincerlo in
quella posizione del campo e spalle alla rete. Federer con una
nonchalance imbarazzante da sotto le gambe spara un proiettile di
passante nei pressi della riga. Anche questo è talmente bello da
lustrarsi gli occhi ancora oggi.
6. Murray a lezione dal maestro (2012, finale)
Il 31enne Federer in finale contro il 25enne Murray. Sarà ormai
vecchio lo svizzero. Poi però c’è la finale che si può reperire su you
tube o in un semplice dvd. Per chi non ricordasse se la riguardi.
Lezione di tennis, con l’ovale 90 Federer pennella ancora che è
una bellezza e disarciona lo scozzese con delle fucilate di dritto
impressionanti (tali da ricordare vagamente il Federer 2004/05
che sulla vigoria fisica ha ancora qualcosa di sovrannaturale)
alternate alla solita grazia tecnica che comprende qualsiasi tipo di
soluzione.
Andy ci prova, è un buon Murray quello in campo a
Dubai ma non può che perdere 7-5 6-4. Il bello (o il
brutto) è che la delusione è niente in confronto a
quella che dovrà subire 4 mesi più tardi sul centrale
di Wimbledon.
5. Rimonta da 0-5 nel tie-break e successo su
Del Potro (2012, semifinale)
Nel turno precedente, in semifinale, Federer deve
superarsi per battere un gran Del Potro, dopo una
lotta punto a punto, 7-6 7-6 che poteva anche essere
ben diverso.
Il thriller si consuma nel secondo tie-break quando
Roger va sotto 5-0 e la prospettiva di giocare un terzo
set non è delle più rosee, anche in previsione della
finale del giorno dopo.
Federer vince 2 punti ma non il terzo, per cui il
punteggio recita 2-6 e ci sono 4 set point consecutivi
da annullare. Ma non si scompone, al servizio mette
due prime, una vincente e l’altra propedeutica al
dritto successivo, in campo. Un paio di scambi
lavorati e rimonta fino al 6-6. Il 13° punto è da fiato
sospeso : 28 colpi. Lo vince Federer. Match point e
altro scambio duro, vinto. Del Potro perde gli ultimi
6 punti del match. Piccola rivincita per l’Open degli
Stati Uniti? Non avrà mai quel peso specifico, è
evidente. Ma è un match di fondamentale
importanza per la rincorsa che porterà Roger di
nuovo sul trono del tennis mondiale l’8 luglio di
quell’anno.
4. Magic shot contro Agassi (semifinale,
2005)
Sono passati esattamente 10 anni da quel
memorabile punto, secondo me tra i più straordinari
colpi di Roger.
Era il 2005 quando in semifinale Federer e Agassi
dividono il campo, i due che pochi giorni prima
avevano fatto quel futuristico scambio sul campo da
tennis in cima al grattacielo dominante di Dubai
sulle acque degli Emirati. Tutto molto bello, ma quel
punto ancor di più. Ma non tanto il punto, forse
occorre specificare e sottolineare che la
straordinarietà dell’evento sta nel singolo colpo, più
che il punto. Federer sta dominando la partita, sopra
6-3 2-0 e fronteggia una palla break per ammazzare
la partita. E la ammazza.
Dopo un batti e ribatti con entrambi nei pressi della
rete, Agassi appoggia la palla in campo aperto con
Roger ancora piazzato in avanti. Anche questo
sembra punto fatto, per Agassi. Federer con un
movimento felino spizzica la palla e disegna un lob pe-r-f-e-t-t-o che cala beffardamente sulla riga del lato
di campo opposto. Agassi la prende malissimo, come
dargli torto. Colpo misterioso.
3. Serie di 20 punti consecutivi contro
Verdasco (2° turno, 2015)
Roba recente ma non meno straordinaria. Un super
Verdasco vola 4-1 nel primo set, in pista per fare
partita pari con il fenomeno. Poi anche in questo
caso, misteriosamente, il fenomeno non gli fa fare
più un punto vincendo i successivi 20 del parziale,
chiudendo con l’ace il 20° punto (a 0) del primo set.
Tra i 20 punti di fila vinti anche uno stepitoso in
recupero. Non male.
contro Novak Djokovic che recita di 2 palle-break
sfruttate su 2 conseguite e di 7 annullate su 7
concesse. Un 100% pieno e rotondissimo. Ma i veri
momenti da consegnare ai posteri sono i due
recuperi nel secondo set dal 3-4 15-40 e poi 4-5 1540 per salvare il game. Nel primo caso : 4 servizi
vincenti (di cui 2 ace). Nel secondo caso : volee da
fantascienza sulla riga, seguita da una prima
vincente e poi due ace consecutivi. Lo straordinario
che diventa ordinario?
1. Il match perfetto contro Nole (semifinale
2014)
Il match perfetto, tra i più belli del 2014, va in scena
in semifinale sempre tra Federer e Djokovic. Un
match breve ma di una qualità unica.
2. Cecchino contro il n.1 (finale 2015,
avversario Novak Djokovic)
Ancora materiale di qualche giorno fa.
Impressionante ruolino di marcia a 33 anni suonati
I due sono centratissimi e quando sono in queste
condizioni non può che uscirne un capolavoro.
Il primo set è un saggio straordinario delle qualità
del serbo, che domina il suo avversario nonostante
Roger ci sia.
Poi il maestro si inventa due set sensazionali dove
sembra quasi camminare sulle acque (esagerazione,
ma neanche tanto).
Il punteggio, 3-6 6-3 6-2, non da il giusto peso alla
qualità della partita. Da rivedere, ne vale la pena.
Il Tennis: sport globale e
gender-friendly
by Nicolò Inches
Il tennis rappresenta, forse, la principale cartina di tornasole
della liberalizzazione dei costumi nel mondo dello sport
Il tennis rappresenta, forse, la principale cartina di
tornasole della liberalizzazione dei costumi nel
mondo dello sport.
Anche (e soprattutto) sessuali. Non si può dire
certamente lo stesso con riferimento alle discipline
di squadra, in cui dominano cameratismo e tabù
sugli orientamenti diversi dall'eterosessualità: per
quanto nemmeno i tennisti, nel complesso, vengano
elevati al rango di intellettuali, la celebre boutade sui
“Froci” dell'allora attaccante della Nazionale italiana
di calcio Antonio Cassano non sarebbe mai uscita
dalla conferenza stampa di un qualsivoglia torneo
Atp.
Tennis e football sono infatti agli antipodi per quanto
riguarda la loro filosofia di base: il primo
rappresenta fin dal principio un agonismo in cui
dominano non solo eleganza e lealtà sportiva, ma
anche una marcata preminenza dell'individuo; nel
secondo, al contrario, è il fattore collettivo (lo
“spogliatoio”), nella maggior parte dei casi, a
determinare i destini di una squadra. Il tennis si
differenzia anche da altri sport individuali (vedi
l'atletica leggera), nei quali la presenza della
Federazione nazionale e il controllo dei gruppi
sportivi di riferimento – perlopiù facenti capo a corpi
ed organismi dello Stato – rappresentano una
variabile significativa per la vita degli atleti.
All'interno del nostro amato sport con racchetta, la
vicenda dell'ormai ex giocatrice Wta Na Li è
emblematica: la campionessa di Roland Garros e
Australian Open riuscì a imprimere una svolta alla
sua carriera solo dopo aver reciso i legami con una
federazione cinese “da regime”.
Un altro fattore rende il tennis un universo a parte: il
suo dinamismo globe-trotter. Dai Fab Four al n.800
delle classifiche, tutti i professionisti sono costretti a
girare il mondo per ottenere gloria e denaro (nella
peggiore delle ipotesi, tirare a campare). “È la
Globalizzazione, bellezza”: i giocatori si spostano 11
mesi all'anno da un angolo all'altro del pianeta, quasi
delle multinazionali di se stessi. Il risultato è il
prevalere del cosmopolitismo sul senso di
appartenenza comunitario, il quale riaffiora solo nel
corso di pochi fine settimana – precisamente al
momento delle convocazioni per Davis e Fed Cup.
Ci sono eccezioni di rilievo, in primis quella del
numero uno del mondo Novak Djokovic e il suo
sconfinato orgoglio serbo, oppure quella (più
discussa) del tunisino Jaiziri e dei ritiri contro
giocatori israeliani, sospettati di essere “manovrati”
da una Federazione anti-sionista; in generale, però, il
tennis è la disciplina che più si confà ad un certo
relativismo culturale.
Inevitabilmente, la sessualità è uno degli ambiti sui
cui ci sono state le maggiori ricadute dopo l'ondata
libertaria e individualistica che si è sviluppata tra il
XX e il XXI secolo. Ciò ha coinvolto anche il mondo
dello sport e il tennis in particolare, il quale può
vantare il più nutrito numero di campioni
protagonisti di coming-out o battaglie legate al
riconoscimento dei diritti civili per l'universo LGBT,
se si esclude il nuoto di Ian Thorpe e Tom Daley (nel
calcio, come nel rugby e nel football americano, le
“mosche bianche” si rivelano in maniera traumatica
e quasi sempre a carriera ormai finita). Il dato
straordinario è che si tratta di tre donne – a fronte di
0 casi accertati tra i maschietti - e che tutte hanno
raggiunto il numero uno del ranking mondiale nel
corso della loro carriera.
In principio fu l'americana Billie Jean King,
vincitrice di 12 titoli del Grande Slam a cavallo tra gli
anni '60 e '70, la quale fu indotta ad ammettere una
relazione omosessuale ed extra-coniugale con la sua
segretaria nell'ambito di una causa legale. Da allora
divenne un punto di riferimento per il mondo gay e
transgender, tanto da essere nominata
rappresentante USA alla cerimonia di apertura delle
ultime Olimpiadi invernali di Sochi: una scelta più
politica che sportiva, dettata dalla contrarietà
dell'opinione pubblica statunitense nei confronti
delle leggi liberticide e omofobe varate dalla Russia
di Vladimir Putin.
Martina Navratilova, altra leggenda da 18 major e
167 trofei di singolare in bacheca, fu invece la prima
sportiva donna a dichiarare apertamente la propria
omosessualità nel 1981, dopo aver assunto la
cittadinanza americana (natìa dell'allora filosovietica Cecoslovacchia).
Una svolta che le costò la fuga (momentanea) di tutti
gli sponsor, pur rendendola al tempo stesso una vera
icona di libertà.
A fine 2014 Martina si è sposata con la sua compagna
degli ultimi anni Julia Lemigova e attualmente è
coach della top10 polacca Agnieszka Radwanska. La
curiosità è che quest'ultima, cattolica praticante, fu
espulsa dal movimento “Crociata dei Giovani” nel
2013 per aver posato nuda sul magazine ESPN “Body
Issue”. Chissà cosa devono aver pensato i suoi
correligionari, alla notizia del sodalizio con una
paladina gay come Martina Navratilova...
Anche nel pur liberal tennis, insomma, c'è ancora
molto da rivedere sul tema della tolleranza e dei
pregiudizi.
La più “precoce” nel coming-out è stata però una
giocatrice del Vecchio Continente, precisamente
dalla Francia che ha legalizzato le nozze omosessuali
nel 2013.
Si tratta della “Maga” Amélie Mauresmo, che non
ancora 20enne svelò al grande pubblico di essere
lesbica: “Non ho nulla da recriminare sul mio
coming-out, anche se forse avrei dovuto farlo in
maniera meno brutale”, avrebbe poi dichiarato
Amélie al quotidiano L'Equipe anni dopo.
Il contesto nel quale venne rilasciata la
“confessione”, infatti, non fu dei più rosei: la
Mauresmo conquistò la finale degli Australian Open
1999, battendo la n.1 del momento Lindsay
Davenport e fermata solo da un'altra campionessa di
precocità come Martina Hingis, che fomentò una
mezza rissa verbale con l'attuale coach di Andy
Murray definendola “Mezzo uomo”.
Anche nel pur liberal tennis, insomma, c'è ancora
molto da rivedere sul tema della tolleranza e dei
pregiudizi.
Lo sa bene il capitano della squadra di Coppa Davis
spagnola Gala Leon, ex n.27 Wta, la cui nomina (al
posto dell'ex campione di Parigi e Roma Carlos
Moya) ha suscitato un vespaio di polemiche di
stampo sessista nel clan iberico, per non parlare
dell'“editto” pronunciato da Toni Nadal: “Non mi
sembra appropriato che ci sia una donna negli
spogliatoi”.
Quando ci si sposta sul piano collettivo, si sa, gli
approcci gender-friendly faticano ad attecchire...
Le statistiche del World
Group di Coppa Davis
by Marco Di Nardo
Le statistiche rappresentano uno dei metodi attraverso cui si
cerca di capire quali siano stati i migliori tennisti di sempre
Quanto sia importante nel tennis stilare delle
graduatorie statistiche per tracciare un quadro
generale delle diverse competizioni, è ormai
riconosciuto da tutti i giornalisti e gli addetti ai
lavori.
Le statistiche rappresentano infatti uno dei metodi
attraverso cui si cerca di capire quali siano stati i
migliori tennisti di sempre, e anche quali siano i
favoriti alla vigilia di un torneo importante come può
essere uno Slam o un Masters 1000.
Anche quando si parla di Davis Cup, è impossibile
non ricordare record importanti, come le 120 partite
vinte da Nicola Pietrangeli tra singolare e doppio,
ancora oggi un un primato imbattuto e nemmeno
avvicinato dagli attuali top players.
Tuttavia nella più importante competizione di tennis
a squadre, non ci si è mai preoccupati di fare delle
differenze tra le diverse categorie che compongono la
stessa competizione. Siamo infatti tutti a conoscenza
del fatto che dal 1981 la Davis ha subito un
importantissimo cambiamento, con l'introduzione
del World Group e delle altre divisioni che fanno
parte di questa competizione. Può essere quindi
interessante stilare delle graduatorie statistiche che
prendano in considerazione solo i risultati ottenuti
nel World Group (play-offs inclusi), dove il livello di
tennis è chiaramente molto più alto rispetto ai vari
Group I, II, III o IV. Questo permette di avere dei
dati che non sono influenzati dai diversi livelli a cui
si gioca
I tennisti che hanno giocato almeno 20 incontri di
singolare nel WG della Davis Cup, sono in totale 88
la stessa competizione, potendo quindi disporre di
statistiche più "realistiche". Questo ovviamente non
serve a sminuire le 120 partite vinte da Pietrangeli,
quando ancora non era stato introdotto il format
moderno. L'obiettivo è semplicemente quello di
avere dei dati sulla Coppa Davis dal 1981 a oggi,
prendendo in considerazione solo le partite giocate
nel gruppo più importante che fa parte di questa
competizione, ovvero il World Group.
Giocatori con almeno 20 partite giocate in
singolare nel World Group.
I tennisti che hanno giocato almeno 20 incontri di
singolare nel WG della Davis Cup, sono in totale 88.
Sarebbe inutile elencarne tutti i nomi, ma è
importante sapere che sono proprio questi 88
giocatori quelli che abbiamo preso in considerazione
per stilare le graduatorie che andremo a mostrare in
seguito.
Abbiamo infatti deciso di limitarci solo agli incontri
di singolare.
Partite giocate.
Per quanto riguarda il numero di partite giocate in
singolare nel WG, abbiamo preso in considerazione
sia quelle giocate sulla distanza dei 3 set su 5, che
quelle disputate sulla corta distanza (2 set su 3),
ovvero quelle che vengono giocate a punteggio
acquisito (quando una delle due squadre ha già
portato a casa la vittoria finale). A primeggiare in
questa classifica è Mats Wilander, con 52 incontri
disputati.
1. Mats Wilander 52
2. Stefan Edberg 50
3. Evgeny Kafelnikov 47
4. Lleyton Hewitt 46
5. Roger Federer 45
5. Andy Roddick 45
Partite vinte.
Anche per quanto riguarda il numero di vittorie in singolare nel
WG, vengono considerati sia i match 3 set su 5 che quelli 2 su 3. Il
più vincente in assoluto è Boris Becker.
1. Boris Becker 38
2. Roger Federer 37
3. Mats Wilander 36
4. Stefan Edberg 35
5. Lleyton Hewitt 33
5. Andy Roddick 33
% vittoria.
Passiamo quindi alla percentuale di successo sul totale delle
partite disputate. In questo caso è Rafael Nadal il migliore, con un
impressionante 95.45% di partite vinte, frutto di 21 vittorie e una
sola sconfitta.
1. Rafael Nadal 95.45% (21-1)
2. Boris Becker 92.68% (38-3)
3. Thomas Muster 86.36 (19-3)
4. John McEnroe 85.29% (29-5)
5. David Ferrer 85.18% (23-4)
Vittorie consecutive.
Per quanto riguarda le serie più lunghe di vittorie, sono Boris
Becker (22), e Rafa Nadal (21), ad aver messo a segno le strisce più
importanti. Lo spagnolo ha però ancora la possibilità di allungare
la sua serie, che è ancora aperta.
1. Boris Becker 22
2. Rafael Nadal 21 (serie aperta)
Vittorie in 5 set.
Sono Jonas Bjorkman e Tomas Berdych ad aver
vinto il maggior numero di partite in 5 set nel World
Group della Coppa Davis.
1. Jonas Bjorkman 7
1. Tomas Berdcyh 7
3. Boris Becker 6
4. Sebastien Grosjean 5
4. Ramesh Krishnan 5 4. Jim Courier 5
4. Evgeny Kafelnikov 5
4. Gustavo Kuerten 5
4. Dominik Hrbaty 5
4. Lleyton Hewitt 5
% vittorie in 5 set.
La prossima classifica riguarda la percentuale di
vittorie ottenute al quinto parziale. Vengono presi in
considerazione solo i giocatori che sono approdati al
set decisivo almeno in cinque occasioni.
1. Jonas Bjorkman 100% (7-0)
2. Boris Becker 100% (6-0)
3. Sebastien Grosjean 83.33% (5-1)
3. Ramesh Krishnan 83.33% (5-1)
5. Stefan Edberg 80% (4-1)
5. Mikhail Youzhny 80% (4-1)
Maggior numero di rimonte da 0-2 nel
conteggio dei set.
E' Andrei Chesnokov il giocatore ad aver rimontato
più volte uno svantaggio di 2 set a 0 in singolare nel
WG.
1. Andrei Chesnokov 3
2. Boris Becker 2
2. Tomas Berdych 2
2. Viktor Troicki 2
2. Sebastien Grosjean 2
2. Karol Kucera 2
2. Andrei Pavel 2
2. Gustavo Kuerten 2
2. Patrick Rafter 2
% rimonte da 0-2.
Nella prossima graduatoria si prendono in esame
tutte le volte in cui determinati tennisti si sono
trovati indietro per 2 set a 0, mettendo in evidenza
quelli che sono riusciti in più occasioni (a livello
percentuale) a rimontare e quindi vincere l'incontro.
Incredibile il dato relativo a Boris Becker, che si è
trovato solo due volte indietro per 2-0, ed in
entrambe le circostanze ha ottenuto la vittoria finale.
Nelle tre partite perse in carriera nel WG, infatti, il
tedesco ha sempre vinto uno dei primi due set.
Rientrano nella graduatoria solo i giocatori che
hanno messo a segno almeno due rimonte.
1. Boris Becker 100% (2-0)
2. Andrei Chesnokov 60% (3-2)
3. Viktor Troicki 50% (2-2)
3. Patrick Rafter 50% (2-2)
5. Carl-Uwe Steeb 40% (2-3)
Maggior numero di games vinti in più del
rivale in un match perso.
Appartiene ad Andy Roddick il record di games vinti
in più rispetto al rivale nonostante la sconfitta nel
match stesso. Lo statunitense, nell'incontro perso in
semifinale nel 2008 contro David Ferrer, vinse in
totale ben quattro games in più dello spagnolo.
1. Andy Roddick 4 (D. Ferrer-A. Roddick
7-6 2-6 1-6 6-4 8-6, games 24-28)
Quando lo sport divide
by Federico Mariani
Lo sport è una delle più alte e pure manifestazioni
dell’animo umano.
Lo sport è una delle più alte e pure manifestazioni
dell’animo umano. Lo sport nel corso della storia,
molto prima della politica, è stato in grado di
abbattere barriere razziali e culturali, è stato in grado
di unire dove c’era separazione, di amare dove c’era
odio, di portare pace dove c’era guerra. Lo sport ha
portato spesso una pacata ribellione.
Non sempre, tuttavia, lo sport riesce a sconfiggere la
diversità, l’ignoranza, l’intolleranza. A volte, anche lo
sport aiuta la divisione. E’ questo il caso di Malek
Jaziri, tennista tunisino abbondantemente tra i primi
100 giocatori del mondo, e del suo reiterato rifiuto a
scendere in campo contro giocatori israeliani. Il fatto
risale al torneo 250 di Montpellier dove Jaziri,
impegnato nel primo turno contro Istomin, si ritira
alla fine del primo set ufficialmente per un fastidio
all’avanbraccio, set peraltro vinto agevolmente dal
tunisino per 6-3. Tuttavia, è piuttosto facile
comprendere chi e cosa ha spinto Jaziri al forfait. In
caso di vittoria, infatti, il tennista di Biserta avrebbe
dovuto fronteggiare al secondo turno Dudi Sela,
giocatore israeliano. Uno scontro, anche se sportivo,
non contemplato dalla federazione tunisina.
La Tunisia, infatti, sposa ed è solidale alla causa
palestinese e perciò non riconosce lo stato d’Israele
in tutte le sue forme, manifestazioni sportive
naturalmente incluse.
Non è la prima volta che Jaziri finisce nell’occhio del
ciclone per episodi analoghi. Nel 2013, infatti,
durante il challenger di Tashkent in Uzbekistan
Jaziri decise di non scendere in campo contro Amir
Weintraub, altro tennista ovviamente israeliano. In
quel frangente si scoprì che furono sia la FFT
(federazione tunisina) che addirittura il ministro
dello sport tunisino a fare pressioni più o meno
esplicite per cancellare, di fatto, l’incontro.
Nella circostanza, l’ITF aprì un fascicolo che portò ad
una squalifica di un anno per la Tunisia da Fed Cup e
Coppa Davis.
Il nuovo caso di Montpellier non è chiaramente
passato inosservato, come era inevitabile del resto,
ma in quest’occasione Jaziri e la Tunisia sono riusciti
a salvarsi da squalifiche e multe in quanto il
giocatore è riuscito a dimostrare in qualche modo
l’esistenza del presunto infortunio, anche se la
settimana successiva Jaziri si è regolarmente
presentato al torneo di Memphis.
L’episodio di Montpellier ha sollevato polemiche
provocando piogge di critiche nei confronti di Jaziri.
C’è chi pretende squalifiche, chi addirittura chiede la
radiazione del giocatore.
A Montpellier lo scorso mese lo sport, anziché unire, ha
diviso. A Montpellier lo scorso mese lo sport ha perso.
Ma è davvero giusto scagliarsi contro il giocatore?
L’ipotesi che dietro i forfait di Jaziri ci sia la volontà
della politica interna di un paese intero è
decisamente verosimile. Ed è difficile, se non
impossibile, giudicare negativamente la condotta del
giocatore in un contesto simile. Anzi, è forse
intellettualmente onesto cercare di giustificare e
comprendere Malek che, per colpe non sue, ha
rinunciato per la seconda volta ad una vittoria che
avrebbe portato guadagni in termini sia economici
che di ranking. In realtà delicate come quelle
osservate in questo caso, spesso e volentieri viene
meno il libero arbitrio, anche se si è uno sportivo
riconosciuto ed affermato come Jaziri che, in patria,
è considerato alla stregua di un eroe nazionale.
Il tennis, così come tantissime altre discipline, è
stato in grado in passato di trasmettere unione e
pace spezzando le barriere culturali e razziali.
Molti sono gli esempi positivi, dallo scambio di
maglia a fine match tra il serbo Djokovic ed il croato
Ljubicic, all’intera carriera dell’Indo-Pak Express, la
coppia di doppio formata da Bopanna (indiano) e
Qureshi (pakistano).
Per quanto riguarda, invece, la questione TunisiaIsraele ancora non è stato così, ancora Jaziri deve
sperare di non trovarsi un tennista israeliano vicino a
lui in tabellone perché in questo caso il torneo per lui
sarebbe finito prima di iniziare. E’ un’ingiustizia
tremenda che va fermata. Lo sport può e deve
superare la politica. Lo sport, a differenza della
politica, è puro e giusto e tutti devono poter avere le
stesse possibilità di battersi, perché per un tennista
battersi vuol dire lavorare e nessuno può avere il
diritto di impedire ciò.
Il Carneade Italiano
by Giorgio Giannaccini
Le gesta compiute nella settimana di San Paolo rimarranno
sicuramente a lungo nella memoria di Luca Vanni
Le gesta compiute nella settimana di San Paolo
rimarranno sicuramente a lungo nella memoria di
Luca Vanni, ragazzotto aretino, non più
giovanissimo, che ci ha stupito alla soglia dei
trent'anni. Sebbene sia mancata la ciliegina sulla
torte – difatti la finale del torneo è andata a Cuevas
al tie break del terzo set - nonostante il toscano
avesse servito sul 5-4 per il match – Vanni ha fatto
comunque qualcosa di pazzesco, inesprimibile nel
suo piccolo.
Questo ragazzone di un metro e novantotto
centimetri, prima del torneo di San Paolo non aveva
mai vinto un match a livello ATP, ma anzi vantava
solo vittorie nel circuito dei Futures e una finale –
peraltro ottenuta lo scorso anno - a livello di
Challenger, e nulla lasciava presagire che potesse
essere in qualche modo protagonista nel suddetto
torneo. Vanni, che non è mai stato fortunato
sportivamente parlando, visto che a nemmeno
vent'anni, durante il primo anno da pro, si spaccò
entrambe le ginocchia, la fortuna se l'è costruita da
solo e ha fatto – ripeto - qualcosa di impensabile. È
incredibile pensare che un anno fa esatto egli non
fosse nemmeno fra i primi 800 giocatori al mondo.
Tutto quello che è successo questa settimana è
incredibile. Basti pensare alla semifinale contro
l'idolo di casa Souza: il pubblico prima dà prova di
inciviltà tennistica con schiamazzi ininterrotti
durante il game di servizio che vedeva l'aretino
servire per il match, poi esulta ad ogni errore
gratuito dell'avversario, a mo' calcistico, come se
avesse appena segnato il Brasile dentro al Maracanà.
Souza, dal canto suo, mostra la propria indole da
perdente: non tanto nella conduzione del match,
anche giusta, che lo vedeva caricarsi e prendere
fiducia anche grazie al pubblico, ma nell'esultare
platealmente, scorrettamente e in faccia all'italiano,
non appena esso sbagliava un colpo o faceva un
doppio fallo, preso dai propri psicodrammi
tennistici. Ricorrere a queste becere strategie
psicologiche, con tanto di pugnetto mostrato sotto il
naso all'avversario, è sinonimo di non grande qualità
tennistica, e alla fine il match l'ha dimostrato,
vedendo come vincitore non lui ma il nostro Vanni.
Il toscano è stato superbo, sembrava spacciato:
prima annullava tre palle break sull'1-1 del terzo set,
poi ne annullava una quarta sul 2-2 e poi al settimo
game ecco cedere il break come sembrava ormai
ovvio. Nel momento dove sembrava lampante il
tracollo definitivo di Vanni, ha pensato bene di
smentirci: sul 4-3 40-15 ecco il ribaltone di Luca, che
prima va in parità e poi controbrekka lo
La vittoria di Vanni può e deve
rappresentare molto: deve farci capire
come un ragazzo solo con la testardaggine
sia riuscito a realizzare un sogno
credendoci
scorretto brasiliana e impatta sul 4-4. Vola senza difficoltà sul 5-4,
e l'ormai stordito Souza, dopo aver mancato una chance per il 5
pari, cede il game, set e match. Il pubblico è attonito, forse lo è
anche Luca, noi a casa più di loro.
La vittoria di Vanni può e deve rappresentare molto: deve farci
capire come un ragazzo solo con la testardaggine sia riuscito a
realizzare un sogno credendoci nonostante dieci anni di calvario,
che non è mai finita fino alla stretta di mano, che se il pubblico ti
fischia, fregatene, sarà più bello farli rimanere di sasso non
appena avrai battuto il loro bamboccio.
E cosa più importante, come sia possibile la sportività anche in
un'epoca come quella attuale: d'altri tempi sono stati i suoi
complimenti sinceri, durante i match, per un bel punto
dell'avversario; da signore sono stati i complimenti a fine match
verso Souza – che forse meritava solo uno dei più malvagi
turpiloqui mai pensati – e verso il pubblico – scorretto, di parte,
antisportivo. L'entusiasmo di Vanni e quel suo accento toscano
devono rimanerci bene in mente: come si possono scordare durante la cerimonia di premiazione della finale - parole così
commoventi, così cariche di entusiasmo puerile, solo per una
partita di tennis, tra l'altro persa?
E dirò anche questo: il signor Luca Vanni mi ha sinceramente
commosso nell'arco di questa settimana.
Non mi ha commosso tanto il suo modo di giocare: reputo che tiri
ben pochi vincenti col dritto e col rovescio rispetto alla stazza fisica
che possiede - dovrebbe anzi essere avvantaggiato da questo punto
di vista! -, fin troppo scolastico e poco naturale mi pare il suo back
di rovescio, in più sfrutta poco la sua apertura
Mi ha commosso quella sua determinazione, il coraggio
sfrontato, l'estrema correttezza
alare a rete, troppo attendista e troppo fondista
sembra il suo gioco, giusto la battuta – anche grazie
ai suoi quasi due metri – è un colpo ineccepibile.
Piuttosto mi ha commosso quella sua
determinazione, il coraggio sfrontato, l'estrema
correttezza di questo ragazzo qualunque, di questo
carneade del tennis italiano. C'è chi vince gli Slam,
chi Roma, chi San Paolo, e chi non vince nulla come
il nostro Vanni, ma questo non significa non aver
fatto qualcosa di grande. Puoi anche non vincere a
trent'anni suonati, come fece invece James J.
Braddock nei pesi massimi - tanto da essere
soprannominato “Cinderella Man”- ma rimane
comunque una piccola impresa, una piccola grande
impresa di un ragazzo qualsiasi. E sebbene il buon
Luca non diventerà mai un Sampras, a noi va bene
così.
Grazie di tutto.