Appello contro la condanna a morte islamisti egiziani
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Appello contro la condanna a morte islamisti egiziani
Appello del direttore della rivista “Testimonianze” contro la condanna a morte di 529 persone in Egitto La condanna a morte in blocco, in un solo processo, in Egitto di 529 (cinquecentoventinove) islamisti accusati delle violenze seguite alla destituzione del governo della Fratellanza islamica da parte dei militari è un fatto inquietante, di barbarie giuridica e umana. Noi niente sappiamo delle accuse specifiche che vengono rivolte a queste persone. Ma le responsabilità civili e penali sono individuali e la condanna a morte di più di 500 persone per la morte di un poliziotto (episodio grave e condannabile) appare una cosa enorme e grottesca. Noi consideriamo da sempre, fin dai tempi dell’Algeria delle stragi degli anni novanta, il fondamentalismo islamista un pericolo mortale per la democrazia. Pur nelle nostre diverse sensibilità culturali, tuttavia accomunate da una impostazione democratica e laica (che accomuna credenti e non credenti), ci appare chiaro che ogni fondamentalismo (ancor più quello violento) va combattuto senza remissione. Ma la democrazia, nel combattere i pericoli che la minacciano, deve darsi forza proprio nel rispetto dei diritti umani e nella tutela giuridica dei suoi stessi nemici violenti. Crediamo che i democratici convinti e conseguenti debbano essere in prima fila nella lotta per salvare la vita ai loro avversari del Cairo. Si dica pure che posizioni di questo tipo possono essere da loro strumentalizzate. Le strumentalizzino pure. Noi vogliamo semplicemente salvare loro la vita. Siamo contro la pena di morte, ovunque, nel mondo. La morte è una cosa orrenda (può darne testimonianza chi l’ha vista in faccia). Non la si deve infliggere nemmeno ai propri nemici (“Non uccidere”); tanto meno deve infliggerla lo Stato. Per salvare la vita agli islamisti egiziani (che consideriamo pericolosi avversari politici da combattere politicamente), siamo convinti che Firenze città della pace e dei diritti umani, l’Italia (che deve uscire dal provincialismo politico in cui pare, talora, assopita) e l’Europa debbano fare la loro parte. Noi ci batteremo perché così sia. Chiediamo ad associazioni della società civile, partiti, organizzazioni religiose, militanti dei diritti umani, semplici cittadini di associarsi a questo appello, che proponiamo come “Testimonianze” (rivista della cultura del dialogo, da sempre avversa ad ogni fondamentalismo, fondata da Ernesto Balducci). Non c’è tempo da perdere. Salvare la vita ai nostri avversari politici del Cairo è politicamente, eticamente ed umanamente un compito a cui non ci possiamo sottrarre. Il "mondo cristiano", nelle sue varie espressioni, è già immerso nei riti e nell'atmosfera della Settimana Santa. Anche i non credenti vivono, comunque, l'atmosfera particolare della Festa e delle feste che si approssimano. C'è un piccolo dettaglio che viene, forse, non abbastanza sottolineato (ne parlammo anche, con Sergio Givone, nel volume di "Testimonianze" dedicato alle "Immagini della Resurrezione per gli uomini e le donne degli anni 2000"): che non si dà Resurrezione senza Passione. E la Passione non è un dato accessorio o un momento di passaggio. E' la dimensione costante della condizione umana (che ha tanti aspetti belli e splendenti, ma che ha anche il "limite oscuro" della sofferenza e della morte) con cui confrontarsi. Nello specifico, non è male ricordare che la Passione di cui facciamo memoria (e di cui le chiese cristiane fanno memoria) è quella di un condannato a morte di duemila anni fa. Una domanda, allora, sorge spontanea: cosa fanno oggi le chiese cristiane (oltre a celebrare, come è giusto, i loro riti ed a far memoria di antichi eventi di forte evocazione simbolica) per i condannati a morte del nostro tempo? Cristiani e non cristiani del mondo occidentale (culla dei diritti umani che, se rapportati correttamente alla relatività delle culture, sono un patrimonio dell'intera umanità) cosa fanno davvero per sradicare la vergogna della pena capitale, che continua vergognosamente ad essere applicata oggi come lo era ai tempi di Gesù? E cosa fanno - ecco la domanda di fondo - chiese cristiane e i non credenti democratici per i loro "fratelli musulmani"? E’ questa, alla lettera, la definizione che essi danno di se stessi, anche se tale definizione si applica alla parte più fondamentalista, oscurantista e più lontana da noi dello stesso mondo islamico; ma questo non ha importanza. Bisogna prendersi cura della cultura dei diritti, anche e forse ancor di più quando in questione è la sorte di nostri avversari politici) condannati a morte in Egitto. Cinquecentoventinove (529) "poveri cristi" (forse malfattori, forse colpevoli, sicuramente poco raccomandabili politicamente) condannati a morte in Egitto? Quando farsi questa domanda se non alle soglie del Venerdì Santo, che evoca, appunto i tormenti di un condannato a morte dalla casta politica, religiosa e militare del suo tempo? Dio mi perdoni se ho nominato il suo nome invano, ma questo mi sembrava giusto dover dire. Quando, se non nel giorno del Venerdì Santo (che prelude a quella Festa della vita che è la Pasqua) lanciare un appello al mondo contro la pena di morte? Con due precisazioni, certo: essere contro la pena di morte non vuol certo dire essere per l'impunità dei colpevoli. Chi ha sbagliato, paghi e paghi dovendosi confrontare tutta la vita con il suo crimine e con il male commesso. Con le dovute garanzie giuridiche per l 'imputato (che mi pare siano state e siano molto labili nel "caso Egitto"), sia condannato e paghi quel che deve, per rispetto a se stesso, al recupero della sua dignità di essere umano ed alla società offesa. Seconda precisazione: oggi siamo a parlare (ameno noi ne parliamo, ma sono pochissime, ci sembra, le coscienze che ne sono scalfite; un segno grave dell'ottundimento della nostra sensibilità) dell' Egitto, ma siamo contro la pena di morte ovunque nel mondo (in Cina, in Iran, dove ne impiccano a decine, mentre il mondo tace, nei democraticissimi USA) e siamo anche contro l’applicazione di fatto della pena di morte per altre vie (nemmeno legali): come nelle persecuzioni religiose (dove decine di persone vengono uccise o fatte saltare in aria per la loro semplice adesione ad un credo invece che ad un altro. Una vergogna). Bene. Perché non ci ribelliamo? "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", urlava Gesù, in modo umanissimo dalla Croce. E quando, se non il Venerdì Santo, e quando se non in prossimità della Pasqua, dobbiamo fare (cristianamente e/o laicamente) un esame di coscienza su tutto questo? Papa Francesco, che amo, non ha niente da dire (mi si perdoni l'ardire della domanda) sui condannati d'Egitto e sui condannati a morte nel mondo? Mentre ricordiamo la vicenda di un condannato a morte, che ci hanno detto che sia risorto per darci la speranza, ci accingiamo a consumare la colomba e il dolce pasquale, a vuotare il calice dello spumante ed a sobbarcarci qualche doveroso, e anche piacevole, pranzo con amici e parenti. Poi tutto torna come prima. Le cerimonie rievocative della Passione saranno (lo sono vissute spesso) come episodi folkloristici e poco più e i condannati a morte del mondo riprendono l'attesa agonica del loro imminente destino. Che dire, amici? Vi faccio volentieri gli auguri. Vi voglio bene. Ma faccio gli auguri, soprattutto, ai condannati a morte di tutto il mondo: che qualcuno finalmente si prenda cura di loro (innocenti o colpevoli, "comuni" e "politici" che siano) e lavoro davvero per sradicare questa vergogna dal mondo. PENA DI MORTE: MAI PIU'. E ricordiamoci (religiosamente e laicamente che senza la vera memoria del Venerdì Santo, la Santa Pasqua non è che un rito buono per essere evocato sulle cartoline illustrate (ma anche le tenere cartoline illustrate di una volta non ci sono più). Il mondo spesso è crudo, buio, oscuro e la luce pasquale fa fatica a penetrarvi. Severino Siccardi (direttore di “Testimonianze”)