Urbanistica, Trasporti, Pianificazione Territoriale in un`ottica di genere

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Urbanistica, Trasporti, Pianificazione Territoriale in un`ottica di genere
Pari Opportunità
Urbanistica, Trasporti, Pianificazione Territoriale in un’ottica di genere
Dossier sui principali approcci alla questione e le esperienze maggiormente significative
A cura del Centro Risorse Donne
Assessorato alle Pari Opportunità
Provincia di Venezia
Cà Corner, San Marco 2662
30124 VENEZIA
TELEFONO +39 041 2501618/22/30 - FAX +39 041 2501653
E-MAIL [email protected]
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Prefazione
Territori e mobilità di genere: nuovi ambiti di lavoro per l’Assessorato Pari Opportunità
Sin dall’assunzione del mio mandato come Assessora alle Pari opportunità e insieme all’Urbanistica, ai
Trasporti ed alla Pianificazione Territoriale, ho deciso di percorrere la strada, non facile ma stimolante,
dell’integrazione di queste due aree di politiche, solo apparentemente distanti.
Come già ho avuto modo di chiarire in diverse occasioni pubbliche, ho una visione delle politiche di
pari opportunità che le immagina oltrepassare i confini nei quali sono state fino ad oggi contenute per
applicare gli sguardi delle donne, le metodologie analitiche e di intervento maturate nell’ambito delle
politiche e degli studi di genere anche in settori che tradizionalmente sono gestiti con sguardo neutro
e/o maschile.
Nient’altro che la traduzione in pratica dello slogan del “mainstreaming” di genere o del cosiddetto
“gender auditing” che consiste nel valutare l’impatto delle politiche a 360° gradi in maniera differenziata
per la popolazione maschile e femminile, riprogettandole di conseguenza.
Per pensare alle città, ai territori, alla pianificazione ed ai trasporti con questo sguardo nuovo, possiamo
fare affidamento su riflessioni e pratiche messe a punto soprattutto da donne nel corso degli ultimi
anni: a quanto già fatto ed elaborato da altre altrove, in Italia e all’estero abbiamo guardato prima di
iniziare il nostro percorso. Da qui il dossier che dà origine al numero tematico della nostra newsletter e
che e vogliamo condividere con quante/i siano interessate ad approfondire il tema, in particolare con
le amministratrici dei Comuni che hanno intrapreso il percorso di definizione dei PAT, Piani di Assetto
Territoriale, nella speranza che possa essere di spunto ad azioni concrete.
Nel frattempo abbiamo delineato quello che sarà il percorso di azione della Provincia di Venezia nato
già dalla collaborazione dei due Settori, Urbanistica e Trasporti e Pari Opportunità con l’Ufficio del
Centro Risorse Donne. Stiamo lavorando su tre direttrici che svilupperemo nell’anno in corso:
Integrazione di indicatori sensibili rispetto al genere nelle rilevazioni statistiche dell’Ufficio
Trasporti e Mobility Manager e nel monitoraggio dei processi di partecipazione al PTCP (Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale).
Progettazione, comunicazione e lancio di un servizio di “Taxi Rosa” per le donne del nostro
territorio provinciale che offrirà a tutte agevolazioni e sconti sulla base di una card specifica per
l’utilizzo di taxi nelle ore serali/notturne.
Realizzazione, con il Comune di Portogruaro, di un percorso di progettazione partecipata con le
donne della città per fare emergere bisogni e desideri che possano essere tradotti nel Piano
locale di Assetto Territoriale e trasformati in vere e proprie progettualità prese in carico
dall’Amministrazione Comunale.
Vi terremo aggiornate sugli sviluppi delle nostre iniziative e vi chiediamo di continuare a comunicarci
quanto da parte vostra andate realizzando,
Buon lavoro a tutte/i !
Enza Vio
Assessora alle Pari Opportunità, Urbanistica, Trasporti e Pianificazione Territoriale
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Introduzione
Da una ricognizione ed un approfondimento tematico apprendiamo che l’urbanistica e la geografia di
genere sono discipline che hanno ottenuto un riconoscimento accademico già dagli anni ’80, per lo
meno in alcuni paesi, dagli Usa alla Germania. In parallelo anche i progetti e le sperimentazioni sul tema
hanno iniziato a svilupparsi
Come in tutto l’ambito degli studi di genere è ormai acquisito (non ancora dalle politiche) che parlare di
donne come di un gruppo omogeneo caratterizzato da bisogni ed interessi simili non può dare conto
della complessità della realtà femminile e per tanto la categoria del genere va intrecciata costantemente
con quelle di classe sociale, età, differenza culturale, di orientamento sessuale etc.
Questo approccio incontra le metodologie di progettazione ‘target oriented’ più avanzate, attente alla
specificità dei bisogni delle diverse fasce di popolazione, sensibile alle differenze in generale e, tra
queste, a quella di genere. La cornice teorico politica in cui si situano i contributi delle donne è per lo
più, ovviamente con differenze e sfumature anche consistenti tra le posizioni, quella della ricerca di
nuovi modelli di sostenibilità ambientale e sociale del territorio.
Anche sul piano delle politiche internazionali in sede ONU le donne sono riuscite a far sì che
nell’ambito di Habitat (Programma UN sugli insediamenti umani), in particolare in occasione della
conferenza Habitat II ad Istanbul nel 1996, uno dei temi prioritari fosse sul tema “Genere e l’Agenda
Habitat: introdurre un approccio di genere in tema di insediamenti umani”. Il documento politico
rivolto ai governi nazionali insisteva sia sull’obiettivo di combattere la povertà, condizione nella quale le
donne sono sovra rappresentate e che mina ogni progettualità su insediamenti umani sostenibili, sia sul
tema della partecipazione delle donne nella pianificazione e nei processi decisionali relativi al territorio.
Allo stato attuale nelle politiche della Commissione Europea che più si avvicinano al tema in questione
non sono ancora stati inseriti in modo sistematico indicatori di genere né viene promossa una politica di
mainstreaming del principio di pari opportunità. Alcuni cenni ai bisogni donne sono riportati nei
documenti e nei programmi di intervento del DG Energia e Trasporti per una mobilità pianificata
secondo i bisogni dei target specifici di utenza, in cui si includono tra i soggetti “a ridotta mobilità le
persone con bambini nei passeggini”, senza però esplicitare che nella stragrande maggioranza dei casi si
tratta di donne. Ad una prima analisi, nel Libro Bianco sulla Politica Europea dei Trasporti (2001) e nei
documenti successivi di aggiornamento, non risulta essere contenuto nessun riferimento alle donne e/o
ad indicatori di genere, anche se ad esempio programmi e linee di finanziamento come URBAN e
INTERREG hanno consentito di mettere in atto progetti nei quali la prospettiva di genere è stata
talvolta centrale, più spesso integrata trasversalmente. Ci si può ragionevolmente aspettare che dal
piano progettuale-sperimentale delle buone pratiche le istituzioni europee traggano indicazioni per riorientare le politiche e che quindi, nel prossimo futuro, anche questa area di policy si contaminerà con
l’approccio delle pari opportunità, come è da più tempo avvenuto per le Politiche per l’Impiego e
l’Inclusione Sociale e, più di recente, per quelle della Ricerca Scientifico Tecnologica.
Ritornando alle singole progettualità nazionali-locali la presente indagine, realizzata soprattutto
attraverso fonti web e solo in parte tramite ricerca bibliografica, ha reso possibile osservare come le
linee d’azione e gli ambiti di intervento specifici verso le quali più di frequente ci si orienta per integrare
i bisogni e le prospettive delle donne nella Pianificazione Territoriale ed Urbanistica siano suddivisibili
in 4 aree tematiche, spesso intrecciate tra loro:
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Trasporti
Sicurezza
Pianificazione dei tempi e degli orari delle città
Edilizia- accessibilità spazi e luoghi
Pianificazione urbana e territoriale
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Trasporti
Un approccio di genere alle questioni della mobilità e dei trasporti in generale mostra alcuni assunti
impliciti nella pianificazione delle infrastrutture, assunti che prendono come punto di partenza un
utente- cittadino maschio, occupato full time, con specifici modelli di mobilità legati al lavoro. In
esperienze di pianificazione territoriale straniere in cui le donne hanno avviato processi di lettura di
genere, come nel caso della Regione della Ruhr in Germania, è emerso come spesso le donne
rispondano a stili di mobilità differenti da quelli maschili, emergendo il modello della “città a
tragitti brevi”: spesso impiegate in lavori part time e con impegni collegati al lavoro di cura dei figli e
dei parenti anziani, per le donne non sempre il modello basato sull’equazione mobilità = velocità x
distanza” e la priorità attribuita alla costruzione di autostrade o infrastrutture per treni ad alta velocità
non risulta un approccio in grado di rispondere alle esigenze di mobilità del quotidiano1. La mobilità per
le donne si configura spesso come “fenomeno abitativo”, dove brevi tragitti vengono percorsi
ripetutamente durante il giorno (casa-servizi di cura -lavoro-casa- servizi di cura-servizi vari). Le donne
inoltre costituiscono di solito la maggioranza degli utenti dei trasporti pubblici.
E’ bene osservare che questo tipo di fenomeno è in parte contrastato dalla localizzazione periurbana
che aumenta il bisogno di mobilità e fa aumentare la distanza degli spostamenti per ragioni di vita
quotidiana anche per le donne che lavorano e che hanno carichi di cura.
Ad ogni modo si rileva come i bisogni delle donne ben si sposino con l’esigenza contemporanea e
generale di un sistema di trasporto pubblico flessibile, confortevole, comodo nella salita e affidabile
negli orari di passaggio alle soste, e di aree di attesa dei trasporti collettivi sicure e confortevoli.
Come recita ad esempio il piano dei tempi e degli orari della Città di Bolzano, emerge il “bisogno
di nuove forme di trasporto collettivo come i bus a chiamata per il trasporto in ore serali anche di
persone anziane, giovani, donne che richiedono particolari condizioni di sicurezza e confort”.
Anche in questo ambito spesso la ‘misura di genere’ viene trovata nella maternità e nel ruolo di caregiver che caratterizza le donne e misure a favore della mobilità di ‘persone’ con bambini o degli stessi
bambini finiscono con avere un forte impatto sulla vita delle donne.
Tra i casi internazionali più interessanti in proposito si rileva l’esperienza della Città di Pamplona
(1998-2000), che ha stimolato la partecipazione delle donne nella progettazione e pianificazione
del sistema di trasporto pubblico regionale. A partire da una ricerca e dall’attivazione di un
processo partecipativo, si è formalizzata una Dichiarazione al Piano Regionale dei Trasporti consistente
in 57 misure divise in 6 sezioni: quartieri residenziali, Linee del Servizio di Trasporto Pubblico e Strade,
Frequenza, Design degli autobus e delle fermate degli autobus, sistemi di pagamento e attitudini
organizzative. 21 delle 57 misure indicate dalle donne sono state incluse nel Piano Regionale
soprattutto in relazione alle linee ed alle strade, alla frequenza e sistemi di pagamento, migliorando
considerevolmente la qualità del sistema. In misura parziale sono state incluse 2 misure di cui una sul
miglioramento del design degli autobus (solo in caso di nuove acquisizioni) e l’altra per autorizzare
l’accesso ai bus da parte di persone con zaini, carrelli per la spesa e passeggini pur senza risolvere i
relativi problemi d spazio e di sicurezza. Nel parcheggi rosa medio termine sono state dichiarate fattibili
altre proposte avanzate dalle donne quali l’istituzione di linee veloci, la creazione di una fermata al
Cimitero, annunci verbali sulle fermate all’interno degli autobus, nuovo e diverso design dei segnaposto;
introduzione di indicatori di qualità con un sistema di penalizzazione/premio finalizzato a migliorare
atteggiamenti e modi dei conducenti d’autobus. Il risultato più interessante del progetto, che si è
avvalso in parte della collaborazione con il Gruppo Donne e Pianificazione Urbanistica dell’Università
di Madrid, consiste nell’integrazione della prospettiva di genere nei documenti di programmazione
regionale e, in seguito, nella progettazione dei progetti Agenda 21 Locale.
In alcune città italiane come Aosta, Jesolo, Cantù, Rovigo, Parma, Trani e Barletta, il mainstreaming
di genere nel settore dei trasporti è avvenuto attraverso la creazione di ‘parcheggi rosa”: si è operato
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Christhine Bauhardt, “Urban Development and Transportation Infrastructures: insights from the Ruhr Region”,
Atti dell’edizione 2004 della International Summer Academy in Technology Studies, Gratz.
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con modalità diverse per rivolgere ai/alle cittadine un invito non prescrittivo a lasciare liberi posti auto
in aree appositamente segnalate di norma vicino ad ospedali, consultori, servizi pubblici, o concedere
alle donne in gravidanza o con bambini piccoli di ricevere una tessera per usufruire di parcheggio
gratuito in aree specifiche per un’ora. A Jesolo i parcheggi riservati sono stati estesi a donne sole alla
guida e ad anziani, sono maggiormente illuminati e collocati vicino alle entrate dei servizi. In alcuni
casi, come a Parma gli interventi sono stati preceduti da inchieste o ricerche vere e proprie. Il
Comune di Parma ha proposto e realizzato “Dinamica Donna” –un’ indagine sulla mobilità della
popolazione femminile nell’area urbana di Parma - per conoscere in dettaglio lo stile e le domande
di mobilità delle donne e studiare le soluzioni più adatte. I dati raccolti da 6.000 questionari hanno
messo in evidenza come un quarto delle intervistate non usi mai l'auto e preferisca spostarsi a piedi, in
bicicletta o con i mezzi pubblici anche se una buona fetta della restante parte sembra costretta ad
utilizzare l'auto soprattutto per cause di “forza maggiore”. Un po’ sulla falsariga delle ricerche-azione di
altri paesi d’Europa, l'indagine indica infatti che le donne si spostano in città durante l'arco dell'intera
giornata e non soltanto in occasione dei classici picchi di traffico che segnano l'ingresso e l'uscita dal
lavoro in orario d'ufficio. Le donne, inoltre, compiono spostamenti più brevi e locali rispetto agli
uomini e nella maggioranza dei casi gli spostamenti sono composti da tappe intermedie: portare i figli a
scuola, fare la spesa, accompagnare parenti, andare al lavoro.
Se la maggioranza delle donne
intervistate conosce bene il sistema di trasporto pubblico ha affermato anche, a patto che ci siano le
condizioni per farlo, di essere disposta ad abbandonare l'auto a favore di altri mezzi di spostamento.
Le soluzioni che nel 2002, a ricerca appena pubblicata, il Comune ipotizzava di poter realizzare
riguardavano: un servizio pubblico capillare di accompagnamento dei bambini a scuola o di car pooling,
piste ciclabili sicure e che percorressero tutta la città, parcheggi facili per le biciclette, autobus frequenti
e biglietti che permettessero percorsi più lunghi di un'ora, infine la possibilità di scegliere che mezzo
usare quel giorno per quell'occasione, bici elettriche per le commissioni più semplici, car sharing per
andare a fare la spesa (avendo rilevato che il 36% delle donne intervistate effettuava soste per la spesa e
il 31% per le commissioni).
Esperienze locali sono state sviluppate, oltre al caso appena citato di Jesolo, anche nel territorio della
Provincia di Venezia: l’iniziativa PEDIBUS del Comune di Mira, che consiste nell’organizzazione di
itinerari sicuri per il tragitto di gruppi di bambini da scuola a casa (guidati da 2 adulti volontari), ha
rappresentato per molte donne-madri lavoratici la possibilità di ottimizzare i tempi dei propri
spostamenti consentendo al contempo ai bambini di passeggiare verso scuola in compagnia.
L’esperienza è stata inserita all’interno del Progetto Piano Comunale dei Tempi e degli Orari, finanziato
a bando dalla Regione Veneto (si veda paragrafo sui tempi). Un progetto analogo per la realizzazione di
percorsi pedonali in sicurezza verso le scuole è stato sperimentato dal Comune di Portogruaro.
Sicurezza
“Le donne, che non avevano ricevuto attenzione specifica all’interno degli studi sulla sicurezza,
assumono a partire dagli anni Novanta un ruolo di grande rilievo. Questo perché da un lato il mondo
femminile, molto sensibile alla questione, è dinamico e organizzato e promuove azioni e ricerche,
dall’altro perché la sensibilità delle donne rispetto alla sicurezza è utilizzabile come parametro
sulla sicurezza della città per tutti i segmenti più fragili della popolazione. Il carattere e la qualità
di questi manuali sono molto diversi. La loro redazione è una risposta pragmatica e immediata ad un
problema fortemente sentito dagli abitanti delle città. Si prefiggono di contribuire a risolvere alcuni
problemi urgenti “subito”. In questo risiede il loro interesse, ma proprio l’immediatezza dell’azione”
(testo tratto dal documento di presentazione del Laboratorio di Ricerca “Qualità Urbana e Sicurezza”
del Politecnico di Milano).
Nell’ultimo decennio proprio attorno alla sicurezza dello spazio pubblico si concentrano diversi
approcci di intervento che si prestano e sono permeati da approcci teorico-politici diversi che
posizionano vittime e attentatori in relazioni differenti partendo anche da idee di cittadinanza dissimili.
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Per una rassegna sintetica del dibattito è utile rifarsi agli studi di Tamar Pitch (“Sono possibili
politiche democratiche sulla sicurezza?”, in Rassegna Italiana di Sociologia, XLII, n°1, gennaiomarzo 2001), docente di Sociologia del Diritto all’Università di Camerino, esperta dei rapporti tra
genere e diritto.
Per Pitch le politiche sicuritarie “mostrano l’impotenza e il ritiro della politica dal governo delle
grandi trasformazioni in atto, per un altro verso sono segnali e produttrici dell’ulteriore
restringimento e impoverimento della sfera pubblica: le azioni collettive dal basso cui danno luogo
(i comitati di cittadini, le ronde, le manifestazioni contro prostituzione e migranti, ecc.) sono non solo
temporanee e puntuali, ma private e privatistiche, dirette alla costruzione, al massimo, di «comunità di
complici», tenute insieme soltanto dall’individuazione di un nemico. Certamente, la declinazione più
evidente è quella privata e privatizzante: non solo nel senso che alla propria sicurezza ci devono pensare
in primo luogo i cittadini stessi, ma che l’accezione di cittadino utilizzata è quella prima descritta, ciò
che taglia fuori una buona fetta degli abitanti della città (poveri, barboni, tossici, prostitute e migranti) e
li costruisce come le minacce principali di questa sicurezza.”
Con un excursus nella storia recente delle discipline criminologiche e delle politiche sulla sicurezza negli
ultimi 30 anni, l’autrice fa notare come dopo gli anni ‘70 il focus si sposti dai criminali come espressione
di disagio e ineguaglianze sociali alle vittime: “Il fuoco sulle vittime è ciò che orienta le ricerche sul
rischio di vittimizzazione e sulla paura della criminalità, architravi scientifiche dei discorsi sulla sicurezza
urbana. Molti studiosi della criminalità post-critici (…) dichiaratamente democratici, condividono
dunque una serie di assunti, così riassumibili: le paure della gente vanno prese sul serio, sono appunto
un fatto, non importa se giustificato o no da tassi di criminalità urbana crescenti, pena lasciare queste
preoccupazioni alla gestione di forze conservatrici, che le piegheranno in senso repressivo e
neoautoritario.”
Anche gli approcci femministi al problema, rileva Pitch, sono permeati dal paradigma della
vittimizzazione, intesa non più necessariamente come la condizione fattuale dell’aver subito aggressioni
o dipendente dal grado di percezione della paura ma allargando l’ambito alla condizione di
autolimitazione della propria libertà di movimento, attraverso quelle che vengono definite “routine di
evitamento dei rischi”, quotidianamente praticate dalle donne.
Tuttavia l’approccio di genere alla tematica getta nuova luce sull’intera materia, avendo ormai numerose
ricerche confermato documentato come “per metà della popolazione rischi di vittimizzazione e
insicurezza sono collegati a eventi e situazioni privati, piuttosto che pubblici, ad opera di conosciuti,
piuttosto che di sconosciuti, dentro le protette mura di casa o nei luoghi di lavoro e a scuola, e che
fanno riferimento ad una situazione di complessiva maggiore debolezza delle donne, nel senso che esse
hanno minori disponibilità di risorse sociali, economiche e culturali”.
Se i tentativi di rispondere alla paura ed alla sensazione di insicurezza dei cittadini da parte soprattutto
delle amministrazioni locali prendono sul serio in quanto tentativi di definire la sicurezza come diritto di
cittadinanza, la riflessione di Pitch invita a non mettere le politiche di intervento al servizio di
retoriche discorsive finalizzate ad identificare ‘nemici sociali’, categorie di ‘altri’ dal cittadino
normale che spesso occultano proprio la dimensione sessuata della paura e della percezione di pericolo
delle donne, per le quali come mostrano le diverse ricerche citate dall’autrice, “lo straniero non è
soltanto chi è diverso per etnia, cultura o stile di vita, ma qualsiasi uomo.”
“Se c’è un deficit di fiducia generalizzato nelle nostre società, questo deficit è più grave per le donne. La
loro (nostra) situazione indica che ciò di cui abbiamo bisogno sono politiche produttrici di fiducia, tali
da mettere in grado noi (e tutti gli altri) di correre rischi. E queste politiche richiedono misure adeguate
di politica sociale, economica, culturale. (…) La fiducia è oggi risorsa molto scarsa, e molti dubitano che
la si possa produrre attraverso azioni (politiche) intenzionali. Tuttavia, è la risorsa indispensabile
all’intrapresa di azioni collettive dirette alla produzione di beni comuni. Ciò che la politica potrebbe, e
dovrebbe, fare, è creare le condizioni per la produzione di fiducia: creazione e distribuzione di risorse
economiche, e sociali, per mettere in grado tutti e tutte i correre rischi, di sperimentare, di innovare, di
sentirsi in controllo della propria situazione; fornire una cornice procedurale attendibile e eticamente
autorevole (Offe 1999) per l’autonomo attivarsi di gruppi e associazioni di cittadini, la collaborazione
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con i quali è utile e necessaria, a patto che ad essi si richieda un minimo di trasparenza organizzativa e
rappresentativa. (…). In un quadro di questo genere, interventi situazionali (migliore illuminazione,
diminuzione del traffico cittadino; pulizia di strade e quartieri; moltiplicazione di zone pedonali) e
interventi urbanistici mirati a sanare il degrado di molte zone sono non solo necessari ma assumono il
segno di indicatori della cura delle istituzioni per il bene pubblico”.
Quando si affronta il binomio donne-sicurezza le linee di intervento sono generalmente articolate in
interventi di carattere preventivo ed ambientale centrati sulla vulnerabilità femminile (intesa
pressoché esclusivamente come maggiore esposizione al rischio derivante da una condizione di
oggettiva debolezza, più che come effetto di una cultura ancora per molti versi patriarcale e in cui il
problema è rappresentato dal comportamento aggressivo maschile) ed in strumenti di protezione e
difesa la cui responsabilità è, in buona misura, affidata alle donne stesse. Vale la pena riportare, a sviluppo del
tema e per una ricognizione della tipologia di progetti messi in campo in Europa e in alcune città italiane, ampi
stralci dall’articolo di Rossella Selmini tratto dal "4° Rapporto annuale sui problemi della sicurezza in Emilia-
Romagna" del 2000 a fronte di una ricerca comparativa transnazionale finanziata dall’UE.
“A misure informative quali guide ai luoghi critici e ritenuti pericolosi della città a partire dalle
esperienze delle donne stesse, si accompagnano l'organizzazione di corsi di autodifesa, conferenze,
seminari, taxi per le donne ed altre misure di carattere dissuasivo rispetto alle molestie telefoniche e
sui mezzi di trasporto. Al di fuori della Gran Bretagna e dell'Olanda, questa tipologia di azione è assai
poco diffusa (…). La maggior parte dei programmi, se non quasi tutti, in Francia, Spagna e Italia
affronta il tema della sicurezza cittadina, dei rischio e della conflittualità urbana a partire dai tradizionali
comportamenti maschili ritenuti produttori di disordine e di devianza: la droga, la violenza giovanile, la
criminalità predatoria, le inciviltà, la piccola delinquenza. Rimane quasi sempre estranea alla
configurazione della sicurezza cittadina (…) l’elemento della libertà sessuale. Molto spesso la previsione
di misure per garantire maggiormente la sicurezza delle donne (…) sono appendici, corollari dei
programmi più generali sulla sicurezza. A volte si tratta di slogan lanciati dalle amministrazioni, di cui
poi non si trova traccia nella realizzazione dei progetti (si pensi alle iniziative dei taxi rosa e ci si
interroghi su quanti siano effettivamente in funzione nelle città italiane). Va segnalata qui una
particolarità del caso francese, dove la sicurezza delle donne, come si è più volte detto, non occupa
quasi alcuno spazio né nella ricerca né negli interventi nazionali o locali, ma dove le donne stesse
tendono ad assumere un ruolo come soggetti centrali nella gestione di alcuni interventi
all'interno di progetti per la sicurezza. Le donne emergono qui non come categoria specifica di
vittime, ma piuttosto per la loro supposta abilità nel gestire conflitti e forme di mediazione.
Alcune compagnie di trasporti, per esempio, dopo aver notato una maggiore abilità delle donne di
fronte a situazioni di violenza e di conflitto, soprattutto sulle linee più difficili, stanno progettando
interventi specifici in questo senso. Le donne, quindi, nei progetti francesi assumono un ruolo
significativo come "femmes relais", come animatrici dei centri di assistenza e di volontariato, come
mediatrici culturali, come esperte nelle attività di "legami sociali". E sarebbe in effetti interessante
approfondire meglio il ruolo che le donne vanno assumendo nella miriade di nuove professioni che
stanno nascendo dalla diffusione dei programmi per la sicurezza. Pressoché soltanto in Gran Bretagna
troviamo una certa, recente, diffusione di interventi che potremmo definire fondati su una prospettiva
di genere, nei quali la sicurezza viene declinata come problema di violenza maschile. Si tratta
prevalentemente di misure sull'aggressività maschile, che vanno dalla prevenzione dei bullismo e
della violenza tra i giovani maschi, dell'alcolismo, alla organizzazione di gruppi di auto-aiuto per
uomini violenti: interventi che, negli altri paesi, sono ancora limitati all'ambito della riflessione teorica
di alcune studiose/i e di gruppi o associazioni di donne. (…) Una seconda prospettiva ridimensiona
invece gli interventi a misure, sempre di tipo ambientale, ma meno globali e più mirati alla prevenzione
di specifici eventi. Il primo orientamento è molto diffuso in Germania, dove pure è molto forte il
ruolo delle associazioni di donne nel progettare e guidare tali interventi, anche grazie alla
costituzione, nel 1981, della FOPA (Organizzazione Femminista di Pianificatrici ed Architette). Il
percorso seguito nei paesi di lingua tedesca (…) è fortemente condizionato dallo sviluppo e dalle
caratteristiche tipiche dei movimenti delle donne di quei paesi, storicamente attenti a tematiche di tipo
ambientale e alla qualità della vita. La sicurezza dalla criminalità o la prevenzione della paura sono, qui,
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soltanto appendici di un discorso assai più ampio, a cui si arriva dopo una riflessione complessiva sulle
condizioni delle donne nelle città (e non, come vedremo in altri casi, con il percorso inverso e cioè
successivamente ad una riflessione sulla paura e sulla violenza). (…) Sia gli interventi che le riflessioni
sull'ambiente e la sicurezza hanno un carattere fortemente interdisciplinare con la partecipazione di
architetti e pianificatrici, di sociologhe e geografe, e solo in misura minore di giuriste e criminologhe.
Anche la riflessione sulla paura delle donne viene inserita nel contesto della analisi dello spazio: gli
Angst-Ráume, i luoghi della paura, sono qui definiti come quei luoghi, pubblici e privati, che fanno
insorgere nelle donne una sensazione di minaccia o di paura, e che presentano queste
caratteristiche: assenza di controlli formali e informali; luoghi monofunzionali, che in certe ore della
giornata sono deserti; luoghi in cui è difficile orientarsi e poco illuminati, con siepi e spazi nascosti”.
Piani degli orari e dei tempi, accessibilità dei servizi
Con il passaggio all’economia postfordista e le recenti trasformazioni del mercato e dell’organizzazione
del lavoro, cambiano radicalmente i tempi di lavoro e di vita di cittadini e cittadine e gli orari dei servizi
divengono un tema urbanistico. La struttura della ‘giornata sociale’ piuttosto omogenea e sincronizzata
in tempi distinti di vita e di lavoro si rivoluziona e cambiano i conseguenti modi di cittadini e cittadine
di fare uso della struttura spaziale della città. Inoltre in un’economia basata sui servizi, l'organizzazione
del tempo assume un ruolo cruciale poichè la produzione dei servizi coincide temporalmente con il
consumo degli stessi e le nuove tecnologie delle informazioni e delle comunicazioni tendono a ridurre
le distanze accelerando la percezione del tempo. In questo quadro si è iniziato a comprendere
l’importanza del coinvolgimento attivo dei governi locali nella gestione e nel coordinamento dei tempi
delle città, non più governabile, come avveniva un tempo, esclusivamente tramite accordi tra
organizzazioni sindacali e parti sociali. La legge nazionale che ha recepito e normato questa necessità è,
non a caso, una tra leggi chiave in materia di pari opportunità uomo-donna, la legge n° 53 del 2000
che oltre alla normativa sui congedi parentali di lavoratrici e lavoratori ed alla promozione della
flessibilità per la conciliazione vita lavoro nelle aziende, al suo Capo VI incentiva gli enti locali a
prevedere ed attuare Piani dei Tempi e degli Orari: in una concezione integrata del problema della
conciliazione vita lavoro il tema della gestione dei tempi è declinato sia in termini di diritti ai congedi
nei percorsi di cura delle singole persone, sia come questione organizzativa entro i contesti aziendali che
come questione che riguarda l’intera comunità locale nel coordinamento e nell’armonizzazione dei
tempi. Le politiche di coordinamento e gestione dei tempi urbani possono rappresentare un caso
emblematico in cui appare visibilmente come le esigenze di un migliore equilibrio tra vita lavorativa e
personale espresse e sentite dalle donne possano trasformarsi in politiche che vanno a vantaggio della
società nel suo insieme.
La Legge 53 istituisce il Piano degli Orari della Città e lo definisce come uno strumento
unitario per finalità ed indirizzi, articolato in progetti, anche sperimentali, relativi al funzionamento dei
diversi sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento. Il piano
territoriale degli orari dovrebbe, infatti, coordinare i tempi di funzionamento della città promuovendo
l'uso del tempo per fini di solidarietà sociale. Secondo la stessa legge, il sindaco dei comuni con
popolazione superiore a 30.000 abitanti è tenuto ad individuare un responsabile cui è assegnata la
competenza in materia di tempi ed orari ed elaborare un piano in cui si tenga conto “degli effetti sul
traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina degli orari di lavoro pubblici e privati, degli
orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni
pubbliche, delle attività commerciali”.
Al fine di dare corso alla stesura del Piano Territoriale degli Orari, il sindaco deve istituire un tavolo di
concertazione a cui sono chiamati a partecipare i vari stakeholders tra cui: il sindaco stesso o un suo
rappresentante; il prefetto o un suo rappresentante; il presidente della provincia o un suo
rappresentante; i presidenti delle comunità montane o loro rappresentanti; un dirigente per ciascuna
delle pubbliche amministrazioni non statali coinvolte nel piano; rappresentanti sindacali degli
imprenditori della grande, media e piccola impresa, del commercio, dei servizi, dell'artigianato e
dell'agricoltura; rappresentanti sindacali dei lavoratori; il provveditore agli studi ed i rappresentanti delle
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università presenti nel territorio; i presidenti delle aziende dei trasporti urbani ed extraurbani, nonché i
rappresentanti delle aziende ferroviarie.
Uno dei casi più avanzati sembra essere quello della Città di Bolzano, dove grazie anche ad una
consulenza tecnico scientifica di Sandra Bonfiglioli del Politecnico di Milano2, è stato inizialmente
prodotto il documento di ricerca “Piano dei tempi e degli orari della Città di Bolzano” 3(2005) da cui
sono poi derivategli stimoli e gli spunti per le sintesi politico strategiche degli indirizzi da assumere nella
gestione delle politiche temporali della città; queste ultime sono entrate a far parte del PSS- Piano di
Sviluppo Strategico della Città.
E’ proprio Sandra Bonfiglioli a sintetizzare efficacemente la questione dei tempi/spazi della città per
come si pone nello specifico per le donne nel suo documento per il Piano dei Tempi, alla sezione
intitolata “Armonizzare gli orari scolastici con i tempi delle famiglie”.
“Il problema posto dalle donne ai decisori pubblici in materia di conciliabilità dei tempi di vita e lavoro
non e solo l’alto e squilibrato carico di lavoro a carico delle donne con impegni di cura, ma anche la
difficoltà/impossibilita di tenere assieme in una stessa giornata i tempi dei diversi compiti, soprattutto
gli obblighi degli orari di lavoro per il mercato.
Le ricerche, le iniziative europee e le agende pubbliche mostrano che dalle risorse che una famiglia,
centralmente la donna, ha a disposizione per le pratiche di conciliazione “minuto per minuto” dei tempi
di vita e di lavoro dipende la disponibilità delle donne a entrare e permanere nel mercato del lavoro,
dipende l’equità della divisione dei carichi familiari, dipende la disponibilità a procreare. Le politiche di
accessibilità ai servizi anche per quanto riguarda i loro orari di apertura possono sul territorio migliorare
le risorse necessarie alle pratiche di conciliazione. Le politiche sugli orari d’interesse pubblico
favoriscono la conciliabilità dei tempi di cura, lavoro per il mercato e per se aumentando le opzioni di
scelta dei servizi insediati sul territorio. La flessibilità degli orari dei servizi di interesse pubblico sul
territorio contribuisce a flessibilizzare l’agenda quotidiana di tutti i cittadini e in particolare delle donne.
Agire in modo congiunto sugli orari di lavoro e quelli dei servizi. La conciliabilità dei tempi di vita e
lavoro e diventata un concetto chiave del nuovo welfare che si va disegnando in Europa anche inteso in
senso largo di nuovo contratto sociale fra le generazioni e i sessi”.
Alcune iniziative erano già state messe in cantiere negli anni precedenti Nel 2002 ad esempio veniva
realizzato il progetto il “Giovedì del cittadino”, in collaborazione con la Provincia Autonoma di
Bolzano e con il Commissariato del Governo. L’iniziativa aveva lo scopo di armonizzare i diversi orari
di apertura al pubblico degli uffici presenti in città, durante la giornata del giovedì (orario unificato dalle
8.30 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.30), offrendo al cittadino una maggiore chiarezza rispetto all’apertura
degli uffici, permettendogli di concentrare in un’unica giornate l’espletamento di diverse pratiche
burocratiche, che prima lo costringevano a numerosi spostamenti in momenti diversi della settimana.
Era stato avviato inoltre uno studio in collaborazione con il mobility manager del Comune e con la
cooperativa taxi per introdurre a Bolzano il taxi collettivo. Si tratta di un nuovo servizio di trasporto a
chiamata con caratteristiche particolarmente flessibili e che si pone a metà tra il bus ed il taxi
tradizionale.
Un’ulteriore sperimentazione realizzata nel 2003 comprendeva la creazione di percorsi scolastici protetti
con i “nonni vigili” ed altre iniziative per decongestionare gli spazi più affollati prevendo l’apertura o
nuovi utilizzi per luoghi istituzionali quali, ad esempio, i cortili delle scuole, aperti alla città durante la
chiusura delle scuole stesse con finalità varie (mercatini, iniziative culturali e/o di socializzazione). Si era
infine iniziata una riflessione su una possibile desincronizzazione nelle entrate e uscite dai posti di
2
Lo stesso Politecnico di Milano ha istituito al proprio interno laboratori specifici su questo tema che hanno supportato
gli enti locali lombardi in una serie di sperimentazioni anch’esse interessanti e contenute nel volume “Nuovi tempi della
città per la qualità della vita. Esperienze lombarde in Europa”, a cura di S. Bonfiglioli, M. Mareggi, Guerini e
Associati, 2004
3
La Città di Bolzano è partner del Consorzio tempi delle Città, cui partecipano anche i Comuni di Cremona, Vigevano,
Saronno, ed il Politecnico di Milano. Un’altra rete basata in Toscana è la Rete Tempi e Spazi, promossa dalla Regione
Toscana e dal Comune di Prato.
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lavoro in alcune zone della Città tramite Patti della Mobilità di Zona, senza riuscire però a realizzare
nessuna iniziativa in questo senso.
Il piano operativo del 2005 ha previsto come obiettivi per riconfigurare i tempi della città la
flessibilizzazione, liberalizzazione e coordinamento degli orari dei servizi tutti, pubblici e privati sul
modello-ideale della “città 24 ore su 24”, partendo dalla considerazione che “ogni orario viene stabilito
in maniera autoreferenziale, spesso senza tenere conto delle esigenze dei cittadini. Vengono
soddisfatte le esigenze auto-organizzative dei singoli servizi, ma vengono penalizzate le esigenze autoorganizzative dei singoli cittadini rispetto alla propria vita quotidiana.
A seguire la sintesi delle iniziative previste dal Piano del 2005:
1. “Patto del Tempo” per la costruzione della “Rete del Tempo”, la rete dei soggetti
impegnati nella revisione del sistema dei tempi della Città, a partire da una adesione volontaria,
cominciando dal mondo produttivo a ritroso sulle altre funzioni d’uso della Città.
2. La costruzione di un sistema di valutazione degli impatti, “Time Impact”, da utilizzare sia come
sistema di valutazione degli obiettivi e dei piani di azione del Piano Strategico della Città, sia come
sistema di autovalutazione dei partecipanti alla rete del “Patto del Tempo”, sia come sistema di
autovalutazione dell’impatto sui singoli della organizzazione dei tempi della Città.
3. Un sistema di prenotazione della città, “My Time”, che consenta di intercettare nel continuo le
informazioni utili per organizzare la Città “on demand” ed in tempo reale. I flussi informativi
creati sono essenziali per la costruzione di mappe dei tempi che non siano fotografi
dell’esistente, ma possano essere utilizzate come sistema di auto-organizzazione dinamica della Città.
Dal punto di vista dei cittadini si tratta di organizzare dei servizi di prenotazione ed
informazione sulle funzioni d’uso della Città, che forniscano ai cittadini medesimi vantaggi
significativi in termini di liberazione del tempo e minori oneri di gestione.
4. La quarta componente è il sistema delle mappe dinamiche di conoscenza della città, “City Maps”,
da realizzare in modo integrato agli altri interventi, alfine di creare la base di conoscenza
complessiva della città sotto i profili economico, sociale, fisico, dei flussi, dei tempi, in moda da
renderlo il repository di conoscenza viva della città, da usare sia per i progetti di intervento, sia per il
monitoraggio degli effetti.
Tra le esperienze più significative che abbiano visto una Provincia come soggetto promotore ed
attuatore è da menzionare quella del Progetto Tempi e Spazi nel Lavoro delle Province di l’Aquila
e Pescara, finanziato nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Equal I fase. Il progetto, realizzato in
partnership con l’Istituto Nazionale di Urbanistica, dai Comuni di L’Aquila e Pescara e da due piccole
società di servizio, Kalumet e Sviluppo Lavoro, prevedendo per Comune e Province il compito di
costruire la rete territoriale, istituire un Osservatorio sull’uso del tempo, istituire gli Uffici dei Tempi
comunali deputati a produrre un Piano dei Servizi. La Provincia di Pescara, come capofila del progetto
ha coordinato la rete di operatori pubblici e privati presiedendo alle sperimentazioni di nuovi servizi ed
alla predisposizione di misure di intervento per migliorare la mobilità urbana nell’area aquilana. E’ stato
attivato un percorso di confronto e dialogo tra istituzioni e società civile, in particolare femminile,
intorno agli strumenti del welfare locale e la possibile riorganizzazione dei tempi urbani..
Avvicinandoci alla realtà del Nord Est, vale la pena di segnalare l’iniziativa del Consiglio Regionale
del Veneto ha promulgato nel 1993 la Legge Regionale n° 15 del 22 Giugno titolata “Iniziative della
Regione per favorire il coordinamento degli orari in applicazione del comma 3, dell’art. 36 della legge 8
giugno 1990, n. 142” (BUR n. 53/1993).
A seguito di questa iniziativa legislativa sono stati promulgati alcuni Bandi rivolti ai comuni capoluogo
ed ai comuni con più di 30.000 abitanti. Al Bando del 2004 ha partecipato il Comune di Mira che è
stato l’unico nel territorio della Provincia di Venezia, ad ottenere un finanziamento. Il piano prevedeva,
a seguito dell’istituzione del tavolo di Concertazione come dal dettato della Legge 53/2000, la
realizzazione di 5 progetti:
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Riavvicinare le frazioni: con l’istituzione di un tavolo di lavoro specifico e la produzione di ,
analisi e studi finalizzati a verificare la possibilità di migliorare la frequenza ed i tragitti dei
servizi di trasporto pubblici di collegamento tra le frazioni ed il centro della cittadina
Autonomia in sicurezza nei percorsi casa-scuola: il sistema “PediBus” è stato individuato
come lo strumento per consentire una maggiore sicurezza e quindi una maggiore autonomia
nei tragitti casa scuola per i bambini. Una sorta di autobus umano formato da un gruppo di
bambini in cui davanti e in coda ci sono due o più adulti (che possono essere volontari o gli
stessi genitori) a seconda dell'età degli studenti. Attraverso questo strumento si è inteso
aumentare la sicurezza nel tragitto casa-scuola consentendo ai genitori di evitare l’uso dell’auto
per accompagnare i bambini con conseguente risparmio di tempo e di riduzione
dell’inquinamento4.
Progetto “fuori orario”: con l’obiettivo di offrire la possibilità di accedere alla certificazione
anagrafica anche al di fuori del normale orario di apertura dello sportello anagrafico dei Servizi
Demografici. Si è fatto sì che, durante l’orario di chiusura degli sportelli dei Servizi Demografici,
i cittadini possano rivolgersi al banco del prestito dell’adiacente Biblioteca Comunale per
prenotare il rilascio della certificazione anagrafica richiesta. La prenotazione viene consegnata
dalla biblioteca ai Servizi Demografici il mattino successivo, all’apertura degli uffici. I servizi
Demografici consegnano i certificati richiesti dai cittadini in busta chiusa alla Biblioteca
Comunale entro le 14.00 del giorno successivo a quello nel quale ricevono la prenotazione dei
certificati.
Ampliamento orario virtuale: il Progetto prevedeva di inserire presso la nuova sede della
biblioteca comunale di Oriago alcuni terminali, presso cui decentrare i servizi amministrativi
usati più frequentemente, offrendo alla popolazione la possibilità di usufruire dei servizi del
comune da un luogo diverso dalla sede centralizzata, senza al contempo essere vincolata dagli
orari degli uffici erogatori.
Desincronizzazione degli orari di accesso alle scuole: si è lavorato per attivare una
desincronizzazione degli orari di inizio e fine delle lezioni nelle aree con una più marcata
presenza di scuole in modo da permettere agli studenti di evitare ritardi sistematici di ingesso
alla scuola e consentire ai genitori con più figli di utilizzare un unico mezzo per portarli a scuola.
Anche il Comune di Verona si è fatto negli ultimi anni promotore ed attuatore di un Piano degli
Orari, riuscendo a vedere finanziata la propria progettualità in materia da parte della Regione
Veneto sul bando sopra menzionato del 2004. Prima della candidatura del progetto al concorso
Regionale (Febbraio - Giugno 2004) è stato attivato un percorso di partecipazione della cittadinanza
con incontri, colloqui e coinvolgimento di molti attori sociali cittadini. E' stato prodotto un atlante
dei progetti. Sono stati in seguito avviati tavoli di coprogettazione di alcuni progetti (giu-lug 2004) e
si è sperimentato un progetto pilota di apertura serale degli esercizi commerciali. A seguito del
finanziamento regionale è partita la sperimentazione di 8 progetti approvati dal Consiglio Comunale,
insieme all’insediamento di un 'Ufficio tempi’ Comunale.
Coordinamento calendario scuole per attuare coordinamento e programmazione territoriale del
calendario scolastico e venire incontro alle esigenze delle famiglie.
Diversificazione dell’ orari scolastico per favorire il decongestionamento delle attività nelle ore
di prima mattina in ambito familiare, e favorire la flessibilità e la personalizzazione degli orari in
favore dei genitori.
Percorsi casa-scuola per bambini, bambine e preadolescenti per favorire l'autonomia dei
bambini e delle bambine, promuovere sicurezza e agio davanti alle scuole negli orari d'ingresso
e di uscita, decongestionare il traffico cittadino nelle ore di punta.
4
Come già riportato, anche il Comune di Portogruaro ha messo in campo progettualità analoghe a quello di Mira, al di fuori
dell’istituzione di un Piano Territoriale degli Orari.
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Coordinamento delle Banche del Tempo per favorire la diffusione dell'economia sociale,
i circuiti di socialità e la solidarietà di vicinato mediante l'incontro tra l'offerta di solidarietà e
la domanda di piccoli servizi fuori mercato
La spesa fuori orario rivitalizza strade e piazze con l’obiettivo di un’ apertura serale e domenicale
diversificata e per favorire l'articolazione oraria del commercio, nei diversi quartieri della città,
oltre che rivitalizzare aree urbane migliorando la vivibilità dei quartieri.
Valorizzazione dei mercati rionali al fine di ridisegnare in termini temporali le aree mercantili
della città, con l'obiettivo di ampliarne la fruibilità da parte dei cittadini.
Cantiere evento: Palazzi Scaligeri per restituire un'area urbana sottratta ai cittadini durante il
periodo dei lavori. Informare sulle attività del cantiere. Informare sulle trasformazioni in atto
nella città. Occasioni pubbliche di presentazione del cantiere alla città.
Diversificazione degli orari dei cantieri di manutenzione stradale al fine di ridurre il
disagio alla mobilità - informazione sui cantieri aperti.
Pianificazione territoriale ed urbanistica edilizia residenziale
Quando si opera per integrare la dimensione di genere nella pianificazione del territorio di solito l’enfasi
è posta sulla partecipazione della cittadinanza femminile. Si tende cioè ad attivare processi di
partecipazione paralleli e rivolti nello specifico alle donne, partendo dalla constatazione di quanto
solitamente sia bassa la presenza femminile alle assemblee ed ai forum di partecipazione di spesso nella
forma dei forum talvolta utilizzando la metodologia EASW (European Awareness Scenario Workshop)
piuttosto che altri metodi per l’attivazione di discussione e la costruzione di scenari/proposte.
In Germania ad esempio questo è successo dalla metà degli anni ‘90 in città quali Amburgo, Hannover,
Heidelberg e Haven, talvolta, come nel caso di Hannover, in concomitanza con i progetti di Agenda 21
Locale, dove sono stati attivati processi di partecipazione della cittadinanza femminile sui temi della
pianificazione urbanistica e territoriale, con la partecipazione di urbaniste ed architette specializzate in
metodologie di progettazione di genere, talvolta con il partenariato di Università/Politecnici e soggetti
privati. Dalla documentazione raccolta tali esperienze risultano aver riscontrato un notevole
innalzamento del livello di partecipazione femminile stemperando il linguaggio tecnico e consentendo
alle donne di familiarizzarvi per acquisire competenze per articolare i propri bisogni ed interessi. A
seguito di tali iniziative si è riusciti, come nel caso dell’Agenda 21 Locale di Hannover, ad avere una
grande presenza delle donne in tutte le successive fasi del progetto.
Il progetto norvegese “Donne nella pianificazione municipale”, promosso dal Ministero per
l’Ambiente e da quello degli Enti Locali in collaborazione con 6 città delle zone costali, montagnose
e/o periferiche, è andato in una direzione analoga. Il progetto ha visto la costituzione di gruppi di
progetto con la partecipazione di donne politiche, donne della società civile di ogni estrazione sociale.
Gli spunti ed i suggerimenti emersi sono stati nella maggior parte dei casi (4 su 6) integrati nei Piani
Territoriali dei Comuni introducendo negli stessi quella che i valutatori del progetto hanno definito una
“prospettiva olistica”, uno slittamento significativo nell’orientamento dei valori, con maggiore enfasi
posta sui temi della cura, dell’attenzione alla vita quotidiana delle persone, della protezione ambientale,
dei bisogni delle persone indigenti. Il progetto si è concluso nel 1994 ed ha ricevuto attenzione
internazionale (OECD); dalle esperienze sono state tratte delle linee guida confluite in una
pubblicazione del Ministero per l’Ambiente dal titolo “Ricette per mobilitare le donne nella
pianificazione territoriale locale”.
Anche la città di Pamplona (Spagna) ha innescato un processo di consultazione delle donne per
integrarne bisogni e punti di vista nel piano cittadino della Mobilità (si veda sezione “trasporti” del
dossier), con esiti positivi.
In Italia è noto il caso del Piano Regolatore Partecipato di Roma, alle consultazioni per la stesura
del quale hanno partecipato nel 2002 donne organizzate, sulla base di un’iniziativa presa da alcune
associazioni femministe (Centro Donna LISA, Ass. Donne in Genere ed altre): in questo caso parte dei
contenuti espressi dal documento politico conclusivo sono stati ripresi nella premessa definitiva al
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Nuovo Piano Regolatore. Citiamo di seguito il documento con le richieste emerse dal confronto con le
donne
“le donne chiedono che il nuovo PRG:
•
inauguri una politica urbana incentrata sul rispetto delle differenze e aperta alla sperimentazione
di nuovi ideali di vita urbana
•
riconosca il primato di un’etica pubblica fondata sulla responsabilità di chi amministra, sul senso
del limite e sul principio della partecipazione e del coinvolgimento popolare nelle scelte
•
assuma come obiettivo prioritario il miglioramento della qualità della vita di tutte e tutti
riconosca il valore sociale del lavoro di cura, approntando un disegno di spazi e norme d'uso
che ne garantisca il pieno sviluppo
•
prenda atto del conflitto in atto tra crescita economica e qualità della vita, definendo strategie e
strumenti per il controllo pubblico degli operatori economici
•
punti a massimizzare il valore d'uso dei suoli urbani a partire da una puntuale ricognizione dei
bisogni del presente e del prossimo futuro
•
subordini qualsiasi ipotesi di nuova edificazione ad una approfondita verifica delle possibilità di
riuso del patrimonio esistente
•
consideri inalienabile il diritto di ogni persona alla casa e ad una adeguata dotazione di servizi
pubblici situati a ragionevole distanza dalla sua abitazione
•
scelga la strada della cooperazione e della solidarietà nelle relazioni con le altre città,
opponendosi attivamente alle pressioni verso competizioni sterili e immorali
•
adotti processi decisionali inclusivi per definire il progetto pubblico della città
Dalle notizie in nostro possesso5 alcune delle proponenti hanno chiuso questa esperienza di
partecipazione deluse dai suoi esiti, a loro parere risultati in una subordinazione delle opere di interesse
pubblico (verde, servizi, infrastrutture, residenza sociale, ecc.) agli interessi economici in particolare a
quelli di imprese multinazionali dell’edilizia. Maggiori approfondimenti sarebbero necessari per avere
un’idea più precisa di questa esperienza.
Con approccio partecipativo si svolge anche tutta l’esperienza del Comune di Prato ed una serie di
esperienze toscane raccolte nel sito “Tempi e Spazi”. L’idea che ha guidato le esperienze di Prato si è
centrata attorno al cambiamento mosso dalla partecipazione attiva dei/delle cittadini/e attraverso
laboratori sull’abitare e sul vivere la città rivolti sia ad adulti che a bambini e/o adolescenti. I laboratori
partecipativi sono stati finalizzati a facilitare l’espressione, da parte degli abitanti, dei saperi, bisogni e
desideri impliciti nel proprio vissuto del territorio urbano, in sintesi a dare voce alle istanze della
popolazione che solitamente non dialogano con i saperi e linguaggi tecnici e le procedure burocratiche
della pianificazione territoriale. Diversi sono stati i progetti che l’amministrazione comunale ha assunto
dopo aver fatto proprie alcune delle proposte emerse dai percorsi di partecipazione: l’abbellimento e
l’intervento (anch’esso partecipato dai bambini) di una Scuola Elementare dagli spazi freddi e
disorientanti per gli alunni, la strutturazione di percorsi di mobilità dolce per bambini e anziani, la
costruzione di un ponte ciclopedonale a seguito di un concorso per giovani architetti/e preceduto da
un ciclo di seminari (rivolto a candidati/e al concorso) sull’architettura sostenibile e la cultura
dell’accessibilità.
Una visione al femminile dell’abitare e del progettare opere di edilizia residenziale è emersa dal progetto
della città di Vienna, che nel 1993 ha promosso un concorso per donne architette finalizzato alla
5
Alcuni contatti mail intercorsi nel 2002 con l’Associazione Donne in Genere.
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presentazione di progetti innovativi. Ad un gruppo di giovani donne architetto è stato affidato il
compito di formulare i requisiti di un progetto pubblico di edilizia residenziale sensibile al genere, sulla
base delle Linee Guida e del Codice Edilizio dell’Atto di Promozione della residenzialità di Vienna. Il
progetto della vincitrice ha convinto la giuria per la varietà delle unità proposte, per le soluzioni sensibili
ad un design di “spazi aperti” (cortili, piazza centrale, ‘villaggio comune’, strade residenziali e per il
gioco, campi di gioco e giardini. Il progetto vincitore è stato implementato attraverso il piano regolatore
ed il piano di sviluppo territoriale; altre 3 architette sono state segnalate ai costruttori per ‘sottoprogetti’
individuali. I criteri al femminile emersi dai progetti sono stati così sintetizzati:
• Istituzione di legami tra l’interno e l’esterno della costruzione: tra l’appartamento, la tromba
delle scale e la corte-giardino, le piazze, le strade residenziali e quelle riservate alle attività
ludiche
• Le soluzioni spesso neglette quali stanze per depositare biciclette e passeggini sono situate al
piano terra e facilmente accessibili, le stanze per la lavanderia comune si trovano nella mansarda
accanto alla terrazza sul tetto
• Viene creato uno spazio di socializzazione in media di 4 unità per piano, per evitare l’anonimato
e favorire le relazioni di vicinato.
• Le trombe delle scale sono trasparenti e bene illuminate al fine di evitare zone di pericolo che
possano ispirare paura ed ansia nelle donne. Al di là della loro funzione di base la tromba delle
scale viene pensata come luogo piacevole nel quale gli/le inquilini/e possano passare del tempo
e intrattenersi a parlare.
• Un elevato livello di sicurezza viene garantito da un garage a struttura aperta con illuminazione
naturale; .è stata favorita una progettazione con garage ad anello situato sotto gli stessi
appartamenti . Ogni tromba delle scale ha il suo proprio accesso al garage e c’è almeno la
possibilità che i lotti di garage non occupati possano essere usati in seguito come stanze per
attività ricreative o come cantine.
• Riguardo agli stessi appartamenti è stata data sufficiente attenzione alle cucine come luoghi
centrali della casa: sono tutte ampie, fornite di sufficiente luce e danno sulle corti o sulle strade
da gioco. Inoltre quasi tutti gli appartamenti sono dotati di spazio aperto individuale, che sia una
grande terrazza al piano terra od un balcone più piccolo per gli altri piani. Le piante degli
appartamenti cercano di creare stanze della stessa qualità. Si è inoltre deciso che I futuri
proprietari avrebbero avuto un margine per incidere sulle strutture interne finali dei singoli
appartamenti ma anche che il Comune di Vienna e la cooperativa edilizia che avrebbe gestito il
progetto.
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