I Pilastri dell`Islam

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I Pilastri dell`Islam
I Pilastri
dell'Islam
A cura di AbdulJalil Randellini
In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.
L'eredità religiosa di Muhammad
I principi dell'Islam
Insegnamenti morali
Gli articoli di fede
I cinque pilastri
Il primo pilastro, la Testimonia di fede
La preghiera
1.
Il secondo pilastro la Preghiera
2.
La chiamata
3.
Le condizioni
4.
L'abluzione
5.
Le modalità d'esecuzione della preghiera
6.
Circostanze eccezionali
7.
Le preghiere superogatorie o volontarie
8.
Le preghiere congregazionali o di gruppo
9.
La preghiera di venerdì
10.
La preghiera della due festività Eid
11.
Le preghiera notturne di Ramadan
12.
La preghiera funebre
13.
Il "Ricordo di Dio", la suplica
Il Digiuno
1.
Il terzo pilastro
2.
Il calendario Islamico e il mese di Ramadan
3.
Le regole del Digiuno
4.
Esenzioni dal Digiuno
5.
Le preghiere serali Tarawih
6.
La notte del Destino
7.
La battaglia di Badr
8.
L'imposta Zakàt-ul-Fitr
9.
La festività Eid-ul-Fitr
L'Imposta Coranica
1.
Il quarto pilastro
2.
L'aplicazione
3.
I beneficiari dell'Imposta coranica
4.
La carità
5.
Tasse statali
Il Pellegrinaggio
1.
Quinto Pilastro dell'Islam
2.
La Mecca e la Ka'aba
3.
Il Pellegrinaggio, Hajj
4.
Il Pellegrinaggio minore, 'Umrah
5.
I riti del Pellegrinaggio
6.
Lo stato di sacralizzazione, Ihram
7.
La circoambulazione, Tawaf
8.
La processione fra as-Safa e al-Marwa, Sa'ai
9.
'Arafat e Muzdalifah
10.
Mina
11.
La Festa del Sacrificio, Eid-ul-Adha
L'eredità religiosa di Muhammad
L’Islam conserva l’impronta impressagli dal Corano, dalla personalità di Muhammad e
dai caratteri propri della cultura araba antica. Influssi estranei non hanno alterato tale
peculia-rità, espressasi in uno stile inconfondibile, che costituisce l’originalità dell’Islam
nei riguardi della religione, e in generale per la civiltà derivata.
Il retaggio che egli lasciò è composito. Vi è quello relativo alla sua persona, vista
attraverso gli occhi dei suoi compagni più stretti, la cui testimonianza, trasmessa
soprattutto per via orale, ha assunto il suo aspetto definitivo solo molto tempo dopo. A
quell’epoca si presentava sicuramente già ampliata di aggiunte, ma fin dai primi tempi
coloro che avevano conosciuto e seguito Muhammad cercarono di modellare su di lui il
proprio comportamento, sviluppando un tipo di personalità che si ispirasse alla sua.
Fin agli inizi della sua vita, fu un uomo onesto in cerca della verità, e successivamente un
uomo sconcertato dalla sensazione che una grande responsabilità cadesse su di lui,
ansioso di trasmettere ciò che gli era stato rivelato, sempre più fiducioso nella propria
missione e consapevole della propria autorità man mano che attorno a lui si radunavano
seguaci. Egli fu così un arbitro preoccupato di stabilire la pace e dirimere le controversie
alla luce di principi di giustizia che per i credenti erano di origine divina, un uomo che,
pur non rinnegando i modi abituali dell’agire umano, si sforzava di porre ad essi i limiti
imposti dal volere di Dio.
Anche l’immagine e la forma della comunità che egli aveva fondato fu gradualmente
elaborata di generazione in generazione. La comunità islamica venera e serba
devotamente la memoria del Profeta, cercando di seguirne il cammino e gli insegnamenti,
impegnandosi sulla via dell’Islam al servizio di Dio. La cementano l’osservanza dei
precetti fondamentali che hanno tutti un aspetto comunitario: i musulmani digiunano
durante lo stesso mese, effettuano il pellegrinaggio nello stesso periodo dell’anno e si
uniscono nella preghiera cinque volte al giorno, attività quest’ultima che li distingue nel
modo più assoluto rispetto al resto del mondo.
Su tutto si erge l’eredità del Corano, un libro che delinea in arabo, una lingua dotata di
singolare forza e bellezza, la presenza costante di un Dio trascendente, creatore
dell’universo, fonte di ogni potenza e di ogni bene. Tratteggia la rivelazione del Suo
volere attraverso la serie dei profeti inviati ad ammonire gli uomini per ricondurli
all’autentica essenza di creature grate ed obbedienti al loro creatore e sostentatore.
Ricorda agli uomini il giudizio alla fine dei tempi e le ricompense e le sanzioni che ne
seguiranno.
Per l’Islam il Corano è la parola autentica di Dio, rivelata a Muhammad tramite l’angelo
Gabriele a diverse riprese e nei modi appropriati alle esigenze della comunità. Molti nonmusulmani non condividono in toto questa convinzione e sostengono che Muhammad
abbia ricevuto un’ispirazione divina, che però sarebbe stata da lui mediata ed espressa
con parole sue.
Esiste però pieno accordo su quando e come esso abbia assunto la sua forma definitiva. A
diverse riprese, non appena le riceveva, Muhammad trasmetteva le rivelazioni ai suoi
seguaci, i quali le trascrivevano e le serbavano nella propria memoria. Si è pure
d’accordo sul fatto che il processo di raccolta delle rivelazioni, di fissazione di un testo
unico e della sua redazione definitiva fu concluso solo dopo la morte di Muhammad. Ciò
avvenne all’epoca del suo terzo successore a capo della comunità, il califfo ‘Uthman
(644-656), anche se qualcuno ha prospettato date più tarde, ed ha insinuato l’introduzione
nel testo di elementi estranei alla trasmissione del Profeta.
Una questione più importante è quella dell’originalità del Corano. Degli studiosi lo hanno
collocato nel contesto delle idee diffuse in quel tempo e luogo. È certo che in esso vi si
riscontrano gli echi degli insegnamenti delle religioni precedenti: il monoteismo ebraico
nella sua dottrina; riflessi di pietà monastica nelle meditazioni sul giorno del giudizio e
nella descrizione del Paradiso e dell’Inferno; episodi biblici in forme diverse da quanto
riportato dall’Antico e dal Nuovo Testamento; echi di un susseguirsi di rivelazioni e di
profeti inviati a popoli diversi. Non mancano anche le tracce della tradizione araba
preislamica: i principi morali che detta continuano per certi aspetti quelli prevalenti in
Arabia, mentre per altri studiosi vi è una rottura netta.
Per l’Islam, Muhammad è giunto al termine di una successione di profeti che predicarono
tutti la medesima verità: se idee o racconti assumono nel Corano una forma diversa, è
perché i seguaci dei profeti precedenti distorsero il loro messaggio. Gli studiosi non
musulmani che sostengono che il Corano contenga elementi presi a prestito da ciò che
era già disponibile a Muhammad in quel tempo e in quel luogo, non si rendono però
conto della sua innegabile forza e originalità: le tradizioni della cultura religiosa del
tempo subirono una risistemazione ed una trasformazione tale da ricreare ex novo il
rapporto uomo-Creatore, il mondo familiare e la società.
I principi dell'Islam
Secondo il punto di vista islamico, l’intero universo e il genere umano si presentano
completamente sottoposti alle leggi stabilite da Dio che ne presiede l’esistenza, secondo
la Sua volontà. La consapevolezza che “non esiste altra divinità all’infuori di Dio” è la
riconferma del monoteismo, antico quanto il mondo.
L’Islam è sceso per ribadire questo concetto:
“…Oggi ho reso perfetta la vostra religione, ho completato per voi la Mia Grazia e Mi è
piaciuto darvi per religione l’Islam…” (Corano, 5:3).
Oltre che una religione, è una comunità di credenti, sottomessi e obbedienti alle regole
divine:
“Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini, raccomandate le
buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Dio”. (Corano, 3:110).
Per l’Islam, la natura umana è composta da una parte spirituale e da una materiale,
inscindibili e intimamente correlate tra loro. Il comportamento dell’individuo è il risultato
del suo patrimonio spirituale, tradotto e sviluppato nella pratica. A differenza di tutto il
resto del creato, col possesso dell’intelligenza e del libero arbitrio, può però scegliere e
decidere in piena autonomia il proprio operato. Con la libertà di scelta, l’uomo opta se
sottomettersi a Dio e alla Sua religione o se trasgredire.
Il Profeta ha insegnato che “Nessuno può essere padrone dell’uomo, se non Dio”. Il
sopruso e l’ingiustizia, altro non sono che il risultato della trasgressione ai comandamenti
divini.
Con la testimonianza che “Non c’è non c’è altra divinità all’infuori di Dio e Muhammad
è il Suo Profeta”, il musulmano professa che Dio è unico, e prende come esempio di
comportamento il profeta Muhammad.
Dal Corano, considerato la parola di Dio, e dalla Sunna, la raccolta degli insegnamenti
del profeta dell’Islam, è stata elaborata la giurisprudenza islamica, in altre parole la
“Sacra legge”, o “Shari’ah”. Essa si prefigge di regolare la vita spirituale e sociale
nell’ambito del culto, dei rapporti individuali e collettivi, per quanto concerne la religione
e le relazioni famigliari e sociali.
Insegnamenti morali
Per l’Islam, la fede scaturisce dalla ragione, dalla razionalità e dalla logica e i suoi
insegnamenti si basano sul criterio e sulla coerenza. La sottomissione a Dio, l’osservanza
dei comandamenti e la pratica dell’Islam s’impostano su queste due caratteristiche. Gli
insegnamenti islamici, incitano a praticare il bene, detestare il male, ricercare la verità e
la giustizia. La pazienza, l’umiltà, la speranza e il timor di Dio sono considerate tra le
migliori virtù.
L’Islam vieta determinate cose. Non sempre se ne comprendono le ragioni, ma per i
credenti è del tutto naturale obbedire ad una norma divina, nella convinzione che Dio
vuole il bene all’umanità.
L’Islam pone costantemente l’accento sul rispetto e sull’amore per il prossimo, sulla
necessità di invitare al bene ed esecrare il male. La disponibilità, la gentilezza, il perdono,
il rispetto e la difesa della libertà e dell’autonomia degli altri, sono doveri, proprio perché
i prepotenti hanno sempre privato i deboli e gli indifesi dei loro diritti. Le donne,
soprattutto, sono state umiliate nelle loro personalità, private del diritto all’istruzione,
all’eredità, e al posto che spetta loro nella società, diritti sostenuti e difesi invece in modo
inequivocabile dall’Islam. Muhammad insegnò a rispettare ogni donna. Insegnò a tutti
che “le porte del Paradiso si trovano sotto i piedi della madre”. Dopo la morte della prima
moglie Khadijah, Muhammad si risposò diverse volte. Tutte le sue mogli, eccetto una,
‘Aisha, erano delle vedove o delle divorziate che egli trattò sempre con equità. Alcuni di
questi matrimoni servirono a consolidare l’amicizia fra le varie tribù, altri a dare sostegno
alle vedove dei suoi compagni.
Il Musulmano deve impegnarsi negli studi e nel lavoro, per approfondire il suo sapere e
migliorare la propria condizione. Deve rispettare gli impegni presi, mantenere fede alle
promesse, alla parola data e rimborsare i debiti.
E’ vietato l’uso di sostanze nocive, di bevande alcoliche e inebrianti, e di droghe, perché
dannose alla salute fisica e psichica dell’uomo. Inoltre, non è autorizzato il consumo della
carne del maiale, degli animali da preda, dei rettili e dei roditori, delle carogne e del
sangue, perché ripugnanti e veicoli di malattie. La scienza moderna è in grado oggi di
confermare la loro nocività sulla salute, ma il Musulmano si astiene dal loro consumo,
innanzi tutto perché è un ordine divino. Sono, infatti, vietate unicamente le cose nocive
alla salute dell’individuo ed al benessere della società, ed è responsabilità sua se ne fa uso
o lo facilita. Solo le cose genuine, pure e sane gli sono permesse, così come le buone
consuetudini.
La vita del Profeta è stata l’esempio della pratica dell’Islam; i suoi insegnamenti morali e
i suoi detti, sono stati tramandati di generazione in generazione e compongono la Sunna,
da cui l’appellativo di “musulmani sanniti”, per coloro che vi si attengono.
Gli articoli di fede
Il musulmano professa la sua fede:
- in Dio,
- negli angeli,
- nei libri,
- nei profeti,
- nel giorno della resurrezione e nella vita eterna,
- nel decreto del bene e del male, proveniente da Dio, l’Altissimo.
Questi sei punti rappresentano gli articoli di fede dell’Islam.
Il musulmano crede che il creatore dell’universo sia Dio, rivolge l’adorazione e la
preghiera solo a Lui, ne ricerca l’aiuto e la guida e confida nel Suo perdono e nella Sua
misericordia.
Crede che Dio oltre al mondo visibile abbia creato il mondo invisibile, cui appartengono
gli angeli, puri spiriti che lo glorificano, obbedienti ma non dotati del libero arbitrio, ai
quali ha affidato dei compiti specifici nei confronti degli esseri umani.
Crede che Dio si sia rivelato agli uomini, dettando i Suoi comandamenti tramite dei libri,
le “sacre scritture”.
Crede nei profeti, uomini scelti da Dio per la loro dirittura morale e la loro fede, portatori
della rivelazione e del messaggio dell’unicità divina.
Crede nella vita eterna, nella resurrezione dalla morte e nel giorno del giudizio, perché
deve rispondere del proprio comportamento.
Infine, è consapevole che quanto avviene nel mondo, e ciò che riceve o tutto ciò che
sfugge al suo controllo proviene dal decreto di Dio e dalla Sua volontà. Questa
condizione non deve implicare assolutamente un’accettazione passiva e fatalista degli
avvenimenti. Al contrario, il musulmano è chiamato ad operare, programmare,
impegnandosi secondo gli insegnamenti islamici, prendendo però coscienza che tutto ciò
che fa, e il risultato che ottiene, dipendono solo dalla volontà di Dio.
I cinque pilastri
Nell’Islam, il concetto d’adorazione è vastissimo; non riguarda solo la preghiera, ma tutti
gli aspetti della vita e il comportamento individuale e sociale. Ogni azione lecita, eseguita
con l’intenzione di obbedire a Dio, è considerata, infatti, un atto di adorazione. Cosciente
dell’esistenza di un unico Dio, il musulmano manifesta la sua fede mettendo in pratica
dei comandamenti basilari che lo identificano come tale. Si tratta dei cinque pilastri
dell’Islam, le regole obbligatorie cui ogni musulmano deve conformarsi:
- la testimonianza di fede che “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio e Muhammad è
Suo servo e Profeta”;
- la preghiera;
- l’imposta coranica;
- il digiuno del mese di Ramadan;
- il pellegrinaggio alla Mecca.
I primi due lo impegnano con regolarità e costanza ogni giorno; gli altri in periodi diversi
e ben definiti. Ciò che accomuna i cinque pilastri è la loro obbligatorietà e la validità per
tutte le latitudini, gli uomini e i tempi.
Con la testimonianza di fede si dichiara l’unicità e la sovranità di Dio e la totale
dipendenza al Creatore. Secondo l’Islam, l’asservimento a passioni, ideologie, estremismi
e fanatismi di ogni tipo rappresenta una deviazione dall’adorazione del Dio unico verso
altri interessi e nuovi idoli.
Con le cinque preghiere quotidiane si esprime a Dio la lode e la gratitudine e si chiede
l’aiuto e il perdono.
Col versamento annuale dell’imposta coranica si divide coi poveri e i bisognosi parte dei
propri averi e si provvede alle necessità di chi vive nell’indigenza. La storia dell’Islam ha
dimostrato come l’imposta coranica, quando applicata secondo i canoni islamici, abbia
ridistribuito la ricchezza ed eliminato la povertà.
Col digiuno del mese di Ramadan, si condividono le privazioni di chi vi è costretto
quotidianamente. L’astensione dal cibo, dalle bevande, dai rapporti sessuali e dai
comportamenti illeciti, dall’alba al tramonto, modella il carattere, fa meglio sopportare le
privazioni e rinsalda lo spirito comunitario.
Infine, nel pellegrinaggio alla Mecca da eseguire almeno una volta nella vita, ci si
purifica dalle vanità e dall’ostentazione, senza distinzione di razza, censo o ricchezza,
poiché valgono solo la fede, la dirittura morale e il timore di Dio.
Il musulmano deve associare la fede con l’azione, il credo con la pratica. I cinque Pilastri
rappresentano il campo di formazione della sua identità, in cui plasmare il carattere e il
comportamento, sottomettersi e ubbidire a Dio seguendo gli insegnamenti del Corano e
della Sunna.
Il primo pilastro, la Testimonia di fede
“Dì: “Egli Dio è Unico, Dio è l’Assoluto, non ha generato, non è stato generato e nessuno
è uguale a Lui”. (Corano, 112).
Così il Corano definisce in sintesi il monoteismo puro (tawhìd) professato dall’Islam e da
tutti i profeti, dalle origini dell’umanità.
Nel proprio intimo, ogni uomo, è convinto che nessuno può essere il creatore di se stesso,
e che l’universo e ogni creatura hanno un creatore che a loro provvede. Il monoteismo è
basato dunque sulla ragione, che non contrasta con questa convinzione. Solo il
monoteismo puro, professato dall’Islam, non legato all’elaborazione astratta e
all’invenzione teologica, soddisfa la ragione.
Dio è quindi unico, con capacità infinita di volere e di potere; è il creatore dell’uomo al
quale promette la salvezza nella sottomissione e nell’ubbidienza ai Suoi comandamenti.
La concezione che l’Islam ha di Dio non è antropomorfica, ma deriva dalla qualità dei
Suoi 99 attributi, rivelati nel Corano. Così Dio è il Creatore, il Saggio, il Giusto, il
Misericordioso, l’Onnipotente, l’Onnisciente, Colui che dà la vita, la morte e la
resurrezione agli uomini, l’Essenza dell’esistenza di ciascuno, il Determinatore di tutto, e
così via. L’Unicità e l’incondivisibilità del Suo Potere divino, rappresentano il
fondamento del monoteismo.
Nella testimonianza che “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio“, l’uomo ammette
l’unicità di Dio e professa la sua dipendenza dal Creatore. Questa dichiarazione lo rende
libero dall’asservimento ad altri uomini e alle proprie passioni, consapevole delle proprie
responsabilità di creatura obbediente agli insegnamenti divini. Nell’adorazione di Dio,
l’uomo manifesta la propria fede e accetta il monoteismo come l’espressione più naturale
della ragione.
Così si è espresso Abù Hàmid Muhammad al-Ghazàlì, (1058-111 d.C.), una delle figure
più note e rappresentative del mondo islamico e del suo magistero, nella sua opera
“L’unicità divina e l’abbandono fiducioso”:
“…aver fede significa ritener vero qualcosa, e ogniqualvolta si ritiene vero qualcosa nel
proprio cuore questa è scienza, e quando essa si rafforza diviene certezza. Nondimeno, la
stessa certezza ha diverse sfaccettature, e noi prenderemo in considerazione solo quelle
su cui costruire l’abbandono fiducioso in Dio, ossia: l’Unicità divina (tawhìd), che tu
esprimi quando dici: “Non c’è altra divinità tranne Iddio, l’Unico, senza associati”; la
fede nella Potenza divina, che esprimi dicendo: “A Lui il Regno”; la fede nella
Generosità e nella Saggezza divine, che tu indichi dicendo: “A Lui la Lode!” Colui che
afferma: “Non c’è altra divinità che Dio, l’Unico, senza associati, a Lui il Regno e la
Lode, Egli è sopra ogni cosa Potente”, costui ha la fede completa, fondamento
dell’abbandono fiducioso in Dio – voglio dire che il contenuto di quest’espressione
diventa una qualità inseparabile del suo cuore e lo pervade, dominandolo”.
Professando che: “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio, e Muhammad è Suo servo e
profeta” il credente entra nell’Islam e diventa musulmano. Questa Testimonianza o
Professione di Fede è la dichiarazione che egli si sottomette e obbedisce coscientemente e
con piena responsabilità alle regole imposte dal suo Creatore, in Lui ripone la propria
fiducia, perché dopo la morte e la resurrezione, sarà giudicato per ciò che ha fatto in vita.
Si assoggetta quindi consapevolmente alle regole divine e prende per maestro di vita solo
Muhammad, il profeta che conclude la missione profetica verso l’umanità, un uomo,
servo di Dio e Suo messaggero. Egli è stato investito della missione di portatore della
parola di Dio all’umanità intera, e di esempio del comportamento del musulmano.
La Testimonianza di Fede è il passo essenziale per il ritorno all’Islam, la dichiarazione
consapevole e responsabile della sottomissione e dell’obbedienza alle leggi divine. Da
quel momento, ogni musulmano è chiamato a rendere testimonianza al mondo, nelle
parole e con l’esempio del proprio comportamento, che: “Non esiste altra divinità
all’infuori di Dio e Muhammad è Suo servo e profeta”, combattendo le proprie cattive
tendenze, le passioni, l’ingiustizia, la prepotenza, la decadenza della morale, e
proclamando che nessun uomo può essere padrone di un altro uomo, eccetto Dio.
Il musulmano crede nel Creatore, a Lui solo chiede il soccorso e il perdono, e ripone la
fiducia nella Sua Misericordia e nella Sua Giustizia, sperando nel premio il Giorno del
giudizio.
S’impegna quindi a vivere e ad operare secondo la linea di condotta del Profeta
dell’Islam, la cui vita è stata l’esempio del comportamento di colui che si sottomette e
ubbidisce a Dio.
La preghiera
Il secondo pilastro la Preghiera
Dalla convinzione nell’unicità e dell’onnipotenza di Dio nasce dunque la fede e la
predisposizione dell’uomo alla sottomissione e all’obbedienza col proprio
comportamento, ai Suoi comandamenti. Adorare Dio, in Lui riporre la propria fiducia,
manifestare la gratitudine nei Suoi confronti, invitare al bene, evitare il male, diventa
quindi un dovere per il credente.
“...In verità, per il credente, la preghiera (salàt) è un obbligo in tempi ben determinati”.
(Corano, 4:103).
“Assolvete la preghiera (salàt) e pagate la tassa coranica (zakàt)...”. (Corano, 2:110).
“E che invero, l’uomo non ottiene che il frutto dei suoi sforzi”. (Corano, 53:39).
Dei cinque Pilastri dell’Islam, la Preghiera è il secondo e deve essere eseguita cinque
volte al giorno. E’ quindi il comandamento che impegna il credente con più intensità e
costanza:
“Cercate aiuto nella pazienza e nella preghiera; in verità essa è gravosa, ma non per gli
umili che pensano che invero torneranno a Lui”. (Corano, 2:45-46).
La prostrazione nella preghiera è la vera manifestazione dello spirito di umiltà e di
sottomissione a Dio. L’Islam insegna la preghiera dona la guida sicura e sviluppa il
discernimento fra il bene ed il male, aiuta a coltivare la bontà e sopprimere le cattive
tendenze. Gradualmente, in modo naturale, il comportamento del credente sarà impostato
a ciò che è buono, nobile e degno di sforzo:
“O voi che credete, rifugiatevi nella pazienza e nella preghiera. Invero Dio è con coloro
che perseverano”. (Corano, 2:153).
“Coloro che credono, che rasserenano i loro cuori al Ricordo di Dio. In verità i cuori si
rasserenano al Ricordo di Dio”. (Corano, 13:28).
“Esegui la preghiera, dal declino del sole fino alla caduta delle tenebre e fà la Recitazione
dell’alba, ché la Recitazione dell’alba è testimoniata. Veglia in preghiera parte della
notte, sarà per te un’opera supererogatoria, presto il tuo Signore ti risusciterà ad una
stazione lodata”. (Corano, 17:78-79).
“Sopporta dunque con pazienza quello che dicono, glorifica e loda il tuo Signore prima
del levarsi del sole e prima che tramonti. GlorificaLo durante la notte e agli estremi del
giorno, così che tu possa essere soddisfatto”. (Corano, 20:130).
“Rendete gloria a Dio, alla sera ed al mattino. A Lui la lode nei cieli e sulla terra, durante
la notte e quando il giorno comincia a declinare”. (Corano, 30:17-18).
“Assolvete la preghiera e pagate la tassa coranica. E tutto quanto di bene avrete compiuto
lo ritroverete presso Dio. Dio osserva tutto quello che fate”. (Corano, 2:110).
La preghiera è dunque il momento del raccoglimento, dell’incontro col proprio Creatore,
un momento che il fedele può ricercare nell’intimità o in gruppo. La preghiera
comunitaria è l’espressione della fratellanza e dell’eguaglianza fra gli uomini e ha un
valore meritorio più grande dinanzi a Dio. Spalla contro spalla, in ranghi paralleli, senza
distinzione di ceto sociale, razza, o nazionalità, i musulmani si prostrano come un solo
uomo, in un legame di fratellanza e solidarietà che trascende ogni considerazione terrena.
Il nome delle cinque preghiere quotidiane e l’orario dell’esecuzione sono i seguenti:
1. La preghiera dell’alba, Fajr, da eseguirsi nell’intervallo fra l’alba ed il levar del sole.
2. La preghiera del mezzogiorno, Dhuhr, da eseguirsi nell’intervallo fra il mezzodì e la
metà pomeriggio.
3. La preghiera del pomeriggio, ‘Asr, da eseguirsi nell’intervallo fra la metà pomeriggio
ed il calar del sole.
4. La preghiera del tramonto, Maghrib, da eseguirsi nell’intervallo fra il momento in cui
il sole è completamente tramontato dall’orizzonte ed il calar delle tenebre.
5. La preghiera della notte, ‘Isha, da eseguirsi nell’intervallo fra il calar delle tenebre e
l’alba, preferibilmente prima della mezzanotte.
La chiamata
La chiamata alla preghiera, adhan, è il segnale d’inizio del periodo di una preghiera
obbligatoria, ed è eseguita seguendo una formula e un rituale stabiliti dal Profeta. Colui
che chiama alla preghiera, generalmente dal minareto di una moschea, fronteggia la
direzione della Mecca e fa la chiamata a voce spiegata, perché sia intesa il più lontano
possibile.
I fedeli si riuniscono poi nel luogo della preghiera, dove, prima dell’inizio, è fatta una
seconda chiamata, iqamah, o “sollecitazione”. Essa è molto simile alla prima chiamata,
recitata però all’interno della moschea.
Chi si accinge all’esecuzione di una preghiera obbligatoria da solo o in gruppo, senza
avere inteso la prima o la seconda chiamata, può recitarle lui stesso, essendo molto
raccomandabile.
Le condizioni
La preghiera è obbligatoria per ogni musulmano che sia in grado d’intendere e di volere.
E’ prescritto agli uomini e ai fanciulli l’essere obbligatoriamente coperti almeno
dall’ombelico alle ginocchia. Gli abiti devono essere puliti, la testa può essere coperta o
scoperta, e le scarpe devono essere sempre tolte. Le donne devono essere completamente
abbigliate, lasciando scoperti solo il viso e le mani, e devono pregare dietro gli uomini.
Sono esentate dalla preghiera durante le mestruazioni e nei quaranta giorni successivi al
parto.
La preghiera può essere fatta ovunque, in un luogo pulito e puro. E’ vietato però pregare
nei bagni, sulle tombe, nelle case in rovina, nei mercati, sui marciapiedi fra i passanti,
davanti ad una tavola imbandita e nel buio assoluto. Si possono predisporre dei tappeti,
almeno per il punto dove la fronte toccherà il suolo durante la prostrazione. Un
asciugamano, un fazzoletto, un drappo od un piccolo tappeto possono servire a tale
scopo. Nelle moschee sono disposti dei tappeti, ma si tratta semplicemente di una
comodità, non di una necessità.
L’orante deve essere in condizione di purità tramite l’abluzione, nell’orario di validità
della preghiera, e rivolto verso la Mecca. La direzione (qibla) può essere rilevata tramite
un’apposita bussola; nelle moschee è indicata con una nicchia. Per l’Italia, la direzione è
approssimativamente Sud-Sud-Est.
L'abluzione
Prima di eseguire la preghiera, devono essere lavate con l’acqua le parti esposte del
corpo, mediante l’abluzione, wudu, o “purificazione minore”. L’abluzione è legata al
potere detergente dell’acqua, quindi, simbologicamente alla possibilità di cancellare le
trasgressioni volontarie e involontarie compiute tra una preghiera e l’altra. E’ necessario
ripetere l’abluzione ad ogni preghiera se, nell’intervallo, si sono toccate le parti intime
proprie o altrui, si è soddisfatto un bisogno corporale, emesso del gas, vomitato, dormito
o commessa una trasgressione.
Dopo avere espresso intimamente l’intenzione di purificarsi, ed aver invocato
mentalmente “Nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso”, bisogna:
a) lavarsi le mani tre volte, fino ai polsi;
b) risciacquarsi la bocca tre volte, portando l’acqua nel cavo della mano destra,
c) pulirsi le narici tre volte, aspirando ed espellendo l’acqua contenuta nel cavo della
mano destra;
d) lavarsi il viso tre volte con entrambe le mani;
e) lavarsi le braccia tre volte fino ai gomiti, il braccio destro prima del sinistro;
f) strofinare una sola volta la sommità del capo con le mani bagnate, quindi le orecchie
con il pollice e l’indice inumiditi, una sola volta;
g) lavarsi i piedi fino alle caviglie tre volte, iniziando dal piede destro. Si può evitare di
lavarsi i piedi se si portano delle calze spesse, messe subito dopo un’abluzione, passando
una sola volta la mano destra inumidita sulla calza sul dorso del piede, e la sinistra,
anch’essa inumidita, sotto la pianta, cominciando dal piede destro. E’ obbligatorio però
lavarsi i piedi nell’abluzione, almeno ogni ventiquattro ore.
Alla fine, si recita la Testimonianza di fede: “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio, e
Muhammad è Suo servo e profeta”.
Solo nel caso in cui potrebbe essere dannoso per la salute usare l’acqua, a causa di ferite
o allergie, o quando essa non sia assolutamente disponibile, si segue un’abluzione a
secco, tayyammun. Dopo avere espresso mentalmente l’intenzione ed avere invocato il
nome di Dio, si strofinano leggermente le mani sopra una pietra, una parete, della terra o
della sabbia pulite, e si passano sul viso una volta. Dopo averle strofinate una seconda
volta, si passano su ciascun braccio, fino al gomito, una sola volta, cominciando dal
destro. Alla fine si recita la Testimonianza di fede.
E’ obbligatorio fare un bagno completo, ghusl, o “purificazione maggiore”, per accedere
alla preghiera dopo un rapporto sessuale, per l’emissione volontaria o involontaria di
sperma, al completamento del ciclo mestruale della donna e dopo il periodo di quaranta
giorni che segue il parto. S’inizia manifestando l’intenzione e invocando il nome di Dio,
cui segue il lavaggio a fondo delle parti intime e l’abluzione eseguita nel modo consueto.
Si fa poi il bagno minuzioso di tutto il corpo. Alla fine si recita la Testimonianza di fede.
La purificazione maggiore è raccomandata prima della preghiera del venerdì,
nell’occasione delle due feste islamiche e prima della Testimonianza di fede che un
nuovo convertito recita per entrare nell’Islam.
Le modalità d'esecuzione della preghiera
Quando non fosse possibile rivelare la direzione della Mecca, si può scegliere una
direzione qualsiasi. Se si è obbligati in una certa posizione, come un letto di degenza o un
posto fisso su un mezzo di trasporto, la direzione della preghiera sarà quella in cui ci
trova.
Qualora si siano tralasciate una o più preghiere agli orari prescritti, bisogna recuperarle il
più presto possibile, chiedendo perdono a Dio.
La preghiera è un assieme di movimenti, di formule e di brani del Corano da recitare a
voce alta o bassa, secondo l’orario, obbligatoriamente in lingua araba. Durante la
prostrazione, o prima del saluto finale, l’orante può pregare Dio, intimamente, nella
propria lingua e con le proprie parole.
Ogni preghiera è composta di due, tre, oppure quattro elementi, chiamati rakàt, l’assieme
di movimenti e di recitazioni:
- la preghiera dell’alba, di due rakàt;
- la preghiera del mezzogiorno, di quattro rakàt;
- la preghiera del pomeriggio, di quattro rakàt;
- la preghiera del tramonto, di tre rakàt;
- la preghiera della notte, ‘Isha, di quattro rakàt.
Prima rakàt
Dopo aver disteso un tappeto a terra, l’orante si pone nella posizione eretta, qiyamah, in
direzione della Mecca, lo sguardo rivolto al suolo nel punto in cui la fronte lo toccherà
nella prostrazione, le gambe leggermente divaricate ed esprime intimamente l’intenzione
di eseguire quella determinata preghiera.
Solleva le mani all’altezza delle orecchie, le palme rivolte in avanti, le dita distese ed
unite, invocando “Allahu Akbàr” (Dio è il più grande).
Porta poi le mani sul petto, la destra sopra il polso sinistro, loda intimamente Dio e
invoca la sua protezione contro le tentazioni.
In quella posizione, recita il capitolo d’apertura del Corano, Al Fatiha, e dopo l’Amen, un
altro brano coranico, a scelta. Il Corano deve essere declamato a voce alta nelle due rakàt
della preghiera dell’alba, e nelle prime due della preghiera del tramonto e della notte.
Esclamando “Allahu Akbàr”, l’orante s’inchina poi nella posizione del ruku, con la
schiena parallela al suolo, le mani posate sulle ginocchia, le dita divaricate, le gambe tese
e non flesse, lo sguardo sempre fisso al suolo, ripetendo intimamente per tre volte
“Subhana Rabbiyal Adhìm” (Gloria al mio Signore, il Sommo).
Ritorna poi in posizione eretta, le braccia distese lungo il corpo, lo sguardo sempre fisso
al suolo, dicendo “Sam’i Allahu liman hamidah” (Dio ascolta chi Lo loda) e poi,
“Rabbana Lakal hamd” (Signor nostro, che tu sia lodato).
Esclamando “Allahu Akbàr”, l’orante si prosterna nel sujùd, posando le ginocchia e le
mani al suolo, i gomiti sollevati da terra, i piedi leggermente divaricati, toccando il suolo
con la fronte e la punta del naso, recitando tre volte intimamente “Subhana Rabbiyal
A’ala” (Gloria al mio Signore, l’Altissimo) e supplicando Dio con le proprie parole.
Ripetendo “Allahu Akbàr”, solleva il busto, si siede sui propri piedi incrociati a terra,
busto eretto, le mani appoggiate sulle cosce in prossimità delle ginocchia, in posizione di
julùs. Con lo sguardo sempre rivolto al suolo, ripete tre volte mentalmente “Allahumma
Ighfirli” (O Dio, perdona i miei peccati).
Esclamando “Allahu Akbàr”, si prosterna per la seconda volta nel sujùd, con le stesse
modalità del primo.
Ritorna nuovamente, per un breve istante, nella posizione seduta di julùs, quindi posa le
palme delle mani a terra, e ritorna nella posizione eretta d’inizio della preghiera,
esclamando “Allahu Akbàr”.
Quest’ultimo movimento completa un elemento base della preghiera o rakàt e predispone
l’orante per l’inizio della rakàt successiva.
Seconda rakàt
Essa inizia subito con la recitazione del primo capitolo del Corano, seguito da un altro
brano coranico, e richiede la recitazione intima della Dichiarazione di fede, o Tashahud,
nella seconda posizione seduta di julùs. Nel declamare “La ilaha Illallah”, l’orante solleva
il dito indice della mano destra posata sulla coscia, per simboleggiare l’Unicità di Dio.
Posando poi le palme delle mani a terra, ritorna nella posizione eretta per iniziare la terza
rakàt esclamando “Allahu Akbàr” con le mani all’altezza delle orecchie.
Nelle preghiere di due rakàt, nel secondo julùs, egli prosegue con la recitazione della
Preghiera d’Abramo o “Salatul Ibrahìmiya” e il saluto finale, che concludono ogni
preghiera. Il fedele volge il volto prima a destra, dicendo “Assalamu alaikum wa
rahmatullah” (Che la pace e le benedizioni di Dio siano su di voi), poi a sinistra ripetendo
ancora “Assalamu alaikum wa rahmatullah”.
Terza rakàt
La terza rakàt inizia con la recitazione di Al Fatiha, declamata intimamente, non seguita
da altri brani coranici. Posando poi le palme delle mani a terra, l’orante ritorna nella
posizione eretta per iniziare la quarta rakàt, esclamando “Allahu Akbàr” .
Nella preghiera del tramonto, la terza rakàt che conclude la preghiera è completata, nel
secondo julùs, dalla recitazione della Dichiarazione di fede e della Preghiera di Abramo,
seguita dal saluto finale.
Quarta rakàt
La quarta rakàt che conclude le preghiere del mezzodì e della sera è uguale all’ultima
della preghiera del tramonto.
Circostanze eccezionali
Gli infermi e gli indisposti possono eseguire la preghiera in posizione eretta, oppure
seduti a terra, su una sedia, distesi a letto o su un giaciglio, sostituendo i movimenti
prescritti, con dei movimenti del capo o anche solo degli occhi.
In viaggio, se non è possibile altrimenti, si può pregare seduti, movendo soltanto il capo o
gli occhi, in sostituzione dei movimenti prescritti.
E’ permesso, pure, durante un viaggio, unire e recitare una dietro l’altra, le preghiere del
mezzodì e del pomeriggio e quelle del tramonto e della notte. L’esecuzione delle due
preghiere unite deve avvenire nell’intervallo compreso fra l’orario d’inizio della prima
preghiera, e l’orario finale della seconda.
Durante un viaggio, oltre ad unire le preghiere, è permesso accorciarle a solo due rakàt
ciascuna, eccezion fatta per la preghiera del tramonto, che rimane di tre rakàt. Il periodo
in cui esse devono essere eseguite rimane quello già descritto.
Queste concessioni sono limitate esclusivamente al viaggio, e non possono essere usate
come pretesto per eseguire le cinque preghiere canoniche in orari diversi, o addirittura per
accorciarle.
Le preghiere superogatorie o volontarie
Il Profeta soleva recitare delle preghiere volontarie, o superrogatorie, composte di due
rakàt ciascuna, che differiscono dalla preghiera dell’alba, per la recitazione intima dei
brani del Corano. Egli era solito eseguirle immediatamente prima o dopo le preghiere
obbligatorie, e in particolari occasioni, quali la notte, specialmente a Ramadan, la metà
mattina, all’entrata in una moschea, dopo l’abluzione, in occasione delle eclissi e per
chiedere a Dio la guida.
La notte, prima di coricarsi, il Profeta ha raccomandato di chiudere il ciclo delle orazioni
giornaliere con una preghiera di una sola rakàt, chiamata witr, dispari.
Le preghiere obbligatorie sono chiamate “Fard” quelle volontarie “Sunnah”. Le preghiere
volontarie, secondo gli insegnamenti dell’Islam, saranno conteggiate nel Giorno del
giudizio per compensare le mancanze del musulmano riguardo alle preghiere
obbligatorie.
Le preghiere congregazionali o di gruppo
Due o più musulmani che si apprestano ad eseguire una preghiera obbligatoria, devono
pregare assieme. Colui che deve guidare la preghiera, Imam, è scelto al momento e può
essere chiunque scelto dal gruppo.
Nel caso di due oranti, l’Imam si pone alla sinistra, ed entrambi si rivolgono in direzione
della Mecca. Nel caso di più fedeli, egli si pone davanti, solo, mentre gli altri si
dispongono dietro in ranghi paralleli, spalla contro spalla. Le donne formano dei ranghi
separati, dietro gli uomini. La preghiera congregazionale è guidata dall’Imam, e i fedeli la
recitano intimamente seguendo i suoi movimenti, senza mai precederlo in nessun atto
della preghiera.
Le preghiere volontarie non devono mai essere eseguite in gruppo, ma solo
individualmente.
La preghiera di venerdì
“O credenti, quando viene fatto l’annuncio per la preghiera del Venerdì, accorrete
al ricordo di Dio e lasciate ogni traffico. Ciò è meglio per voi, se lo sapeste. Quando
poi la preghiera è conclusa, spargetevi sulla terra in cerca della grazia di Dio, e
ricordate molto Dio, affinché possiate avere successo. Quando vedono un commercio
o un divertimento, si precipitano e ti lasciano ritto. Dì: “Quel che è presso Dio, è
migliore del divertimento e del commercio e Dio è il migliore dei sostentatori”.
(Corano 62:9-11).
La preghiera congregazionale del venerdì, jum’a, sostituisce la preghiera del mezzodì ed
è obbligatoria per coloro che possono raggiungere una moschea. Le donne, in ragione
delle loro attività domestiche, sono esentate, e possono fare la preghiera del mezzodì a
casa propria. Comunque, è permesso loro unirsi alla preghiera del venerdì, se lo
desiderano.
Dopo la prima chiamata, l’Imam fa un sermone chiamato khutba. Al termine, dopo la
seconda chiamata, egli guida la preghiera congregazionale, che si compone di due rakàt,
col Corano recitato a voce alta.
La preghiera della due festività Eid
Eid significa gioia, festa. Nell’Islam vi sono due festività religiose annuali, la prima per
la fine del Digiuno di Ramadan, Eid-ul-Fitr, la seconda per commemorare il Sacrificio di
Abramo e Ismaele, Eid-ul-Adha, che cade in concomitanza con lo svolgimento del
Pellegrinaggio alla Mecca.
Per entrambe le festività, la preghiera congregazionale è effettuata nel periodo che va dal
sorgere del sole a mezzogiorno, possibilmente in un luogo aperto. Non sono previste né la
chiamata né la sollecitazione alla preghiera.
La preghiera, preannunciata da canti di lode, consiste di due rakàt, precedute da sei a
sedici takbìr (Allahu Akbàr), ed è seguita da un sermone.
Le preghiera notturne di Ramadan
Si tratta di preghiere eseguite durante le notti di Ramadan, chiamate Tarawih, che
consentono la recitazione completa del Corano entro la fine del mese di digiuno.
Possono comprendere da otto a venti rakàt, eseguite a due a due, con una breve pausa
ogni due rakàt. Possono essere eseguite individualmente, anche nella propria abitazione,
oppure in congregazione. Queste preghiere sono volontarie.
La preghiera funebre
Per i musulmani è un obbligo pregare per un musulmano deceduto. La preghiera funebre,
janazah, è eseguita in congregazione, in posizione eretta, e non comporta alcun inchino o
prostrazione. Comprende quattro takbìr (Allahu Akbàr). Dopo il primo takbìr si
recitatano mentalmente delle lodi e il capitolo di apertura del Corano, Al-Fatiha. Dopo il
secondo, la preghiera di Abramo. Dopo il terzo, una preghiera per i morti, per se stessi o
per altri, nei termini che uno vuole. Dopo il quarto, il saluto di pace (Assalamu alaikum
wa rahmatullah).
Al termine della preghiera funebre, il defunto è accompagnato rapidamente alla sepoltura
dai soli musulmani maschi. Le donne si recheranno al cimitero in un secondo tempo.
Il "Ricordo di Dio", la suplica
Oltre a adorare Dio con preghiere obbligatorie e volontarie, il credente ricorda e invoca
Dio, in ogni occasione, con le proprie parole o con le stesse formule usate dal Profeta,
du’a.
Le suppliche fanno parte del “Ricordo di Dio”. Possono essere innalzate in ogni momento
della giornata e della notte, in viaggio, durante la preghiera, in piedi, seduti, coricati. Con
le palme delle mani rivolte al petto o al volto, e lo sguardo che le contempla, il fedele
invoca, glorifica e ringrazia Dio. Queste suppliche sono facoltative e molto raccomandate
nell’Islam.
Il Digiuno
Il terzo pilastro
Al digiuno facevano ricorso, da sempre, gli uomini pii e i profeti, come atto di adorazione
a Dio. Esso abitua alla moderazione, al controllo dei desideri e del carattere.
Abbandonarsi senza freni anche a bisogni leciti, come il cibo e i rapporti sessuali, rende
gli uomini schiavi delle loro abitudini e delle loro voglie.
Il Profeta Muhammad ha detto:
“Il digiuno è uno scudo contro gli atti di disobbedienza in questo mondo e contro il fuoco
nell’altro”.
Nel digiuno, il ricco prova le ristrettezze che il povero ha quotidianamente, e tutta la
comunità vive una comunione di spirito che aumenta il senso di fratellanza, di pazienza e
di disciplina fra i musulmani.
Dice il Corano:
“O voi che credete, vi è prescritto il digiuno come era stato prescritto a coloro che vi
hanno preceduto. Forse diverrete timorati”. (Corano, 2:185).
Il Profeta ha ribadito:
“Colui che digiuna nel mese di Ramadan con fede, ricercando la ricompensa di Dio, si
vedrà perdonati i peccati commessi in precedenza”.
Ramadan è il nono mese del calendario islamico, il mese in cui è disceso il Corano. E’ il
mese del digiuno obbligatorio per i musulmani, un mese benedetto, ricco di benefici e
doni divini:
“E’ nel mese di Ramadan che abbiamo fatto scendere il Corano, guida per gli uomini e
prova di retta direzione e distinzione fra il vero ed il falso. Chi di voi ne testimoni
l’inizio, digiuni...”. (Corano, 2:185).
Il digiuno consiste nell’astenersi dal cibo, dalle bevande, dai rapporti sessuali e da atti
illeciti, dall’alba al tramonto, aumentando gli atti di devozione, la lettura del Corano e le
buone azioni. Digiunare durante Ramadan è obbligatorio per ogni musulmano, uomo o
donna, in età di poterlo effettuare, con alcune eccezioni specificate più avanti.
Oltre al mese di Ramadan, il credente può digiunare volontariamente quando vuole,
sempre dall’alba al tramonto. Il digiuno superrogatorio è consigliato in giorni ben precisi
dell’anno, quali sei giorni del mese di Shawwal in qualsiasi ordine, il 9, 10 e 11 del mese
di Muharram, il 15 del mese di Shaban, ecc., e in tutti quei giorni raccomandati dal
Profeta.
Egli ha però consigliato ai musulmani di non digiunare per lunghi periodi: “Avete degli
obblighi anche verso voi stessi”. Ha inoltre specificato i giorni nei quali il digiuno non è
permesso, come ad esempio il solo venerdì, se questo non è collegato al digiuno
effettuato il giovedì o il sabato. Lo ha vietato pure in occasione delle due feste, “Eid-ulFitr”, alla fine del digiuno di Ramadan, e “Eid-ul-Adha, la festa del Sacrificio, e nei tre
giorni che la seguono.
Il calendario Islamico e il mese di Ramadan
Il calendario islamico si succede secondo le rivoluzioni lunari, della durata di 29 giorni,
12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi, e non secondo l’orbita solare. Esso ha 354 giorni e si
compone di dodici mesi, di 29 o 30 giorni, che iniziano con l’avvistamento della luna
nuova.
Essendo l’anno lunare formato di 354 giorni, quindi 11 giorni in meno dell’anno solare
(12 giorni nel caso di un anno bisestile), il mese di Ramadan anticipa ogni anno il suo
inizio di 11 giorni, e si sposta gradualmente attraverso tutte le stagioni dell’anno,
ritornando, dopo trentatré anni, allo stesso giorno.
In questo modo, tutti i musulmani che abitano l’emisfero nord e quello sud, hanno la
possibilità, nel corso della loro esistenza, di digiunare in stagioni diverse. In certi paesi,
durante l’inverno, le giornate sono corte e fredde e il digiuno di Ramadan è certamente
meno impegnativo da rispettare che nella stagione estiva. In tutto questo, il credente
intravede la saggezza, la giustizia e la misericordia di Dio.
L’avvistamento della luna nuova di Ramadan, che ne segna l’inizio, può essere fatto da
chiunque. Nei paesi islamici, esso è affidato a due incaricati scelti per la loro affidabilità
e per il provato timore di Dio. A occhio nudo, senza l’aiuto di mezzi ottici, alla fine del
mese di Shaban iniziano a scrutare l’orizzonte per dare alla comunità l’annuncio
dell’inizio del digiuno.
Le regole del Digiuno
Il digiuno si effettua nel periodo che va dall’alba al tramonto. L’inizio coincide con
l’orario d’inizio della preghiera dell’alba e la fine con l’orario di quella del tramonto. Nei
paesi islamici, l’inizio e la fine sono scanditi dalla chiamata alla preghiera dell’alba e da
quella del tramonto.
Durante questo periodo, non si può né mangiare, né bere, né fumare, né avere rapporti
sessuali. E’ pure vietato prendere dei medicinali per naso o per bocca, parlare in modo
osceno e mantenere un comportamento non islamico. Dal tramonto fino a poco prima
dell’alba, i digiunanti possono riprendere ad alimentarsi e ad avere rapporti sessuali.
Mangiare e bere inavvertitamente, inghiottire la propria saliva, utilizzare profumi, pomate
o creme e medicamenti ad uso esterno, lavarsi, pulirsi i denti e la bocca senza inghiottire,
non costituiscono un’interruzione del digiuno.
Mangiare, bere, fumare, od interrompere il digiuno volontariamente in Ramadan, senza
una scusa valida, quale una malattia, un viaggio, o l’inizio delle mestruazioni,
costituiscono una violazione del digiuno, e comportano una pena per l’inosservante. Essa
consiste nell’offrire a sessanta persone l’equivalente di un pasto, oppure nel digiunare
sessanta giorni, per compensare il giorno d’interruzione del digiuno.
Se per una scusa valida, non si digiunasse in un giorno di Ramadan, si è obbligati a
compensarlo con un giorno di digiuno per ogni giorno di interruzione, da effettuarsi
prima dell’inizio del Ramadan successivo.
All’orario della preghiera del tramonto si fa la rottura del digiuno, “Iftàr”. Il Profeta era
solito mangiare uno o tre datteri e bere un sorso d’acqua o di latte. Prima di portare il
cibo alla bocca, si recita, sempre secondo la tradizione del Profeta: “Allahumma, laka
sumtu, wa bika amantu, wa ‘ala rizqika aftartu. Bismillah ar-Rahman ar-Rahim”,(O Dio,
per Te ho digiunato, ho creduto in Te, e con il cibo che mi dai, rompo il digiuno. In nome
di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso).
La rottura del digiuno precede la preghiera del tramonto, cui segue una cena. E’ anche
abitudine mangiare durante la notte, fino ad alcuni minuti prima della preghiera dell’alba.
Questa colazione è chiamata “Suhur”.
All’alba, bisogna esprimere intimamente l’intenzione di digiunare, dicendo, per esempio:
“O Dio, ho intenzione di digiunare oggi, nello spirito dell’obbedienza al Tuo
comandamento e con l’unico scopo di compiacerti”.
Si può passare il tempo fra la fine della colazione e l’alba leggendo il Corano o altre
letture islamiche, e, appena giunge l’orario, eseguire la preghiera dell’alba.
Esenzioni dal Digiuno
Sono esentate dal digiuno:
a) Le persone malate, la cui salute rischia di peggiorare ulteriormente se digiunassero.
Esse possono rinviare il digiuno finché sono malate e fare un giorno di digiuno per ogni
giorno mancato, prima del Ramadan successivo.
b) Le persone che sono in viaggio e che, una volta giunti a destinazione, hanno
l’intenzione di ripartire entro pochi giorni. Possono sospendere il digiuno per la durata
dell’intero viaggio. Devono, prima del Ramadan successivo, recuperare i giorni in cui
non hanno digiunato, un giorno di digiuno per ogni giorno mancato. E’ però consigliabile
osservare il digiuno durante il viaggio, se può essere sopportato senza difficoltà.
c) Le donne in cinta e le madri che allattano possono anche digiunare, se lo desiderano e
lo sopportano, però se non osservano il digiuno, devono recuperare, prima del Ramadan
successivo, un giorno di digiuno per ogni giorno mancato.
d) Le donne nel loro periodo di mestruazione, un massimo di dieci giorni, o nel periodo
susseguente il parto, un massimo di quaranta giorni, non devono digiunare. Devono
rinviare il digiuno dopo tali periodi, e soltanto allora recuperarlo, un giorno di digiuno per
ogni giorno mancato.
e) Uomini e donne, se troppo anziani e deboli per affrontare il digiuno, sono esentati. Se
possono, devono offrire ad almeno un musulmano povero un pasto completo, oppure il
suo controvalore, per ogni giorno di Ramadan in cui non hanno digiunato.
f) I bambini che non hanno ancora raggiunto l’età della pubertà sono esentati dal digiuno.
Prima ancora che raggiungano tale età, è buona cosa incoraggiarli a digiunare almeno
qualche ora o qualche giorno durante Ramadan.
g) Le persone insane sono esentate dall’obbligo del digiuno.
Le preghiere serali Tarawih
Si tratta di preghiere supererogatorie (volontarie e facoltative) eseguite durante il mese di
Ramadan, dopo la preghiera della notte. Queste preghiere sono formate da otto, dieci o
venti rakàt, eseguite due a due. Queste preghiere non sono obbligatorie, però sono molto
raccomandate, secondo la pratica del Profeta.
La notte del Destino
La notte del mese di Ramadan nella quale il Profeta Muhammad ricevette per la prima
volta il messaggio divino, è ricordata come “la Notte del Destino” (Lailat-ul-Qadr). Non
si sa con precisione quale fosse, ma secondo la tradizione, essa è una delle notti dispari
degli ultimi dieci giorni del mese. Per tradizione, è ricordata nella notte precedente il
ventisettesimo giorno di Ramadan:
“In verità, lo abbiamo fatto discendere nella Notte del Destino, e chi potrà farti
comprendere cos’è la Notte del Destino? La Notte del Destino è migliore di mille
mesi. In essa discendono gli angeli e lo Spirito, col permesso del loro Signore, per
fissare ogni decreto. E’ pace, fino al levarsi dell’alba”. (Corano, 97:1-5).
In quella notte, è consuetudine vegliare in preghiera e leggere il Corano. Il Profeta
Muhammad disse:
“Quando giunge la Notte del Destino, Gabriele discende in compagnia di angeli che
invocano benedizioni per tutti coloro che ritti o prostrati, evocano Dio, l’Onnipotente, il
Glorioso”.
‘Aisha, la sposa del Profeta, riferì che il Messaggero di Dio, durante le ultime dieci notti
di Ramadan, era solito intensificare le proprie devozioni.
La battaglia di Badr
Nel mese di Ramadan è ricordata la battaglia di Badr, combattuta il 17 Ramadan
dell’anno 2 dell’Egìra. Fu la prima grande ostilità armata sferrata da parte degli idolatri
della Mecca contro la comunità dei musulmani ricostituitasi in Medina.
L’armata islamica era in notevole inferiorità numerica, in proporzione di un uomo contro
tre, mal equipaggiata e senza esperienza bellica, mentre l’esercito dei meccani, era ben
preparato, armato e deciso a battere i musulmani una volta per tutte. Sotto la guida del
Profeta, i musulmani si batterono con coraggio ed onore, ottennero una vittoria esaltante
e inflissero una sconfitta umiliante ai loro nemici.
L'imposta Zakàt-ul-Fitr
E’ dovere di tutti i musulmani fare in modo che i poveri della comunità non siano
trascurati ed abbandonati, soprattutto durante il mese del digiuno. L’Islam richiede che
tutti coloro che ne abbiano i mezzi, debbano versare un contributo ai poveri prima del
giorno dell’Eid che segue la fine di Ramadan, oppure nel giorno stesso della
celebrazione, prima dell’inizio della preghiera congregazionale. Questa imposta è
chiamata Zakàt-ul-fitr, oppure Sadaqàt-ul-fitr. Il Profeta ha detto:
“Il digiuno del mese di Ramadan non è accettato da Dio senza Sadaqàt-ul-fitr”, e
“Sadaqàt-ul-fitr è un mezzo di purificazione per colui che digiuna”.
L’ammontare della cifra deve corrispondere almeno al valore di un pasto, calcolato nel
paese dove sarà consumato.
La festività Eid-ul-Fitr
Il primo giorno del mese di Shawwal, dopo la fine del digiuno di Ramadan, si celebra
l’Eid-ul-fitr, la festa per la fine del digiuno. L’Eid è un giorno di festeggiamenti, di
felicità e di gioia. Un giorno di ringraziamento a Dio per aver completato il digiuno,
secondo il Suo comandamento, per aver partecipato alla grande messe di doni e grazie
che Egli ha promesso a tutti coloro che con obbedienza e fede hanno digiunato.
Al mattino, in un ora qualsiasi compresa fra il sorgere del sole e mezzodì, dopo canti di
lode a Dio, viene eseguita la preghiera congregazionale, all’aperto, composta di due
rakàt, preceduta da sei a sedici takbìr (“Allahu Akbàr”, “Dio è il Più Grande”), seguita da
un sermone pronunciato dall’Imam che guida la preghiera.
Seguono momenti di gioia e di felicità, nell’incontro coi fratelli, nello scambio degli
auguri, e nel ringraziare Dio della Sua bontà e generosità. Il Profeta ha detto:
“Colui che digiuna avrà la gioia e la felicità in due occasioni: quando interrompe il
digiuno e quando incontrerà il suo Signore il Giorno del Giudizio”.
L'Imposta Coranica
Il quarto pilastro
L’Islam afferma la necessità dell’uomo di ricercare il benessere materiale e di non
disprezzarlo:
“Cerca i beni che Dio ti ha concesso…” (Corano, 28:77).
Assegna però a questa necessità il suo vero ruolo, ponendo l’accento sul doppio aspetto,
spirituale e materiale, dell’uomo:
“…Ci sono persone che dicono: “Signore dacci le cose buone di questo mondo!”
Questi non avranno parte nell’Altra vita. E ci sono persone che dicono: “Signor
nostro! Dacci le cose buone di questo mondo e le cose buone dell’Altra vita e
allontanaci dal Fuoco!” Questi avranno la parte che si saranno meritati. Dio è
rapido nel conto”. (Corano, 2:200-202).
L’Islam precisa che Dio ha creato tutto ciò che si trova sulla terra e nell’universo, e lo ha
reso disponibile per l’uomo. Doni e favori di Dio sono dunque considerate anche le
ricchezze e i beni posseduti:
“Appartengono a Lui le chiavi dei cieli e della terra. Elargisce generosamente a chi
vuole e a chi vuole lesina. In verità Egli è onnisciente”. (Corano, 42:12).
L’uomo deve quindi trarre vantaggio in modo lecito e ragionevole di quello che ha
ricevuto, gestirlo e amministrarlo con oculatezza e giustizia. La condivisione del
benessere è precisata in termini inequivocabili nel Corano:
“…cosicché non sia diviso fra i ricchi fra voi”. (Corano, 59:7).
L’Islam prende dunque atto che nella società esistono i ricchi e i poveri. Ai ricchi, Dio
impone il dovere di suddividere i loro beni a favore dei poveri, obbligandoli a non
praticare metodi immorali di sfruttamento, a non acquisire le ricchezze con mezzi illeciti,
a non tesaurizzarle e accumularle.
Il comandamento dell’Imposta coranica, in arabo Zakaat, è il quarto pilastro dell’Islam. Il
significato letterale di questa parola araba è “purificazione”. Il Profeta ha detto:
“Dio ha reso obbligatoria la Zakaat semplicemente per purificare ciò che vi resta”.
Pagare questa imposta, una volta l’anno, per ridistribuire una quota delle proprie
ricchezze a coloro che sono nell’indigenza, è un obbligo per tutti i musulmani che ne
abbiano la possibilità. L’Islam ha elaborato nella sua dottrina e fissato nella propria
giurisprudenza le norme relative. La tassa coranica è calcolata sul risparmio annuale o sul
capitale, e può essere versata in denaro o in natura.
In nessun’altra religione esiste qualcosa di simile. I tentativi di suddivisione della
ricchezza messi in atto in molte società moderne, basati su ideologie marxiste, socialiste
o capitaliste, non sono riusciti a risolvere il problema della povertà. In molti casi, hanno
addirittura peggiorato il divario fra i ricchi e i poveri nella stessa società, fra i paesi ricchi
e quelli poveri, fra il mondo occidentale e i paesi del terzo mondo.
La storia dell’Islam durante il periodo dei Califfi Ben Guidati ha dimostrato, invece, che
quando l’istituto dell’Imposta coranica è stato applicato secondo il canone, ha risolto in
modo esemplare il problema della suddivisione della ricchezza fra i membri della
comunità.
Altri significati dati alla parola araba Zakaat, quali “carità”, “prelievo”, “elemosina”,
“tassa per i poveri”, non riflettono lo spirito che muove questa pratica islamica. E’, in
primo luogo, un ordine di Dio, quindi un atto di adorazione. A più riprese, il Corano vi fa
riferimento:
“In verità coloro che avranno creduto e avranno compiuto il bene, avranno assolto
la Preghiera e versato la Tassa coranica, avranno la loro ricompensa presso il loro
Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti”. (Corano, 2:277).
“Alif, Làm, Mìm. Questi sono I versetti del Libro saggio, guida e misericordia per
coloro che compiono il bene, che assolvono la Preghiera e pagano la Tassa coranica
e fermamente credono nell’Altra vita, e che seguono la guida del loro Signore: questi
sono coloro che prospereranno”. (Corano, 31:1-5)
La ridistribuzione della Tassa coranica, secondo il canone islamico, si propone di
affrancare la società dalle tare sociali che l’affliggono, come le differenze sociali, il
classismo, la rivalità, e la corruzione.
Dal punto di vista pratico, lo Stato islamico può assumersi il compito di raccogliere
questa imposta fra i musulmani su cui incombe l’obbligo e ridistribuirla alle categorie di
bisognosi previste dal Corano. Il primo califfo Abu Bakr, dopo la morte del Profeta,
riportò all’ordine coloro che, approfittando della situazione, si rifiutavano di versare
l’Imposta coranica, sostenendo di avere fatto il patto di sottomissione all’Islam solo col
Profeta. Secondo l’Islam, non si possono accettare o rifiutarne certe norme della Legge,
secondo i propri comodi e interessi.
Spetta dunque al singolo individuo essere coscienzioso e prelevare l’Imposta coranica dai
suoi averi, ovunque si trovi, anche lontano da uno stato islamico. Può distribuirla ad altri
musulmani bisognosi colà residenti, secondo le priorità fissate dal Corano, oppure
versarla alle associazioni islamiche che possono provvedervi.
Il Corano fa riferimento alla ricchezza come alla munificenza e alla generosità di Dio:
“Egli è Colui che ha creato i cieli e la terra e dal cielo ha fatto scendere per voi
un’acqua per mezzo della quale Noi abbiamo fatto germogliare giardini rigogliosi i
cui alberi voi non sapreste far germogliare”. (Corano, 27:60).
La ricchezza deve essere però prodotta e acquisita lecitamente, e ripartita secondo le
regole divine. Riguardo alla sua acquisizione, il Corano e la Sunna sono molto espliciti: i
guadagni di provenienza illecita sono dei segni di disobbedienza a Dio.
E’ un diritto del povero usufruire dell’Imposta coranica, e un dovere del benestante
provvedervi. Come per ogni altro atto di devozione islamico, è imperativo che colui che
dà, come colui che riceve, siano uomini sinceri, convinti di osservare un comandamento
di Dio:
“Egli è Colui che vi ha costituiti eredi della terra e vi ha elevato di livello, gli uni
sugli altri, per provarvi in quel che vi ha dato. In verità il tuo Signore è rapido nel
castigo, in verità è perdonatore, misericordioso”. (Corano, 7:165).
L’Islam raccomanda all’abbiente ad essere magnanimo, ed al bisognoso ad osservare la
moderazione nel pretendere. Insegna ad essere caritatevole e generoso, a rinunciare
all’orgoglio del potere, ai piaceri mondani, e a non disprezzare e provare avversione per il
bisognoso. Insegna a quest’ultimo a non provare astio e invidia, ad avere pazienza e
fiducia, e soprattutto a sforzarsi di migliorare.
L’Islam non considera un uomo migliore di un altro per le sue fortune o per la sua
posizione. Più valore hanno presso Dio la pietà, il timore e la generosità. Il Profeta ha
detto:
“L’uomo generoso è vicino a Dio, vicino al Paradiso, vicino all’uomo e lontano
dall’Inferno, ma l’avaro è lontano da Dio, lontano dal Paradiso, lontano dall’uomo e
vicino all’Inferno. Un ignorante che è generoso è, infatti, più caro a Dio di un credente
avaro”.
Versare l’Imposta coranica non deve essere motivo per l’uomo ricco di sentirsi superiore
al povero. Deve essere invece riconoscente a Dio per avere aiutato i bisognosi, purificato
i suoi beni, e obbedito sperando nel perdono dei peccati.
L'aplicazione
Questa tassa è obbligatoria sul denaro, il commercio, l’agricoltura e il bestiame. Le regole
relative differiscono alquanto.
Quelle riguardanti il bestiame e l’agricoltura, per esempio, sono molto più articolate e
particolareggiate: al di sopra di una certa entrata minima non imponibile, il contadino
deve consegnare un decimo del raccolto. Questa quantità vale, ad esempio, se
l’irrigazione avviene con la pioggia, l’acqua sorgiva o quella di un fiume o di un bacino.
Se l’acqua è invece presa da pozzi lontani e trasportata con fatica e mezzi dispendiosi,
solo la metà di questa tassa è da versare.
L’Imposta coranica sul denaro, il commercio, l’industria, lo sfruttamento minerario, è
dell’ordine del 2,5%. Deve essere prelevata dopo che ogni spesa sia stata inclusa e
considerata nel bilancio totale.
La somma versata differisce dunque secondo i redditi. La percentuale citata è l’obbligo
minimo, ma non esiste un tetto massimo. Il musulmano non deve però privarsi
dell’essenziale o sottrarre il necessario alla propria famiglia, affinché le sue necessità
basilari siano sempre salvaguardate. Oltre l’obbligo minimo prescritto, più lui versa, più
grande è il beneficio che lui e il beneficiario otterranno.
I beneficiari dell'Imposta coranica
Coloro che hanno diritto ai proventi dell’Imposta coranica sono indicati nel Corano:
“Le elemosine sono per i bisognosi, i poveri, per quelli incaricati di raccoglierle, per
quelli di cui bisogna conquistare i cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli
pesantemente indebitati, per la lotta sul sentiero di Dio e per il viandante. Decreto di Dio!
Dio è saggio, sapiente”. (Corano, 9:60).
Queste otto categorie di beneficiari sono valide tuttora.
1. I bisognosi, che, in ragione di qualche disgrazia o calamità, hanno perduto tutto.
2. I poveri, che si trovano nell’impossibilità o nell’incapacità di lavorare e che non
posseggono il denaro sufficiente per sostenere se stessi e le loro famiglie. A questa
categoria appartengono pure coloro che lavorano per la causa di Dio e che non possono
mantenersi. La priorità nella distribuzione va a coloro che non ne hanno fatto domanda,
seguiti da quelli che l’hanno fatta.
3. Gli esattori, che raccolgono l’Imposta coranica. I loro salari devono essere prelevati da
questi fondi. Secondo certe autorità in materia di giurisprudenza islamica, a questa
categoria appartengono, oltre ai lavoratori addetti alla raccolta, gli addetti alla
distribuzione.
4. I convertiti, che hanno abbracciato l’Islam e che, per ritorsione, hanno perso i loro
beni.
5. Coloro che non sono liberi, ovvero i musulmani in cattività e i prigionieri di guerra. Il
loro riscatto deve essere pagato coi fondi provenienti dall’Imposta coranica.
6. I debitori, che non arrivano ad onorare i debiti contratti in momenti difficili. Coloro
che, ad esempio, si sono indebitati in progetti stravaganti, per la passione del gioco o per
un matrimonio sfarzoso, non rientrano in questa categoria.
7. I viaggiatori, che si trovano in un paese straniero per motivi leciti. Possono essere
emigrati per motivi di lavoro, di studio, di commercio o per diffondere l’Islam. Il denaro
raccolto può essere versato anche a qualche organizzazione che s’incarichi della
distribuzione agli aventi diritto.
8. Gli impegnati per la causa di Dio, che sono:
-
i combattenti in difesa dell’Islam;
-
i lavoratori per la diffusione dell’Islam;
-
i ricercatori, gli scienziati e gli studiosi;
le organizzazioni islamiche operanti per la comunità, quali gli ospedali, gli istituti
scolastici, le biblioteche, le moschee, e tutte le organizzazioni che lavorano ovunque per
la diffusione e la conoscenza dell’Islam.
I familiari, moglie, figli e parenti stretti, e i dipendenti di un contribuente non possono
essere i beneficiari della sua Imposta coranica.
L’imposta sul reddito non può essere compresa nell’Imposta coranica.
Un contribuente non deve mai vantarsi di avere versato ciò che gli compete e per aver
fatto il proprio dovere. Se la sua popolarità e il suo nome possono servire ad incitare gli
altri a non sottrarsi, ciò è ammesso.
Non è assolutamente necessario informare il beneficiario. Esistono persone sensibili, che
potrebbero rifiutarsi di accettare un aiuto. E’ pure saggio non divulgarne la fonte. Il
contribuente deve servirsi del proprio discernimento per ricercare i più bisognosi e
meritevoli, secondo le indicazioni della legge islamica.
L’Imposta coranica può essere distribuita direttamente alle persone scelte fra quelle che
ne hanno diritto, oppure tramite organizzazioni specifiche. Nello Stato islamico, può
essere raccolta da un ente statale, un dipartimento speciale del governo islamico, che
assicura la ridistribuzione secondo le indicazioni coraniche specifiche.
Oggigiorno, particolarmente in paesi non musulmani, l’obbligo di versare l’Imposta
coranica è una faccenda personale del musulmano: egli deve essere pienamente cosciente
del proprio dovere e non deve sottrarvisi. In tali paesi, può essere distribuita direttamente
a quei musulmani che si trovano nel bisogno. Può essere anche versata a specifiche
organizzazioni islamiche a carattere umanitario, che operano in differenti paesi.
La carità
La seconda forma di ridistribuzione della ricchezza è la carità. L’Imposta coranica
annuale obbligatoria è diversa dalla carità, che è un gesto volontario d’altruismo, di bontà
e di soccorso molto raccomandato ed altamente meritorio, da eseguirsi da tutti, in
qualsiasi momento, anche quando si sia nella ristrettezza.
Importante è soprattutto l’aspetto morale legato alla ridistribuzione della ricchezza: in
termini vigorosi, l’Islam insegna, ad esempio, che mendicare è un atto deprecabile, e un
motivo di vergogna. Il Profeta ha detto: “La mano che sta sopra è migliore di quella che
sta sotto”.
Educa i bisognosi ad essere pazienti, poiché la povertà è una prova per la fede, uno
stimolo a migliorarsi e a non provare invidia e risentimento nei confronti dei più abbienti.
Educa i ricchi all’altruismo, alla bontà, alla suddivisione della ricchezza, alla ricerca della
giustizia e della pace sociale, perché anche la ricchezza è una prova di Dio. L’Islam
elogia coloro che soccorrono i bisognosi, perché il Profeta ha ricordato che il migliore
degli uomini è colui che preferisce il suo prossimo a se stesso.
Egli ha però, contemporaneamente, proibito lo sperpero, la prodigalità e la generosità
insensata, così come ha messo in guardia i musulmani contro l’avarizia. Un giorno, un
compagno malato disse al Profeta: “Messaggero di Dio! Sono un uomo ricco e voglio
lasciare tutti i miei beni alla causa dei poveri”. Il Profeta gli rispose: “No, è meglio che tu
lasci ai tuoi parenti prossimi di che vivere indipendenti, piuttosto che lasciarli
mendicare”, e gli accordò di lasciare solo un terzo dei suoi averi per i poveri, dicendo:
“Anche un terzo è molto!”.
Il Profeta incontrò un giorno uno dei suoi compagni dall’aspetto dimesso e pietoso. Alla
sua richiesta di spiegazioni, rispose: “Messaggero di Dio! Ho quanto serve, ma preferisco
darlo ai poveri, piuttosto che usarlo per la mia persona”. Il Profeta rispose: “No, Dio ama
vedere sul suo servo i segni di ciò che gli ha concesso”.
L’Islam invita a dare prova della propria disponibilità e generosità, e della
preoccupazione e volontà di aiutare i fratelli più poveri nelle loro necessità, privandosi
anche di ciò cui si tiene di più, specialmente del sovrappiù:
“Non avrete la vera pietà finché non sarete generosi con ciò che più amate. Tutto
quello che donate, Dio lo conosce”. (Corano, 3:92).
“…E ti chiedono: “Cosa dobbiamo dare in elemosina?” Dì: “Il sovrappiù”. Così
Dio vi espone i Suoi segni, affinché meditiate”. (Corano, 2:219).
“O voi che credete, elargite le cose migliori che vi siete guadagnati e di ciò che Noi
abbiamo fatto spuntare per voi dalla terra. Non scegliete appositamente il peggio,
ciò che voi accettereste soltanto chiudendo gli occhi”. (Corano, 2:267).
Il Profeta ha consigliato: “Figli di Adamo! Donare al di là dei vostri bisogni è meglio per
voi, trattenerlo è peggio per voi. Ma non sarete biasimati per esservi assicurati ciò che vi
necessita. Date per primi a coloro che dipendono da voi”;
“Donate senza restrizione, affinché Dio non restringa i suoi favori nei vostri confronti;
non accumulate, affinché Dio non vi privi dei suoi benefici; donate anche il poco che
potete”;
“La miglior carità è quella che fa la mano destra e che la mano sinistra ignora”.
Insegna dunque l’Islam a donare con discrezione, per rispettare la dignità del ricevente e
salvaguardare la segretezza, affinché la carità non si trasformi in pubblicità, o peggio in
una dimostrazione di supremazia e di superbia:
“O voi che credete, non vanificate le vostre elemosine con rimproveri e vessazioni,
come quello che dà per mostrarsi alla gente e non crede in Dio e nell’Ultimo Giorno.
Egli è come una roccia ricoperta di polvere sulla quale si rovescia un acquazzone e
la lascia nuda. Essi non avranno alcun vantaggio dalle loro azioni. Dio non guida il
popolo dei miscredenti”. (Corano, 2:264).
La carità comincia coi parenti prossimi, poi con quelli più lontani, quindi coi vicini
bisognosi, coi poveri della comunità, con le vedove, gli orfani, i debitori, i viandanti,
coloro che lottano ed emigrano per la causa di Dio, ossia con tutti coloro che vivono nella
ristrettezza e nel bisogno e che spesso, per dignità, non lo danno a vedere:
“Ti chiederanno: “Cosa dobbiamo dare in elemosina?” Dì: “I beni che erogate siano
destinati ai genitori, ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai viandanti diseredati. E Dio
conosce tutto il bene che fate”. (Corano, 2:215).
“Date ai poveri che sono assediati per la causa di Dio, che non possono andare per il
mondo a loro piacere. L’Ignorante li crede agiati perché si astengono dalla
mendicità. Li conoscerai per questo segno, che non chiedono alla gente
importunandola. E tutto ciò che elargirete nel bene, Dio lo conosce”. (Corano, 2:273).
In conclusione, è bene rilevare che la carità non si limita soltanto al denaro. Essa
comprende anche l’impegno costante col proprio tempo, l’interesse dimostrato, la fatica,
e il supporto morale dato, col rendere visita ai malati, assistere ai funerali, consolare la
famiglia addolorata, perché sono atti di bontà e di misericordia che sviluppano la
fratellanza nella comunità.
Quando l’aiuto non può essere dato materialmente, deve essere dato con le buone parole,
col sostegno morale e con l’incoraggiamento. E’ carità pregare Dio per i fratelli nel
bisogno, come lo è essere generosi nel perdono e nella condivisione delle loro pene:
“Le buone parole e il perdono sono migliori dell’elemosina seguita da vessazioni. Dio
è Colui che non ha bisogno di nulla, è indulgente”. (Corano, 2:263).
Numerosi Hadith mettono l’enfasi sul significato della carità. Così si è espresso il
Profeta: “Se sorridi incontrando tuo fratello, gli raccomandi ciò che è bene, lo metti in
guardia contro il male, o guidi chi ha preso una strada sbagliata, aiuti il cieco sul suo
cammino, togli dalla via un oggetto pericoloso, o fai deviare la tua acqua nella fonte del
tuo fratello, tutte queste azioni sono considerate come carità”.
“Ogni azione di bontà è carità”.
Tasse statali
Il Corano non ha invece promulgato e fissato delle direttive per le entrate dello Stato e
per la sua politica economica. Nel rispetto scrupoloso della pratica del Profeta e dei suoi
successori immediati, il silenzio del Corano è interpretato come una possibilità lasciata ai
governanti di fissare delle regole per le proprie entrate, secondo le circostanze. Queste
devono essere assolutamente separate e sganciate dall’Imposta coranica vera e propria, e
dagli scopi che essa si prefigge, consentendo quindi agli stati di legiferare in proposito
alle entrate erariali, tenendo costantemente presente l’interesse principale della
collettività.
Ai tempi del Profeta, la dogana prelevava, ad esempio, la decima sui prodotti che vi
transitavano, a titolo dei diritti d’importazione, ma è interessante notare che il califfo
Omar ridusse questa tassa della metà per certe categorie di derrate che erano destinate a
Medina. Quest’autorevole precedente storico chiarisce la flessibilità dei principi della
politica finanziaria islamica.
A quel tempo, si tassavano le mandrie d’ovini, bovini e cammelli, meno quelli che si
nutrivano sui pascoli pubblici, sempre tenendo conto di un’entrata minima esonerata
dall’imposta. Erano pure esonerati dalla tassazione gli animali utilizzati per il trasporto, i
lavori agricoli e l’irrigazione.
Un’imposta statale aggiuntiva del 2,5% sull’oro e sull’argento obbligava poi a far fruttare
i propri beni, a non ammassarli e tesaurizzarli, e garantiva allo stato delle entrate che
dovevano essere impiegate a beneficio della collettività.
Il Pellegrinaggio
Quinto Pilastro dell'Islam
Il Pellegrinaggio, in arabo “Hajj”, significa “lasciare la propria dimora per uno scopo
specifico”. In questo caso, “lo scopo specifico” si riferisce al Pellegrinaggio alla Mecca,
nel periodo prescritto per il Hajj. Il Pellegrinaggio si basa su versetti del Corano (2:196203, 5:98-100 e 22:27-32) e sugli insegnamenti del profeta Muhammad nella Sunnah.
Il Pellegrinaggio, come Pilastro dell’Islam, rappresenta una manifestazione di adorazione
nella sua forma più elevata, nello spirito di sottomissione totale a Dio. Il Profeta ha detto:
“Coloro che compiono il Hajj o la ‘Umrah sono delle genti venute a rendere visita a
Dio (cioè, sono venute con l’unica intenzione di pregare Dio). Se essi L’implorano, Egli
risponderà loro. Se essi Gli chiedono misericordia, Egli perdonerà loro.”
Il Pellegrinaggio alla Mecca è obbligatorio almeno una volta nella vita per ogni
musulmano, uomo e donna, in grado di soddisfare delle condizioni e dei requisiti ben
precisi, quali l’essere sani di mente, in buona salute, liberi da ogni debito, ed avere le
risorse finanziarie non solo per affrontare il viaggio e la permanenza nei luoghi santi, ma
anche per sostenere adeguatamente la propria famiglia durante l’assenza:
“...Spetta agli uomini che ne hanno la possibilità di andare, per Dio, in
pellegrinaggio alla Casa...”. Corano, 3:97.
Se un musulmano muore senza aver osservato l’obbligo del Pellegrinaggio, uno qualsiasi
dei suoi parenti, o dei suoi dipendenti, o qualsiasi altra persona da lui scelta, può
eseguirlo per suo conto, purché siano soddisfatte, al momento della sua morte, le
condizioni accennate più sopra. Anche una persona malata o inferma, può incaricare
qualcun altro di compiere il Pellegrinaggio al suo posto.
Il Pellegrinaggio commemora l’istituzione dell’adorazione al Dio Unico, la nascita
dell’Islam, la distruzione dell’idolatria e il sacrificio di Abramo e Ismaele.
Lo spirito del Pellegrinaggio è quello del sacrificio totale del proprio egoismo, dei piaceri
mondani, delle proprie ricchezze e dell’orgoglio del proprio rango, in ricordo del
sacrificio del figlio Ismaele, accettato senza tentennamenti da Abramo, così ricordato nel
Corano:
“Signore, donami un figlio devoto”. Gli demmo la lieta novella di un figlio
magnanimo. Poi, quando raggiunse l’età per accompagnare suo padre, questi gli
disse: “Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne
pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Dio vuole, sarò
rassegnato”. Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a
terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi
ricompensiamo quelli che fanno il bene. Questa è davvero una prova evidente”. E lo
riscattammo con un sacrificio generoso. Perpetuammo il ricordo di lui nei secoli.
Pace su Abramo.” Corano, 37:100-109.
Il Pellegrinaggio unisce tutti i musulmani del mondo, di lingue, costumi, e stato sociale
diversi, che accorrono e compiono i riti del Pellegrinaggio, allo scopo di glorificare Dio.
Il Pellegrinaggio dimostra che tutti gli uomini possono restare uniti senza distinzione
alcuna, nello spirito dell’obbedienza e della sottomissione completa al Creatore
dell’universo e come tutti gli esseri umani siano uguali davanti a Dio.
La Mecca e la Ka'aba
La Mecca si trova in un’arida valle, circondata da colline pietrose. Il clima è caldo e
secco. Le sue condizioni climatiche ne fanno un luogo poco confortevole. Divenne nel
tempo il centro culturale e letterario dell’Arabia, ma deve la sua importanza storica alla
presenza della Ka’aba, alla storia di Abramo e Ismaele, alla nascita del profeta
Muhammad, alla rivelazione del Corano e alla sua predicazione.
L’Inviato di Dio nacque, infatti, alla Mecca ma, per sfuggire alla morte, si trasferì a
Medina, 225 miglia a nord ovest, dove fu accolto con grande spirito di fratellanza con i
suoi compagni. Da là guidò il primo Stato Islamico e la conquista di Mecca all’Islam. A
Medina morì ed è sepolto.
La parola “Ka’aba” significa “edificio cubico”. E’ una costruzione alta circa 15 metri ed
ha una base di circa 12 metri per 13. E’ coperta da un immenso paramento (Kiswa) verde
scuro, ricamato tutt’intorno di versetti coranici in fili d’oro. La Ka’aba è anche
conosciuta come la più “antica Casa di culto” (Baitul-Atiq), la “Moschea Sacra” (alMasjid al-Haram) e la “Casa di Dio” (baitul-lah). I musulmani, in qualsiasi parte del
mondo si trovino, si rivolgono in direzione della Ka’aba, per eseguire le cinque preghiere
quotidiane, secondo quest’ingiunzione coranica:
“...Volgiti dunque verso la Moschea Sacra. Ovunque siate, rivolgete il volto nella sua
direzione...”. Corano, 2:144.
La direzione verso la Ka’aba è conosciuta come la “qibla”.
La Ka’aba fu innalzata da Abramo e Ismaele su ordine di Dio, come baluardo contro
l’idolatria e come meta di pellegrinaggi:
“Stabilimmo per Abramo il sito della Casa...” . Corano, 22:26;
“...O signor nostro, accettala da noi! Tu sei Colui che tutto ascolta e conosce!”.
Corano, 2:127;
“E ricorda quando Abramo disse: “O mio Signore, rendi sicura questa contrada e
preserva me e i miei figli dall’adorazione degli idoli.”. Corano, 14:35;
“...E stabilimmo un patto con Abramo e Ismaele: ‘Purificate la mia Casa per coloro
che vi gireranno attorno, vi si ritireranno, si inchineranno e si prosterneranno”.
Corano, 2:125.
Tuttavia, col passare del tempo, l’unicità di Dio, il concetto di sottomissione, e l’aspetto
spirituale del Pellegrinaggio, gradualmente si affievolirono nell’animo degli uomini, col
rifiorire dell’idolatria e dei suoi costumi. Ai tempi del Profeta, c’erano ben 360 idoli
presso la Ka’aba e pochissimi adoratori del Dio Unico. I pellegrinaggi alla Mecca si
erano ormai trasformati in una fonte di guadagni illeciti. Quando i suoi abitanti si
convertirono e ritornarono al culto dell’Unico Dio, nell’anno 8 dell’Egìra, il Profeta
sgombrò la Ka’aba dagli idoli e fece rivivere il Pellegrinaggio, secondo gli ordini divini.
Il Pellegrinaggio, Hajj
Il Pellegrinaggio, Hajj, si svolge nei giorni 8, 9 e 10 di Dhul-Hijja, il dodicesimo mese
dell’anno islamico, secondo riti stabiliti dal Profeta.
Il pellegrino entra dapprima nello stato di sacralizzazione, esegue la circoambulazione
della Ka’aba e la processione fra le due colline di Safa e Marwa, all’interno del
complesso della Sacra Moschea alla Mecca. Deve recarsi quindi a Mina, poi ad Arafat e
a Muzdalifah e di nuovo a Mina per la lapidazione di Satana, e per il sacrificio dei
montoni in occasione della Festa del Sacrificio. Raggiunge poi la Mecca per la
circoambulazione dopo la lapidazione di Satana, quindi ritorna nuovamente a Mina, per
poi concludere il Pellegrinaggio alla Mecca con la circoambulazione dell’addio.
Il Pellegrinaggio minore, 'Umrah
I musulmani che visitano la Mecca, non importa in quale periodo dell’anno, possono
compiere il Pellegrinaggio minore, ‘Umrah. I rituali relativi coincidono con quelli della
prima parte del Pellegrinaggio, Hajj.
Il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione e inizia i riti accedendo alla Moschea
Sacra per il tawaf al-qudum, la circoambulazione dell’arrivo, che consiste in sette giri
attorno alla Ka’aba.
Dopo aver eseguito una preghiera di due rak’at, il pellegrino si dirige verso la collina di
Safa, per compiere il sa’ai, il tragitto tra le due colline di Safa e Marwa, all’interno del
complesso della Moschea Sacra, da effettuarsi sette volte.
Al termine, si rade il capo, o si taglia qualche ciocca di capelli. Il pellegrino sveste poi
l’ihram, e termina il Pellegrinaggio minore ritornando alla sua vita normale.
I riti del Pellegrinaggio
Esistono tre tipi di Pellegrinaggio, Hajj:
Pellegrinaggio con pausa, Hajju-at-Tamattu: il pellegrino si può recare in anticipo alla
Mecca, già dall’inizio del mese di Shawwal, entrare nello stato di sacralizzazione,
compiere il Pellegrinaggio minore, uscirne ed attendere i giorni del Pellegrinaggio. I tre
ultimi mesi dell’anno islamico, Shawwal, Dhul-Q’udah e Dhul-Hijjah nei primi dieci
giorni, sono il periodo specifico per questo Pellegrinaggio. Praticamente, esegue prima il
Pellegrinaggio minore, per poi rientrare da Mecca nello stato di sacralizzazione,
all’ottavo giorno del mese di Dhul-Hijjah, per il compimento dei riti del Pellegrinaggio.
Pellegrinaggio combinato, Hajj-al-Qiran: il pellegrino entra nello stato di
sacralizzazione per l’esecuzione contemporanea sia della ‘Umrah che del Pellegrinaggio,
senza uscire dallo stato di sacralizzazione, fino al compimento del Giorno del Sacrificio,
il 10 di Dhul-Hijjah. Può anche entrare nello stato di sacralizzazione per la ‘Umrah e,
prima di iniziare la circoambulazione dell’arrivo, manifestare l’intenzione anche per il
Pellegrinaggio.
Pellegrinaggio singolo, Hajj-al-Ifrad: il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione,
da una stazione prescritta, o dalla Mecca, se già vi risiede, oppure da un posto differente
della stazione prescritta, se ha recato con sé l’animale per il sacrificio, rimanendo nell’
ihram fino al Giorno del Sacrificio. Senza un animale per il sacrificio, deve eseguire il
Pellegrinaggio minore, uscire dallo stato di sacralizzazione e rientrarvi all’8 di DhulHijja.
I riti del Pellegrinaggio sono descritti qui di seguito, nell’ordine esatto nel quale devono
essere eseguiti.
Lo stato di sacralizzazione, Ihram
Prima di arrivare alla Mecca, il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione in una delle
cinque stazioni prescritte, attraverso le quali deve obbligatoriamente passare sulla strada
che conduce alla Mecca. Manifesta intimamente l’intenzione, fa un bagno completo,
ghusl, o solo l’abluzione, si profuma, e dopo aver indossato l’ihram esegue una preghiera
di due rak’at.
Arrivando con l’aereo, entra nello stato di sacralizzazione sull’aereo. Se risiede fra la
Mecca ed una stazione, entra nello stato di sacralizzazione nel luogo di residenza.
L’ihram indossato dall’uomo, è composto di due teli bianchi senza cuciture, izar e rida,
uno per coprire la parte inferiore del corpo fino alle caviglie, e l’altro per coprire la parte
superiore. Per le donne, non c’è un ihram specifico. Non devono profumarsi, devono
indossare degli abiti lunghi e puliti, e coprire tutto il corpo fino alle caviglie. E’
obbligatorio che si coprano il capo.
Lo stato di sacralizzazione, simbolizza la rinuncia al materialismo, nello spogliarsi e nello
sbarazzarsi di ogni ornamento, i pellegrini sono tutti uguali davanti a Dio, senza
differenze che li possano distinguere.
Per la durata dello stato di sacralizzazione, ai pellegrini è vietato:
- portare abiti con cuciture;
- portare gioielli;
- coprirsi il capo;
- profumarsi. E’ permesso lavarsi il corpo, a condizione di utilizzare un sapone non
profumato;
- tagliarsi le unghie;
- togliersi più di tre capelli o di tre peli, con qualsiasi mezzo, quale la depilazione, la
rasatura od anche il semplice colpo di accorciamento;
- Avere rapporti sessuali; anche gli amoreggiamenti, i baci, i fidanzamenti sono
rigorosamente vietati. La soddisfazione del desiderio comporta come conseguenza
l’annullamento del Pellegrinaggio;
- Cacciare e uccidere animali terrestri, all’esclusione degli animali e degli insetti nocivi,
quali mosche, moscerini, ecc., oppure che possano mettere in pericolo la vita stessa, quali
serpenti e scorpioni.
- tagliare degli alberi, piante verdi, o saccheggiare vegetali nell’insieme del territorio
sacro. E’ autorizzata solo la raccolta di sterpaglie secche.
- commettere atti di violenza, discutere o litigare con chicchessia.
Dopo aver indossato l’ihram, i pellegrini recitano e ripetono la talbiyyah, la risposta alla
chiamata di Dio, gli uomini ad alta voce e le donne sottovoce:
“Labbayk, Allahumma. Labbayk. Labbayk. La shareeka laka. Labbayk. Innal-hamda
wan-n’imata laka wal-mulk. La shareeka lak’.” (“Eccomi al Tuo servizio, O Signore,
eccomi. Eccomi. Tu non hai soci. Eccomi. In verità, Tua è la lode ed il favore, ed il
dominio. Tu non hai soci.”)
La circoambulazione, Tawaf
Entrato nel grande spiazzo che circonda la Ka’aba, all’interno della Moschea Sacra alla
Mecca, il pellegrino deve compiere la circoambulazione dell’arrivo, sette giri attorno alla
Ka’aba, iniziando e terminando ogni giro in corrispondenza della Pietra Nera, incastonata
in un angolo della Ka’aba. Deve toccarla ad ogni giro, ma se fosse impossibile, è
sufficiente che da lontano faccia un cenno col braccio teso nella sua direzione. Durante la
circoambulazione, il pellegrino loda e supplica Dio, seguendo una guida, oppure con le
proprie parole.
Dopo aver completato la circoambulazione, il pellegrino esegue una preghiera di due
rak’at nei pressi della Stazione di Abramo e si dirige verso le due colline di Safa e Marwa
poco distanti, ormai conglobate nel complesso della Sacra Moschea.
La processione fra as-Safa e al-Marwa, Sa'ai
Il Profeta Abramo, su ordine di Dio, aveva lasciato la moglie Agar ed il figlioletto
Ismaele nella valle desertica di Bakka, dove sorse la Mecca. Prestissimo, il piccolo
Ismaele incominciò a risentire gli effetti della sete. Agar, disperata, corse avanti e indietro
fra le due collinette di Safa e Marwa, alla ricerca di un po’ d’acqua. Quando ritornò
presso il figlio, vide dell’acqua che sgorgava proprio in quel punto. Molto presto, una
tribù di nomadi si stabili presso la sorgente miracolosamente formatasi, chiamata
Zamzam, tuttora esistente.
Nel tempo se ne perse la dislocazione, ma fu in seguito ritrovata dal nonno del Profeta
Muhammad, Abdul Muttalib. Questi fu informato dell’esatta posizione in sogno. La
sorgente di Zamzam si trova fra la Ka’aba e le due colline di Safa e Marwa, all’interno
del complesso della Sacra Moschea.
Il pellegrino si avvia verso la collina di Safa e vi sale. Rivolgendosi verso la Ka’aba,
recita il takbir tre volte e supplica Dio. Discende quindi da Safa, percorrendo il tratto che
conduce verso Marwa. Salitovi, loda Dio rivolto verso la Ka’aba, come ha fatto sulla
sommità di Safa, rifà il percorso in senso inverso, e così via fino al compimento del
settimo tratto, a Marwa.
Chi sta eseguendo il Pellegrinaggio minore, lo termina radendosi il capo o tagliandosi
alcune ciocche di capelli.
Il giorno 8 di Dhul-Hijja, il primo giorno del Pellegrinaggio, il pellegrino che intende
effettuarlo, proseguirà coi riti descritti qui di seguito.
'Arafat e Muzdalifah
Il giorno 8 di Dhul-Hijjah hanno inizio i riti esclusivi del Pellegrinaggio.
Il pellegrino si reca a Mina, un villaggio fra la Mecca e il monte ‘Arafat, dove sosta ed
esegue le preghiere agli orari prescritti, accorciando quelle di quattro rak’at (Dhur, ‘Asr e
‘Isha) a due rak’at, senza unirle fra loro.
Dopo il sorgere del sole, il nono giorno di Dhul-Hijja, si mette in marcia in direzione del
Monte ‘Arafat, a circa 13 miglia dalla Mecca, a piedi o con un mezzo. La vallata è tanto
vasta da poter accogliere tutti i pellegrini. Le preghiere del Dhur e dell’Asr sono recitate
unite ed accorciate. Il Profeta ha detto:
“Le migliori preghiere sono quelle recitate in quel giorno ad ‘Arafat.”
Rimane nei pressi di ‘Arafat fin dopo il tramonto, sempre recitando lodi a Dio, poi si
dirige verso Muzdalifah, a circa 5 miglia di distanza, dove esegue le preghiere del
Maghrib e del ‘Isha combinate, accorciando la ‘Isha a due rak’at, prima di prepararsi per
trascorrervi la notte.
Il mattino seguente, il 10 di Dhul-Hijja, recita la preghiera del Fajr, seguita da suppliche a
Dio.
Mina
Il mattino stesso, 10 di Dhul-Hijja, il pellegrino si reca a Mina, il piccolo villaggio fra il
Monte ‘Arafat e la Mecca. Alle donne ed alle persone deboli è permesso lasciare
Muzdalifah e recarsi a Mina in qualsiasi momento dopo la mezzanotte.
Prima di lasciare Muzdalifah, il pellegrino può raccogliere e recare con sé sette sassi da
usare per la lapidazione di Satana A Mina vi sono tre stele di pietra, che simboleggiano e
ricordano l’episodio in cui Satana aveva tentato per tre volte Ismaele, perché si ribellasse
al padre Abramo, che lo stava conducendo verso il sacrificio, richiesto da Dio. In
quell’occasione, Ismaele scacciò Satana a colpi di pietra.
I sette sassi raccolti a Muzdalifah, oppure a Mina, dovranno essere lanciati alla stele di
‘Aqabah, la terza stele, quella più vicina alla Mecca, uno dopo l’altro, dicendo “Allahu
akbar” ad ogni lancio. E’ permesso a coloro che sono deboli o malati di incaricare
qualcun altro di lanciare le pietre al posto loro. Costui lancerà per prime le proprie,
seguite dalle pietre della persona che glielo ha richiesto e che sarà presente al momento
del lancio.
La Festa del Sacrificio, Eid-ul-Adha
Dopo di ciò, il pellegrino sacrifica un animale, una pecora, oppure condivide con altri la
settima parte di un cammello, o di un bue, per ricordare Abramo che sacrificò un
montone per ringraziare Dio di avergli risparmiato il sacrificio del figlio Ismaele. Deve
cibarsene e distribuire la maggior parte ai bisognosi.
Si rade quindi il capo o si taglia alcune ciocche di capelli. La rasatura è consigliata agli
uomini, mentre per le donne basta dare una spuntata ai capelli. Ciò determina la fine dello
stato di sacralizzazione, e il pellegrino può rivestire gli abiti soliti. Permane però sempre
il divieto dei rapporti sessuali fra i coniugi, che deve durare fino al compimento della
circoambulazione dopo la lapidazione della stele tawaf al-ifadah o al-ziyarah.
Il pellegrino può recarsi alla Mecca per compiere tale circoambulazione, nello stesso
giorno della Festa.
Dopo di ciò, anche la proibizione dei rapporti sessuali fra coniugi decade.
Il pellegrino deve restare nella valle di Mina per altri due o tre giorni ancora dopo il 10 di
Dhul-Hijja, eseguendo delle preghiere supererogatorie e lapidando, nel pomeriggio, le tre
stele di Satana. Può recarsi alla Mecca e rientrare ogni sera a Mina, ma deve rimanere a
Mina almeno per le due notti seguenti la decima notte di Dhul-Hijja. Può ritardare il
tawaf al-ifadah fino alla fine dei giorni che si devono passare a Mina, e recarsi alla Mecca
solo dopo aver eseguito la lapidazione delle tre stele.
Il tredicesimo giorno di Dhul-Hijja, tutti i riti del Pellegrinaggio sono completati. Da
questo momento, chi decidesse di rientrare al proprio paese, prima di lasciare la Mecca,
deve eseguire il tawaf al-wida, la circoambulazione dell’addio. Nessuno è esentato da
questo obbligo, eccetto le donne in mestruazione o nel periodo del dopo parto.
La Festa del Sacrificio, che fa parte dei riti del Pellegrinaggio, è celebrata da tutti i
musulmani, nello stesso giorno, in ogni parte del mondo. Coloro che possono sacrificare
un animale lo fanno e distribuiscono poi la carne fra i poveri e gli indigenti. Il resto è
distribuito fra la famiglia ed i parenti.
E’ utile sottolineare il fatto che la parola sacrificio, a differenza di quanto praticato in
altre religioni, non ha affatto il significato di espiazione di qualche colpa o peccato.
Nell’Islam, il sacrificio, perpetua il ricordo del gesto di Abramo e la sua sottomissione a
Dio:
“Le loro carni e il loro sangue (delle vittime sacrificali) non giungono a Dio, vi
giunge invece il timor di Lui. Così ve le ha assoggettate affinché proclamiate la
grandezza di Dio che vi ha guidato. Danne la lieta novella a coloro che operano il
bene”. Corano, 22:37.
I pellegrini possono recarsi a Medina, dove si trova la tomba e la Moschea del Profeta, il
cimitero in cui riposano i suoi Compagni. Questa visita non è obbligatoria e non fa parte
integrante dei riti del Pellegrinaggio, ma è molto raccomandata.