I Pilastri dell`Islam
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I Pilastri dell`Islam
I Pilastri dell'Islam A cura di AbdulJalil Randellini In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. L'eredità religiosa di Muhammad I principi dell'Islam Insegnamenti morali Gli articoli di fede I cinque pilastri Il primo pilastro, la Testimonia di fede La preghiera 1. Il secondo pilastro la Preghiera 2. La chiamata 3. Le condizioni 4. L'abluzione 5. Le modalità d'esecuzione della preghiera 6. Circostanze eccezionali 7. Le preghiere superogatorie o volontarie 8. Le preghiere congregazionali o di gruppo 9. La preghiera di venerdì 10. La preghiera della due festività Eid 11. Le preghiera notturne di Ramadan 12. La preghiera funebre 13. Il "Ricordo di Dio", la suplica Il Digiuno 1. Il terzo pilastro 2. Il calendario Islamico e il mese di Ramadan 3. Le regole del Digiuno 4. Esenzioni dal Digiuno 5. Le preghiere serali Tarawih 6. La notte del Destino 7. La battaglia di Badr 8. L'imposta Zakàt-ul-Fitr 9. La festività Eid-ul-Fitr L'Imposta Coranica 1. Il quarto pilastro 2. L'aplicazione 3. I beneficiari dell'Imposta coranica 4. La carità 5. Tasse statali Il Pellegrinaggio 1. Quinto Pilastro dell'Islam 2. La Mecca e la Ka'aba 3. Il Pellegrinaggio, Hajj 4. Il Pellegrinaggio minore, 'Umrah 5. I riti del Pellegrinaggio 6. Lo stato di sacralizzazione, Ihram 7. La circoambulazione, Tawaf 8. La processione fra as-Safa e al-Marwa, Sa'ai 9. 'Arafat e Muzdalifah 10. Mina 11. La Festa del Sacrificio, Eid-ul-Adha L'eredità religiosa di Muhammad L’Islam conserva l’impronta impressagli dal Corano, dalla personalità di Muhammad e dai caratteri propri della cultura araba antica. Influssi estranei non hanno alterato tale peculia-rità, espressasi in uno stile inconfondibile, che costituisce l’originalità dell’Islam nei riguardi della religione, e in generale per la civiltà derivata. Il retaggio che egli lasciò è composito. Vi è quello relativo alla sua persona, vista attraverso gli occhi dei suoi compagni più stretti, la cui testimonianza, trasmessa soprattutto per via orale, ha assunto il suo aspetto definitivo solo molto tempo dopo. A quell’epoca si presentava sicuramente già ampliata di aggiunte, ma fin dai primi tempi coloro che avevano conosciuto e seguito Muhammad cercarono di modellare su di lui il proprio comportamento, sviluppando un tipo di personalità che si ispirasse alla sua. Fin agli inizi della sua vita, fu un uomo onesto in cerca della verità, e successivamente un uomo sconcertato dalla sensazione che una grande responsabilità cadesse su di lui, ansioso di trasmettere ciò che gli era stato rivelato, sempre più fiducioso nella propria missione e consapevole della propria autorità man mano che attorno a lui si radunavano seguaci. Egli fu così un arbitro preoccupato di stabilire la pace e dirimere le controversie alla luce di principi di giustizia che per i credenti erano di origine divina, un uomo che, pur non rinnegando i modi abituali dell’agire umano, si sforzava di porre ad essi i limiti imposti dal volere di Dio. Anche l’immagine e la forma della comunità che egli aveva fondato fu gradualmente elaborata di generazione in generazione. La comunità islamica venera e serba devotamente la memoria del Profeta, cercando di seguirne il cammino e gli insegnamenti, impegnandosi sulla via dell’Islam al servizio di Dio. La cementano l’osservanza dei precetti fondamentali che hanno tutti un aspetto comunitario: i musulmani digiunano durante lo stesso mese, effettuano il pellegrinaggio nello stesso periodo dell’anno e si uniscono nella preghiera cinque volte al giorno, attività quest’ultima che li distingue nel modo più assoluto rispetto al resto del mondo. Su tutto si erge l’eredità del Corano, un libro che delinea in arabo, una lingua dotata di singolare forza e bellezza, la presenza costante di un Dio trascendente, creatore dell’universo, fonte di ogni potenza e di ogni bene. Tratteggia la rivelazione del Suo volere attraverso la serie dei profeti inviati ad ammonire gli uomini per ricondurli all’autentica essenza di creature grate ed obbedienti al loro creatore e sostentatore. Ricorda agli uomini il giudizio alla fine dei tempi e le ricompense e le sanzioni che ne seguiranno. Per l’Islam il Corano è la parola autentica di Dio, rivelata a Muhammad tramite l’angelo Gabriele a diverse riprese e nei modi appropriati alle esigenze della comunità. Molti nonmusulmani non condividono in toto questa convinzione e sostengono che Muhammad abbia ricevuto un’ispirazione divina, che però sarebbe stata da lui mediata ed espressa con parole sue. Esiste però pieno accordo su quando e come esso abbia assunto la sua forma definitiva. A diverse riprese, non appena le riceveva, Muhammad trasmetteva le rivelazioni ai suoi seguaci, i quali le trascrivevano e le serbavano nella propria memoria. Si è pure d’accordo sul fatto che il processo di raccolta delle rivelazioni, di fissazione di un testo unico e della sua redazione definitiva fu concluso solo dopo la morte di Muhammad. Ciò avvenne all’epoca del suo terzo successore a capo della comunità, il califfo ‘Uthman (644-656), anche se qualcuno ha prospettato date più tarde, ed ha insinuato l’introduzione nel testo di elementi estranei alla trasmissione del Profeta. Una questione più importante è quella dell’originalità del Corano. Degli studiosi lo hanno collocato nel contesto delle idee diffuse in quel tempo e luogo. È certo che in esso vi si riscontrano gli echi degli insegnamenti delle religioni precedenti: il monoteismo ebraico nella sua dottrina; riflessi di pietà monastica nelle meditazioni sul giorno del giudizio e nella descrizione del Paradiso e dell’Inferno; episodi biblici in forme diverse da quanto riportato dall’Antico e dal Nuovo Testamento; echi di un susseguirsi di rivelazioni e di profeti inviati a popoli diversi. Non mancano anche le tracce della tradizione araba preislamica: i principi morali che detta continuano per certi aspetti quelli prevalenti in Arabia, mentre per altri studiosi vi è una rottura netta. Per l’Islam, Muhammad è giunto al termine di una successione di profeti che predicarono tutti la medesima verità: se idee o racconti assumono nel Corano una forma diversa, è perché i seguaci dei profeti precedenti distorsero il loro messaggio. Gli studiosi non musulmani che sostengono che il Corano contenga elementi presi a prestito da ciò che era già disponibile a Muhammad in quel tempo e in quel luogo, non si rendono però conto della sua innegabile forza e originalità: le tradizioni della cultura religiosa del tempo subirono una risistemazione ed una trasformazione tale da ricreare ex novo il rapporto uomo-Creatore, il mondo familiare e la società. I principi dell'Islam Secondo il punto di vista islamico, l’intero universo e il genere umano si presentano completamente sottoposti alle leggi stabilite da Dio che ne presiede l’esistenza, secondo la Sua volontà. La consapevolezza che “non esiste altra divinità all’infuori di Dio” è la riconferma del monoteismo, antico quanto il mondo. L’Islam è sceso per ribadire questo concetto: “…Oggi ho reso perfetta la vostra religione, ho completato per voi la Mia Grazia e Mi è piaciuto darvi per religione l’Islam…” (Corano, 5:3). Oltre che una religione, è una comunità di credenti, sottomessi e obbedienti alle regole divine: “Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini, raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Dio”. (Corano, 3:110). Per l’Islam, la natura umana è composta da una parte spirituale e da una materiale, inscindibili e intimamente correlate tra loro. Il comportamento dell’individuo è il risultato del suo patrimonio spirituale, tradotto e sviluppato nella pratica. A differenza di tutto il resto del creato, col possesso dell’intelligenza e del libero arbitrio, può però scegliere e decidere in piena autonomia il proprio operato. Con la libertà di scelta, l’uomo opta se sottomettersi a Dio e alla Sua religione o se trasgredire. Il Profeta ha insegnato che “Nessuno può essere padrone dell’uomo, se non Dio”. Il sopruso e l’ingiustizia, altro non sono che il risultato della trasgressione ai comandamenti divini. Con la testimonianza che “Non c’è non c’è altra divinità all’infuori di Dio e Muhammad è il Suo Profeta”, il musulmano professa che Dio è unico, e prende come esempio di comportamento il profeta Muhammad. Dal Corano, considerato la parola di Dio, e dalla Sunna, la raccolta degli insegnamenti del profeta dell’Islam, è stata elaborata la giurisprudenza islamica, in altre parole la “Sacra legge”, o “Shari’ah”. Essa si prefigge di regolare la vita spirituale e sociale nell’ambito del culto, dei rapporti individuali e collettivi, per quanto concerne la religione e le relazioni famigliari e sociali. Insegnamenti morali Per l’Islam, la fede scaturisce dalla ragione, dalla razionalità e dalla logica e i suoi insegnamenti si basano sul criterio e sulla coerenza. La sottomissione a Dio, l’osservanza dei comandamenti e la pratica dell’Islam s’impostano su queste due caratteristiche. Gli insegnamenti islamici, incitano a praticare il bene, detestare il male, ricercare la verità e la giustizia. La pazienza, l’umiltà, la speranza e il timor di Dio sono considerate tra le migliori virtù. L’Islam vieta determinate cose. Non sempre se ne comprendono le ragioni, ma per i credenti è del tutto naturale obbedire ad una norma divina, nella convinzione che Dio vuole il bene all’umanità. L’Islam pone costantemente l’accento sul rispetto e sull’amore per il prossimo, sulla necessità di invitare al bene ed esecrare il male. La disponibilità, la gentilezza, il perdono, il rispetto e la difesa della libertà e dell’autonomia degli altri, sono doveri, proprio perché i prepotenti hanno sempre privato i deboli e gli indifesi dei loro diritti. Le donne, soprattutto, sono state umiliate nelle loro personalità, private del diritto all’istruzione, all’eredità, e al posto che spetta loro nella società, diritti sostenuti e difesi invece in modo inequivocabile dall’Islam. Muhammad insegnò a rispettare ogni donna. Insegnò a tutti che “le porte del Paradiso si trovano sotto i piedi della madre”. Dopo la morte della prima moglie Khadijah, Muhammad si risposò diverse volte. Tutte le sue mogli, eccetto una, ‘Aisha, erano delle vedove o delle divorziate che egli trattò sempre con equità. Alcuni di questi matrimoni servirono a consolidare l’amicizia fra le varie tribù, altri a dare sostegno alle vedove dei suoi compagni. Il Musulmano deve impegnarsi negli studi e nel lavoro, per approfondire il suo sapere e migliorare la propria condizione. Deve rispettare gli impegni presi, mantenere fede alle promesse, alla parola data e rimborsare i debiti. E’ vietato l’uso di sostanze nocive, di bevande alcoliche e inebrianti, e di droghe, perché dannose alla salute fisica e psichica dell’uomo. Inoltre, non è autorizzato il consumo della carne del maiale, degli animali da preda, dei rettili e dei roditori, delle carogne e del sangue, perché ripugnanti e veicoli di malattie. La scienza moderna è in grado oggi di confermare la loro nocività sulla salute, ma il Musulmano si astiene dal loro consumo, innanzi tutto perché è un ordine divino. Sono, infatti, vietate unicamente le cose nocive alla salute dell’individuo ed al benessere della società, ed è responsabilità sua se ne fa uso o lo facilita. Solo le cose genuine, pure e sane gli sono permesse, così come le buone consuetudini. La vita del Profeta è stata l’esempio della pratica dell’Islam; i suoi insegnamenti morali e i suoi detti, sono stati tramandati di generazione in generazione e compongono la Sunna, da cui l’appellativo di “musulmani sanniti”, per coloro che vi si attengono. Gli articoli di fede Il musulmano professa la sua fede: - in Dio, - negli angeli, - nei libri, - nei profeti, - nel giorno della resurrezione e nella vita eterna, - nel decreto del bene e del male, proveniente da Dio, l’Altissimo. Questi sei punti rappresentano gli articoli di fede dell’Islam. Il musulmano crede che il creatore dell’universo sia Dio, rivolge l’adorazione e la preghiera solo a Lui, ne ricerca l’aiuto e la guida e confida nel Suo perdono e nella Sua misericordia. Crede che Dio oltre al mondo visibile abbia creato il mondo invisibile, cui appartengono gli angeli, puri spiriti che lo glorificano, obbedienti ma non dotati del libero arbitrio, ai quali ha affidato dei compiti specifici nei confronti degli esseri umani. Crede che Dio si sia rivelato agli uomini, dettando i Suoi comandamenti tramite dei libri, le “sacre scritture”. Crede nei profeti, uomini scelti da Dio per la loro dirittura morale e la loro fede, portatori della rivelazione e del messaggio dell’unicità divina. Crede nella vita eterna, nella resurrezione dalla morte e nel giorno del giudizio, perché deve rispondere del proprio comportamento. Infine, è consapevole che quanto avviene nel mondo, e ciò che riceve o tutto ciò che sfugge al suo controllo proviene dal decreto di Dio e dalla Sua volontà. Questa condizione non deve implicare assolutamente un’accettazione passiva e fatalista degli avvenimenti. Al contrario, il musulmano è chiamato ad operare, programmare, impegnandosi secondo gli insegnamenti islamici, prendendo però coscienza che tutto ciò che fa, e il risultato che ottiene, dipendono solo dalla volontà di Dio. I cinque pilastri Nell’Islam, il concetto d’adorazione è vastissimo; non riguarda solo la preghiera, ma tutti gli aspetti della vita e il comportamento individuale e sociale. Ogni azione lecita, eseguita con l’intenzione di obbedire a Dio, è considerata, infatti, un atto di adorazione. Cosciente dell’esistenza di un unico Dio, il musulmano manifesta la sua fede mettendo in pratica dei comandamenti basilari che lo identificano come tale. Si tratta dei cinque pilastri dell’Islam, le regole obbligatorie cui ogni musulmano deve conformarsi: - la testimonianza di fede che “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio e Muhammad è Suo servo e Profeta”; - la preghiera; - l’imposta coranica; - il digiuno del mese di Ramadan; - il pellegrinaggio alla Mecca. I primi due lo impegnano con regolarità e costanza ogni giorno; gli altri in periodi diversi e ben definiti. Ciò che accomuna i cinque pilastri è la loro obbligatorietà e la validità per tutte le latitudini, gli uomini e i tempi. Con la testimonianza di fede si dichiara l’unicità e la sovranità di Dio e la totale dipendenza al Creatore. Secondo l’Islam, l’asservimento a passioni, ideologie, estremismi e fanatismi di ogni tipo rappresenta una deviazione dall’adorazione del Dio unico verso altri interessi e nuovi idoli. Con le cinque preghiere quotidiane si esprime a Dio la lode e la gratitudine e si chiede l’aiuto e il perdono. Col versamento annuale dell’imposta coranica si divide coi poveri e i bisognosi parte dei propri averi e si provvede alle necessità di chi vive nell’indigenza. La storia dell’Islam ha dimostrato come l’imposta coranica, quando applicata secondo i canoni islamici, abbia ridistribuito la ricchezza ed eliminato la povertà. Col digiuno del mese di Ramadan, si condividono le privazioni di chi vi è costretto quotidianamente. L’astensione dal cibo, dalle bevande, dai rapporti sessuali e dai comportamenti illeciti, dall’alba al tramonto, modella il carattere, fa meglio sopportare le privazioni e rinsalda lo spirito comunitario. Infine, nel pellegrinaggio alla Mecca da eseguire almeno una volta nella vita, ci si purifica dalle vanità e dall’ostentazione, senza distinzione di razza, censo o ricchezza, poiché valgono solo la fede, la dirittura morale e il timore di Dio. Il musulmano deve associare la fede con l’azione, il credo con la pratica. I cinque Pilastri rappresentano il campo di formazione della sua identità, in cui plasmare il carattere e il comportamento, sottomettersi e ubbidire a Dio seguendo gli insegnamenti del Corano e della Sunna. Il primo pilastro, la Testimonia di fede “Dì: “Egli Dio è Unico, Dio è l’Assoluto, non ha generato, non è stato generato e nessuno è uguale a Lui”. (Corano, 112). Così il Corano definisce in sintesi il monoteismo puro (tawhìd) professato dall’Islam e da tutti i profeti, dalle origini dell’umanità. Nel proprio intimo, ogni uomo, è convinto che nessuno può essere il creatore di se stesso, e che l’universo e ogni creatura hanno un creatore che a loro provvede. Il monoteismo è basato dunque sulla ragione, che non contrasta con questa convinzione. Solo il monoteismo puro, professato dall’Islam, non legato all’elaborazione astratta e all’invenzione teologica, soddisfa la ragione. Dio è quindi unico, con capacità infinita di volere e di potere; è il creatore dell’uomo al quale promette la salvezza nella sottomissione e nell’ubbidienza ai Suoi comandamenti. La concezione che l’Islam ha di Dio non è antropomorfica, ma deriva dalla qualità dei Suoi 99 attributi, rivelati nel Corano. Così Dio è il Creatore, il Saggio, il Giusto, il Misericordioso, l’Onnipotente, l’Onnisciente, Colui che dà la vita, la morte e la resurrezione agli uomini, l’Essenza dell’esistenza di ciascuno, il Determinatore di tutto, e così via. L’Unicità e l’incondivisibilità del Suo Potere divino, rappresentano il fondamento del monoteismo. Nella testimonianza che “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio“, l’uomo ammette l’unicità di Dio e professa la sua dipendenza dal Creatore. Questa dichiarazione lo rende libero dall’asservimento ad altri uomini e alle proprie passioni, consapevole delle proprie responsabilità di creatura obbediente agli insegnamenti divini. Nell’adorazione di Dio, l’uomo manifesta la propria fede e accetta il monoteismo come l’espressione più naturale della ragione. Così si è espresso Abù Hàmid Muhammad al-Ghazàlì, (1058-111 d.C.), una delle figure più note e rappresentative del mondo islamico e del suo magistero, nella sua opera “L’unicità divina e l’abbandono fiducioso”: “…aver fede significa ritener vero qualcosa, e ogniqualvolta si ritiene vero qualcosa nel proprio cuore questa è scienza, e quando essa si rafforza diviene certezza. Nondimeno, la stessa certezza ha diverse sfaccettature, e noi prenderemo in considerazione solo quelle su cui costruire l’abbandono fiducioso in Dio, ossia: l’Unicità divina (tawhìd), che tu esprimi quando dici: “Non c’è altra divinità tranne Iddio, l’Unico, senza associati”; la fede nella Potenza divina, che esprimi dicendo: “A Lui il Regno”; la fede nella Generosità e nella Saggezza divine, che tu indichi dicendo: “A Lui la Lode!” Colui che afferma: “Non c’è altra divinità che Dio, l’Unico, senza associati, a Lui il Regno e la Lode, Egli è sopra ogni cosa Potente”, costui ha la fede completa, fondamento dell’abbandono fiducioso in Dio – voglio dire che il contenuto di quest’espressione diventa una qualità inseparabile del suo cuore e lo pervade, dominandolo”. Professando che: “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio, e Muhammad è Suo servo e profeta” il credente entra nell’Islam e diventa musulmano. Questa Testimonianza o Professione di Fede è la dichiarazione che egli si sottomette e obbedisce coscientemente e con piena responsabilità alle regole imposte dal suo Creatore, in Lui ripone la propria fiducia, perché dopo la morte e la resurrezione, sarà giudicato per ciò che ha fatto in vita. Si assoggetta quindi consapevolmente alle regole divine e prende per maestro di vita solo Muhammad, il profeta che conclude la missione profetica verso l’umanità, un uomo, servo di Dio e Suo messaggero. Egli è stato investito della missione di portatore della parola di Dio all’umanità intera, e di esempio del comportamento del musulmano. La Testimonianza di Fede è il passo essenziale per il ritorno all’Islam, la dichiarazione consapevole e responsabile della sottomissione e dell’obbedienza alle leggi divine. Da quel momento, ogni musulmano è chiamato a rendere testimonianza al mondo, nelle parole e con l’esempio del proprio comportamento, che: “Non esiste altra divinità all’infuori di Dio e Muhammad è Suo servo e profeta”, combattendo le proprie cattive tendenze, le passioni, l’ingiustizia, la prepotenza, la decadenza della morale, e proclamando che nessun uomo può essere padrone di un altro uomo, eccetto Dio. Il musulmano crede nel Creatore, a Lui solo chiede il soccorso e il perdono, e ripone la fiducia nella Sua Misericordia e nella Sua Giustizia, sperando nel premio il Giorno del giudizio. S’impegna quindi a vivere e ad operare secondo la linea di condotta del Profeta dell’Islam, la cui vita è stata l’esempio del comportamento di colui che si sottomette e ubbidisce a Dio. La preghiera Il secondo pilastro la Preghiera Dalla convinzione nell’unicità e dell’onnipotenza di Dio nasce dunque la fede e la predisposizione dell’uomo alla sottomissione e all’obbedienza col proprio comportamento, ai Suoi comandamenti. Adorare Dio, in Lui riporre la propria fiducia, manifestare la gratitudine nei Suoi confronti, invitare al bene, evitare il male, diventa quindi un dovere per il credente. “...In verità, per il credente, la preghiera (salàt) è un obbligo in tempi ben determinati”. (Corano, 4:103). “Assolvete la preghiera (salàt) e pagate la tassa coranica (zakàt)...”. (Corano, 2:110). “E che invero, l’uomo non ottiene che il frutto dei suoi sforzi”. (Corano, 53:39). Dei cinque Pilastri dell’Islam, la Preghiera è il secondo e deve essere eseguita cinque volte al giorno. E’ quindi il comandamento che impegna il credente con più intensità e costanza: “Cercate aiuto nella pazienza e nella preghiera; in verità essa è gravosa, ma non per gli umili che pensano che invero torneranno a Lui”. (Corano, 2:45-46). La prostrazione nella preghiera è la vera manifestazione dello spirito di umiltà e di sottomissione a Dio. L’Islam insegna la preghiera dona la guida sicura e sviluppa il discernimento fra il bene ed il male, aiuta a coltivare la bontà e sopprimere le cattive tendenze. Gradualmente, in modo naturale, il comportamento del credente sarà impostato a ciò che è buono, nobile e degno di sforzo: “O voi che credete, rifugiatevi nella pazienza e nella preghiera. Invero Dio è con coloro che perseverano”. (Corano, 2:153). “Coloro che credono, che rasserenano i loro cuori al Ricordo di Dio. In verità i cuori si rasserenano al Ricordo di Dio”. (Corano, 13:28). “Esegui la preghiera, dal declino del sole fino alla caduta delle tenebre e fà la Recitazione dell’alba, ché la Recitazione dell’alba è testimoniata. Veglia in preghiera parte della notte, sarà per te un’opera supererogatoria, presto il tuo Signore ti risusciterà ad una stazione lodata”. (Corano, 17:78-79). “Sopporta dunque con pazienza quello che dicono, glorifica e loda il tuo Signore prima del levarsi del sole e prima che tramonti. GlorificaLo durante la notte e agli estremi del giorno, così che tu possa essere soddisfatto”. (Corano, 20:130). “Rendete gloria a Dio, alla sera ed al mattino. A Lui la lode nei cieli e sulla terra, durante la notte e quando il giorno comincia a declinare”. (Corano, 30:17-18). “Assolvete la preghiera e pagate la tassa coranica. E tutto quanto di bene avrete compiuto lo ritroverete presso Dio. Dio osserva tutto quello che fate”. (Corano, 2:110). La preghiera è dunque il momento del raccoglimento, dell’incontro col proprio Creatore, un momento che il fedele può ricercare nell’intimità o in gruppo. La preghiera comunitaria è l’espressione della fratellanza e dell’eguaglianza fra gli uomini e ha un valore meritorio più grande dinanzi a Dio. Spalla contro spalla, in ranghi paralleli, senza distinzione di ceto sociale, razza, o nazionalità, i musulmani si prostrano come un solo uomo, in un legame di fratellanza e solidarietà che trascende ogni considerazione terrena. Il nome delle cinque preghiere quotidiane e l’orario dell’esecuzione sono i seguenti: 1. La preghiera dell’alba, Fajr, da eseguirsi nell’intervallo fra l’alba ed il levar del sole. 2. La preghiera del mezzogiorno, Dhuhr, da eseguirsi nell’intervallo fra il mezzodì e la metà pomeriggio. 3. La preghiera del pomeriggio, ‘Asr, da eseguirsi nell’intervallo fra la metà pomeriggio ed il calar del sole. 4. La preghiera del tramonto, Maghrib, da eseguirsi nell’intervallo fra il momento in cui il sole è completamente tramontato dall’orizzonte ed il calar delle tenebre. 5. La preghiera della notte, ‘Isha, da eseguirsi nell’intervallo fra il calar delle tenebre e l’alba, preferibilmente prima della mezzanotte. La chiamata La chiamata alla preghiera, adhan, è il segnale d’inizio del periodo di una preghiera obbligatoria, ed è eseguita seguendo una formula e un rituale stabiliti dal Profeta. Colui che chiama alla preghiera, generalmente dal minareto di una moschea, fronteggia la direzione della Mecca e fa la chiamata a voce spiegata, perché sia intesa il più lontano possibile. I fedeli si riuniscono poi nel luogo della preghiera, dove, prima dell’inizio, è fatta una seconda chiamata, iqamah, o “sollecitazione”. Essa è molto simile alla prima chiamata, recitata però all’interno della moschea. Chi si accinge all’esecuzione di una preghiera obbligatoria da solo o in gruppo, senza avere inteso la prima o la seconda chiamata, può recitarle lui stesso, essendo molto raccomandabile. Le condizioni La preghiera è obbligatoria per ogni musulmano che sia in grado d’intendere e di volere. E’ prescritto agli uomini e ai fanciulli l’essere obbligatoriamente coperti almeno dall’ombelico alle ginocchia. Gli abiti devono essere puliti, la testa può essere coperta o scoperta, e le scarpe devono essere sempre tolte. Le donne devono essere completamente abbigliate, lasciando scoperti solo il viso e le mani, e devono pregare dietro gli uomini. Sono esentate dalla preghiera durante le mestruazioni e nei quaranta giorni successivi al parto. La preghiera può essere fatta ovunque, in un luogo pulito e puro. E’ vietato però pregare nei bagni, sulle tombe, nelle case in rovina, nei mercati, sui marciapiedi fra i passanti, davanti ad una tavola imbandita e nel buio assoluto. Si possono predisporre dei tappeti, almeno per il punto dove la fronte toccherà il suolo durante la prostrazione. Un asciugamano, un fazzoletto, un drappo od un piccolo tappeto possono servire a tale scopo. Nelle moschee sono disposti dei tappeti, ma si tratta semplicemente di una comodità, non di una necessità. L’orante deve essere in condizione di purità tramite l’abluzione, nell’orario di validità della preghiera, e rivolto verso la Mecca. La direzione (qibla) può essere rilevata tramite un’apposita bussola; nelle moschee è indicata con una nicchia. Per l’Italia, la direzione è approssimativamente Sud-Sud-Est. L'abluzione Prima di eseguire la preghiera, devono essere lavate con l’acqua le parti esposte del corpo, mediante l’abluzione, wudu, o “purificazione minore”. L’abluzione è legata al potere detergente dell’acqua, quindi, simbologicamente alla possibilità di cancellare le trasgressioni volontarie e involontarie compiute tra una preghiera e l’altra. E’ necessario ripetere l’abluzione ad ogni preghiera se, nell’intervallo, si sono toccate le parti intime proprie o altrui, si è soddisfatto un bisogno corporale, emesso del gas, vomitato, dormito o commessa una trasgressione. Dopo avere espresso intimamente l’intenzione di purificarsi, ed aver invocato mentalmente “Nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso”, bisogna: a) lavarsi le mani tre volte, fino ai polsi; b) risciacquarsi la bocca tre volte, portando l’acqua nel cavo della mano destra, c) pulirsi le narici tre volte, aspirando ed espellendo l’acqua contenuta nel cavo della mano destra; d) lavarsi il viso tre volte con entrambe le mani; e) lavarsi le braccia tre volte fino ai gomiti, il braccio destro prima del sinistro; f) strofinare una sola volta la sommità del capo con le mani bagnate, quindi le orecchie con il pollice e l’indice inumiditi, una sola volta; g) lavarsi i piedi fino alle caviglie tre volte, iniziando dal piede destro. Si può evitare di lavarsi i piedi se si portano delle calze spesse, messe subito dopo un’abluzione, passando una sola volta la mano destra inumidita sulla calza sul dorso del piede, e la sinistra, anch’essa inumidita, sotto la pianta, cominciando dal piede destro. E’ obbligatorio però lavarsi i piedi nell’abluzione, almeno ogni ventiquattro ore. Alla fine, si recita la Testimonianza di fede: “Non c’è altra divinità all’infuori di Dio, e Muhammad è Suo servo e profeta”. Solo nel caso in cui potrebbe essere dannoso per la salute usare l’acqua, a causa di ferite o allergie, o quando essa non sia assolutamente disponibile, si segue un’abluzione a secco, tayyammun. Dopo avere espresso mentalmente l’intenzione ed avere invocato il nome di Dio, si strofinano leggermente le mani sopra una pietra, una parete, della terra o della sabbia pulite, e si passano sul viso una volta. Dopo averle strofinate una seconda volta, si passano su ciascun braccio, fino al gomito, una sola volta, cominciando dal destro. Alla fine si recita la Testimonianza di fede. E’ obbligatorio fare un bagno completo, ghusl, o “purificazione maggiore”, per accedere alla preghiera dopo un rapporto sessuale, per l’emissione volontaria o involontaria di sperma, al completamento del ciclo mestruale della donna e dopo il periodo di quaranta giorni che segue il parto. S’inizia manifestando l’intenzione e invocando il nome di Dio, cui segue il lavaggio a fondo delle parti intime e l’abluzione eseguita nel modo consueto. Si fa poi il bagno minuzioso di tutto il corpo. Alla fine si recita la Testimonianza di fede. La purificazione maggiore è raccomandata prima della preghiera del venerdì, nell’occasione delle due feste islamiche e prima della Testimonianza di fede che un nuovo convertito recita per entrare nell’Islam. Le modalità d'esecuzione della preghiera Quando non fosse possibile rivelare la direzione della Mecca, si può scegliere una direzione qualsiasi. Se si è obbligati in una certa posizione, come un letto di degenza o un posto fisso su un mezzo di trasporto, la direzione della preghiera sarà quella in cui ci trova. Qualora si siano tralasciate una o più preghiere agli orari prescritti, bisogna recuperarle il più presto possibile, chiedendo perdono a Dio. La preghiera è un assieme di movimenti, di formule e di brani del Corano da recitare a voce alta o bassa, secondo l’orario, obbligatoriamente in lingua araba. Durante la prostrazione, o prima del saluto finale, l’orante può pregare Dio, intimamente, nella propria lingua e con le proprie parole. Ogni preghiera è composta di due, tre, oppure quattro elementi, chiamati rakàt, l’assieme di movimenti e di recitazioni: - la preghiera dell’alba, di due rakàt; - la preghiera del mezzogiorno, di quattro rakàt; - la preghiera del pomeriggio, di quattro rakàt; - la preghiera del tramonto, di tre rakàt; - la preghiera della notte, ‘Isha, di quattro rakàt. Prima rakàt Dopo aver disteso un tappeto a terra, l’orante si pone nella posizione eretta, qiyamah, in direzione della Mecca, lo sguardo rivolto al suolo nel punto in cui la fronte lo toccherà nella prostrazione, le gambe leggermente divaricate ed esprime intimamente l’intenzione di eseguire quella determinata preghiera. Solleva le mani all’altezza delle orecchie, le palme rivolte in avanti, le dita distese ed unite, invocando “Allahu Akbàr” (Dio è il più grande). Porta poi le mani sul petto, la destra sopra il polso sinistro, loda intimamente Dio e invoca la sua protezione contro le tentazioni. In quella posizione, recita il capitolo d’apertura del Corano, Al Fatiha, e dopo l’Amen, un altro brano coranico, a scelta. Il Corano deve essere declamato a voce alta nelle due rakàt della preghiera dell’alba, e nelle prime due della preghiera del tramonto e della notte. Esclamando “Allahu Akbàr”, l’orante s’inchina poi nella posizione del ruku, con la schiena parallela al suolo, le mani posate sulle ginocchia, le dita divaricate, le gambe tese e non flesse, lo sguardo sempre fisso al suolo, ripetendo intimamente per tre volte “Subhana Rabbiyal Adhìm” (Gloria al mio Signore, il Sommo). Ritorna poi in posizione eretta, le braccia distese lungo il corpo, lo sguardo sempre fisso al suolo, dicendo “Sam’i Allahu liman hamidah” (Dio ascolta chi Lo loda) e poi, “Rabbana Lakal hamd” (Signor nostro, che tu sia lodato). Esclamando “Allahu Akbàr”, l’orante si prosterna nel sujùd, posando le ginocchia e le mani al suolo, i gomiti sollevati da terra, i piedi leggermente divaricati, toccando il suolo con la fronte e la punta del naso, recitando tre volte intimamente “Subhana Rabbiyal A’ala” (Gloria al mio Signore, l’Altissimo) e supplicando Dio con le proprie parole. Ripetendo “Allahu Akbàr”, solleva il busto, si siede sui propri piedi incrociati a terra, busto eretto, le mani appoggiate sulle cosce in prossimità delle ginocchia, in posizione di julùs. Con lo sguardo sempre rivolto al suolo, ripete tre volte mentalmente “Allahumma Ighfirli” (O Dio, perdona i miei peccati). Esclamando “Allahu Akbàr”, si prosterna per la seconda volta nel sujùd, con le stesse modalità del primo. Ritorna nuovamente, per un breve istante, nella posizione seduta di julùs, quindi posa le palme delle mani a terra, e ritorna nella posizione eretta d’inizio della preghiera, esclamando “Allahu Akbàr”. Quest’ultimo movimento completa un elemento base della preghiera o rakàt e predispone l’orante per l’inizio della rakàt successiva. Seconda rakàt Essa inizia subito con la recitazione del primo capitolo del Corano, seguito da un altro brano coranico, e richiede la recitazione intima della Dichiarazione di fede, o Tashahud, nella seconda posizione seduta di julùs. Nel declamare “La ilaha Illallah”, l’orante solleva il dito indice della mano destra posata sulla coscia, per simboleggiare l’Unicità di Dio. Posando poi le palme delle mani a terra, ritorna nella posizione eretta per iniziare la terza rakàt esclamando “Allahu Akbàr” con le mani all’altezza delle orecchie. Nelle preghiere di due rakàt, nel secondo julùs, egli prosegue con la recitazione della Preghiera d’Abramo o “Salatul Ibrahìmiya” e il saluto finale, che concludono ogni preghiera. Il fedele volge il volto prima a destra, dicendo “Assalamu alaikum wa rahmatullah” (Che la pace e le benedizioni di Dio siano su di voi), poi a sinistra ripetendo ancora “Assalamu alaikum wa rahmatullah”. Terza rakàt La terza rakàt inizia con la recitazione di Al Fatiha, declamata intimamente, non seguita da altri brani coranici. Posando poi le palme delle mani a terra, l’orante ritorna nella posizione eretta per iniziare la quarta rakàt, esclamando “Allahu Akbàr” . Nella preghiera del tramonto, la terza rakàt che conclude la preghiera è completata, nel secondo julùs, dalla recitazione della Dichiarazione di fede e della Preghiera di Abramo, seguita dal saluto finale. Quarta rakàt La quarta rakàt che conclude le preghiere del mezzodì e della sera è uguale all’ultima della preghiera del tramonto. Circostanze eccezionali Gli infermi e gli indisposti possono eseguire la preghiera in posizione eretta, oppure seduti a terra, su una sedia, distesi a letto o su un giaciglio, sostituendo i movimenti prescritti, con dei movimenti del capo o anche solo degli occhi. In viaggio, se non è possibile altrimenti, si può pregare seduti, movendo soltanto il capo o gli occhi, in sostituzione dei movimenti prescritti. E’ permesso, pure, durante un viaggio, unire e recitare una dietro l’altra, le preghiere del mezzodì e del pomeriggio e quelle del tramonto e della notte. L’esecuzione delle due preghiere unite deve avvenire nell’intervallo compreso fra l’orario d’inizio della prima preghiera, e l’orario finale della seconda. Durante un viaggio, oltre ad unire le preghiere, è permesso accorciarle a solo due rakàt ciascuna, eccezion fatta per la preghiera del tramonto, che rimane di tre rakàt. Il periodo in cui esse devono essere eseguite rimane quello già descritto. Queste concessioni sono limitate esclusivamente al viaggio, e non possono essere usate come pretesto per eseguire le cinque preghiere canoniche in orari diversi, o addirittura per accorciarle. Le preghiere superogatorie o volontarie Il Profeta soleva recitare delle preghiere volontarie, o superrogatorie, composte di due rakàt ciascuna, che differiscono dalla preghiera dell’alba, per la recitazione intima dei brani del Corano. Egli era solito eseguirle immediatamente prima o dopo le preghiere obbligatorie, e in particolari occasioni, quali la notte, specialmente a Ramadan, la metà mattina, all’entrata in una moschea, dopo l’abluzione, in occasione delle eclissi e per chiedere a Dio la guida. La notte, prima di coricarsi, il Profeta ha raccomandato di chiudere il ciclo delle orazioni giornaliere con una preghiera di una sola rakàt, chiamata witr, dispari. Le preghiere obbligatorie sono chiamate “Fard” quelle volontarie “Sunnah”. Le preghiere volontarie, secondo gli insegnamenti dell’Islam, saranno conteggiate nel Giorno del giudizio per compensare le mancanze del musulmano riguardo alle preghiere obbligatorie. Le preghiere congregazionali o di gruppo Due o più musulmani che si apprestano ad eseguire una preghiera obbligatoria, devono pregare assieme. Colui che deve guidare la preghiera, Imam, è scelto al momento e può essere chiunque scelto dal gruppo. Nel caso di due oranti, l’Imam si pone alla sinistra, ed entrambi si rivolgono in direzione della Mecca. Nel caso di più fedeli, egli si pone davanti, solo, mentre gli altri si dispongono dietro in ranghi paralleli, spalla contro spalla. Le donne formano dei ranghi separati, dietro gli uomini. La preghiera congregazionale è guidata dall’Imam, e i fedeli la recitano intimamente seguendo i suoi movimenti, senza mai precederlo in nessun atto della preghiera. Le preghiere volontarie non devono mai essere eseguite in gruppo, ma solo individualmente. La preghiera di venerdì “O credenti, quando viene fatto l’annuncio per la preghiera del Venerdì, accorrete al ricordo di Dio e lasciate ogni traffico. Ciò è meglio per voi, se lo sapeste. Quando poi la preghiera è conclusa, spargetevi sulla terra in cerca della grazia di Dio, e ricordate molto Dio, affinché possiate avere successo. Quando vedono un commercio o un divertimento, si precipitano e ti lasciano ritto. Dì: “Quel che è presso Dio, è migliore del divertimento e del commercio e Dio è il migliore dei sostentatori”. (Corano 62:9-11). La preghiera congregazionale del venerdì, jum’a, sostituisce la preghiera del mezzodì ed è obbligatoria per coloro che possono raggiungere una moschea. Le donne, in ragione delle loro attività domestiche, sono esentate, e possono fare la preghiera del mezzodì a casa propria. Comunque, è permesso loro unirsi alla preghiera del venerdì, se lo desiderano. Dopo la prima chiamata, l’Imam fa un sermone chiamato khutba. Al termine, dopo la seconda chiamata, egli guida la preghiera congregazionale, che si compone di due rakàt, col Corano recitato a voce alta. La preghiera della due festività Eid Eid significa gioia, festa. Nell’Islam vi sono due festività religiose annuali, la prima per la fine del Digiuno di Ramadan, Eid-ul-Fitr, la seconda per commemorare il Sacrificio di Abramo e Ismaele, Eid-ul-Adha, che cade in concomitanza con lo svolgimento del Pellegrinaggio alla Mecca. Per entrambe le festività, la preghiera congregazionale è effettuata nel periodo che va dal sorgere del sole a mezzogiorno, possibilmente in un luogo aperto. Non sono previste né la chiamata né la sollecitazione alla preghiera. La preghiera, preannunciata da canti di lode, consiste di due rakàt, precedute da sei a sedici takbìr (Allahu Akbàr), ed è seguita da un sermone. Le preghiera notturne di Ramadan Si tratta di preghiere eseguite durante le notti di Ramadan, chiamate Tarawih, che consentono la recitazione completa del Corano entro la fine del mese di digiuno. Possono comprendere da otto a venti rakàt, eseguite a due a due, con una breve pausa ogni due rakàt. Possono essere eseguite individualmente, anche nella propria abitazione, oppure in congregazione. Queste preghiere sono volontarie. La preghiera funebre Per i musulmani è un obbligo pregare per un musulmano deceduto. La preghiera funebre, janazah, è eseguita in congregazione, in posizione eretta, e non comporta alcun inchino o prostrazione. Comprende quattro takbìr (Allahu Akbàr). Dopo il primo takbìr si recitatano mentalmente delle lodi e il capitolo di apertura del Corano, Al-Fatiha. Dopo il secondo, la preghiera di Abramo. Dopo il terzo, una preghiera per i morti, per se stessi o per altri, nei termini che uno vuole. Dopo il quarto, il saluto di pace (Assalamu alaikum wa rahmatullah). Al termine della preghiera funebre, il defunto è accompagnato rapidamente alla sepoltura dai soli musulmani maschi. Le donne si recheranno al cimitero in un secondo tempo. Il "Ricordo di Dio", la suplica Oltre a adorare Dio con preghiere obbligatorie e volontarie, il credente ricorda e invoca Dio, in ogni occasione, con le proprie parole o con le stesse formule usate dal Profeta, du’a. Le suppliche fanno parte del “Ricordo di Dio”. Possono essere innalzate in ogni momento della giornata e della notte, in viaggio, durante la preghiera, in piedi, seduti, coricati. Con le palme delle mani rivolte al petto o al volto, e lo sguardo che le contempla, il fedele invoca, glorifica e ringrazia Dio. Queste suppliche sono facoltative e molto raccomandate nell’Islam. Il Digiuno Il terzo pilastro Al digiuno facevano ricorso, da sempre, gli uomini pii e i profeti, come atto di adorazione a Dio. Esso abitua alla moderazione, al controllo dei desideri e del carattere. Abbandonarsi senza freni anche a bisogni leciti, come il cibo e i rapporti sessuali, rende gli uomini schiavi delle loro abitudini e delle loro voglie. Il Profeta Muhammad ha detto: “Il digiuno è uno scudo contro gli atti di disobbedienza in questo mondo e contro il fuoco nell’altro”. Nel digiuno, il ricco prova le ristrettezze che il povero ha quotidianamente, e tutta la comunità vive una comunione di spirito che aumenta il senso di fratellanza, di pazienza e di disciplina fra i musulmani. Dice il Corano: “O voi che credete, vi è prescritto il digiuno come era stato prescritto a coloro che vi hanno preceduto. Forse diverrete timorati”. (Corano, 2:185). Il Profeta ha ribadito: “Colui che digiuna nel mese di Ramadan con fede, ricercando la ricompensa di Dio, si vedrà perdonati i peccati commessi in precedenza”. Ramadan è il nono mese del calendario islamico, il mese in cui è disceso il Corano. E’ il mese del digiuno obbligatorio per i musulmani, un mese benedetto, ricco di benefici e doni divini: “E’ nel mese di Ramadan che abbiamo fatto scendere il Corano, guida per gli uomini e prova di retta direzione e distinzione fra il vero ed il falso. Chi di voi ne testimoni l’inizio, digiuni...”. (Corano, 2:185). Il digiuno consiste nell’astenersi dal cibo, dalle bevande, dai rapporti sessuali e da atti illeciti, dall’alba al tramonto, aumentando gli atti di devozione, la lettura del Corano e le buone azioni. Digiunare durante Ramadan è obbligatorio per ogni musulmano, uomo o donna, in età di poterlo effettuare, con alcune eccezioni specificate più avanti. Oltre al mese di Ramadan, il credente può digiunare volontariamente quando vuole, sempre dall’alba al tramonto. Il digiuno superrogatorio è consigliato in giorni ben precisi dell’anno, quali sei giorni del mese di Shawwal in qualsiasi ordine, il 9, 10 e 11 del mese di Muharram, il 15 del mese di Shaban, ecc., e in tutti quei giorni raccomandati dal Profeta. Egli ha però consigliato ai musulmani di non digiunare per lunghi periodi: “Avete degli obblighi anche verso voi stessi”. Ha inoltre specificato i giorni nei quali il digiuno non è permesso, come ad esempio il solo venerdì, se questo non è collegato al digiuno effettuato il giovedì o il sabato. Lo ha vietato pure in occasione delle due feste, “Eid-ulFitr”, alla fine del digiuno di Ramadan, e “Eid-ul-Adha, la festa del Sacrificio, e nei tre giorni che la seguono. Il calendario Islamico e il mese di Ramadan Il calendario islamico si succede secondo le rivoluzioni lunari, della durata di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi, e non secondo l’orbita solare. Esso ha 354 giorni e si compone di dodici mesi, di 29 o 30 giorni, che iniziano con l’avvistamento della luna nuova. Essendo l’anno lunare formato di 354 giorni, quindi 11 giorni in meno dell’anno solare (12 giorni nel caso di un anno bisestile), il mese di Ramadan anticipa ogni anno il suo inizio di 11 giorni, e si sposta gradualmente attraverso tutte le stagioni dell’anno, ritornando, dopo trentatré anni, allo stesso giorno. In questo modo, tutti i musulmani che abitano l’emisfero nord e quello sud, hanno la possibilità, nel corso della loro esistenza, di digiunare in stagioni diverse. In certi paesi, durante l’inverno, le giornate sono corte e fredde e il digiuno di Ramadan è certamente meno impegnativo da rispettare che nella stagione estiva. In tutto questo, il credente intravede la saggezza, la giustizia e la misericordia di Dio. L’avvistamento della luna nuova di Ramadan, che ne segna l’inizio, può essere fatto da chiunque. Nei paesi islamici, esso è affidato a due incaricati scelti per la loro affidabilità e per il provato timore di Dio. A occhio nudo, senza l’aiuto di mezzi ottici, alla fine del mese di Shaban iniziano a scrutare l’orizzonte per dare alla comunità l’annuncio dell’inizio del digiuno. Le regole del Digiuno Il digiuno si effettua nel periodo che va dall’alba al tramonto. L’inizio coincide con l’orario d’inizio della preghiera dell’alba e la fine con l’orario di quella del tramonto. Nei paesi islamici, l’inizio e la fine sono scanditi dalla chiamata alla preghiera dell’alba e da quella del tramonto. Durante questo periodo, non si può né mangiare, né bere, né fumare, né avere rapporti sessuali. E’ pure vietato prendere dei medicinali per naso o per bocca, parlare in modo osceno e mantenere un comportamento non islamico. Dal tramonto fino a poco prima dell’alba, i digiunanti possono riprendere ad alimentarsi e ad avere rapporti sessuali. Mangiare e bere inavvertitamente, inghiottire la propria saliva, utilizzare profumi, pomate o creme e medicamenti ad uso esterno, lavarsi, pulirsi i denti e la bocca senza inghiottire, non costituiscono un’interruzione del digiuno. Mangiare, bere, fumare, od interrompere il digiuno volontariamente in Ramadan, senza una scusa valida, quale una malattia, un viaggio, o l’inizio delle mestruazioni, costituiscono una violazione del digiuno, e comportano una pena per l’inosservante. Essa consiste nell’offrire a sessanta persone l’equivalente di un pasto, oppure nel digiunare sessanta giorni, per compensare il giorno d’interruzione del digiuno. Se per una scusa valida, non si digiunasse in un giorno di Ramadan, si è obbligati a compensarlo con un giorno di digiuno per ogni giorno di interruzione, da effettuarsi prima dell’inizio del Ramadan successivo. All’orario della preghiera del tramonto si fa la rottura del digiuno, “Iftàr”. Il Profeta era solito mangiare uno o tre datteri e bere un sorso d’acqua o di latte. Prima di portare il cibo alla bocca, si recita, sempre secondo la tradizione del Profeta: “Allahumma, laka sumtu, wa bika amantu, wa ‘ala rizqika aftartu. Bismillah ar-Rahman ar-Rahim”,(O Dio, per Te ho digiunato, ho creduto in Te, e con il cibo che mi dai, rompo il digiuno. In nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso). La rottura del digiuno precede la preghiera del tramonto, cui segue una cena. E’ anche abitudine mangiare durante la notte, fino ad alcuni minuti prima della preghiera dell’alba. Questa colazione è chiamata “Suhur”. All’alba, bisogna esprimere intimamente l’intenzione di digiunare, dicendo, per esempio: “O Dio, ho intenzione di digiunare oggi, nello spirito dell’obbedienza al Tuo comandamento e con l’unico scopo di compiacerti”. Si può passare il tempo fra la fine della colazione e l’alba leggendo il Corano o altre letture islamiche, e, appena giunge l’orario, eseguire la preghiera dell’alba. Esenzioni dal Digiuno Sono esentate dal digiuno: a) Le persone malate, la cui salute rischia di peggiorare ulteriormente se digiunassero. Esse possono rinviare il digiuno finché sono malate e fare un giorno di digiuno per ogni giorno mancato, prima del Ramadan successivo. b) Le persone che sono in viaggio e che, una volta giunti a destinazione, hanno l’intenzione di ripartire entro pochi giorni. Possono sospendere il digiuno per la durata dell’intero viaggio. Devono, prima del Ramadan successivo, recuperare i giorni in cui non hanno digiunato, un giorno di digiuno per ogni giorno mancato. E’ però consigliabile osservare il digiuno durante il viaggio, se può essere sopportato senza difficoltà. c) Le donne in cinta e le madri che allattano possono anche digiunare, se lo desiderano e lo sopportano, però se non osservano il digiuno, devono recuperare, prima del Ramadan successivo, un giorno di digiuno per ogni giorno mancato. d) Le donne nel loro periodo di mestruazione, un massimo di dieci giorni, o nel periodo susseguente il parto, un massimo di quaranta giorni, non devono digiunare. Devono rinviare il digiuno dopo tali periodi, e soltanto allora recuperarlo, un giorno di digiuno per ogni giorno mancato. e) Uomini e donne, se troppo anziani e deboli per affrontare il digiuno, sono esentati. Se possono, devono offrire ad almeno un musulmano povero un pasto completo, oppure il suo controvalore, per ogni giorno di Ramadan in cui non hanno digiunato. f) I bambini che non hanno ancora raggiunto l’età della pubertà sono esentati dal digiuno. Prima ancora che raggiungano tale età, è buona cosa incoraggiarli a digiunare almeno qualche ora o qualche giorno durante Ramadan. g) Le persone insane sono esentate dall’obbligo del digiuno. Le preghiere serali Tarawih Si tratta di preghiere supererogatorie (volontarie e facoltative) eseguite durante il mese di Ramadan, dopo la preghiera della notte. Queste preghiere sono formate da otto, dieci o venti rakàt, eseguite due a due. Queste preghiere non sono obbligatorie, però sono molto raccomandate, secondo la pratica del Profeta. La notte del Destino La notte del mese di Ramadan nella quale il Profeta Muhammad ricevette per la prima volta il messaggio divino, è ricordata come “la Notte del Destino” (Lailat-ul-Qadr). Non si sa con precisione quale fosse, ma secondo la tradizione, essa è una delle notti dispari degli ultimi dieci giorni del mese. Per tradizione, è ricordata nella notte precedente il ventisettesimo giorno di Ramadan: “In verità, lo abbiamo fatto discendere nella Notte del Destino, e chi potrà farti comprendere cos’è la Notte del Destino? La Notte del Destino è migliore di mille mesi. In essa discendono gli angeli e lo Spirito, col permesso del loro Signore, per fissare ogni decreto. E’ pace, fino al levarsi dell’alba”. (Corano, 97:1-5). In quella notte, è consuetudine vegliare in preghiera e leggere il Corano. Il Profeta Muhammad disse: “Quando giunge la Notte del Destino, Gabriele discende in compagnia di angeli che invocano benedizioni per tutti coloro che ritti o prostrati, evocano Dio, l’Onnipotente, il Glorioso”. ‘Aisha, la sposa del Profeta, riferì che il Messaggero di Dio, durante le ultime dieci notti di Ramadan, era solito intensificare le proprie devozioni. La battaglia di Badr Nel mese di Ramadan è ricordata la battaglia di Badr, combattuta il 17 Ramadan dell’anno 2 dell’Egìra. Fu la prima grande ostilità armata sferrata da parte degli idolatri della Mecca contro la comunità dei musulmani ricostituitasi in Medina. L’armata islamica era in notevole inferiorità numerica, in proporzione di un uomo contro tre, mal equipaggiata e senza esperienza bellica, mentre l’esercito dei meccani, era ben preparato, armato e deciso a battere i musulmani una volta per tutte. Sotto la guida del Profeta, i musulmani si batterono con coraggio ed onore, ottennero una vittoria esaltante e inflissero una sconfitta umiliante ai loro nemici. L'imposta Zakàt-ul-Fitr E’ dovere di tutti i musulmani fare in modo che i poveri della comunità non siano trascurati ed abbandonati, soprattutto durante il mese del digiuno. L’Islam richiede che tutti coloro che ne abbiano i mezzi, debbano versare un contributo ai poveri prima del giorno dell’Eid che segue la fine di Ramadan, oppure nel giorno stesso della celebrazione, prima dell’inizio della preghiera congregazionale. Questa imposta è chiamata Zakàt-ul-fitr, oppure Sadaqàt-ul-fitr. Il Profeta ha detto: “Il digiuno del mese di Ramadan non è accettato da Dio senza Sadaqàt-ul-fitr”, e “Sadaqàt-ul-fitr è un mezzo di purificazione per colui che digiuna”. L’ammontare della cifra deve corrispondere almeno al valore di un pasto, calcolato nel paese dove sarà consumato. La festività Eid-ul-Fitr Il primo giorno del mese di Shawwal, dopo la fine del digiuno di Ramadan, si celebra l’Eid-ul-fitr, la festa per la fine del digiuno. L’Eid è un giorno di festeggiamenti, di felicità e di gioia. Un giorno di ringraziamento a Dio per aver completato il digiuno, secondo il Suo comandamento, per aver partecipato alla grande messe di doni e grazie che Egli ha promesso a tutti coloro che con obbedienza e fede hanno digiunato. Al mattino, in un ora qualsiasi compresa fra il sorgere del sole e mezzodì, dopo canti di lode a Dio, viene eseguita la preghiera congregazionale, all’aperto, composta di due rakàt, preceduta da sei a sedici takbìr (“Allahu Akbàr”, “Dio è il Più Grande”), seguita da un sermone pronunciato dall’Imam che guida la preghiera. Seguono momenti di gioia e di felicità, nell’incontro coi fratelli, nello scambio degli auguri, e nel ringraziare Dio della Sua bontà e generosità. Il Profeta ha detto: “Colui che digiuna avrà la gioia e la felicità in due occasioni: quando interrompe il digiuno e quando incontrerà il suo Signore il Giorno del Giudizio”. L'Imposta Coranica Il quarto pilastro L’Islam afferma la necessità dell’uomo di ricercare il benessere materiale e di non disprezzarlo: “Cerca i beni che Dio ti ha concesso…” (Corano, 28:77). Assegna però a questa necessità il suo vero ruolo, ponendo l’accento sul doppio aspetto, spirituale e materiale, dell’uomo: “…Ci sono persone che dicono: “Signore dacci le cose buone di questo mondo!” Questi non avranno parte nell’Altra vita. E ci sono persone che dicono: “Signor nostro! Dacci le cose buone di questo mondo e le cose buone dell’Altra vita e allontanaci dal Fuoco!” Questi avranno la parte che si saranno meritati. Dio è rapido nel conto”. (Corano, 2:200-202). L’Islam precisa che Dio ha creato tutto ciò che si trova sulla terra e nell’universo, e lo ha reso disponibile per l’uomo. Doni e favori di Dio sono dunque considerate anche le ricchezze e i beni posseduti: “Appartengono a Lui le chiavi dei cieli e della terra. Elargisce generosamente a chi vuole e a chi vuole lesina. In verità Egli è onnisciente”. (Corano, 42:12). L’uomo deve quindi trarre vantaggio in modo lecito e ragionevole di quello che ha ricevuto, gestirlo e amministrarlo con oculatezza e giustizia. La condivisione del benessere è precisata in termini inequivocabili nel Corano: “…cosicché non sia diviso fra i ricchi fra voi”. (Corano, 59:7). L’Islam prende dunque atto che nella società esistono i ricchi e i poveri. Ai ricchi, Dio impone il dovere di suddividere i loro beni a favore dei poveri, obbligandoli a non praticare metodi immorali di sfruttamento, a non acquisire le ricchezze con mezzi illeciti, a non tesaurizzarle e accumularle. Il comandamento dell’Imposta coranica, in arabo Zakaat, è il quarto pilastro dell’Islam. Il significato letterale di questa parola araba è “purificazione”. Il Profeta ha detto: “Dio ha reso obbligatoria la Zakaat semplicemente per purificare ciò che vi resta”. Pagare questa imposta, una volta l’anno, per ridistribuire una quota delle proprie ricchezze a coloro che sono nell’indigenza, è un obbligo per tutti i musulmani che ne abbiano la possibilità. L’Islam ha elaborato nella sua dottrina e fissato nella propria giurisprudenza le norme relative. La tassa coranica è calcolata sul risparmio annuale o sul capitale, e può essere versata in denaro o in natura. In nessun’altra religione esiste qualcosa di simile. I tentativi di suddivisione della ricchezza messi in atto in molte società moderne, basati su ideologie marxiste, socialiste o capitaliste, non sono riusciti a risolvere il problema della povertà. In molti casi, hanno addirittura peggiorato il divario fra i ricchi e i poveri nella stessa società, fra i paesi ricchi e quelli poveri, fra il mondo occidentale e i paesi del terzo mondo. La storia dell’Islam durante il periodo dei Califfi Ben Guidati ha dimostrato, invece, che quando l’istituto dell’Imposta coranica è stato applicato secondo il canone, ha risolto in modo esemplare il problema della suddivisione della ricchezza fra i membri della comunità. Altri significati dati alla parola araba Zakaat, quali “carità”, “prelievo”, “elemosina”, “tassa per i poveri”, non riflettono lo spirito che muove questa pratica islamica. E’, in primo luogo, un ordine di Dio, quindi un atto di adorazione. A più riprese, il Corano vi fa riferimento: “In verità coloro che avranno creduto e avranno compiuto il bene, avranno assolto la Preghiera e versato la Tassa coranica, avranno la loro ricompensa presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti”. (Corano, 2:277). “Alif, Làm, Mìm. Questi sono I versetti del Libro saggio, guida e misericordia per coloro che compiono il bene, che assolvono la Preghiera e pagano la Tassa coranica e fermamente credono nell’Altra vita, e che seguono la guida del loro Signore: questi sono coloro che prospereranno”. (Corano, 31:1-5) La ridistribuzione della Tassa coranica, secondo il canone islamico, si propone di affrancare la società dalle tare sociali che l’affliggono, come le differenze sociali, il classismo, la rivalità, e la corruzione. Dal punto di vista pratico, lo Stato islamico può assumersi il compito di raccogliere questa imposta fra i musulmani su cui incombe l’obbligo e ridistribuirla alle categorie di bisognosi previste dal Corano. Il primo califfo Abu Bakr, dopo la morte del Profeta, riportò all’ordine coloro che, approfittando della situazione, si rifiutavano di versare l’Imposta coranica, sostenendo di avere fatto il patto di sottomissione all’Islam solo col Profeta. Secondo l’Islam, non si possono accettare o rifiutarne certe norme della Legge, secondo i propri comodi e interessi. Spetta dunque al singolo individuo essere coscienzioso e prelevare l’Imposta coranica dai suoi averi, ovunque si trovi, anche lontano da uno stato islamico. Può distribuirla ad altri musulmani bisognosi colà residenti, secondo le priorità fissate dal Corano, oppure versarla alle associazioni islamiche che possono provvedervi. Il Corano fa riferimento alla ricchezza come alla munificenza e alla generosità di Dio: “Egli è Colui che ha creato i cieli e la terra e dal cielo ha fatto scendere per voi un’acqua per mezzo della quale Noi abbiamo fatto germogliare giardini rigogliosi i cui alberi voi non sapreste far germogliare”. (Corano, 27:60). La ricchezza deve essere però prodotta e acquisita lecitamente, e ripartita secondo le regole divine. Riguardo alla sua acquisizione, il Corano e la Sunna sono molto espliciti: i guadagni di provenienza illecita sono dei segni di disobbedienza a Dio. E’ un diritto del povero usufruire dell’Imposta coranica, e un dovere del benestante provvedervi. Come per ogni altro atto di devozione islamico, è imperativo che colui che dà, come colui che riceve, siano uomini sinceri, convinti di osservare un comandamento di Dio: “Egli è Colui che vi ha costituiti eredi della terra e vi ha elevato di livello, gli uni sugli altri, per provarvi in quel che vi ha dato. In verità il tuo Signore è rapido nel castigo, in verità è perdonatore, misericordioso”. (Corano, 7:165). L’Islam raccomanda all’abbiente ad essere magnanimo, ed al bisognoso ad osservare la moderazione nel pretendere. Insegna ad essere caritatevole e generoso, a rinunciare all’orgoglio del potere, ai piaceri mondani, e a non disprezzare e provare avversione per il bisognoso. Insegna a quest’ultimo a non provare astio e invidia, ad avere pazienza e fiducia, e soprattutto a sforzarsi di migliorare. L’Islam non considera un uomo migliore di un altro per le sue fortune o per la sua posizione. Più valore hanno presso Dio la pietà, il timore e la generosità. Il Profeta ha detto: “L’uomo generoso è vicino a Dio, vicino al Paradiso, vicino all’uomo e lontano dall’Inferno, ma l’avaro è lontano da Dio, lontano dal Paradiso, lontano dall’uomo e vicino all’Inferno. Un ignorante che è generoso è, infatti, più caro a Dio di un credente avaro”. Versare l’Imposta coranica non deve essere motivo per l’uomo ricco di sentirsi superiore al povero. Deve essere invece riconoscente a Dio per avere aiutato i bisognosi, purificato i suoi beni, e obbedito sperando nel perdono dei peccati. L'aplicazione Questa tassa è obbligatoria sul denaro, il commercio, l’agricoltura e il bestiame. Le regole relative differiscono alquanto. Quelle riguardanti il bestiame e l’agricoltura, per esempio, sono molto più articolate e particolareggiate: al di sopra di una certa entrata minima non imponibile, il contadino deve consegnare un decimo del raccolto. Questa quantità vale, ad esempio, se l’irrigazione avviene con la pioggia, l’acqua sorgiva o quella di un fiume o di un bacino. Se l’acqua è invece presa da pozzi lontani e trasportata con fatica e mezzi dispendiosi, solo la metà di questa tassa è da versare. L’Imposta coranica sul denaro, il commercio, l’industria, lo sfruttamento minerario, è dell’ordine del 2,5%. Deve essere prelevata dopo che ogni spesa sia stata inclusa e considerata nel bilancio totale. La somma versata differisce dunque secondo i redditi. La percentuale citata è l’obbligo minimo, ma non esiste un tetto massimo. Il musulmano non deve però privarsi dell’essenziale o sottrarre il necessario alla propria famiglia, affinché le sue necessità basilari siano sempre salvaguardate. Oltre l’obbligo minimo prescritto, più lui versa, più grande è il beneficio che lui e il beneficiario otterranno. I beneficiari dell'Imposta coranica Coloro che hanno diritto ai proventi dell’Imposta coranica sono indicati nel Corano: “Le elemosine sono per i bisognosi, i poveri, per quelli incaricati di raccoglierle, per quelli di cui bisogna conquistare i cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli pesantemente indebitati, per la lotta sul sentiero di Dio e per il viandante. Decreto di Dio! Dio è saggio, sapiente”. (Corano, 9:60). Queste otto categorie di beneficiari sono valide tuttora. 1. I bisognosi, che, in ragione di qualche disgrazia o calamità, hanno perduto tutto. 2. I poveri, che si trovano nell’impossibilità o nell’incapacità di lavorare e che non posseggono il denaro sufficiente per sostenere se stessi e le loro famiglie. A questa categoria appartengono pure coloro che lavorano per la causa di Dio e che non possono mantenersi. La priorità nella distribuzione va a coloro che non ne hanno fatto domanda, seguiti da quelli che l’hanno fatta. 3. Gli esattori, che raccolgono l’Imposta coranica. I loro salari devono essere prelevati da questi fondi. Secondo certe autorità in materia di giurisprudenza islamica, a questa categoria appartengono, oltre ai lavoratori addetti alla raccolta, gli addetti alla distribuzione. 4. I convertiti, che hanno abbracciato l’Islam e che, per ritorsione, hanno perso i loro beni. 5. Coloro che non sono liberi, ovvero i musulmani in cattività e i prigionieri di guerra. Il loro riscatto deve essere pagato coi fondi provenienti dall’Imposta coranica. 6. I debitori, che non arrivano ad onorare i debiti contratti in momenti difficili. Coloro che, ad esempio, si sono indebitati in progetti stravaganti, per la passione del gioco o per un matrimonio sfarzoso, non rientrano in questa categoria. 7. I viaggiatori, che si trovano in un paese straniero per motivi leciti. Possono essere emigrati per motivi di lavoro, di studio, di commercio o per diffondere l’Islam. Il denaro raccolto può essere versato anche a qualche organizzazione che s’incarichi della distribuzione agli aventi diritto. 8. Gli impegnati per la causa di Dio, che sono: - i combattenti in difesa dell’Islam; - i lavoratori per la diffusione dell’Islam; - i ricercatori, gli scienziati e gli studiosi; le organizzazioni islamiche operanti per la comunità, quali gli ospedali, gli istituti scolastici, le biblioteche, le moschee, e tutte le organizzazioni che lavorano ovunque per la diffusione e la conoscenza dell’Islam. I familiari, moglie, figli e parenti stretti, e i dipendenti di un contribuente non possono essere i beneficiari della sua Imposta coranica. L’imposta sul reddito non può essere compresa nell’Imposta coranica. Un contribuente non deve mai vantarsi di avere versato ciò che gli compete e per aver fatto il proprio dovere. Se la sua popolarità e il suo nome possono servire ad incitare gli altri a non sottrarsi, ciò è ammesso. Non è assolutamente necessario informare il beneficiario. Esistono persone sensibili, che potrebbero rifiutarsi di accettare un aiuto. E’ pure saggio non divulgarne la fonte. Il contribuente deve servirsi del proprio discernimento per ricercare i più bisognosi e meritevoli, secondo le indicazioni della legge islamica. L’Imposta coranica può essere distribuita direttamente alle persone scelte fra quelle che ne hanno diritto, oppure tramite organizzazioni specifiche. Nello Stato islamico, può essere raccolta da un ente statale, un dipartimento speciale del governo islamico, che assicura la ridistribuzione secondo le indicazioni coraniche specifiche. Oggigiorno, particolarmente in paesi non musulmani, l’obbligo di versare l’Imposta coranica è una faccenda personale del musulmano: egli deve essere pienamente cosciente del proprio dovere e non deve sottrarvisi. In tali paesi, può essere distribuita direttamente a quei musulmani che si trovano nel bisogno. Può essere anche versata a specifiche organizzazioni islamiche a carattere umanitario, che operano in differenti paesi. La carità La seconda forma di ridistribuzione della ricchezza è la carità. L’Imposta coranica annuale obbligatoria è diversa dalla carità, che è un gesto volontario d’altruismo, di bontà e di soccorso molto raccomandato ed altamente meritorio, da eseguirsi da tutti, in qualsiasi momento, anche quando si sia nella ristrettezza. Importante è soprattutto l’aspetto morale legato alla ridistribuzione della ricchezza: in termini vigorosi, l’Islam insegna, ad esempio, che mendicare è un atto deprecabile, e un motivo di vergogna. Il Profeta ha detto: “La mano che sta sopra è migliore di quella che sta sotto”. Educa i bisognosi ad essere pazienti, poiché la povertà è una prova per la fede, uno stimolo a migliorarsi e a non provare invidia e risentimento nei confronti dei più abbienti. Educa i ricchi all’altruismo, alla bontà, alla suddivisione della ricchezza, alla ricerca della giustizia e della pace sociale, perché anche la ricchezza è una prova di Dio. L’Islam elogia coloro che soccorrono i bisognosi, perché il Profeta ha ricordato che il migliore degli uomini è colui che preferisce il suo prossimo a se stesso. Egli ha però, contemporaneamente, proibito lo sperpero, la prodigalità e la generosità insensata, così come ha messo in guardia i musulmani contro l’avarizia. Un giorno, un compagno malato disse al Profeta: “Messaggero di Dio! Sono un uomo ricco e voglio lasciare tutti i miei beni alla causa dei poveri”. Il Profeta gli rispose: “No, è meglio che tu lasci ai tuoi parenti prossimi di che vivere indipendenti, piuttosto che lasciarli mendicare”, e gli accordò di lasciare solo un terzo dei suoi averi per i poveri, dicendo: “Anche un terzo è molto!”. Il Profeta incontrò un giorno uno dei suoi compagni dall’aspetto dimesso e pietoso. Alla sua richiesta di spiegazioni, rispose: “Messaggero di Dio! Ho quanto serve, ma preferisco darlo ai poveri, piuttosto che usarlo per la mia persona”. Il Profeta rispose: “No, Dio ama vedere sul suo servo i segni di ciò che gli ha concesso”. L’Islam invita a dare prova della propria disponibilità e generosità, e della preoccupazione e volontà di aiutare i fratelli più poveri nelle loro necessità, privandosi anche di ciò cui si tiene di più, specialmente del sovrappiù: “Non avrete la vera pietà finché non sarete generosi con ciò che più amate. Tutto quello che donate, Dio lo conosce”. (Corano, 3:92). “…E ti chiedono: “Cosa dobbiamo dare in elemosina?” Dì: “Il sovrappiù”. Così Dio vi espone i Suoi segni, affinché meditiate”. (Corano, 2:219). “O voi che credete, elargite le cose migliori che vi siete guadagnati e di ciò che Noi abbiamo fatto spuntare per voi dalla terra. Non scegliete appositamente il peggio, ciò che voi accettereste soltanto chiudendo gli occhi”. (Corano, 2:267). Il Profeta ha consigliato: “Figli di Adamo! Donare al di là dei vostri bisogni è meglio per voi, trattenerlo è peggio per voi. Ma non sarete biasimati per esservi assicurati ciò che vi necessita. Date per primi a coloro che dipendono da voi”; “Donate senza restrizione, affinché Dio non restringa i suoi favori nei vostri confronti; non accumulate, affinché Dio non vi privi dei suoi benefici; donate anche il poco che potete”; “La miglior carità è quella che fa la mano destra e che la mano sinistra ignora”. Insegna dunque l’Islam a donare con discrezione, per rispettare la dignità del ricevente e salvaguardare la segretezza, affinché la carità non si trasformi in pubblicità, o peggio in una dimostrazione di supremazia e di superbia: “O voi che credete, non vanificate le vostre elemosine con rimproveri e vessazioni, come quello che dà per mostrarsi alla gente e non crede in Dio e nell’Ultimo Giorno. Egli è come una roccia ricoperta di polvere sulla quale si rovescia un acquazzone e la lascia nuda. Essi non avranno alcun vantaggio dalle loro azioni. Dio non guida il popolo dei miscredenti”. (Corano, 2:264). La carità comincia coi parenti prossimi, poi con quelli più lontani, quindi coi vicini bisognosi, coi poveri della comunità, con le vedove, gli orfani, i debitori, i viandanti, coloro che lottano ed emigrano per la causa di Dio, ossia con tutti coloro che vivono nella ristrettezza e nel bisogno e che spesso, per dignità, non lo danno a vedere: “Ti chiederanno: “Cosa dobbiamo dare in elemosina?” Dì: “I beni che erogate siano destinati ai genitori, ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai viandanti diseredati. E Dio conosce tutto il bene che fate”. (Corano, 2:215). “Date ai poveri che sono assediati per la causa di Dio, che non possono andare per il mondo a loro piacere. L’Ignorante li crede agiati perché si astengono dalla mendicità. Li conoscerai per questo segno, che non chiedono alla gente importunandola. E tutto ciò che elargirete nel bene, Dio lo conosce”. (Corano, 2:273). In conclusione, è bene rilevare che la carità non si limita soltanto al denaro. Essa comprende anche l’impegno costante col proprio tempo, l’interesse dimostrato, la fatica, e il supporto morale dato, col rendere visita ai malati, assistere ai funerali, consolare la famiglia addolorata, perché sono atti di bontà e di misericordia che sviluppano la fratellanza nella comunità. Quando l’aiuto non può essere dato materialmente, deve essere dato con le buone parole, col sostegno morale e con l’incoraggiamento. E’ carità pregare Dio per i fratelli nel bisogno, come lo è essere generosi nel perdono e nella condivisione delle loro pene: “Le buone parole e il perdono sono migliori dell’elemosina seguita da vessazioni. Dio è Colui che non ha bisogno di nulla, è indulgente”. (Corano, 2:263). Numerosi Hadith mettono l’enfasi sul significato della carità. Così si è espresso il Profeta: “Se sorridi incontrando tuo fratello, gli raccomandi ciò che è bene, lo metti in guardia contro il male, o guidi chi ha preso una strada sbagliata, aiuti il cieco sul suo cammino, togli dalla via un oggetto pericoloso, o fai deviare la tua acqua nella fonte del tuo fratello, tutte queste azioni sono considerate come carità”. “Ogni azione di bontà è carità”. Tasse statali Il Corano non ha invece promulgato e fissato delle direttive per le entrate dello Stato e per la sua politica economica. Nel rispetto scrupoloso della pratica del Profeta e dei suoi successori immediati, il silenzio del Corano è interpretato come una possibilità lasciata ai governanti di fissare delle regole per le proprie entrate, secondo le circostanze. Queste devono essere assolutamente separate e sganciate dall’Imposta coranica vera e propria, e dagli scopi che essa si prefigge, consentendo quindi agli stati di legiferare in proposito alle entrate erariali, tenendo costantemente presente l’interesse principale della collettività. Ai tempi del Profeta, la dogana prelevava, ad esempio, la decima sui prodotti che vi transitavano, a titolo dei diritti d’importazione, ma è interessante notare che il califfo Omar ridusse questa tassa della metà per certe categorie di derrate che erano destinate a Medina. Quest’autorevole precedente storico chiarisce la flessibilità dei principi della politica finanziaria islamica. A quel tempo, si tassavano le mandrie d’ovini, bovini e cammelli, meno quelli che si nutrivano sui pascoli pubblici, sempre tenendo conto di un’entrata minima esonerata dall’imposta. Erano pure esonerati dalla tassazione gli animali utilizzati per il trasporto, i lavori agricoli e l’irrigazione. Un’imposta statale aggiuntiva del 2,5% sull’oro e sull’argento obbligava poi a far fruttare i propri beni, a non ammassarli e tesaurizzarli, e garantiva allo stato delle entrate che dovevano essere impiegate a beneficio della collettività. Il Pellegrinaggio Quinto Pilastro dell'Islam Il Pellegrinaggio, in arabo “Hajj”, significa “lasciare la propria dimora per uno scopo specifico”. In questo caso, “lo scopo specifico” si riferisce al Pellegrinaggio alla Mecca, nel periodo prescritto per il Hajj. Il Pellegrinaggio si basa su versetti del Corano (2:196203, 5:98-100 e 22:27-32) e sugli insegnamenti del profeta Muhammad nella Sunnah. Il Pellegrinaggio, come Pilastro dell’Islam, rappresenta una manifestazione di adorazione nella sua forma più elevata, nello spirito di sottomissione totale a Dio. Il Profeta ha detto: “Coloro che compiono il Hajj o la ‘Umrah sono delle genti venute a rendere visita a Dio (cioè, sono venute con l’unica intenzione di pregare Dio). Se essi L’implorano, Egli risponderà loro. Se essi Gli chiedono misericordia, Egli perdonerà loro.” Il Pellegrinaggio alla Mecca è obbligatorio almeno una volta nella vita per ogni musulmano, uomo e donna, in grado di soddisfare delle condizioni e dei requisiti ben precisi, quali l’essere sani di mente, in buona salute, liberi da ogni debito, ed avere le risorse finanziarie non solo per affrontare il viaggio e la permanenza nei luoghi santi, ma anche per sostenere adeguatamente la propria famiglia durante l’assenza: “...Spetta agli uomini che ne hanno la possibilità di andare, per Dio, in pellegrinaggio alla Casa...”. Corano, 3:97. Se un musulmano muore senza aver osservato l’obbligo del Pellegrinaggio, uno qualsiasi dei suoi parenti, o dei suoi dipendenti, o qualsiasi altra persona da lui scelta, può eseguirlo per suo conto, purché siano soddisfatte, al momento della sua morte, le condizioni accennate più sopra. Anche una persona malata o inferma, può incaricare qualcun altro di compiere il Pellegrinaggio al suo posto. Il Pellegrinaggio commemora l’istituzione dell’adorazione al Dio Unico, la nascita dell’Islam, la distruzione dell’idolatria e il sacrificio di Abramo e Ismaele. Lo spirito del Pellegrinaggio è quello del sacrificio totale del proprio egoismo, dei piaceri mondani, delle proprie ricchezze e dell’orgoglio del proprio rango, in ricordo del sacrificio del figlio Ismaele, accettato senza tentennamenti da Abramo, così ricordato nel Corano: “Signore, donami un figlio devoto”. Gli demmo la lieta novella di un figlio magnanimo. Poi, quando raggiunse l’età per accompagnare suo padre, questi gli disse: “Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Dio vuole, sarò rassegnato”. Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene. Questa è davvero una prova evidente”. E lo riscattammo con un sacrificio generoso. Perpetuammo il ricordo di lui nei secoli. Pace su Abramo.” Corano, 37:100-109. Il Pellegrinaggio unisce tutti i musulmani del mondo, di lingue, costumi, e stato sociale diversi, che accorrono e compiono i riti del Pellegrinaggio, allo scopo di glorificare Dio. Il Pellegrinaggio dimostra che tutti gli uomini possono restare uniti senza distinzione alcuna, nello spirito dell’obbedienza e della sottomissione completa al Creatore dell’universo e come tutti gli esseri umani siano uguali davanti a Dio. La Mecca e la Ka'aba La Mecca si trova in un’arida valle, circondata da colline pietrose. Il clima è caldo e secco. Le sue condizioni climatiche ne fanno un luogo poco confortevole. Divenne nel tempo il centro culturale e letterario dell’Arabia, ma deve la sua importanza storica alla presenza della Ka’aba, alla storia di Abramo e Ismaele, alla nascita del profeta Muhammad, alla rivelazione del Corano e alla sua predicazione. L’Inviato di Dio nacque, infatti, alla Mecca ma, per sfuggire alla morte, si trasferì a Medina, 225 miglia a nord ovest, dove fu accolto con grande spirito di fratellanza con i suoi compagni. Da là guidò il primo Stato Islamico e la conquista di Mecca all’Islam. A Medina morì ed è sepolto. La parola “Ka’aba” significa “edificio cubico”. E’ una costruzione alta circa 15 metri ed ha una base di circa 12 metri per 13. E’ coperta da un immenso paramento (Kiswa) verde scuro, ricamato tutt’intorno di versetti coranici in fili d’oro. La Ka’aba è anche conosciuta come la più “antica Casa di culto” (Baitul-Atiq), la “Moschea Sacra” (alMasjid al-Haram) e la “Casa di Dio” (baitul-lah). I musulmani, in qualsiasi parte del mondo si trovino, si rivolgono in direzione della Ka’aba, per eseguire le cinque preghiere quotidiane, secondo quest’ingiunzione coranica: “...Volgiti dunque verso la Moschea Sacra. Ovunque siate, rivolgete il volto nella sua direzione...”. Corano, 2:144. La direzione verso la Ka’aba è conosciuta come la “qibla”. La Ka’aba fu innalzata da Abramo e Ismaele su ordine di Dio, come baluardo contro l’idolatria e come meta di pellegrinaggi: “Stabilimmo per Abramo il sito della Casa...” . Corano, 22:26; “...O signor nostro, accettala da noi! Tu sei Colui che tutto ascolta e conosce!”. Corano, 2:127; “E ricorda quando Abramo disse: “O mio Signore, rendi sicura questa contrada e preserva me e i miei figli dall’adorazione degli idoli.”. Corano, 14:35; “...E stabilimmo un patto con Abramo e Ismaele: ‘Purificate la mia Casa per coloro che vi gireranno attorno, vi si ritireranno, si inchineranno e si prosterneranno”. Corano, 2:125. Tuttavia, col passare del tempo, l’unicità di Dio, il concetto di sottomissione, e l’aspetto spirituale del Pellegrinaggio, gradualmente si affievolirono nell’animo degli uomini, col rifiorire dell’idolatria e dei suoi costumi. Ai tempi del Profeta, c’erano ben 360 idoli presso la Ka’aba e pochissimi adoratori del Dio Unico. I pellegrinaggi alla Mecca si erano ormai trasformati in una fonte di guadagni illeciti. Quando i suoi abitanti si convertirono e ritornarono al culto dell’Unico Dio, nell’anno 8 dell’Egìra, il Profeta sgombrò la Ka’aba dagli idoli e fece rivivere il Pellegrinaggio, secondo gli ordini divini. Il Pellegrinaggio, Hajj Il Pellegrinaggio, Hajj, si svolge nei giorni 8, 9 e 10 di Dhul-Hijja, il dodicesimo mese dell’anno islamico, secondo riti stabiliti dal Profeta. Il pellegrino entra dapprima nello stato di sacralizzazione, esegue la circoambulazione della Ka’aba e la processione fra le due colline di Safa e Marwa, all’interno del complesso della Sacra Moschea alla Mecca. Deve recarsi quindi a Mina, poi ad Arafat e a Muzdalifah e di nuovo a Mina per la lapidazione di Satana, e per il sacrificio dei montoni in occasione della Festa del Sacrificio. Raggiunge poi la Mecca per la circoambulazione dopo la lapidazione di Satana, quindi ritorna nuovamente a Mina, per poi concludere il Pellegrinaggio alla Mecca con la circoambulazione dell’addio. Il Pellegrinaggio minore, 'Umrah I musulmani che visitano la Mecca, non importa in quale periodo dell’anno, possono compiere il Pellegrinaggio minore, ‘Umrah. I rituali relativi coincidono con quelli della prima parte del Pellegrinaggio, Hajj. Il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione e inizia i riti accedendo alla Moschea Sacra per il tawaf al-qudum, la circoambulazione dell’arrivo, che consiste in sette giri attorno alla Ka’aba. Dopo aver eseguito una preghiera di due rak’at, il pellegrino si dirige verso la collina di Safa, per compiere il sa’ai, il tragitto tra le due colline di Safa e Marwa, all’interno del complesso della Moschea Sacra, da effettuarsi sette volte. Al termine, si rade il capo, o si taglia qualche ciocca di capelli. Il pellegrino sveste poi l’ihram, e termina il Pellegrinaggio minore ritornando alla sua vita normale. I riti del Pellegrinaggio Esistono tre tipi di Pellegrinaggio, Hajj: Pellegrinaggio con pausa, Hajju-at-Tamattu: il pellegrino si può recare in anticipo alla Mecca, già dall’inizio del mese di Shawwal, entrare nello stato di sacralizzazione, compiere il Pellegrinaggio minore, uscirne ed attendere i giorni del Pellegrinaggio. I tre ultimi mesi dell’anno islamico, Shawwal, Dhul-Q’udah e Dhul-Hijjah nei primi dieci giorni, sono il periodo specifico per questo Pellegrinaggio. Praticamente, esegue prima il Pellegrinaggio minore, per poi rientrare da Mecca nello stato di sacralizzazione, all’ottavo giorno del mese di Dhul-Hijjah, per il compimento dei riti del Pellegrinaggio. Pellegrinaggio combinato, Hajj-al-Qiran: il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione per l’esecuzione contemporanea sia della ‘Umrah che del Pellegrinaggio, senza uscire dallo stato di sacralizzazione, fino al compimento del Giorno del Sacrificio, il 10 di Dhul-Hijjah. Può anche entrare nello stato di sacralizzazione per la ‘Umrah e, prima di iniziare la circoambulazione dell’arrivo, manifestare l’intenzione anche per il Pellegrinaggio. Pellegrinaggio singolo, Hajj-al-Ifrad: il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione, da una stazione prescritta, o dalla Mecca, se già vi risiede, oppure da un posto differente della stazione prescritta, se ha recato con sé l’animale per il sacrificio, rimanendo nell’ ihram fino al Giorno del Sacrificio. Senza un animale per il sacrificio, deve eseguire il Pellegrinaggio minore, uscire dallo stato di sacralizzazione e rientrarvi all’8 di DhulHijja. I riti del Pellegrinaggio sono descritti qui di seguito, nell’ordine esatto nel quale devono essere eseguiti. Lo stato di sacralizzazione, Ihram Prima di arrivare alla Mecca, il pellegrino entra nello stato di sacralizzazione in una delle cinque stazioni prescritte, attraverso le quali deve obbligatoriamente passare sulla strada che conduce alla Mecca. Manifesta intimamente l’intenzione, fa un bagno completo, ghusl, o solo l’abluzione, si profuma, e dopo aver indossato l’ihram esegue una preghiera di due rak’at. Arrivando con l’aereo, entra nello stato di sacralizzazione sull’aereo. Se risiede fra la Mecca ed una stazione, entra nello stato di sacralizzazione nel luogo di residenza. L’ihram indossato dall’uomo, è composto di due teli bianchi senza cuciture, izar e rida, uno per coprire la parte inferiore del corpo fino alle caviglie, e l’altro per coprire la parte superiore. Per le donne, non c’è un ihram specifico. Non devono profumarsi, devono indossare degli abiti lunghi e puliti, e coprire tutto il corpo fino alle caviglie. E’ obbligatorio che si coprano il capo. Lo stato di sacralizzazione, simbolizza la rinuncia al materialismo, nello spogliarsi e nello sbarazzarsi di ogni ornamento, i pellegrini sono tutti uguali davanti a Dio, senza differenze che li possano distinguere. Per la durata dello stato di sacralizzazione, ai pellegrini è vietato: - portare abiti con cuciture; - portare gioielli; - coprirsi il capo; - profumarsi. E’ permesso lavarsi il corpo, a condizione di utilizzare un sapone non profumato; - tagliarsi le unghie; - togliersi più di tre capelli o di tre peli, con qualsiasi mezzo, quale la depilazione, la rasatura od anche il semplice colpo di accorciamento; - Avere rapporti sessuali; anche gli amoreggiamenti, i baci, i fidanzamenti sono rigorosamente vietati. La soddisfazione del desiderio comporta come conseguenza l’annullamento del Pellegrinaggio; - Cacciare e uccidere animali terrestri, all’esclusione degli animali e degli insetti nocivi, quali mosche, moscerini, ecc., oppure che possano mettere in pericolo la vita stessa, quali serpenti e scorpioni. - tagliare degli alberi, piante verdi, o saccheggiare vegetali nell’insieme del territorio sacro. E’ autorizzata solo la raccolta di sterpaglie secche. - commettere atti di violenza, discutere o litigare con chicchessia. Dopo aver indossato l’ihram, i pellegrini recitano e ripetono la talbiyyah, la risposta alla chiamata di Dio, gli uomini ad alta voce e le donne sottovoce: “Labbayk, Allahumma. Labbayk. Labbayk. La shareeka laka. Labbayk. Innal-hamda wan-n’imata laka wal-mulk. La shareeka lak’.” (“Eccomi al Tuo servizio, O Signore, eccomi. Eccomi. Tu non hai soci. Eccomi. In verità, Tua è la lode ed il favore, ed il dominio. Tu non hai soci.”) La circoambulazione, Tawaf Entrato nel grande spiazzo che circonda la Ka’aba, all’interno della Moschea Sacra alla Mecca, il pellegrino deve compiere la circoambulazione dell’arrivo, sette giri attorno alla Ka’aba, iniziando e terminando ogni giro in corrispondenza della Pietra Nera, incastonata in un angolo della Ka’aba. Deve toccarla ad ogni giro, ma se fosse impossibile, è sufficiente che da lontano faccia un cenno col braccio teso nella sua direzione. Durante la circoambulazione, il pellegrino loda e supplica Dio, seguendo una guida, oppure con le proprie parole. Dopo aver completato la circoambulazione, il pellegrino esegue una preghiera di due rak’at nei pressi della Stazione di Abramo e si dirige verso le due colline di Safa e Marwa poco distanti, ormai conglobate nel complesso della Sacra Moschea. La processione fra as-Safa e al-Marwa, Sa'ai Il Profeta Abramo, su ordine di Dio, aveva lasciato la moglie Agar ed il figlioletto Ismaele nella valle desertica di Bakka, dove sorse la Mecca. Prestissimo, il piccolo Ismaele incominciò a risentire gli effetti della sete. Agar, disperata, corse avanti e indietro fra le due collinette di Safa e Marwa, alla ricerca di un po’ d’acqua. Quando ritornò presso il figlio, vide dell’acqua che sgorgava proprio in quel punto. Molto presto, una tribù di nomadi si stabili presso la sorgente miracolosamente formatasi, chiamata Zamzam, tuttora esistente. Nel tempo se ne perse la dislocazione, ma fu in seguito ritrovata dal nonno del Profeta Muhammad, Abdul Muttalib. Questi fu informato dell’esatta posizione in sogno. La sorgente di Zamzam si trova fra la Ka’aba e le due colline di Safa e Marwa, all’interno del complesso della Sacra Moschea. Il pellegrino si avvia verso la collina di Safa e vi sale. Rivolgendosi verso la Ka’aba, recita il takbir tre volte e supplica Dio. Discende quindi da Safa, percorrendo il tratto che conduce verso Marwa. Salitovi, loda Dio rivolto verso la Ka’aba, come ha fatto sulla sommità di Safa, rifà il percorso in senso inverso, e così via fino al compimento del settimo tratto, a Marwa. Chi sta eseguendo il Pellegrinaggio minore, lo termina radendosi il capo o tagliandosi alcune ciocche di capelli. Il giorno 8 di Dhul-Hijja, il primo giorno del Pellegrinaggio, il pellegrino che intende effettuarlo, proseguirà coi riti descritti qui di seguito. 'Arafat e Muzdalifah Il giorno 8 di Dhul-Hijjah hanno inizio i riti esclusivi del Pellegrinaggio. Il pellegrino si reca a Mina, un villaggio fra la Mecca e il monte ‘Arafat, dove sosta ed esegue le preghiere agli orari prescritti, accorciando quelle di quattro rak’at (Dhur, ‘Asr e ‘Isha) a due rak’at, senza unirle fra loro. Dopo il sorgere del sole, il nono giorno di Dhul-Hijja, si mette in marcia in direzione del Monte ‘Arafat, a circa 13 miglia dalla Mecca, a piedi o con un mezzo. La vallata è tanto vasta da poter accogliere tutti i pellegrini. Le preghiere del Dhur e dell’Asr sono recitate unite ed accorciate. Il Profeta ha detto: “Le migliori preghiere sono quelle recitate in quel giorno ad ‘Arafat.” Rimane nei pressi di ‘Arafat fin dopo il tramonto, sempre recitando lodi a Dio, poi si dirige verso Muzdalifah, a circa 5 miglia di distanza, dove esegue le preghiere del Maghrib e del ‘Isha combinate, accorciando la ‘Isha a due rak’at, prima di prepararsi per trascorrervi la notte. Il mattino seguente, il 10 di Dhul-Hijja, recita la preghiera del Fajr, seguita da suppliche a Dio. Mina Il mattino stesso, 10 di Dhul-Hijja, il pellegrino si reca a Mina, il piccolo villaggio fra il Monte ‘Arafat e la Mecca. Alle donne ed alle persone deboli è permesso lasciare Muzdalifah e recarsi a Mina in qualsiasi momento dopo la mezzanotte. Prima di lasciare Muzdalifah, il pellegrino può raccogliere e recare con sé sette sassi da usare per la lapidazione di Satana A Mina vi sono tre stele di pietra, che simboleggiano e ricordano l’episodio in cui Satana aveva tentato per tre volte Ismaele, perché si ribellasse al padre Abramo, che lo stava conducendo verso il sacrificio, richiesto da Dio. In quell’occasione, Ismaele scacciò Satana a colpi di pietra. I sette sassi raccolti a Muzdalifah, oppure a Mina, dovranno essere lanciati alla stele di ‘Aqabah, la terza stele, quella più vicina alla Mecca, uno dopo l’altro, dicendo “Allahu akbar” ad ogni lancio. E’ permesso a coloro che sono deboli o malati di incaricare qualcun altro di lanciare le pietre al posto loro. Costui lancerà per prime le proprie, seguite dalle pietre della persona che glielo ha richiesto e che sarà presente al momento del lancio. La Festa del Sacrificio, Eid-ul-Adha Dopo di ciò, il pellegrino sacrifica un animale, una pecora, oppure condivide con altri la settima parte di un cammello, o di un bue, per ricordare Abramo che sacrificò un montone per ringraziare Dio di avergli risparmiato il sacrificio del figlio Ismaele. Deve cibarsene e distribuire la maggior parte ai bisognosi. Si rade quindi il capo o si taglia alcune ciocche di capelli. La rasatura è consigliata agli uomini, mentre per le donne basta dare una spuntata ai capelli. Ciò determina la fine dello stato di sacralizzazione, e il pellegrino può rivestire gli abiti soliti. Permane però sempre il divieto dei rapporti sessuali fra i coniugi, che deve durare fino al compimento della circoambulazione dopo la lapidazione della stele tawaf al-ifadah o al-ziyarah. Il pellegrino può recarsi alla Mecca per compiere tale circoambulazione, nello stesso giorno della Festa. Dopo di ciò, anche la proibizione dei rapporti sessuali fra coniugi decade. Il pellegrino deve restare nella valle di Mina per altri due o tre giorni ancora dopo il 10 di Dhul-Hijja, eseguendo delle preghiere supererogatorie e lapidando, nel pomeriggio, le tre stele di Satana. Può recarsi alla Mecca e rientrare ogni sera a Mina, ma deve rimanere a Mina almeno per le due notti seguenti la decima notte di Dhul-Hijja. Può ritardare il tawaf al-ifadah fino alla fine dei giorni che si devono passare a Mina, e recarsi alla Mecca solo dopo aver eseguito la lapidazione delle tre stele. Il tredicesimo giorno di Dhul-Hijja, tutti i riti del Pellegrinaggio sono completati. Da questo momento, chi decidesse di rientrare al proprio paese, prima di lasciare la Mecca, deve eseguire il tawaf al-wida, la circoambulazione dell’addio. Nessuno è esentato da questo obbligo, eccetto le donne in mestruazione o nel periodo del dopo parto. La Festa del Sacrificio, che fa parte dei riti del Pellegrinaggio, è celebrata da tutti i musulmani, nello stesso giorno, in ogni parte del mondo. Coloro che possono sacrificare un animale lo fanno e distribuiscono poi la carne fra i poveri e gli indigenti. Il resto è distribuito fra la famiglia ed i parenti. E’ utile sottolineare il fatto che la parola sacrificio, a differenza di quanto praticato in altre religioni, non ha affatto il significato di espiazione di qualche colpa o peccato. Nell’Islam, il sacrificio, perpetua il ricordo del gesto di Abramo e la sua sottomissione a Dio: “Le loro carni e il loro sangue (delle vittime sacrificali) non giungono a Dio, vi giunge invece il timor di Lui. Così ve le ha assoggettate affinché proclamiate la grandezza di Dio che vi ha guidato. Danne la lieta novella a coloro che operano il bene”. Corano, 22:37. I pellegrini possono recarsi a Medina, dove si trova la tomba e la Moschea del Profeta, il cimitero in cui riposano i suoi Compagni. Questa visita non è obbligatoria e non fa parte integrante dei riti del Pellegrinaggio, ma è molto raccomandata.