Articolo per INGENIO

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Articolo per INGENIO
La Geomatica per il controllo e monitoraggio: la riduzione del RISCHIO
del territorio soggetto a dissesto
Ing. Marco Dubbini - Università di Bologna sez. Geografia, [email protected]
dott. Salvatore Agosta - SAL Engineering – Modena, [email protected]
dott. Giacomo Uguccioni - SAL Engineering – Modena, [email protected]
Nel monitoraggio e controllo del territorio, focalizzando l’attenzione su quella vasta porzione interessata
dal dissesto idrogeologico, nel corso degli ultimi anni le tecniche geomatiche di misura terrestri, aeree e
satellitari hanno subito un notevole sviluppo in termini sia di strumentazione che algoritmico di
processamento dei dati. L’elevata automazione dei sistemi permette un monitoraggio e/o controllo
continuo o quasi-continuo di qualsiasi situazioni si presenti al tecnico o all’amministrazione. Oggigiorno
anche l’acquisizione di dati derivanti da sensori aviotrasportati (fotogrammetrici, termici, multispettrali,
chimico-fisici, video, ecc) inizia ad essere vantaggiosa, competitiva e con elevatissima ripetibilità del dato: il
continuo sviluppo della tecnologia nel campo dei velivoli a pilotaggio remoto (RPAS, Remotely Piloted
Aircraft Systems), della miniaturizzazione dei sensori, degli algoritmi per il trattamento dei dati e della
relativa economicità, fan si che questi sistemi li si possa adottare in piena sicurezza e in modo continuativo
ed anche per situazioni di estrema emergenza. Diverse tecniche di misura per il controllo di spostamenti di
punti ben specifici e materializzati con target appositi ad esempio in pareti rocciose, corpi di frana, edifi ci e
infrastrutture a ridosso o all’interno di sistemi, ecc, sono da tempo utilizzate e le metodologie consolidate.
Ad esempio i sistemi realizzati mediante Total Station robotizzate o GPS differenziali con tutta
l’infrastruttura per l’alimentazione, il trasferimento e il processamento dei dati in tempo reale permettono
un controllo dettagliato e discreto dei fenomeni sino a proporre dei valori di soglia con conseguente
allarme. Le tecniche fotogrammetriche con l’attuale elevata automatizzazione di data-processing e,
soprattutto, potendo oggigiorno utilizzare strumentazione a costi relativamente bassi ma sempre con un
livello elevatissimo del risultato finale in termini di accuratezza, permettono il monitoraggio di fenomeni di
dissesto di porzioni di territorio medio-vaste e al contempo l’acquisizione di dati per la descrizione di
fenomeni molto dettagliati. Considerando le molteplici e diversificate sperimentazioni e ffettuate in questi
ultimi anni ed i risultati scientifici altamente comprovati, si apre la via all’utilizzo in modo integrato dei dati
ottenuti da processi geomatici con il fine di contribuire notevolmente ad abbassare il livello del RISCHIO,
insito nell’equazione RISCHIO = Pericolosità * Vulnerabilità * Esposizione che occorre adattare ed integrare
a fenomeni che attualmente sono prevalentemente di carattere sismico. Questo deve contribuire
attivamente nell’ambito della stesura di mappe di RISCHIO del territorio potenzialmente o già soggetto a
fenomeni di carattere idrogeologico.
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Geomatica per il territorio
L’osservazione di grandezze geometriche (riassumibili tutte in termini di angoli e distanze) sul territorio per
la determinazione di coordinate di punti all’interno di sistemi di riferimento predefiniti, oggigiorno la si può
affrontare attraverso l’utilizzo di tecnologie e metodologie molto diversificate e con livelli di accuratezza
impensabili sino a pochi anni addietro. Le problematiche che si manifestano al tecnico possono essere
risolte facendo la miglior scelta metodologica e strumentale in relazione al fenomeno che si intende
descrivere e ancor meglio, più auspicabilmente, considerando sia la strumentazione che le metodologie in
modo integrato. Questo comporta a priori elevate capacità, senso critico e molta interdisciplinarietà in
modo tale da effettuare la miglior progettazione del sistema per la descrizione, il controllo e/o il
monitoraggio di tutti quei fenomeni che spesso sono correlati e che portano frequentemente a far variare
l’assetto del territorio sino a farlo divenire potenzialmente pericoloso.
In un’ottica di controllo (definire le caratteristiche geometriche nello spazio di un oggetto) e monitoraggio
(definizione multi-temporale delle caratteristiche geometriche di un oggetto sottoposto ad uno o più
fenomeni che ne comportino variazioni spaziale nel tempo) di fenomeni che possono creare rischio
nell’ambito del territorio, si possono avere molteplici esigenze ed allestire altrettanti sistemi. In termini di
monitoraggio, ad esempio, può essere sufficiente e molto efficace predisporre e materializzare target su
punti del territorio ben specifici ed effettuare misure ripetute nel tempo sugli stessi con il fine di creare una
mappa di spostamenti e velocità che permettano di descrivere fenomeni di fessurazioni attive in pareti
rocciose, oppure di movimenti di corpi di frana, instabilità di manufatti antropici all’interno di un territorio
soggetto a fenomeno franoso e quant’altro. Questo può essere eseguito attraverso l’utilizzo di
strumentazione topografica tipo Total Station robotizzata accoppiata ad altri tipi di sensori (di temperatura,
di pressione, di umidità, ecc. che permettono di correggere errori dovuti ad esempio a variazioni
atmosferiche), mediante sistemi GNSS (Global Navigation Satellite System) differenziali, inseriti all’interno
di un sistema preconfigurato che dia la possibilità di acquisire il dato, memorizzarlo, trasmetterlo in tempo
reale ad un centro di calcolo, elaborarlo in tempo reale attraverso procedure predefinite e quindi avere a
disposizione il risultato sempre in tempo reale. I risultati ottenuti possono essere confrontati con eventuali
soglie di allarme opportunamente definite e quindi predisporre un efficace sistema di allerta.
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A sinistra il sistema di acquisizione dati formato da Total Station robotizzata, dispositivi di gestione,
memorizzazione e trasferimento dati all’interno dell’armadietto e sistema GNSS differenziale per il controllo della
stabilità del sito. A destra tre tipologie di installazione di target con prismi retroriflettenti.
Determinazione dei vettori velocità di spostamento ricavati dalle misure del sistema robotizzato sui
target predisposti
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L’utilizzo di strumentazione interferometrica terrestre (GBInSAR - Ground Based Interferometric Synthetic
Aperture Radar) permette di analizzare nello stesso istante di tempo un “continuo territoriale” e valutare lo
spostamento di punti specifici dell’ordine di grandezza anche submillimetrico.
Il sistema fornisce dati di elevata qualità con notevole frequenza, il che consente un monitoraggio continuo
degli spostamenti con un’efficiente possibilità di integrazione con le altre tecniche di indagine e
rappresenta un’opportunità importante per quanto riguarda l’aspetto costi\benefici. Il sistema mobile con
piattaforma terrestre conosciuto specificatamente come LiSA (Linear SAR), è stato espressamente
realizzato per eseguire misure in ambiente esterno e quindi convalidare in condizioni operative le tecniche
già sperimentate e validate in laboratorio. Il sistema GBInSAR LiSA è suddiviso in due parti principali, la
componente a microonde e quella meccanica. L’intero sistema è dotato di una logica interna per effettuare
misure in automatico anche per lunghi periodi. Il metodo che solitamente si utilizza per l’acquisizione dei
dati grezzi è quello di posizionare il sistema ad opportuni intervalli spaziali lungo una traiettoria definita da
un binario di scorrimento ed effettuare la misura radar durante lo scorrimento stesso della strumentazione.
Il sistema GBInSAR LiSA può osservare aree contenute all’interno di un cono simmetrico il cui angolo
minimo di apertura al vertice può variare dai 30° ai 60° a seconda della particolare applicazione. Una volta
acquisite le immagini grezze dal sistema, esse vengono elaborate da appositi pacchetti software per
produrre le immagini SAR, calcolare gli interferogrammi ed ottenere, infine, le mappe di
spostamento/deformazione relative all’area osservata. Per l’attività di monitoraggio dei movimenti in
ambito di pareti rocciose, questa tecnica sembra offrire elevate garanzie di efficienza e funzionalità rispetto
all’applicazione ai casi di fenomeni franosi differenti, come in colate o scorrimenti roto-traslativi che
presentano coperture più variegate e sono suscettibili di differenti movimenti superficiali e, non di meno, le
probabili presenze di coperture vegetazionali, gli usi agricoli, ecc, possono inficiare notevolmente il dato
acquisito.
Nell’episodio della grande frana di San Leo (RN), distacco di circa 500mila metri cubi di roccia, su
indicazione del Servizio Tecnico di Bacino della Romagna – Regione Emilia Romagna, l’Agenzia Regionale di
Protezione Civile ha incaricato il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Firenze per
l’allestimento del sistema di monitoraggio GBInSAR in quanto si sono definite condizioni di elevata criticità
della parete rocciosa con possibili minacce di ulteriori distacchi. L’installazione semi-permanente del
sistema ha permesso e permette di monitorare istante per istante tutta la superficie della parete oggetto di
criticità e anche qui stabilire opportune soglie di allarme con una predisposizione di un eventuale sistema di
allerta.
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Sistem GB-InSAR installato presso la frana di San Leo (RN) per il monitoraggio continuo della parete
rocciosa
Anche l’interferometria differenziale satellitare contribuisce notevolmente nell’avere dati fondamentali per
lo studio del territorio. L’ormai consolidata tecnica definita PS (Persistent Scatterers) vale a dire l’utilizzo di
target sul territorio con caratteristiche di riflessione radar costanti nel tempo (manufatti di qualsiasi tipo
come ad esempio edifici, infrastrutture viarie, tralicci, rocce esposte , ecc) per i quali è possibile misurare
con estrema precisione il valore di fase del segnale radar di ritorno calcolando, in una serie storica, il valore
medio di deformazione a carattere millimetrico, permette di monitorare su ampia scala ad intervalli di
tempo prefissati effetti deformativi del suolo riconducibili anche a fenomeni di dissesto.
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Esempio di anali PS (Persistent Scatter) definiti su manufatti presso l’abitato di Sestola (MO)
Le tecniche di acquisizione diretta di un numero elevatissimo di punti di coordinate note mediante sistemi
Laser Scanner sia terrestri che aerei permette di avere in brevissimo tempo modelli tridimensionali a nuvola
di punti di elevata accuratezza con una densità elevatissima. Gli ultimi sistemi permettono di analizzare
direttamente la forma d’onda del laser derivante da LIDAR aereo ed hanno il pregio di far si che anche in
zone coperte da vegetazione non troppo fitta si possano avere punti che rappresentano il suolo e quindi la
possibilità di costruzione del cosiddetto DTM (Digital Terrain Model) e non del solo DMS (Digital Surface
Model). Quest’ultimo, infatti, soprattutto dai sistemi aviotrasportati, descrivendo il modello della superficie
potrebbe non rappresentare in modo sufficientemente descrittivo il solo suolo, che nell’ambito del dissesto
idrogeologico è ciò che maggiormente interessa al tecnico. Allo stesso tempo i sistemi terrestri hanno il
limite delle cosiddette zone d’ombra, vale a dire quelle zone dove il raggio laser non riesce ad arrivare
perche’ nascoste da porzioni di territorio o oggetti che si infrappongono tra la sorgente laser e l’oggetto
stesso del rilievo. Con i sistemi laser terrestri un’accurata progettazione delle posizioni (stazioni) in cui
posizionare la strumentazione di acquisizione è assolutamente auspicabile. L’accuratezza finale del dato
dipende fondamentalmente dalla tipologia di raggio laser, dalle dimensioni dello spot laser sull’oggetto
(che dipende dalla distanza che intercorre tra sorgente laser e oggetto) e soprattutto dall’accuratezza di
posizionamento dello strumento nel sistema di riferimento prescelto.
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Un ruolo importante nell’ambito del controllo e del monitoraggio del territorio, in questi ultimi anni, lo sta
riacquistando la fotogrammetria digitale, sia terrestre ma piu’ che altro aerea. Lo sviluppo di sofisticati
algoritmi denominati SfM (Structure from Motion) fondati sul matching automatico di caratteristiche
comuni individuabili su un numero elevato di fotogrammi consecutivi, che derivano da discipline legate alla
Computer Vision ed integrati ai classici algoritmi propri della fotogrammetria (triangolazione aerea, bundle
adjustment), permettono un’elevatissima automatizzano di gran parte dei processi utilizzando sistemi di
acquisizione (camere fotografiche) di costo relativamente basso. Questo perché tali procedure
determinano anche in modo estremamente accurato i parametri di calibrazione (processo di
autocalibrazione) della camera fotografica quali focale, posizione del punto principale sul sensore e curva di
distorsione dell’obbiettivo, che sono fondamentali all’interno del processo fotogrammetrico. Tutto ciò
fornisce un risultato finale in termini di modello tridimensionale e ortofoto di precisione di elevatissima
definizione e accuratezza. Lo sviluppo di queste tecniche, cosiddette Image-based, portano alla creazione di
nuvole di punti ad altissima definizione e densità la quale dipende fondamentalmente dalla risoluzione
dell’immagine e dal GSD (Ground Sample Distance) del pixel, cioè la dimensione dello stesso proiettato
sull’oggetto. Il prodotto 3D che si ottiene è appunto una nuvola di punti che rappresenta il DSM della
superficie e questo è comunque un limite qualora si sia in presenza di vegetazione. Anzi, la vegetazione in
genere (sia alta che bassa) crea spesso e volentieri outlier in quanto il movimento della stessa dovuto a
vento provoca un effetto di errore che possiamo assimilare ad variazioni di parallasse che si ripercuote
maggiormente nella coordinata parallela all’asse di presa, solitamente la Z (quota) del modello nel sistema
cartesiano XYZ. La rimozione degli outlier prevede l’applicazione di algoritmi di classificazione che devono
essere ben parametrizzati e, sicuramente, anche una fase di indagine visive ed editing manuale .
L’acquisizione delle immagini aeree puo’ avvenire con qualsiasi tipo di mezzo che possa sollevare la camera
e farla acquisire nella modalità prescelta e piu’ opportuna. Per poter applicare il processamento
fotogrammetrico mediante algoritmi SfM, occorre un’elevata percentuale di sovrapposizione tra
fotogrammi consequenziali (almeno 80%) e una sovrapposizione laterale che cauteli dal non avere
mancanza di dati. Questo in un’ottica di acquisizioni fotogrammetriche aeree attraverso voli con traiettorie
predefinite. Nell’area ricoperta dal folo fotogrammetrico devono necessariamente essere posizionati tutta
una serie di target ben visibili e misurabili, per definire il sistema di riferimento del modello e aiutare
notevolmente il processo di autocalibrazione della camera. Questi potrebbero essere evitati nel
posizionarli, qualora si riesca a determinare con estrema accuratezza (nell’ordine centimetrico) la posizione
nello spazio nel sistema di riferimento predefinito, di tutti i centri di presa di acquisizione della fotocamera.
Solitamente questo avviene quando a bordo del mezzo che solleva la camera è installato un sistema GNSS
(Global Navigation Satellite System) differenziale a doppia frequenza con sistema di correzione RTK o,
meglio ancora, con Stazione di riferimento a terra per un post-processing cinematico.
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Con l’affidabilità sempre crescente dei mezzi a pilotaggio remoto (RPAS, Remotely Piloted Aircraft Systems)
sia di tipo multirotore che aereo, vi è la possibilità di acquisire dati aerei con un notevole incremento del
rapporto benefici/costi e in piena sicurezza.
Si focalizza l’attenzione su questi aspetti di carattere fotogrammetrico, in quanto si ritiene che possano
essere impiegati in modo molto efficace nello studio del territorio soggetto a dissesto idrogeologico in
integrazione con tutte le altre metodologie geomatiche.
La definizione di modelli geometrici accurati
Quando si deve predisporre il piano di indagine e monitoraggio di un evento di dissesto idrogeologico, è
fondamentale integrare al complesso delle attività di indagine presenti in sito le tecniche di misura
geomatiche terrestri, aeree e satellitari, che oggi conoscono un notevole sviluppo per quanto riguarda la
strumentazione sensoristica e tecnica di supporto, e per quanto riguarda il calcolo algoritmico in fase di
elaborazione e processamento del dato acquisito.
L’acquisizione di dati derivanti da sensori aviotrasportati di tipo fotogrammetrico, multi-spettrale, termico,
di individuazione chimico-fisica o per riprese video di prossimità è oggi definitivamente vantaggiosa:
l’elevata automazione dei sistemi permette un monitoraggio continuo di qualsiasi situazione di dissesto, la
metodologia che si va consolidando permette infatti la flessibilità e la complementarietà del rilievo con i
differenti sistemi di indagine già presenti in sito e configura il rilievo fotogrammetrico come una soluzione
efficiente in termini di economicità e velocità di intervento. Le fasi di acquisizione, elaborazione del dato e
restituzione dei prodotti seguono procedure standardizzate e altamente specializzate, ma che soprattutto
hanno la capacità di interfacciarsi con le differenti esigenze di chi richiede il dato territoriale, sia in termini
di velocità di restituzione, che varia tra una situazione di emergenza e uno studio più approfondito, sia in
termini di risoluzione geometrica e accuratezza. Il modello tridimensionale ottenuto, inoltre, può essere
facilmente integrato nelle diverse applicazioni di modellizzazione tridimensionale del terreno, soprattutto
in ambito di dissesto idrogeologico.
Il ricorso alle tecniche geomatiche di controllo monitoraggio è possibile in qualsiasi momento della gestione
del rischio: è infatti fondamentale predisporre rilievi periodici per un monitoraggio temporale dei fenomeni
di dissesto. In più, condizione sempre più importante, il rilievo aerofotogrammetrico presenta le
caratteristiche fondamentali di non invasività e di operazione in sicurezza, considerando la criticità
idrogeologica di alcune aree altrimenti inaccessibili. Ad esempio, per il rilievo aerofotogrammetrico della
Rupe di San Leo (RN) condotto da SAL Engineering (Modena) per ENSER (Faenza, RA) su indicazione del
Servizio Tecnico di Bacino di Romagna – Regione Emilia Romagna, a pochi giorni dall’ingente crollo
avvenuto nella primavera del 2014, sono stati effettuati circa 30 voli con RPAS multirotore ad una quota
media di volo di 68 m, per assicurare una risoluzione media del pixel a terra di 0.02 m, per un tempo
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complessivo di acquisizione (comprensivo di tutti le fasi di rilievo a terra dei target di riferimento) di circa
25 ore: la qualità dei prodotti ottenuti, come vedremo in seguito, conferma la funzionalità della
metodologia.
Pianificazione del rilievo fotogrammetrico della Rupe di San Leo (RN) in ambiente GIS
Sin dalla pianificazione del rilievo, noti i parametri di calibrazione della sensoristica, rispettate le regole di
definizione delle traiettorie fotogrammetriche in modo tale da consentire la sovrapposizione necessaria
all’applicazione degli algoritmi delle metodologie Image-Based, è importante poter conoscere in modo
accurato il GSD del pixel sulla superficie oggetto del rilievo, poiché è sulla dimensione di questa grandezza
che si quantifica la risoluzione del modello geometrico tridimensionale che ne deriva. Nel caso del rilievo
fotogrammetrico su una delle diverse corone di distacco della grande frana di Capriglio (PR), considerando
che la camera utilizzata (Canon 550D) a 18 megapixel con sensore di tipo APS-C produce fotogrammi con
pixel di dimensione pari a 0.0042 mm per lato e presenta una lunghezza focale pre-calibrata di 26.82 mm,
essendo stata mantenuta la quota di volo costante a 50 m, si ottiene la dimensione del GSD che
corrisponde a 0.008 metri. Questo significa che la risoluzione geometrica del modello tridimensionale
ottenuto è subcentimetrica.
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Interfaccia grafica del software di processamento dei dati fotogrammetrici utilizzato per la frana di Capriglio (PR). Sono
evidenziate le coordinate UTM-IGS08 fuso 32 dei centri di presa e le coordinate dei punti fotogrammetrici di appoggio.
In fase di elaborazione, i blocchi di fotogrammi acquisiti sono caricati e processati in software
fotogrammetrici Image-Based per la creazione di una nuvola densa di punti, che è paragonabile a quella di
un rilievo laser scanner e che si configura come il prodotto base da cui ottenere tutti i prodotti
tridimensionali e bidimensionali che occorrono allo studio del territorio. Come menzionato, questi software
utilizzano algoritmi di tipo Structure From Motion per una ricostruzione tridimensionale di tipo
fotogrammetrico e, volendo, stereoscopico. Nel caso della nicchia di distacco della frana di Capriglio (PR), è
stata rilevata una nuvola di punti di coordinate note con risoluzione pari a circa 0.005 m.
Dalla nuvola di punti è possibile generare una superficie geometrica TIN (Triangulated Irregular Network)
tridimensionale, la cui collezione di vertici è formata proprio dai punti della nuvola densa. Nel modello
tridimensionale a nuvola sparsa (fase di matching) già ottenuto tramite gli algoritmi SfM, per procedere con
la fase di bundle adjustment e definizione del sistema di riferimento, occorre inserire i dati di coordinate
acquisiti direttamente sul campo tramite strumentazione geodetica GNSS: si devono infatti acquisire le
coordinate precise di determinati target posizionati a terra in posizioni il più possibile ben distribuite nel
modello e questi dovranno dunque essere individuabili e riconoscibili nei fotogrammi acquisiti. Questa fase
può essere omessa qualora si abbiano a disposizione le coordinate dei centri di presa accurate al
centimetro.
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Superficie geometrica TIN (Triangulated Irregular Network) tridimensionale dell’area della nicchia di distacco della
frana di Capriglio (PR), dove si vede la disposizione dei punti fotogrammetrici di appoggio.
Su questa mesh triangolare è inoltre possibile impostare la texturizzazione, direttamente reperibile dai
singoli fotogrammi: è così possibile ottenere una ortofoto di precisione georeferenziata dell’area oggetto di
interesse, che è uno strumento estremamente utile agli operatori che devono predisporre al meglio i piani
di indagine e monitoraggio, e che può essere esportata a diversa risoluzione a seconda delle specifiche
esigenze. Nel caso del crollo avvenuto nella primavera del 2014 della parete rocciosa di San Leo (RN), è
stato possibile fornire ai tecnici del Servizio Tecnico di Bacino di Romagna della Regione Emilia-Romagna un
prodotto cartografico basato su ortofoto di precisione dell’intera area ad altissima risoluzione, con
dimensione GSD pari a 0.05 m. L’accuratezza complessiva finale dei prodotti ottenuti, risulta sempre
paragonabile alla risoluzione pixel in termini di GSD. I controlli vengono sempre effettuati attraverso
confronti e calcoli derivanti da coordinate di una quota parte di target posizionati nelle aree di rilievo e che
non vengono considerati in fase di processamente dati.
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Ortofoto di precisione georeferenziata della rupe di San Leo (RN) e dell’area adiacente. GSD = 0.05m
DTM (Digital Terrain Model) della Rupe di San Leo (RN) ottenuto tramite il rilievo aerofotogrammetrico.
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Stima volumetrica dei corpi di frana
In merito ad una delle possibili risposte operative nell'eventualità di un evento franoso, e per fornire il
personale tecnico di tutti quei dati utili ad una valutazione complessiva dell'evento in relazione alle opere
necessarie per la messa in sicurezza del sito in questione, è necessario mettere in luce l'utilità di una stima
volumetrica del corpo di frana.
Confrontando il volume di un modello tridimensionale georiferito elaborato sulla base di dati
fotogrammetrici acquisiti in seguito all'evento in questione (“modello post-frana”), con il volume di un
modello omologo ma elaborato a partire da dati fotogrammetrici acquisiti precedentemente l'evento
(“modello pre-frana”), vedremo come sia possibile stimare, con elevata accuratezza, il quantitativo di
materiale depositatosi ed il suo posizionamento nello spazio.
Questo dato altro non è che il risultato di una semplice differenza volumetrica tra il modello post-frana e
quello pre-frana, ma se i presupposti logici che sottostanno a tale affermazione sono intuitivi ed auto evidenti, non si può dire lo stesso delle procedure da mettere in atto per il raggiu ngimento di tale scopo.
Nell'esplicazione delle metodologie messe in pratica ci riferiremo, a titolo di esempio, ad un caso studio
relativo all'analisi volumetrica della frana del monte Sorapiss, avvenuta il primo ottobre 2013 in provincia di
Belluno, effettuata in collaborazione col Comando Provinciale di Belluno del Corpo Forestale dello Stato.
Elaborazione del modello pre-frana
Il primo passaggio obbligatorio per un'analisi volumetrica di questo tipo consiste, come si è già evidenziato,
nella determinazione di un modello che sia la rappresentazione del “momento zero” sulla base del quale è
poi possibile confrontare i dati acquisiti successivamente. Nella maggior parte dei casi che concernono
l'analisi dei volumi di un evento franoso risulterà molto dif ficile, a meno che il sito in questione non sia
oggetto di un programma di monitoraggio periodico, disporre di una base di dati acquisiti precedentemente
l'evento disastroso che abbia risoluzione del tutto comparabile dei dati acquisiti, unicamente per questo
scopo, in seguito alla frana.
Per ovviare a ciò si è elaborato il modello pre-frana sulla base di un volo fotogrammetrico commissionato
dalla regione Veneto nel 2006 ed effettuato nella zona in oggetto, denominato “Reven Cortina Alto”, con
una risoluzione a terra media (GSD, Ground Sample Distance) pari a 0.5 m. Nel particolare sono stati
elaborati con processi fotogrammetrici basati su algoritmi SfM tutti i fotogrammi di tale volo, le cui
strisciate ricoprono una buona parte dell'intero territorio del comune di Cortina, e si è così ricavato un
modello tridimensionale a nuvola densa di punti dell'intera zona coperta dal volo in questione che è stato
infine esportato come Modello Digitale del Terreno (DTM), ricampionato sulla base di una griglia regolare di
0.5 m.
Si è scelto di prendere in esame per la creazione del modello pre -frana un set di dati che copra una zona
molto più ampia di quella direttamente utile ai nostri scopi, questo per le difficoltà che si sarebbero
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riscontrate nella georeferenziazione del modello stesso, dovute per lo più alla forte omogeneità territoriale
della zona in questione e della conseguente difficoltà nella determinazione dei Punti Fotogrammetrici
d'Appoggio, in quanto questi devono necessariamente essere di tipo naturale e risultare ben riconoscibili
sui fotogrammi aerei. Di conseguenza, con la creazione di un modello tridimensionale che si estende per
buona parte del territorio del comune di Cortina d'Ampezzo, è stato possibile georeferenziarlo attraverso la
misurazione, tramite strumentazione GNSS geodetica differenziale, di quindici punti uniformemente
distribuiti sull'intero modello e facilmente riconoscibili, quali manufatti , incroci stradali od elementi
notevoli di varia natura.
Modello Digitale del Terreno (DTM) dell'area di Cortina d'Ampezzo ricavato da volo fotogrammetrico del 2006
Elaborazione Modello post-frana
Per l'acquisizione dei dati fotogrammetrici necessari alla creazione del modello tridimensionale che
abbiamo denominato post-frana sono stati effettuati tre voli fotogrammetrici con una fotocamera digitale
(Canon Eos 500D) alloggiata su di un RPAS (ESAFLY 2500 di SAL Engineering) (Illustrazione 2). Tutti e tre i
voli sono stati pianificati su traiettorie predefinite e si fatto si di mantenere il velivolo, e di conseguenza il
sensore fotografico, ad una quota media dal suolo pari a 50 m ed una conseguente risoluzione a terra del
pixel (GSD) pari a 0.01 m. Per la sua georeferenziazione sono stati raccolti 6 Punti Fotogrammetrici
d'Appoggio distribuiti il più uniformemente possibile su tutta l'area, fermo restando l'impossibilità di
posizionarli sul corpo di frana stesso per l'evidente pericolosità della zona.
Come nel caso del modello elaborato in precedenza anche quest'ultimo è stato esportato come DTM sulla
base di un grigliato regolare, ma in questo caso il ricampionamento non è stato effettuato secondo il
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criterio di mantenere il dato ad un livello di dettaglio più elevato possibile, che nel nostro particolare caso
potrebbe essere pari a 0.01 m per pixel, bensì allo scopo di avere un dato che fosse confrontabile con il
modello pre-frana, e quindi ricampionato sulla base di uno stesso grigliato regolare di 0.05m.
Modello Digitale del Terreno dell'area interessata dalla frana del monte Sorapis s
Calcolo volumetrico
Una volta esportati i due modelli dal software fotogrammetrico sono entrambi stati importati in ambiente
GIS specifico in moto tale da poter effettuare calcoli volumetrici.
Elaborata la differenza tra i due DEM, l'uno ricavato dal modello pre -frana e l'altro da quello post-frana, è
stato possibile stimare il volume di materiale depositatosi ed il suo posizionamento spaziale con un errore
stimato di 3σ pari a circa il 3% del volume complessivo (Illustrazione 4 e 5)
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Calcolo volumetrico dell’ammasso detritico
Ortofoto della zona del distacco roccioso del monte Sorapiss con sovrapposizione del layer che mostra in rosso le zone
di accumulo detritico ed in blu quelle dove si è assistito ad uno scivolamento a valle del materiale
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La geomatica per la riduzione dell’esposizione degli elementi a rischio
Il rischio idrogeologico, che insieme a quelli vulcanico e sismico afferisce al rischio geologico, è da
considerarsi una sotto-tipologia del più generico rischio ambientale e può essere definito in una formula in
cui interagiscono le diverse variabili che descrivono l’evento, il contesto ambientale, il danno e l’incertezza
relativa all’accadimento stesso. Quest’ultima, intesa come maggiore o minore conoscenza fenomenica
dell’evento e della probabilità di accadimento, è la condizione fondamentale che nello specifico definisce il
rischio idrogeologico, distinguendolo dal dissesto, con cui invece si intendono gli effetti puntuali e visibili
sulla superficie terrestre di più lunghi e complessi processi che ne generano la continua trasformazione.
Il rischio ambientale è definito da una formula precisa, secondo la quale, attraverso le variabili della
pericolosità (hazard, H), della vulnerabilità (vulnerability, V) e del valore degli elementi a rischio (exposure,
E), si può esprimere la dimensione di un rischio: R = H ∙ E ∙ V. In questo senso, la dimensione di un rischio
è il risultato del prodotto fra la probabilità che si verifichino eventi potenzialmente pericolosi e l’entità dei
danni provocati da tali eventi. Il valore degli elementi a rischio, che viene ad informare l’esposizione
(exposure, E), è la variabile che definisce in termini quantitativi il valore degli elementi a rischio di impatto,
che sono l’incolumità delle persone, gli agglomerati urbani, le zone di espansione urbanistica, le aree su cui
insistono insediamenti produttivi o impianti tecnologici, le infrastrutture a rete e le vie di comunicazione di
rilevanza strategica, anche a livello locale, il patrimonio ambientale e i beni culturali d’interesse rilevante, le
aree di servizi pubblici e privati, di impianti sportivi e ricreativi, le strutture ricettive.
La ‘lotta’ al rischio idrogeologico ha la propria strategia distinta in tre fasi fondamentali: la previsione, la
prevenzione e la mitigazione del rischio, che in generale afferiscono alla analisi e alla gestione del rischio, la
quale comprende anche la gestione dell’emergenza. Secondo l’art. 3 della Legge n. 225 del 1992, con cui si
istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile, la previsione delle varie ipotesi di rischio “consiste
nelle attività dirette allo studio e alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla
identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi”. Prima di
tutto, nell’attività di previsione si inserisce anche l’analisi di rischio, con cui si parametrizzano le variabili
dell’equazione vista sopra, ma più in generale, l’attività di previsione in ambito di rischio ambientale
consiste in tutte le attività dirette allo studio e alla determinazione delle cause e dei meccanismi degli
eventi di dissesto, in modo tale da avere tutti i dati e le conoscenze necessarie alla previsione degli eventi
stessi in termini di rigorosità geometrica. In questo senso, le tecniche geomatiche di rilievo tridimensionale
del terreno sono propedeutiche alla conoscenza dei meccanismi e delle cause del dissesto, fondamentali
alla elaborazione di modelli previsionali di tipo idrogeologico e utili alla conoscenza approfondita della
superficie tridimensionale topografica per la progettazione di opere strutturali.
D’altra parte, secondo l’art. 3 della Legge n. 225 del 1992, la prevenzione “consiste nelle attività volte ad
evitare o ridurre al minimo le possibilità che si verifichino danni conseguenti a calamità, catastrofi naturali o
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connesse con l’attività dell’uomo, anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di
previsione”. E’ ben chiaro che all’interno dell’equazione formale di rischio ambientale, i l monitoraggio dei
movimenti superficiali e il rilievo geometrico tridimensionale può certamente contribuire a ridurre il valore
degli elementi a rischio, perché permette di individuare, misurare, conoscere approfonditamente e
perimetrare le aree soggette ad eventuale rischio idrogeologico, e dunque evitare che un eventuale
dissesto coinvolga esseri umani o attività economiche. In questo senso le tecniche geomatiche si
inseriscono attivamente nell’attività di prevenzione del rischio: la costituzione di soglie d’allerta, ad
esempio, legate al monitoraggio real-time di movimenti superficiali di versanti o pareti rocciose, utile ad
attivare la cittadinanza ed eventualmente pianificare le evacuazioni, può certamente ridurre la possibilità
che nell’area interessata dall’evento previsto siano presenti persone o beni di valore.
Precisamente, tra gli strumenti messi a disposizione dei tecnici che operano nella difesa del suolo, e
secondo le specifiche peculiarità di ogni episodio, le tecniche geomatiche di rilievo tridimensionale, come il
rilievo fotogrammetrico, il rilievo laser scanner, radar terrestre, stazione totale, reti GNSS, si inseriscono di
diritto nelle misure non strutturali di riduzione del rischio ambientale, poiché non cercano di contrastare
fisicamente il processo naturale, ma di monitorarne l’evoluzione affinché si a possibile gestirne più
razionalmente la risposta delle persone, delle attività e degli enti pubblici coinvolti. In ogni caso, nel
valutare l’adozione di differenti strumentazioni e tecniche di indagine si deve considerare sempre sia
l’efficienza della metodologia, sia la potenzialità rappresentativa e divulgativa dell’informazione: la
possibilità di rappresentare e gestire con modellizzazioni tridimensionali i dati raccolti è un importantissimo
vantaggio.
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