Vada Volaterrana

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Vada Volaterrana
VADA VOLATERRANA: UN PORTO LUNGO LE ROTTE TIRRENICHE
Velathri/Volaterrae e gli insediamenti del suo territorio utilizzarono nel
corso dell’antichità un articolato sistema di porti/approdi, nel cui ambito
Vada Volaterrana assunse particolare importanza almeno a partire da età medio/tardo repubblicana (Fig. 1). L’abitato si estendeva sotto gran parte della
moderna Vada (frazione di Rosignano M.mo, Livorno), che ne conserva il
toponimo, ed oltre la periferia Nord di questa. Tale ubicazione è in accordo
sia con le distanze fornite dall’Itinerarium Maritimum (I, 501), che localizza
Vada Volaterrana a 25 milia da Populonia e a 18 da Portus Pisanus, sia con i
ritrovamenti occasionali di numerosi resti archeologici effettuati nel centro
della cittadina fra il tardo XIX e la prima metà del XX secolo (CHERUBINI
2000). Il porto, a giudicare dai dati geomorfologici e dalla distribuzione dei
rinvenimenti subacquei, articolati in relitti di navi antiche e reperti, doveva
essere ubicato in prossimità dell’attacco dell’attuale pontile della Società Solvay
Chimica (PASQUINUCCI, MENCHELLI, DEL RIO 2003) ed era protetto da un esteso
sistema di secche, di cui il poeta Rutilio Namaziano (De reditu, I, 453-462)
fornisce una vivida descrizione.
Vada Volaterrana, importante tappa lungo le viae Aurelia ed Aemilia
Scauri (CECCARELLI LEMUT, PASQUINUCCI 1991) per tutta l’età antica si connotò
come centro commerciale funzionale allo stoccaggio ed alla redistribuzione
di numerose merci, derivate dalle intense attività di import-export del retroterra. Volterra ed il suo ager, che furono oggetto di una romanizzazione non
traumatica e realizzata nel sostanziale rispetto delle oligarchie dominanti,
risultano infatti caratterizzate da una notevole varietà di risorse ed attività
economiche, tra loro fortemente integrate.
Per tutta l’età tardo-repubblicana Volterra conservò il ruolo di centro
propulsore di specializzate attività artigianali, nel quale venivano assorbiti e
rielaborati gli influssi culturali provenienti da ambienti magno-greci, dall’Etruria meridionale e dall’Oriente (NIELSEN 1988; BONAMICI 2003). Nel territorio
le grandi villae, attestate soprattutto a partire dal II secolo a.C., e le fattorie
di piccole-medie dimensioni producevano sia per la sussistenza che per il
mercato; accanto ai cereali, la cui abbondante produzione è citata dalle fonti
letterarie (Liv., XXVIII, 45, 15), la coltura prevalente doveva essere il vino,
come documenta l’individuazione, sul terreno e in laboratorio, di numerose
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Fig. 1 – Vada e la costa tirrenico-ligure.
produzioni volterrane di anfore vinarie greco-italiche e Dressel 1 (PASQUINUCCI,
MENCHELLI 2004). Lo sfruttamento delle cospicue risorse minerarie, la cantieristica navale, la coltivazione del sale, le produzioni manifatturiere attestate
nella città e nel territorio garantirono lo sviluppo di un’economia vivace e
ben inserita nell’ambito delle rotte alto-tirreniche.
I principali flussi commerciali di età tardo-repubblicana provenivano,
come nel resto del Mediteranno occidentale, dall’area campano-laziale: i porti
dell’Etruria settentrionale erano strategicamente importanti per l’espansione
politico-commerciale di Roma verso le coste liguri, galliche ed iberiche, e
dunque in ambito volterrano divennero frequenti i vasi di campana A, le
anfore greco-italiche, le olle, i caccabi e le patellae prodotti nelle manifatture
del Lazio e della Campania. Stretti scambi commerciali sono evidenti con la
Penisola Iberica, come documenta la presenza di sombreros de copa in numerosi
contesti volterrani e la distribuzione di ceramiche volterrane lungo le coste
iberiche (BIANCHINI, CIBECCHINI, PASQUINUCCI 1998). In questi flussi commerciali
tirrenici si inserivano le merci puniche (ad esempio anfore di tipo Maña B
2, Maña C 2 e Van der Werf 2) ed orientali (anfore rodie, lagynoi, ceramica
sigillata orientale A) rinvenute, fra l’altro, anche in alcuni relitti individuati
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Fig. 2 – L’area archeologica in loc. S. Gaetano di Vada (Rosignano M.mo, LI). Elaborazioni
grafiche di R.D. Bonet.
nel mare e nelle acque interne dell’Etruria (PASQUINUCCI, MENCHELLI 2003).
Fra le merci in transito nel porto di Vada Volaterrana sicuramente erano gli
schiavi, a giudicare da una passo di Cicerone (Pro Quinctio, VI, 2), riferibile
all’83 a.C.: P. Quinzio e L. Albio incontrano a Vada L. Publicio che, diretto
a Roma, portava all’amico Nevio pueros venales ex Gallia da vendere nel
mercato dell’Urbe.
Vada Volaterrana ed il suo retroterra dovettero conoscere una notevole
espansione economica nel tardo I sec. d.C., quando venne pianificata la costruzione di un quartiere adiacente al porto (in corso di scavo in loc. S. Gaetano
di Vada; Fig. 2). Al momento sono stati portati in luce due complessi termali
(A, D), horrea (B), un edificio (C) di incerta destinazione, una fontana monumentale (E) ed una schola (F). Nel settore meridionale dell’area archeologica
sono attualmente in corso di scavo una vasta area scoperta pavimentata, un
edificio biabsidato ed uno a carattere basilicale (Fig. 3). Il quartiere fu costruito
con unità progettuale e rimase in uso almeno sino ai primi decenni del VII
secolo. Numerosi sono gli arredi e gli elementi architettonici di prestigio
rinvenuti (Fig. 4).
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Fig. 3 – S. Gaetano di Vada, edificio in corso di scavo nel settembre 2004.
Nel settore orientale degli horrea, sotto le stratigrafie di età romana, sono
stati individuati i resti di vita/abbandono di un villaggio di capanne, costituiti da
vasellame di impasto, intonaco e pali lignei, uno dei quali, sottoposto ad analisi
C14, ha restituito la datazione (non calibrata) di 850 ± 50 a.C. Il villaggio risulta
coperto da un fondale costiero, formatosi in seguito ad un’ingressione marina
nell’area retrostante il cordone litoraneo su cui si trovavano gli horrea (PASQUINUCCI, DEL RIO, MENCHELLI 2002). Tale episodio di innalzamento del livello del
mare fu relativamente breve e nel I sec. d.C. sulle dune costiere, nuovamente
emerse, venne costruito il quartiere in corso di indagine, che infatti risulta ad
una quota media di circa m 1,20 sopra il livello del mare di età romana.
Gli edifici presentano ristrutturazioni (ampliamenti, cambio d’uso di
ambienti, ripavimentazioni), effettuate sia nella media età imperiale, sia nel
tardo-antico, dopo una fase di parziale abbandono dell’area, durante la quale
una vasta necropoli occupò parte delle strutture. Uno degli scheletri pertinenti
a tale necropoli, sottoposto ad analisi C14, ha restituito la datazione di 267377 d.C., prezioso terminus post quem per la cronologia delle ristrutturazioni
tarde, peraltro in accordo con la datazione dei numerosi reperti numismatici e
ceramici rinvenuti negli strati formatisi durante la successiva fase di vita degli
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Fig. 4 – Statua di Attis proveniente dalle Grandi
Terme, prima metà del II secolo d.C., bottega di
orizzonte microasiatico. Rosignano M.mo (LI), Museo
Archeologico.
edifici. Quest’attività edilizia di fine IV secolo ben si accorda con i dati dell’intera Tuscia settentrionale, di cui sono ben documentate le ristrutturazioni
in edifici pubblici e privati (CIAMPOLTRINI 1990).
In seguito l’area di S. Gaetano venne progressivamente abbandonata e
coperta da una necropoli, le cui sepolture hanno restituito oggetti di ornamento
personale, databili tra la fine del VI ed il VII secolo, la medesima datazione
dei reperti rinvenuti nei più tardi livelli d’uso e negli strati di dismissione dei
pozzi e dei drenaggi (PASQUINUCCI, MENCHELLI, DEL RIO 2003).
Le merci rinvenute negli horrea in loc. S.Gaetano, comparate con i rinvenimenti di Volaterrae e del territorio, possono fornire dati significativi sui trends
commerciali in cui fu coinvolto questo distretto dell’Etruria settentrionale per
tutta l’età imperiale. Nella prima età imperiale nei magazzini di Vada Volaterrana
sono particolarmente numerosi i contenitori vinari di forma Dressel 2-4, Spello
e Forlimpopoli prodotti nelle manifatture ubicate nel retroterra (PASQUINUCCI,
MENCHELLI 2004). Evidentemente questi contenitori venivano stoccati nei magazzini per essere redistribuiti in loco o imbarcati sulle navi che facevano scalo
nel porto. Analisi archeometriche, al momento in corso, potranno arricchire il
quadro della commercializzazione delle anfore dell’ager Volaterranus, al momento già individuate in alcuni castra del limes germanico (THIERRIN et alii 2004).
MARINELLA PASQUINUCCI
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Per quanto riguarda le ceramiche fini, negli horrea sono stati rinvenuti
1800 frammenti, corrispondenti a 417 esemplari in terra sigillata e tardo-italica. La maggior parte degli esemplari venne prodotta in manifatture pisane,
mentre molto ridotta risulta la presenza di vasi aretini. Sulla base dei numerosi
scarti di vasellame verniciato in rosso rinvenuti nel centro manifatturiero di
Poggio Fiori e della presenza del vicino toponimo Rosignano, per lungo tempo
si è ritenuto che nel retroterra di Vada Volaterrana potessero essere ubicate
almeno parte delle manifatture di L. Rasinius Pisanus (PASQUINUCCI, MENCHELLI
1999; OXÈ, COMFORT, KENRICK 2000), ma le recenti ricerche archeometriche
effettuate nei laboratori di Genova e di Lione hanno individuato nel centro di
Poggio Fiori una produzione di vasi comuni verniciati e non di sigillata italica
(MENCHELLI et alii 2001).
Vada Volaterrana dunque rivestì un ruolo importante nella redistribuzione dei vasi aretini e pisani, sia in ambito volterrano, come dimostrano i
rinvenimenti della città e degli insediamenti del territorio, sia nel commercio a
lunga distanza, essendo questo uno dei porti ove facevano scalo le navi dirette
da Nord verso Roma. Nelle stratigrafie dei magazzini di Vada ammontano ad
una decina i rinvenimenti di terra sigillata sud-gallica, tutta attribuibile agli
ateliers de La Graufesenque (MENCHELLI 2004). Contatti con l’Italia settentrionale sono documentati dalla consistente presenza di lucerne Firmalampen
del tipo Loeschcke X (BIANCHINI 2000).
Per quanto riguarda le derrate alimentari, i prodotti iberici, in particolare
le salse di pesce, risultano essere le merci maggiormente attestate. Questo trend
commerciale trova conferma nei dati di Volterra e del territorio, soprattutto
degli insediamenti rurali identificati lungo la fascia costiera (PASQUINUCCI, DEL
RIO, MENCHELLI 2000). Si registra anche una buona distribuzione di vini gallici,
con l’assoluto predominio dell’anfora Gauloise 4, e scarse attestazioni della
Gauloise 5. Sino a tutto il II secolo d.C. le direttrici commerciali del Tirreno
settentrionale, condizionate dai flussi annonari betici, si mantennero grosso
modo inalterate, con una molteplicità di prodotti e provenienze dall’intero
bacino del Mediterraneo, dall’Oriente al Nord-Africa (PASQUINUCCI, MENCHELLI
2003).
Il cambiamento nelle strutture economiche romane si registrò a partire
dagli inizi del III secolo, quando i prodotti nord-africani, sostituendo quelli
betici nei rifornimenti annonari (PANELLA 1993), disattivarono i circuiti commerciali alto-imperiali.
I dati emersi dallo studio dei materiali del quartiere portuale di Vada
Volaterrana, che trovano puntuale riscontro in quelli di Volaterrae e degli
insediamenti del territorio (MENCHELLI, PASQUINUCCI 2004) indicano che nel
distretto si praticarono intense attività commerciali per tutta l’età tardo-antica.
Nelle campagne infatti il popolamento non registrò sostanziali mutamenti
sino al V secolo, villae e fattorie continuarono a produrre per un’economia
di mercato e fra i prodotti di esportazione sicuramente era il vino, come at286
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testano le numerose anfore di Empoli di produzione locale rinvenute negli
horrea di Vada. Le manifatture locali (su cui cfr. CHERUBINI, DEL RIO 1997)
come nei secoli precedenti producevano suppellettile da fuoco e per usi vari
di alta qualità tecnica, e vasi comuni verniciati, diffusi a livello interregionale
ed oltre, ad esempio in Corsica (PASQUINUCCI, MENCHELLI, PICCHI 2004). Fra i
prodotti esportati dal porto di Vada Volaterrana doveva essere il sale, la cui
produzione in saline ubicate lungo la costa è descritta da Rutilio Namaziano
(I, 475 ss.).
A giudicare dai rinvenimenti effettuati negli horrea di Vada, le derrate
alimentari di maggior successo furono quelle di provenienza nord-africana
trasportate nelle anfore Keay 25, nei più tardi spatheia/ Keay 26 e nei contenitori Keay 62. Sono stati individuati circa 40 diversi corpi ceramici nordafricani, alcuni dei quali sono riferibili alle manifatture ben note delle regioni
di Sullechtum (Salakta) e di Neapolis (Nabeul), in particolare con produzioni
provenienti dall’area di Sidi Zahruni (PASQUINUCCI et alii 2004).
Associati alle anfore nord-africane giungevano, terra sigillata, lucerne,
vasellame da cucina e per usi vari, che dal porto venivano redistribuite in
Volaterrae (MUNZI, TERRENATO 2000) e nelle campagne, non solo nelle villae
della fascia costiera, come quella scavata a S. Vincenzino (DONATI et alii 2003),
ma anche nelle fattorie dell’interno (ad esempio in loc. Podere S. Mario a
Pomarance (MOTTA, CAMIN, TERRENATO, 1998).
È comunque significativo che sino al IV-V secolo nel porto di Vada Volaterrana, come nel resto della Tuscia costiera, continuarono ad arrivare olio
e salse di pesce dalla Penisola Iberica, evidentemente veicolati lungo la rotta
Cadice/Cartagena-Marsiglia-Roma e Cadice/Cartagena-Roma-Marsiglia. Le
anfore più attestate sono le Dressel 23 e le Keay XIX e, in misura minore, le
anfore Lusitane Almagro 50 e 51 C. A questi arrivi da Occidente si aggiungono rari esemplari di sigillata gallica, lucente e grigia: la vitalità delle rotte
dalla Gallia è evidenziata anche dall’alta percentuale di monete della zecca di
Arelate individuata negli horrea di Vada Volaterrana (11,36% nell’ambito delle
zecche attestate dal 364 al 403 d.C.: FACELLA 2004, p.161, grafico 27). La documentazione numismatica, inoltre, fornisce dati relativi a trends commerciali
che per questo periodo non sono registrati da altre evidenze archeologiche,
ad esempio i contatti con l’Italia adriatica e con l’Illirico (le zecche di Aquileia
e Siscia raggiungono rispettivamente il 20,45% ed il 6,82% nell’ambito del
medesimo campione statistico).
Consistenti sono anche le importazioni di anfore orientali, soprattutto di
contenitori LR1, con la presenza, in misura molto ridotta, anche di esemplari
di sigillata orientale C. A differenza delle merci nord-africane tali prodotti non
ebbero una vasta diffusione nelle campagne: la loro circolazione infatti risulta
limitata alle villae più cospicue lungo la fascia costiera (MENCHELLI, PASQUINUCCI
2004). I rinvenimenti monetali, con le significazioni attestazioni delle zecche
di Tessalonica e di Cizico (rispettivamente al 6,82% e al 4,55: FACELLA 2004,
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p. 161, grafico 27) costituiscono ulteriore documentazione di questi intensi
rapporti con l’Oriente. In questi traffici lungo il Tirreno con evidenti «rotture
del carico» si inserivano le merci provenienti dall’Italia meridionale, come
i contenitori vinari Keay 52 e la ceramica da fuoco di Pantelleria: lo stesso
panorama che si registra ad esempio a Mariana, in Corsica, evidentemente
un altro sito privilegiato lungo le rotte Cartagine-Roma-Marsiglia (MENCHELLI
et alii c.s.).
Con la guerra goto-bizantina la Tuscia, sia interna che costiera, fu
teatro di numerosi eventi, di distruzioni, di carestie, come ci narra Procopio
(II, 20; III, 5, 6; IV, 29, 33, 34). Nel 553, sul finire della guerra Luna, Pisae
e Volaterrae si arresero a Narsete ormai vincente nell’Italia centrale. I dati
archeologici al momento disponibili offrono scarsa documentazione di questi
eventi; in ogni caso non si registrano, o non abbiamo strumenti per registrare,
cesure nelle importazioni a metà del VI secolo. Anzi la produzione e la circolazione di manufatti particolari, come ad esempio i calici, il cucchiaio e la
patera d’argento trovati a Galognano (il c.d. tesoro di Galognano), al limite
orientale del territorio Volterrano (AUGENTI, TERRENATO 2000) e gli oggetti
di corredo personale, come le armille tipo Bengodi ed orecchini a cestello
documentati nella fascia costiera (CIAMPOLTRINI 1993), possono essere prova della persistenza di un mercato privilegiato anche durante gli anni della
guerra goto-bizantina
Come è noto la maggior parte della Tuscia cadde in mano dei Longobardi entro la fine del VI secolo ed andò a costituire il ducato di Tuscia, con
Lucca Capitale. Volterra divenne sede di un gastaldato intorno al 590 d.C.
Negli anni 574-576 Grimarit, dux di Lucca, occupò la costa sino alla foce del
Cecina e discese sino a Populonia: è possibile dunque che in quegli anni anche
Vada Volaterrana fosse stata conquistata dai Longobardi.
Quale che fosse la sovranità politica, nel porto continuarono comunque
ad arrivare merci mediterranee (almeno) sino alla metà del VII secolo: ad
esempio scodelle di forma Hayes 107, Hayes 104, n. 22 e piatti Hayes 106 in
sigillata africana D, esemplari di sigillata egiziana B con forme databili sino al
650 d.C, anfore nord-africane Keay 62, contenitori orientali LR 5-6 e siculocalabresi Keay 52. A Vada Volaterrana, inoltre, è stato rinvenuto un esemplare
da 30 nummi di Eraclio, databile al 629-631 (MUNZI 2004), a conferma del
perdurare degli scambi con l’Oriente mediterraneo anche dopo la possibile
occupazione longobarda. Tali contatti furono interrotti con la conquista
della Liguria da parte di Rotari. I porti della Tuscia persero allora la loro
importanza strategica ed anche Vada Volaterrana cessò di essere un mercato
preferenziale lungo le rotte del potere: alla metà del VII secolo gli edifici del
quartiere portuale erano in fase di dismissione ed una vasta necropoli si era
estesa sulle strutture.
SIMONETTA MENCHELLI
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b
a
c
d
e
Tav. I – a) Mattonella in marmo dal saggio IV; b) Frammenti di tessellatum bianco e rosso dal
saggio II: ipotetica disposizione in un motivo a fasce; c) Frammento di tessellatum rosso dal
saggio II con residui di malta in superficie; d) Frammento di tessellatum policromo dal saggio
parte
dellaall’Insegna
decorazione
triangoli
alternati
e colorati;
e) Frammenti
di mosaico
a
©III:
2005
Edizioni
del aGiglio
s.a.s.,
vietata labianchi
riproduzione
e qualsiasi
utilizzo a scopo
commerciale
canestro policromo dal saggio III.
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Tav. II – a) Un insieme della decorazione parietale, costituito da due ortostati (imitazione
di marmo brecciato e cipollino) sormontati da una fascia continua (cipollino marino);
b) Frammento dello spiccato della volta con le scanalature rosse della cornice piana che
riquadrava i cassettoni.
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Tav. III – Intonaci ad imitazione: a) della breccia pavonazza, b) della breccia
frutticolosa, c) della breccia dei Caetani, d) di una breccia non identificata, e) del
marmo africano, f) dell’alabastro cotognino.
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Tav. IV – Intonaci ad imitazione: a) dell’alabastro nuvolato, b) dell’alabastro
fiorito, c) dell’alabastro rosso, d) di un alabastro non identificato, e) del marmo
cipollino, f) del cipollino marino.
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Tav. V – Intonaci ad imitazione: a) della lumachella rossa, b) del giallo antico
di Numidia, c) del rosso antico, d) del bigio antico, e) del nero antico, f) di un
marmo non identificato.
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