Sistematizzazione di un set di indicatori per il monitoraggio del FSE

Transcript

Sistematizzazione di un set di indicatori per il monitoraggio del FSE
Il lavoro irregolare nella
provincia di Pisa
Il lavoro sommerso è un fenomeno diffuso, purtroppo anche nella nostra Provincia.
La sua gravità è resa evidente dagli effetti deleteri che induce sul piano della legalità, del
rispetto dei diritti dei lavoratori e della parità concorrenziale tra le imprese.
Per questo è importante monitorarne l’entità sul territorio al fine di predisporre tutti gli
interventi correttivi e repressivi necessari per il ripristino di rapporti di lavoro corretti, formali e
tutelati.
Il monitoraggio e l’analisi dei dati sono lo scopo di questa ricerca, promossa dalla Camera di
commercio e dalla Provincia di Pisa che vi ha contribuito in modo importante.
Ci auguriamo che, al di là dell’analisi del fenomeno, il lavoro possa offrire buoni spunti di
intervento per tutti gli enti preposti al controllo e alla repressione del fenomeno, ma anche consentire
di programmare interventi futuri per prevenire lo sviluppo o l’insorgere del problema.
Il Segretario Generale
Dott.ssa Cristiana Bruni
La Provincia di Pisa con l’istituzione nel novembre 2002 della Commissione provinciale
per l'Emersione del Lavoro non regolare in adempimento dell’art. 78 della legge 448/1998 ha dato
l’avvio ad una collaborazione tra istituzioni e parti sociali volta ad affrontare il problema
dell'emersione del lavoro non regolare con l’intento di sollecitare l’attenzione, la collaborazione, la
mobilitazione di tutti i soggetti politici ed economici locali per la valorizzazione dei singoli territori
che passi attraverso un’analisi e una progettazione di misure specifiche.
La Commissione provinciale, presieduta dall’Assessore provinciale alle Politiche del
Lavoro è composta da rappresentanti di amministrazioni pubbliche (Provincia, Camera di
Commercio, INPS, INAIL, Direzione Provinciale del Lavoro), di associazioni di categoria (Unione
Industriale Pisana, C.N.A., U.P.A., A.P.I. Toscana, Confesercenti, C.I.A., F.A.I.S.A., LegaCoop,
Confcooperative, Coldiretti, Unionquadri) e di associazioni sindacali (C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L. e
U.G.L.). Per legge, si riunisce nei locali della Camera di Commercio provinciale.
La Commissione avendo, per legge, principalmente funzioni e compiti istituzionali di
promozione della cultura e di politiche di legalità, di analisi e ricerche, al fine di poter avanzare
idonee proposte per combattere “la battaglia territoriale per l’emersione”, ha affidato l’incarico alla
Camera di Commercio di Pisa di curare la realizzazione di una nuova e più aggiornata ricerca,
rispetto a quella dell’Irpet che risale al 2002, incentrata sul monitoraggio e analisi dei dati sul
fenomeno del lavoro sommerso nella Provincia di Pisa.
Alla realizzazione di questa ricerca la Provincia di Pisa partecipa mettendo a disposizione
finanziamenti del FSE OB.3.
Colgo l’occasione della presentazione di questa ricerca per salutare la Commissione che ho
avuto l’alto compito di presiedere e con i componenti della quale sono riuscito a instaurare una
proficua collaborazione che mi auguro possa proseguire con la medesima intensità con il nuovo
Presidente nominato dalla Provincia di Pisa.
Vice-Presidente delle Provincia di Pisa
Antonio Melanii
3
Il rapporto è il risultato dell’attività di ricerca svolta per conto della Camera di commercio di Pisa dal
Centro Italiano di Studi sulla Dinamiche Economiche e Sociali (CISDES), con il coordinamento del prof. Pier
Angelo Mori (Università di Firenze). La stesura del rapporto è stata curata dal prof. Mori e dal prof. Alberto
Baccini (Università di Siena) con la collaborazione della dott.ssa Michela Baccini (Università di Firenze), della
dott.ssa Martina Cioni (Università di Siena), del dott. Roberto Maccarone (Università di Siena) e della dott.ssa
Sara Pecchioli (Cisdes).
***
Ringraziamo per la gentile collaborazione: Angelo Anbrosetti (Commissione di conciliazione DPL);
Patrizia Bani (resp. Vigilanza congiunta e integrata, DPL); Moreno Bastonceili (funzionario di vigilanza INPS);
Carlo Berciassi (direzione CASAARTIGIANI); Roberto Bronchi (direzione CASAARTIGIANI); Simone Consani
(segr gen. CISL); Stefano Del Punta (C.G.I.L - F.L.C.A.M. per la zona di Santa Croce sull’Arno); Marcello Della
Queva (ispettore D.P.L.); Giordano Di Lilllo (ispettore INAIL); Davide Duma (ispettore D.P.L.); Domenico
Esegito (funzionario di vigilanza INPS); Gianfranco Francese (F.I.L.T.E.A. - C.G.I.L.); Maria Grazia Gatti (segr.
gen. CIGL); Gabriele Gerini (FENEAL- UIL); Teresa La Face (ispettore D.P.L.); Antonio Ledda (segr. gen.
F.I.L.L.E.A. – C.G.I.L.); Franco Marchetti (F.I.L.C.A.M.- C.G.I.L. per la zona di Santa Croce sull’Arno); Piero
Micheloni (funzionario Unione Industriale); Luigi Notari (funzionario di vigilanza INPS); Michele Orsi (segr. gen.
F.I.L.C.A.M.S.- C.G.I.L.); Gianfranco Piaggeschi (funzionario resp. settore economico COLDIRETTI); Stefano
Pistoleri (consulente del lavoro CNA); Giovanni Pizzaferri (vice direttore DPL); Renzo Rossi (segr. gen. UIL);
Claudio Salerno (ispettore D.P.L.); Giuliana Domenica Salvador (Ispettore INAIL); Gabriella Sbrana (resp.
Vigilanza congiunta e integrata, DPL); Maurizio Sereni (C.I.S.L.- Artigianato per le zone di Santa Croce, Cascina,
Castelfranco); Massimo Terreni (direttore Unione Provinciale Agricoltori); Lidio Tilli (resp. funzionari di
vigilanza INPS); Alfredo Tognarelli (ispettore INAIL); Maurizio Tolone (coll. Guardia di Finanza); Stefania
Vicoli (F.I.L.C.A.M.S. -C.G.I.L.).
4
Sommario
1. Introduzione
6
2. Il lavoro sommerso in Toscana nelle stime di contabilità nazionale
9
3. Il sommerso in Toscana: l’analisi provinciale quantitativa
Appendice al capitolo 3
16
27
4. Il sommerso in provincia di Pisa. L’analisi qualitativa
31
4.1 L’indagine sul campo
31
4.2 Il lavoro sommerso nero
33
4.2.1 L’agricoltura
33
4.2.2 L’edilizia
35
4.2.3 Le imprese manifatturiere: cuoio e pelle, legno
37
4.2.4 Il commercio ed i servizi al turismo
39
4.2.5 I servizi alle famiglie
41
4.3 Il lavoro sommerso grigio
43
5. Sintesi e conclusioni
47
Appendice: i questionari
53
Traccia di intervista aperta per i colloqui con i responsabili degli Enti
54
Traccia di intervista aperta per i colloqui con i responsabili sindacali
57
5
1.
Introduzione
Il fenomeno del lavoro sommerso, e più in generale dell’economia sommersa,
rappresenta un aspetto importante delle economie avanzate, per due ragioni. Anzitutto
perché esso riguarda una quota considerevole del prodotto interno e dell’occupazione
complessiva, e ciò è tanto più vero nel nostro Paese dove, secondo le stime più accreditate,
commentate nel secondo capitolo di questo rapporto, il peso sarebbe particolarmente
elevato rispetto agli altri membri dell’Unione Europea. Ma è importante anche perché è
espressione di situazioni di disagio che richiedono attenzione e risposte da parte degli
organi politici.
A grandi linee il fenomeno del sommerso pone un dilemma di fondo. Come la teoria
economica insegna, l’occultamento delle attività economiche è indicativo di ostacoli, di
ordine normativo e istituzionale, al funzionamento del mercato. A questi ostacoli le imprese
reagiscono mediante l’occultamento di almeno una parte della propria attività economica facciamo qui riferimento alle sole attività legali-. Sicuramente tali comportamenti hanno
immediate conseguenze sul piano redistributivo: chi evade evita di contribuire al gettito
fiscale complessivo, si sottrae quindi al finanziamento degli impieghi individuati
dall’autorità politica di cui normalmente beneficiano determinate categorie di cittadini. Da
questo punto di vista l’evasione, oltre che illecita, è socialmente dannosa. L’ordinamento
fiscale e i vincoli normativi all’attività economica tuttavia spesso producono inefficienza,
nel senso che vi sono imprese che non riescono a sopravvivere nel pieno rispetto delle
regole e che invece, in assenza di vincoli, potrebbero esistere. In questi casi, l’elusione delle
regole consente recuperi d’efficienza. Il dilemma sta tutto qui, nel trade-off tra equità e
efficienza.
Il dilemma diventa ancor più complicato quando, come spesso accade, il fenomeno
dell’occultamento ha luogo in realtà socio-economiche disagiate, dove il fenomeno
dell’inefficienza si può presumere sia particolarmente rilevante. Le imprese marginali, che
in quelle realtà sopravvivono grazie all’elusione delle regole, creano occupazione, e la
repressione a alzo zero di questi comportamenti avrebbe indubbiamente, almeno
6
nell’immediato, pesanti ricadute in termini di occupazione; quindi finirebbe per
danneggiare proprio categorie di soggetti -lavoratori per lo più marginali, residenti in zone
caratterizzate da un alto disagio sociale- che sono normalmente oggetto di attenzione da
parte delle politiche pubbliche. L’atteggiamento nei confronti del sommerso tende quindi
ad essere, per certi versi inevitabilmente, ambivalente.
Una saggia politica economica deve fare i conti con questo dilemma. La sfida è
riuscire a ridurre il sommerso senza stravolgere il tessuto produttivo, in special modo
laddove il sommerso è una componente importante e interventi poco accorti potrebbero
avere effetti devastanti.
Quest’obiettivo però può essere perseguito solo sulla base di una conoscenza sicura
del fenomeno. Qui i problemi da risolvere sono due: il primo relativo alle difficoltà di avere
informazioni su un fenomeno per definizione nascosto e perciò difficile da rilevare e da
conoscere; il secondo relativo alla necessità di avere informazioni ad un livello elevato di
disaggregazione territoriale, che permettano une precisa contestualizzazione delle politiche.
In Italia, almeno a partire dall’istituzione del Comitato per l’emersione del lavoro
non regolare nel 1998, si è avuta una spinta molto forte ad approfondire le conoscenze a
livello territoriale sul fenomeno. In particolare per la Toscana sono ormai molti i contributi
che hanno studiato il fenomeno sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Anche le
Province, attraverso i comitati provinciali per l’emersione, si stanno muovendo in questa
direzione, con risultati in alcuni casi interessanti.
Questa ricerca ha lo scopo di approfondire la conoscenza del fenomeno del lavoro
sommerso nel territorio della provincia di Pisa. Essa si basa su un approccio che integra
l’analisi quantitativa con quella qualitativa. In particolare, nel capitolo 2 sono presentati
brevemente gli ultimi dati disponibili sulla dimensione del lavoro sommerso nell’economia
regionale. Questi risultati ci dicono che allo stato attuale i dati di contabilità nazionale non
permettono di costruire stime attendibili del peso del lavoro sommerso a livello provinciale.
Per questa ragione, nel capitolo 3 presentiamo i risultati di un modello econometrico
stimato a partire dai dati ispettivi Inps. Esso permette di confrontare la dimensione del
lavoro sommerso a Pisa rispetto alle altre province della Toscana, e di verificare quali
7
settori e quali imprese hanno una maggiore propensione all’utilizzazione di lavoro non
regolare. Accanto a questi dati quantitativi presentiamo nel capitolo 4 i risultati di una
indagine sul campo condotta attraverso interviste a persone informate, che permette
riempire i dati con informazioni reali sulle modalità di manifestazione del sommerso nella
provincia di Pisa. Nel capitolo 5 sono sintetizzati i principali risultati del lavoro e sono
discusse alcune opzioni di intervento.
8
2.
Il lavoro sommerso in Toscana nelle stime di contabilità nazionale
Osservare e misurare un fenomeno per sua natura nascosto è compito assai difficile.
Per questa ragione esistono metodologie molto differenziate per stimare l’entità
dell’economia sommersa. Ai nostri fini non è particolarmente utile seguire in dettaglio
questa discussione, è però necessario notare che la questione è affrontata in modo
esauriente nella contabilità nazionale. Secondo i criteri dell’Unione Europea, solo una
misura esaustiva del Pil rende tale aggregato confrontabile fra i vari Paesi. Fornire una
stima esaustiva del Pil significa valutare non soltanto l’economia direttamente osservata
attraverso le indagini statistiche sulle imprese e gli archivi fiscali e amministrativi, ma
anche quella non direttamente osservata.
La contabilità nazionale italiana contabilizza quindi nel Pil anche l’economia non
direttamente osservata. L’Istat ha diffuso a fine 2003 l’analisi delle attuali stime del Pil e
dell’occupazione attribuibile alla parte di economia non osservata costituita dal sommerso
economico, cioè derivante dall’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo
legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e
contributiva. La valutazione fornita dall’Istat individua quanta parte del Pil italiano è
certamente ascrivibile al sommerso economico e quanta parte lo è solo presumibilmente. Si
hanno così una stima massima ed una stima minima dell’economia non osservata che, per
fare un solo esempio, nel 2000 erano comprese tra il 15,2% e il 16,9%.
La contabilità nazionale fornisce altresì le stime sull’occupazione regolare e non
regolare. Sono definite regolari le prestazioni lavorative registrate e osservabili sia dalle
istituzioni fiscali-contributive sia da quelle statistiche e amministrative. Sono non regolari
le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscalecontributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e nelle
fonti amministrative. Rientrano in tale categoria le prestazioni lavorative: 1) continuative
svolte non rispettando la normativa vigente; 2) occasionali svolte da persone che si
dichiarano non attive in quanto studenti, casalinghe o pensionati; 3) svolte dagli stranieri
non residenti e non regolari; 4) plurime, cioè le attività ulteriori rispetto alla principale e
9
non dichiarate alle istituzioni fiscali. Nel 2001 risultano occupate nel complesso
dell’economia circa 23 milioni e 844 unità di lavoro, di cui 3 milioni e 639 mila non
regolari. Si ricorda che le unità di lavoro (ula) rappresentano una misura di quanto il fattore
lavoro contribuisce alla produzione del paese in un determinato periodo. Le ula sono
calcolate attraverso la trasformazione ad unità a tempo pieno delle posizioni lavorative
ricoperte da ciascuna persona occupata nel periodo di riferimento.
Tabella 1.
attività
Tassi di irregolarità (%) e occupati irregolari (in migliaia) per settore di
Settore di attività
1995 1997 2000 2001
Tasso di irregolarità (%)
Agricoltura, silvicoltura e pesca
27,9 28,7 32,4 33,0
Industria in senso stretto
5,9
5,4
5,8
6,0
Costruzioni
16,5 16,2 15,5 15,7
Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e
18,0 18,3 18,3 18,4
comunicazioni
Intermediazione monetaria, finanziaria; attività immobiliari ed
13,6 14,4 13,9 14,0
imprenditoriali
Altre attività di servizi
14,7 15,8 16,3 16,5
Totale
14,5 14,8 15,0 15,3
Occupati irregolari (v.a. in migliaia)
Agricoltura, silvicoltura e pesca
703,6 680,9 664,8 683,0
Industria in senso stretto
318,6 295,5 313,8 320,2
Costruzioni
214,6 216,0 205,9 221,2
Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e
550,6 570,6 588,9 600,5
comunicazioni
Intermediazione monetaria, finanziaria; attività immobiliari ed
318,4 369,1 404,0 418,7
imprenditoriali
Altre attività di servizi
1.028,5 1.131,7 1.177,4 1.199,6
Totale
3.134,3 3.263,8 3.354,8 3.443,2
Fonte: Istat (2003)
10
Tabella 2.
Tasso di irregolarità delle unità di lavoro per grandi aree e settore di attività
economica. Anni 1995-2001 (valori percentuali)
Settore
1995
Agricoltura, silvicoltura,
pesca
Industria manifatturiera
Edilizia
Terziario
Totale
Totale ULA irregolari
(migliaia)
Totale ULA regolari
(migliaia)
2001
Agricoltura, silvicoltura,
pesca
Industria manifatturiera
Edilizia
Terziario
Totale
Totale ULA irregolari
(migliaia)
Totale ULA regolari
(migliaia)
Fonte: Istat (2003).
Toscan
a
Nord- Nord- Centr
Ovest Est
o
13,1
16,6
22,9
23,5
5,4
7,7
15,1
11,9
3,9
9,1
14,9
11,3
3,2
6,2
14,2
11,2
6,0
17,9
15,7
14,2
185,3
753,1
551,5
653,3
1.366,7
5.918,9
18,6
21,0
25,8
27,6
5,4
8,4
15,0
12,3
3,4
6,9
14,5
11,1
2,9
5,1
14,3
11,3
6,8
18,5
16,4
15,1
202,2
782,8
593,3
740,6
1.438,8
6.246,2
4.376, 3.950,
5
7
4.661, 4.162,
7
4
Sud
34,8
Italia
Toscan
a su
Italia
(=100)
27,9
47
14,7
5,9
29,3
16,5
18,2
15,9
20,7
14,5
1.304, 3.262,
8
7
5.012, 19.265
2
,6
91
47
95
82
41,5
5,7
7,1
33,0
56
15,4
6,0
28,9
15,7
21,0
16,8
22,9
15,3
1.521, 3.638,
8
5
5.119, 20.205
2
,6
90
54
89
80
5,6
7.1
Come si può notare dalla Tabella 1 il tasso di irregolarità medio italiano nel 2001 si
attesta al 15,3%, e risulta in crescita nel corso degli anni Novanta. I tassi di irregolarità più
elevati sono registrati nell’agricoltura e nei servizi, seguiti a breve distanza dalle
costruzioni. L’industria fa registrare invece un tasso di irregolarità relativamente basso e
sostanzialmente stabile nel periodo considerato. Non è inutile ricordare che la crescita del
lavoro irregolare nel corso degli anni Novanta si è accompagnata con l’aumento del lavoro
regolare, ad indicare due facce del fenomeno che gli economisti chiamano “job rich
11
growth”: la crescita economica degli anni Novanta è avvenuta con una crescita
dell’occupazione più consistente di quella che si era verificata negli anni Ottanta1.
Figura 1.
Distribuzione regionale dei tassi di irregolarità delle unità di lavoro. Anno
1995
Tasso di irregolarità
1995
17,1% - 28,1%
14,2% - 17,1%
11,7% - 14,2%
10,2% - 11,7%
(5)
(4)
(5)
(6)
Fonte: elaborazione su dati Istat.
1
Per la discussione su questo punto si rimanda a Servizio Lavoro Regione Toscana, Il
mercato del lavoro - Regione Toscana Rapporto 2003, Edizioni Plus, Pisa, 2004.
12
Figura 2.
Distribuzione regionale dei tassi di irregolarità delle unità di lavoro. Anno
2001
Tasso di irregolarità
2001
20,8% - 29,1%
15,8% - 20,8%
12,5% - 15,8%
10,3% - 12,5%
(5)
(5)
(5)
(5)
Fonte: elaborazione su dati Istat.
Ma cosa è successo in Toscana? Come si può notare dalla Figura 1, dalla Figura 2 e
dalla Tabella 2, la Toscana si trova in una posizione nettamente intermedia (con un tasso di
irregolarità del 12,3% nel 2001) tra le regione a più basso tasso di irregolarità, quelle del
Nord-Est e Nord-Ovest, e quelle del Centro e Sud Italia (che presenta tassi di irregolarità
superiori al 20%). Dalla disaggregazione settoriale emerge una struttura del sommerso
regionale diversa da quella media nazionale. Si può notare infatti che l’incidenza delle unità
13
di lavoro sommerso in agricoltura è inferiore non solo a quella media nazionale ma anche a
quelle di tutte le altre macro-aree; mentre per l’industria in senso stretto, l’edilizia ed il
terziario i tassi di irregolarità, pur inferiori al dato medio nazionale ed a quello medio del
Centro Italia, sono superiore a quelli del Nord-Est e del Nord-Ovest.
Non è inutile notare che questi dati modificano in modo sostanziale l’immagine
della diffusione del lavoro sommerso in Toscana che emergeva dai dati stimati dall’Irpet2.
In primo luogo esce ridimensionata la dimensione complessiva del sommerso in Toscana.
Dobbiamo prendere a riferimento il 1997, che è l’anno per il quale l’Irpet ha prodotto le sue
stime; in quell’anno l’Istat calcola un tasso di irregolarità in Toscana pari al 12,9%, rispetto
al 14,8% dell’Italia; le stime Irpet invece indicano un tasso di irregolarità superiore del 30%
e pari al 16,7%. Ma non cambia solo la dimensione complessiva del fenomeno, ma anche la
sua composizione settoriale. I dati Irpet, infatti, sovrastimano, come mostra la Tabella 3, in
modo assai netto il tasso di irregolarità nell’edilizia e nel manifatturiero, sovrastimano solo
leggermente il dato relativo ai servizi, mentre sottostimano lievemente il dato
dell’agricoltura.
Tabella 3.
Confronto tra stime Istat e Irpet del tasso di irregolarità delle unità di lavoro
per grandi aree e settore di attività economica. Toscana 1997 (valori percentuali)
Settore
Stime Istat
Agricoltura, silvicoltura,
13,8
pesca
Industria manifatturiera
5,9
Edilizia
6,0
Terziario
16,3
Totale
12,9
3
Fonte: Istat (2003) e Irpet(2001) .
Stime Irpet
2
Irpet su Istat (=100)
13,5
98
10,7
14,4
19,2
16,7
181
240
118
129
Servizio Lavoro Regione Toscana e Irpet, Il lavoro sommerso - Regione Toscana
Rapporto 2000, Giunti, Firenze, 2001; Bacci, L., Sistemi locali in Toscana, Franco Angeli,
Milano, 2002.
3
Servizio Lavoro Regione Toscana e Irpet, op. cit.
14
In conclusione, il sommerso in Toscana ha una diffusione inferiore a quella che per
molti anni tutti gli osservatori hanno commentato. La netta prevalenza del sommerso
industriale che emergeva nei dati precedenti deve adesso essere ridimensionata: esiste un
maggiore tasso di irregolarità del lavoro in Toscana rispetto non all’Italia nel suo
complesso, ma rispetto alle regioni del Nord del paese. E questo rafforza l’immagine di una
Toscana posizionata in solitudine tra i bassi tassi di irregolarità delle regioni del Nord, ed il
Centro, e soprattutto, il Sud con tassi di sommerso nettamente superiori.
Ai nostri fini interessa ancora rilevare che le stime Irpet che abbiamo appena
commentato sono alla base delle stime disaggregate che in questi anni sono state utilizzate
per l’analisi a livello di Sistema Economico Locale (Sel). Visto però il margine di errore
relativo alle stime settoriali, si ritiene che non possano più essere utilizzati a questo scopo,
neanche ai soli fini del confronto tra aree. Per avere una qualche idea dell’incidenza relativa
del sommerso e di eventuali peculiarità della sua diffusione nella provincia di Pisa,
dobbiamo ricorrere a fonti diverse.
15
3.
Il sommerso in Toscana: l’analisi provinciale quantitativa
L’analisi svolta in queste pagine è basata sui dati dell’Inps sulle ispezioni,
applicando la metodologia sperimentata in un recente lavoro dell’Unioncamere Toscana4 e
riportata in sintesi nel box 1. Scopo dell’analisi statistica illustrata nelle pagine che seguono
è analizzare in quali proporzioni le imprese utilizzino lavoro sommerso e lavoro regolare,
approssimati nel modello, rispettivamente, dal numero di lavoratori regolarmente impiegati
nell’impresa, e dal numero di lavoratori in condizioni di irregolarità parziale o totale, così
come rilevati nel corso delle ispezioni da parte dell’Inps. Sono considerati irregolari i
dipendenti dell’impresa, indipendentemente dal tipo di contratto, per i quali nel corso
dell’ispezione siano state riscontrate irregolarità nel versamento dei contributi.
I dati che considereremo riguardano le ispezioni condotte dall’Inps nel triennio
2000-2002. Complessivamente in Toscana le ispezioni hanno riguardato, nel 2000, 5.534
imprese (su 104.694 attive), che occupavano 37.502 lavoratori, di cui 9.241 in condizioni di
irregolarità; nel 2001, 6.534 imprese (110.085 attive) con 43.871 lavoratori, di cui 9.007
irregolari; nel 2002, 6.763 imprese (138.856 attive) con 48.797 lavoratori, di cui 7.772
irregolari5. Nello stesso periodo, come mostra la Tabella 4, le ispezioni in provincia di Pisa
hanno interessato, nel 2000, 712 imprese (su 10.231 attive) con 5.506 lavoratori di cui
1.214 irregolari; nel 2001, 587 imprese (su 10.713 attive) con 5.449 lavoratori di cui 1.122
irregolari; e nel 2002, 578 imprese (su 12.141 attive) con 3.422 lavoratori di cui 655
irregolari.
4
Unioncamere Toscana Lavoro sommerso e lavoro regolare: una indagine
microeconometrica sulle imprese della Toscana, Impresa Toscana, n. 2, Firenze, 2003.
5
Per una analisi puntuale del database dell’INPS, oltre che delle modalità di conduzione
delle ispezioni, si rimanda a Unioncamere Toscana (2003), op. cit.
16
Tabella 4.
Le ispezioni Inps in provincia di Pisa
Imprese visitate
Lavoratori irregolari
Lavoratori occupati nelle visitate
2000
712
1.214
5.506
2001
587
1.122
5.449
2002
578
655
3.422
I dati Inps sono distorti per due ragioni sostanziali. La prima è che l’attività ispettiva
non è condotta a caso, ma è indirizzata verso le imprese sospettate di irregolarità; il
campione su cui lavoriamo è pertanto costruito con un criterio opportunistico. La seconda è
che l’attività ispettiva ed in particolare la sua intensità ed efficacia tende a modificare i
comportamenti delle imprese, e quindi a differenziare la diffusione del sommerso in
relazione alle modalità di intervento degli uffici locali. E’ importante sottolineare che il
modello econometrico tiene almeno parzialmente conto dei fattori di disturbo riconducibili
in parte alla già ricordata modalità di selezione delle imprese, in parte all’efficacia
dell’attività ispettiva.
Per evitare possibili equivoci interpretativi è utile sottolineare, rimandando al Box 1
per ulteriori dettagli, che i modelli qui presentati non hanno l’obiettivo di stimare la
diffusione del sommerso in Toscana e in provincia di Pisa, non ha cioè gli obiettivi che
abbiamo visto essere alla base delle stime ricavabili dalla contabilità nazionale, o dai
modelli macro basati sulla domanda di circolante. Ci proponiamo di analizzare le modalità
di uso del sommerso all’interno delle imprese tenendo sotto controllo alcune variabili
rilevanti, principalmente il settore, la dimensione, e la provincia di localizzazione. Ci
proponiamo cioè di capire in quali tipologie di imprese e in quali settori produttivi si
verifica un uso relativamente più intenso di lavoro sommerso. Una seconda precisazione è
relativa all’interpretazione dei parametri stimati e dei grafici che presenteremo più avanti: il
modello, nella fase attuale di sviluppo, non è in grado di produrre stime non distorte dei
livelli di sommerso all’interno di gruppi di imprese. Permette soltanto di misurare, rispetto
ad un livello di riferimento, i comportamenti di gruppi di imprese di altri settori, di
dimensioni diverse, e localizzate in province diverse. Per illustrare meglio il punto
consideriamo il caso di Pisa. Il modello non permette di stimare puntualmente l’uso di
17
sommerso nelle imprese del cuoio della provincia; permette però di verificare se e in che
misura le imprese del cuoio pisane utilizzano lavoro sommerso in modo significativamente
diverso da quelle delle altre province toscane.
18
Box 1. Il modello econometrico
Il modello di base si propone di individuare i fattori che concorrono a determinare
l’incidenza relativa dell’uso di lavoro sommerso all’interno di ogni impresa. In prima
p
f Dim, Set , Tip, Loc approssimazione può essere espresso nel modo seguente:
dove p è la quota di lavoratori sommersi sul totale dei lavoratori (sommersi e regolari) nelle
imprese ispezionate; Dim è la dimensione di impresa; Set è il settore di appartenenza
classificato secondo il codice statistico contributivo (CSC) utilizzato dall’Inps; Tip indica
se l’impresa è artigiana o industriale; Loc è la provincia di localizzazione.
Il modello ha dunque lo scopo di investigare l’influenza di ciascuna delle variabili nel
determinare l’utilizzazione del lavoro sommerso.
Si assume che il numero di lavoratori sommersi sia misurato senza errore, ovvero che se in
una impresa ci sono lavoratori sommersi essi siano individuati nel corso dell’ispezione.
Restano i problemi legati all’utilizzazione del campione opportunistico costituito dalle
ispezioni Inps. Per tenere conto di ciò nel modello è stato introdotto un indicatore di
concentrazione settoriale delle ispezioni, calcolato come rapporto tra la percentuale di
imprese ispezionate nel settore ed il peso relativo del settore nella struttura produttiva
regionale.
Per quanto riguarda la provincia il problema è misurare l’effetto genuinamente locale su
dati distorti dall’attività ispettiva condotta a livello provinciale. Si deve tenere conto sia
della laboriosità che della capacità degli uffici ispettivi provinciali dell’Inps. Per questo si
può calcolare, analogamente a quanto abbiamo fatto per i settori, un indicatore di
concentrazione relativa provinciale delle ispezioni, calcolato come rapporto tra la
percentuale di imprese ispezionate nella provincia ed il peso relativo della provincia sulla
struttura produttiva regionale.
Per quanto riguarda la capacità ispettiva degli uffici provinciali dell’Inps abbiamo
specificato un modello marginale che tenesse conto di un’eterogeneità di fondo tra i livelli
di sommerso nelle varie province, non attribuibile all’effetto delle altre variabili esplicative,
ovvero di una correlazione tra le quote di sommerso tra le imprese di una stessa provincia
(Liang, K.Y., Zeger, S.L., Longitudinal data analysis using generalized linear models, in
Biometrika, 73, pp. 13-22, 1986).
Assumendo che il numero di lavoratori sommersi segua una distribuzione binomiale
Bi p, n , dove p è la proporzione di lavoratori sommersi sul numero totale n di lavoratori
nell’impresa, abbiamo specificato come base per le analisi un modello logistico dove la
variabile dipendente il rapporto p/(1-p) può essere interpretato come il rapporto tra il valore
atteso del numero di lavoratori sommersi (S) e il valore atteso del numero di lavoratori
regolari nell’azienda (E).
Le variabili esplicative che abbiamo considerato nell’analisi sono state le seguenti: Loc, una
variabile indicatrice della provincia di appartenenza (cui si aggiunge Piombino); come
provincia di riferimento per la stima del modello è stata utilizzata Firenze; Isp_pr, il valore
di concentrazione relativa delle ispezioni nelle varie province; l’indicatore è calcolato
separatamente per le ispezioni condotte negli anni considerati; Dim, la dimensione media di
19
impresa (calcolata dentro ciascuna cella); la dimensione d’impresa è calcolata considerando
il numero totale dei lavoratori, sommando cioè lavoratori regolari e sommersi; le imprese
sono divise in 4 classi dimensionali (0-9 lavoratori; 10-49; 50-250; oltre 250); si tratta
perciò di una variabile qualitativa; Set, una variabile qualitativa che indica i settori
produttivi secondo la codifica CSC; Isp_set, il valore di concentrazione relativa delle
ispezioni nei vari settori (secondo la codifica CSC; l’indicatore è calcolato separatamente
per le ispezioni condotte nei due anni considerati; Anno, l’indicatore dell’anno (2000; 2001;
2002); Art. indica le imprese iscritte all’albo degli artigiani.
Non è inutile ricordare che calcolando l’esponenziale della costante si ottiene il valore
medio stimato della variabile dipendente nella classe riferimento; l’esponenziale degli altri
parametri indica invece il rapporto tra il valore medio assunto dalla variabile dipendente nel
caso specifico (per esempio nelle imprese artigiane) rispetto alla classe di riferimento
(l’industria). Per le modalità di selezione del campione la stima del valore medio della
costante è sicuramente distorta, e non può in alcun caso essere interpretata estendendone il
significato: la costante indica la diffusione media di lavoro sommerso nelle imprese
ispezionate; il valore non può essere in nessun caso esteso alle imprese non considerate nel
campione. Ciò implica che tutti i livelli di sommerso quando considerati in sé soffrono della
medesima distorsione.
Vediamo cosa accade per le stime di tutti gli altri parametri. Supponiamo a titolo di
esempio che b sia il coefficiente stimato per l’artigianato; esso può essere interpretato come
rapporto tra due valori medi, quello dell’artigianato e quello della classe di riferimento
(industria). Come abbiamo detto, si può ritenere che denominatore e numeratore del
rapporto siano sovrastimati. Se entrambi fossero sovrastimati di uno stesso fattore
moltiplicativo c, la stima di b sarebbe corretta. Proviamo allora a ragionare sul fattore
moltiplicativo c. Possiamo escludere che vi sia una sottostima sistematica: ciò
significherebbe infatti che gli ispettori Inps si recano sistematicamente nelle imprese
sbagliate, e non si accorgono che stanno sbagliando. Al limite, se in alcuni settori non si
sospetta la presenza di sommerso, si può pensare che essi le attività di ricerca del sommerso
possano essere condotte con un campionamento casuale. Il campionamento opportunistico
può determinare una sovrastima sistematica del sommerso in ogni settore. E’ difficile
ipotizzare che c sia costante in ogni strato del campione; se però riflettiamo sui fattori che
possono determinare la distorsione, si può sostenere che essa è tanto maggiore quanto
maggiore è la concentrazione di ispezioni per settore e provincia (ed il modello aggiusta per
queste variabili) e che dipenda anche dalla capacità degli uffici di trovare i lavoratori
sommersi (e nel modello è inserita un’intercetta casuale per tener conto di questo). Ciò
significa che è ragionevole pensare che la variabilità di c -tenuto conto degli aggiustamenti
del modello- non può essere elevata tra strati diversi del campione. Possiamo così
concludere che i coefficienti stimati, presi in sé, probabilmente non sono corretti; ma è
ragionevole sostenere che il modello offre una buona approssimazione alla realtà quando si
è interessati a confrontare l’uso di lavoro sommerso di imprese appartenenti a settori,
province e con dimensione diversa.
20
Per commentare i dati derivanti dall’analisi abbiamo scelto di semplificare al
massimo l’esposizione. Riteniamo, infatti, che ai fini di questo rapporto lo scopo principale
del modello sia quello di verificare l’esistenza di peculiarità della provincia di Pisa rispetto
al panorama toscano. Per questo l’analisi è sintetizzata in 4 grafici che misurano quanto le
imprese pisane si allontanano rispetto a quelle delle altre province toscane, considerando la
provincia di Firenze come livello di riferimento (Firenze=100). Il lettore interessato può
vedere il box 1 e le tabelle in appendice al capitolo per l’esposizione più dettagliata dei
risultati.
L’analisi dei dati Inps è stata effettuata con una analisi a più stadi. In prima
approssimazione è stato specificato un modello generale per grandi settori e
successivamente due modelli specifici, per i settori che l’Inps indica con le dizioni
(improprie) industria e terziario.
Il modello macro-settoriale suddivide le imprese in servizi, imprese artigiane ed
imprese dell’industria. La Figura 3 sintetizza i risultati della regressione per quanto riguarda
le variabili provinciali: esso ordina le province toscane sulla base della diffusione del
sommerso. Pisa, con Livorno e Lucca, non si discosta in modo significativo dall’area
fiorentina di riferimento. Siena e Arezzo hanno quote più bassa di utilizzazione del lavoro
sommerso. Mentre mostrano una maggiore diffusione di sommerso Grosseto, Massa,
Piombino, Pistoia, e soprattutto la provincia di Prato.
21
Figura 3. L’uso di lavoro sommerso da parte delle imprese (controllato per macrosettore). Dati provinciali. Firenze=100
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
FI
Per le modalità di costruzione delle stime è da sottolineare che questi risultati non
possono essere interpretati semplicemente come effetto di specificità localizzative; non è
infatti possibile distinguere l’effetto localizzativo dalla diversa composizione della struttura
produttiva delle province. Per spiegare il punto può essere utile riflettere sul caso di Prato:
la maggiore incidenza del sommerso può essere attribuita ad una maggiore facilità di uso
del sommerso in un contesto di tipo distrettuale spiegabile in riferimento alla peculiarità
sociale e istituzionale di questo sistema produttivo, ma può anche essere il risultato di una
maggiore integrabilità del lavoro sommerso all’interno delle imprese tessili che
caratterizzano la provincia. Nel modello econometrico questo livello di risoluzione non
permette di distinguere gli effetti genuinamente localizzativi da peculiarità della struttura
produttiva provinciale, e dunque da peculiarità relative all’integrabilità tecnologica del
lavoro sommerso all’interno delle imprese.
22
Figura 4. L’uso di lavoro sommerso da parte delle imprese dei settori industriali Inps
(controllato per codice csc). Dati provinciali. Firenze=100
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
FI
Detto questo possono essere considerati i risultati emersi dall’analisi di regressione
che sono essenzialmente due: (i) le imprese artigiane e soprattutto quelle dei servizi
utilizzano mediamente lavoro sommerso in misura maggiore rispetto alla generalità delle
imprese dell’industria; (ii) al crescere della dimensione media d’impresa l’utilizzazione
relativa del sommerso decresce in modo molto netto. Il modello mostra altresì che nelle
imprese artigiane, a parità di dimensione con le imprese industriali, si verifica un uso più
intenso di lavoro sommerso. E’ però da notare che anche in questo caso la diversità
dell’incidenza del sommerso tra imprese industriali e artigiane non può essere interpretata
semplicemente come effetto di specificità di tipo istituzionale. A questo livello di
aggregazione infatti la distinzione tra imprese artigiane e industriali non permette di
distinguere l’operare di fattori istituzionali dalla diversa composizione settoriale di
artigianato e industria. La maggiore incidenza del sommerso nell’artigianato rispetto
23
all’industria deve perciò essere verificata, come faremo più avanti, per imprese appartenenti
allo stesso settore produttivo.
Figura 5. L’uso di lavoro sommerso da parte delle imprese dei settori del terziario Inps
(controllato per codice csc). Dati provinciali. Firenze=100.
300
250
200
150
100
50
0
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
FI
E’ quindi utile procedere a stimare il modello che tenga conto della variabile settore
ad un più elevato livello di disaggregazione; ciò permetterà di verificare, per così dire, la
tenuta dell’effetto artigianato e di quello localizzativo. Abbiamo specificato due modelli
separati: il primo per le sole imprese che l’Inps chiama industriali, il secondo per le sole
imprese del terziario.
Per i settori industriali sembra emergere l’immagine di una utilizzazione omogenea
del sommerso in gran parte delle province della regione, indipendente da effetti
localizzativi. Solamente Siena ed Arezzo presentano valori di uso del lavoro sommerso
24
significativamente inferiori a quelli del gruppo appena considerato; mentre Prato e Grosseto
mostrano invece quote più elevate di utilizzazione del lavoro sommerso.
Il modello per i settori del terziario mostra una più ampia variabilità provinciale, che
però è significativa statisticamente solo per Massa, Piombino, Prato e Pistoia. Pisa mostra
una tendenza non statisticamente significativa ad un uso più intenso del sommerso rispetto
al dato fiorentino. Anche in questo caso si conferma la tendenza ad un minore uso di
sommerso da parte delle imprese di Siena ed Arezzo.
Figura 6. L’uso di lavoro sommerso nelle province delle Toscana. Firenze=100.
300
250
200
Servizi INPS
Industria INPS
Grandi settori
150
100
50
0
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
FI
I risultati sintetizzati finora ci consentono di fare alcune considerazioni di sintesi sul
posizionamento della provincia di Pisa nel panorama regionale. Come si può vedere nella
Figura 6, i dati mostrano che a parità di altre condizioni la provincia di Pisa non si discosta
in modo significativo dalla gran parte delle altre province della regione, con una tendenza
ad un uso più inteso di lavoro sommerso nel terziario. Dunque, con tutte le cautele del caso,
è possibile affermare che le imprese operanti nella provincia di Pisa si comportano, a parità
25
di tutte le altre condizioni, in modo del tutto analogo a quello della imprese delle imprese
considerate come riferimento.
La considerazione complessiva dei risultati permette di rafforzare alcuni elementi
strutturali sull’uso del lavoro sommerso che erano già emersi nel lavoro di Unioncamere
Toscana6 e che valgono dunque anche per la situazione della provincia di Pisa:
i)
l’uso di sommerso è più elevato nelle piccole imprese rispetto alle grandi; il
sommerso tende a scomparire nelle imprese sopra i 50 addetti. Questo vale in modo
particolare per i settori industriali;
ii)
i parametri stimati relativamente all’intensità provinciale e settoriale non sono
statisticamente significativi; ciò significa che l’attività ispettiva ha effetti deterrenti
omogenei per tutte le province e per tutti i settori (ciò implica che l’attività ispettiva
è più intensa nei settori dove c’è maggiore uso di lavoro sommerso);
iii)
ci sono settori che si differenziano significativamente rispetto a quelli di riferimento.
In particolare hanno una minore propensione al sommerso: i settori della meccanica
e della lavorazione dei metalli (CSC02; CSC03; CSC05), il tessile (CSC07) e le
utilities (CSC14). Per quanto riguarda i settori non industriali sembrano avere una
maggiore propensione all’uso di sommerso i servizi tributari (CSC603) ed il
commercio ambulante (CSC703); mentre, banalmente, hanno minore propensione al
sommerso gli enti pubblici e di ricerca (CSC301);
iv)
quando si sia tenuto conto delle specificità settoriali l’effetto artigianato scompare.
Ciò significa che quando si compara l’utilizzazione di lavoro sommerso tra imprese
appartenenti allo stesso settore e della stessa dimensione l’appartenenza o meno
all’artigianato non modifica il modo in cui l’impresa utilizza lavoro sommerso.
6
Unioncamere Toscana (2003), op. cit.
26
Appendice al capitolo 3
Tabella A.1. La stima del modello per grandi settori 2000-2002
Variabile
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
2001
2002
Artigianato
Terziario
10-49
50-250
>250
isp_sett
isp_pr
costante
Coefficiente
-0,516
0,226
0,101
-0,053
0,176
0,256
0,054
0,674
0,169
-0,377
-0,072
-0,132
0,187
0,406
-0,500
-2,009
-16,171
0,039
-0,421
-0,980
Std. Err.
0,090
0,065
0,108
0,083
0,077
0,052
0,074
0,036
0,037
0,076
0,065
0,106
0,099
0,087
0,181
0,430
1,036
0,073
0,164
0,262
p
0,000
0,001
0,242
0,363
0,023
0,000
0,324
0,000
0,000
0,000
0,186
0,147
0,059
0,000
0,006
0,000
0,000
0,408
0,010
0,000
Riferimento: FI, industria, 0-9 addetti; anno 2000.
27
Tabella A.2. La stima del modello per i settori industriali 2000-2002
Variabile
Coef,
Std, Err,
P>|z|
AR
-0,732
0,130
0,000
GR
0,273
0,107
0,011
LI
-0,071
0,145
0,433
LU
-0,234
0,133
0,078
MS
0,030
0,118
0,556
PB
0,107
0,080
0,126
PI
0,037
0,142
0,553
PO
0,542
0,131
0,000
PT
0,091
0,124
0,322
SI
-0,264
0,118
0,025
2000
-0,120
0,121
0,224
2001
-0,237
0,176
0,124
10-49
-0,626
0,131
0,000
50-250
-2,043
0,430
0,000
>250
-17,865
1,067
0,000
CSC02
-1,533
0,732
0,036
CSC03
-0,679
0,413
0,069
CSC05
-1,257
0,561
0,025
CSC06
-0,030
0,301
0,640
CSC07
-0,696
0,238
0,003
CSC08
0,542
0,530
0,213
CSC09
-0,178
0,481
0,494
CSC10
-0,289
0,310
0,244
CSC11
-0,001
0,538
0,694
CSC12
-0,047
0,339
0,617
CSC13
0,065
0,321
0,584
CSC14
-10,743
0,922
0,000
CSC15
0,593
0,543
0,191
CSC16
0,282
0,357
0,298
CSC18
0,504
0,333
0,090
CSC22
1,404
0,557
0,012
isp_sett
-0,163
0,175
0,246
isp_pr
-0,067
0,268
0,557
Artigianat
o
0,052
0,146
0,500
0,534
0,094
costante
-0,894
Riferimento: Firenze, 0-9, CSC00; anno 2000.
28
Note: i settori sono: CSC00=industrie alimentari, bevande e tabacco; CSC 02=estrazione
minerali metalliferi; CSC 03=legno e carpenteria navale; CSC 05=produzione e prima
trasformazione metalli; CSC 06=meccanica di precisione; CSC 07=tessile; CSC
08=abbigliamento e accessori anche in pelle; CSC 09=chimica, petrolchimica, gomma e
materie plastiche; CSC 10=pelli, cuoio e calzature; CSC 11=lavorazione minerali non
metalliferi; CSC 12=carta, cartotecnica, editoria, fotografia e cinematografia; CSC
13=edilizia e installazione di impianti per edilizia; CSC 14=produzione e distribuzione
energia, gas, acqua; CSC 15=trasporti e comunicazioni; CSC 16=varie; CSC 18=servizi e
spettacolo; CSC 22=pesca.
29
Tabella A 3. La stima del modello per i settori del terziario
Variabile
AR
GR
LI
LU
MS
PB
PI
PO
PT
SI
2000
2001
10-49
50-250
CSC201
CSC301
CSC501
CSC602
CSC603
CSC702
CSC703
CSC704
CSC705
CSC706
CSC707
isp_sett
isp_pr
costante
Coef,
-0,054
0,150
0,524
0,433
0,686
0,454
0,412
1,035
0,549
-0,255
-0,010
-0,028
-0,747
-15,447
0,934
-1,507
-12,709
-0,266
1,949
-0,220
1,133
0,775
0,204
0,846
0,719
0,134
-0,988
-0,741
Std, Err,
0,337
0,147
0,344
0,334
0,340
0,139
0,233
0,132
0,100
0,272
0,245
0,225
0,502
1,598
1,166
0,425
0,754
1,242
0,854
0,541
0,458
1,056
1,324
0,870
0,927
0,972
0,754
0,853
P>|z|
0,606
0,215
0,089
0,135
0,043
0,001
0,077
0,000
0,000
0,242
0,671
0,626
0,095
0,000
0,294
0,000
0,000
0,576
0,022
0,475
0,013
0,322
0,610
0,229
0,304
0,619
0,132
0,267
Riferimento: Firenze, 0-9, CSC 701; anno 2000.
Note: i settori sono: CSC 201=enti pubblici, ricerca, assistenza, etc.; CSC
301=amministrazioni statali centrali e periferiche, etc.; CSC 501=coltivazioni, zootecnia e
forestazione; CSC 602=assicurazioni; CSC 603=servizi tributari; CSC 701=commercio
all'ingrosso; CSC 702=commercio al minuto; CSC 703=commercio ambulante; CSC
704=intermediari; CSC 705=alberghi, pubblici esercizi e simili; CSC 706=proprietari di
fabbricati; CSC 707=professionisti e artisti, attività varie.
30
4.
4.1
Il sommerso in provincia di Pisa. L’analisi qualitativa
L’indagine sul campo
L’analisi qualitativa dell’economia sommersa nella provincia pisana è stata condotta
procedendo alla raccolta di informazioni attraverso interviste semistrutturate a testimoni
privilegiati, in prevalenza operanti in Enti Pubblici, associazioni sindacali e di categoria,
che a vario titolo si interessano o sono a conoscenza di attività sommerse7.
Le interviste hanno seguito una traccia (vedere schemi allegati in appendice al
capitolo) a cui però gli intervistati non sono stati rigidamente vincolati, in modo che
potessero essere valorizzati i percorsi e le indicazioni che ciascuno di loro, dal punto di
vista della sua particolare esperienza, proponeva all’interno della tematica proposta. La
raccolta di informazioni non è stata, dunque, limitata esclusivamente alle risposte date a
seguito della proposizione del questionario, ma si è estesa anche a quelle notizie utili a
comprendere la situazione generale del mercato del lavoro ed alcuni particolari aspetti delle
attività economiche dell’area provinciale pisana in grado di contribuire alla ricostruzione
dello spazio potenziale del sommerso, nonché all’individuazione di alcuni meccanismi
specifici relativi al suo finanziamento.
In analogia con quanto abbiamo fatto nei capitoli precedenti, il nostro interesse
prevalente è rivolto alla descrizione della situazione della provincia pisana in relazione alle
forme di sommerso prevalenti in ambito regionale. E’ utile anticipare che, sulla base delle
7
Le interviste guidate sono state condotte mediante l’ausilio di due questionari
semistrutturati elaborati, in pgià sperimentati (cfr. Unioncamere Toscana, Lavoro sommerso
e contratti atipici: un’analisi sul campo, Impresa toscana, n. 1, Firenze, 2002). Un primo
questionario, riportato in appendice, è stato sottoposto ad enti che a vario titolo svolgono
una funzione di gestione e controllo della normativa sul lavoro, come INPS, DPL, Guardia
di Finanza, ASL-5 e INAIL. Un secondo questionario, anch’esso riportato in appendice, è
stato invece proposto a quelle organizzazioni sindacali che più direttamente si interessano
31
informazioni raccolte, in linea generale le modalità e i settori di lavoro sommerso nell’area
pisana non si discostano molto da quelli rilevati nel resto della Toscana.
I risultati dell’analisi sono organizzati intorno alla classificazione delle forme di
sommerso in nero e grigio. Per ciascuna di queste due tipologie individueremo le forme di
manifestazione, le peculiarità rispetto all’ambito regionale ed i settori di diffusione.
La prima difficoltà da affrontare per chi tenta di dare una definizione del fenomeno
del lavoro sommerso è il fatto che non è sufficiente la nozione giuridica, ma è necessario
dare conto dell’universo variegato delle sue manifestazioni, in cui coesistono il dipendente
pubblico con doppio lavoro, il lavoratore a tempo pieno e indeterminato, i lavoratori
immigrati extracomunitari, irregolari o illegali, gli occupati formalmente dichiarati, ma
trattati irregolarmente dal punto di vista economico.
Come emerge dalle interviste effettuate, risulta centrale, in ragione delle
caratteristiche del mercato del lavoro pisano, una questione sollevata anche dai nostri
testimoni privilegiati (in particolare INAIL., DPL.), concernente la differenziazione
terminologica e concettuale tra lavoro nero e lavoro irregolare. Dietro la genericità del
concetto di “lavoro sommerso nero”, dunque, si nasconde il formalismo di un approccio
che individua il discrimine tra lavoro sommerso ed emerso senza altre sfumature. Come già
accennato, le ragioni di tale confusione risiedono nel fatto che spesso espressioni molto
diverse tra loro sono utilizzate per indicare lo stesso fenomeno: “economia sommersa”,
“lavoro nero”, “lavoro irregolare”, ecc.
Nel nostro lavoro indicheremo con la dizione “lavoro sommerso nero” l’assoluta
irregolarità del rapporto di lavoro, tale per cui il lavoratore viene sorpreso, dagli enti
preposti al controllo e alla vigilanza, intento al lavoro pur non essendo stato iscritto
dall’impresa nei registri obbligatori previsti per legge (libri paga, libro matricolare e libro
delle presenze). Dunque solo nel caso in cui i lavoratori non siano iscritti nei suddetti
registri e non abbiano la lettera di assunzione vengono considerati lavoratori al nero.
delle tematiche legate al lavoro, quali CGIL, CISL, UIL, ma anche Unione Industriali,
CNA, Unione Agricoltori, Coldiretti e CASA Artigiani.
32
Nella provincia pisana il lavoro nero, inteso come lo svolgimento di un’attività
lavorativa in modo del tutto irregolare, emerge circoscritto in particolari imprese di piccole
e piccolissime dimensioni. Tali imprese, peraltro, risultano essere regolarmente iscritte,
ossia non è emerso come attualmente presente nella provincia lo svolgimento di attività
d’impresa in violazione di norme che ne subordinano l’esercizio ad autorizzazione o
concessione.
È possibile affermare, sulla base delle testimonianza raccolte, che è assai raro
trovare nelle aziende di medie dimensioni, e soprattutto nelle grandi, situazioni di lavoro
nero. La presenza di lavoro sommerso nero può essere schematicamente ricondotta, anche
se con peculiarità e intensità diverse, all’interno di alcuni settori, ovverosia quello agricolo,
quello industriale (tessile, calzaturiero e del cuoio), ma soprattutto quello del servizio alle
famiglie (colf, badanti ecc.), del turismo, dei piccoli esercizi commerciali (come bar,
ristoranti ma anche alberghi), e dell’edilizia, in cui la parcellizzazione dell’attività consente
l’inserimento di lavoratori in modo del tutto irregolare.
Inoltre, con specifico riferimento al tessuto produttivo pisano, è sembrato utile
adottare un’impostazione tesa a discernere le molteplici forme di lavoro, inserite nei diversi
contesti produttivi, al fine di fornire chiare indicazioni volte a cogliere i tipi di prestazioni
definibili contra legem e per questo irregolari. E’ altresì utile anticipare fin d’ora, ma sulla
questione ritorneremo più avanti, che nelle imprese medio-grandi non sembrano emergere
neanche elementi di irregolarità nel rapporto di lavoro idonei a configurare quella zona di
confine tra il lavoro nero e quello del tutto regolare che più avanti chiameremo lavoro
grigio.
4.2
4.2.1
Il lavoro sommerso nero
L’agricoltura
In agricoltura il lavoro completamente sommerso ha carattere prevalentemente
stagionale. Esso viene utilizzato dalle imprese agricole in special modo nel periodo della
vendemmia, e per mansioni a bassa specializzazione.
33
I nostri interlocutori (associazioni di categoria) hanno fatto rilevare che si tratta di un
fenomeno poco significativo perché stagionale, il cui apporto alla produzione non supera il
15%. Hanno inoltre sottolineato il fatto che il sommerso che riguarda questo settore risulta
essere poco preoccupante dal punto di vista sociale poiché riguarda principalmente
pensionati, magari ex-dipendenti, o al più studenti.
Le imprese che fanno ricorso al lavoro sommerso, benché stagionalmente, sono
regolarmente registrate e retribuiscono i lavoratori irregolari mediante pagamento in
contanti, con una retribuzione oraria che si aggira intorno a quella regolare netta.
I nostri interlocutori hanno sottolineato che quello che ritengono “uno scarso ricorso
al lavoro sommerso” è conseguenza del fatto che in provincia di Pisa il settore agricolo è
“altamente meccanizzato”, e richiede la prestazione d’opera di soggetti specializzati in
grado di manovrare macchinari agricoli sofisticati. Le attività a più alta intensità di lavoro
stagionale sono state in gran parte meccanizzate: nel comparto cerealicolo e in quello dei
pomodori la raccolta è in gran parte meccanizzata, e ciò determina la riduzione della
domanda di “manovalanza” non qualificata. D’altra parte hanno messo in luce il fatto che in
molti casi sono i lavoratori che non vogliono essere regolarizzati; le imprese agricole si
trovano così “costrette” a tollerare una simile situazione a causa della carenza di
manodopera disposta a lavorare in questo settore. I nostri interlocutori, infine, hanno tenuto
a sottolineare che l’introduzione della L. 626 del 1994 in materia di sicurezza sul lavoro, in
particolare per quanto concerne la responsabilità gravante sul datore di lavoro, sembra
essersi dimostrata particolarmente efficace nel disincentivare il ricorso al lavoro sommerso
in questo settore.
Più preoccupante è quanto accade nelle attività boschive. Abbiamo infatti notizie
della presenza di immigrati, prevalentemente albanesi e slavi, che prestano la propria
attività in nero per lo svolgimento di mansioni legate principalmente al taglio e raccolta
della vegetazione boschiva. Sebbene non sia possibile stimare il fenomeno del lavoro
sommerso legato a questo tipo di attività, per l’estrema difficoltà da parte degli enti preposti
ad individuare e identificare i soggetti intenti al lavoro, viene riferito dai nostri interlocutori
34
che proprio in questo tipo di attività verrebbero maggiormente utilizzati lavoratori
immigrati clandestini, e quindi in tutta evidenza impiegati al nero.
4.2.2
L’edilizia
Altra attività in cui è particolarmente diffuso il fenomeno del lavoro nero è
l’edilizia, settore in cui si ha notizia di forme di reclutamento illegali di manodopera,
tramite intermediari detti “caporali”. Tale intermediazione viene adottata al fine di eludere
le tariffe sindacali e le norme relative alla sicurezza sul lavoro, con i relativi costi.
Il reclutamento con il sistema del caporalato, prevalentemente di extra-comunitari,
avviene nelle zone centrali del capoluogo provinciale. La provenienza dei lavoratori
reclutati per attività di bassa specializzazione, spesso con mansioni di pura manovalanza,
non è esclusivamente extracomunitaria. Si tratta anche di cittadini provenienti dalle regioni
meridionali del Paese, che arrivano nella provincia pisana per rispondere alle esigenze della
piccola impresa edile (che partecipa alle gare d’appalto talvolta anche con “un solo
dipendente”) di terminare il lavoro, che le è stato commissionato o che si è aggiudicata, nei
termini pattuiti con il committente. I lavoratori giunti dalle regioni meridionali del Paese
vengono reclutati generalmente dalle imprese che operano in regime di subappalto perché
sono già stati impiegati dalle stesse imprese nei luoghi di origine. E’ però da notare che,
così come avviene per i lavoratori extracomunitari, anche per quelli italiani (siano essi
carpentieri, manovali o muratori) può accadere che vengano reclutati notte-tempo senza che
vi sia stato un precedente rapporto con l’impresa richiedente la prestazione lavorativa.
Le caratteristiche organizzative rilevanti delle prestazioni lavorative irregolari
comportano una elevata variabilità del luogo di lavoro ed una elevata frammentazione
organizzativa, legata appunto al subappalto. Ciò facilita l’uso di lavoro sommerso perché
permette di eludere facilmente i controlli degli Enti preposti. Il ricorso al lavoro sommerso
da parte delle imprese è permanente; la retribuzione oraria, non è inferiore a quella regolare
netta, ma comporta comunque per il lavoratore una perdita in termini contributivi.
In particolare, la presenza accentuata di stranieri irregolari nel settore edile sembra
essere il fenomeno più preoccupante poiché appare pianificato in modo puntuale dalla
35
criminalità organizzata. I nostri interlocutori hanno indicato quale elemento indicante
l’esistenza di una attività di reclutamento pianificato, il fatto che durante le attività di
controllo nei cantieri è stata accertata la presenza di manodopera irregolare immigrata con
la stessa provenienza geografica (soli cittadini curdi, oppure albanesi o slavi). Ciò risponde
all’esigenza del datore di lavoro di avere lavoratori non solo capaci comprendere ciò che
viene loro detto e di interagire tra loro, ma anche di evitare mescolanze di etnie che
possano provocare tensioni, cagionate da intolleranza reciproca, e tali che possano
richiamare nel cantiere gli Enti preposti al controllo.
Per quanto concerne, invece, l’ispezione e la vigilanza effettuate nel settore edilizio
da parte degli Enti preposti, queste devono confrontarsi non solo con il problema derivante
dalla compresenza di più imprese nello stesso cantiere, ma anche con l’estrema mobilità
dell’impresa stessa che si sposta continuamente da un cantiere ad un altro. Ciò genera una
estrema difficoltà da parte degli Enti preposti al controllo nell’effettuare sia un opera exante di prevenzione sugli infortuni sul lavoro, di cui può essere vittima il prestatore d’opera
quando l’impresa fa ricorso al lavoro nero, sia ex-post di accertamento e repressione delle
prestazioni lavorative irregolari con relativa sanzione per l’impresa che ne ha fatto ricorso.
36
4.2.3
Le imprese manifatturiere: cuoio e pelle, legno
L’esistenza di lavoratori al nero ha manifestazioni più complesse nelle imprese, non
solo artigiane, di piccole e piccolissime dimensioni dei comparti della calzatura e della
lavorazione del cuoio e delle pelli. Per questi contesti aziendali le motivazioni del ricorso al
lavoro nero sono state schematicamente indicate dai nostri interlocutori nel fatto che vi
sarebbe la necessità per le imprese, sia in momenti economici sfavorevoli che in quelli
favorevoli, di risparmiare sensibilmente sui costi di produzione, nonché l’esigenza di
reagire con maggiore elasticità alle modificazioni della domanda del prodotto.
Le caratteristiche del lavoro sommerso in particolare nel comparto della calzatura,
specie nella zona di Castelfranco, appaiono non facilmente individuabili, da parte degli enti
preposti al controllo (Inps, DPL), a causa di una produzione molto dispersa sul territorio.
Il settore è infatti caratterizzato da una netta suddivisione della fasi di lavorazione
che vengono svolte non solo da imprese subfornitrici, ma anche da lavoratori a domicilio,8
come ad esempio l’attività di assemblaggio delle varie parti componenti il prodotto. Il
fenomeno del sommerso nero si annida nelle maglie della struttura di subfornitura, e nei
rapporti tra imprese e famiglie. Infatti, nei passaggi tra le varie unità subfornitrici si
nascondono varie forme di sommerso e le irregolarità più gravi, che consentono alle
piccolissime imprese, assai di frequente a conduzione familiare, di ottenere quei margini di
guadagno “bassissimi” che impone un ciclo produttivo così frammentato.
Il ricorso al nero, sulla base di quanto riferito da alcune rappresentanze sindacali
presenti nel Comune di Castelfranco, può anche essere propiziato dal ricorso delle imprese
8
La filiera può essere rappresentata schematicamente in questo modo: a) l’impresa di
produzione elabora il modello del prodotto e ne calcola il relativo costo; b) il modello viene
dato al terzista per l’assemblaggio dei suoi componenti; c) il terzista affida il lavoro di
montaggio di accessori (ad esempio, fibbie) alle famiglie; d) il terzista riprende il prodotto
per effettuare le ultime rifiniture.
37
artigiane all’Ente preposto al sostegno del reddito9. In tale contesto può accadere che le
imprese artigiane impieghino lavoratori al nero, dopo essere ricorse all’E.B.R.E.T (Ente
Bilaterale Regionale Toscana). Questo Ente in periodi di sospensione dell’attività lavorativa
da parte dell’impresa eroga al lavoratore circa il 50% della sua retribuzione, mentre l’Inps
corrisponde un’indennità di disoccupazione pari al 30%. Nel caso vi sia una ripresa della
produzione, in costanza della sospensione lavorativa dichiarata per ottenere i sussidi
E.B.R.E.T, l’impresa ricorre all’utilizzo di lavoratori irregolari.
Discorso diverso vale per le imprese del distretto conciario di Santa Croce. In queste
imprese confluiscono in prevalenza lavoratori stranieri regolari, principalmente senegalesi, i
quali costituiscono – secondo i nostri interlocutori – ormai oltre i tre quarti della forza
lavoro10. Si tratta di lavoratori regolari, disposti ad accettare mansioni riferite a fasi delle
lavorazioni particolarmente faticose o sgradevoli. Spesso questi lavoratori vengono assunti
con contratti a termine e attraverso agenzie di lavoro interinale. In particolare, sembra che
sia questa ultima forma contrattuale ad essere privilegiata poiché permette di flessibilizzare
al massimo il rapporto di lavoro, rendendolo aderente alle esigenze produttive dell’azienda.
Nel distretto conciario si può ritenere che il ricorso al lavoro nero sia pressoché assente o a
diffusione assai limitata.
Una situazione del tutto peculiare è quella di cui si ha notizia in relazione alle
imprese di lavorazione del legno e mobili nelle zone di Cascina e Perignano. Per questo
settore, contrariamente a quanto abbiamo visto per l’edilizia, le prestazioni di lavoro
sommerso nero sono in prevalenza eseguite da pensionati (ex-dipendenti). Questo permette
9
Il riferimento è diretto all’art. 9 del regolamento dell’Ente, rubricato delle prestazioni a
favore dei lavoratori. Questo regolamento condiviso a livello regionale da: Cna,
Confartigianato Imprese, Casartigiani e Cgil, Cisl e Uil, prevede l’erogazione relativa alle
sospensioni lavorative da calcolare su base triennale e per un monte complessivo di 800 ore
sulla base dei tetti annuali. Il fondo per il sostegno al reddito realizzato in Toscana si basa
sui principi della solidarietà e mutualità, pertanto gli interventi previsti dal regolamento
sono garantiti nei limiti del piano finanziario triennale.
10
Non è emerso in relazione a questo settore il legame con la presenza di stranieri non
residenti, quindi presumibilmente coinvolti in attività lavorative non regolari.
38
all’impresa di mantenere un elevato standard qualitativo del prodotto, senza dover fare i
conti con gli alti costi che si legano all’assunzione di maestranze specializzate. La
prosecuzione su base professionale della collaborazione con soggetti che hanno già
raggiunto i limiti massimi di età, costituisce un fenomeno ormai abbastanza diffuso. Essa è
nell’interesse dell’impresa che trattiene personale “affidabile” e collaudato per lo
svolgimento di mansioni che richiedono elevata specializzazione prevalentemente
artigianale; ed è anche nell’interesse del lavoratore che gode di un reddito aggiuntivo
esentasse pagato su base giornaliera o settimanale. L’imprenditore risparmia sui costi che
dovrebbe
sostenere
per
impiegare
regolarmente
una
persona
dotata
delle
analoghe competenze specifiche. In particolare, risparmia, almeno nel breve periodo, sui
costi di ricerca del personale e di addestramento; ma soprattutto risparmia sul carico fiscale
e contributivo relativo alla remunerazione di un operaio ad elevata specializzazione.
4.2.4
Il commercio ed i servizi al turismo
Nei piccoli esercizi commerciali e dei servizi al turismo si riscontra la presenza di un
lavoro nero con alcune peculiarità rispetto ai settori visti in precedenza. In particolare, si
può
rilevare come negli alberghi e nei ristoranti le tipologie dei lavoratori al nero siano più
ampie di quelle sopra menzionate in quanto, a parere delle rappresentanze sindacali, è più
facile che vi trovino collocazione, anche se saltuariamente e per brevi periodi, oltre gli
extracomunitari, anche giovani disoccupati e studenti.
Le mansioni ricoperte dal lavoratore al nero nel settore della ristorazione vanno dal
servizio al tavolo, all’aiuto in cucina, mentre quelle svolte nel settore alberghiero variano
dalla pulizia delle stanze, al facchinaggio, fino al servizio di portineria.
Le imprese operanti in questi comparti sono regolarmente registrate; non esiste cioè
sommerso di impresa. Queste imprese fanno ricorso al lavoro nero in prevalenza su base
stagionale, avvalendosi per le retribuzioni di pagamenti in contanti e al nero derivanti dai
flussi di cassa giornalieri.
39
Una pratica diffusissima in questo settore, emersa come generatrice di lavoro nero,
consiste nello sfruttamento del periodo in cui il lavoratore è in prova. Si tratta cioè di
impiegare un lavoratore nello svolgimento di una determinata mansione, con l’accordo
tacito tra impresa e lavoratore che si tratta del periodo di prova (situazione in cui le parti
alla fine del suddetto periodo possono decidere di sciogliere il contratto senza alcuna
conseguenza), mentre in realtà non esiste nessun contratto scritto sottostante. Da questo
stato di cose deriva che il loro rapporto si formalizza secondo i canoni di legge con la
stipula del relativo contratto, solo se il periodo di prova si conclude favorevolmente. La
conseguenza a carico del lavoratore, che i sindacati hanno riscontrato come
“frequentissima”, concerne il fatto che il contratto stipulato viene fatto decorrere dal
periodo successivo a quello di prova, nel senso che questo non viene considerato,
realizzando così una perdita per il lavoratore sia in termini retributivi che contributivi.
40
4.2.5
I servizi alle famiglie
Appare evidente, dalle testimonianze raccolte, la presenza di occupati totalmente al
nero nei lavori domestici e di servizio alle famiglie per la custodia dei bambini e per
l’assistenza agli anziani. Questa attività sono svolte sia da cittadini italiani, in prevalenza
donne con lo status di disoccupate o pensionate, che, sempre più di frequente11, da extracomunitari.
Si tratta di mansioni caratterizzate da una bassa qualificazione professionale per le
quali esiste una domanda assai vivace. Pertanto si tratta di posti di lavoro che attraggono
fortemente l’offerta di lavoro de-specializzato.
In questo settore, particolarmente florido in tutta la provincia pisana, le opportunità
di impegno risultano attualmente disperse e frammentate, trovando il più delle volte
soddisfazione mediante canali informali che, in una sorta di circolo perverso, alimentano
disagio sociale e in generale un’illegalità diffusa.
L’aumento della domanda di servizi di cura alle persone, segnatamente, dei servizi
domiciliari agli anziani, è soddisfatta soprattutto con il ricorso a prestazioni lavorative rese
da cittadini extracomunitari, nella quasi totalità donne, che, quantunque disponibili verso
tale tipo di attività lavorative, sono il più delle volte privi di adeguata formazione e
competenza professionale. Il loro impiego nell’assistenza agli anziani permette al datore di
lavoro (la famiglia) di risparmiare sia dal punto di vista retributivo che da quello
contributivo.
In questo settore sembra che esista un reclutamento del personale per mezzo di un
caporale. L’attività di reclutamento si svolge principalmente nelle ore pomeridiane del
11
Per questo tipo di mansioni si verifica, anche se per motivi diversi, quanto si dirà per il
settore del cuoio e della pelle. In questo caso però una simile situazione viene alimentata
dal fatto che spesso l’assistenza agli anziani comporta la presenza della badante soprattutto
nelle ore notturne e la sua retribuzione non è oraria, ma viene pattuito un quantum
forfetario.
41
giorno, nella specie con il mediatore (caporale) che sceglie le colf e badanti straniere da
mettere in contatto con l’offerta di lavoro.
Analoga situazione è presente nelle imprese di pulizie, dove è occupata una forza
lavoro costituita prevalentemente da una eterogeneità molto vasta di individui (donne,
immigrati e disoccupati), anche ultra trentacinquenni, i quali, espulsi dal mercato del lavoro
per età o per mancanza di una qualifica adeguata, accettano di svolgere tali mansioni.
Queste, non richiedendo nessuna competenza specifica, vengono rese nella più totale
precarietà e con retribuzioni che non sono in grado di compensare il lavoratore della perdita
contributiva.
I lavoratori che in questo settore prestano attività lavorativa in modo del tutto
irregolare, qualora non si tratti di cittadini italiani, si trovano spesso non in regola rispetto
alla disciplina prevista per l’ingresso in Italia in qualità di cittadini non appartenenti alla
Unione Europea; e anche laddove l’ingresso sia regolare ad essi vengono non di rado
corrisposti trattamenti economici e di altra natura non conformi, se non anche palesemente
contrari alla legge e alle determinazioni della contrattazione collettiva12.
12
Il riferimento è diretto alla normativa che disciplina l’attività lavorativa di “colf” e
“badanti”. In particolare: l’art. 2240 cod. civ. rubricato “Del lavoro domestico”, definisce
tale quello che ha per oggetto le prestazioni di servizi di carattere domestico; la legge 2
aprile 1958, n. 339, sotto la rubrica “Per la tutela del lavoro domestico”, definisce “addetti
ai servizi personali domestici” i lavoratori di ambo i sessi che prestano a qualsiasi titolo la
loro opera per il funzionamento della vita familiare, sia che si tratti di personale con
qualifica specifica, sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche e li distingue
in impiegati (art. 5, comma 1: precettori, istitutori, governanti, bambinaie diplomate,
maggiordomi, dame di compagnia ed altri lavoratori aventi analoghe funzioni) e operai (art.
5, comma 2: cuochi, giardinieri, balie, guardarobiere, bambinaie comuni, cameriere,
domestiche tuttofare, custodi, portieri privati, personale di fatica, stallieri, lavandaie ed altri
lavoratori aventi simili mansioni); il D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403, rubricato
“Disciplina dell’obbligo delle assicurazioni sociali nei confronti dei lavoratori addetti ai
servizi domestici e familiari”, definisce il campo di applicazione riferendosi ai “lavoratori
addetti ai servizi domestici e familiari, che prestano lavoro subordinato presso uno o più
datori di lavoro» (art. 1); il vigente c.c.n.l. 8 marzo 2001 reca la legenda “contratto
collettivo nazionale sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico» e si riferisce ai
“prestatori di lavoro, comunque retribuiti, addetti al funzionamento della vita familiare”;
42
Il mancato utilizzo proprio di schemi contrattuali da parte dagli operatori del settore
-sia in forma individuale sia alle dipendenze o in collaborazione con una impresa/societàrappresenta uno dei principali fattori di distorsione del mercato dei servizi alla persona e di
pulizia; fattore che contribuisce a rendere poco trasparente tale mercato, ed a rendere assai
diversificate le remunerazioni corrisposte ai lavoratori per servizi, in linea di principio del
tutto simili.
4.3
Il lavoro sommerso grigio
Questa tipologia di lavoro parzialmente sommerso rappresenta una degenerazione
dei rapporti di impiego che assume dimensioni di non facile misurazione, ma che sembra
essere ben presente nel tessuto economico della provincia pisana, specialmente tra le
imprese piccole e piccolissime. In particolare possiamo distinguere due livelli di irregolarità
-uno più pesante ed uno più lieve-, che si intrecciano in modi inaspettati.
La forma più pesante consiste in una strumentalizzazione del rapporto in essere tra
prestatore d’opera e datore di lavoro, in grado, nella sostanza, di cambiare causa giuridica al
contratto sottostante. La parte importante di questo secondo tipo di lavoro grigio è presente
nei rapporti lavorativi caratterizzati da contratti fittizi, ossia rapporti a termine,
apprendistato, contratti di formazione, collaborazioni occasionali e lavoro autonomo che in
realtà legano e condizionano il lavoratore ben oltre le previsioni contrattuali. Le imprese
ricorrono a queste categorie contrattuali per godere di un versamento contributivo ridotto
rispetto a quanto dovuto nel caso della stipulazione di un contratto realmente
corrispondente alle mansioni svolte dal lavoratore.
Secondo i nostri interlocutori, nella provincia pisana i contratti utilizzati in modo
improprio più diffusi sono le collaborazioni coordinate e continuative. Il problema
principale che emerge, in relazione a tale fattispecie contrattuale, è dato dal fatto che molto
nonché alla neo riforma sull’immigrazione (T.U.) approvata dal Parlamento la quale
prevede la sanatoria per i collaboratori familiari extracomunitari.
43
spesso questi lavoratori svolgono la propria prestazione lavorativa con vincoli rigidi di
orario. Il datore di lavoro non ha in via formale il potere di prendere provvedimenti
disciplinari -prerogativa che deriva solo dai contratti di lavoro che prevedono una
subordinazione-, ma di fatto ha la possibilità di esercitare un potere gerarchico, perché può
decidere in qualunque momento di sciogliere il rapporto di lavoro. L’utilizzo di tali forme
contrattuali, attraverso le quali in realtà viene mascherato un vincolo di subordinazione,
consente al datore di lavoro di flessibilizzare il rapporto lavorativo sia in entrata che
soprattutto in uscita.
Tra i settori in cui sono più utilizzate queste forme di lavoro grigio, si segnalano in
particolare i pubblici esercizi in tutta l’area provinciale (piccola distribuzione, ristorazione,
bar ecc.), le imprese del comprensorio produttivo del cuoio/pelle, della calzatura e del
tessile nelle zone di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Ponte a Egola e San
Miniato, tutte aree, queste, in cui esiste una forte produzione “contoterzistica”.
Altre situazioni in grado di celare forme di sommerso grigio pesante si trovano nel
settore edilizio dove le prestazioni di extracomunitari sono eseguite con contratto parttime13. Come accade anche in altre aree della regione, l’uso del part-time nell’edilizia
riguarda anche i lavoratori provenienti dal Meridione: in molti casi è stato accertato che le
13
Qui i nostri interlocutori hanno sottolineato che l’uso di lavoro sommerso, nelle sue varie
forme, è connesso con gli appalti pubblici ed in particolare con l’abolizione, per
l’aggiudicazione della gara d’appalto, dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
sostituita dal criterio del “massimo ribasso”. Il criterio di selezione del massimo ribasso non
comporterebbe, contrariamente al precedente, l’obbligo per l’impresa di definire, sulla base
dei criteri forniti dall’ente appaltante, la partecipazione al bando di gara secondo criteri
trasparenti e nel rispetto della legge per quanto riguarda il costo della manodopera ed il
modello organizzativo. In questo modo l’ente appaltante, non preoccupandosi più del
progetto e dell’organizzazione del lavoro, di fatto finisce per agevolare la creazione di
subappalti a catena. Al vertice della piramide si trova la società aggiudicataria dell’appalto;
al fondo alla catena è assai probabile che si trovino imprese che, operando in una situazione
in cui margini di profitto sono strettissimi, tentano di tagliare i costi un po’ ovunque
cominciando probabilmente da quelli che incidono maggiormente sul costo del lavoro -in
particolare i costi che interessano la contribuzione a fini pensionistici e la sicurezza-.
44
ore lavorate vanno ben oltre le 20 stabilite settimanalmente dal contratto; si sono verificati
anche casi in cui le ore lavorate superavano di 1/3 quelle previste ex-lege14. In tutti i casi
appena considerati gli impieghi si caratterizzano per essere a bassa specializzazione. I
lavoratori interessati sono prevalentemente giovani, in particolare donne ed extracomunitari
regolari.
Diverso è il caso del sommerso grigio nel comparto dell’ICT, dove i lavoratori
interessati a questo uso improprio dei contratti atipici sono dotati di competenze generali
relativamente elevate, e spesso anche di competenze specifiche. In questi casi l’uso
improprio dei contratti atipici non ha origine nell’asimmetria di potere tra lavoratore e
datore di lavoro; ma in una comune ricerca di vantaggi, in termini di flessibilità per il
datore, di remunerazione e libertà per il lavoratore.
Non è inutile notare che tutti i casi di sommerso considerati finora vengono alla luce
soltanto ex-post, ossia nel momento in cui il lavoratore interrompe il suo rapporto di lavoro
con l’impresa e si rivolge al sindacato o al giudice, con ciò richiedendo l’intervento degli
Enti preposti al controllo ed alla vigilanza. E’ solo a rapporto concluso che gli Enti di
controllo e le rappresentanze sindacali vengono a conoscenza della situazione di irregolarità
che ha riguardato il rapporto di lavoro pregresso, con la necessità di appurare in che modo
si sia svolto il rapporto di lavoro, e se ciò corrisponda o meno con quanto invece era stato
registrato ai fini contributivi e fiscali.
Oltre alla forma di sommerso grigio più pesante, come già detto, abbiamo notizie di
situazioni di irregolarità più lieve che si annidano nella gestione dei rapporti contrattuali tra
impresa e lavoratore. Tra queste situazioni i nostri interlocutori hanno indicato come
prevalenti la remunerazione in nero delle ore di straordinario, con la conseguente parziale
registrazione di ore lavorate, ossia omettendo di indicare un numero di ore pari a quelle
retribuite in nero (“fuori busta”). In particolare, siffatta situazione risulta essere, a parere
14
Situazione questa che sembra non potersi annoverare all’interno di quello che è stato
definito sommerso grigio di “lieve” entità in cui viene inserita la retribuzione “fuori busta”.
45
dei nostri interlocutori, ben presente nel settore del cuoio e della pelle in cui le ore lavorate
sono di norma abbondantemente al di sopra delle 40 stabilite settimanalmente per contratto.
Anche nel settore edile emergono diffusissime situazioni per cui, a seguito di accordi tra
lavoratori e impresa, il lavoratore presta la sua opera anche al di là delle ore
contrattualmente fissate, chiedendo e ottenendo, a fronte di questo, il pagamento delle ore
di straordinario in contanti e al nero. In alternativa allo straordinario fuori busta le imprese
provenienti da fuori regione utilizzano un artificio contabile che consiste nel conteggiare le
ore come “trasferta Italia”, ottenendo così l’esenzione parziale dalle imposte. In molti casi,
secondo i nostri interlocutori, queste situazioni di irregolarità vedono, specialmente nei
settori di impiego più usuranti (edilizia), l’estrema e “irremovibile” volontà da parte del
lavoratore ad essere retribuito in nero per le ore supplementari.
E’ possibile infine menzionare un’altra variante di sommerso grigio che consiste
nell’impiego di lavoratori in cassa-integrazione, in malattia, in maternità ed anche
infortunati. Si tratta di lavoratori che, sebbene in periodo di sospensione dall’attività
lavorativa per i motivi sopra menzionati, vengono sorpresi durante l’attività ispettiva,
intenti al lavoro. In tale circostanza, però, l’irregolarità è relativa alla presenza del
lavoratore sul luogo di lavoro non supportata dalla prescritta registrazione negli appositi
libri.
46
5.
Sintesi e conclusioni
Come abbiamo argomentato i dati disponibili non consentono al momento di avere
una stima precisa della dimensione complessiva del sommerso in provincia di Pisa. Se però
combiniamo le informazioni provenienti dai dati di contabilità nazionale Istat, con quelle
derivanti dal modello costruito sui dati Inps, possiamo ricavare indicazioni quantitative
relativamente robuste. Partiamo dai dati di contabilità nazionale riferiti alla Toscana. Le
ultime stime Istat ridimensionano il fenomeno rispetto ai dati che per molti anni tutti gli
osservatori hanno commentato. La Toscana, con un tasso di irregolarità delle unità di lavoro
del 13% nel 2000, sceso al 12,3% nel 2001, si posiziona in solitudine tra i tassi di
irregolarità relativamente bassi delle regioni del Nord, e quelli relativamente più elevati del
Centro, e soprattutto, del Sud Italia. Dalla disaggregazione settoriale emerge una struttura
del sommerso regionale diversa da quella media nazionale. L’incidenza delle unità di
lavoro sommerso in agricoltura è inferiore non solo a quella media nazionale, ma anche a
quella di tutte le altre macro-aree; mentre per l’industria in senso stretto, l’edilizia ed il
terziario i tassi di irregolarità, pur inferiori al dato medio nazionale ed a quello medio del
Centro Italia, sono superiore a quelli del Nord-Est e del Nord-Ovest.
Per parlare della provincia di Pisa abbiamo a disposizione solo i dati Inps, ed il
modello statistico che abbiamo costruito nel capitolo 3. Esso non \può essere utilizzato per
stimare l’entità del lavoro sommerso, bensì per studiare l’intensità relativa di uso di lavoro
sommerso da parte delle imprese della provincia. Ebbene i risultati del modello indicano
che le imprese della provincia di Pisa non si discostano in modo significativo dal dato
medio regionale, con una tendenza per quelle del terziario ad un uso relativamente più
intenso del lavoro sommerso. Le imprese piccole tendono ad utilizzare il sommerso più
intensamente che le grandi; e, a parità di dimensione, non esiste nessuna differenza
significativa tra imprese industriali ed artigiane. Alcuni settori, in particolare la meccanica,
la lavorazione dei metalli, il tessile e le utilities hanno una quota relativamente inferiore di
lavoro sommerso. Nel terziario sono le imprese dei servizi tributari e del commercio
ambulante ad avere una quota relativamente più elevata di lavoratori sommersi.
47
A questi dati quantitativi si sovrappongono quelli dell’indagine presso i testimoni
privilegiati. In primo luogo è opportuno notare che, analogamente a quanto sappiamo per la
Toscana, anche in provincia di Pisa non si hanno evidenze rilevanti di attività svolte da
imprese completamente sconosciute al fisco e alla previdenza sociale. Esistono però
lavoratori completamente sommersi o neri che operano in imprese regolari, e lavoratori
solo parzialmente sommersi o grigi che operano anch’essi in imprese regolari.
L’impressione complessiva che abbiamo ricavato è che le tipologie di sommerso grigio
descritte nel paragrafo precedente rappresentino una routine nel funzionamento ordinario
delle imprese, specie in quelle di piccole dimensioni.
Da quanto siamo venuti scrivendo si può dunque sostenere che anche per la
provincia di Pisa, così come per gran parte della Toscana, il fenomeno del sommerso
assume prevalentemente la forma del sommerso di convenienza, o più propriamente di
sommerso volto alla riduzione dei costi di impresa e alla flessibilizzazione estrema della
forza lavoro impiegata, oltre i limiti imposti dalla legislazione sui contratti di lavoro.
Questa tipologia di sommerso, certo meno preoccupante di quella che caratterizza il
Meridione d’Italia, non può essere trascurata, e non solo per ragioni di recupero del gettito
fiscale e contributivo. Essa rappresenta infatti un segnale chiaro che molte imprese piccole
e piccolissime di moltissimi comparti individuano nel basso costo del lavoro l’elemento
competitivo centrale delle loro strategie.
Qui è però opportuno distinguere tra i settori (almeno nel breve periodo) al riparo
dalla concorrenza internazionale (edilizia, servizi, turismo) da quelli che per contro non lo
sono - in generale tutti i settori manifatturieri-. Per i primi il ricorso al sommerso è un
mezzo che, almeno nel breve periodo, permette di mantenere elevati margini di profitto.
Più delicata la questione delle imprese manifatturiere. Qui il ricorso sistematico al
sommerso ci fa intravedere una realtà dove ancora la concorrenza di prezzo rappresenta uno
degli elementi portanti del posizionamento delle imprese, specialmente piccole e
piccolissime, nei mercati. In altre parole, c’è il rischio che in un sistema come quello
toscano (piccola impresa, settori produttivi tradizionali e non tecnologicamente di punta),
48
caratterizzato da poca innovazione, si ricorra al sommerso per far fronte all’aumentata
concorrenza internazionale, ovviamente nei settori più direttamente esposti a questa.
E’ però ormai chiaro che nel nuovo scenario globale la competizione di prezzo è una
strategia perdente. L’uso del sommerso rappresenta dunque un segnale di attenzione, perché
indicatore della debolezza di imprese che hanno difficoltà a competere nel mercato,
rispettando le regole ed accollandosi i costi conseguenti. Ecco perché è necessario un
controllo continuo dell’evoluzione del sommerso, soprattutto nei settori produttivi più
sensibili alla concorrenza, anche in una regione come la Toscana dove il problema in
termini assoluti non ha connotati drammatici. Se ad esempio si rilevasse un aumento del
sommerso nei settori più esposti alla concorrenza, ciò può indicare che c’è una situazione di
sofferenza crescente a cui si risponde con strategie di breve respiro, a cui si dovrebbe porre
rimedio mediante più incisive politiche per l’innovazione: il sommerso è un indicatore in
grado di rivelare aspetti importanti del funzionamento del sistema produttivo e quindi
importanti per impostare una corretta politica industriale.
Per trovare una chiave di lettura unitaria e ragionare intorno a possibili interventi
correttivi, è utile fare riferimento all’idea di sostituibilità tra lavoro sommerso e lavoro
regolare: le imprese scelgono di sostituire lavoratori sommersi a lavoratori regolari (e
viceversa) fino a quando è per loro conveniente operare tale sostituzione. La sostituibilità
dipende dalla produttività dei due tipi di lavoratori, che rimanda ad un generalizzato
problema di integrabilità organizzativa del lavoro sommerso all’interno dell’impresa. I
risultati presentati in questo lavoro non sono in contrasto con l’idea che il grado di
sostituibilità tra lavoro sommerso e lavoro regolare sia differenziato settorialmente: ci sono
alcuni settori, come quelli caratterizzati da economie di scala, in cui è tecnicamente assai
difficile sostituire lavoro regolare con lavoro sommerso, ed altri in cui la sostituzione
avviene in modo molto più semplice, come accade per esempio in molti comparti del
terziario. Anche la dimensione d’impresa ha un ruolo rilevante nel determinare il grado di
sostituibilità tra i due tipi di lavoro: le imprese più grandi hanno maggiore difficoltà a
utilizzare lavoro sommerso -anche se questo non esclude che possano beneficiare del
sommerso che si annida nelle maglie dei loro sistemi di subfornitura-. L’impressione
49
complessiva è che i lavoratori sommersi abbiano una produttività inferiore a quella dei
lavoratori regolari. Oltre al problema di integrabilità tecnologica, si deve tenere conto del
fatto che per le imprese è più difficile utilizzare nei confronti dei lavoratori sommersi
strumenti efficaci di incentivazione della produttività; che i lavoratori disponibili nel
mercato del lavoro sommerso sono probabilmente dotati di minore capitale umano generale
o specifico; che, infine, è più difficile integrarli nei programmi di formazione delle imprese.
Dunque, la sostituzione di lavoro regolare con lavoro sommerso avviene se è
economicamente vantaggiosa. Questo pone un problema: perché in una regione come la
Toscana ed in una provincia come quella di Pisa la sostituzione non è completa? Perché se
è vantaggioso sostituire lavoro regolare con lavoro sommerso, le imprese non operano con
solo lavoratori sommersi, e diventano loro stesse imprese sommerse, come avviene spesso
nelle regioni meridionali?
Una prima ragione è che una impresa che utilizza solo lavoro sommerso ha difficoltà
di accesso al mercato legale dei beni che produce. Possiamo perciò pensare ad un limite di
legalità oltre il quale l’impresa, se vuole operare nel mercato legale dei beni (e non nel
mercato criminale), non può più sostituire lavoro sommerso a lavoro regolare. Se questo
limite di legalità è “alto” o “basso” dipende da molti fattori diversi, tra cui la cornice
istituzionale che determina le modalità dello scambio nel mercato legale dei beni; e da
regole convenzionali che determinano una quota socialmente accettabile di “sommersione”.
La possibilità di sostituire lavoratori regolari con lavoratori sommersi è limitata cioè dalla
condivisione, in particolari contesti, di regole di comportamento per le imprese tali da
definire un livello di sommersione del fattore lavoro “socialmente accettato”.
Una prima linea di policy riguarda dunque interventi in grado di modificare la soglia
di legalità. Il problema è che non abbiamo idee molto precise sulle modalità della sua
formazione. Per esempio: una estesa e prolungata campagna di ispezioni ha il potere di
modificare la soglia di legalità? E ancora, provvedimenti legislativi di sanatoria dei
comportamenti illeciti pregressi tendono ad abbassare la soglia di legalità?
50
E’ comunque possibile svolgere alcune considerazioni sulla connessione tra lavoro
sommerso e contratti atipici,15 che sono di particolare interesse per la provincia di Pisa,
dove abbiamo visto che l’uso improprio dei contratti atipici permette l’inserimento di
prestazioni lavorative di fatto stabili nel processo produttivo, senza passare per lo schema
più vincolante del contratto subordinato. La conseguenza è che le parti, in via di principio,
hanno soltanto i diritti e i doveri previsti dal contratto individuale, mentre nella sostanza si
trovano in una zona grigia, dalla definizione incerta. La diffusione dei contratti atipici ha
favorito la creazione di un ampio mercato del lavoro di difficile identificazione, a metà
strada tra l’atipico, il sommerso ed il legale, alimentato dalle esigenze di flessibilità delle
imprese e che si sostanzia nel loro uso (in vari gradi) improprio. Il punto centrale, anche per
gli interventi di policy, è capire quali sono le cause di questa domanda crescente di contratti
flessibili; e se sia sufficiente soddisfarla modificando le tipologie contrattuali disponibili
per imprese e lavoratori; o se, piuttosto, l’introduzione di nuovi contratti ha solo l’effetto di
spostare la frontiera della loro elusione un po’ più avanti, di abbassare la soglia di legalità,
spingendo le imprese ed i loro consulenti a escogitare nuovi metodi per sommergere,
almeno parzialmente, questi lavoratori.
Dall’idea di sostituibilità deriva un altro elemento rilevante per le policy che è quello
di utilizzare strumenti per migliorare la produttività dei lavoratori regolari, e mettere a
punto interventi mirati a rendere difficoltosa l’integrazione del lavoro sommerso all’interno
delle imprese. Per innalzare la produttività dei lavoratori regolari si può pensare all’utilità
di interventi di formazione sia generale che specifica svolti sul posto di lavoro (on the job
training). Tali modalità formative pongono problemi non irrilevanti poiché si tratta di
conciliare le esigenze divergenti di imprese e lavoratori: per quanto riguarda la formazione
generale si tratta di accompagnarla con la predisposizione di strumenti che favoriscano
l’instaurarsi di rapporti di lavoro di lungo periodo, per evitare la fuoriuscita dall’impresa
15
Sembra opportuno precisare che il riferimento è alle prescrizioni legali previste dalla
“vecchia” normativa, e non anche alla legge 30/2003 e successivo decreto attuativo dei
51
dei lavoratori appena formati; per la formazione specifica è necessario evitare che siano le
sole imprese a trarre beneficio dalla maggiore produttività dei lavoratori, predisponendo
strumenti di incentivazione in grado di premiare questi ultimi.
Per quanto riguarda gli interventi per aumentare le difficoltà di integrazione del
lavoro sommerso nell’impresa, lo strumento principale è l’attività ispettiva. Da questo
punto di vista essa deve essere mirata non tanto all’obiettivo di recuperare tasse e contributi
evasi, quanto a rendere difficoltosa l’interazione tra lavoratori regolari e sommersi. Il
risultato può essere raggiunto attraverso l’intensificazione di tale attività. Per ragioni di
costo, può accadere che l’intensificazione delle ispezioni si accompagni ad una loro minore
efficacia. Si deve tenere conto del fatto che aumentare il numero di ispezioni, ed aumentare
al contempo il numero di ispezioni fallite (ovvero quelle in cui non sono individuati
lavoratori sommersi) può comportare una sostanziale inefficacia dell’estensione dell’attività
ispettiva nel determinare un peggioramento della sostituibilità tra lavoro sommerso e
regolare.
Un ultimo punto riguarda il ruolo delle istituzioni locali non direttamente
responsabili delle attività di prevenzione e repressione. Alzare il livello di attenzione sul
sommerso, attraverso interventi pubblici mirati, attraverso la pubblicizzazione delle
iniziative di repressione e prevenzione, può forse aiutare ad innalzare la soglia di legalità
considerata socialmente accettabile.
quali, invece, non è ancora possibile valutare la sostanziale operatività, nonché le possibili
“strumentalizzazioni”.
52
Appendice:
i questionari
53
TRACCIA DI INTERVISTA APERTA PER I COLLOQUI CON I RESPONSABILI DEGLI ENTI
(Direzione Provinciale del Lavoro, Commissione di Conciliazione, Inps, INAIL, ASL e Guardia di Finanza)
1.
Sulla base di quale definizione classificate un’irregolarità come lavoro nero o
sommerso?
Quali sono le situazioni di irregolarità del rapporto lavorativo che non vi rientrano e
come sono eventualmente classificate?
2.
Quale tipo di intervento rientra nelle vostre competenze e in che modo operate la
scelta tra le richieste che ricevete?
Esiste una qualche forma di selezione delle priorità e, se sì, sulla base di quale criterio
generale o specifico (caratteristica territoriale, settoriale o di altra natura dei soggetti
richiedenti o delle imprese o aree coinvolte), viene effettuata la scelta?
3.
Quanti sono i funzionari addetti alle diverse attività di monitoraggio e di verifica delle
irregolarità?
Se ci sono, quanti sono incaricati del lavoro di ispezione e di verifica in esterno?
L’organico è sufficiente per le esigenze del territorio?
Quante ispezioni o pratiche effettuano a testa in media all’anno?
4.
Qual è la procedura tipica per la verifica e l’istruttoria d’ufficio – amministrativa o di
altro genere – o per l’ispezione (nel caso dell’Ispettorato lo schema proposto è:
richiesta - visita - accertamento - verifica su materiale - esito – sanzione/ulteriore
visita)?
5.
Quali sono i tipi di verifiche effettuate dai funzionari a livello di indagine
amministrativa e degli (eventuali) ispettori durante le ispezioni?
Comprendono anche lo studio dei bilanci e della contabilità delle imprese?
Quali sono i primi accertamenti che vengono attivati in caso di richiesta di intervento
per lavoro sommerso?
Ci sono vincoli operativi che le norme impongono alle diverse attività di ispezione e
che gli ispettori considerano di ostacolo all’accertamento delle irregolarità?
6.
Esiste un sistema di coordinamento o forme di collaborazione stabili e concordate con
altri enti preposti al controllo del rispetto della normativa sul lavoro?
Quali sono i meccanismi del loro funzionamento?
Quali problemi hanno finora incontrato?
Quali sono i risultati finora raggiunti?
7.
In quali casi scatta la verifica amministrativa o l’ispezione congiunta e in che modo?
54
La collaborazione è limitata alla fase ispettiva in senso stretto (per esempio la visita e
la raccolta dei dati nella contabilità e nei vari documenti attestanti le attività
dell’impresa) o si estende anche ad eventuali indagini successive e/o alle procedure di
accertamento di ufficio (analisi dei materiali raccolti, ulteriore raccolta di
informazioni da altre fonti, scambio di informazioni)?
(In particolare per Ispettorato, ASL e Inps) Quali tipi di verifiche vengono effettuate
nel caso delle rivisite per lavoro sommerso?
(In particolare per Ispettorato e Inps) Quali sono le sanzioni comminate nel caso di
lavoro nero accertato?
8.
Vi sono settori e/o specifiche strutture d’imprese (piccole/grandi, lavorazioni conto
terzi, a domicilio, cantieri o altro) e/o aree in cui registrate una maggiore richiesta di
intervento?
9.
Vi sono settori e/o specifiche strutture d’imprese (piccole/grandi, lavorazioni conto
terzi, a domicilio, cantieri o altro) e/o aree in cui accertate una maggiore presenza di
lavoro sommerso?
10. Quali sono le difficoltà che incontrate nell’accertare questo tipo di irregolarità?
11. Vi sono caratteristiche dei lavoratori che più facilmente si associano con la presenza
di lavoro sommerso (donne, extracomunitari, pensionati, “doppiolavoristi”,
disoccupati, cassaintegrati, alto)?
12. Vi sono caratteristiche dei rapporti lavorativi (contratti fittizi, rapporti a termine,
apprendistato, contratti di formazione, collaborazioni occasionali, lavoro autonomo)
che più si associano con la presenza di lavoro sommerso?
In particolare, quale tipo di verifica e quale tipo di risultati avete finora realizzato nei
casi di lavoro autonomo fittizio, come i rapporti di lavoro coordinato e continuativo, le
collaborazioni occasionali e tutte quelle forme di lavoro autonomo che mascherano
rapporti di lavoro dipendente?
13. Vi sono caratteristiche degli impieghi (lavoro stagionale, a domicilio, impieghi
professionali, ad alta specializzazione e a bassa specializzazione) che più facilmente si
associano alla presenza di lavoro sommerso?
14. Vi sono particolari forme di lavoro sommerso che risultano particolarmente diffuse
nella provincia pisana?
15. Vi sono particolari forme di lavoro sommerso che risultano più difficili da verificare e
da provare in vista della sanzione?
55
16. Quali sono le forme di finanziamento che le imprese utilizzano per il lavoro
sommerso?
Si presentano particolari difficoltà nell’accertamento di questo aspetto del problema?
56
TRACCIA DI INTERVISTA APERTA PER I COLLOQUI CON I RESPONSABILI SINDACALI
Parte A. Notizie di base sull’intervistato
A1. Nome e cognome
A2. Ente di appartenenza
A3. Funzione svolta
Parte B. Settori e imprese
B1. In quali settori ritiene che vi sia una maggiore presenza di sommerso?
Agricoltura
Industria
Servizi: piccola/grande distribuzione, pubblici esercizi, servizi alle famiglie,
studi professionali, credito e assicurazioni, altro.
In alternativa:
Nel settore in cui opera vi è una presenza significativa di lavoro sommerso?
Può offrire qualche stima approssimativa della stima del fenomeno?
B2. Caratteristiche delle imprese che più ricorrono al lavoro sommerso:
piccole imprese: manifatturiere con prodotto proprio, manifatturiere
subfornitrici, artigiani, studi professionali, piccola/grande distribuzione;
medio grandi imprese;
altro servizi alla persona colf, badanti.
B3. Frequenza del ricorso al lavoro sommerso:
permanente
stagionale
periodico
saltuaria
B4. Rapporto con le istituzioni:
impresa del tutto irregolare
impresa regolarmente iscritta
B5. Modalità di finanziamento del sommerso:
alterazione della contabilità in entrata ed in uscita per la creazione di fondi ad hoc;
mancata registrazione di attività (fatturazione per la creazione di fondi ad hoc);
57
pagamenti effettuati attraverso conto corrente intestato a privato (titolare);
pagamento in contanti con fondi privati;
altro.
Parte C. Il rapporto di lavoro irregolare
C1. Caratteristiche del rapporto di lavoro irregolare:
assenza di contratto e retribuzione del tutto sommersa;
sottodichiarazione di orario di lavoro con o senza sottodichiarazione della
remunerazione percepita;
sottodichiarazione di giornate lavorative con o senza sottodichiarazione della
remunerazione percepita;
sottodichiarazione della funzione svolta con o senza sottodichiarazione della
remunerazione percepita;
sottodichiarazione della remunerazione percepita;
prestazioni extracontrattuali;
altro non riconoscimento di ferie, permessi, ore di straordinario (in sede di
conciliazione recupero del salario).
C2. Rapporto con le istituzioni:
registrazione parziale
registrazione assente
evasione contributi Inps
evasione contributi INAIL
evasione fiscalità generale
C3. Caratteristiche del lavoratore:
straniero privo del permesso di soggiorno;
straniero con permesso di soggiorno;
irregolare totale (incluso doppio lavoro con irregolarità incompleta);
doppio lavoro con primo regolare;
disoccupato in cerca di lavoro con ore di lavoro;
inattivo: pensionato (ex-dipendente, casalinga, studente);
irregolare transitorio: apprendista in attesa di regolarizzazione, lavoratore in prova;
cassaintegrati;
lavoratori in mobilità.
C4. Caratteristiche organizzative rilevanti delle prestazioni irregolari:
prestazione svolta a domicilio;
prestazione caratterizzata da elevata flessibilità di orario;
58
prestazione caratterizzata da elevata variabilità del luogo di lavoro;
prestazione caratterizzata da elevata frammentazioni organizzative (subappalto);
prestazione caratterizzata da elevata specializzazione professionale.
C5. Livello delle competenze necessarie alla prestazione lavorativa:
elevato livello di specializzazione settoriale;
basso livello di specializzazione settoriale;
elevato livello di competenze di tipo generale;
basso livello di competenze di tipo generale.
C6. Livello della retribuzione percepita al nero:
retribuzione oraria di fatto inferiore a quella regolare netta, con perdita in termini
contributivi e salariali;
retribuzione oraria di fatto pari a quella regolare netta, con perdita parziale solo in
termini solo contributivi;
retribuzione oraria di fatto superiore a quella regolare netta, con possibilità di
compensazione delle perdite in termini contributivi;
retribuzione a nero ad integrazione (permanente, periodica, saltuaria) della paga
regolare;
retribuzione a nero come unica forma di retribuzione.
C7. Valutazioni di carattere generale che l’intervistato, sulla base della sua specifica
esperienza, vuole aggiungere.
59