23-25 Ottobre 2008

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23-25 Ottobre 2008
Vol. 6 - n. 2 - (Suppl. 1) 2008
Periodico quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1, comma 1 DCB Milano
Indexed in
EMBASE/Compendex
Geobase/Scopus
ORGANO UFFICIALE
XV Congresso Nazionale
Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
23- 25 Ottobre 2008 Rende (Cs)
XV Congresso Nazionale
Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs)
Presidenti del Congresso
Giampaolo De Luca
Giuseppe Raiola
Consiglio Direttivo SIMA
Presidente
Giuseppe Raiola
Vice Presidente
Silvano Bertelloni
Tesoriere
Salvatore Chiavetta
Segretario
Luigi Ranieri
Consiglieri
Michele De Simone
Piernicola Garofalo
Maria Rita Govoni
Commissione Didattica
Vincenzo De Sanctis (coordinatore)
Antonietta Cervo
Giampaolo De Luca
Michele De Simone
Revisori dei conti
Mariangiola Baserga
Domenico Lombardi
Domenico Salerno
I
XV Congresso Nazionale
Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza
23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs)
Moderatori e Relatori
Salvatore Anastasi
Elisa Anastasio
Sebastiano Andò
Vincenzo Maria Arcuri
Teresa Arrigo
Mariangiola Baserga
Sergio Bernasconi
Federico Bianchi di Castelbianco
Silvano Bertelloni
Gianni Bona
G. Roberto Burgio
Giovanni Caldarone
Giovanni Capocasale
Manuela Caruso Nicoletti
Antonietta Cervo
Graziano Cesaretti
Franco Chiarelli
Salvatore Chiavetta
Giuseppe Chiumello
Nicola Cicchella
Alessandro Cicognani
Manuela Cisternino
Giovanni Corsello
Tiziano Dall’Osso
Filippo De Luca
Giampaolo De Luca
Annamaria D’Este
Carlo De Sanctis
Vincenzo De Sanctis
Michele De Simone
Salvatore Di Maio
Pasquale Di Pietro
Franca Fruzzetti
Angela Funaro
Piernicola Garofalo
Laura Giancotti
Maria Rita Govoni
Catania
Catanzaro
Cosenza
Catanzaro
Messina
Catanzaro
Parma
Roma
Pisa
Novara
Pavia
Roma
Crotone
Catania
Salerno
Pisa
Chieti
Palermo
Milano
Benevento
Bologna
Pavia
Palermo
Bologna
Messina
Cosenza
Udine
Torino
Ferrara
L’Aquila
Napoli
Genova
Firenze
Cosenza
Palermo
Catanzaro
Ferrara
Maria Concetta Galati
Salvatore Grotteria
Giuseppe Gullotta
Antonio Gurnari
Elena Iacona Caruso
Antonio Improta
Andrea Liotta
Chiara Lolli
Domenico Lombardi
Renata Lorini
Marcello Maggiolini
Antonino Mangiagli
Carmela Maradei
Saverio Marrelli
Maria Panebianco
Annamaria Pasquino
Umberto Pelosi
Raffaele Perrelli
Carlo Pintor
Ida Pucarelli
Giuseppe Raiola
Luigi Ranieri
Patrizia Reda
Piercarlo Rizzi
Leopoldo Ruggiero
Giuseppe Saggese
Domenico Salerno
Antonietta Santelli
Tito Livio Schwazenberg
Giuseppe Spadafora
Mariella Sturniolo
Rita Tanas
Luciano Tatò
Alberto Verrotti
Stefania Zampogna
Maria Zanni
Catanzaro
Catanzaro
Catania
Reggio Calabria
Cosenza
Napoli
Palermo
Cosenza
Lucca
Genova
Cosenza
Siracusa
Cosenza
Cosenza
Cosenza
Roma
Catanzaro
Cosenza
Cagliari
Roma
Catanzaro
Catanzaro
Cosenza
Catanzaro
Lecce
Pisa
Catanzaro
Cosenza
Roma
Cosenza
Cosenza
Ferrara
Verona
Chieti
Catanzaro
Cosenza
Con il patrocinio di:
Ministero della Salute, Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, Provincia di Cosenza, Comune di Rende, Società Italiana di Pediatria,
Federazione Italiana Pediatri, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Confederazione Italiana Pediatri,
Ordine Nazionale dei Biologi, Ordine Regionale degli Psicologi, Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi della Provincia di Cosenza,
Collegio degli Infermieri Professionali di Cosenza, Ordine dei Farmacisti della Provincia di Cosenza, Acsa&Ste Onlus.
II
XV Congresso Nazionale
Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs)
Sommario
L’asma difficile
Umberto Pelosi pag. 1
La gestione dell’adolescente con asma acuto in P.S.
Stefania Zampogna, Luciana Indinnimeo, Pasquale Di Pietro pag. 3
Gestione dell’adolescente con asma cronico
Elisa Anastasio pag. 7
Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici
Antonietta Santelli, Giacomo Santoro, Giuseppe De Martino, Bambina Russo, Franca Imbroinise,
Maria D’Andrea pag. 9
Le meningoencefaliti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici
Chiara Lolli pag. 17
Aspetti assistenziali delle patologie infiammatorie acute nell’adolescente
Maria Zanni pag. 20
Il mondo degli adolescenti oggi
Carlo Pintor pag. 21
La sessualità nei giovani: condotte e trasgressioni
Federico Bianchi Di Castelbianco pag. 22
Educare alla salute
Giampaolo De Luca pag. 23
Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea
Giuseppe Spadafora pag. 28
Uso del GH nelle malattie croniche non endocrine
Mariella Valenzise, Teresa Arrigo, T. Aversa, G. Zirilli, S. Iannelli, Filippo De Luca
Le poliendocrinopatie autoimmuni
Renata Lorini, Giuseppe d’Annunzio pag. 37
Dal diabete di tipo 2 al diabete di tipo ibrido
A. Blasetti, A.M. Tocco, C. Di Giulio, F. Chiarelli pag. 41
Ipertireotropinemie in età pediatrica e adolescenziale
G. Chiumello, G. Weber, A. Passoni, F. Cortinovis, S. Rabbiosi pag. 44
III
pag. 33
L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio?
Paolo Cavarzere, Rossella Gaudino, Previtera Carlo, Luciano Tatò pag. 46
Recenti progressi nell’imaging pediatrico adolescenziale
Vincenzo Arcuri, Pier Paolo Arcuri, Giuseppe Raiola, Maria Concetta Galati
La terapia psichiatrica nell’adolescente
Sara Matricardi, Francesco Chiarelli, Alberto Verrotti
pag. 51
pag. 53
La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende
della Provincia di Catanzaro
Piercarlo Rizzi pag. 61
Medicina legale in ambulatorio
Luigi Ranieri pag. 66
Rischi e benefici dell’attività sportiva nell’adolescente
con patologia cronica
Giovanni Caldarone, Giuseppe Morino pag. 70
La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce
Tito Livio Schwarzenberg pag. 71
Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) in età adolescenziale
Mariangela Cisternino, Patrizia Sampaolo, Elena Borali, Ilaria Possenti, Valeria Calcaterra pag. 78
L’uso della metformina nell’adolescente
Franca Fruzzetti, Daria Perini, Veronica Lazzarini pag. 81
La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza
Rita Tanas, Lorenzo Iughetti, Guido Caggese, Giovanna La Fauci, Marta Zaghi,
Rossella Berri, Maria Chiara China, Salvatore Di Maio pag. 84
Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA)
per la salute dell’adolescente.
Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato
G. Raiola, S. Bertelloni, G. Romano, V. De Sanctis, M.C. Galati pag. 90
Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV
Gianni Bona pag. 95
I noduli tiroidei: follow-up e terapia
Graziano Cesaretti pag. 99
Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente
Maria Piccione, Giovanni Corsello pag. 104
Come comunicare una cattiva diagnosi
Maria Rita Govoni pag. 108
Fisiopatologia della spermatogenesi
Vincenzo De Sanctis, Luigina Urso, Giuseppe Raiola
ABSTRACT
pag. 110
pag. 119
IV
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
L’asma difficile
Umberto Pelosi
Divisione di Pediatria Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Catanzaro
L’asma viene considerata attualmente la malattia cronica più frequente in età pediatrica. Nonostante l’introduzione nella sua gestione di nuovi farmaci e l’applicazione di lineee guida per la terapia
degli episodi acuti e delle fasi intercritiche, i valori di morbilità e di
mortalità della malattia sono oggi simili a quelli riscontrati diversi
anni fa ed addirittura aumentati in alcune nazioni (1).
L’asma è stata definita “una malattia infiammatoria cronica delle vie
aere, caratterizzata da un processo di flogosi a decorso cronico
nella quale rivestono una attività primaria alcune classi cellulari, in
particolare mastociti, eosinofili e T-linfociti. L’infiammazione è
responsabile della sintomatologia ed in parte della iper-reattività
bronchiale che caratterizzano la malattia” (2). La flogosi è presente
nelle vie aeree sin dall’esordio della malattia, anche nelle forme più
lievi, e addirittura prima che compaiano le manifestazioni cliniche;
aumenta con la severità ed è responsabile di tutte quelle modificazioni strutturali a carico del bronco che vengono unificate con il termine di “rimodellamento” (3). La relazione tra infiammazione a carico delle vie aeree ed aumento della gravità della malattia è stata
valutata sia rilevando la frequenza e l’intensità delle manifestazioni
cliniche, la compromissione della funzionalità respiratoria e la flogosi mediante la determinazione nello sputo indotto, nel BAL e nell’aria espirata di mediatori (ECP, MPO, triptasi) o sostanze specifiche (NO) (4-7). Si è visto che in gran parte dei casi la severità clinica della malattia è correlata alla infiammazione eosinofila. Da questa osservazione scaturisce l’indicazione dell’utilizzo di farmaci
antinfiammatori per il controllo della malattia.
Le più recenti linee guida sulla gestione della malattia asmatica
confermano che i corticosteroidi possono essere utilizzati per via
inalatoria con buoni risultati nei bambini con asma moderato o
severo e per via sistemica nelle riacutizzazioni o nelle forme più
severe di malattia (8, 9). Nella maggior parte dei casi la terapia steroidea è in grado di controllare la gravità della malattia; fa eccezione una piccola percentuale di bambini i quali presentano un tipo di
asma che difficilmente viene controllato, anche quando si incrementino i farmaci antiasmatici ed in particolare i corticosteroidi.
Questa varietà di asma viene definita asma “difficile” (10, 11).
Recentemente la Società Europea delle Malattie respiratorie ha
definito “asma difficile” l’asma che non viene controllata utilizzando
≥ 800?g di budesonide o equivalenti (12). Quando ci si trova di
fronte ad un bambino la cui asma non è ben controllata nonostante alte dosi di steroidi, è importante in primo luogo cercare di comprendere le ragioni di questo scarso controllo e successivamente
definire le eventuali correzioni da applicare per risolvere o migliora-
re questa situazione. Bisogna riconsiderare i 3 elementi che caratterizzano la malattia: il bambino, la malattia e la sua severità, la terapia. Innanzitutto deve essere considerata la possibilità che la nostra
diagnosi di asma non sia corretta e che la persistenza della sintomatologia e la sua gravità possano essere correlate ad altre forme
morbose (Tabella 1). E’ necessario in questo caso rivalutare la storia clinica, l’esame obiettivo, ed approfondire le indagini diagnostiche per escludere la coesistenza di patologie che possono essere
responsabili della maggiore gravità e di un imperfetto controllo clinico dell’asma in particolare il reflusso gastroesofageo e la rinosinusite (13, 14).
Al di là della possibilità che la diagnosi non sia corretta o che un
evento patologico sia responsabile di un asma intrattabile, devono
essere prese in considerazione altre eventuali cause. In particolare
che la gravità della malattia possa essere sovrastimata (in particolare dai genitori) o sottostimata (in particolare dal paziente). Sia nel
primo caso che nel secondo è utile rivalutare la storia clinica, la funzionalità respiratoria (volume residuo, resistenze polmonari), la qualità della vita, i risvegli notturni, la capacità da parte del bambino di
compiere una attività fisica, seppure non particolarmente intensa.
Un ulteriore fattore da considerare nell’asma difficile è la possibilità
che il bambino non segua correttamente la prescrizione terapeutica o non utilizzi in modo corretto i farmaci (16, 17). La maggior
parte dei pazienti in età adulta, meno frequentemente in età pediatrica, tende ad adoperare con maggiore frequenza i beta2-agonisti
e meno i corticosteroidi, per la paura degli effetti collaterali.
Frequentemente la terapia per via inalatoria, nel bambino, viene
Tabella 1. Diagnosi alternative nell’asma difficile.
Fibrosi cistica
Discinesia ciliare primitiva
Anomalie polmonari congenite
Tracheobroncomalacia
Anelli vascolari
Bronchiectasie
Inalazione di corpo estraneo
Cardiopatie congenite
Disfunzione delle corde vocali
Reflusso gastroesofageo
Sindrome di Churg-Strauss
1
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
praticata in modo errato e spesso il MDI viene prescritto senza un
distanziatore o con spiegazioni insufficienti sulle modalità di utilizzo.
Senza dubbi la scelta del distanziatore e le corrette informazioni
sulle modalità di uso assai spesso sono più importanti della scelta
della dose di farmaco da impiegare. L’attivazione di programmi
educazionali rivolti al bambino asmatico ed alla sua famiglia possono contribuire ad aumentare l’aderenza alla terapia e a migliorare il controllo della malattia (18). A tale riguardo, nel caso di asma
allergico non ben controllato è indispensabile rivalutare il pattern di
sensibilizzazione e se tutti i consigli ambientali vengano correttamente seguiti, al fine di escludere l’esposizione ad una eccessiva
carica allergenica (19).
Infine in alcuni casi è possibile che l’asma difficile sia legata a un’insufficiente risposta alla terapia steroidea. In questo caso è necessario valutare il quadro dell’infiammazione e le modificazioni presenti a livello della mucosa bronchiale. In recenti studi è stato osservato che la cellularità eosinofila prevale nell’asma, ma in alcuni casi
l’infiammazione è caratterizzata da una abbondante infiltrazione di
neutrofili (20-22).
Questi risultati sottolineano che esistono differenti modelli di infiammazione e che essi dovrebbero essere curati con farmaci diversi:
corticosteroidi quando prevale l’infiammazione eosinofila e antibiotici (macrolidi) o teofilline quando questa è costituita da neutrofili.
Un altro fattore alla base di un’asma difficile è rappresentato dalla
resistenza ai corticosteroidi (23, 24). Per differenziare questi casi è
consigliabile utilizzare un trial di CS (prednisone/prednisolone) per
os per 2 settimane o, se si sospetta una mancata aderenza alla
terapia, la somministrazione per via intramuscolare di triamcinolone
(25, 26). Nei casi di resistenza ai CS è inutile incrementare il dosaggio degli steroidi ed è consigliato utilizzare farmaci quali la ciclosporina (27). Alla luce di questi dati appare evidente che nei casi
di asma difficile la strategia terapeutica debba essere finalizzata
dalla identificazione del fenotipo responsabile (21).
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
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Manca corrispondenza
Corrispondenza:
2
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La gestione dell’adolescente
con asma acuto in P.S.
Stefania Zampogna1, Luciana Indinnimeo2, Pasquale Di Pietro3
U.O. di Pediatria AO “ Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
2
Università “La Sapienza “, Roma
Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) Istituto “G.Gaslini”, Genova
1
3
Riassunto
In questo lavoro intendiamo offrire una descrizione accurata della gestione dell’adolescente con asma
acuto in Pronto Soccorso Pediatrico. Il riconoscimento, la stabilizzazione e la cura di un adolescente in condizioni critiche rappresentano forse l’aspetto più difficile della pediatria e richiedono conoscenze di anatomia, fisiologia e psicologia
peculiari, accanto ad una grande abilita nelle manovre da attuare in situazioni di emergenza. La terapia è descritta secondo le Linee Guida della Società Italiana di Pediatria 2008.
Parole chiave: adolescente, asma acuto, terapia asma acuto.
Acute asthma in adolescence presenting to an emergency
department
Summary
In this work we intended to give an accurate description of acute asthma in adolescence presenting to an
Emergency Department. The acknowledgement, stabilization and the therapy of an adolescent with acute asthma represent perhaps the most difficult aspect of the pediatrics and require knowledges of anatomy, physiology and psychology
peculiar and also a great skill in the manoeuvre to realize in emergency situations. The therapy is described according
to Italian Society of Pediatrics 2008 Guidelines.
Key words: adolescence, acute asthma, terapy of acute asthma.
Introduzione
Negli ultimi decenni la prevalenza dell’asma nel mondo è aumentata sia tra i bambini che tra gli adolescenti; parallelamente a ciò,
dai primi anni ‘80 sono andate anche aumentando le segnalazioni di ricoveri come pure di decessi causati da essa (1-2). Al
contrario, la mortalità è riportata in calo a partire dagli anni ’90: il
che ragionevolmente consegue al miglioramento complessivo
delle cure dedicate alla malattia (3). Le riacutizzazioni asmatiche,
frequenti in età adolescenziale, conseguono per lo più all’esposizione a fattori scatenanti, ma molto spesso riflettono un fallimento del programma di trattamento a lungo termine della
malattia, a cui possono contribuire sia la scarsa adesione alle
linee guida da parte del curante che la scarsa compliance da
parte del paziente e della sua famiglia.
L’attacco acuto d’asma si può presentare con modalità diverse,
sia per gravità che per sede ove si verifica; durante l’adolescenza, si evidenzia una minore frequenza e quantità di accessi ma
un aumento della gravità delle manifestazioni cliniche con maggior rischio di evoluzione in situazioni di emergenza respiratoria:
in tali casi il ruolo dell’ospedale diventa cruciale in quanto l’importante impegno respiratorio e l’ipossia richiedono una terapia
più aggressiva in termini di frequenza, dosaggi e tipi di farmaci
somministrati nonché un monitoraggio continuo dei parametri
vitali e della ossigenazione.
Il riconoscimento, la stabilizzazione e la cura di un adolescente
con asma acuto rappresentano forse l’aspetto più difficile della
pediatria e richiedono conoscenze di anatomia, fisiologia e psicologia peculiari dell’età adolescenziali, accanto ad una grande
abilità nelle manovre da attuare in situazioni di emergenza (4).
3
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Adottare in un Pronto Soccorso strategie corrette di comportamento è, pertanto, fondamentale per cercare di ridurre i ricoveri
e la potenziale mortalità.
Una rapida ed attenta valutazione atta a stabilire la gravità dell’episodio rappresenta un momento prioritario e indispensabile
per instaurare un piano razionale di interventi. A questo scopo
risultano utili alcuni elementi anamnestici e clinici (19). È da tener
presente che da soli i sintomi clinici si correlano poco con la gravità dell’ostruzione, pertanto è necessario integrarli con valutazioni oggettive: la Saturazione di O2 (SaO2) (%) in aria (5-6), il
Picco di Flusso Espiratorio (PEF) o il Volume Espiratorio Forzato
in 1 secondo (FEV1) (7) e nei casi gravi la Pressione parziale di
CO2 (PaCO2) (8).
mente rispondenti alle terapie iniziali, anche se mancano evidenze forti che dimostrino la superiorità di tali modalità di somministrazione rispetto a quella inalatoria tradizionale (9,10).
Anche l’ipratropio bromuro nebulizzato trova particolare indicazione nel trattamento in Pronto Soccorso, l’uso sempre in associazione al salbutamolo, e anche in dosi ripetute, nei soli pazienti con asma grave, in quanto migliora in essi la funzionalità respiratoria e riduce la necessità di ricovero (11).
Altri farmaci più recentemente studiati per il trattamento delle riacutizzazioni in urgenza sono il magnesio solfato e l’heliox: per
entrambi mancano però ancora evidenze consistenti che ne giustifichino l’uso routinario, sebbene limitate osservazioni suggeriscano che tali farmaci possono essere efficaci in sottogruppi di
pazienti scarsamente rispondenti alle terapie convenzionali e a
rischio di imminente insufficienza respiratoria (12-13).
La teofillina, per molti anni farmaco di prima scelta nel trattamento delle riacutizzazioni asmatiche, ha ormai perso il suo ruolo
in Pronto Soccorso; La somministrazione di teofillina può essere
contemplata in aggiunta al trattamento abituale nei pazienti con
imminente insufficienza respiratoria e in quelli che in passato
abbiano mostrato una soddisfacente risposta al farmaco.
L’adrenalina non offre vantaggi rispetto ai beta-2 agonisti nel trattamento dell’asma acuto e comporta un rischio di eventi avversi
maggiore particolarmente nei pazienti ipossiemici. Un suo possibile utilizzo è indicato laddove non siano disponibili beta-2 agonisti per via inalatoria o endovenosa .
Indicazioni per il ricovero
Esistono molte controversie sulla capacità di riuscire a predire
l’evoluzione di un episodio asmatico sulla base di criteri predefiniti. Pertanto, fino a quando non sarà sviluppato un efficace
metodo predittivo, la decisione di ricoverare un paziente dovrebbe essere presa sulla base di una valutazione complessiva di
parametri anamnestici, clinici e funzionali e di una continua
osservazione del paziente.
Le indicazioni assolute per il ricovero sono:
Insufficienza respiratoria.
Gravità dei parametri clinici (dispnea importante, wheezing inespiratorio, uso della muscolatura accessoria, cianosi, torace
silente, stato mentale alterato), in particolare dopo il trattamento broncodilatatore.
SaO2 <92%, in particolare dopo trattamento broncodilatatore.
PEF <60% (valori riferiti a quelli teorici o, se conosciuto, al
valore personale migliore), in particolare dopo broncodilatatore.
Presenza di complicanze (es. pneumotorace, pneumomediastino, atelectasie, polmonite).
Criteri più rigidi devono essere invece adottati per pazienti
osservati nel pomeriggio o di notte, con precedenti episodi
asmatici gravi, con “asma instabile”, con ridotta percezione
dei sintomi, con scarso sostegno familiare o con difficoltà a
raggiungere l’ospedale in caso di ulteriore aggravamento
(17, 18).
Linee Guida SIP (14)
Attacco lieve
Salbutamolo: inalazione, spray predosato (con distanziatore) 2-4 (200-400 mcg) spruzzi, fino a 10 spruzzi nelle forme
più gravi, o nebulizzazione (0.15 mg/Kg/dose, 1 goccia =
0.25 mg), ripetibile se necessario ogni 20 min. fino ad un
massimo di 3 dosi
a) Risposta soddisfacente (risposta stabile per 60 min. dopo
l’ultima somministrazione, distress respiratorio lieve, SaO2
>95%, PEF o FEV1 >80%):
Non necessario il ricovero, il paziente può continuare la somministrazione di salbutamolo ogni 4-6 ore e poi con frequenza progressivamente minore per circa 7 giorni.
Per i pazienti già in trattamento con steroidi inalatori, continuare ad utilizzarli alle loro dosi abituali.
b) Risposta insoddisfacente e/o ricaduta entro la prima ora:
continuare la somministrazione di Salbutamolo e aggiungere
uno steroide per os.:
Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Betametasone 0.1-0.2 mg/Kg/die (max 4
mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Deflazacort 1-2
mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni
b1) se miglioramento, continuare con Salbutamolo come
Trattamento
Cardini della terapia della riacutizzazione asmatica sono gli steroidi e il salbutamolo nebulizzato in dosi ravvicinate, con la concomitante somministrazione di ossigeno. Nel paziente grave, il
salbutamolo può essere somministrato mediante nebulizzazione
continua; la somministrazione endovenosa, sotto stretto monitoraggio, può essere presa in considerazione nei pazienti scarsa-
4
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La gestione dell’adolescente con asma acuto in P.S.
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
sopra e steroidi per os per altri 3-5 giorni.
b2) se non migliora, trattare come episodio moderato.
b2) in caso di ulteriore mancata risposta, iniziare un trattamento più aggressivo:
• Aminofillina: Bolo endovena 6-7 mg/Kg in 50 cc di S.F. in
20-30 min. (2.5 mg/Kg se paziente in terapia teofillinica);
mantenimento: 1mg/Kg/h(<12 aa) e 0.5mg/Kg/h(>12 aa)
• Salbutamolo: endovena 10 mcg/Kg (dose bolo) in 10 min.,
seguita da infusione continua di 0.2 mcg/Kg/min. In caso di
mancata risposta, aumentare la dose di 0.1 mcg/Kg ogni 15
min. fino a un massimo di 2 mcg/Kg/min.
• Eventuale ricovero in Unità di Terapia Intensiva
Attacco moderato
Salbutamolo: inalazione, spray predosato (con distanziatore) 2-4 (200-400 mcg) spruzzi, fino a 10 spruzzi nelle forme
più gravi, o nebulizzazione (0.15 mg/Kg/dose1, goccia =
0.25 mg),), ripetibile se necessario ogni 20 min. fino ad un
massimo di 3 dosi, in associazione con Ipratropium bromuro spray predosato (con distanziatore), 4-8 spruzzi (80160 mcg) o nebulizzazione, 125-250 mcg (<4 aa) e 250-500
mcg (>4 aa)
Steroide: per os, Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40
mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Betametasone 0.1-0.2
mg/Kg/die (max 4 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o
Deflazacort 1-2 mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni
a) Risposta soddisfacente: Ridurre progressivamente la frequenza di somministrazione di Salbutamolo ed Ipratropium,
eventualmente continuare solo Salbutamolo e steroidi per os
b) Risposta insoddisfacente: Ricovero.
Ripetere 3 dosi di Salbutamolo in un’ora in associazione con
Ipratropium bromuro
Continuare CSO
Somministrare O2
b1) se miglioramento, ridurre progressivamente il trattamento
in base alla risposta clinica
b2) se non migliora trattare come un attacco grave
Raccomandazioni per la
dimissione
L’attacco acuto di asma dovrebbe essere considerato un fallimento della terapia preventiva e deve essere l’occasione per aiutare i bambini e le loro famiglie ad evitare ulteriori episodi. Non
esiste un criterio unico per la dimissione, essa deve essere decisa sulla base di una valutazione complessiva dei parametri clinici e funzionali del bambino (15, 16).
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto le caratteristiche peculiari dell’adolescente in generale e dell’urgenza-emergenza impongono che i
Pronto Soccorso dell’adulto e pediatrici non solo, riservino spazi
adeguati per la patologia critica dell’adolescente garantendo
così una sufficiente condizione di rispetto e privacy, ma sarà
anche necessario che il pediatra riceva una adeguata formazione rivolta alla gestione delle emergenze respiratorie che rappresentano una delle situazioni critiche più frequenti durante l’adolescenza.
Attacco grave
Salbutamolo: inalazione, spray (con distanziatore) 2-4 (200400 mcg) spruzzi fino a 10 spruzzi, o nebulizzazione (0.15
mg/Kg/dose), ogni 20 min. x 3 dosi, in associazione con
Ipratropium bromuro spray (con distanziatore), 4-8 spruzzi
(80-160 mcg), o nebulizzazione, 125-250 mcg (<4 aa) e 250500 mcg (>4 aa)
Steroide: per os, Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40
mg/dose) in 1-2 somministrazioni, o Betametasone 0.1-0.2
mg/Kg/die (max 4 mg/dose) in 1-2 somministrazioni, o
Deflazacort 1-2 mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni;
parenterale, Metilprednisolone 1-2 mg/Kg/6-8 h (max 40
mg/dose) o Idrocortisone 5-10 mg/Kg/6-8 h
O2
Ricovero
a) Risposta soddisfacente: Ridurre progressivamente la frequenza di somministrazione di Salbutamolo e Ipratropium
(inizialmente ogni ora per tre dosi).
Continuare steroidi e O2, se SaO2 <95%,
b) Risposta insoddisfacente: Ripetere le inalazione ogni 20 min.
x 3 dosi.
Continuare steroidi e O2
b1) se miglioramento, ridurre progressivamente il trattamento
in base alla risposta clinica
Bibliografia
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
14. Linee Guida SIP:Coordinatore Luciana Indinnimeo. Estensori:
Barbato A. Cutrera R., De Benedictis F.M., Di Pietro P., Duse M.,
Gianiorio P., Indinnimeo L., Indirli G., La Grutta S., La Rosa M.,
Miceli Sopo S., Miglioranzi P., Miraglia del Giudice M., Monaco F.,
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Pediatrico. Pediatria D’Urgenza 2001; 68:740-759.
Corrispondenza:
Dott.ssa Stefania Zampogna
U.O. di Pediatria AO “ Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
e-mail: [email protected]
6
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Gestione dell’adolescente
con asma cronico
Elisa Anastasio
Cattedra di Pediatria, Università “Magna Græcia”, Catanzaro
L’asma è una malattia cronica che interessa il 5% degli adulti e il
10% dei bambini, con una prevalenza del 10,3% tra gli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 14 anni (1-2). Se mal curata,
può diventare talmente invalidante da alterare la qualità di vita
del paziente e limitarlo nelle attività. Il raggiungimento di una
qualità di vita ottimale, pur convivendo con una malattia cronica,
è certamente un buon motivo per impegnarsi in un programma
educativo e formativo rivolto al “controllo” della malattia e personalizzato in base alle esigenze del singolo paziente (3, 4).
Nel passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale in primo
piano troviamo senza dubbio le problematiche educative e di
aderenza alla terapia.
È indispensabile infatti, con il paziente adolescente, instaurare
un dialogo aperto alla conoscenza e ottenere una partecipazione assoluta al progetto educativo, evitando di sottostimare le
reali dimensioni del problema senza tuttavia arrivare ad una
dipendenza ansiosa dalla malattia stessa. L’adolescente infatti
spesso non osserva le prescrizioni terapeutiche né le norme
necessarie ad evitare i fattori scatenanti le crisi, probabilmente
per vergogna nei confronti dei compagni di gruppo o per la difficoltà ad accettare la propria malattia. A quest’età possono infatti insorgere maggiori resistenze nei confronti di tutto ciò che può
essere interpretato come una forma di controllo non gradito sulla
vita del ragazzo affetto da asma cronico in quanto i pazienti adolescenti si dimostrano meno aderenti al regime terapeutico
rispetto ai bambini più piccoli, solitamente gestiti dai genitori
caregivers. Ciò si traduce in un incremento, proprio in età adolescenziale, degli eventi asmatici fatali, anche a causa dell’inizio, a
quest’età, di abitudini scorrette, quali il fumo di sigaretta (5-10).
Nell’ambito delle Linee Guida G.I.N.A. (1) un’ampia parte è dedicata all’aspetto educazionale del paziente asmatico. Presso la
nostra Unità Operativa è attivo un programma di self-management, il cui scopo è quello di coinvolgere non solo i bambini
asmatici ed i loro familiari, ma anche gli insegnanti e gli allenatori sportivi, importanti sia per il tempo trascorso col paziente, sia
per il loro ruolo formativo. Il progetto educativo prevede un processo continuo, che, iniziato al momento della diagnosi, è portato avanti nel corso dei successivi incontri ad 1-3-6 mesi, durante
i quali vengono valutati il controllo dei sintomi, la compliance alla
terapia, l’adeguamento nella scelta dei farmaci e la correttezza
dei bisogni educativi, come codificato dalle Linee Guida G.I.N.A.
L’efficacia di tale programma formativo viene valutata attraverso
un apposito questionario somministrato alle famiglie. Il questionario, costituito da otto items, ha lo scopo di effettuare una corretta valutazione dei bisogni educativi, consentendo in tal modo
di attuare un programma educazionale efficace. Dalle risposte
ottenute finora è emerso che l’asma viene percepita come una
malattia respiratoria dal 28% dei pazienti (pz), come una sensazione di soffocamento dal 40% dei pz, come un’infiammazione
delle vie aeree dall'11% dei pz, come un broncospasmo scatenato da reazioni di natura allergica dal 13% dei pz, come tosse
secca dal 4% dei pz. Alla fine del percorso formativo la quasi
totalità dei pz esaminati (93%) riconosce i sintomi dell’asma ed il
71% ne sa individuare i fattori scatenanti. L’80% sa gestire l’attacco acuto d’asma, il 55% usa i farmaci come prescritto, il 68%
sa come prevenire l’attacco d’asma. Il 79% dei genitori è consapevole del ruolo fondamentale svolto da una corretta profilassi
ambientale nella prevenzione della malattia asmatica e la esegue
costantemente , il 78% riconosce i fattori scatenanti e cerca di
prevenirli. Tuttavia solo il 58% sa cos’è il turbohaler e/o il diskhaler e/o l'aerochamber.
I risultati finora emersi confermano l’importanza di un adeguato
programma educativo nella gestione del bambino asmatico. La
consapevolezza dei genitori e dei giovani pazienti nei riguardi
della profilassi da attuare e dei farmaci da assumere, sia durante l’episodio acuto sia nella terapia di fondo, è risultata fondamentale nel determinare una migliore gestione della malattia.
In definitiva è possibile affermare che un corretto programma
educazionale ha consentito di ottenere un adeguato controllo dei
sintomi, una riduzione dell’utilizzo dei farmaci e delle strutture
sanitarie, una minore perdita delle giornate scolastiche, facilitando così la gestione della malattia da parte della famiglia e
migliorando la qualità di vita e di relazione del paziente, specie in
età adolescenziale.
Bibliografia
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Corrispondenza:
Dott.ssa Elisa Anastasio
Cattedra di Pediatria
Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro,
c/o Azienda Pugliese Ciaccio, Catanzaro
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Le rinosinusiti acute in età
adolescenziale: aspetti diagnostici
e terapeutici
Antonietta Santelli, Giacomo Santoro, Giuseppe De Martino, Bambina Russo, Franca Imbroinise, Maria D’Andrea
Presidio Ospedaliero di Paola - ASP di Cosenza - U.O.C. di Pediatria.
Riassunto
Si definisce rinosinusite l’infiammazione di uno o più seni paranasali, la cui causa più comune è un a infezione. Si classifica sulla base della durata dei sintomi in acuta, subacuta, cronica e ricorrente.
L’incidenza di questa patologia varia tra lo 0,5% e il 10% secondo vari autori. In genere fa seguito ad una infezione virale delle alte vie respiratorie i cui sintomi nasali, quale la rinorrea, persistono oltre il limite di 10 giorni.
I germi in causa nelle forme acute e subacute sono lo S. Pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis. La diagnosi di rinosinusite acuta batterica va posta in base a soli criteri anamnestici e clinici (persistenza della rinorrea purulenta o scolo
nasale posteriore superiore a 10 giorni, specie se accompagnata da altri sintomi).
La terapia antibiotica nelle forme lievi è raccomandata allo scopo di ottenere una più rapida risoluzione dei sintomi, mentre è tassativa nelle forme gravi per evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze.
Le tecniche di imaging (TC e RM) non sono necessarie per confermare la diagnosi di rinosinusite acuta batterica non
complicata, riservandole solo a quei casi in cui la diagnosi è dubbia o è presente una complicazione o non vi è risposta
ad appropriata terapia antibiotica.
Tra gli antibiotici, l’amoxicillina o l’associazione amoxicillina–acido clavulanico e le cefalosporine di 2° o 3° generazione,
sono da preferire tenendo conto dell’eziologia della rinosinusite acuta e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi
farmaci.
La terapia topica nasale ha lo scopo di ridurre l’edema del complesso osteomeatale e favorire il drenaggio delle secrezioni delle cavità nasali e i corticosteroidi topici rappresentano un valido aiuto in tal senso.
La terapia chirurgica è indicata nelle forme di rinosinusite acuta complicata.
Si definisce rinosinusite l’infiammazione di uno o più seni paranasali, la cui causa più comune è un a infezione. Si classifica sulla base della durata dei sintomi in acuta, subacuta, cronica e ricorrente.
L’incidenza di questa patologia varia tra lo 0,5% e il 10% secondo vari autori. In genere fa seguito ad una infezione virale delle alte vie respiratorie i cui sintomi nasali, quale la rinorrea, persistono oltre il limite di 10 giorni.
I germi in causa nelle forme acute e subacute sono lo S. Pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis. La diagnosi di rinosinusite acuta batterica va posta in base a soli criteri anamnestici e clinici (persistenza della rinorrea purulenta o scolo
nasale posteriore superiore a 10 giorni, specie se accompagnata da altri sintomi).
La terapia antibiotica nelle forme lievi è raccomandata allo scopo di ottenere una più rapida risoluzione dei sintomi, mentre è tassativa nelle forme gravi per evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze.
Le tecniche di imaging (TC e RM) non sono necessarie per confermare la diagnosi di rinosinusite acuta batterica non
complicata, riservandole solo a quei casi in cui la diagnosi è dubbia o è presente una complicazione o non vi è risposta
ad appropriata terapia antibiotica.
Tra gli antibiotici, l’amoxicillina o l’associazione amoxicillina–acido clavulanico e le cefalosporine di 2° o 3° generazione,
sono da preferire tenendo conto dell’eziologia della rinosinusite acuta e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi
farmaci.
La terapia topica nasale ha lo scopo di ridurre l’edema del complesso osteomeatale e favorire il drenaggio delle secrezioni delle cavità nasali e i corticosteroidi topici rappresentano un valido aiuto in tal senso.
La terapia chirurgica è indicata nelle forme di rinosinusite acuta complicata.
Parole chiave: rinosinusite, fisiopatologia, diagnosi, terapia, adolescenza.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Manca titolo in inglese
Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx
Summary
Acute bacterial rhinosinusitis is generally due to the propagation of a nasal inflammation and may involve
one or more paranasal sinuses. Depending on how long the disturbances lasts, it is classified as acute, sub-acute, acute
recurrent and chronic.
The incidence of this pathology lies in a range of between 0,5% and 10% depending on which author is reporting. Usually
secondary to a viral infection (Rhinovirus, parainfluenzal virus 1,2,3, syncytial respiratory virus, adenovirus, enterovirus) it
complicates follwing bacterial attack (S. pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis, anaerobic Streptococchi and
Bacteroides). All the experts recommend basing a diagnosis of acute bacterial rhinosinusitis on clinical criteria in children who present with persistent or severe upper respiratory symptoms( persistence of purulent nasal or post-nasal draining lasting at least 10 days, especially if accompanied by symptoms and signs and at which point antibiotic treatment
has to be recommended.
Appropriate antibacterial therapy should be recommended if the draining has been present for less time, but is concomitantly associated with significant fever localized signs of sinus inflammation.
Imaging studies are not necessary to confirm the diagnosis of clinical rhinusinusitis for the purposes of treatment, but
should be reserved for cases in which the diagnosis is in doubt or a complication is suspected , and for patients with
recurrent or chronic rhinosinusitis.
Under these circumstances, a CT scan is the preferred evaluation. Systemic acute rhinosinusitis therapy consists mostly
of antibiotic treatment. Amoxcillin is the drug of choise for treatment of acute rhinosinusitis, with second and third-generation cephalosporins. Other important therapeutic aids are those aimed at facilitating the reduction of the mucous oedema of the osteo-meatal complexes and drainage of secretions from the paranasal cavities and use of nasal washing with
physiological solution. Topical corticosteroids represent a usefull class of drugs for the management of rhinosinusitis.
Surgical therapy is used on acutely complicated forms.
Key words: rhinosinusitis, phisiopatology, diagnosis, therapy, adolescence .
luogo, una corretta diagnosi di rinosinusite richiede la concordanza tra i segni clinici e i dati strumentali, ed infine, altro aspetto che deve essere preso sempre in attenta considerazione è
che i seni paranasali non sono tutti presenti alla nascita, poiché,
per ciascuno di essi, la pneumatizzazione avviene con modalità
e tempi differenti (Figura 1) .
E’ pertanto evidente che il sospetto di una patologia flogistica
rino-sinusale dovrà essere sempre correlata al dato cronologico
della comparsa di tali strutture anatomiche (Figura 2).
La rinosinusite è solitamente dovuta ad un’infezione virale nasale, generalmente causata da rhinovirus, virus parainfluenzale,
virus respiratorio sinciziale, adenovirus
ed enterovirus, a cui se non trattata, può
sovrapporsi un’infezione batterica.
In caso di infezione batterica, i microrganismi più frequentemente coinvolti sono:
S. pneumoniae (30-40%), H. influenzae
(20-30%), M. catarrhalis (20-30%), nella
rinosinusite acuta; mentre prevalgono i
germi anaerobi nella rinosinusite cronica
(in particolare Streptococchi anaerobi e
Bacteroides), il cui sviluppo è favorito
dalle condizioni di anaerobiosi e dalle
alterazioni del pH del muco, tipiche delle
Figura 1. Cronologia della pneumatizzazione dei seni paranasali nei primi anni di vita.
Si definisce rinosinusite acuta un’infezione di uno o più seni
paranasali che può essere di origine virale o batterica e si preferisce utilizzare questo termine invece che quello di sinusite,
vista la continuità anatomica tra cavità nasali e paranasali considerandole come una unica unità funzionale rinosinusale.
L’incidenza di tale patologia si aggira attorno ad un range compreso tra lo 0.5% e il 10% a seconda degli Autori.
Queste notevoli differenze di dati sono legate a molteplici fattori,
in primo luogo occorre tener presente le frequenti infezioni delle
alte vie respiratorie di natura virale, nelle quali, non di rado, coesistono e si confondono i processi rinosinusitici. In secondo
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 1. Agenti eziologici della rinosinusite.
Sinusite acuta
Streptococcus pneumoniae
Haemophilus influenzae
Moraxella catarrhalis
Batteri aerobi
Staphilococco aureus
Enterobacteriacee
Pseudomonas aureginosa
Sinusite cronica
Batteri anaerobi
Batteri fusiformi
Propionibacterium acnes
Peptostreptococcus
Prevotella
Figura 2. Interessamento flogistico nasosinusale a seconda dell’età.
cavità chiuse (Tabella 1). Requisito fondamentale per una integrità funzionale dei seni paranasali è che vi sia un continuo
scambio aereo con le cavità nasali ed una normale clearance
mucociliare, in grado di veicolare le secrezioni endosinusali
verso l’esterno. Nell’insorgenza delle rinosinusiti acute si riconoscono tre diversi aspetti patogenetici:
1. ostruzione degli osti di comunicazione (di natura meccanica o
più spesso dovuta a cause flogistiche o di altra natura) che
causa edema della mucosa, in particolare a livello del meato
medio, dove è situato l’ostio di comunicazione dei principali
seni (Figura 3);
2. difetti del trasporto muco-ciliare (secondari a cause congenite come la S. delle ciglie immobili e fibrosi cistica) ma spesso
indotti dalle infezioni batterico-virali che danneggiano l’epitelio pseudostratificato ciliato di rivestimento dei seni causando
un insufficiente trasporto mucociliare (TMC) ed il conseguente accumulo di secrezione mucosa. Tutto ciò favorisce l’impianto e la moltiplicazione di una flora batterica piogena e l’intervento delle cellule delle flogosi (Figure 4-5-6);
3. alterazioni qualitative e quantitative del muco (dovute alla ipersecrezione delle ghiandole mucose e al rallentamento o blocco del trasporto muco-ciliare, responsabile del cambiamento
3
4
Figura 3. Fisiopatologia
delle riniti.
5
Figura 4. Eziopatogenesi
della formazione
dell’essudato catarrale.
Figura 5. Cause di
sovrainfezione batterica.
Figura 6. Citologia nasale.
Il rinocitogramma è
caratterizzato da numerosi
neutrofili e batteri.
11
6
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
dei caratteri fisico-chimici dell’essudato rappresentati da un aumento della viscosità e da un
aumento del pH che a loro volta accentuano l’ostruzione degli osti e i difetti del TMC).
Questi tre eventi patogenetici si integrano in un circolo vizioso che progressivamente favorisce il processo sinusitico (Figura 7 a / b).
La rinosinusite si classifica sulla base della durata dei sintomi in:
rinosinusite acuta, caratterizzata da sintomi
persistenti per più di 10 giorni, ma meno di 30;
rinosinusite subacuta batterica, caratterizzata
da sintomi persistenti per più di 30 giorni ma
meno di 90;
rinosinusite cronica, caratterizzata da sintomi
persistenti per più di 90 giorni;
rinosinusite acuta ricorrente, definita da almeno tre episodi in sei mesi o almeno quattro episodi all’anno di rinosinusite acuta, separati l’uno
dall’altra da periodi di almeno 10 giorni, nei quali
il paziente è totalmente asintomatico.
Il quadro clinico è eterogeneo e varia nell’espressività a seconda dell’età del soggetto, della durata dei sintomi stessi e soprattutto della gravità.
Sulla base della gravità la forma acuta si distingue in lieve e grave (Tabella 2).
In età adolescenziale spesso compare oltre ai
sintomi nasali anche la cefalea, espressione dello
sviluppo nella diploe cranica dei seni frontali e
sfenoidali che insieme alle connessioni vascolari
esistenti tra le ossa craniche e le meningi, rendono le complicanze delle rinosinusiti frontali o sfenoidali isolate, più gravi delle altre rinosinusiti per
la possibile diffusione dei batteri dai seni interessati alle strutture intracraniche. Quindi i sintomi clinici della rinosinusite sono età dipendente.
I sintomi più frequentemente presenti sono riportati nella Tabella 3.
La rinosinusite acuta può spesso andare incontro a complicanze, che derivano dalla diretta estensione del processo infettivo
alle zone vicine, in particolare all’orbita e alle strutture endocraniche per continuità o attraverso i vasi sanguigni (Tabella 4).
Le complicanze che interessano l’orbita sono quelle di maggiore
frequenza perché costituiscono il 90% del totale. In generale, il 3%
dei casi di rinosinusite può complicarsi con la comparsa di cellulite orbitaria.
Figura 7a. Ciclo sinusale normale.
Figura 7b. Ciclo sinusale patologico.
Tabella 2. Sintomi di esordio della rinosinusite.
Forma lieve
Rinorrea mucosa o purulenta
Tosse diurna
Febbre assente o febbricola
Alitosi
Edema orbitario (eccezionale)
Forma grave
Febbre elevata (≥ 39°)
Compromissione dello stato generale
Rinorrea purulenta
Tosse diurna e notturna
Edema orbitario
Cefalea
Alitosi
Inquadramento diagnostico
La diagnosi di rinosinusite acuta va posta in base a soli criteri
anamnestici e clinici in soggetti che accusano sintomi di infezione
acuta delle vie aeree superiori, con caratteristiche di elevata gra-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
In pratica la diagnosi di rinosinusite acuta batterica può essere
posta se:
un’infezione della via aerea superiori non tende a risolversi nè
a migliorare nell’arco di 10 giorni e tutti o parte dei sintomi presenti all’esordio (rinorrea, tosse prevalentemente notturna, febbricola) persistono oltre questo intervallo temporale;
un’infezione delle vie aeree superiori decorre fin dall’inizio con
un quadro di notevole gravità (febbre elevata, compromissione
dello stato generale, rinorrea purulenta, cefalea, dolori al viso)
che permane invariato per almeno 3 o 4 giorni o tende ad evolvere negativamente per la comparsa di complicanze oculari o
endocraniche;
un’infezione delle vie aeree superiori si risolve completamente
nel giro di 3 o 4 giorni, ma prima della scadenza del 10° giorno si ripresenta con tutti i suoi sintomi (febbre, rinorrea, tosse).
L’esame obiettivo, tranne nei casi gravi, specie se complicati da
alterazioni oculari o endocraniche, non contribuisce in modo
sostanziale alla diagnosi perché i riscontri clinici in corso di rinosinusite acuta batterica sono spesso sovrapponibili a quelli di una
comune infezione delle vie aeree superiori.
In entrambi i casi la semplice rinoscopia anteriore, che permette la visualizzazione della porzione anteriore delle fosse nasali,
solo in alcuni casi consente di osservare il turbinato medio ed il
meato medio, rivelando una mucosa eritematosa ricoperta di
essudato mucoso o mucopurulento con edema.
Tutto ciò resta insufficiente, in quanto non permette di visualizzare
le regioni anatomiche di maggiore rilievo quali: i complessi osteomeatali, la regione etmoidale, la fessura olfattoria, il rinofaringe.
La rinoscopia posteriore, invece, consente di visualizzare il rinofaringe, ma, richiedendo un’attiva partecipazione del paziente, la
sua esecuzione in età pediatrica risulta spesso difficile.
L’uso di una qualsiasi tecnica diagnostica per immagini non è
necessaria per la conferma di diagnosi clinica di rinosinusite acuta
batterica, ma dovrebbe essere riservata ai soli casi nei quali la diagnosi è in dubbio o complicata in pediatria. Sebbene non sia possibile una visione diretta dei seni, l’esame nasale con l’endoscopio
è il mezzo migliore per ottenere informazioni cliniche significative
riguardo ai seni.
L’endoscopia nasale, sia con ottiche rigide che flessibili a seconda delle età e della collaborazione del paziente, permette di obiettare la presenza o meno di secrezioni mucopurulente provenienti
dagli osti sinusali (Figura 8); tale reperto rappresenta un segno
patognomonico di rinosinusite acuta.
La radiografia dei seni paranasali, un tempo largamente utilizzata, non consente di evidenziare i punti chiave della diagnostica
per immagine e cioè il complesso osteo-meatale (COM) ed il
recesso sfeno-etmoidale (RSE) e visualizza in modo inadeguato
l’etmoide e lo sfenoide. Si tratta quindi di una tecnica diagnostica
superata da tecniche più affidabili e precise, quali la tomografia
computerizzata (TC) del massiccio facciale, la risonanza
magnetica (RM) del massiccio facciale.
La TC attualmente è il gold standard per la diagnosi di rinosinusi-
Tabella 3. Quando sospettare una rinosinusite.
Rinorrea muco purulenta che persiste oltre i 10 gg.
Tosse (diurna e notturna)
Scolo retrofaringeo muco purulento
Febbre (non elevata)
Cefalea e dolore al volto
Edema peri-orbitale
Alitosi
Tabella 4. Complicanze della rinosinusite.
Interessamento
dell’orbita
Edema orbitario
Cellulite pre-settale
Cellulite post-settale
Ascesso sottoperiostale
Ascesso orbitario
Trombosi del seno cavernoso
Interessamento
intracranico
Empiema epi-durale
Empieva sub-durale
Meningite
Encefalite
Ascesso cerebrale
Infarto cerebrale
Interessamento
sottogaleale
Osteomielite
vità o di significativa persistenza, o che si ripresentino entro breve
tempo dopo un’apparente risoluzione.
Nella maggior parte dei casi, un’infezione virale delle vie aeree
superiori tende a risolversi spontaneamente nel giro di 5 o 7 giorni o che comunque presenta un significativo miglioramento entro
10 giorni dall’inizio. Inoltre, un’infezione virale della via aerea superiore non si manifesta mai con un quadro di notevole gravità.
Figura 8.
Endoscopia
nasale.
13
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Figura 9a. Cellulire presettale: aspetto alla Tomografia assiale
computerizzata (TC). Si noti l’ispessimento dei tessuti molli (*)
senza estensione post settale ne formazione di ascesso.
Figura 9b. Ascesso sottoperiostale post settale. L’asterisco indica la
raccolta liquida laterale alla lamina papiracea (freccia corta) e mediale
rispetto al muscolo retto mediale (freccia lunga).
te ed ha i pregi nell’ottima risoluzione dei tessuti molli e delle strutture ossee. Si tratta di un’indagine molto sensibile e deve essere
sempre utilizzata nel contesto dell’anamnesi e dell’esame clinico.
La sua esecuzione è considerata appropriata nei casi di rinosinusite grave complicata ed in quelli che, con forme estremamente
persistenti anche se lievi o con ampia recidività, non rispondono al
trattamento medico (Figura 9 – a / b).
Le immagini riguardanti la patologia infiammatoria naso-sinusale
della RM non eguaglia quella della TC, anche se consente una più
analitica definizione dei tessuti molli interessati dai processi infiammatori con partenza dai seni e, pertanto, il suo impiego è fondamentale in caso di complicanze orbitali e/o extra-orbitali intracraniche (Figura 10 – a / b).
Per quanto riguarda le altre indagini diagnostiche:
l’aspirazione del seno paranasale è considerata il gold standard per la diagnosi di rinosinusite batterica, ma è invasiva e
dovrebbe essere eseguita solo in pazienti immunocompromessi, in cui può essere fondamentale mettere in evidenza l’a-
gente eziologico o, comunque, in casi in cui la terapia non ha
portato a risoluzione del quadro;
la citologia nasale, che può essere utile nelle forme ricorrenti, seppur semplice da eseguire, ha attualmente scarso rilievo
nella diagnostica rinosinusale acuta:
l’ecografia dei seni paranasali si ritiene superata all’approccio della rinosinusite;
la biopsia della mucosa paranasale si rende necessaria
solo in casi i sinusite micotica in pazienti immunocompromessi, nei pazienti con dismotilità ciliare.
Terapia
Terapia sistemica
Gli obiettivi principali nell’ambito terapeutico sono:
le eradicazioni delle infezioni;
Figura 10a. Ascesso
cerebrale secondario
a rinosinusite.
L’asterisco indica
l’ascesso,
le frecce l’edema
vasogenico.
10a
Figura 10b. Empiema
intracranico da
rinosinusite sfenoidale.
La RM rivela una
completa opacizzazione
del seno sfenoidale (*)
e una discreta raccolta
purulenta in fossa
cranica media (freccia).
14
10b
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Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici
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11a
11b
Figura 11a. Schema
di penetrazione dello
spray predosato.
Figura 11b. Immagine
scintigrafica dello spray
predosato.
la riduzione della durata della malattia ;
la prevenzione delle recidive.
La scelta dell’antibiotico e il suo dosaggio devono tener conto dell’eziologia della rinosinusite batterica e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi farmaci.
In Italia, lo S. pneumoniae è resistente alla penicillina e ai macrolidi con percentuali rispettivamente del 20% e 40% dei casi, l’H.
influenzae è resistente alla amoxicillina fino al 30% mentre è quasi
totale la resistenza della M. catarrhalis .
È raccomandata la necessità di eseguire terapia per via endovenosa nelle forme gravi complicate con farmaci che coprano tutte
le possibili resistenze.
Nelle forme lievi di rinosinusite acuta, l’amoxicillina alla dose di
50mg/kg/die in tre dosi rappresenta il farmaco di prima scelta perché il rischio di un fallimento terapeutico con questo antibiotico è
teoricamente molto basso.
Si può, inoltre, considerare che almeno il 15% delle forme S. pneumoniae, il 50% da H. influenzae e il 50-75% di quelle da M.catarrhalis possono guarire spontaneamente.
Tenendo conto della prevalenza di ciascuno di questi batteri nella
rinosinusite acuta batterica e delle rispettive percentuali di resistenza, si può calcolare che il rischio di fallimento della terapia con
amoxicillina è non superiore al 10%, un valore accettabile.
Nei soggetti che abbiano ricevuto terapia antibiotica nei precedenti 90 giorni, che frequentino la comunità infantile o che presentino patologia locale o generale atta a favorire infezioni da germi
resistenti agli antibiotici, l’amoxacillina va sostituita con l’associazione amoxicillina-acido clavulanico (80-90 mg/kg/die in 3 dosi) o
con acetossietilcefuroxima (30 mg/kg/die in 2 dosi) o con cefaclor
(50 mg/kg/die in 2 dosi).
La durata della terapia consigliata è di 10-14 giorni nella rinosinusite acuta lieve.
La rinosinusite acuta grave complicata va trattata con antibiotici
per via endovenosa e possono essere considerati di prima scelta
i seguenti: il ceftriaxone (100 mg/kg/die in dose unica), cefotaxima
(100 mg/kg/die in 3 dosi), amoxicillina - acido clavulanico (100
mg/kg/die in 3 dosi), ampicillina - sulbactam (100 mg/kg/die in 3
dosi). Le forme acute gravi senza apparente complicazione possono essere trattate con amoxicillina - acido clavulanico (80-90
mg/kg/die in 3 dosi).
Il passaggio alla terapia endovenosa può essere previsto quando,
dopo 24-48 ore, non vi sia un miglioramento. La durata ottimale
delle forme gravi è di 14-21 giorni.
La profilassi antibiotica non è raccomandata per la rinosinusite.
Terapia topica nasale
La terapia inalatoria rappresenta una valida tecnica terapeutica per
la sicurezza, la facilità d’uso e la non invasività anche in età pediatrica. Il corretto approccio terapeutico alla rinosinusite, fondato,
prima di tutto, nell’eliminare i microrganismi responsabili con antimicrobici sistemici, non può prescindere dal trattare l’edema
mucosale del COM e del RSE, “centraline fisiopatologiche”,
migliorandone ventilazione, drenaggio e clearance mucociliare.
Tutti gli autori sono concordi nel trattare l’edema mucosale del
COM e del RSE con corticosteroidi topici, associando, eventualmente, la detersione endonasale con soluzioni saline e/o farmacologiche, mediante doccia nasale micronizzata: il motivo risiede
nel rimuovere meccanicamente, laddove presenti, le secrezioni
muco-purulenti favorendo l’azione dei corticosteroidi.
Risultati positivi in termine di miglioramento dei sintomi nasali,
della tosse sono stati osservati con l’utilizzo di soluzioni saline ipertoniche in bambini di età compresa tra 3 e 16 anni con rinosinusite cronica.
Nella terapia delle rinosinusiti, acute e croniche riacutizzate, il sistema spray nasale predosato-corticosteroide rappresenta la formulazione terapeutica più avanzata e contemporaneamente di più
semplice impiego per ripristinare il drenaggio, la ventilazione e la
normale clearance mucoliare del COM e del RSE., in grado di ottimizzare la compliance del paziente (Figura 11 a / b).
Negli ultimi anni vi è stato interesse sulla possibilità di utilizzo di
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Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
antibiotici topici da somministare per via inalatoria nel trattamento
della rinosinusite. Non vi sono dati pediatrici né studi randomizzati controllati su questo argomento, di conseguenza l’impiego di
antibiotici per via inalatoria non risulta attualmente raccomandato
nella terapia della rinosinusite.
L’utilizzo di decongestionanti, espettoranti, mucolitici e vasocostrittori non è raccomandato nella terapia della rinosinusite acuta,
ed in assenza di allergie dimostrate, non sono raccomandati pure
gli antistaminici.
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Le complicanze della rinosinusite acuta sono rare, ma mettono il
soggetto in una situazione di grave pericolo a causa della sottigliezza della parete dei seni.
Le complicanze che interessano l’orbita sono quelle più comuni
rispetto a quelle del sistema nervoso centrale e possono avere una
gravità differente, espressa in 5 gruppi :
1. edema (cellulite presettale);
2. cellulite orbitale;
3. ascesso subperiosteo;
4. ascesso orbitario;
5. trombosi seno cavernoso:
Secondo Oxford e McClay, i pazienti con solo edema dell’orbita
possono essere trattati con terapia antibiotica orale o parenterale,
mentre per quelli con sintomi del IV° o V° gruppo è necessaria terapia intravenosa antibiotica.
Qualora siano dimostrabili alterazioni della funzione oculare, estroflessione del bulbo oculare o segni neurologici suggestivi di problematiche endocraniche, è tassativo sia eseguire immediatamente le indagini di diagnostica per immagini (TAC e/o RM) utili a verificare l’entità del danno e la necessità di un intervento chirurgico,
sia richiedere consulenze multidisciplinari (oculista, otorinolaringoiatra e neurochirurgo).
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Manca corrispondenza
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Le meningoencefaliti acute
in età adolescenziale:
aspetti diagnostici e terapeutici
Chiara Lolli
Pediatra di famiglia, Cosenza
Riassunto
L’insorgenza di un caso di meningite nella comunità è sempre fonte di notevole allarme sia per l’effettiva
gravità clinica del paziente , sia perché può essere associata al rischio di epidemie.
La meningite è una infiammazione delle meningi: tre sottili membrane che rivestono l’encefalo e il midollo spinale. In
particolare, la meningite nasce all’interno dello spazio sabaracnoideo, che si trova tra la media e la più interna delle lamine: l’Aracnoide e la Pia Madre.
La malattia che generalmente è di origine infettiva può essere virale o batterica e può evolvere in un quadro meningoencefalitico ed encefalomielitico. La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune in età adolescenziale: solitamente non ha conseguenze gravi e si risolve nell’arco di una decina di giorni.
La forma batterica, invece, è più rara, estremamente più seria e anche con conseguenze fatali. L’agente batterico più
temuto è la Neisseria meningitidis detto meningococco, identificato per la prima volta nel 1887.
I primi sintomi della meningite possono facilmente essere confusi con quelli dell’influenza: solitamente il peggiorano
avviene nell'arco di un paio di giorni, ma in qualche caso, la decorrenza della malattia è estremamente rapida con
rischio di un danno cerebrale o di morte
La diagnosi si effettua con un’analisi del contenuto del liquor e con una coltura batterica: un intervento tempestivo può
costituire l’unica possibilità per salvare la vita del ragazzo.
Parole chiave: meningoencefaliti, adolescenti, complicanze.
Acute meningoencephalitis in adolescence:
diagnostic and therapeutic aspects
Summary
A new case of meningitis causes widespread alarm in communities because of both patient’s clinical gravity and epidemic disease risk. Meningitis is an inflammation of the meninges, which is a system of membranes covering
the brain and the spinal cord. The meninges consist of three layers: the Dura Mater, the Arachnoid Mater and the Pia Mater
which is the deepest one. Meningitis developes between Arachnoid and Pia Mater in the so called subarachnoid space.
Meningitis is usually caused by a viral or bacterial infection and it can develop in meningoencephalitis or
encephalomyelitis.Viral meningitis, also called aseptic meningitis, is the most common between adolescents. It is usually less severe and resolves without specific treatment in about ten days. Bacterial meningitis is rare but it is a medical
emergency and has a high mortality rate if untreated. The most dreaded organism is Neisseria Meningitidis also called
meningococcus, which has been identified for the first time in 1887. The first symptoms of meningitis can easily be confused with flu ones; we usually have worsening in about two days but in some case the illness can take a rapid course
with cerebral disease and death’s risk. The diagnosis is usually made by growing bacteria from a sample of spinal fluid.
A well-timed treatment is the only possibility to save the patient.
Key words: meningoencephalitis, adolescents, complications.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
della malattia meningococcica è legata alla sua rapida progressione e, nonostante la diagnosi precoce e la terapia medica, il
tasso di letalità è ancora piuttosto elevato con il 10% nel caso di
meningite e il 50% in caso di sepsi. Inoltre, qualora la diagnosi e
la terapia non siano tempestive si possono avere danni neurologici come cecità, sordità, paralisi, amputazioni di arti e ritardo
mentale (1).
Dei 13 sierogruppi esistenti, così suddivisi in base alla costituzione della parete esterna del batterio, il tipo B e C sono quelli più
frequenti in Italia ed in Europa.
La maggior parte dei casi, in Italia, si presentano come casi sporadici nei mesi invernali e primaverili, mentre non sono rari piccoli
focolai epidemici chiamati “cluster”, come quello verificatosi nel
Veneto (1, 6). Il contagio avviene da persona a persona con contatti stretti, mediante goccioline e secrezioni infette del naso e
della gola in ambienti affollati, mentre il batterio non riesce a
sopravvivere nell'ambiente, né in alimenti, bevande o su oggetti.
Il periodo di incubazione è breve, pari a 24-72 ore. I fattori individuali che sembrano aumentare il rischio di malattia meningococcica sono: alcune forme di immunodeficienza, una pregressa infezione del tratto respiratorio, il fumo passivo e la vita in
ambienti affollati.
In Italia, in confronto con gli altri paesi Europei ed extraeuropei,
la meningite ha una incidenza molto bassa, in progressiva diminuzione, anche grazie alla diffusione della vaccinazione. Mentre
grandi epidemie sono ancora presenti in Africa, America latina
ed Asia. Dal punto di vista clinico, i sintomi sono indistinguibili da
quelli delle meningiti causate da altri batteri, ma nel 10-20% questo germe può causare delle forme settiche rapidamente ingravescenti con decorso fulminante che, nonostante l’adeguata
terapia, può portare al decesso in poche ore.
La diagnosi viene effettuata con l’identificazione del microrganismo su campioni di liquido cerebrospinale o su sangue e il trattamento si basa soprattutto sulla terapia antibiotica mirata (5, 6).
La prevenzione dei casi secondari è basata sulla sorveglianza
dei contatti stretti per 10 giorni (8) e la chemioprofilassi capace
di ridurre del’ 89% il rischio di casi secondari tra i conviventi (9)
In Italia è operativo dal 1994 (10) uno speciale sistema di sorveglianza meningitico il SIMI ordinato dall'Istituto Superiore di
Sanità. Il sistema raccoglie sistematicamente dati sui nuovi casi
e sui microrganismi che li hanno causati e sulla loro tipizzazione.
Attualmente sono disponibili vaccini contro i sierogruppi A, C, Y
e W135, mentre non esistono vaccini per prevenire le meningiti
da gruppo B. Solo il vaccino contro il gruppo C è efficace nel
primo anno di vita. La sua efficacia in corso di epidemie è difficile da stimare data la rarità dei casi, viene comunque raccomandata quando l’incidenza è superiore a 10 casi per 100.000 abitanti nell’arco di tre mesi (5, 11).
Il focolaio epidemico verificatosi nel dicembre del 2007 nel
Veneto con sette casi di meningite nella zona tra Montebelluna e
Conegliano (1) ci offre l’opportunità di commentare i punti più
importanti per la gestione della sanità pubblica nel caso di malattie invasive come la meningite sia dal punto di vista epidemiologico che della prevenzione e del controllo della malattia.
La meningite è una infiammazione delle meningi: tre sottili membrane che rivestono l’encefalo e il midollo spinale. In particolare,
la meningite nasce all’interno dello spazio subaracnoideo che si
trova tra la media e la più interna delle lamine cioè tra l’Aracnoide
e la Pia Madre.
La malattia che generalmente è di origine infettiva può essere
virale o batterica e può evolvere in un quadro meningo-encefalitico ed encefalomielitico (2). La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune e non ha conseguenze gravi.
Tra i principali agenti gli enterovirus (coxsackie ed echovirus )
sono i maggiori responsabili delle meningiti in eta’ adolescenziale (80% dei casi) (1, 3, 4). La meningite virale compare dopo un
periodo di incubazione di 3-6 giorni: è contagiosa solo nella fase
acuta dei sintomi e nei giorni immediatamente precedenti l’esordio (5). La sintomatologia non presenta elementi patognomonici
e il quadro dell’encefalite può essere preminente con confusione, coma, comizialità ed emiparesi. È sempre a liquor limpido;
solitamente non ha sequele e si risolve nell’arco di una decina di
giorni. La diagnosi si effettua con l’isolamento del virus dal liquor,
con la sierologia e con la ricerca del genoma virale sul liquor
(PCR) (3, 5). Non è necessaria alcuna terapia se non quella di
sostegno. Altri virus come il virus della parotite e l’herpes virus
possono dare complicazioni meningee nel decorso della malattia primitiva (1).
La forma batterica invece, è meno frequente ma estremamente
più seria e può avere conseguenze fatali. La più temuta è la
meningite meningococcica che colpisce il 15% degli adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni (1).
Il meningococco è un batterio diplococcico gram- aerobico fornito di capsula polisaccaridica che è presente a livello delle
prime vie respiratorie nel 25% degli adolescenti definiti portatori
asintomatici. Lo stato di portatore induce la comparsa di anticorpi protettivi e evidenze scientifiche indicano che la malattia insorge in ragazzi che hanno acquisito da poco l’infezione: infatti solo
nell’1% dei casi il meningococco riesce a superare le difese dell’organismo provocando la meningite (6).
Solitamente l’infezione batterica origina in un altro punto del
corpo (otiti, sinusiti). Da qui i batteri possono invadere il torrente
circolatorio, attraversare le meningi, riprodursi nel liquido cerebro
spinale e, una volta raggiunta una certa carica, provocare l’infiammazione delle meningi (7). Il grave shock settico che si
accompagna alla malattia è dovuto alla diffusione dei meningococchi nel sistema circolatorio che liberano una potente endotossina capace di stimolare la produzione di proteine come il
TNF capace di determinare l’aumento della permeabilità vascolare all’estremità inducendo un collasso spesso letale. La gravità
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Le meningoencefaliti acute in età adolescenziale:
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
aspetti diagnostici e terapeutici
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http://www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=19
7.
http://www.geocities.com/HotSprings/Spa/5276/meningiti.htm
#meningite%20batterica
8.
American Academy of Pediatrics. Report of the Committee
on Infectious Diseases. Red Book, 26th edition, 2003
9.
Purcell B, Samuelsson S, Hahné SJM, et al. Effectiveness
of antibiotics in preventing meningococcal disease after a case:
systematic review. BMJ 2004; 328:1339.
10. http://www.simi.iss.it/
11. Advisory Committee on Immunization Practices. Control
and Prevention of serogrup C meningococcal disease: evaluation
and management of suspected outbreaks. MMWR, 1997, 46
(RR-5); 13-21.
Corrispondenza:
Dott.ssa Chiara Lolli
SS 18 Rende - 87030 (CS)
19
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Aspetti assistenziali
delle patologie infiammatorie
acute nell’adolescente
Maria Zanni
Az. Ospedaliera Cosenza, Cosenza
Oggi, ai bambini ammalati, sono riconosciuti specifici diritti sintetizzati sia nella “Carta dei diritti dei bambini e degli adolescenti in ospedale” redatta dalla SIP e dalla ABIO, sia nella carta di
EACH che riguarda più in generale il bambino ammalato.
Questo clima di sensibilità verso le necessità specifiche dei bambini, trovano nella figura dell’infermiere pediatrico il principale
attore del riconoscimento e dell’attuazione di tali diritti.
Il rapporto empatico che si crea con l’adolescente ammalato e
con la sua famiglia consente all’infermiere di interpretare gran
parte delle esigenze spesso inespresse.
La mancata espressione delle proprie esigenze, spesso determinato da esperienze precedenti o da condizioni economiche e
culturali, sfocia nella difficoltà di intraprendere rapporti interpersonali.
Compito precipuo dell’Infermiere, oltre a quello tradizionale di
assistenza sanitaria, è di dedicare particolare attenzione al processo comunicativo, fornendo risposte adeguate alle frequenti
domande e aiutando la famiglia a rielaborare ed accettare l’evento “malattia” del proprio figlio.
Quanto detto è sintetizzabile nell’acquisizione da parte
dell’Infermiere Pediatrico dei tre saperi:
SAPERE – è necessario che l’I.P. sia in grado di riconoscere
tempestivamente i segni e i sintomi di eventuali complicanze;
SAPER FARE – deve essere in grado di effettuare tutti quegli
interventi terapeutici necessari e prescritti, oltre a saper istruire i familiari sulle manovre che essi stessi potranno compire
nel corso della malattia;
SAPER ESSERE – entrare, come dicevo prima, in quel rapporto empatico con l’adolescente e la sua famiglia in modo
da interpretarne le reazioni, le esigenze psicologiche e fisiche
e poter attuare tutte le strategie necessarie alla riduzione del
disagio.
Nello specifico dell’assistenza sanitaria all’adolescente nelle patologie trattate dai precedenti relatori, mi soffermerò sulla meningoencefalite e sull’addome acuto mentre trascurerò la rinosinusite
nella quale il coinvolgimento infermieristico è alquanto marginale.
Entrambe rappresentano un’emergenza-urgenza che necessita
di ricovero ospedaliero.
All’accettazione di tali pazienti i primi interventi da parte dell’I.P.
saranno rivolti al rilevamento dei parametri vitali del giovane
paziente (applicazione di monitoraggio di FC – FR – PA – SatO2
– temperatura corporea) e rilievo di sintomatologia specifica che
possa essere d’aiuto alla diagnosi, oltre che alla sistemazione
del paziente al fine di diminuirne il disaggio e favorire tutti gli
interventi necessari.
Nello specifico di sospetto di meningoencefalite, l’intervento
caratterizzante è sicuramente l’esecuzione della Puntura
Lombare.
Intervento di non particolare difficoltà (effettuata dal medico che
la possiede nel proprio bagaglio fondamentale) ma delicata nell’esecuzione. È infatti necessaria una particolare e puntuale
attenzione alle norme di assoluta asepsi pur nell’esecuzione al
letto del paziente, luogo tutt’altro che asettico. Grande attenzione va riservata alla preparazione del carrello facendo attenzione
che tutto il necessario sia presente e facilmente raggiungibile. E’
utile preparare una check list che ne faciliti la rapida preparazione.
Grande importanza nella fase preprocedurale rivestono i rapporti con i familiari. La PL rappresenta ancora, nell’immaginario collettivo, una manovra estremamente cruenta a carico di un sistema, quello nervoso, evocatore di danni drammatici e irreparabili.
Fase particolarmente critica è rappresentata dalla capacità di far
accettare la terapia e le necessarie indagini ad un adolescente
che, molto spesso e soprattutto una volta superata la fase più
critica, tende a rifiutarsi di sottoporvisi a prescindere dalla comprensione della necessità ed urgenza della loro esecuzione.
Infine, ma non ultimo, è necessario richiamare l’attenzione sulla
attività “riabilitativa” nel periodo convalescenziale. È di grande
importanza la conoscenza di tecniche di manipolazione che,
oltre a portare indubbi benefici al giovane paziente, inducono alla
consapevolezza che il contatto con il suo infermiere non è
accompagnato solo da sensazioni sgradevoli.
20
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Il mondo degli adolescenti oggi
Carlo Pintor
Università degli studi di Cagliari
Gli anni ’70 rappresentano un’ epoca estremamente importante
per una serie di eventi alcuni positivi ed altri negativi che li hanno
caratterizzati. Si può infatti far riferimento a questo particolare
periodo che è responsabile di una profonda modificazione della
società attuale.
Alcuni di questi avvenimenti si riferiscono alla società in generale, altri hanno un particolare riferimento alla famiglia, alla scuola
e conseguentemente ai minori.
È infatti intorno a questo periodo che ha preso corpo (fatto assolutamente positivo, solo sotto certi aspetti) l’emancipazione femminile.
Ciò ha determinato l’assenza nel nucleo familiare dell’elemento
portante sopratutto in considerazione al fatto che ancora oggi
non si sono trovate alternative valide in particolare perchè l’elemento maschile, che avrebbe dovuto condividere gli oneri del
nucleo familiare, in realtà ancora oggi non ha assunto questo
ruolo particolare.
Giova inoltre ricordare che i motti del 68 anch’essi positivi sotto
certi aspetti, in realtà hanno finito per lasciare in eredità quasi
esclusivamente il permissivismo in contrapposizione al vecchio
autoritarismo.
Ciò ha portato ad una sempre più grave mancanza di assunzione di responsabilità degli adulti e conseguentemente dei giovani
e dei bambini.
È venuto a mancare sempre di più il percorso educativo cardine
in una società civile, che non può non essere conseguenza di
una famiglia sana, di una scuola sana e conseguentemente dell’utenza (bambini e giovani).
Altri 2 grossi eventi hanno contraddistinto pesantemente questo
periodo (con letture a seconda dei casi e delle singole ideologie
comunque positive o negative).
Dobbiamo infatti rammentare che è di questo periodo la legge
sul divorzio ed in seguito anche quella sull’aborto. Entrambi questi eventi hanno avuto un grosso impatto sulla società. In particolare sono stati e sono oggetto di profonde diatribe ancora non
risolte perchè prevalentemente l’uno e l’altro provvedimento, che
sia giudicato giusto o no, non è stato accompagnato da una
seria e profonda analisi e soprattutto dai percorsi scritti nella
legge che indicano nella prevenzione la strada maestra da
seguire.
Giova ricordare che anche qui non è possibile non denunciare
una profonda carenza dei percorsi conoscitivi e conseguentemente educativi.
Ma ancora è di questo periodo il primo allarme di un fenomeno
gravissimo che è andato diffondendosi a macchia d’olio, tant’è
che oggi i numeri sono veramente allarmanti: alcool e droga.
Ancora una volta una famiglia assente che è l’espressione di un
male dilagante di cui tanto si parla ma al quale non si trovano
rimedi: il dialogo genitori figli.
Sotto questo aspetto il dato più preoccupante è non solo il quotidiano incremento del fenomeno al quale prutroppo si accompagna con altrettanto rapido abbassamento dell’età di iniziazione.
Tant’è che già all’eta di sette/otto anni si fuma e si assumono droghe e spesso sotto i 10 anni si fa sesso.
Le cosiderazione su esposte sono le responsabili di una adolescenza sempre più negata. Se è vero infatti che l’inizio della adolescenza, scrive l’organismo mondiale della sanità, inizia ai 13/14
anni, in realtà questi elementi di vita vissuta non possono non
anticipare tale evento di diversi anni.
In una società inoltre nella quale è difficile trovare sbocco lavorativo o comnque staccarsi dal nucleo familiare, il termine della
adolescenza dovrebbe essere in realtà spostato ai 35/40 anni,
periodo in cui diversi “adolescenti” raggiungono un’autonomia
gestionale e finalmente tagliano il cordone ombelicale.
Corrispondenza:
Dott. Carlo Pintor
Via Scano, 5 - 09100 Cagliari
Telefono: 348/4151849
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La sessualità nei giovani:
condotte e trasgressioni
Federico Bianchi Di Castelbianco
Manca affiliazione
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nelle ragazze sembrano essere invece le paure dei ragazzi che
si avvicinano al vivere la sessualità. La masturbazione si delinea
invece come una realtà messa in atto maggiormente dai maschi,
nelle diverse fasce d’età analizzate, ma vissuta con maggior
senso di colpa dalle femmine; il petting sostituito con il toccarsi
e con l’atto sessuale e leggermente maggiore nei maschi. C’è
una sorta di “iniziazione” verso la sessualità, per cui viene sovente presa in considerazione l’esperienza con una prostituta ma
mai quella omosessuale.
Più nello specifico, si è visto come l’esperienza unica omosessuale, vissuta come momento di passaggio e con senso di
colpa, sia maggiore nei maschi, e che si traduce con allontanamento temporaneo dall’attività sessuale o ricerca di partner eterosessuali. Un senso di solitudine senza possibilità di interlocutori è quella che invece viene maggiormente percepita dall'adolescente omosessuale, che vive la sua diversità con vergogna
per una “sessualità sbagliata”.
L’adolescenza è una fase di sviluppo in cui si consolidano l’identità personale e di genere, attraverso una nuova elaborazione e rappresentazione di sé che include il sesso anatomico e
quello assegnato, da cui si attivano tumulti emotivi connessi con
la mascolinità e femminilità. Il corpo dell’adolescente è esibito
come mezzo di seduzione e provocazione, anche perché la quotidianità di tutti, e l’immaginario collettivo, sono sempre più invasi da corpi aggraziati, provocanti, snelli. Molto spesso l’avvicinarsi alla sessualità è accompagnato nell’adolescente dall’uso di
droghe o alcool, aventi lo scopo di permettere una maggiore
disinibizione, atti a giustificare il corteggiamento o assicurarsi “la
prestazione”, e che sembra essere collegato anche all’aumento
delle gravidanze indesiderate. Internet poi, che è ciò che l’adolescente usa maggiormente oggi, grazie a chat, webcam video e
foto, ha permesso l’incremento del sesso virtuale e della disparità di esperienze a disposizione del giovane. L’impotenza e l’eiaculazione precoce nei maschi, d il dolore e l’assenza di orgasmo
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Educare alla salute
Giampaolo De Luca
Pediatra di Famiglia
Coordinatore Nazionale Gruppo di Studio “promozione della salute” della SIMA - Responsabile Nazionale Formazione CIPe
Riassunto
Il pediatra di famiglia, rappresenta un riferimento educativo sanitario importante, non solo per il bambino
ma anche per tutta la famiglia. Tale funzione educativa viene svolta, prevalentemente, nell’ambulatorio del pediatra, nel
corso di particolari visite filtro definite “ bilanci di salute”. Il pediatra di famiglia dovrebbe, invece, essere coinvolto più
attivamente in progetti educativi sanitari, svolti all’interno della scuola, o nelle comunità frequentate da bambini ed adolescenti.
Parole chiave: educare alla salute, bilanci di salute, scuola.
Train to health
Summary
The family paediatrician is an important source of health education for children and their family. The paediatrician generally perform this educational role in his office, during specific outpatients called “well-child visits”.
However, we believe that the family paediatrician should have a more active role in health education projects in the
schools, and the communities where children and adolescents are active..
Key words: health aducation, well-child visit, school.
Introduzione
La pediatria di famiglia da tempo svolge una funzione educativa
sanitaria nei confronti dei propri assistiti e delle loro famiglie. Tale
attività viene svolta nel corso dei bilanci di salute. Il pediatra di
famiglia potrebbe essere utilizzato anche nella scuola, come
esperto, in occasione della programmazione delle attività educativo sanitarie.
no (1, 2). Attraverso i bilanci di salute il pediatra sarà in grado
anche di identificare, nel momento opportuno, particolari segni,
sintomi o comportamenti che permettono una precoce diagnosi
di condizioni patologiche, ed una identificazione dei fattori di
rischio modificabili (3).
Il pediatra, negli ultimi anni, sta già dedicando una maggiore
attenzione all’educazione sanitaria, anche se studi di verifica dell’efficacia di tali interventi sono estremamente rari (4). D’altra
parte il pediatra di famiglia ha una scarsa attitudine alla ricerca e
mancano progetti finanziati mirati a coinvolgere l’intera categoria
su definiti obiettivi educativi.
Su tali interventi educativi è necessario applicare le prove dell’efficacia dell’intervento stesso, sia intesa come efficacia teorica
(efficacy), quando c’è la prova che la riduzione del fattore di
rischio migliora la salute, sia come efficacia osservata (effectiveness), quando viene documentata una modificazione del comportamento a rischio.
Il pediatra può costituire un punto di riferimento educativo importante ed un collante per qualsiasi progetto educativo che riguar-
L’educazione sanitaria
in pediatria di famiglia
Al pediatra di famiglia, che viene definito dall’OMS come “ il
medico dello sviluppo e dell’educazione”, con l’accordo collettivo nazionale della pediatria di libera scelta (DPR 615/96), gli
viene affidata una funzione educativa sanitaria specifica e strutturata attraverso la esecuzione dei “bilanci di salute”, un particolare tipo di visita filtro, che consente al pediatra di svolgere una
funzione preventiva e l’opportunità di trasferire alcuni messaggi
educativi importanti, in momenti definiti della crescita del bambi-
23
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
da il bambino e l’adolescente (5). Da un punto di vista sanitario
il pediatra di famiglia, infatti, accompagna il bambino dalla nascita fino alla pubertà e stabilisce con i suoi genitori un rapporto
fiduciale tale da costituire un punto di riferimento indispensabile
per molte scelte importanti ( rapporti con i genitori, che tipo di
sport praticare, che tipo di alimentazione deve seguire etc…) (1).
Una funzione educativa di raccordo può essere svolta dal pediatra e può essere rivolta al singolo bambino o alla famiglia, nel
proprio ambulatorio, oppure può essere svolta in ambito scolastico, negli asili, nelle palestre e nelle comunità in genere e rivolta a gruppi di bambini (1,6). In tali ambiti il pediatra può lavorare
da solo o essere supportato da altre figure professionali (assistenti sociali, psicologi,infermieri etc..) (1,5). Tale attività educativa può essere da supporto anche a genitori o insegnanti ed
attuata con modalità definite che possono mirare ad esempio a
migliorare il livello di conoscenza su specifici ambiti sanitari (
gruppi di genitori che hanno bambini affetti da asma bronchiale
allergico) (7), oppure possono riguardare dei semplici progetti
educativi rivolti agli insegnanti, per poi essi stessi diventare “educatori sanitari” nei confronti dei ragazzi.
E’ evidente che la sola informazione non è sufficiente a modificare i comportamenti che riguardano la salute, per cui è necessario ed opportuno stabilire dei criteri comunicativi, attuabili nello
studio del pediatra di famiglia, che esprimano una efficace azione educativa.
E’ purtroppo noto che non esiste, nel percorso universitario e di
specializzazione, alcun insegnamento sulle tecniche di comunicazione, e nel rapporto medico paziente per cui, ogni pediatra lo
stabilisce secondo la propria sensibilità e disponibilità individuale. Nella pediatria, inoltre, vi è una ulteriore difficoltà che è quella
di fare accettare un consiglio o una prescrizione ad una terza
persona, che non è l’interessato dall’intervento ma, che è, in
genere, la madre del bambino. Per cui, in base anche alla tipologia dei genitori, si dovranno adottare tecniche comunicative
diverse, pur mantenendo invariato il contenuto essenziale del
messaggio (8).
Per determinare una buona promozione alla salute è necessario
che il messaggio comunicativo debba possedere i seguenti
requisiti: sia semplice chiaro e di facile comprensione, si avvali di
opportuni strumenti di rinforzo comunicativi, possieda dei substrati scientifici certi, consideri i danni che possano determinarsi
in seguito ad una errata interpretazione del messaggio stesso,
miri ad un obiettivo concreto e semplice da raggiungere per produrre cambiamenti specifici, attivi dei momenti di verifica per
misurare l’efficacia dell’intervento stesso, tenga conto del contesto in cui si opera.
Questi criteri metodologici applicati alla promozione della salute
sono essenziali per evitare di disperdere lavoro ed energie verso
obiettivi complessi da raggiungere e soprattutto non contestualizzati (9). Inoltre, è necessario effettuare una verificare sui risultati degli interventi preventivi attuati. Questo è certamente uno
degli aspetti più complicati, perché i risultati, in educazione com-
Tabella 1. Principali aree di intervento
di educazione sanitaria svolto dal pediatra
(da: ref. 8 modificata).
Uso corretto dei servizi sanitari
Prevenzione e cura delle comuni malattie
Promozione delle vaccinazioni
Alimentazione
Igiene Dentale
Sviluppo psicomotorio
Aspetti relazionali e comportamentali
Prevenzione Incidenti
Educazione alla sessualità
Prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse
Prevenzione delle “Killer Diseases”
portamentale, sono influenzati da diverse variabili non prevedibili e sono di difficile valutazione. Comunque uno sforzo verso il
raggiungimento di tale obiettivi è sempre necessario attuarlo
quando si programma ogni specifico intervento (10).
Gli strumenti per promuovere la salute possono essere diversi: il
linguaggio, il materiale cartaceo, il materiale audiovisivo, i giochi (8).
L’educazione sanitaria
nei bilanci di salute
Abbiamo già ricordato la funzione dei Bilanci di Salute (11, 12).
Tali Visite filtro sono previste dagli accordi stipulati nelle diverse
Regioni, dai pediatri di famiglia, e sono utili ad evidenziare i principali problemi di salute nelle varie fasi dell’età evolutiva. La loro
esecuzione, in età prestabilite, si basa sull’evidenza che esiste
una età ottimale per evidenziare precocemente le diverse patologie o problematiche allo scopo di attuare un tempestivo e
quanto più risolutivo intervento terapeutico.
Le aree di maggiore intervento educativo sanitario sono riportate
in Tabella 1.
I bilanci di salute, introdotti con l’accordo collettivo nazionale del
1996 e ribaditi dal successivo del 2000 e dal recente del 2005,
sono stati inseriti organicamente nel progetto obiettivo saluteinfanzia. Ogni singola regione ha però modificato il calendario
dei bilanci di salute prevedendone, in genere, qualcuno in più
(2). Nel piano dei bilanci di saluti sono stati inseriti alcuni screening, pensati nell’ottica di una medicina preventiva comune a
tutti i bambini, quali quello per la rilevazione precoce della sublussazione delle anche (ecografia delle anche tra il 2° ed il 4°
mese), dell’ambliopia ( stereotest di Lang, Cover Test al 24° o al
36° mese) e quello per evidenziare i problemi uditivi (Boel Test al
9°-12° mese) (8). Per una corretta e completa esecuzione dei
bilanci di salute è necessario che il pediatra possieda una
“check list” scritta degli aspetti da valutare ad ogni bilancio di
24
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Educare alla salute
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
salute che sarà inevitabilmente diversa a seconda dell’età in cui
si effettua tale visita filtro. Attraverso i bilanci di salute è possibile trasferire ai genitori, al bambino, all’adolescente alcuni messaggi educativi, importanti ai fini della promozione della salute, in
momenti definiti della loro crescita.
I bilanci di salute che devono necessariamente essere eseguiti,
per attuare la funzione educativa e preventiva della pediatria di
famiglia, sono quelli effettuati a 1-3 mesi, a 4-6 mesi, a 9- 12
mesi, a 18-24 mesi, a 28-36 mesi, a 5-6 anni ed in età adolescenziale (12). I bilanci di salute in età adolescenziale non vengono ancora eseguiti, in maniera appropriata, in diverse Regioni
Italiane. I pediatri ancora non sono adeguatamente formati all’esecuzione dei bilanci di salute in età adolescenziale perché l’approccio con l’adolescente è più complesso rispetto a quello con
il bambino, che è spesso mediato dai genitori, e perché le problematiche adolescenziali sono specifiche di questa fascia d’età
(Tabella 2), discostandosi completamente dalle problematiche
che hanno interessato il bambino negli anni precedenti, e pertanto meritano un approccio clinico e comportamentale completamente diverso
cosiddetto esperto esterno, il quale svolgeva, il più delle volte,
una vera e propria lezione magistrale, che rappresentava il frutto
delle sue conoscenze e competenze, piuttosto che una attività
formativa con ricadute in termine di modifica dei comportamenti. Quindi, tale tipo d’intervento non ha consentito alcun cambiamento delle abitudini o di stili di vita. La mancanza di obiettivi formativi, le carenze metodologiche e progettuali, non ha consentito di raggiungere risultati migliorativi su problematiche sanitarie
importanti che attualmente rappresentano delle vere e proprie
emergenze sanitarie (Tabella 1.4). Attualmente la scuola si sta
finalmente appropriando dei contenuti e delle metodologie tipiche della promozione della salute in quei campi in cui l’insegnante può svolgere il proprio ruolo educativo (corretta alimentazione, igiene orale, fumo di sigaretta) mentre, per alcune tematiche più complesse si rivolge ad esperti formatori esterni ( tossicodipendenze, educazione sessuale, primo soccorso) (12).
Tutti gli interventi devono prevedere l’uso di indicatori validati per
potere misurare ciò che il progetto, preposto ed effettuato, ha
determinato come cambiamento positivo. La cosa non è così
semplice, se consideriamo, ad esempio, che nonostante si svolgano diversi progetti su una corretta alimentazione, nel nostro
Paese, l’incidenza di obesità e la sua prevalenza è la più alta
d’Europa.
Troppe sono ancora le scuole che presentano nel loro interno dei
distributori automatici di bibite zuccherate e di merendine dolci
che certo non educano ad una corretta alimentazione, ma che
costituiscono una piccola fonte economica per le scuole che
hanno sempre maggiori problemi a garantire i propri servizi, per
via di una autonomia finanziaria che ancora non è stata ben assimilata.
Un particolare tipo d’intervento sanitario nella scuola, mirato a
modificare i comportamenti, quindi di alto valore formativo e preventivo, potrebbe puntare al coinvolgimento del pediatra nelle
attività scolastiche, per le ragioni che sono state precedentemente illustrate. Tale progetto consiste nel mettere il giovane al
centro dell’iniziativa, determinando in lui una possibilità di scelta,
La scuola e la pediatria
di famiglia
Ogni scuola, nell’ambito della propria autonomia, dovrebbe elaborare un serio progetto di educazione alla salute da inserire nel
proprio programma d’istituto, nell’ambito dei POF (Piano
dell’Offerta Formativa), in rapporto alle esigenze del contesto
sociale di cui la scuola è espressione o parimenti alle linee guida
programmatiche formulate dalle istituzioni locali. I progetti educativi di tipo sanitario devono essere scelti tra gli obiettivi di salute previsti dal Piano Sanitario Nazionale e Regionale per svolgere una adeguata ed utile azione preventiva. In passato gli interventi preventivi di educazione sanitaria nella scuola erano semplicemente informativi ed episodici avvalorati dalla figura del
Tabella 2. Principali problematiche degli adolescenti.
Problematiche adolescenziali
Manifestazioni prodotte
Incidenti
1° causa di morte in soggetti 11-24 anni
Suicidi
2°- 3° causa di morte tra 14 -24 anni
Abuso sostanze tossiche
Incremento del consumo di fumo di sigaretta alcol e droghe.
Attività sessuale
Malattie sessualmente trasmesse, gravidanze indesiderate, IVG.
Disturbi nutrizione
Alterate abitudini alimentari, anoressia, bulimia, obesità.
Effetti mass-media
Incremento dei comportamenti violenti, abuso di sostanze, sessualità vissuta
in maniera inadeguata e distorta.
Disagio e marginalizzazione
Scarso rendimento scolastico, inadeguato rapporto con gli altri, pochi amici,
tendenza alla depressione.
25
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Gli argomenti richiesti dagli alunni nel corso del colloquio individuale, per un approfondimento sulle specifiche conoscenze sono
stati: l’abuso di alcol e droghe, l’Aids, le abitudini alimentari, l’immagine corporea, il rapporto con gli amici con gli adulti, lo sviluppo psico-fisico, le malattie croniche. Interessante è stato l’aspetto
che gli adolescenti utilizzano i diversi momenti del progetto per
esprimere situazioni di disagio o sofferenze altrimenti non espresse (13). In tali situazione è opportuno il coinvolgimento della famiglia che può essere interessata nel corso del primo colloquio- visita o nei successivi. Una volta emersa la problematica, che può
appartenere alla sfera somatica o psicosociale, (Tabella 4) è utile
provvedere all’invio del soggetto ai centri di riferimento (16).
L’esperienza di Cesena prevedeva il coinvolgimento del pediatra
di comunità, che però non è sempre presente nelle varie ASL, per
cui sarebbe opportuno un coinvolgimento dei pediatri di famiglia,
con competenze adolescentologiche, in quanto sono distribuiti
capillarmente sul territorio. I pediatri di famiglia, possono svolgere
questa funzione di supporto, trasformando la scuola in un osservatorio sanitario territoriale, che individua il malessere giovanile ed
educa i giovani ai comportamenti che generano salute.
Tabella 3. Fasi del progetto “self-help”
(da: ref. 12).
Progetto “self help”
compilazione anonima di un questionario distribuito
all’interno della scuola
colloquio con il pediatra adolescentologo
e valutazione staturo-ponderale (per interagire
su interrogativi riguardanti la propria crescita
ed il proprio comportamento con particolare
attenzione ai processi di tutela del benessere
personale, ai fattori protettivi e di rischio)
discussione in classe, in piccolo gruppo,
sulle schede, poi in plenaria con l’insegnante
e l’operatore sanitario
ma anche una possibilità di far emergere le proprie problematiche basandosi sul vissuto del soggetto nell’ambito scolastico.
Questo vale ancora di più nell’età adolescenziale dove i dubbi e
le incertezze sono anche legate alle modificazioni corporee e
comportamentali (12). Un esempio di coinvolgimento del pediatra con competenze adolescentologiche è rappresentato dal
progetto “self help”(13). Tale progetto consiste in un programma
di collaborazione tra le ASL (consultorio giovani, servizio di psicologia clinica dell’adolescenza, ufficio educazione alla salute
con il pediatra di comunità), i dirigenti scolastici ed insegnanti,
con l’obiettivo di coinvolgere gli adolescenti nella autovalutazione e nella tutela del proprio stato di salute, creando uno spazio
di ascolto per sostenere il benessere degli adolescenti e raccogliere domande di aiuto (13-15).
Tale progetto si basa su tre momenti fondamentali riportati nella
Tabella 3.
Conclusioni
L’educazione alla salute trova nel pediatra di famiglia la figura
sanitaria che meglio di ogni altra si adatta a proporre stili di vita
appropriate ad un corretto stato di salute. Il Pediatra deve organizzare la sua attività in maniera tale da dare risposte adeguate
alla crescente domanda di salute che proviene dalle famiglie.
Tale attività, in gran parte, viene svolta dal pediatra, nel proprio
studio convenzionato nei confronti dei propri assistiti, attraverso
i bilanci di salute. Purtroppo manca ancora un concreto ed efficace coinvolgimento del pediatra nella scuola, dove invece le
sue caratteristiche professionali dovrebbero essere utilizzate per
meglio educare alla salute i giovani, e contribuire a prevenire,
molte delle patologie imputabili ad errati comportamenti.
Tabella 4. Problematiche adolescenziali
rilevate dal progetto “self-help”.
(da: ref 13 modif.)
Problematice adolescenziali
Problemi somatici
Problemi psicosociali
Obesità
psicorelazionale
Disagio
Disturbi comportamento
alimentare
Problemi scolastici
Asma
Difficoltà intrafamiliari
Ritardo puberale
Balbuzie
Emicrania
Attacchi di panico
Scoliosi
Tossicomania
Bibliografia
Acne
Disturbi del ciclo mestruale
26
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Educare alla salute
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comunicare la prevenzione. Min Pediatr 2001; 54:579-86.
15. Tucci M. Essere Adolescenti Oggi. Occhio Clinico Pediatria 2004;
8:118.
10. Grugnetti M. Progetto Salute Infanzia, Il bilancio di salute
(età 36 mesi) consigli utili al pediatra di famiglia, Il Medico Pediatra
2003; 6 (suppl 2), Pacini Editore, Padova.
16. De Luca G. in Burgio-Bertelloni. Una pediatria per la società
che cambia. Edito da Tecniche Nuove, Milano 2007; 111-118.
Corrispondenza:
Dott. Giampaolo De Luca
Via Tevere 9/b Casella postale 183
87032 Amantea (Cs)
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Formazione e democrazia:
il nodo cruciale della cultura
contemporanea
Giuseppe Spadafora
Prof. Ordinario di Pedagogia Generale Università della Calabria
La problematicità
della formazione
In queste diverse posizioni, ma con il medesimo significato politico viene posta la matrice culturale forte della democrazia occidentale, sicuramente da confrontare con la “democrazia degli
altri” non occidentale riproposta di recente, da considerarsi un
ideale perseguibile prevalentemente attraverso la partecipazione
della maggioranza ai benefici della formazione per la costruzione della democrazia.
Questo originario valore attributo all’educazione e il suo legame
con la realtà sociale costituiscono per la civiltà occidentale una
radice culturale forte destinata ad esercitare la sua influenza fino
ai giorni nostri, come testimoniano significativamente le opere
del filosofo americano John Dewey, dalle quali trae origine una
visione della democrazia come “way of life”, modo di vivere,
mutuato dalle intuizioni sul concetto di democrazia definite nel
classico testo sulla democrazia americana del 1832 di Alexis de
Tocqueville e come ideale concretizzabile attraverso l’educazione democratica delle giovani generazioni.
In effetti, nel pensiero di Dewey, viene confermato e sottolineato
il rapporto esistente tra educazione e politica, tra formazione dei
giovani e dei cittadini che partecipano alla sfera del pubblico e la
convivenza democratica. In particolare l’individualità del soggetto in situazione che si evolve è studiata da varie prospettive ma
in un modo sorprendentemente convergente da parte delle filosofie di James, Peirce e Dewey nell’ambito del pragmatismo
classico americano. È, in particolare, in James e in Dewey che
una filosofia dell’individualità è analizzata in modo organico e
centrale. Il rapporto individuo-ambiente, in tutta l’opera di John
Dewey ad esempio sin dal 1896 quando il filosofo “corregge” la
teoria dell’arco riflesso mutuata da Cartesio e modificata da
William James, si presenta come una dimensione transazionale
che rivela la contestuale evoluzione del soggetto e dell’oggetto
Il concetto di formazione, sebbene sia stato variamente e lungamente esplorato dalla cultura filosofica e pedagogica contemporanea, è talmente vasto e indeterminato che necessita di continui
approfondimenti.
La formazione rimanda, così come diversi anni fa si affermava a
proposito dell’educazione, a una “famiglia di processi”. Ci si
forma perché si cresce nello spazio e nel tempo secondo una
dimensione ontologico-biologica, la crescita involontaria (growth
la definisce Dewey distinguendola dal growing inteso come atto
intenzionale che determina il crescere dell’individuo nel suo
incessante farsi)1.
Per queste ragioni, un’analisi puntuale sulla natura della formazione e sul legame con l’ambiente si legittima pienamente e si
pone come forte argomentazione intesa a dimostrare la qualità
di questo legame e, di conseguenza, il valore che il fatto formativo acquisisce con riferimento al tempo storico in cui si invera e
si concretizza. Comunque si valutino questi temi, appare abbastanza evidente che non solo la formazione è un processo estremamente complesso e plurale, ma anche che essa si connette
più o meno direttamente con tutti quei processi sociali, culturali,
politici ed economici che caratterizzano una particolare realtà
antropologica in uno specifico e determinato tempo storico.
D’altro canto, poi, occorre sottolineare che la formazione assume nei confronti di quel contesto sociale in cui si determina un’elevata valenza propositiva ed innovativa, tanto da potersi affermare che essa è una risorsa sociale ancorché individuale e,
soprattutto, esercita un influsso significativo e qualificante sui
processi di crescita e di trasformazione delle società.
Questa ultima puntualizzazione dimostra l’interesse che nei confronti del concetto di formazione ha da sempre manifestato la
riflessione pedagogica occidentale.
È vastissima la bibliografia che si è sviluppata tra gli anni ”80 e gli anni ”90 nel nostro paese sulla problematica della formazione. Una sintesi significativa che prelude a sviluppi successivi si può cogliere in A. Granese, Istituzioni di pedagogia generale, Cedam, Padova, 2003; C. Xodo, Capitani di se stessi, La Scuola, Brescia, 2003; E. Colicchi, a cura
di, Intenzionalità: una categoria pedagogica, Unicopli, Milano, 2004; F. Cambi, Metateoria pedagogica. Struttura, funzione, modelli, Clueb, Bologna, 2006; G. Minichiello, Il principio imperfezione, Pensa, Lecce, 2006.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
filosofici della modernità e, allo stesso tempo, si è riscattata da
quell’immagine biologizzata consegnataci dalla tradizione empirista delle scienze naturali. Sottratta dall’aseità e dall’astrattezza
di talune teorizzazioni o, al contrario, dalla deiezione/reificazione
delle scienze empiriche, l’idea di soggetto si è andata affermando per la complessità – e problematicità – di dimensioni costitutive plurime che, indagate con più accorti, più sofisticati, meno
semplificati procedimenti investigativi, decantati dagli eccessi
delle facili teorizzazioni e di taluni ingenui sperimentalismi, rimandano ad una totalità problematica e non organica unica, singolare, irripetibile da comprendere in quella specifica soggettività che
è ogni persona non intesa nell’accezione del personalismo cattolico anche se sono inevitabili alcune retroazioni delle problematiche di fede nella specifica situazione della soggettività.
e, nel contempo, l’unicità e l’irripetibilità del soggetto in situazione, concetto espresso più volte da Dewey nella sua opera da
considerare la svolta più significativa filosoficamente e pedagogicamente della sua teoria2.
La conseguenza fondamentale di questa impostazione è la problematicità del concetto di formazione che può essere definito
dal termine poietico. L’atteggiamento poietico riprende, come
già è stato fatto notare a proposito della filosofia deweyana, la
tradizionale distinzione aristotelica tra scienze teoretiche, scienze pratiche e scienze poietiche, rovesciandola3.
L’atteggiamento poietico è complesso e reciproco tra la soggettività e l’oggettività e risponde a un fondamento teorico centrale:
quello di una soggettività che modifica la realtà non attraverso la
categoria della trasformazione, ma attraverso l’adattamento trasformativo dell’individuo all’ambiente.
Queste riflessioni preliminari pongono in luce la centralità della
formazione all’interno della riflessione filosofica e pedagogica
occidentale del Novecento. In questa centralità, anzi, si pone la
legittimazione pedagogica in ragione del suo essere elemento di
sintesi di un sapere costitutivamente posto come orientamento
di senso di una categoria da analizzare e dirigere tra teorizzazione ed applicazione. Ogni riflessione sull’educazione, infatti, si
misura con analisi condotte su un piano formale, ma anche con
le dimensioni storiche in cui i processi della formazione si concretizzano, qui ed ora, con le situazioni contingenti e particolari
che rappresentano il banco di prova di ogni possibile teorizzazione pedagogica.
Per tali ragioni, si è ancora più indotti ad indagare il concetto di
formazione con intenzionalità pedagogica, sia per chiarire il
senso che la formazione può dare e deve assumere per il soggetto e i gruppi umani nella complessa stagione di questo nostro
tempo, sia per individuare quei dispositivi procedurali e metodologici che permettono di legittimare modelli rispondenti alle istanze di formazione avanzate dai soggetti e dai gruppi. Ed è proprio
con riferimento ai soggetti, alle persone, che gli studi della formazione hanno visto concretizzarsi quel ruolo indipendente e
regolativo della pedagogia rispetto ad altri contesti e ad altri
saperi, sulla base di un impegno che, analizzando ed interpretando esiti di ricerche diversificate, ha permesso una riflessione
più profonda e, allo stesso tempo più ampia, sul soggetto e sulla
sua formazione. Pensare la formazione nella sua problematicità,
infatti, significa pensarla con esplicito riferimento all’idea di soggetto che coltiviamo e di cui ipotizziamo un percorso di trasformazione. E questa idea di soggetto, proprio in virtù di studi fenomenologici, ermeneutici, pragmatisti e neopragmatisti, di ricerche psicologiche e psichiatriche, linguistiche, neuroscientifiche,
ha perduto l’aseità che l’ha caratterizzata in alcuni luoghi teorico-
Formazione e persona tra
conformazione, riconoscimento
ed emancipazione
Il rinvio alla interpretazione di quella persona, colta nella sua specifica contingenza esistenziale, ci permette di individuare intenzionalità, coscienza e razionalità, ma anche forze irrazionali, istintualità, affettività, emotività e quella specifica linguisticità attraverso cui si legge una storia della formazione, di eventi e di atti
intenzionali, di successi ma anche di rischi e di perdite.
Ci sono elementi per evidenziare in questa composita e complessa immagine del soggetto-persona la valenza e il significato
della pedagogia come disciplina che può intenzionalmente intervenire con l’elaborazione di modelli di formazione che traggono
i loro elementi di giustificazione nell’individuazione di princìpi e
criteri corrispondenti a persone che sono quelli di conoscere,
interpretare e comprendere nel loro “senso”4.
In effetti, un tale approccio al soggetto consente di pensare la formazione come un processo che investe diverse e complesse sfere
di personalità, ma anche vissuti intenzionali, modalità singolari di
strutturare il rapporto con la realtà circostante, con gli orizzonti storici e linguistici, sociali e culturali. La formazione del soggetto
esprime così una sua implicita tensionalità verso un orizzonte di
senso che rivela le ragioni delle scelte, dei progetti, delle azioni.
La formazione, così, è una categoria costitutivamente antropologica, in cui è possibile scorgere dimensioni riguardanti il destino
della persona, ma anche dimensioni quali lo sviluppo, la crescita, l’apprendimento. In effetti, la formazione è da considerare in
modo forse più complesso rispetto al processo educativo. I
princìpi fondanti del processo formativo sono vari. In genere
quattro possono essere considerati quelli più significativi.
Su questi aspetti risultano interessanti M. Eldridge, Transforming Experience, Vanderbilt University Press, Nashville, 1998; J. Shook, Dewey’s Empirical Theory of Knowledge and
Reality, Vanderbilt University Press, Nashville, 2000.
Cfr. L. Hickman, La tecnologia pragmatica di John Dewey, Armando, Roma, 2000 (1991). In particolare cfr. la presentazione del testo.
4
Cfr. S. Moravia, L’esistenza ferita, Feltrinelli, Milano, 1999. Sul rapporto formazione-democrazia cfr. V. Burza, Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma
2003. Sul problema delle identità e delle appartenenze cfr. Amartya Sen, Identità e violenza, Laterza, Roma-Bari, 2006 (2005).
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Innanzitutto la formazione è espressione di una crescita e di uno
sviluppo involontario del soggetto. Ci si forma, trasformando la
propria persona nel corso degli anni. Le trasformazioni dello sviluppo biologico, fisiologico, psicologico del soggetto determinano cambiamenti spesso inavvertiti dalla coscienza del soggetto
e indipendenti dalla volontà. Ci si trasforma dall’infanzia all’adolescenza, ci si trasforma dall’adolescenza alla età matura e ancora di più, dall’età matura alla senescenza. Numerosi problemi,
che già l’epistemologia genetica di Piaget individuava, si evidenziano nell’analisi di questi cambiamenti che trasformano il quadro cognitivo, metacognitivo e relazionale del soggetto. Ma,
accanto alla dimensione della crescita e dello sviluppo del soggetto esiste anche una dimensione della motivazione all’azione
che, studiata da varie correnti psicologiche, è un fattore centrale
per determinare l’agire formativo. Quando la motivazione, per
varie ragioni, è limitata o addirittura negata, si possono insinuare
nel soggetto elementi di frustrazione, di apatia, di malinconia, o
addirittura di depressione, che caratterizzano un rapporto negativo del soggetto con la realtà.
La formazione è caratterizzata anche da altre dimensioni, una
delle quali può essere sintetizzata nei complessi fenomeni legati
al pensare e all’agire e si afferma attraverso la connessione organica tra il momento percettivo-noetico e il momento praticoapplicativo. La complessità teorico-pratica della formazione si
può definire, così come si è visto, come attività poietica, intendendo con questo termine un insieme di azioni e reazioni teorico-pratiche dell’attività umana nell’ambiente e, in particolare, nei
rapporti interpersonali.
Un ultimo aspetto dell’attività formativa è il rapporto dell’agire nei
confronti degli eventi, degli accadimenti che sono anch’essi indipendenti dall’attività umana. Un incontro occasionale, il caso,
l’hazard di rousseauiana memoria, un evento tragico, un trauma,
un lutto determinano inevitabilmente, una reazione negativa o
positiva del soggetto, un segnale evidente di frustrazione, uno
sforzo di rielaborazione, un momento, comunque, di trasformazione cognitiva, affettiva e relazionale del soggetto.
Le considerazioni fin qui proposte intendono mostrare come il
compito della pedagogia, interpretata nel suo congegno teoricopratico, consista nell’analizzare, orientare la formazione della
persona unica ed irripetibile che è costituita da molteplici dimensioni che trovano nell’intenzionalità e nelle complesse costruzioni poietiche della persona la strutture fondamentali del suo
costruirsi come unica ed irripetibile5.
In questa particolare accezione, il processo formativo è da intendersi come sviluppantesi secondo una prospettiva di interpretazione pedagogica in modo oscillante tra due contesti: i processi
di condizionamento, le regole della competizione sociale, del
mondo mediatico, i processi di conformazione e la possibilità di
emancipazione salvifica che conduce la persona alla piena rea-
lizzazione del suo potenziale umano e del suo rapporto con il sé,
con le altre persone, con la realtà circostante. In questa oscillazione ambivalente tra la conformazione e l’emancipazione che
ha sempre caratterizzato l’educabilità umana due sono le categorie ulteriori di analisi delle problematiche della persona: il riconoscimento dell’identità, in altri termini il punto di arrivo del processo formativo che è vissuto dalla soggettività che si deve formare come una perenne tensione ideale e l’impossibilità di fare a
meno di un vincolo, di un punto fermo, necessario a determinare
lo sviluppo della potenzialità umana. In questo senso è da definire un modello di pedagogia della persona individualizzata e
cioè di una pedagogia della persona come soggettività unica e
irripetibile nelle situazioni specifiche.
L’educazione nella scuola e nell’extrascuola, allora, non può non
tenere conto di questi contesti, di queste dimensioni e di questi
vettori di sviluppo e, attraverso percorsi quanto più personalizzati e correlati alle esigenze formative della singola persona, realizzare la tensione individuale-universale come frutto di scelte consapevoli, e, soprattutto, di un progetto che dia senso alle vocazioni interiori della soggettività iscrivendole in un orizzonte intersoggettivo che permette al soggetto di relazionarsi con l’altro
nella costruzione di valori democratici intersoggettivamente condivisi e convissuti.
Il problema, in ultima analisi, ci induce a considerare che le
modalità attraverso cui si costruisce la civile convivenza vanno
ripensate, riformulate e ridisegnate, costruendo talune categorie
quale quella di maggioranza come criterio di scelta democratica,
per ripensarle attraverso il vaglio della ragione critica capace di
leggere ed interpretare le ragioni delle minoranze, dei gruppi e,
forse meglio, delle persone che nella loro unicità esprimono la
loro singolarità e la loro irripetibilità. Le considerazioni fin qui
esposte inducono a pronunciarsi con esplicito riferimento ad un
progetto educativo che possa essere legittimato sulla base di
princìpi intesi a valicare i fondamenti stessi del progetto6.
Appare opportuno, pertanto, assumere la responsabilità della
progettazione educativa con esplicito riferimento al problema
antropologico, ponendo al centro del discorso pedagogico la
questione della persona e delle persone che esprimono istanze
di formazione non rispondenti alle ragioni di un possibile modello ma a quello del riconoscimento e dell’emancipazione del singolo e dei gruppi e della libertà. In questa prospettiva, non occorrerà legittimare sulla base del criterio della formatività quanto su
quel telos educativo che è tanto più educativo quanto più si pone
fuori della logica dell’adeguamento del soggetto alla “forma”, per
caratterizzarsi con un’intenzionalità fortemente emancipativa,
legata al disvelamento del sé, alla realizzazione della persona
attraverso la soggettivazione, l’individuazione e la liberazione. Il
problema centrale di questa seconda riflessione è che la persona si costituisce e si definisce progressivamente attraverso un
Cfr. G. Spadafora, L’intenzionalità in pedagogia: un’ipotesi, In E. Colicchi, a cura di, Intenzionalità: una categoria pedagogica, Contributi teorici, vol. I, Unicopli, Milano, 2004, pp. 39-62.
Cfr. V. Burza, a cura di, Democrazia e nuova cittadinanza. Interpretazioni pedagogiche, Soveria Mannelli, Rubbettino 2005.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
complesso processo formativo che è insieme conformativo,
emancipativo, legato al riconoscimento e al vincolo. Una “famiglia di processi” che disvela e costituisce la persona nel mondo
solo attraverso i processi formativi ma che, nel contempo, propone un complessivo ripensamento del concetto di libertà. La
libertà della persona non è mai tanto “libera” né nelle sue potenzialità come “assoluto” biologico, né tantomeno nella sua capacità emancipativa e progressiva di trasformazione del mondo.
Il suo naturale legame con l’ipotesi ricostruttiva della democrazia
fornisce ulteriori ampliamenti concettuali e chiarificazioni al problema.
In tutta l’opera deweyana, ma in particolare in Democracy and
Education del 1916, in The Public and Its Problems del 1927 nonché in Individualism Old and New del 1930 e in Art as Experience
del 1934 John Dewey discute il legame esistente tra formazione
del soggetto e realizzazione di orizzonti di vita democratica, sottolineando il fatto che la democrazia è un ideale regolativo destinato ad ispirare ed orientare la condotta dei singoli formati dall’esperienza del confronto e della convivenza civile e capaci di
realizzare la crescita culturale, politica e civile delle comunità9.
È evidente che stiamo analizzando e prospettando il rapporto
particolare-universale, focalizzando l’attenzione su una precisa
esigenza: promuovere percorsi di formazione fortemente personalizzati e particolari ed orientati, in ultima analisi, verso la realizzazione di persone capaci di costruire democrazia intesa come
telos universale di riferimento. Il problema centrale che si pone è
quello di prestare particolare attenzione per il mondo della scuola, l’agenzia educativa fondamentale che deve abbandonare l’idea del modello formativo e conformativo e per la ridefinizione
dell’istituzione scolastica in vista di un impegno a favore di ogni
singolo alunno, soprattutto per quegli alunni che vivono particolari condizioni di emergenza esistenziale e di disagio sociale.
Proprio per questi alunni occorre ripensare la scuola ed ipotizzare la fuoriuscita dai modelli rigidi e chiusi a favore di sperimentazioni educative attraverso cui realizzare nuovi spazi progettuali,
organizzativi e didattici.
Le considerazioni fin qui esposte, in definitiva, orientano la nostra
proposta verso un progetto educativo pensato per ogni persona,
pensato affinché ogni soggetto possa essere sollecitato verso la
concretizzazione del proprio potenziale e verso la realizzazione
di comportamenti socialmente e democraticamente condivisi. In
questo senso l’educazione si fa intervento intenzionale che vuole
trascendere limiti e condizionamenti in vista della promozione di
diverse dimensioni di sviluppo, si pensi a quella fisica e a quella
intellettuale e culturale, ma si pensi anche a quella della crescita
sociale, morale ed interiore, attraverso cui il soggetto può sperimentare la libertà della scelta, l’adesione alla norma, la fuoriuscita da condizioni di conformazione o di reificazione.
Ma l’educazione è anche intenzionalmente progetto sociale
orientato verso la costruzione di comunità in cui sia garantito il
diritto e tutelata la giustizia sociale. Di fatto l’educazione diventa
progetto per la coltivazione della persona per l’orientamento alle
sue scelte future e di promozione della democrazia come laboratorio di condivisione e costruzione di valori comuni.
In tale prospettiva, si può meglio interpretare la tensione peda-
Formazione, persona,
democrazia: una questione
aperta
Una tale intenzionalità educativa si dispiega attraverso due prospettive integrate, quella della concretizzazione dell’umano in ogni
persona in quanto atto di realizzazione delle potenzialità e di liberazione dal limite e quella della costruzione di orizzonti sociali in cui
sia consentita la realizzazione di valori democratici di grande respiro sociale e di profonda aspirazione libertaria ed emancipativa.
In ordine alla prima prospettiva, lo sforzo da compiersi va nella
direzione della interpretazione dello statuto del soggetto colto
nella sua esistenza, nel suo processo di formazione e di soggettivazione7. Questo specifico problema induce ad analizzare e
comprendere la formazione come fatto rivelatore della complessità della persona individualizzata.
La scelta teorica adottata si esprime per la formazione unica e
irripetibile del soggetto-persona, di cui cogliere, analizzare e
comprendere la complessità e la specificità delle sue dimensioni costitutive ed interpretare il bisogno di emancipazione che
ogni persona esprime tra il superamento del limite e della conformazione e l’implicito telos verso l’emancipazione.
Per quanto riguarda la prospettiva dell’emancipazione, della giustizia e della libertà sociale, occorre ricordare come taluni fondamentali valori – quelli della dignità della persona, della tutela della
vita, della stabilità affettiva, della convivenza democratica – sono
costruzioni di significati comuni e universali e quelle persone
che, attraverso l’esperienza educativa, hanno maturato la capacità di dialogo, di apertura, di creatività, di accettazione, inclusione, integrazione, possono esprimere la loro possibilità legata
alle realizzazioni concrete8.
7
Su questa problematica cfr. G. Spadafora, La questione della soggettività in John Dewey, in V. Burza, a cura di, Il problema del soggetto tra la persona e la democrazia, in corso di pubblicazione.
8
Il dibattito pedagogico sul tema è ampio e ricco di suggestioni. Non potendosi offrire una rassegna esaustiva della letteratura pedagogica esistente, si segnalano alcune delle più recenti opere sul rapporto tra educazione della persona e democrazia. Cfr. P. Bertolini, Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano, 2003; G. Acone, La paideia introvabile. Lo sguardo pedagogico sulla post-modernità, La Scuola, Brescia, 2004; M. Corsi, R. Sani, a cura di, L’educazione alla democrazia tra passato e presente, Vita e Pensiero, Milano, 2004; L. A. Hickman,
Pragmatismo, postmodernità e cittadinanza globale, in F. Stara, a cura di, Etica, cittadinanza e democrazia, Quaderni della Fondazione Italiana John Dewey, Cosenza, 2004; S. Chistolini,
a cura di, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, Roma, 2005; C. De Luca, Il volontariato per la formazione dell’uomo solidale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004.
9
Cfr. G. Spadafora, Studi deweyani, Quaderni della Fondazione Italiana John Dewey, Cosenza, 2006. Per un discorso complessivo sulla democrazia cfr. L. Canfora, La democrazia.
Storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari, 2006 (nuova edizione) e collegandola al problema della scuola cfr. G. Bertagna, Pensiero manuale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
gogica per la definizione di una nuova cittadinanza non più intesa come semplice adesione di ogni consociato alle leggi, alle
regole della convivenza civile, ad un’etica pubblica e ad uno
stato garante del superamento di divisioni particolaristiche. La
cittadinanza si prospetta come uno status anzitutto etico – oltre
che cognitivo, culturale e giuridico – secondo il quale il cittadino
è colui che è in grado di sentire la propria appartenenza alla
grande comunità degli uomini, è colui che sa impegnarsi all’interno della propria compagine sociale e politica in modo costruttivo e attivo; è colui che sa adottare una prospettiva pluralista nel
confronto con altre etnie, altre religioni, altre culture e che sa cooperare esprimendo le proprie capacità di relazione, progettazione e azione.
L’ideale della democrazia è per questo cittadino un ideale regolativo, un valore da difendere, una insostituibile ed unica occasione di porre in essere il confronto, la mediazione, l’intesa.
In questo senso, pedagogia e politica, per molti versi, esprimono una stessa vocazione axiologica e teleologica intesa a
costruire la persona adatta per la costruzione di una nuova
democrazia e condividono, pertanto, una prospettiva utopica
all’interno della quale l’educazione è occasione per preparare
l’emancipazione del singolo e per costruire democrazia. Una
democrazia della persona, dunque, che esteticamente coglie il
senso della propria vita e la consapevolezza delle proprie vocazioni interiori, intese come “doni” e “professioni” da comprendere e applicare alle varie situazioni che si incrocia con il ripensa-
mento delle “comunità locali” alla ricerca di una “Grande comunità” in cui la diversità dei talenti non sia un limite all’inclusione
sociale dei più deboli e degli svantaggiati.
Certo, sarà necessario interpretare meglio le ragioni della persona e delle compagini sociali che vivono questo nostro tempo storico; sarà necessario comprendere le modalità attraverso le quali
garantire ad ogni persona i diritti alla salute, alla stabilità emotiva
ed affettiva, alla formazione, all’interpretazione, alla partecipazione, così come sarà necessario comprendere la vie che permettono la realizzazione di questi diritti all’interno dei modelli sociali
e politici che si vanno via via definendo e ricostruendo.
Si tratta di un duro lavoro di ricerca, di riflessione e di interpretazione critica, lavoro ad oggi ancora in fase progettuale e in via di
organizzazione. V’è da rilevare come la pedagogia non sia assolutamente sola rispetto a tali compiti, trovando riscontro in altre
discipline e in altre dimensioni conoscitive, quali la filosofia, l’antropologia, la stessa sociologia.
Ciò che importa è ipotizzare una pista pedagogica di ricerca intesa a concretizzare la categoria della formazione alla luce di chiari princìpi epistemologici e metodologici e, soprattutto, alla luce
dell’esigenza primaria derivante dall’adesione ad elementi regolativi oscillanti tra individuale ed universale, elementi da dovere
storicizzare e contestualizzare nella situazioni specifiche della
vita con riferimento a persone in carne ed ossa che vivono in
società in cui sono ancora da realizzare forme più democratiche
di esistenza.
Corrispondenza:
Prof. Giuseppe Spadafora
Dipartimento di Scienze dell’Educazione cubo 18 B
Arcavacata di Rende - 87030 (CS)
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Uso del GH nelle malattie croniche
non endocrine
Mariella Valenzise, Teresa Arrigo, T. Aversa, G. Zirilli, S. Iannelli, Filippo De Luca
UOC Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Messina
Riassunto
Dall’avvento della terapia con ormone della crescita (GH), l’uso di questo preziosissimo presidio terapeutico
è notevolmente aumentato ed esteso anche ad un’ampia varietà di condizioni cliniche. Trials clinici condotti negli ultimi anni
hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia di tale trattamento sia in pazienti pediatrici che adulti con varie condizioni associate a bassa statura come insufficienza renale cronica, fibrosi cistica, malattie infiammatorie croniche dell’intestino.
Recenti acquisizioni della letteratura scientifica sui benefici effetti del GH nei confronti del metabolismo allargano gli orizzonti
terapeutici.
Scopo di questo lavoro è di presentare una revisione della letteratura concernente l’uso del GH nella moderna farmacoterapia.
Parole chiave: GH, ormone della crescita, insufficienza renale cronica, malattie infiammatorie intestinali, fibrosi cistica.
Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx
Summary
Manca titolo in inglese
Since the advent of growth hormone (GH), the pediatric applications of GH therapy have expanded. Children
with a wide variety of growth disorders have received GH treatment. Clinical trials conducted in recent years have proved the
safety of its administration in both children and adults with various conditions associated with short stature as renal failure, cystic fibrosis and inflammatory bowel diseases. Recent findings of the beneficial effect of GH on metabolism widened the array
of its indications. The aim of this paper is to summarize the current data on GH administration in modern pharmacotherapy.
Key words: GH, growth hormone, chronic kidney disease, inflammatory bowel disease, cystic fibrosis
Introduzione
Fra le varie condizioni caratterizzate da bassa statura patologica
nelle quali è stato proposto il trattamento con GH, tale trattamento si è rivelato sicuramente molto efficace soltanto in alcune
sindromi ipotalamo-ipofisarie accomunate da una secrezione
deficitaria di GH (GHD).
In alcune delle condizioni non-GHD il GH ha dimostrato un’efficacia parziale e tuttavia sufficiente a giustificarne la prescrivibilità
terapeutica in Italia ed in molti altri Paesi dell’Unione Europea
come nel caso dell’insufficienza renale cronica (IRC).
Vi sono infine altre condizioni non-GHD nelle quali i trials terapeutici, nonostante qualche dato promettente, non hanno finora
documentato una sicura efficacia a lungo termine del GH, per cui
l’indicazione a tale trattamento non ha ancora ottenuto il riconoscimento ufficiale dalle diverse Autorità sanitarie: la fibrosi cisti-
ca, le malattie infiammatorie croniche dell’intestino.
Lo stato dell’arte sulle conoscenze relative ai risultati della terapia con GH in tutte le suddette condizioni non-GHD viene riportato nelle sue linee essenziali nella seguente trattazione.
IRC e terapia con GH
L’eziologia dell’insufficienza renale cronica (IRC) nell’infanzia è
strettamente correlata all’età del paziente al momento in cui
viene diagnosticata:
a) in bambini di età inferiore ai 5 anni è solitamente il risultato di
una anomalia anatomica congenita del rene o delle vie urinarie ;
b) dopo i 5 anni di età è il risultato di malattie glomerulari acqui-
33
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
tuisce il cardine irrinunciabile della terapia antirigetto. Il GH contrasta l’azione catabolica di tali farmaci ed il loro effetto inibente
la crescita, ma nel contempo per la sua attività immunomodulante sembra facilitare la frequenza degli episodi di rigetto nei
pazienti trapiantati trattati con GH. Alcuni autori tuttavia sottolineano che il rigetto nei trapiantati trattati con GH si era verificato
nei casi che avevano già presentato un episodio di rigetto prima
dell’avvio della terapia con rhGH.
A conferma di questo, una recentissima revisione della letteratura (3) riporta come la terapia con GH a lungo termine in pazienti
prepuberi e puberi si traduca in una incrementata altezza adulta,
ma nel contempo sottolinea come la risposta al trattamento diminuisca nei pazienti dializzati e/o in quelli con severo ritardo dello
sviluppo puberale.
Infine esistono delle segnalazioni sull’uso del GH per via intraperitoneale nei pazienti dializzati nei quali si assiste ad un miglioramento del deficit staturale e della velocità di crescita dopo due
anni di terapia, senza un incremento del rischio di peritonite tipico di tali pazienti (4).
La dose attualmente raccomandata nei pazienti con IRC è di
0.35 mg/kg per settimana (28IU/m2/settimana)(5).
site o di disordini ereditari. A prescindere dall’eziologia, una volta
raggiunto il deterioramento della funzionalità renale, la progressione verso l’insufficienza renale terminale è inevitabile. Il rallentamento della crescita staturale rappresenta una caratteristica
costante dei pazienti con IRC e costituisce un ostacolo per una
loro sodddisfacente riabilitazione psicosociale.
I fattori che condizionano il rallentamento della crescita sono
molteplici: la malattia renale primitiva, la malnutrizione caloricoproteica, l’acidosi, la perdita di bicarbonati ed elettroliti, l’azione
delle sostanze tossiche legate all’uremia, l’osteodistrofia renale,
alcune alterazioni endocrine e l’uso dei glucocorticoidi a seguito
del trapianto di rene.
I livelli circolanti di GH sono normali o addirittura aumentati a
seguito della ridotta clearance renale dell’ormone e per l’instaurarsi di alterazioni ipotalamiche. Il GH però non può espletare la
sua funzione biologica dal momento che i suoi recettori nei tessuti bersaglio sono deficitari, come dimostrano i ridotti livelli sierici di GH binding protein (GHBP), in parte espressione dell’inadeguato stato nutrizionale dei pazienti. I livelli sierici di IGF-1
sono ridotti, mentre quelli di IGF-2 sono modicamente aumentati. Questo potrebbe essere più che sufficiente ad assicurare una
azione periferica degli effettori del GH. In realtà ciò non avviene
perché le IGF sono complessate abnormemente dalle loro proteine leganti (IGFBP1,2, 6 e i frammenti delle IGFBP3) che ne
riducono notevolmente la biodisponibilità (1).
La terapia con GH dovrebbe essere intrapresa quando la statura di tali pazienti scende al di sotto del terzo centile per l’età e
quando non si realizza un catch-up growth dopo la correzione
delle altre cause di ritardo staturale. In realtà è stato tentato un
trattamento in pazienti con età cronologica inferiore a 2 anni ottenendo un significativo recupero staturale e ciò allo scopo di evitare che tali soggetti accumulino nel tempo un deficit di potenziale accrescitivo che sarà difficile recuperare nelle epoche successive della vita. I dati della letteratura riportano che la terapia
con GH a dosi di 4UI/m2/die per almeno 4 anni: a)aumenta la
velocità di crescita in pazienti puberi e prepuberi con IRC; b) non
accelera significativamente la maturazione ossea; c) migliora la
statura finale che diviene sovrapponibile al bersaglio genetico; d)
non provoca significativi eventi avversi a carico del metabolismo
glucidico e calcio-fosforico (2).
I pazienti con insufficienza renale terminale mostrano una diversa risposta al trattamento con GH.
L’incremento staturale osservabile nel primo anno di terapia ritorna
a valori pre-trattamento nell’anno successivo. Poiché questi pazienti vengono trapiantati solitamente entro due anni dall’avvio del trattamento dialitico non sono disponibili risultati a lungo termine.
Se in teoria è ipotizzabile che il trapianto renale, ristabilendo le
alterazioni metaboliche causate dall’uremia, possa normalizzare
la funzione dell’asse GH-IGF, in pratica ciò non si realizza nel
paziente trapiantato nel quale si assiste ugualmente ad una crescita rallentata. Il motivo di questa mancata ripresa dell’accrescimento risiede nella somministrazione di glucorticoidi che costi-
Fibrosi cistica e GH
La scarsa crescita staturo-ponderale nei pazienti con fibrosi
cistica (FC) costituisce un problema di notevole interesse scientifico; il grado complessivo di attenzione nei confronti della patologia da parte dei cultori della materia è aumentato anche in
seguito alla aumentata longevità dei pazienti .
E’ noto come la statura finale sia inferiore alla statura target e
spesso al di sotto del terzo centile (6). Nonostante la crescita di
recupero che generalmente segue la diagnosi, un deficit staturoponderale si mantiene comunque fino all’adolescenza e si
aggrava ulteriormente in epoca adolescenziale a causa dello
spurt puberale ritardato e subnormale. E’ anche vero però che i
pazienti con fibrosi cistica presentano spesso una statura inferiore ai loro coetanei solo perché i loro familiari sono di bassa
statura, come riportato in una nostra recente segnalazione (7).
I principali fattori responsabili del deficit accrescitivo sono: la
malnutrizione proteino-calorica, l’eventuale coesistenza di una
epatopatia cronica e /o di uno stato infiammatorio cronico e la
terapia corticosteroidea (8).
Dalla valutazione dei dati della letteratura emerge che diversi fattori possono altresì influenzare la crescita staturale nei bambini
FC e tra questi sicuramente il peso alla nascita, la presenza di
ileo da meconio, l’età della diagnosi, il genotipo e soprattutto lo
stato nutrizionale. La supplementazione nutrizionale intensiva
(e.v.) da sola non è risultata in grado, a lungo termine, di migliorare significativamente l’accrescimento staturo-ponderale (9).
Tutti i suddetti fattori interferirebbero negativamente sulla crescita alterando l’integrità funzionale dell’asse GH-IGF1, ma
34
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Uso del GH nelle malattie croniche non endocrine
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
secondo alcuni autori (10) il principale modulatore dell’asse IGFIGFBP sarebbe lo stato infiammatorio cronico.
Alla luce di queste premesse sono stati condotti in questi ultimi
anni alcuni studi sperimentali finalizzati a valutare l’efficacia della
terapia con GH nei pazienti FC con un grave problema accrescitivo nonostante l’attuazione di un regime nutrizionale ipercalorico, un adeguato trattamento con enzimi pancreatici, una normale funzionalità epatica ed un trattamento corticosteroideo ridotto
nella posologia e nella durata nei cicli. Le esperienze degli ultimi
anni, periodo in cui è emerso , accanto a studi pilota, anche un
trial clinico multicentrico randomizzato controllato (11), hanno
confermato la positiva influenza del GH sulla crescita staturoponderale, sulla forza muscolare, sulla funzionalità polmonare,
sulla qualità vita , sulla tolleranza dell’esercizio fisico nonché sottolineato l’effetto anabolizzante del GH e quindi aumento della
massa magra e rimpinguamento della “bone-bank” (posologia
0.3 mg/Kg/settimana). Sono necessari chiaramente ulteriori contributi per estendere l’uso del GH ad una categoria di pazienti
sicuramente a rischio di ridotta tolleranza glucidica e di diabete
mellito: è doveroso valutare preliminarmente lo stato glicometabolico prima dell’avvio del trattamento monitorandolo periodicamente per tutta la sua durata.
GH si esplicherebbe attraverso un catabolismo ridotto delle proteine, l'aumento della sintesi delle proteine, la mobilizzazione del
grasso e la conversione degli acidi grassi a coenzima A, con
aumento del deposito di glicogeno. Teoricamente, se la sintesi
delle proteine e l'azoto totale del corpo possono essere aumentati in pazienti con il MC tramite l'uso di dosi soprafisiologiche di
GH, questo può essere favorevole in questi pazienti per la riabilitazione nutrizionale ed il trattamento del ritardo di crescita.
L’eventuale uso concomitante dei glucocorticoidi determina un
razionale ancora più forte per il trattamento con GH. Inoltre, considerate le interferenze negative dell’infiammazione cronica sul
sistema IGF – IGFBP recentemente dimostrate, la terapia con
GH potrebbe agire positivamente ripristinando le alterazioni
indotte dalla flogosi.
Un primo studio pilota pediatrico (15) ha messo in evidenza il
positivo effetto della terapia con GH su accrescimento staturale,
metabolismo osseo e composizione corporea nei bambini prepuberi con MC corticodipendente. Di contro in un altro studio
pilota (16) il GH somministrato a dosi soprafisiologiche
(0.05mg/kg/die) non avrebbe effetti positivi sulla crescita, neppure se addizionato alla terapia nutrizionale.
Anche se nel complesso i risultati sembrano incoraggianti emerge chiaramente la necessità di avere a disposizione maggiori
studi per estendere l’uso del GH a questa categoria di pazienti
le cui problematiche sono sicuramente complesse.
Morbo di Crohn e GH
La scarsa crescita staturale è fino ad oggi una delle complicanze più frequenti del Morbo di Crohn (MC) in età pediatrica. In
circa l’88% dei bambini con MC alla diagnosi si rileva un rallentamento della velocità di crescita a livelli inferiori al 3° centile.
Durante il percorso clinico il 30-40% dei pazienti pediatrici continua ad avere un grave ritardo di crescita, che nel 17% dei casi
rimane permanente. Questa complicanza spesso si associa ad
un ritardo della maturazione scheletrica e quindi dello sviluppo
puberale (12-13).
L’eziologia del ritardo di crescita è multifattoriale. Le principali
cause sono: non adeguata introduzione calorica giornaliera con
un aumentato fabbisogno, malassorbimento con eccessiva perdita gastrointestinale, infiammazione cronica.
Analogamente alla fibrosi cistica, anche nel MC proprio quest’ultima sarebbe responsabile della scarsa crescita ,a conferma dell’interrelazione esistente fra citochine pro-infiammatorie e fattori
di crescita (10-14).
Sebbene le moderne strategie terapeutiche (trattamento nutrizionale specifico terapie farmacologiche anti-infiammatorie e immunomodulatori), abbiano influenzato positivamente l’accrescimento staturo-ponderale di questi pazienti, tuttavia il ritardo accrescitivo persiste nel 20-25% di loro (13).
Risultati incoraggianti sono scaturiti dall’uso dell’ormone della
crescita nel MC. E’ stato dimostrato che la terapia con GH stimola la sintesi proteica durante la nutrizione parenterale ipocalorica sia in individui malati critici che in buona salute. L’effetto del
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Corrispondenza:
Manca corrispondenza
36
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Le poliendocrinopatie
autoimmuni
Renata Lorini, Giuseppe d’Annunzio
Clinica Pediatrica - Università di Genova, Istituto G. Gaslini Genova
Introduzione
Le poliendocrinopatie autoimmuni sono una condizione morbosa caratterizzata dall’ insufficienza di più ghiandole endocrine a
patogenesi autoimmune. La prima segnalazione di poliendocrinopatie autoimmuni risale al 1855 da parte di Thomas Addison,
che descrisse la coesistenza di insufficienza surrenalica, anemia
perniciosa e vitiligo in un medesimo paziente. Successivamente
sono stati segnalati numerosi altri casi che hanno permesso di
comprendere e classificare la cosiddetta “Sindrome poliendocrina autoimmune”, che è stata riscontrata con variabile frequenza
in condizioni che coinvolgono progressivamente organi endocrini e organi non endocrini.
Le principali forme cliniche sono raggruppabili in 2 tipi: il tipo 1
con insorgenza in età pediatrica, ed il tipo 2 con insorgenza in
età adulta. Nelle Tabelle 1 e 2 sono riportate le principali caratteristiche delle 2 forme.
Tabella 1. Caratteristiche cliniche della sindrome
poliendocrina autoimmune di tipo 1.
Età di insorgenza
Pediatrica
Rapporto f / m
1.5/1
Trasmissione genetica
Autosomica recessiva:
cromosoma 21q22.3
Associazione con HLA
Nessuna
Componenti endocrin
Ipoparatiroidismo
Morbo di Addison
Tireopatia autoimmune
Diabete Mellito Tipo 1
Ipogonadismo (60% > 13a)
Componenti
non Endocrine
Candidosi muco-cutanea
Anemia perniciosa
Vitiligo (8-9%)
Epatite cronica attiva
Alopecia
Malassorbimento
Distrofia smalto dentario
Distrofia ungueale
Sindrome poliendocrina
autoimmune di tipo 1
Il primo caso di sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 è
stato descritto nel 1929 e riportava un bambino con tetania cronica da ipoparatoiroidismo associata a candidosi mucocutanea.
La sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1, detta anche
APECED (Autoimmune Polyendocrinopathy-CandidiasisEctodermal Dystrophy) é un disordine autosomico recessivo
caratterizzato dalla associazione di manifestazioni autoimmuni a
carico di alcune ghiandole endocrine e di patologie di natura
infettiva, prima fra tutte l'infezione persistente o ricorrente da
Candida della cute e/o delle mucose (candidosi mucocutanea
cronica).
L'APECED è una condizione che può interessare sia casi isolati
sia più componenti di una stessa famiglia. Poiche l'APECED è
caratterizzata da una grande variabilità fenotipica era stato inizialmente ipotizzato una eziopatogenesi poligenica, ma in seguito è stato identificato un solo gene responsabile della malattia
nelle varie etnie esaminate, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 21 (q22.3), nella regione posta tra D21S49 e D21S71 e
Tabella 2. Caratteristiche cliniche della sindrome
poliendocrina autoimmune di tipo 2.
37
Età di insorgenza
Adulta
Rapporto f / m
1.8/2.1
Associazione con HLA
DR3/DQB1*0201
Componenti endocrine
Morbo di Addison
Tireopatia autoimmune
Diabete Mellito Tipo 1
Ipogonadismo
Ipopituitarismo (ipofisite)
Componenti
non endocrine
Vitiligo
Anemia perniciosa
Morbo celiaco
Alopecia
Miastenia gravis
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
delle ghiandole endocrine e si manifesta ad un’età compresa fra
3 mesi e 44 anni, solitamente prima dei 15 anni. La comparsa di
ipoparatiroidismo in epoca neonatale richiede diagnosi differenziale con la sindrome di Di George, la malattia di Kenney-Caffey
e la sindrome di Bakarat. Istologicamente le paratiroidi presentano atrofia ed infiltrato di cellule mononucleate. Clinicamente
sono presenti parestesie, ipereccitabilità neuromuscolare, ipotensione, malassorbimento intestinale con steatorrea. Gli esami
di laboratorio mostrano ipocalcemia associata ad iperfosfatemia
e bassi livelli di paratormone, ipocalciuria ed iperfosfaturia; la
funzionalità renale è normale. In una percentuale variabile dall’11
al 38 % dei casi sono stati evidenziati anticorpi anti-paratiroide
mediante immunofluorescenza. Più recentemente sono stati
descritti anticorpi diretti contro il recettore calcio-sensibile. La
terapia dell’ipoparatoridismo si basa su calcio e vitamina D. In
caso di ipocalcemia acuta è necessaria l’infusione endovenosa
di Calcio gluconato.
L'iposurrenalismo, che nella sua manifestazione meno grave può
causare una sindrome di affaticamento cronico, è di solito la
terza componente dell’APECED a comparire in senso cronologico. Compare fra i 6 mesi ed i 40 anni, con un’età media di 14.6
anni, e interessa dal 22% alla totalità dei pazienti; sono affetti
soprattutto i soggetti di razza ebraica, e meno frequentemente i
nordeuropei. Istologicamente si osserva infiltrato linfocitario ed
atrofia ghiandolare, quest’ultima confermata anche dalla tomografia assiale computerizzata. I segni ed i sintomi clinici sono
conseguenti al deficit combinato di glucocorticoidi, mineralcorticoidi ed androgeni. Clinicamente è riferita debolezza, astenia,
malessere, apatia, calo ponderale ed anoressia. L’astenia
aumenta con l’esercizio fisico e si risolve con il riposo. La malattia può evolvere insidiosamente sino alla crisi surrenalica, scatenata da differenti fattori (infezioni, stress, interventi chirurgici) e
che costituisce un’emergenza endocrinologica talora così grave
da causare la morte del paziente. I sintomi gastrointestinali sono
rappresentati da nausea, vomito, dolori addominali e diarrea
alternata a stipsi. L’ipotensione è il sintomo cardiovascolare, l’ipoglicemia è il principale dato metabolico alterato, conseguente
a deficit di cortisolo e aumentata utilizzazione periferica del glucosio. Sono inoltre presenti iponatriemia, ipocloremia e iperkaliemia con ridotta osmolarità plasmatici. Anticorpi anti-21 idrossilasi sono presenti nel 48% dei pazienti in età pediatrica.
In molti casi è presente iperpigmentazione cutanea per aumentati livelli di propiomelaocortina, ACTH, ‚-lipotropina, melatonina,
o per azione combinata dei suddetti peptidi. L’iperpigmentazione
è localizzata in aree già scure (areole mammarie, nevi genitali
esterni), oppure in aree esposte al sole o soggette a microtraumi. Caratteristica è l’iperpigmentazione delle pieghe palmari e
delle cicatrici. Può essere presente deficit di cortisolo, di aldosterone o di entrambi. L'insufficienza surrenalica riscontrata in
pazienti con APECED è primaria, pertanto la diagnosi si basa sul
riscontro di bassi livelli di cortisolemia con elevate concentrazioni di ACTH. In casi borderline occorre effettuare test di stimolo
sembra essere coinvolto nella selezione negativa e nell’induzione di anergia timica.. Il gene è stato chiamato AIRE (AutoImmune
REgulator), e codifica per una proteina nucleare di 545 aminoacidi. L’espressione clinica della malattia dipende dalla presenza
della mutazione su entrambi gli alleli del gene AIRE. I genitori dei
pazienti affetti sono portatori di un solo allele mutato e non presentano segni o sintomi riferibili alla malattia. Il meccanismo
fisiopatologico della sindrome poliendocrinopatica autoimmune
tipo 1 è correlato ad anomalie della normale tolleranza immunitaria, che determinano la formazione di anticorpi contro determinati antigeni tissutali quali recettori di superficie, enzimi intracellulari, ormoni proteici secreti dalle cellule endocrine.
L’APECED rappresenta pertanto la prima malattia autoimmune
caratterizzata da mutazione di un singolo gene. La sindrome
poliendocrina autoimmune di tipo 1 è malattia rara, e presenta
una frequenza compresa fra 1:9000 negli Ebrei Iraniani e
1:14.400 in Finlandia. In Italia la frequenza varia da 1:25.000 in
Sardegna e 1:200.000 nel Veneto. Il rapporto femmine/maschi è
compreso fra 0.8 e 2.4, a seconda delle popolazioni esaminate.
Aspetti clinici
Le manifestazioni cliniche maggiori della sindrome poliendocrina
autoimmune di tipo 1 (APECED) sono la candidosi mucocutanea
cronica, l'ipoparatiroidismo e l'insufficienza surrenalica. Per formulare diagnosi clinica di APECED devono essere presenti due
di queste tre condizioni morbose.
Nella maggior parte dei casi la prima manifestazione clinica è la
candidosi mucocutanea, seguita dall'ipoparatiroidismo e successivamente dalla insufficienza surrenalica.
Più precoce è la comparsa di una delle condizioni morbose
caratterizzanti la malattia, più numerose saranno le patologie che
si svilupperanno nel corso del follow-up.
La candidosi mucocutanea cronica è la più frequente delle tre
manifestazioni maggiori, si può manifestare già nei primi mesi di
vita, e presenta un picco di incidenza entro i primi 2 anni di età.
Sono interessate cute, unghie, mucosa orale, esofagea e vaginale. La candidosi pseudomembranosa orale è la lesione che
appare per prima ed è stata osservata in più del 90% di tutti i casi
di candidosi mucocutanea cronica. Altrettanto comuni sono le
onicomicosi. che vanno dalla semplice distrofia e decolorazione
dell'unghia fino a formazione di escrescenze ipercheratosiche.
Un'interessante caratteristica clinica è che, seppur in presenza di
estese infezioni della bocca, della cute, delle unghie, è rara la
candidosi profonda. Sono stati descritti tuttavia casi di encefalite, meningite ed endoftalmite da Candida.
La candidosi mucocutanea è dovuta ad un deficit selettivo delle
cellule T nei confronti della Candida. La risposta delle cellule B è
invece normale, con conseguente assenza di candidosi sistemica. La terapia antimicotica con itraconazolo è più efficace nella
candidosi ungueale rispetto alle forme con interessamento
mucosale.
L'ipoparatiroidismo in genere è la prima manifestazione a carico
38
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Le poliendocrinopatie autoimmuni
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
con ACTH. La diagnosi dì deficit di aldosterone si basa sul
riscontro di incapacità a trattenere sodio.
La terapia sostitutiva dell’insufficienza surrenalica comprende
idrocortisone, da non sospendere soprattutto in caso di stress o
malattie intercorrenti; in tali situazioni può essere necessario
aumentare la dose del farmaco o ricorrere alla somministrazione
endovenosa. La determinazione del cortisolo urinario è parametro utile per valutare l’appropriatezza terapeutica.
I pazienti con le prime due manifestazioni di APECED andrebbero controllati con la ricerca degli anticorpi anti-surrene per
valutare la possibilità di un'evoluzione verso l'insufficienza surrenalica.
Se soltanto queste tre malattie possono considerarsi componenti fondamentali dell'APECED, lo spettro delle manifestazioni cliniche minori associate è assai ampio ed include:
1) altre endocrinopatie autoimmuni (ipogonadismo ipergonadotropo. diabete mellito tipo 1, malattie della tiroide e dell'ipofisi);
2) malattie gastrointestinali autoimmuni o immunomediate
(gastrite cronica atrofica, anemia perniciosa, malassorbimento, epatite cronica attiva);
3) malattie autoimmuni della cute (vitiligine);
4) distrofia ectodermica (alopecia, displasie dentarie, cheratocongiuntivite);
5) difetti immunologici (dell'immunità umorale e cellulare).
Tra le endocrinopatie su base autoimmune è frequente l'ipogonadismo ipergonadotropo, più frequente nelle femmine e caratterizzato da amenorrea primaria o secondaria, elevati livelli di
gonadotropine e bassi livelli di estrogeni sierici. L'esame istologico dell’ovaio mostra ipoplasia tessutale ed infiltrato linfocitario
dei follicoli in via di sviluppo. Può residuare sterilità.
Altre manifestazioni endocrine sono il diabete mellito tipo 1,
secondario a distruzione autoimmune delle cellule ‚ pancreatiche
(fino al 12% dei casi), malattie autoimmuni della tiroide quali tiroidite di Hashimoto (dal 4 al 36% dei casi) ed ipofisite autoimmune (7% dei casi), caratterizzate da presenza di anticorpi circolanti contro le rispettive ghiandole endocrine.
Tra le malattie gastrointestinali autoimmuni o immunomediate
sono da ricordare: l'epatite cronica attiva, che può interessare il
5-31% dei pazienti e presentare diversi livelli di gravità (da asintomatica a fulminante) e che può condizionare la prognosi
dell'APECED, l'anemia perniciosa, la gastrite cronica atrofica, e il
malassorbimento che si presenta con episodi ricorrenti di diarrea
e /o steatorrea e che è stato descritto con una frequenza elevata (18-22% dei casi).
Il malassorbimento può essere dovuto ad una grande varietà di
cause quali l'enteropatia autoimmune, il morbo celiaco, l’insufficienza pancreatica, le infezioni intestinali da Candida o da
Giardia e la linfangiectasia intestinale.
La distrofia ectodermica riguarda soprattutto unghie e smalto
dentale. L'ipoplasia dello smalto dentario interessa solo i denti
permanenti. Può essere severa ed è indipendente dalla comparsa dell' ipoparatiroidismo.
Fanno parte del quadro della distrofia ectodermica anche l'ipotricosi fino all'alopecia totale e la cheratocongiuntivite, il cui primo
sintomo è la fotofobia e che si diagnostica sulla base del riscontro
di opacità corneali grigiastre, irregolari, lentamente confluenti.
Alterazioni immunologiche
Alla base della candidosi mucocutanea cronica, che è una delle
tre componenti fondamentali deIl'APECED, è stato ipotizzato ci
fosse un difetto immunologico. In particolare si è pensato ad un
difetto dell'immunità cellulo-mediata e sono stati identificati diversi
profili di deficit immunologico di differente gravità nei pazienti con
candidosi mucocutanea cronica.
Nel 1981 è stata documentata una risposta cutanea ritardata difettosa o assente nei confronti di alcuni antigeni (Candida, streptochinasi, streptodornasi, tubercolina e alcuni funghi patogeni).
Nel 1989 è stato descritto un caso di CMC con deficit di IgG2 e di
IgG4. Nel 1990 è stato evidenziato che mentre l'immunità umorale era nella norma, l' immunità cellulare mostrava una diminuzione
del rapporto CD4/CD8 proprio nei pazienti con maggiori complicanze di tipo infettivo.
Nella metà dei casi la candidosi mucocutanea cronica è associata ad endocrinopatia. E' stata ipotizzata l'esistenza di un difetto di
immunoregolazione alla base da una parte dell'infezione cronica
da Candida e dall'altra responsabile delle manifestazioni autoimmuni.
Autoanticorpi e autoantigeni
Numerosi autoanticorpi organo e non-organo specifici sono stati
descritti nel siero di pazienti con APECED.
Il loro significato patogenetico non é noto. Nonostante non sia
stata dimostrata una stretta correlazione fra sintomatologia clinica
e riscontro di autoanticorpi, la presenza dell'anticorpo organo-specifico può avere un significato predittivo.
Trattamento
Nell'APECED il trattamento delle endocrinopatie, che consiste
nella sostituzione ormonale, ha condotto a notevole miglioramento della sopravvivenza neg1i ultimi 25 anni. Il trattamento non è dissimile da quello raccomandato per le singole endocrinopatie.
Di più difficile soluzione sembrerebbe il trattamento della candidosi mucocutanea cronica.
Tre possibili strategie per affrontare la malattia sono rappresentate da:
1) la terapia antimicotica;
2) la terapia immunomodulante;
3) l'associazione tra le prime due.
Un' importante considerazione da prendere in esame nella strategia terapeutica della candidosi mucocutanea cronica è che, presentando la malattia un deficit immunitario, le infezioni tendono a
ripetersi se non si interviene sul sottostante deficit .
Il successo della terapia immunologica dipende dall'identificazione e dalla caratterizzazione del difetto immunologico.
39
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Sindrome poliendocrina
autoimmune di tipo 2
10.
L’associazione fra insufficienza surrenalica e tiroidite cronica è
stata descritta nel 1926 in 2 pazienti. Sei anni dopo è stata
segnalata la coesistenza di diabete mellito, insufficienza surrenalica e tiroidite. E’ stata definita Sindrome di Schmidt dal nome
dell’autore che per primo la descrisse.
L’incidenza della Sindrome di Schmidt è 1.4-4.5 casi/100.000, e
interessa soprattutto donne in età adulta (media 35 anni), con
rapporto femmine/maschi di 2.7-3.7, e assai raramente è osservata in pazienti pediatrici.
Le manifestazioni cliniche maggiori includono insufficienza surrenalica, tireopatie autoimmuni, diabete mellito autoimmune.
Una caratteristica del diabete mellito è l’esordio clinico variabile,
che può essere acuto oppure a lenta evoluzione come nel LADA
(Latent Autoimmune Diabetes of the Adult).
Sindrome poliendocrina autoimmune tipo 2 è incompleta qualora siano presenti oltre all’insufficienza surrenalica anche anticorpi antitiroide e/o anti ‚-cellula pancreatica, o qualora tireopatie
autoimmuni o diabete mellito siano associati ad anticorpi anti-21
idrossilasi, indipendentemente dalla anamnesi familiare.
Per quanto concerne le poliendocrinopatie autoimmuni è importante considerarle malattie croniche caratterizzate da un lungo
periodo di latenza asintomatico, e che nella loro storia naturale si
possono identificare 3 fasi: 1) potenziale; 2) subclinica e 3) clinica.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
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Corrispondenza:
Prof. Renata Lorini
Direttore Clinica Pediatrica
Università di Genova - IRCCS G. Gaslini
Largo G. Gaslini 5 - 16147 Genova
Tel: 010-5636654 - Fax: 010-3538265
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Dal diabete di tipo 2
al diabete di tipo ibrido
A. Blasetti, A.M. Tocco, C. Di Giulio, F. Chiarelli
Clinica Pediatrica, Chieti
Riassunto
Il diabete tipo 1 (T1D) e il diabete di tipo 2 (T2D) sono stati considerati sino a qualche anno fa due entità
patologiche separate. Tuttavia tale classificazione è stata messa in discussione da evidenze recenti di “overlapping” fra
le due forme di diabete. In particolare sono stati rilevati casi di diabete in bambini e adolescenti in cui si evidenziava la
presenza di markers di autoimmunità rivolti verso la beta-cellula pancreatica (anticorpi GAD, IA-2 e IAA) seppure in numero ridotto rispetto al T1D, associati a alcune caratteristiche tipiche del diabete di tipo 2 (obesità ed insulino resistenza) e
a familiarità per T2D e/o T1D. Questo diabete “atipico” della popolazione pediatrica è stata definito con termini diversi:
“diabete doppio (DD)” o “diabete ibrido” o “diabete tipo 1.5”. L’insulino resistenza e l’obesità associati alla presenza di
almeno un marker dell’autoimmunità pancreatica definiscono questa “nuova” forma di diabete.
Varie ipotesi sono state proposte per spiegare la relazione tra le varie forme di diabete (T1D, DD, T2D) e l’aumento globale di diabete nella popolazione pediatrica.
Data la variabilità fenotipica delle due forme di diabete sarebbe opportuno un follow-up attento dei pazienti già diagnosticati come T1D e T2D al fine di valutare l’eventuale evoluzione clinica in diabete ibrido e l’eventuale associazione con
fattori di rischio al fine di stabilire strategie preventive appropriate. In attesa di studi a lungo termine il pediatra o lo specialista endocrinologo dovranno promuovere variazioni dello stile di vita dei bambini e adolescenti al fine di prevenire lo
sviluppo di diabete in età pediatrica e di patologie cardiovascolari in età adulta.
Parole chiave: diabete doppio, diabete ibrido, diabete tipo 1, diabete tipo 2, adolescenti.
Diagnosis of causes of diabetes in children
Summary
Until few years ago, type 1 diabetes (T1D) and type 2 diabetes (T2D) were considered two different entities.
However, this classification has been questioned by recent evidence of an "overlapping" between the two forms of diabetes.
The incidence of both T1D and T2D is increasing worldwide in children. This increase parallels the rise of childhood obesity
and insulin resistance.
Some authors have proposed the so-called “accelerator hypothesis “ to partially explain these
findings, postulating that insulin resistance accelerates immune-mediated diabetes, leading to
a rise in the incidence of diabetes and to an overlapping between T1D and T2D. This condition, named double diabetes or
hybrid diabetes, is characterized by a high frequency of family history of T2 D; a reduced influence of the major T1D genetic susceptibility genes (MHC); hyperglycaemia; insulin resistance and markers of ß-cell autoimmunity (GAD, IAA, IA2).
Given the phenotypic variability of the two forms of diabetes, a careful follow-up of patients already diagnosed with T1D and T2D
is important to assess any changes in clinical hybrid diabetes and to detect any association with risk factors.
Pending long-term studies, the paediatrician should promote changes in lifestyle for children and adolescents in order to prevent the development of paediatric diabetes and cardiovascular disease in adulthood
Key words: “double diabetes”, “Hybrid diabetes”, children, adolescents, type 1 diabetes, type 2 diabetes.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
L’iperglicemia cronica oltre a determinare un’inefficienza funzionale delle ß-cellule, si è rilevata in grado di indurre una “up-regulation”
immunologica: è stata infatti dimostrato che elevati livelli di glicemia
determinano un’aumentata espressione dell’autoantigene GAD 65
(8) a livello pancreatico, che favorirebbe l’aggressione immunitaria
e quindi la distruzione della beta-cellula.
Altri fattori possono determinare una aumentata richiesta di produzione di insulina e favorire lo scatenamento dell’autoimmunità: accrescimento, infezioni, stress psicologici, fattori ambientali (9-11).
Recentemente Wilkin (10) ha proposto la cosiddetta ‘Accelerator
Hypothesis’ che propone un’interpretazione eziopatogenetica
unitaria dei due tipi principali di diabete e delle sue forme intermedie. L’ipotesi prevede l’interazione di tre fattori, uno intrinseco,
l’apoptosi, e due acquisiti, l’insulino-resistenza e l’aggressione
autoimmune. Questi fattori in modo integrato e consecutivo,
determinerebbero la comparsa dell’iperglicemia.
Il primo fattore ‘acceleratore’ è rappresentato dalla costituzionale
(fisiologica) perdita di beta cellule attraverso il meccanismo dell’apoptosi; il secondo ‘acceleratore’ è costituito dall’insulino-resistenza periferica, mentre il terzo ‘acceleratore’, presente solo in
quella quota di individui geneticamente suscettibili, è rappresentata dall’aggressione autoimmune. Il meccanismo apoptotico da
solo, in assenza degli altri 2 ‘acceleratori’, difficilmente porta al
diabete mellito, ma, se lo provoca, lo provoca solo in soggetti
anziani, quelli in cui l’apoptosi delle beta cellule ha raggiunto lo
stadio più avanzato e dove la secrezione residua di insulina non
è più in grado di mantenere un buon compenso glico-metabolico.
Il secondo ‘acceleratore’ è l’insulino-resistenza, che è il perno su
cui si poggia l’ipotesi. L’insulino-resistenza, infatti, è il risultato di
una predisposizione genetica, a cui contribuiscono numerosi
Il diabete tipo 1 (T1D) e il diabete di tipo 2 (T2D) sono stati considerati sino a qualche anno fa due entità patologiche separate.
Tale distinzione si basava su caratteristiche cliniche e patogenetiche diverse, nonché dal riscontro di infiltrazione linfocitaria
delle insule pancreatiche, dalla presenza di markers di autoimmunità pancreatica e dall’associazione con specifici antigeni di
istocompatibilità di classe II (HLA).
Questa classificazione è stata messa in discussione da evidenze recenti di “overlapping” e/o di coesistenza delle due forme di
diabete in età pediatrica. (1-3)
In particolare è stato rilevato un aumento di casi di T1D e di T2D
in bambini e adolescenti in soprappeso o obesi prima di sviluppare iperglicemia. In tali pazienti è stata evidenziata la presenza
di marker di autoimmunità rivolto verso la beta-cellula pancreatica (anticorpi GAD, IA-2 e IAA) seppure in numero ridotto rispetto
al T1D, associati a alcune caratteristiche cliniche tipiche del diabete di tipo 2 (obesità ed insulino resistenza) e familiarità per T2D
e/o T1D.
Questo diabete “ atipico” nella popolazione pediatrica è stata
definito per la prima volta da Libman e Beker (4) “diabete doppio” e successivamente “diabete ibrido” o “diabete tipo 1.5” o
LADY ( Latent Autoimmune Diabetes in Youth) da altri autori (3).
L’insulino resistenza e l’obesità associati alla presenza di almeno un marker dell’autoimmunità pancreatica definiscono questa
“nuova” forma di diabete.
Varie ipotesi sono state proposte per spiegare una possibile relazione tra diabete di tipo 1, diabete di tipo 2 e diabete di tipo ibrido
dato l’aumento globale di diabete nella popolazione pediatrica.
Lo studio EURODIAB ha documentato, nei paesi europei, un
costante aumento di incidenza del T1D in un relativamente breve
arco di tempo (dieci anni), in particolare si è verificato un aumento di incidenza del T1D nella fascia d’età 0-14 aa (5-6). La più alta
incidenza è stata registrata in Finlandia ed in Sardegna: 40.9
/100000/anno, e 37.8 /100000/anno, rispettivamente. Tale
aumento di incidenza, avvenuto in così breve tempo, nonché il
dato epidemiologico dell’anticipo dell’età di esordio, fa ipotizzare un importante ruolo dei fattori ambientali.
Anche l’incidenza del T2D in età pediatrica è aumentata vertiginosamente negli ultimi 10 anni, in parallelo all’aumento registrato, soprattutto nei paesi industrializzati, di insulino- resistenza ed
obesità (7).
Dati epidemiologici rilevano non solo la coesistenza di T1D e
T2D nelle famiglie di pazienti con T1D ma anche l’eccessiva frequenza di familiarità per T2D nei bambini con T1D rispetto alla
popolazione generale supportando l’ipotesi dell’esistenza del
diabete doppio.
Qualunque sia la causa, il diabete nelle sue varie forme è la risultante di un disordine ß-cellulare, che comporta la compromissione del controllo glicemico.
La perdita della funzione ß-cellulare, o l’impossibilità di far fronte ad
un fabbisogno insulinico aumentato a causa dell’insulino resistenza, comportano l’esordio dell’iperglicemia clinicamente manifesta.
Tabella 1. Principali caratteristiche del diabete ibrido.
Storia familiare per T2D e/o T1D
Insorgenza in età infantile e durante l’adolescenza
Ridotto numero di caratteristiche cliniche tipiche
del T1D, quali perdita di peso, poliuria/polidipsia,
insorgenza di chetoacidosi
Presenza di caratteristiche cliniche del T2D
Ipertensione arteriosa
Dislipidemia
Aumentato BMI con aumentato rischio per
complicanze microvascolari rispetto ai bambini
con T1D classico
La terapia insulinica non è la terapia primaria
rispetto ai soggetti affetti da T1D
Presenza di autoanticorpi rivolti verso le isole
pancreatiche, ma in numero ridotto rispetto
ai soggetti affetti da T1D
42
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Dal diabete di tipo 2 al diabete di tipo ibrido
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
geni, e a cui si associano fattori acquisiti, come il peso corporeo
e l’attività fisica. Il soprappeso (o la franca obesità) e la scarsa attività fisica sono fenomeni sempre più diffusi nei paesi industrializzati e rappresentano i principali fattori di rischio per l’insorgenza
del diabete di tipo 2. A questi fattori si deve però associare la
comparsa degli autoanticorpi diretti contro le beta cellule, i marcatori del diabete di tipo 1. Evidenze di ciò sono state documentate sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica.
Inoltre l’aumento ponderale e quindi dell’insulino resistenza nei
soggetti a rischio di T1D favorirebbe il processo distruttivo delle
beta cellule per lo stato proinfiammatorio indotto dall’obesità. È
noto che le adipocitochine e altre molecole immunomodulatrici
indotte dalla stato di obesità determinano anche effetti immunologici sulle cellule T (con shift della risposta Th1/Th2), sulle cellule macrofagiche e sulla produzione di altre citochine amplificando ed automantenendo il processo infiammatorio e quindi
favorendo l’aggressione autoimmune pancreatica.
Inoltre un altro possibile meccanismo che lega insulino resistenza e autoimmunità è la documentata correlazione positiva tra
titolo di GAD e incremento di BMI dovuta probabilmente ad
aumentata espressione citochino indotta (Il1, IFNg, TNFa). Presi
nel loro insieme, questi dati tendono a confermare il ruolo centrale dell’insulino-resistenza come fattore di rischio in comune tra
il diabete di tipo 1 e di tipo 2. Le due forme si distinguerebbero,
quindi, sul grado di modulazione del terzo acceleratore, l’aggressione autoimmune, che agirebbe come un ulteriore catalizzatore sulla perdita complessiva del patrimonio beta cellulare
dell’individuo.
Fattori genetici modulerebbero quindi l’innesco e l’aggressione
autoimmune e l’evoluzione clinica del diabete (11).
Ulteriori e più ampi studi sono fondamentali nella popolazione
pediatrica al fine di comprendere l’etiopatogenesi e l’evoluzione
clinica di questa nuova forma di diabete.
Allo stato delle conoscenze attuali bisogna promuovere campagne di prevenzione dell’obesità in bambini e adolescenti e di
cambiamento nello stile di vita al fine di prevenire lo sviluppo, in
età pediatrica di patologie metaboliche associate ad un aumentato rischio cardiovascolare in età adulta, come il diabete ibrido
e la sindrome metabolica
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Conclusioni
Una volta documentata una condizione di iperglicemia esordita
o meno con chetoacidosi in un bambino o adolescente in
soprappeso o obeso, la diagnosi del tipo di diabete può diventare problematica per la possibile coesistenza delle due forme di
diabete (vedi Tabella 1). Inoltre data la segnalata comparsa di
complicanze micro vascolari più precoci in tale forma di diabete
è necessario un approccio diagnostico, terapeutico e preventivo
appropriato e tempestivo. Sono necessari tuttavia ulteriori studi a
lungo termine di follow-up in pazienti di età pediatrica con
sospetto diabete ibrido al fine di stabilire dei protocolli adeguati.
Inoltre data la variabilità fenotipica delle due forme di diabete
sarebbe opportuno un follow-up attento dei pazienti già diagnosticati come T1D e T2D al fine di valutare l’eventuale evoluzione
clinica in diabete ibrido e l’eventuale associazione con fattori di
rischio al fine di stabilire strategie preventive appropriate.
Dott.ssa Annalisa Blasetti
Clinica Pediatrica, Ospedale Policlinico
Via dei Vestini, 5 - 66100 Chieti
Tel: + 39 0871/358021-358015
Fax: +39 0871/ 574831
e-mail: [email protected]
e-mail: [email protected]
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Ipertireotropinemie
in età pediatrica e adolescenziale
G. Chiumello, G. Weber, A. Passoni, F. Cortinovis, S. Rabbiosi
Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
Si definisce Ipertirotropinemia e/o Ipotiroidismo Subclinico (IS)
una condizione clinica caratterizzata da valori lievemente elevati
di ormone tireostimolante (TSH) con normali livelli sierici di ormoni tiroidei liberi, in assenza di specifica sintomatologia clinica.
Nella popolazione adulta si stima un’incidenza del 4-10%, con
predominanza femminile, che raggiunge il 7-26% negli anziani
(1). Per quanto riguarda l’età pediatrica ci sono pochi dati epidemiologici disponibili in letteratura; un recente studio condotto su
una popolazione di 1,327 adolescenti di età compresa tra i 13 e
i 16 anni ha evidenziato la presenza di ipotiroidismo subclinico
nell’1.7 % dei soggetti (2).
Le cause dell’ipertireotropinemia sono molteplici e variano in
base all’età di insorgenza. Il riscontro può essere occasionale o
in seguito al dosaggio della funzionalità tiroidea per familiarità
positiva per tireopatia o per la comparsa di sintomatologia aspecifica quale stanchezza, difficoltà a perdere peso, tireomegalia,
scarso accrescimento staturo-ponderale.
In età peripuberale la causa più frequente dell’IS acquisito è la
tiroidite cronica autoimmune. Tale patologia è la causa principale di disfunzione tiroidea nella popolazione pediatrica, con un’incidenza di 1.3% tra gli 11 e i 18 anni, e frequentemente può essere associata ad altre patologie autoimmuni (diabete mellito
autoimmune, celiachia, poliendocrinopatie). La prevalenza nel
sesso femminile è 4-7 volte maggiore rispetto al sesso maschile
e nel 30-40 % dei pazienti vi è un’anamnesi familiare positiva per
tireopatia. Il segno più frequente associato alla tiroidite autoimmune è il gozzo, spesso asintomatico. La positività degli anticorpi anti-tireoperossidasi (Ab-TPO), anti-tireoglobulina (Ab-TGA) ed
il dato ecografico patognomonico permettono di porre la diagnosi, tuttavia la maggior parte dei pazienti si presenta in eutiroidismo o con un ipotiroidismo subclinico. È meritevole di nota il
fatto che nella popolazione pediatrica ed adolescenziale il rischio
di progressione dalla forma subclinica ad un ipotiroidismo franco è meno comune rispetto che in età adulta (3).
L’ipotiroidismo subclinico inoltre è frequentemente riscontrato in
paziente portatori di cromosomopatie (ad esempio sindrome di
Down, di Turner, di Klinefelter, di Williams) o sindromi malformative complesse. In particolare patologie tiroidee sono spesso
associate alla sindrome di Down; i bambini con tale sindrome
sono geneticamente predisposti a sviluppare patologie autoim-
muni quali la celiachia, il diabete e l’ipotiroidismo su base
autoimmune, tuttavia non è infrequente riscontrare quadri di IS
idopatico, con negatività degli anticorpi anti-tiroide.
Con l’aumento dell’incidenza dell’obesità nella popolazione
pediatrica deve essere inoltre posta sempre maggiore attenzione
alle alterazioni della funzionalità tiroidea nei soggetti sovrappeso.
Un recente studio ha infatti definito in tali pazienti una prevalenza
dell’ipotiroidismo subclinico o franco pari al 19.5%, con valori di
TSH direttamente correlati ai livelli di insulinemia a digiuno e al
grado di insulino-resistenza (4). La letteratura non evidenzia dati
uniformi e di sicura interpretazione in merito all’eventuale reversibilità di tale disfunzione tiroidea con il calo ponderale.
Non può infine essere sottostimata la possibile interferenza con
la funzionalità tiroidea di alcune sostanze presenti nell’ambiente,
dell’alimentazione o di farmci. Innanzitutto è da menzionare la
carenza di iodio, che a livello mondiale costituisce tuttora la più
frequente causa di ipotiroidismo e gozzo e che ha visto negli ultimi anni attuare strategie preventive di salute pubblica come la
commercializzazione del sale iodato (5). È inoltre noto che alcuni farmaci possono alterare la sintesi, il trasporto e il metabolismo degli ormoni tiroidei. In particolare l’assunzione di acido valproico può determinare un quadro di ipertireotropinemia, con
aumento dei soli livelli sierici di TSH in presenza di normali valori di FT3 e FT4, ed in un recente studio tale alterazione è stata evidenziata nel 25.2% dei pazienti trattati (6). Sostanze voluttuarie
come il fumo di sigaretta possono accentuare disfunzioni tiroidee
altrimenti silenti.
Oltre alle forme di ipertirotropinemia acquisita è importante effettuare un attento follow-up nei soggetti con anamnesi neonatale
positiva per alterazioni della funzionalità tiroidea. È documentato in
letteratura che bambini con ipertirotropinemia neonatale “transitoria”, più comunemente associata al passaggio transplacentare di
auto-anticorpi materni, deficit o eccesso materno di iodio o esposizione del feto a farmaci anti tiroidei, tendono a presentare anche
negli anni successivi lievi alterazioni della funzionalità tiroidea in
un’alta percentuale di casi che varia dal 36 al 70% (7).
Un’attenzione particolare deve inoltre essere posta nei confronti
degli ex prematuri, infatti un recente studio che ha esaminato la
funzionalità tiroidea all’età di 6-10 anni ha riscontrato valori di tireotropina superiori ai limiti di normalità in più del 10 % dei casi (8).
44
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Ipertireotropinemie in età pediatrica e adolescenziale
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Bibliografia
I casi di ipertireotropinemia neonatale persistente riconoscono
spesso come base eziologica un’alterazione molecolare, frequentemente in eterozigosi, in uno dei geni coinvolti nell’ormonogenesi tiroidea. In letteratura sono state descritte mutazioni a
carico del gene del recettore del TSH (TSHr) e dei geni DUOX2 DUOXA2. Tali quadri sono più frequentemente caratterizzati da
una ghiandola tiroidea in sede, valori di TSH borderline o modestamente elevati e possono risultare negativi allo screening neonatale (9, 10). Da una casistica di 58 pazienti seguiti presso il
nostro Centro per ipotiroidismo congenito con ghiandola in sede,
che hanno effettuato la rivalutazione eziologica dopo il terzo
anno di vita, è emerso che ben il 44% di essi presentava dopo
sospensione della terapia sostitutiva con L-Tiroxina una ipertireotropinemia persistente.
Nella letteratura specialistica non c’è ancora accordo in merito
alla necessità della terapia ormonale sostitutiva nei quadri di funzionalità tiroidea borderline e di ipotiroidismo subclinico, ed in
età pediatrica non esistono linee guida in proposito. Nella pratica clinica è infatti comunemente accettata la terapia con LTiroxina qualora i livelli di TSH si confermino > 10 mU/L.
Numerosi studi condotti nella popolazione adulta hanno dimostrato che una condizione prolungata di IS può comportare effetti dannosi a carico dell’apparato cardiocircolatorio, aumentando
il rischio di aterosclerosi e di infarto miocardico (11), a carico
dell’assetto lipidico, con aumento del colesterolo totale e delle
LDL (12), a carico del sistema nervoso centrale e a carico del
muscolo. Alcuni studi randomizzati e a doppio cieco hanno
dimostrato che esiste un miglioramento dopo terapia ormonale
sostitutiva, ma non tutti i lavori confermano tale effetto. Queste
alterazioni non sono tutt’ora evidenziate nella popolazione
pediatrica, tuttavia diversi autori ne postulano la presenza mettendo in luce i benefici che potrebbero derivare dal trattamento
con L-tiroxina (13).
Oltre ai sovracitati effetti a lungo termine deve essere considerato anche il rischio di sviluppare noduli o gozzo multi nodulare,
legato prevalentemente alla presenza di familiarità per patologie
tiroidee oppure alla presenza di difetti dell’ormonogenesi. Anche
alterazioni molto lievi della funzionalità tiroidea devono essere
dunque valutate con estrema attenzione, poichè il trattamento
sin dai primi anni di vita con L-tiroxina potrebbe risultare un
mezzo efficace per la prevenzione in età adulta dello sviluppo di
patologia nodulare. Per quanto riguarda i difetti di organificazione dello Iodio sono comparsi recentemente diversi lavori che
confermano come tali alterazioni possano causare nel tempo
un’aumento delle dimensioni della ghiandola tiroidea, con lo sviluppo di un gozzo (14, 15).
Sicuramente le conoscenze attuali impongono un attento monitoraggio nel tempo con particolare attenzione al quadro ecografico, che fornisce informazioni in merito allo sviluppo di iperplasia del tessuto tiroideo, e alle situazioni di aumentata richiesta
ormonale quali lo sviluppo puberale, in cui l’ipertireotropinemia
potrebbe evolvere verso un ipotiroidismo conclamato.
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c.387delC/c.1159G-->A) in the thyroid peroxidase gene
responsible for congenital goitre and iodide organification defect.
Clin Endocrinol (Oxf) 2007.
Corrispondenza:
Prof. Giuseppe Chiumello
U.O. Pediatria e Neonatologia
Via Olgettina, 60 - 20132 Milano
45
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
L’ipertrofia compensatoria
del testicolo è un vantaggio?
Paolo Cavarzere, Rossella Gaudino, Previtera Carlo1 e Luciano Tatò
Clinica Pediatrica, Dipartimento Materno-Infantile e di Biologia-Genetica, Università degli Studi di Verona, Verona, Italia
1
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Ospedale Santa Chiara, Trento, Italia
Riassunto
Introduzione. L’ipertrofia testicolare compensatoria (CTH) in bambini con criptorchidismo monolaterale è una condizione relativamente rara, caratterizzata dall’aumento di volume del testicolo presente in scroto di almeno 2DS rispetto alle dimensioni normali per età. L’obiettivo di questo lavoro è valutare la concentrazione di inibina B e
la risposta ipofisaria dopo stimolazione con GnRH-analogo, in bambini prepuberi con monorchidia e CTH, in modo da
poter definire se tele fenomeno è vantaggioso per la loro futura fertilità.
Materiali e Metodi. 11 bambini monorchidi e 15 bambini sani, prepuberi, reclutati presso il nostro centro in cooperazione con la divisione di Chirurgia dell’ospedale di Trento tra il 2004 e il 2007, sono stati sottoposti a un completo
esame clinico e al dosaggio di inibina B. Tutti i monorchidi sono stati inoltre sottoposti a ecografia testicolare e a un
test di stimolo con GnRH-analogo.
Risultati. I monorchidi con ipertrofia testicolare compensatoria presentavano un volume testicolare significativamente
maggiore rispetto a quello dei controlli (p<0.001). I valori di inibina B riscontrati nei monorchidi si sono rivelati più bassi
rispetto a quelli dei controlli sani (p<0.001). Una correlazione positiva tra inibina B e volume testicolare è stata evidenziata nei monorchidi (p<0.05). La risposta al test con GnRH-analogo ha permesso di evidenziare una correlazione
negativa tra il picco di FSH dopo stimolo e il rapporto tra inibina B/volume testicolare (p<0.05).
Conclusioni. L’ipertrofia compensatoria, seppur precocemente formatasi, non è in grado di prevenire un’insufficienza
testicolare in età adulta. Possiamo quindi suggerire una tempestiva valutazione ormonale, completa di dosaggio dell’inibina B, in soggetti monorchidi con ipertrofia compensatoria alla pubertà, da associare all’analisi della conta spermatica.
Parole chiave: inibina B, ipertrofia compensatoria, monorchia, volume testicolare, infertilità, FSH.
Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx
Summary
Manca titolo in inglese
Objective. To investigate the prepubertal serum inhibin B levels in monorchid boys with compensatory
testicular hypertrophy (CTH) and in a population of prepubertal boys without endocrinological disorders; and to evaluate the response to gonatropin releasing hormone agonist (Gn-RH-a) stimulation in monorchid boys.
Patients and Methods. we analysed 11 monorchids with CTH and for comparison 15 healthy boys. All monorchid boys
underwent a Gn-RH-a test. Inhibin B measurement was performed at basal time in patients and controls.
Results. There was a significant difference in mean testicular volume between monorchid and healthy children
(p<0.001), with CTH boys evidencing larger testicle volume. The inhibin B levels were significantly lower in CTH boys
than in the control group (p<0.001). The FSH peak response to GnRH-a stimulation was significantly negatively correlated to inhibin B/testicular volume ratio (p<0.05).
Conclusions. Monorchid infants with CTH showed low inhibin B and high FSH levels. Our finding may confirm the
hypothesis that CTH is unable to prevent testicular insufficiency in adulthood. We suggest an early hormonal evaluation
of boys with CTH at puberty, together with early sperm analysis.
Key words: Inhibin B, FSH, testicular volume, compensatory testicular hypertrophy, prepubertal monorchids.
46
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio?
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Introduzione
a feedback negativo tra inibina B e FSH (12,13). Pertanto al
momento attuale l’inibina B viene considerata un marker di spermatogenesi migliore rispetto ad altri ormoni come FSH nella
valutazione dell’infertilità maschile (14).
Alla nascita, i livelli di inibina B sono simili a quelli presenti negli
adulti (12). Nei primi mesi di vita è nota, infatti, una transitoria attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi che permette il riscontro di valori elevati di gonadotropine, inibina e testosterone, con
un picco intorno al terzo mese di vita (8,12). Successivamente i
livelli di questi ormoni decrescono fino a rientrare nei range di
normalità per l’infanzia; in particolare, i livelli di testosterone e di
gonadotropine si riducono entro il 6°-9° mese di vita fino a divenire normalmente soppressi in condizioni basali, mentre quelli di
inibina si riducono entro i 2 anni di età, raggiungendo il nadir ai
4 anni di vita, rimanendo, però, misurabili per tutta l’infanzia e
aumentando nuovamente fino a raggiungere un picco alla
pubertà (12).
Nei maschi con criptorchidismo bilaterale sono stati segnalati
livelli estremamente elevati di gonadotropine e livelli soppressi di
inibina B (15). Con tali premesse l’obiettivo di questo breve scritto è valutare la concentrazione di inibina B e la risposta ipofisaria dopo stimolazione con GnRH-analogo, in bambini prepuberi
con monorchidia e ipertrofia testicolare compensatoria.
L’ipertrofia testicolare compensatoria (CTH) è una condizione relativamente rara nell’infanzia, descritta per la prima volta da Laron e
Zilka nel 1969, in pazienti con criptorchidismo monolaterale (1).
Tale condizione, definita come l’aumento di volume del testicolo
presente in scroto di almeno 2DS rispetto alle dimensioni normali
per età, sembra essere un fenomeno compensatorio alla ridotta
presenza di parenchima testicolare controlaterale (1). E’ stato inoltre, riportato che il grado di ipertrofia testicolare è inversamente
correlato con volume di tessuto testicolare presente dal lato in cui
il testicolo non è palpabile (2). A conferma di ciò, una associazione tra ipertrofia testicolare compensatoria e monorchidismo è
stata descritta per la prima volta nel 1989 (3).
E’ stato da noi già precedentemente dimostrato (4), in accordo
con quanto affermato da Laron et al. (5), che maschi prepuberi
con criptorchidismo unilaterale e ipertrofia compensatoria presentavano un’ipersecrezione di FSH sia basale che post stimolo con
LHRH. Inoltre, deficit di testosterone sierico e quadri di oligospermia e/o azoospermia sono stati segnalati da Laron in maschi
puberi con ipertrofia compensatoria del testicolo supponendo che
l’ipertrofia testicolare non sia in grado di prevenire un’insufficienza
funzionale del testicolo al momento della pubertà (6).
Appare interessante valutare la funzione
testicolare dei pazienti con ipertrofia compensatoria e in particolare studiare il comportamento di sostanze, come l’inibina B,
che attualmente in età adulta vengono
considerate markers di fertilità (7).
L’inibina B, l’unica forma di inibina funzionalmente attiva nei maschi, è un ormone
glicoproteico, costituito da una subunità ?
e da una subunità ?-B, che durante l’infanzia viene prodotto interamente ad
opera delle cellule del Sertoli (8-11). Con
la pubertà si ha un cambio nella regolazione della produzione di inibina B nella
cui sintesi intervengono anche le cellule
germinali e, dal III stadio puberale di
Tanner, si attiva un sistema di regolazione Figura 1
Tabella 1. Parametri clinici e livelli di inibina B dei soggetti monorchidi e dei controlli esaminati.
Pazienti
n
Età
(anni)
Volume
Testicolare
(mL)
Inibina B
(pg/mL)
Monorchidi
11
8.3 (5.9-12.0)
9.8±3.8
24.3±15.3
2.4±1.1
Controlli
15
8.5 (3.3-11.8)
4.9±0.8*
84.8±45.8*
16.9±7.4*
*monorchidi vs controlli P<0.001
I dati relativi all’età sono espressi come mediana più range, tutti gli altri come media ± deviazione standard.
47
Inibina
B/Volume testicolare
(pg/mL) (/mL)
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Materiali e Metodi
triptorelina (Decapeptyl, Ferring GmbH, Kiel, Germany), somministrata tramite iniezione sottocutanea al dosaggio di 0.1 mg/m2.
I dosaggi di LH, FSH e testosterone sono stati effettuati prima
dell’iniezione dell’analogo, e dopo 4 ore dalla stessa. L’inibina B
è stata misurata solo al momento basale.
Per ragioni etiche, il test da stimolo non è stato eseguito nei soggetti sani di controllo i quali sono stati sottoposti a un completo
esame clinico, e ad un prelievo venoso per il dosaggio dell’inibina B basale.
FSH, LH e testosterone sono stati misurati con un metodo immunoenzimatico in fase solida (Immunolite 2000 analyzer). Le corrispondenti sensibilità analitiche erano: 0.1 mIU/mL, 0.05 mIU/mL
e 0.15 ng/mL. L’inibina B è stata determinata tramite un test
ELISA (DSL, TX) con sensibilità analitica pari a 7 pg/mL.
Soggetti
11 bambini monorchidi con ipertrofia compensatoria e 15 bambini sani, tutti prepuberi, sono stati analizzati in cooperazione
presso il DH di Endocrinologia della Clinica Pediatrica di Verona
e il Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’ospedale Santa
Chiara di Trento tra il 2004 e il 2007.
I soggetti monorchidi presentavano un solo testicolo alla palpazione e l’assenza del testicolo controlaterale è stata confermata
chirurgicamente mediante intervento eseguito mediamente a 1.3
± 0.6 anni di età. La diagnosi di ipertrofia compensatoria del
testicolo palpabile è stata posta mediante esame clinico ed ecografia testicolare in seguito al riscontro di un volume testicolare
superiore alle 2DS rispetto alle dimensioni testicolari medie per
età.
I bambini del gruppo di controllo non presentavano alterazioni
endocrinologiche, malattie acute o croniche e, al momento della
visita, non assumevano alcuna terapia. Essi sono stati esaminati durante un normale controllo auxologico.
Lo studio è stato condotto in ottemperanza alla II Dichiarazione
di Helsinki e i genitori dei bambini hanno firmato un apposito
consenso informato con cui acconsentivano alla partecipazione
del proprio figlio allo studio stesso.
Analisi statistica
I parametri individuali sono stati espressi come media ± deviazione standard o come mediana con range, dove appropriato.
Un test U di Mann-Whitney è stato usato per calcolare la differenza nei valori ormonali tra i bambini criptorchidi e i controlli. Le
possibili correlazioni tra livelli ormonali (inibina B, FSH, LH e
testosterone), volume testicolare e rapporto inibina B/volume
testicolare sono state calcolate usando il coefficiente di correlazione di Spearman. Abbiamo usato il rapporto tra inibina B e
somma del volume testicolare come indice di attività testicolare.
Il volume testicolare è stato calcolato come somma dei dei volumi testicolari dei due lati nei controlli, come dato singolo nei
monorchidi.
Il rapporto tra inibina B/volume testicolare deriva dalla semplice
divisione tra i valori di inibina B (pg/mL) e la somma del volume
testicolare (mL).
L’analisi statistica è stata eseguita tramite il programma SPSS
per Windows, versione 14.0. La significatività statistica è stata fissata a P<0.05.
Metodi
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a un completo esame clinico
eseguito dallo stesso medico con determinazione degli stadi
puberali secondo i criteri di Tanner. Il volume testicolare è stato
misurato utilizzando un orchidometro di Prader e calcolato come
somma dei volumi testicolari destro e sinistro.
Tutti i bambini monorchidi sono stati inoltre sottoposti ad ecografia testicolare, realizzata dallo stesso radiologo, che permetteva di escludere altre anomalie testicolari, e a un test di stimolo
con GnRH-analogo. Per tale test è stato usato come analogo la
Risultati
I valori di inibina B riscontrati nei bambini monorchidi (n=11) si sono rivelati
significativamente più bassi rispetto a
quelli di controlli sani della stessa età
(n=15) (Tabella 1 e Figura 1).
Inoltre il volume testicolare dei soggetti
con ipertrofia compensatoria si è rivelato significativamente aumentato rispetto
a quello dei controlli (p<0.001) e conseguentemente il rapporto tra inibina
B/volume testicolare era significativamente più basso nei soggetti con ipertrofia compensatoria se paragonato a
quello evidenziato nei bambini sani
Figura 2
48
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio?
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
cati (27). Nei soggetti adulti, un feedback negativo tra FSH e inibina B è presente da metà pubertà e i soggetti con normale fertilità presentano più elevati livelli di inibina B con inferiori livelli di
FSH, se comparati con quelli di soggetti infertili (28,29). Inoltre,
l’inibina B correla con il volume testicolare e riflette la funzione
delle cellule del Sertoli (30, 31).
Una dubbia correlazione tra FSH e inibina B si è ipotizzata già
prima della pubertà, e la presenza di un meccanismo a feedback
tra ipofisi e gonadi nel periodo neonatale è stata descritta nel
neonato gonadectomizzato che presenta livelli estremamente
elevati di gonadotropine (10, 24). I risultati del nostro lavoro, al
contrario confermano l’assenza di correlazione tra FSH e inibina
B in bambini monorchidi prepuberi con ipertrofia compensatoria,
ma hanno permesso di identificare una relazione tra statisticamente significativa tra inibina B e volume testicolare, nonostante
i bassi livelli da loro presentati.
La spiegazione di tale fenomeno risiede, come già evidenziato
istologicamente negli animali (17), nel fatto che l’ipertrofia compensatoria non sia associata a un apprezzabile aumento delle
cellule del Sertoli ma piuttosto a un’ipertrofia delle stesse o a
un’ipotetica fibrosi testicolare. Per motivi etici, vista l’assenza di
alterazioni parenchimali all’ecografia testicolare, non abbiamo
potuto eseguire in bambini prepuberi una biopsia testicolare del
testicolo rimasto, e altri studi sono necessari per confermare tale
nostra ipotesi.
I nostri risultati confermano che l’ipertrofia compensatoria, seppur precocemente formatasi, non è in grado di prevenire un’insufficienza testicolare in età adulta. A conferma di ciò vi è l’evidenza che nostri pregressi pazienti, ora in età adulta, presentano problemi di fertilità. Possiamo perciò suggerire una tempestiva valutazione ormonale dei soggetti monorchidi con ipertrofia
compensatoria alla pubertà, da associare all’analisi della conta
spermatica.
(p<0.001) (Tabella 1). L’ecografia testicolare eseguita nei monorchidi ha evidenziato, in ognuno, un’ecostruttura omogenea e
l’assenza di anomalie parenchimali.
In Figura 2 sono riportati i valori delle gonadotropine prima e
dopo stimolo con GnRH negli 11 bambini criptorchidi. I valori di
testosterone sia basali che dopo stimolo permanevano bassi
(0.21±0.20 ng/mL e 0.27±0.20 ng/mL, rispettivamente). Tutti
hanno mostrato una risposta prepubere al test con valori basali
e post stimolo di gonadotropine aumentati rispetto a quanto
riportato in letteratura per bambini prepuberi sani, in cui i livelli di
LH e FSH basali erano di 0.6±0.1 e 0.9±0.1 mU/mL rispettivamente e aumentavano a 1.4±0.3 e 8.8±1.5 mU/mL (16).
E’ stata evidenziata una correlazione positiva statisticamente
significativa tra inibina B e volume testicolare (P<0.05, r=0.71)
mentre una correlazione negativa statisticamente significativa è
stata riscontrata tra il picco di FSH dopo stimolo con triptorelina
e il rapporto tra inibina B/volume testicolare (P<0.05, r=-0.64).
Discussione
Questo studio, seppur con il limite di un ridotto numero di casi,
dimostra che bambini con monorchia e ipertrofia compensatoria
testicolare presentano valori di inibina B inferiori rispetto a una
popolazione di controllo di bambini della stessa età. Inoltre il rapporto tra inibina B/volume testicolare è ridotto in tali pazienti se rapportato a quello di bambini sani privi di anomalie endocrinologiche.
L’ipertrofia compensatoria è una condizione rara, studiata prevalentemente in modelli animali (17). Nei mammiferi, la rimozione di
un testicolo provoca un’ipertrofia compensatoria con incremento
del volume della gonade controlaterale, ma tale fenomeno compensatorio si ha solo quando la castrazione unilaterale avviene
prima della pubertà. Alcuni studi hanno riportato normali livelli
plasmatici di testosterone e un’adeguata conta spermatica in
mammiferi adulti dopo emicastrazione, ma non è stato descritto
alcun compenso della spermatogenesi in tali animali (18,19).
Negli uomini è ben nota la correlazione monorchidismo-ipertrofia
compensatoria (20,21).
Dal punto di vista istologico tale fenomeno sembra conseguente
all’aumento della lunghezza dei tubuli seminiferi, del numero
totale delle cellule germinali e delle cellule del Sertoli con una
ridotta apoptosi delle stesse (22-24). L’ipertrofia compensatoria
sembra essere legata a un’alterazione del feedback ipofisario
con conseguente ipersecrezione di FSH. E’ comunque ancora in
dibattito l’accuratezza diagnostica del FSH come marker di una
condizione istologica del testicolo, in quanto vi è una grande
sovrapposizione nei livelli di FSH nei maschi con regolare o ridotta funzione testicolare (25,26).
L’inibina B sierica è ipotizzata essere un marker più diretto della
funzione testicolare rispetto al FSH nei soggetti adulti (25). Essa
viene prodotta dalle cellule del Sertoli, parzialmente sotto l’influenza del FSH stesso, sebbene altri fattori paiono essere impli-
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Corrispondenza:
Dott. Paolo Cavarzere
Clinica Pediatrica
Dipartimento Materno-Infantile e di Biologia-Genetica
Università degli Studi di Verona, Verona, Italia
50
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Recenti progressi nell’imaging
pediatrico adolescenziale
Vincenzo Arcuri1,Pier Paolo Arcuri1, Giuseppe Raiola2, Maria Concetta Galati3
2
1
U.O.C. di Radiologia Diagnostica
U.O.S. di Auxo-Endocrinologia e Medicina dell’Adolescenza – U.O.C. di Pediatria
3
Struttura Complessa di Ematoncologia Pediatrica
Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
Riassunto
L’imaging diagnostico ha subito negli ultimi anni notevoli progressi. Sin dagli anni novanta l’avvento di
nuove tecnologie quali la Risonanza Magnetica(RM),la Tomografia Spirale multistrato (MDCT) e l’ecografia tridimensionale hanno rivoluzionato l’approccio diagnostico alla patologia pediatrico-adolescenziale. Anche la radiologia tradizionale, grazie all’introduzione della tecnologia digitale offre oggi maggiori informazioni diagnostiche, consentendo anche di
ridurre la esposizione a radiazioni ionizzanti dei giovani pazienti, anche nel rispetto rispettando delle attuali norme in materia di radioprotezione.
Parole chiave: imaging, RM, MDTC, eco 3D, PET/PET- CT.
Pediatric imaging: what’s new
Summary
In recent years , pediatric imaging had many technological progresses. In nineteens ’s all imaging technologies had many implementation. Today MR, MDCT, Echo 3D and PET/PET-CT consents a revolutionary approach to
pediatric adolescential pathology. Also digital radiographic technique offer some important diagnostic information and
reduce exposure dose in order to radioprotection of pediatric age.
Key words: imaging, MR, MDCT, echo 3D, PET/PET- CT.
Introduzione
Ecografia (US)
L’avvento delle nuove tecniche di imaging cross-sectional
(Risonanza Magnetica,Tomografia Computerizzata, Ecografia)
hanno notevolmente implementato, a partire dagli anni novanta le
possibilità diagnostiche prima legate alla radiologia tradizionale.
Anche le tecniche cross-sectional nell’ultimo decennio hanno
mostrato notevoli progressi tecnologici nonché metodologici legati
all’uso di mezzi di contrasto di nuova tipologia e dedicati come nel
campo ecografico.
La stessa radiologia tradizionale, grazie all’impiego dei detettori
digitali, ha nettamente migliorato le sue performances diagnostiche, ottenendo anche una riduzione della dose radiante ai i pazienti. I maggiori progressi diagnostici, in campo pediatrico-adolescenziale si sono ottenuti in campo neurologico, addomino-pelvico ed
in oncologia, dove l’utilizzo di nuove apparecchiature quali PET e
PET/CT ha radicalmente modificato l’approccio di imaging.
La diagnostica ecografia oggi rappresenta in molte patologie l’approccio iniziale e spesso risolutivo in campo pediatrico-adolescenziale. L’ecografia degli organi pelvici e degli organi endocrini
(tiroide,mammella,surreni) consente di supportare le diagnosi cliniche in molteplici patologia auxo-endocrinologiche.
Inoltre grazie all’ausilio dell’EcoColorDoppler si può implementare
lo studio ecografico in altre situazioni patologiche quali quelle dello
scroto consentendo la visualizzazione oltre che delle strutture didimarie anche quelle extra-didimarie come per il varicocele.
L’impiego di mezzi di contrasto ecografico (microbolle-Sonovue)
implementa la diagnostica addominale e delle strutture superficiali,
fornendo una migliore caratterizzazione diagnostica degli espansi a
carico degli organi parenchimatosi in maniera semplice e soprattutto senza radiazioni ionizzanti.
51
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Radiologia tradizionale digitale
PET e PET-CT
L’utilizzo dei detettori digitali nelle apparecchiature di radiologia tradizionale ha di fatto determinato una svolta nel campo diagnostico
con radiazioni ionizzanti.
Infatti i progressi in questo campo hanno consentito di raggiungere due obiettivi principali:
riduzione della dose al paziente per minore possibilità di errore
tecnico e per fatti intrinseci all’apparecchiatura;
miglioramento delle qualità diagnostiche per la possibilità di rielaborazione (post-processing) dell’immagine.
Non è poi da trascurare anche l’aspetto informatico di supporto e
trasferimento dell’immagine esattamente come avviene per tutte le
altre tecnologie digitali (1).
La Tomografia ad emissione positronica ha determinato un radicale cambiamento nella strategia diagnostica delle malattie sistemiche emato-oncologiche.
Il principio su cui questa Tecnologia è basata è l’assunto che le cellule a maggio turn-over energetico, quindi anche quelle tumorali,
assorbono in maggior quantità la sostanza che viene iniettata al
paziente denominata FDG.
Tale maggiore assorbimento viene registrato dalla apparecchiatura
e riportata poi in immagine funzionale.
L’indicazione principale è di stadiazione e follow-up delle malattie
onco-ematologiche.
Tomografia computerizzata (MDCT)
Conclusioni
Da quando le apparecchiature di Tomografia Computerizzata sono
state implementate con la tecnologia multidetettore (MDCT) le problematiche connesse all’uso di questa tecnologia in campo pediatrico adolescenziale si sono ridotte, in specie la necessità di sedazione per evitare gli artefatti da scarsa collaborazione (2) e, parzialmente, l’esposizione a radiazioni ionizzanti.
Tuttavia,la diagnostica di maggior impatto oggi della MDCT è sicuramente quella toracica (3).
Anche in campo addominale ed in particolare in quello urologico
reno-surrenalico la MDCT ha oggi un ruolo diagnostico fondamentale grazie alla multiplanarietà diretta ricostruttiva che ha di fatto
soppiantato le metodiche contrastografiche tradizionali (4).
Il moderno Imaging diagnostico sta rapidamente modificando l’approccio a molteplici comportamenti clinici in campo pediatrico-adolescenziale.
Ulteriori progressi sono all’orizzonte come ad esempio la
Risonanza Magnetica a 3Tesla di campo (7), in tutte le modalità diagnostiche.
Rimane fermo il principio che solo l’integrazione costante tra Clinico
e Radiologo consente il miglior uso della tecnologia e soprattutto di
conseguenza una efficacia terapeutica.
Bibliografia
Risonanza magnetica (MR)
Le apparecchiature di Risonanza Magnetica di recente tecnologia,cosiddetta multicanale, consente di effettuare performances di
elevato livello sia per la maggiore velocità nelle sequenze che nelle
possibilità di usare sequenze e tecniche di esecuzione assolutamente sofisticate come ad esempio le sequenze dinamiche o la
studio funzionale di diffusione- perfusione.
Sicuramente la RM dimostra una particolare capacità risolutiva a
livello del sistema encefalo-midollare essendo, in alcuni casi, l’esame d’elezione .
Lo studio dell’ipofisi e dell’asse ipotalamo-ipofisario, nel sospetto di
malattie endocrinologiche, è di fatto l’unico risolutivo.
Non è poi da trascurare l’apporto diagnostico nel campo delle
talassemie per la determinazione dell’accumulo tissutale del ferro
(5). Altro campo d’interesse è quello della patologia muscolo-scheletrica, grazie all’introduzione di bobine sempre più sofisticate e tecniche di studio specifiche, in particolare nel campo delle neoplasie
e degli staging per secondarismi ossei.
In questo ultimo campo l’utilizzo di bobine cosiddette Whole-Body
consente una panoramicità di visione dello scheletro, associata
con un intrinseco dettaglio anatomico che rendono la RM competitiva con la scintigrafia ossea tradizionale.
Un dettaglio non possibile con nessuna altra tecnica è possibile
anche nello studio della cartilagine articolare (6).
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Corrispondenza:
Dott. Vincenzo Arcuri
Struttura Complessa di Radiologia Diagnostica
A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
e-mail: [email protected]
52
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La terapia psichiatrica
nell’adolescente
Sara Matricardi, Francesco Chiarelli, Alberto Verrotti
Clinica Pediatrica, Università di Chieti - Ospedale Policlinico
Riassunto
È noto che il processo di sviluppo segue una legge generale isomorfa nei vari sistemi concettuali di: sviluppo personale (ontogenesi), sviluppo sociale (etnogenesi), evoluzione della specie (filogenesi), formazione dei disturbi mentali (patogenesi): "il cambiamento avviene per complessificazione". Mentre la finalità del processo rimane comunque orientata al conseguimento della capacità di sostenere il compito evolutivo proprio dell’età considerata che nel periodo giovanile-adolescenziale prevede: distacco dalla dipendenza familiare, inserimento extrafamiliare efficace, ricerca di
rapporti personali di intimità, trascendenza del sé mediante operazioni creative (opere, imprese, filiazione), ecc.
In questa dimensione concettuale, quindi, l'adolescenza, nell'ambito dell'età evolutiva, è l'età del cambiamento, della trasformazione con proprie caratteristiche specifiche in quanto tempo di passaggio tra l'età infantile e quella adulta, entrambe molto più stabili. Il soggetto non è più bambino, ma non è ancora adulto. In definitiva nel rinnegamento dell'infanzia
e delle sue concrete certezze, e nella ricerca della stabilità astrattiva dell'adulto si costituisce l'essenza stessa della adolescenza.
In tal modo l'emergenza del disturbo mentale appare molto complessa potendo essere riferita sia a incapacità/insufficienza, sia a blocco/arresto evolutivo; ma anche a regressione dissociativa (disintegrazione) degli stadi di differenziazione già raggiunti. In tal modo si realizza una coesistenza frammentaria e caotica, priva di coordinazione integrativa, di
capacità appartenenti a differenti stadi evolutivi, il che rende specifica la psicopatologia dell’adolescenza.
Comprendere questo periodo transitorio e descriverne le caratteristiche costituisce impresa quanto mai ardua e piena di
rischi sopratutto di tipo riduttivo.
Di fronte agli incessanti cambiamenti, alle molteplici rotture, ai numerosi paradossi che configurano la specificità psicopatologica dell’adolescente, il clinico corre anch'egli alcuni rischi: medicalizzare un processo in sé sano, oppure teorizzare in
modo artificioso, o, ancora, utilizzare modelli descrittivi riduttivi della varietà e variabilità della realtà concreta, oppure, infine,
rinunciare alla comprensione per un più comodo accompagnamento empatico.
Il modello terapeutico e di intervento clinico su percorsi sicuramente psicopatologici, deve tener conto delle caratteristiche
specifiche dell’adolescenza e, quindi, porsi di fronte ad un riesame costante caso per caso dei modelli di lettura teorici per
accedere con efficacia alla straordinaria caratterizzazione degli aspetti psicopatologici dell'adolescenza stessa.
Senza alcuna pretesa di esaustività saranno illustrati alcuni modelli di comprensione della complessa fenomenologia adolescenziale ove i presidi farmacologici, psicoterapeutici, abilitativo-riabilitativi, che sostanziano l’intervento clinico, assumono
identità proprie caso per caso nell’adattamento dei dosaggi, nella modulazione della relazione terapeutica, nella esatta definizione dello stadio di sviluppo della componente disfunzionale su cui si va ad interagire con strumenti abilitativi-riabilitativi.
Parole chiave: incapacità/insufficienza, blocco/arresto evolutivo, regressione dissociativa (disintegrazione),
psicofarmacologia, psicoterapia, terapia abilitativo-riabilitativa.
Psychiatric therapy in adolescents
Summary
It is well know that the developmental process follows a general isomorphic law in varied conceptual systems of: personal development (ontogenesis), social development (ethogenesis), species evolution (phylogenesis), formation of mental disorder (pathogenesis): “the change happens for complexity”.
While the purpose of the process is based on the ability to support the evolutional task that during the adolescence pro-
53
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
vides: the detaching from the family, to became part of an effective extrafamily context, to establish personal relationships
and to look for original patterns.
The adolescence represents the age of changes, with specific own aspects, between infancy and aduldhood, that are
both more stable.
In this way a mental desease appears very complex and it is represented by inability/inadequacy and also by developmental stop/arrest, or a dissociative regression (disintegration) of established phase. So that, there is a chaotic mix of different developmental phase, that gives specificity to adolescent’s psychopathology.
To understand this particular period is more difficult for clinicians and there are many risks: to treat a normal process, or
to underestimate a pathological process.
The thepeutic approach has to consider the specific pattern of adolescence and the particular adolescent’s psychopathology.
With this review we explain the complex adolescent phenomenology, her psychopharmacology, the psychotherapy
approach and the rehabilitation treatment for some specific case.
Key words: inability/inadequacy, developmantal stop/arrest, dissociative regression (disintegration), psychopharmacology,
psychotherapy, rehabilitation treatment.
Introduzione
crescente interazione coordinativa dell’intero sistema per assimilazione, associazione, integrazione delle configurazioni cognitive, emotivo-affettive, linguistiche, motorie, sensoriali, sessuali, di
relazione, proprie dello stadio precedente nelle configurazioni
proprie dello stadio successivo.
Si realizzano in definitiva cambiamenti di stadio evolutivo per complessificazione del sistema con inevitabile transito critico-conflittuale nel momento della integrazione delle competenze (2).
Nel processo di sviluppo umano la condizione matura (adulta) è
concepita dunque come più complessa delle precedenti in termini di autonomia organizzativa, autoregolazione morale delle
azioni, capacità espressiva, adattamento attivo dell’individuo al
proprio contesto di relazione, con la finalità di sostenere i compiti evolutivi che il ciclo vitale propone in ciascun periodo di tempo
al singolo individuo (accrescimento, procreazione, integrazione
scolastica, integrazione sociale, distacco emancipazione dalla
famiglia, inserimento extrafamiliare,ecc.).
Il “cambiamento per complessificazione”, tra l’altro, è una legge
generale che regola i processi di sviluppo dei sistemi viventi
applicabile a vari contenitori concettuali: sviluppo personale
(ontogenesi), sviluppo sociale (etnogenesi), sviluppo della specie (filogenesi), formazione del disturbo mentale (patogenesi),
sviluppo dei sistemi relazionali, ecc. Questa legge, inoltre, reca
in posizione paradigmatica le inevitabilità della crisi di transizione nelle fasi di passaggio di stato per consentire la riorganizzazione del sistema ad un più alto livello di complessità nelle competenze funzionali.
La finalità dell’intero processo di sviluppo è individuabile nell’acquisizione di capacità e competenze per sostenere la serie di
compiti evolutivi che il contesto di relazione propone in ciascun
periodo di tempo al singolo individuo ed al sistema di relazioni.
Come ogni forma di “therapeia”, anche la terapia psichiatrica
dell’adolescenza si propone senz’altro il ripristino e/o la gestione
di quelle variazioni funzionali peggiorative dell’equilibrio salute
inteso nel suo senso olistico più ampio possibile.
Anche in questo ambito disciplinare è quindi necessario disporre non solo di presidi terapeutici efficaci ma anche di definire con
chiarezza la differenza tra condizione armoniosa di salute e stato
disarmonico patologico, che occorre colmare. Ecco che allora
diventa immediatamente necessario considerare il processo diagnostico che rende possibile pensare queste differenze. Così si
giunge ad evidenziare che la psicopatologia dell’adolescente ha
caratteristiche sue proprie che la differenziano non solo da quella adulta ma anche da quella del bambino (1).
La psicopatologia adulta soprattutto è caratterizzata, tra altre
peculiarità, da una evidente carattere di staticità, struttura compiuta, a differenza di quella infantile costantemente evolutiva e di
quella adolescenziale caratterizzata da uno specifico dinamismo.
Come noto lo sviluppo dell’individuo è il risultato di un processo
che procede da una condizione originaria indifferenziata di estrema dipendenza eteronoma, caratteristica dell’età infantile, verso
una condizione di indipendenza ed autonomia, considerata
matura, propria dell’età adulta, finalizzata alla armoniosa integrazione dell’individuo con il proprio contesto di relazione socio-culturale ed ambientale ed alla generatività.
Questo processo avviene attraverso gradi successivi (stadi evolutivi) di differenziazione, identificazione ed autoregolazione attiva di funzioni, capacità e/o competenze adattative, sotto l’influenza spesso determinante del contesto di relazione sociale
(cultura). Durante tale progressione organizzativa non si determina sostituzione o perdita di contenuti (competenze), bensì una
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La terapia psichiatrica nell’adolescente
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Così ogni stadio di sviluppo, individuato come specifico contenitore di competenze, riconosce alla persona-sistema bisogni e
modalità di realizzazione specifici.
Nello sviluppo umano occorre inoltre considerare che la maturità
delle varie funzioni (motoria, cognitiva, emotivo-affettiva, relazionale, sessuale, ecc.) avviene in tempi successivi e diversi nell’arco del ciclo vitale individuale con specifico ritardo della maturazione sessuale rispetto a quella psicosomatica. In tal modo
diventa ulteriormente intuibile che i bisogni individuali e le competenze esprimibili, così come i determinanti sintomatologici,
sono diversi a seconda dello stadio evolutivo che si considera.
Infatti la maturità di una funzione può realizzarsi in una organizzazione di personalità ancora in evoluzione per altri diversi
aspetti.
Così, ad esempio, una procrastinata dipendenza del bambino
dalle cure parentali necessarie per la sopravvivenza rende meno
flessibile in alcuni casi il complesso legame di attaccamento
genitore-figlio al momento della emancipazione scolastica o
adolescenziale, quindi determinando una inevitabile condizione
di difficoltà evolutiva, molto più marcata della crisi di transizione
fisiologica.
Mentre una condizione di disagio “disagio evolutivo” per quanto
sopra detto è in certo modo inevitabile nei periodi di transizione
critica da uno stadio evolutivo al successivo, l’emergenza della
“difficoltà evolutiva” o del “disturbo mentale pd.” possono essere ascrivibili anche ad uno dei seguenti fenomeni:
insufficienza, incapacità di assolvere ai compiti evolutivi propri dello stadio di sviluppo considerato;
blocco-arresto evolutivo a stadi di sviluppo precedenti;
regressione dissociativa (disintegrazione) dagli stadi di differenziazione già raggiunti (in effetti in questo caso non si realizza ad es. il ritorno dell’adulto al bambino, bensì l’individuo
smette di essere adulto) (3).
Questo modello dello sviluppo umano per complessificazione
comporta necessariamente una procrastinata dipendenza del
bambino dalle cure parentali per la sopravvivenza; dipendenza
che si realizza mediante un complesso legame di attaccamento
genitore-figlio; altra conseguenza è la necessità di una organizzazione sociale dei gruppi umani con ulteriore influenza sulla differenziazione individuale da parte della specifica cultura di gruppo, intesa come insieme di miti, riti, memorie, regole e modelli di
comportamento propri di ogni comunità.
Diventa chiaro così che un disturbo di linguaggio si realizzerà nel
periodo di sviluppo linguistico e successivamente precostituirà
una condizione di debolezza che condizionerà uno o più disturbi di apprendimento (durante lo sviluppo degli apprendimenti),
che favorirà ulteriormente l’emergere di disturbi più o meno marcati dell’umore o disfunzioni sessuali o misuso/abuso di sostanze nelle età successive, ecc.
Accanto al modello evolutivo di psicopatologia dell’infanzia e
dell’adolescenza occorre poi prendere in considerazione le più
classiche eziologie genetiche e/o connatali (ritardo mentale,
disordini neuropsicologici, ADHD, ecc.) o traumatiche (fisiche,
relazionali, psicologiche) (bullying, disturbo post traumatico da
stress, ecc.), ovvero disturbi che vedono i due modelli intersecarsi, sostenersi, potenziarsi a vicenda come nei disturbi generalizzati di sviluppo nelle varie espressioni di gravità o la temibile
psicosi infantile.
In definitiva un processo diagnostico che possa effettivamente
“pesare” la differenza tra psicopatologia e salute mentale deve
necessariamente tener conto dell’individuo in quanto tale, del
suo sistema relazionale della fase di sviluppo (N.B. ritardi di sviluppo) e quindi del complesso sindromico che caratterizza il
disturbo o la difficoltà (4).
Questo insieme di informazioni inoltre dovrà necessariamente
essere valutato e confrontato con i manuali diagnostico-statistici
per una classificazione nosografica accettata da organizzazioni
scientifiche internazionali (evidence based).
Quando questo complesso processo valutativo si conclude si
può ipotizzare una strategia di intervento terapeutico che dispone in questo capitolo disciplinare di tre capisaldi fondamentali:
intervento farmacologico, intervento psicoterapeutico, intervento
abilitativo-riabilitativo.
La terapia psicofarmacologica
Negli ultimi anni la ricerca sulla psicofarmacologia pediatrica si è
molto evoluta sia per l’utilizzo di nuove sostanze ad azione recettoriale, sia per le migliorate conoscenze di psicopatologia e di
psicodiagnosi (5).
Tuttavia le preoccupazioni sulla sicurezza sono certamente
essenziali soprattutto quando si considera l’esposizione dei
bambini e degli adolescenti agli agenti farmacologici; ogni volta
sia possibile è necessario valutare la possibilità di usare alternative e gli interventi psicosociali dovrebbero essere pensati prima
di scegliere un trattamento farmacologico. Comunque per molti
adolescenti una farmacoterapia attentamente monitorata e utilizzata con cautela e “scientificamente informata” può produrre
miglioramenti significativi in molte condizioni psicopatologiche.
Nel panorama della ricerca farmacologia la psicofarmacologia
pediatrica può essere considerata una nuova area d’interesse;
l’uso pediatrico dei farmaci psicotropi è aumentato molto durante gli ultimi 10 anni, specialmente negli Stati Uniti con conseguente incremento delle ricerche sull’efficacia e sulla sicurezza.
Clinical trials sono stati condotti per testare l’efficacia di stimolanti, antidepressivi, stabilizzanti dell’umore e antipsicotici in
bambini e in adolescenti affetti da una varietà di condizioni come
l’ADHD, la depressione, il doc o il disturbo d’ansia, il disturbo
bipolare, l’autismo o altri disturbi pervasivi dello sviluppo.
Malgrado o a causa di questo aumentato utilizzo e l’espansione
delle basi della ricerca, l’uso pediatrico dei farmaci psicotropi
rimane oggetto di un aperto dibattito e di controversia. Mentre vi
è una minima resistenza a prescrivere antibiotici per il tratta-
55
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
definitive in nessuna direzione positiva o negativa e molti studi
propongono valutazioni discriminatorie con esiti incerti.
Trattandosi di sostanze chimiche estranee all’organismo che
inducono variazioni funzionali (terapeutiche) i farmaci possono
presentare per definizione problemi di sicurezza. Ma gli studi
sono ancora in fase preliminare ed i potenziali rischi-benefici
dovrebbero essere pesati nel contesto della severità del disordine da trattare e dei possibili approcci alternativi.
Quindi i potenziali rischi di un trattamento devono essere valutati anche verso la possibile evolutività negativa di una psicopatologia non trattata. La domanda “se è giusto o sbagliato somministrare farmaci psicotropi durante l’età dello sviluppo” non può
essere banalizzata con una risposta positiva o negativa. Un
approccio complesso,quindi, forse diventa indispensabile nella
decisione se un trattamento psicofarmacologico possa essere
appropriato per un bambino e diversi elementi devono essere
considerati, incluso il tipo, la severità e la durata dei sintomi, il
livello funzionale danneggiato a causa dei sintomi e la possibilità
di un trattamento con interventi psicosociali (6).
Molte famiglie e molti medici preferiscono l’uso della psicoterapia quando possibile, lasciando in seconda linea il trattamento
farmacologico; ma anche in questo caso non si può generalizzare, infatti ci sono chiaramente condizioni come gli stati psicotici, i disturbi bipolari che devono essere primariamente trattati con farmaci.
Sono ormai numerosi gli studi che comparano interventi psicosociali, psicoterapeutici e psicofarmacologici in numerose condizioni psicopatologiche e a questi specifici studi occorre riferirsi senza poter definire degli “a priori” di intervento/non intervento che a questo punto non appartengono a criteri scientifici ma a
“malpractice” e ignoranza dei presidi più opportuni.
In ogni caso l’importanza critica di una sicura e comprensiva
valutazione diagnostica è il primo indispensabile passo verso
uno specifico trattamento così come il costante aggiornamento,
anche divulgativo dei soli presidi efficaci, è determinante per la
cura di molte condizioni morbose (7).
Ulteriore considerazione riguarda il tipo e la severità del sintomo
che deve essere documentato preferibilmente utilizzando strumenti razionali. A tutto quanto detto occorre aggiungere anche
una rivalutazione periodica per monitorare non solo efficacia, ma
anche efficacia Vs effetti collaterali.
Appare di tutta evidenza che la pratica della psicofarmacologia
pediatrica richiede diverse abilità, tra cui la conoscenza della psicopatologia dello sviluppo e la psicofarmacologia specifica possono non essere decisive soprattutto se uno degli obiettivi della
terapia in questo settore scientifico è integrare il sapere scientifico con i bisogni specifici dell’individuo e della sua famiglia, che
richiede anche competenze psicosociali spesso ancora più
complesse.
Il principio generale dell’evidence-based medicine è dunque
quello di prendere le decisioni cliniche basate sulla migliore evidenza disponibile della loro efficacia. È corretto far notare tutta-
mento delle infezioni, broncodilatatori per l’asma o anticonvulsivanti per l’epilessia, il concetto che i farmaci psicotropi possano
essere utilizzati per il trattamento dei disturbi mentali è apparentemente più difficile da accettare.
In parte questa resistenza sembra correlata al fatto che la malattia mentale non ha markers biologici che possano essere utilizzati a scopi diagnostici e che la diagnosi è correntemente basata sulla descrizione di una fenomenologia comportamentale.
Inoltre, per i comuni disordini psichiatrici, come l’ADHD, la
depressione e l’ansia esiste un continuum con la normalità e
quindi è cresciuta la preoccupazione di medicalizzare il comportamento normale o limite. Fin tanto che è sembrato arbitrario
diagnosticare un disturbo basato sulla presenza di un certo
numero di sintomi su una lista, come correntemente accettato
per il disturbo mentale nell’adulto.
Ma per molti disturbi i sintomi non danno la diagnosi, ma inducono malfunzionamenti socio-relazionali i quali ultimi portano alla
diagnosi. Inoltre, la continuità tra “normalità” e “psicopatologia”
non è specifica della psichiatria infantile, o della psichiatria in
generale, bensì trattasi di una peculiarità che caratterizza molti
tratti della patologia umana. In parallelo e per contro molti progressi sono stati fatti nel documentare le basi neurobiologiche
della psicopatologia, sebbene tali scoperte non sono ancore
state “tradotte” in markers diagnostici affidabili.
Un secondo argomento contro il trattamento pscicofarmacologico negli adolescenti consiste nel ritenere i disturbi psichiatrici
come problematiche esclusivamente “psicologiche”, con una
diretta ed esclusiva connessione con fattori ambientali negativi e
trattabili di conseguenza con interventi psicologici. Ma anche
questa obiezione contrasta sempre più con l’aumentata evidenza che la tradizionale dicotomia dei fattori psicologici vs i biologici non è valida: infatti tutti gli eventi psicologici sono correlati a
substrati biologici e le caratteristiche delle interazioni dell’ambiente spesso sono geneticamente determinate
Un altro preminente concetto è che i farmaci psicotropi potrebbero essere non sicuri per l’uso nei bambini e incidere negativamente sullo sviluppo. In merito a questo non si hanno prove
Tabella 1. Elementi che influenzano
le decisioni terapeutiche.
Tipo di sintomi
Severità dei sintomi
Severità del danno associato ai sintomi
Evidenza dell’efficacia e sicurezza delle terapia
Tipologia dei potenziali effetti collaterali
Preparazione del medico
Esperienza clinica del medico con la specifica terapia
Preferenze, aspettative e valutazioni della famiglia
Considerazioni economiche
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La terapia psichiatrica nell’adolescente
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 2.
Livelli di evidenza dell’efficacia della terapia
Livello A
L’efficacia è provata da 2 o più studi clinici randomizzati
Livello B
L’efficacia è supportata da un solo studio clinico randomizzato
Livello C
L’efficacia è suggerita da studi osservazionali, studi incontrollati o da case report
via che l’evidence-based medicine e le sue applicazioni agli adolescenti psichiatrici costituiscono un ideale verso cui tendere,
infatti, troppo spesso la scelta terapeutica è stata condizionata
da scelte economiche piuttosto che da dati scientifici.
Così molti farmaci psicotropi sono stati sviluppati per il trattamento degli adulti e una volta commercializzati, sono stati utilizzati anche per il trattamento dei bambini e degli adolescenti,
senza un’adeguata evidenza empirica della loro efficacia e sicurezza nei soggetti pediatrici.
Negli ultimi anni, comunque, una considerevole espansione della
ricerca in psicofarmacologia pediatrica ha dato le informazioni
necessarie sugli effetti dei farmaci psicotropi negli adolescenti,
permettendo così lo sviluppo di linee guida evidence-based.
Le decisioni terapeutiche, come se trattare o quale trattamento
usare, sono probabilmente influenzate da diversi fattori e considerazioni (Tabella 1). L’evidenza scientifica è solo uno di questi
fattori, anche se dovrebbe essere il più influente.
Il termine “evidence” può avere diversi significati in accordo con
il contesto nel quale viene impiegato. L’evidenza che un trattamento produce dati effetti significa che la relazione causa-effetto
si è stabilita tra l’intervento e l’outcome. Generalmente vengono
paragonati gli effetti su un gruppo di pazienti trattati con una speciale terapia vs un altro gruppo di pazienti come controllo trattati con una terapia diversa. Si tratta in definitiva di studi caso-controllo spesso in doppio cieco di costo notevole.
Altre buone fonti di valutazione possono essere studi osservazionali, non randomizzati, case-report, metanalisi più o meno
complesse, ma in questo caso la validità predittiva del trattamento dovrà comunque essere verificata. Ci sono, infatti, numerosi esempi di interventi medici i cui benefici terapeutici sono
stati suggeriti da studi osservazionali non randomizzati, non confermati successivamente da studi clinici randomizzati.
È generalmente accettato che l’evidenza degli effetti del trattamento negli adolescenti deve derivare da studi clinici condotti
sugli adolescenti e che i risultati degli studi clinici condotti sugli
adulti attraverso l’informazione sono insufficienti a guidare l’uso
pediatrico. Differenze metaboliche, farmacocinetiche e farmacodinamiche tra bambini e adulti implicano per entrambi la necessità di valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. La forza dell’evidenza che supporta l’efficacia del trattamento può essere
collocata a diversi livelli (Tabella 2).
Linee guida cliniche e algoritmi di trattamento integrato disponibili evidenziano in steps sequenziali che gli interventi supportati
dal livello A di evidence sono considerati come migliori nel supportare il trattamento dei pazienti.
Nonostante il procedimento ineccepibile sul piano della scientificità supportata da rigore sperimentale, i dati di letteratura riguardano comunque un campione statistico di popolazione più o
meno rappresentativo con criteri di inclusione precodificati; nella
pratica clinica, invece, abbiamo il paziente con la sua realtà e
varietà spesso incodificabili, quindi l’evidenza ci indica quale trattamento effettuare con buon margine di sicurezza, ma l’esperienza clinica e la casistica personale non dovranno essere
comunque passate in secondo ordine. Le linee guida in buona
sostanza ci sostengono nella “good practice” medico legale, ma
non possono essere garanti di esito certo.
Un’analisi della letteratura (8) sull’argomento mostra come praticamente ogni farmaco psicoattivo entrato in commercio per il
trattamento dei disturbi psichiatrici nell’età adulta sia stato “provato” con vario successo nella psicofarmacoterapia dell’adolescente (Tabella 3).
La terapia psicologica
Il trionfo delle neuroscienze e delle discipline cognitive ha reso
facilmente comprensibile l’assunto che un comportamento
umano non è in diretta dipendenza dagli stimoli ambientali
(assunto basilare delle discipline comportamentiste: stimolorisposta) bensì dai pattern cognitivi dell’individuo stesso (modello cognitivista ABC).
Tali pattern cognitivi costituiscono il “sistema di credenze” specifico, individuale, unico, originale, irripetibile che connota e qualifica ciascun individuo.
Uno stesso comportamento può essere assunto in dipendenza
di pattern cognitivi assai diversi tra loro nei diversi individui, così
come una condotta disfunzionale o francamente patologica può
discendere da un pattern non del tutto specifico di ciascun individuo, benché disfunzionale. Questo assioma ritenuto ormai certamente valido caratterizza molti aspetti degli interventi psicoterapeutici nell’adulto.
Nell’età evolutiva, per quanto precede, occorre invece considerare anche l’incompletezza e l’evolutività dei pattern cognitivi che
presiedono i comportamenti oppure la specificità della funzione
in evoluzione (ad es: linguaggio oppure sessualità) che può
completamente assorbire gli span cognitivi e caratterizzare la
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Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 3. Diagnosi in età evolutiva per la cui cura può essere indicata la farmacoterapia.
Diagnosi DSM-IV
Farmacoterapia
Diagnosi DSM-IV
Farmacoterapia
ADHD
Stimolanti
Antidepressivi triciclici
Antipsicotici
Clonidina
Guanfacina
Fluoxetina
Clomipramina
IMAO
Bupropione
Disturbo della condotta
(grave, caratterizzato
da aggressività)
Antipsicotici (tioridazina,
aloperidolo, clorpromazina)
Litio
Propanololo
Carbamazepina
Trazodone
Clonidina
Disturbo d’ansia
da separazione
Imipramina
Clordoazepossido
Fluoxetina
Alprazolam
Buspirone
Clomipramina
Clonazepam
Encopresi
Enuresi
Litio
DDAVP
Imipramina
Benzodiazepine
Carbamazepina
Amfetamine
Clomipramina
Desipramina
Disturbo esplosivo intermittente
propanololo
Disturbo depressivo maggiore
Antidepressivi
Litio
Episodio maniacale
(terapia in acuto
e di mantenimento)
Litio
Antipsicotici
Acido valproico
Ritardo mentale (con grave disturbo
del comportamento
e/o comportamento auto lesivo)
Tioridazina
Clorpromazina
Aloperidolo
Litio
Propanololo
Naltrexone
Disturbo ossessivo-compulsivo
Clomipramina
Fluoxetina
Fluvoxamina
Clonazepam
Disturbo d’ansia generalizzato
Benzodiazepine
Difenidramina
Fluoxetina
Buspirone
Idrossizina
Disturbo di panico
Antideprassivi triciclici
Alprazolam
Clonazepam
Disturbi pervasivi dello sviluppo
Aloperidolo
Flufenazina
Naltrexone
Fenfluramina
Clomipramina
Buspirone
Clonidina
Disturbo post-traumatico
da stress (acuto)
propanololo
Schizofrenia
Antipsicotici
Mutismo selettivo
Fluoxetina
Disturbi del sonno
Difenidramina
Insonnia primaria
Idrossizina
Benzodiazepine
Difenidramina
Disturbo del ritmo circadiano
Idrossizina
Benzodiazepine
Imipramina
Disturbo da terrore durante
il sonno
Carbamazepina
Benzodiazepine
Imipramina
Sonnambulismo
Aloperodolo
Pimozide
Disturbo di Tourette
Clonidina
Desipramina
Nortriptilina
Fluoxetina
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La terapia psichiatrica nell’adolescente
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
sintomatologia (intesa come comportamento disfunzionale).
Nel primo caso ad esempio si consideri l’acquisizione di capacità metacognitive assolutamente necessaria per condurre una
proficua riflessione sul sé disfunzionale, oppure l’acquisizione
del pensiero formale astratto indispensabile per confermare la
teoria della mente e/o la capacità di prevedere l’effetto del proprio comportamento disturbato.
Nel secondo caso le capacità cognitive sono interamente occupate dal “sistema” funzione in sviluppo, tanto che “tutto” viene
riferito o ricondotto, compreso il sintomo, ovviamente inteso
come condotta disfunzionale, all’area della funzione in sviluppo
(es: componenti ossessivo compulsivo della genitalità adolescenziale, che rimangono tali e cambiano di oggetto dopo lo sviluppo adolescenziale; es: disturbi del linguaggio solo apparentemente emendati dallo sviluppo stesso, ma condizionanti disturbi molto più complessi e gravi in età successive) (9).
Chiarito quanto precede occorre proporre una ulteriore riflessione. Il pattern cognitivo, inteso come sistema di credenze specifico ed individuale, non è accessibile dall’esterno da parte del
terapeuta-osservatore, lo è solo parzialmente dall’interno (cfr
coscienza di sé vs. inconscio-automatismo cognitivo). Ne consegue che oltre alla diagnosi della condotta disfunzionale che va
inquadrata in un ordinamento nosografico condiviso, come
abbiamo visto in precedenza, occorre anche una ulteriore diagnosi che riguarda la funzionalità-disfunzionalità del sistema di
credenze individuali.
Essendo il sistema di credenze inaccessibile si dovrà far ricorso
alle tecniche specifiche della interpretazione per gli orientamenti
terapeutici psicoanalitico o psicodinamico ovvero della ipotizzazione per gli orientamenti sistemico-relazionale e/o cognitivistacostruttivista, al fine di co-costruire con il paziente una buona
definizione del sistema di credenze che presieda la condotta
patologica diagnosticata (10).
Il sistema di credenze inoltre non è solo frutto dell’esperienza
fenotipica dell’individuo, ma anche della sua dotazione genetica;
inoltre viene enormemente influenzato dai meccanismi culturali
familiari, sociali e transgenerazionali.
Nonostante l’estrema semplificazione del modello, molto più articolato nella realtà terapeutica e nelle specifiche realtà individuali
osservate, è facile notare che il processo alla base del percorso
psicoterapeutico è estremamente complesso e richiede una formazione specifica specialistica.
Per quanto precede in sintesi risultano molteplici le vie di accesso e di co-costruzione di “immagini” significative dei pattern
cognitivi individuali, infatti le scuole di tecnica psicoterapeutica
sono molteplici e tutte più o meno valide, alla verifica delle prove
di efficacia, indispensabili soprattutto in questo ambito di speculazione scientifica.
Così d’altra parte la “didattica” con cui condurre uno stimolo efficace in grado di produrre un “change” del pattern disfunzionale
è assai varia e spesso oggetto di sperimentazione sul campo
nonostante le numerosissime codifiche esistenti in letteratura.
In definitiva, l’ecclettismo culturale che pervade il campo della
psicoterapia in termini di comprensione dei fenomeni e di produzione di cambiamenti è assai vario e dà ragione ai numerosissimi approcci oggi esistenti.
Infine occorre analizzare un ulteriore filone comune alle varie
scuole che è quello della relazione terapeutica, in definitiva poco
influenzata da regole di setting. La relazione terapeutica ha in
tutte le modalità di approccio e di gestione del caso una caratterizzazione asimmetrica up/down, che deve essere rispettata e
rimanere tale in tutto il percorso per consentire l’affidamento del
paziente e la relazione di fiducia che poi sarà motivante per il
“change”. Una ulteriore caratteristica sarà costituita dalla neutralità emotiva del terapeuta che non dovrà mai essere coinvolto
nelle dinamiche transferali del cliente, pena clamorosi drop-out
che saranno dolorosi soprattutto per il cliente stesso ed il suo
affidamento motivante. Altre particolarità invece possono appartenere alle diverse scuole di pensiero e di tecnica che si perseguono.
Ultimo oggetto di questa breve ed incompleta disamina degli
approcci psicoterapeutici alle patologie mentali dell’infanzia e
della adolescenza è la scelta del setting: individuale, madrebambino, coppia genitoriale, familiare, familiare allargata, ecc.
In questo caso dovranno essere invocate a supporto tutte le premesse fin’ora considerate: tipo di diagnosi, età del soggetto,
sistema di relazioni sociali e familiari, caratteristiche della psicopatologia, risultati delle prove di efficacia per i vari settori nosografici in cui ci si trova ad operare, competenza professionale del
terapeuta (l’ecclettismo a volte auspicabile spesso contrasta con
le discipline di scuola o con l’età “esperienza” del terapeuta).
In definitiva, la psicoterapia si colloca spesso come mezzo decisivo e risolutivo di molte casistiche, come d’altra parte è a volte
completamente inutile se non dannosa, se la relazione terapeutica, il setting scelto o le tecniche usate non sono idonee al
“change” dei pattern cognitivi disturbati.
Molte altre cose sono state tralasciate in questa sede non specialistica di fronte all’obiettivo di presentare la complessità delle
cose e la necessità di elevata professionalità necessaria nell’intraprendere percorsi psicoterapeutici.
Purtroppo in questo ambito, poco monitorato, la “malpractice” è
troppo frequente e troppo spesso produce risultati negativi o
addirittura iatrogeni misconosciuti, che il medico inviante, ancorché molto poco esperto, deve ipotizzare senza precostituirsi
pensieri di inefficacia o di inutilità ancora peggiori della stessa
“malpractice” psicoterapeutica.
Iniziative di divulgazione e aggiornamento dei medici invianti,
sono assai auspicabili, soprattutto per sciogliere lo stigma del
mentale almeno nel medico.
Una ultima serie di riflessioni nel trattamento del bambino con
disturbi mentali riguarda il processo di abilitazione-riabilitazione.
Nell’ambito pediatrico anche questo processo è specifico
dovendo considerare la evolutività del sistema bambino di cui la
riabilitazione diviene garante; a differenza dell’adulto dove la ria-
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Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
riabilitativo, bensì la capacità di condurre osservazioni cliniche di
screening per controllare il corretto sviluppo delle varie funzioni
all’interno delle finestre evolutive specifiche.
In questo caso al pediatra sarà richiesta una grande competenza
nell’osservazione clinica delle tappe evolutive per cogliere precocemente condizioni deficitarie che, se trattate in modo immediato, possono essere completamente emendate. Gli aspetti specifici fanno invece parte di professionalità specializzate.
Anche la riabilitazione, in particolare quella cosiddetta cognitiva,
è quindi un valido strumento di trattamento e ripristino di funzioni deficitarie che impediscono lo sviluppo normale o l’acquisizione di funzioni necessarie alla vita di relazione, a patto che sia utilizzata nei tempi e nei modi specifici; infatti essa non è più efficace al di fuori della finestra evolutiva della particolare funzione
considerata in tal caso risultando completamente inutile.
bilitazione ha più forti connotazioni di ripristino. Ecco perché
spesso si preferisce parlare di abilitazione di funzione soprattutto in ambito pediatrico.
Questa modalità di intervento ha notevole importanza nel trattamento complessivo del bambino in quanto una diagnosi di funzionamento e di stadio evolutivo spesso accompagna la diagnosi clinica; d’altra parte è altrimenti noto che il salto della finestra
evolutiva per l’acquisizione di una determinata funzione produce
notevoli difficoltà nel successivo step evolutivo.
Si sta trattando in questa sede in particolare della cosiddetta riabilitazione cognitiva che ha come fondamento specifico l’obiettivo di abilitare, ripristinare, vicariare aree cerebrali deputate al
presiedere a specifiche funzioni. Concettualmente non vi sono
differenze rispetto alla problematica dei pattern cognitivi affrontata nell’approfondimento della psicoterapia che precede, solo
che in questo caso non si considera più il sistema mentale complessivo, ma sottoinsiemi cerebrali più limitati o aspetti neuropsicologici che fanno da supporto “hardware” a varie funzioni
neuro-psichiche.
Quanto appena detto rende facilmente comprensibile che, ad
esempio, la logopedia non si orienterà su finalità fonologiche, se
l’apparato fonatorio non sarà specificamente interessato, bensì
su finalità cognitive, attraverso la somministrazione di specifici
stimoli, non sempre sicuramente verbali, per abilitare-riabilitare il
“software” gestionale che presiede la funzione linguaggio
Se concettualmente la problematica è addirittura intuitiva, la pratica riabilitativa è assai specifica e specialistica, necessita di diagnosi molto accurate e specifiche nonchè di studi di funzione
molto approfonditi, anche con mezzi di diagnostica per immagine molto sofisticati. Infine l’intervento sarà assolutamente specifico e mirato da richiedere una applicazione professionale completamente a se stante come quella del tecnico della riabilitazione neuropsicomotoria dell’età evolutiva, o altrimenti, del logopedista, intese come figure professionali emergenti nel panorama
delle nuove figure di professionisti sanitari.
Questa area di intervento è quindi molto specializzata e vede la
necessaria sinergia tra neuropsichiatra infantile e tecnico della
riabilitazione, ma vede anche la partecipazione del pediatra
come specifico e competente inviante. In questo caso non sono
necessarie conoscenze approfondite di tipo diagnostico o di tipo
Bibliografia
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Dazzi N, Muscetta S. L’adolescenza tra L’infanzia e l’età adulta.
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ed. Torino 2004.
Corrispondenza:
Prof. Alberto Verrotti
Clinica Pediatrica
Università degli Studi “G. D'Annunzio”, Chieti
Tel: 0871 358015 - Fax: 0871 574831
email: [email protected]
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La gestione reattiva
del rischio clinico nelle Aziende
della Provincia di Catanzaro
Piercarlo Rizzi
Direttore U.O. Medicina Legale A.S.P., Catanzaro
Riassunto
Si espone quanto effettuato, nell’Azienda Ospedaliera e Territoriale della Provincia di Catanzaro, per l’attivazione di un sistema di Clinical Risk Management, indicando le difficoltà incontrate e le modalità di approccio alla problematica. In particolare, si rappresenta l’esigenza che le diffuse carenze strutturali o organizzative, specifiche di singole strutture e/o riconducibili a problemi generali “di sistema”, possono essere superati attraverso la progressiva sensibilizzazione del personale sanitario verso la gestione del rischio clinico, adottando percorsi assistenziali condivisi e protocolli/linee guida.
Parole chiave: clinical risk management, Catanzaro, medicina legale.
Introduzione
È l’esigenza di governare il “rischio clinico”, inteso quale “probabilità che un paziente subisca un qualsiasi danno o disagio
imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche
prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”, ad imporre l’adozione di idonei interventi di prevenzione, basati sull’analisi dei processi diagnosticoterapeutici. Infatti, nella maggior parte dei casi, l’errore scaturisce dall’interazione tra errori umani, difetti organizzativi e/o tecnologici. Nell’attuale organizzazione assistenziale, l’errore viene
analizzato solamente in ambito giudiziario, nel cui contesto è
solo il singolo sanitario a doversi porre dei quesiti e ad addurre
eventuali giustificazioni al proprio operato.
Viceversa, superando l’approccio punitivo all’errore è necessario ricercare le cause che ne hanno sotteso il verificarsi, per
identificarne le dinamiche nascoste, successivamente predisponendo idonee difese di sistema.
In altri termini, a fronte del verificarsi di un incidente, l’obiettivo
primario non deve più essere quello di individuare chi ha sbagliato, ma accertare in quali condizioni organizzative si è manifestato e come e perchè le difese hard e soft eventualmente
approntate hanno fallito.
Si consideri che lo strumento assicurativo da solo non basta per
far fronte al “rischio”, ma necessita di essere affiancato da inter-
venti tecnici in cui il trasferimento assicurativo rappresenta soltanto l’ultimo stadio di un processo all’interno del quale assuma
importanza primaria gli aspetti legati alle tecniche di prevenzione.
L’esigenza di avviare attività di Clinical Risk Management nelle
strutture sanitarie insistenti nel territorio della Regione Calabria è
emersa per la prima volta nell’anno 2003, nell’Azienda
Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro.
Infatti, nel mese di Luglio 2003 la Direzione Strategica decise di
convenzionare appositamente un Medico (specialista in
Medicina Legale) che provvedesse alla gestione del rischio
clinico.
L’esigenza Aziendale scaturiva dalla necessità di assicurare la
qualità dell’assistenza e migliorare i rapporti con l’utenza, nel
contempo tentando di contrarre gli ingenti oneri sopportati
annualmente per far fronte agli specifici contenziosi e agevolare
gara di appalto per stipulare contratto assicurativo per la
responsabilità professionale, sino a quell’epoca disertata dalle
Compagnie d’assicurazione.
Dall’anno 2004, previa stipula di apposito protocollo d’intesa,
l’attività è stata assolta dall’Unità Operativa di Medicina Legale
dell’ex Azienda Sanitaria n.7 di Catanzaro, che dallo stesso
periodo ha iniziato ad assolvere pari attività nell’interesse della
medesima.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Attività svolte
Questi dati furono integrati con gli indicatori dell’utenza (URP,
TdM) e con quelli relativi a near miss segnalati dai Referenti di
reparto, una volta identificate queste figure di supporto al gruppo di lavoro.
Per inciso, si rileva che si ritenne opportuno agevolare l’instaurarsi di un rapporto costante con il Tribunale dei Diritti del
Malato, i cui rappresentati trovavano ospitalità all’ingresso del
Presidio Ospedaliero (il TdM ha il vantaggio di non essere considerato “di parte” e, pertanto, la Sua collaborazione era utile per
raggiungere la massima completezza informativa possibile, sugli
eventi sentinella).
Referenti di reparto furono identificati in corso di riunioni di area
(Chirurgica, Medica, Servizi), tra il personale medico e quello
infermieristico, nel contempo avviandosi la sensibilizzazione
“culturale” dello stesso verso le problematiche della gestione del
rischio clinico.
I referenti delle diverse figure professionali consentivano di interfacciarsi con il reparto di appartenenza, così disponendo di un
punto di riferimento sia per assicurare la costante sensibilizzazione del personale verso le problematiche nella gestione del rischio,
sia per l’indispensabile collaborazione in corso di valutazione di
comportamenti Sanitari oggetto di contenzioso giudiziario e collaborazione nella redazione di consulenze tecniche di parte.
Il referente, evidentemente, aveva il compito di fornire gli elementi per programmare in maniera “mirata” gli interventi per la
riduzione del rischio nel reparto stesso (qualora necessario,
estendendo ad altri referenti, di altri reparti, il comune problema,
al fine di elaborare “linee guida”, “protocolli”, proposte operative
da trasmettere alla direzione aziendale, e quant’altro potesse
tendere al fine prefissato di ridurre l’incidenza degli errori).
L’azione per la gestione del rischio clinico si è sviluppata lungo
due direttrici:
1) Gestione Proattiva del rischio
costituzione del “Gruppo per la gestione del rischio clinico”
avvio di specifiche attività per la gestione proattiva del rischio
(organizzazione per processi, redigendo percorsi diagnostico-terapeutici; adozione di linee guida e protocolli), anche
avvalendosi delle Raccomandazioni Ministeriali
2) Gestione Reattiva del rischio
Espletamento di audit clinici
Costituzione Comitato Gestione Sinistri
La mappatura del rischio ha consentito di acquisire conoscenza
delle aree e dei comportamenti sanitari a maggiore rischio, emergendo la prevalente esigenza di:
a. riformulare le cartelle cliniche;
b. discutere della validità della strutturazione del “diario clinico”
e delle “consegne” degli infermieri;
c. regolamentare diversamente la fornitura al reparto delle unità
di sangue da trasfondere;
d. regolamentare le modalità di ricovero dei pazienti, evitando
ricoveri incongrui ed in reparti che non erano tra i più indicati
per la loro accoglienza;
Inizialmente, la principale difficoltà affrontata è stata quella di
superare le diffidenze del personale Sanitario, culturalmente contrario a sottoporre a rivisitazione i propri comportamenti e i processi organizzativi, assicurandolo che la finalità dell’attività intrapresa non era di individuare e punire i fautori di errori professionali, ma di prevenire la verificazione di eventi avversi ovvero, una
volta verificatisi, discuterne insieme, criticamente, per identificarne le eventuali cause organizzative e proporre idonee azioni per
evitarne il ripetersi. Del resto, la carenza di “fiducia/disponibilità”
degli operatori destina il programma a sicuro fallimento.
A tal fine, si decise di costituire un ristretto “Gruppo di lavoro
per la prevenzione degli errori”, così formato:
1) Direttore Sanitario di Presidio
2) Medico Legale
3) Esperto aziendale in problematiche di gestione del rischio clinico e conoscitore della realtà del Presidio Ospedaliero
(Direttore della Radiologia)
4) Esperto aziendale in problematiche di gestione del rischio clinico e conoscitore della realtà del Presidio Ospedaliero
(Dirigente Medico della Chirurgia Generale)
Il Gruppo si propose la seguente modalità d’azione:
1. Individuazione dei problemi
2. Ricerca delle cause dei problemi
3. Proporre diverse possibili soluzioni per ciascun problema
4. Verifica, per l’attuazione di ciascuna soluzione proposta, delle
disponibilità di risorse umane, strumentali ed economiche
5. Previsione di forme di verifica dell’efficacia delle soluzioni
adottate.
Evidentemente, nessun programma era realizzabile in carenza di
elementi informativi che valessero, quantomeno, ad individuare
le principali criticità.
A tal fine, si ritenne utile costruire una banca dati degli eventi
avversi, utilizzando il dato “storico”, rappresentato dai sinistri
pendenti, noti all’Ufficio Legale, peraltro già analiticamente esaminati dal Medico Legale congiuntamente al Broker, nella fase di
allestimento della gara di appalto del contratto assicurativo.
L’analisi del contenzioso giudiziario ha consentito di definire le
aree richiedenti priorità d’intervento e, in considerazione del più
elevato rischio ricorrente nelle Divisioni Chirurgiche, avvalendosi
dell’insegnamento fornito da problematiche emergenti, si sono
tenuti Audit Clinici, esaminando le procedure “ideali” da seguire.
Inoltre, l’esame del contenzioso ha consentito di rilevare che:
a) numerose richieste di risarcimento per “colpa medica”sono
infondate;
b) spesso, i contenziosi emergono da carenza di comunicazione con l’utente.
c) a fronte di comportamenti sanitari adeguati al caso concreto,
spesso sussistono difficoltà nel difendersi, indotte da carenze nella redazione della cartella clinica o da carenze
documentali.
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La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
e. programmare metodiche di identificazione e segnalazione dei
“near miss”;
f. formulare proposte “fattibili” di interventi nella logica organizzativa per “processi diagnostico-terapeutici”, secondo un
ordine di priorità.
Le attività condotte hanno fatto rilevare che la sensibilità del personale nei confronti delle problematiche inerenti la gestione del
rischio clinico è massima in occasione di eventi avversi.
Infatti, in queste circostanze, gli audit clinici hanno consentito di
intervenire riorganizzando le attività, in uno spirito di fattiva collaborazione (effetti a breve termine sull’organizzazione del lavoro,
sulla tenuta della documentazione sanitaria, etc, con successivi
risvolti in termini assicurativi e di sensibilizzazione del personale
verso la gestione proattiva del rischio clinico).
Il personale è stato sensibilizzato sull’esigenza di:
a) mantenere con diligenza la documentazione sanitaria (elettivamente, si è discusso sulle modalità di redazione della cartella clinica, sfatando l’errato convincimento che “meno si
scrive e meglio è” (questo modo di agire ingenera nel lettore
il convincimento che il paziente non sia stato curato con la
necessaria, dovuta attenzione);
b) correggere abitudini errate, quale quella di escludere la cartella anestesiologica dalla cartella clinica e, a fronte delle perplessità rappresentate dagli Anestesisti, che avvertivano l’esigenza di mantenere il possesso di copia della scheda, adozione di scheda in duplice copia (carta copiativa);
c) comunicare adeguatamente con gli utenti e con i loro parenti, oltre che con altri sanitari coinvolti nei processi diagnosticoterapeutici;
d) rammentare che la firma sul foglio del consenso informato
rappresenta l’esito di un’attività di informazione completa e
corretta fornita all’interessato, al fine di perseguire l’obiettivo
dell’alleanza terapeutica;
e) consegnare prontamente, in Direzione Sanitaria, le cartelle cliniche e gli accertamenti strumentali relativi a persone decedute per le quali è prevedibile l’acquisizione da parte
dell’Autorità Giudiziaria, così evitando la presenza, nei reparti,
della polizia giudiziaria.
Gli audit clinici hanno rappresentato l’occasione per discutere
dell’adozione di protocollo per la prevenzione delle cadute dei
pazienti, soprattutto se anziani, ovvero della derelizione di corpi
estranei nel sito chirurgico (e modalità per prevenirla: modifica
del protocollo conta garze).
Nel volgere dei primi mesi dell’anno 2007 in uno dei Presidi
Ospedalieri insistenti nel territorio dell’ASP, dotato di reparto di
Chirurgia Generale, Medicina e Servizi ambulatoriali, si sono attivati gruppi di lavoro per elaborare la cartella clinica unificata
(medico-infermieristica), elettivamente adottando la scheda
unica della terapia, diventate di uso corrente dal mese di
Settembre 2007.
Il riscontro che numerosi visitatori lamentavano cadute accidentali in Ospedale, ha indotto ad intervenire anche in questo ambi-
to, provvedendo a porre in essere interventi per meglio definire le
esatte dinamiche infortunistiche (redazione di scheda anamnestica sottoscritta dall’interessato, con la descrizione del sinistro,
facendo elettivo riferimento alla esatta identificazione del sito,
come ad es. la eventuale presenza di “liquidi vischiosi” e/o l’inadeguata illuminazione).
Posto che nella realtà Catanzarese, in cui le persone prediligono
rivolgersi alla Magistratura per esporre i loro problemi, si ritenne
indispensabile informare adeguatamente, mediante appositi
tabelloni da appendere in tutti i reparti e nei corridoi, sull’esistenza e funzioni dell’URP. Si è avviata adeguata formazione del personale sulle problematiche inerenti le infezioni nosocomiali e la loro prevenzione (in questa attività avvalendosi del
C.I.O.). Si è avviata l’elaborazione di percorsi assistenziali condivisi, inizialmente tra pronto soccorso e reparti di degenza, con
elettivo riferimento al Dipartimento Materno-Infantile e si è sollecitata l’adozione di protocolli/linee guida.
Si è fornito al Broker la mappatura del rischio, per approntare
adeguate gare di appalto Assicurativo e si è avviata, con il settore assicurativo dell’ufficio Affari Generali, la previsione di revisione, nel contratto d’appalto, dei rapporti con il Broker e la compagnia d’assicurazione (vincolandone il compenso non all’ammontare dei premi pagati ma in relazione ai servizi forniti, quali,
ad es: gestione contenzioso, monitoraggio rischi, eventuale
risparmio conseguito a seguito del raggiungimento dell’obiettivo
del rapporto sinistri/premi del 70%; determinando la tipologia di
franchigia -singolo sinistro e aggregata annua- e la fascia di
ritenzione dei sinistri, in relazione al loro andamento; determinando gli elementi retributivi da considerare per determinare il
premio annuale di polizza, formalizzando procedure, periodicità
e modalità di trasferimento all’Azienda dei dati sui sinistri -richieste, quote a riserva, liquidazioni)
Si sono espressi estemporanei pareri medico legali, a richiesta
dei diversi reparti.
In ipotesi di richieste di risarcimento, si è ritenuto opportuno
modificare la procedura seguita dall’Ufficio Legale dell’Azienda,
che a fronte di una richiesta di risarcimento danni per ipotesi di
colpa medica rivolgeva, per iscritto, alla Direzione Sanitaria di
Presidio e questa, sempre per iscritto, ai Medici del Reparto interessato, relazione sull’evento di interesse. Un sistema siffatto non rispondeva alle esigenze di difesa. Pertanto, la procedura
è stata così modificata: le richieste dell’Ufficio Legale sono rivolte al Medico Legale, che acquisisce contezza della contestazione, anche visitando la parte offesa (se disponibile). Quindi, il
Medico Legale fornisce completa informazione al referente
dell’U.O. interessata, che collabora a redigere apposita relazione. La relazione viene infine presentata all’Ufficio Legale, a firma
del solo Medico Legale, comprensiva di suo parere sull’eventuale ricorrere di colpa.
Il parere è discusso in ambito di Comitato Gestione Sinistri, eventualmente esitando nella formulazione di proposta transattiva alla
parte lesa.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
medico a tal fine deve utilizzare gli strumenti disponibili per comprendere le cause di un evento avverso e mettere in atto i comportamenti necessari per evitarne la ripetizione; tali strumenti
costituiscono esclusiva riflessione tecnico professionale, riservata, volta alla identificazione dei rischi, alla correzione delle procedure e alla modifica dei comportamenti”.
In Calabria, è con il “Piano per la salute 2004-2006” (Legge
Regionale 19.3.2004 n.11) che si rinviene riferimento alla
“…creazione di osservatori medico legali, tesi alla gestione medico legale del contenzioso ed alla prevenzione dei
conflitti…” (Azioni prioritarie dell’Obiettivo 1.9 - Medicina
Legale).
Evidentemente, ben diverso da un sistema per la gestione del
rischio clinico è un osservatorio medico legale del contenzioso,
anche se la citazione relativa alla “prevenzione dei conflitti”
tende ad accreditare un diverso significato all’intera previsione
normativa.
Certamente, non lascia spazio a dubbi interpretativi quanto sancito nella Delibera della Giunta Regionale 2.5.2006 n.313 (Atto di
indirizzo alle Aziende del SSR per l’adozione dell’atto aziendale
di cui all’art.3 del DLgs n.229/99), in cui è stato definito che tra i
compiti dell’Unità Operativa di Medicina Legale devono essere
comprese le attività di “Risk Management”.
Nel nuovo Piano Sanitario Regionale 2007-2009, allegato alla
delibera di Giunta Regionale n.694 del 9.11.2007, al punto
2.5.1.6.2 (Formazione Continua in Medicina), tra le iniziative prioritarie di formazione da sviluppare, è stata prevista l’area tematica del “risk management, con particolare riferimento all’area del
rischio clinico”, mentre il punto 2.5.1.8 è stato riservato al
“rischio clinico e la sicurezza del paziente”.
Al punto 2.14.3.8 - Valutazione medico-legale per finalità
pubbliche e degli stati di disabilità, sono stati posti in evidenza i profondi mutamenti subiti dalla Medicina Legale: dall’assicurare “fiscalismo” valutativo, sia negli adempimenti certificativi che
in ambito di accertamenti di invalidità, verso una “Medicina
Sociale”, finalizzata alla tutela dei minorati, alla sicurezza sociale, alla prevenzione dei conflitti nel rapporto utenti/operatori sanitari, al diritto del lavoro, alla bioetica, agendo così da integrazione e coordinamento tra specialità diverse dell’organizzazione
sanitaria, anche operando all’interno delle strutture ospedaliere,
compreso quelle Aziendali, quale elemento portante della
gestione del contenzioso e nella prevenzione del rischio
clinico. Ed è proprio in questo ambito operativo che la Medicina
Legale ha concretizzato il più profondo dei mutamenti, avvalendosi della specifica competenza in merito alla prevedibilità
degli eventi avversi. Questo mutamento ha comportato l’assunzione di una dimensione elettivamente protesa verso la prevenzione del rischio, con interventi finalizzati alla sua identificazione attraverso lo sviluppo di metodologie di tipo sistemico
per l'analisi degli incidenti, seguita dall’adozione di correttivi, in
alternativa a quella gestionale del contenzioso per responsabilità
degli operatori sanitari.
La parte lesa, evidentemente, non è vincolata al giudizio espresso dal Medico Legale dell’Azienda, potendo optare, in ipotesi di
disaccordo (sul ricorrere della responsabilità medica o sulla valutazione del danno), tra il ricorso in sede giurisdizionale o alla
Camera di Conciliazione.
Si precisa che il Comitato Gestione Sinistri ha consentito di transare diversi sinistri, nel contempo consentendo il diretto controllo della gestione della franchigia aggregata annua prevista nel
contratto di polizza.
Si segnala che deficitario è stato il ricorso alla Camera di
Conciliazione istituita presso l’Ordine dei Medici della Provincia
di Catanzaro, verosimilmente per carenza di sensibilità degli
Uffici Legali Aziendali e dell’Avvocatura.
Peraltro, questa possibilità di composizione delle vertenze, adeguatamente pubblicizzato sia mediante la cartellonistica
dell’URP, sia attraverso l’Ordine Professionale degli Avvocati,
potrebbe contribuire alla riduzione della pressione “penale” sui
medici (che induce tanta ansia negli operatori), posta la maggiore convenienza che gli utenti avrebbero a percorrere la strada del
“rapido” e congruo risarcimento di eventuale ingiusto danno
patito, invece di assoggettarsi ai tempi della Giustizia.
Si è partecipato, in veste di C.T.P., a visite di C.T.U., contrastando
richieste di parte incongrue rispetto alla realtà dei fatti.
Situazione in Calabria
Fatta eccezione per realtà regionali “avanzate” (Lombardia,
Emilia Romagna, Toscana, etc.), che hanno prodotto specifica
legislazione, è con l’ACN Sanità 2002/2005, che per la prima
volta è stato disposto che “Le aziende attivano sistemi e strutture
per la gestione dei rischi, anche tramite sistemi di valutazione e
certificazione della qualità, volti a fornire strumenti organizzativi e
tecnici adeguati per una corretta valutazione delle modalità di
lavoro da parte dei dirigenti dei quattro ruoli, nell’ottica di diminuire le potenzialità di errore e, quindi, di responsabilità professionale nonché di ridurre la complessiva sinistrosità delle strutture sanitarie, consentendo anche un più agevole confronto con il mercato assicurativo. Al fine di favorire tali processi le aziende ed enti
informano le organizzazioni sindacali di cui all’art. 9 del CCNL 8
giugno 2000” (art.21 comma 5 -Copertura assicurativa).
Emerge da questa norma, tra gli altri, il fine economico/assicurativo di diminuire le potenzialità di errore e, quindi, di responsabilità professionale e di sinistrosità delle strutture sanitarie, attivando sistemi e strutture per la gestione dei rischi.
Il Codice di Deontologia Medica approvato il 16.12.2006, ha previsto : “Art. 14 – Sicurezza del paziente e prevenzione del rischio
clinico: Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e contribuire all’adeguamento dell’organizzazione sanitaria, alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione
degli errori al fine del miglioramento della qualità delle cure. Il
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
I provvedimenti legislativi, elettivamente connessi alla tutela dei
minorati; la maggiore sensibilità da riservare alla prevenzione
dei rischi in ambito ospedaliero e nelle strutture territoriali, anche per contenere l’imponente crescita dei premi assicurativi e arginare la crisi di assicurabilità del sistema.
A tal fine, tra gli obiettivi della Medicina Legale è stato previsto:
“Realizzare attività di gestione del rischio clinico, eseguendone la
mappatura nelle strutture ospedaliere, assicurando l’evasione
delle richieste di consulenza per conto dell’Amministrazione, per
responsabilità professionale sanitaria, attivando corsi di formazione in tema di prevenzione del rischio clinico, assicurando la
partecipazione ai Comitati Valutazione Sinistri, collaborando nella
preparazione delle gare di appalto per la RC professionale”.
Peraltro, nonostante quanto predetto, che risponde all’esigenza
di imporre alle Aziende l’istituzione di specifica funzione specializzata nella gestione del rischio clinico, a tutt’oggi ben poche si
sono attivate in tal senso.
Questo fatto è stato stigmatizzato dalla Commissione SerraRiccio nella relazione del 14.4.2008: “…mancanza di una attenzione sistematica e continuativa, da parte del sistema sanitario nel
suo complesso e nelle sue diverse componenti ai diversi livelli,
alla prevenzione degli errori clinici e/o organizzativi o, quanto
meno, alla minimizzazione dei danni che ne possono derivare per
il paziente…”.
In contemporanea all’intervento della citata Commissione, il
Dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria, con
D.G.R. n.279 del 5.4.2008, ha istituito il “Centro regionale per la
gestione del rischio clinico e la sicurezza del paziente (CRRC)”,
con l’obiettivo di prevenire gli eventi avversi più gravi e far emergere le situazioni critiche della pratica professionale quotidiana.
È stato previsto che per perseguire gli obiettivi prefissati, il CRRC
si deve avvalere dello Staff Tecnico Operativo (STO), che ha il
compito di promuovere l’implementazione del sistema di gestione del rischio clinico e assicurare il necessario coordinamento di
tutta l’attività dei Gruppi regionali specifici per aree di criticità
(GRAC, cui competerà affrontare i rischi inerenti specifici ambiti
assistenziali: emergenza/urgenza; chirurgia; ostetricia/neonatale) e i Nuclei aziendali per la gestione del rischio clinico (NARC),
istituiti presso le singole Aziende Sanitarie Provinciali e Aziende
Ospedaliere.
Con decreto del Dipartimento Tutela della Salute del 28.4.2008,
n.4794, è stato costituito lo Staff Tecnico Operativo del Centro
regionale per la gestione del rischio clinico e la sicurezza del
paziente e, attualmente, è in fase di avvio il programma di intervento.
Conclusioni
In Calabria, ed elettivamente nell’Azienda Sanitaria e
Ospedaliera di Catanzaro, sono state avviate attività per la prevenzione del rischio clinico.
Le attività sono rese particolarmente difficoltose per le condizioni in cui ci si trova ad operare, caratterizzate da diffuse carenze
strutturali o organizzative, specifiche di singole strutture e/o
riconducibili a problemi generali “di sistema”, oltre a difficoltà
connesse all’acquisizione, da parte del personale Sanitario, della
necessaria sensibilità verso queste problematiche.
È sulla strada della elaborazione di percorsi assistenziali condivisi e sull’adozione di protocolli/linee guida che definiscano
mezzi, strumenti e procedure per le diverse tipologie di intervento assistenziale, che si dovrà elettivamente cimentare l’attività
degli operatori che si dedicheranno alla gestione del rischio clinico.
Corrispondenza:
Dott. Piercarlo Rizzi
U.O. Medicina Legale ASP-Cz
Via Ettore Vitale, 248 - 88100 Catanzaro
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Medicina legale in ambulatorio
Luigi Ranieri
Pediatra di famiglia ASP 7, Catanzaro
Le insidie di tipo medico legale che si possono riscontrare in un
ambulatorio pediatrico sono le più innumerevoli e le più svariate.
Le problematiche medico legali sono sempre esistite ma si sono
amplificate negli ultimi anni , da quando cioè è venuto meno quel
fattore protettivo che garantiva la figura del medico e cioè: “il rapporto fiduciario con il paziente”.
A tal punto è fondamentale capire perché si è rotto quel rapporto
fiduciario tra medico e paziente. Far causa al medico è un business: dietro l'aumento del contenzioso in sanità "c'è un business.
Un mercato popolato di avvocati, media, assicurazioni, ma anche
medici che si occupano di contenzioso"
"Ormai quello dei risarcimenti è diventato un business e le richieste sono destinate ad aumentare. Oggi i numeri reali degli errori
non esistono". Con il risultato che ormai molti specialisti, per prudenza, ricorrono alla medicina difensiva, e ad atti medici dettati
più da cautela giudiziaria che da motivi scientifici". Negli anni la
medicina, è migliorata enormemente, ma le denunce nei confronti dei medici sono lievitate, "per colpa anche del mercato del risarcimenti.
È tempo di cambiare le cose. E lo si può fare dando tempo e qualità al rapporto medico-paziente, e a momenti come il consenso
informato", creando un'alleanza culturale e fattiva - che punta a
migliorare la tutela della salute dei cittadini e la serenità degli operatori. Perché gli errori medici sono rari, ma esistono. E non vanno
taciuti, ma rilevati, studiati e prevenuti. Per questo è stato chiesto
al ministero del Welfare l'istituzione di un Osservatorio dell'errore
medico e del contenzioso paziente-medico.
prevedere gli effetti possibili del proprio agire e corregge il
comportamento in base a tale previsione. La valutazione del
rischio è atto dovuto del professionista che responsabilmente svolge il proprio compito. Non potrà essere scusato
quel Sanitario che non avrà posto in atto tutti quei provvedimenti
che devono rappresentare il bagaglio culturale di ogni esercente la
professione sanitaria. Il mancato aggiornamento professionale
rappresenta violazione di precisi obblighi volontariamente assunti
La responsabilità consegue ad un illecito che consegue ad una
condotta umana (azione od omissione) che una norma considera vietata e che l'ordinamento giuridico vi attribuisce come conseguenza una sanzione: 1) penale: funzione punitiva-preventiva
2) civile: funzione risarcitoria
È in colpa chi poteva prevedere l'evento e, quindi, prevenirlo,
adottando la diligenza del buon professionista (cioè essendo
dotato della perizia media che normalmente viene richiesta ad
ogni operatore sanitario) (1).
Responsabilità professionale colposa
La responsabilità colposa nasce da un errore. L’errore può essere commissivo (Esecuzione errata di atti sanitari) oppure omissivo (mancata esecuzione di atti sanitari). L’errore al contempo può
generare un danno che può determinare: lesioni personali (colpose ) o morte (colposa).
L’errore (o presunto tale ) può dare ilvia ad una azione legale che
a sua volta può essere un’azione penale (querela→indagine
pm→ rinvio a giudizio→processo o archiviazione ) o un’azione
civile (richiesta risarcimento danni→risarcimento) (Figura 1).
Cosa può fare un medico per evitare problemi di responsabilità
professionale?...
… cessare l’attività! Il rischio di errore è connaturato all’espletamento della professione
…oppure: Acquisire conoscenze di base che gli consentano
di avere contezza: sul ruolo professionale che è chiamato a
svolgere - su cosa pretende la società dal medico…
…un libero professionista …con un rapporto Convenzionale
con il SSN.
Lo studio del pdf è uno studio professionale privato, presidio del
SSN destinato ad un pubblico servizio. Art. 358 c.p. (Nozione di
persona incaricata di un pubblico servizio). <<Agli effetti
della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio
coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Concetto di responsabilità
Responsabilità in quale ambito?: Etico ,deontologico, giuridico
(penale, civile, amministrativo). Il concetto di responsabilità può
essere interpretato con due ottiche diverse (Tabella 1):
1) un’ottica positiva: Conoscenza degli obblighi connessi all’incarico, Centralità del paziente conoscenze scientifiche aggiornate,
Tutela della salute del paziente, Valorizzazione degli aspetti sostanziali, Operatività ispirata all’autocritica.
2) Un’ottica negativa: Essere chiamati a rendere conto del proprio operato; Colpa, Centralità dell’operatore, sentenze della
Magistratura, prevenzione di sanzioni, Esasperazione dei formalismi Medicina difensiva, Operatività focalizzata alla valutazione di
un possibile giudicante. La persona responsabile si impegna a
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Medicina legale in ambulatorio
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Il mancato ottemperamento a tale obbligo è perseguibile penalmente (art. 622 c.p.), deontologicamente (art 10 c.d. ) e dal codice
della privacy DLgs 196/03).
Il medico non è tenuto a rivelare ai genitori i segreti del minore ove
non lo ritenga opportuno e sempre che questi abbia raggiunto la
“capacità naturale”
Capacità naturale: “Sinonimo di quel tanto di discernimento
che si sviluppa con l’età e pone in grado il minore di fare
buon uso della Ragione, ha riflessi importanti nei riguardi dei
fatti intimi della persona, compresi quelli concernenti la salute e il consenso ai trattamenti sanitari” (2).
Le fasi dell’intervento sanitario in cui può verificarsi l’errore ingenerante responsabilità sono:
1) Formulazione della diagnosi:
a) Insufficiente raccolta dei dati
b) errata scelta di mezzi diagnostici
c) errata interpretazione dei dati
2) Definizione della prognosi
3) Scelta del metodo di cura
4) Esecuzione della cura
Alcuni obbliglighi incombenti
sul medico di famiglia
Certificato medico
Definizione: Attestazione scritta di fatti obiettivamente rilevati dal
medico nell’esercizio della sua attività, con la finalità di provarne la
veridicità.
Attestazione di indole tecnica riguardante fatti obiettivamente rilevati dal medico nell’esercizio della sua attività, aventi rilevanza giuridica ed amministrativa.
Certificazione: Il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati. Egli è tenuto alla
massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati
e alla formulazione di giudizi obiettivi e scientificamente corretti.
Caratteristiche: Luogo e Data, Obiettività clinica o Diagnosi,
Terapia, Prognosi, Firma
Evitare: “…per gli usi consentiti” oppure “…in fede”
Il titolare del certificato è l’interessato e nessun altro.
Il certificato deve essere rilasciato unicamente alla persona
assistita o visitata ovvero al suo rappresentante legale (genitore
o tutore) in caso di minore o comunque di soggetto legalmente incapace.
Il contenuto del certificato non deve essere divulgato (segreto
professionale).
È indispensabile conoscere la finalità di impiego del certificato, al
fine di dargli adeguata veste formale per es:
Certificati di malattia (per assenza dal servizio o per domande di
invalidità o per giustificare l’assenza ad una udienza)
Certificati più frequenti (da erogarsi a carico del SSN):
Mantenere il segreto, certificare il vero, refertare, denunciare, soccorrere il malato, informare adeguatamente…….(Tabella 2).
Segreto professionale
È segreto qualunque fatto che una persona abbia interesse debba
essere celato all’altrui conoscenza.
Figura 1.
Tabella 1. Concetto di responsabilità.
Ottica positiva
Ottica negativa
Conoscenza degli obblighi connessi all’incarico
Essere chiamati a rendere conto del proprio operato; colpa
Centralità del paziente
Centralità dell’operatore
Guida: conoscenze scientifiche aggiornate
Guida: sentenze della Magistratura
Obiettivo: tutela della salute del paziente
Obiettivo: prevenzione delle sanzioni
Valorizzazione degli aspetti sostanziali
Esasperazione dei formalismi; medicina difensiva
Operatività ispirata alla autocritica
Operatività focalizzata alla valutazione di un possibile giudicante
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
idonea a lasciare al paziente la paternità e responsabilità di quanto
egli dice al medico in merito ad infermità non obiettivabili"
Falsa certificazione: art 481 c.p. <<Chiunque, nell’esercizio di
una professione sanitaria o forense, o di altro servizio di pubblica
necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è
destinato a provare la verità, è punito…>>
La falsa certificazione è una piaga della professione medica, il più
delle volte fatta a titolo di favore non di lucro.
Fattispecie in cui ricorre la falsità in certificato:
Attestazione di infermità inesistenti e/o obiettività clinica
non corrispondente alla realtà (la diagnosi fonda su presupposti clinici che il medico sa non essere veri)
Falsità di giudizio prognostico (valutazione sproporzionata
rispetto alle effettive esigenze)
È necessario l’elemento soggettivo del reato: coscienza e volontà
del dolo.
Se la certificazione è frutto di errore del medico, non può essere
constato il reato di falso.
Tabella 2. Alcuni obblighi incombenti
sul medico libero professionista.
Mantenere il segreto
Certificare il vero
Refertare
Denunciare
Soccorrere il malato
Informare adeguatamente
Richiedere i ricoveri coatti
Assolvere gli atti d’ufficio
Certificato di malattia del bambino (per astensione dal lavoro
del genitore)
Certificato idoneità ad attività sportive non agonistiche nell’ambito scolastico (in caso di motivato sospetto clinico il medico
visitatore ha facoltà di chiedere accertamenti specialistici integrativi)
Certificato per ammissione nell’asilo nido, alla scuola materna,
alla scuola dell’obbligo, alle scuole secondarie superiori
Certificato per invalidità civile (3).
Denuncia
È la segnalazione che il medico è tenuto a fare alle autorità competenti, di fatti o persone che ai pubblici poteri interessa conoscere per ragioni sanitarie, preventive e sociali (Tabella 3).
Le diagnosi “riferite”
Referto
Il problema delle diagnosi riferite dai pazienti è assai delicato. In
effetti il medico dovrebbe, in teoria, diagnosticare solo quanto da lui
personalmente riscontrato. È però possibile e plausibile che alcuni
stati morbosi di breve durata ma di elevata intensità inabilitante provochino disturbi che non siano visibili o che siano scomparsi all’atto della visita medica: per es. una crisi di emicrania, una nevralgia
del trigemino, una crisi di vertigine acuta, un’enterite con diarrea
profusa ma transitoria. "Il medico anche in questi casi deve rilasciare al paziente il certificato perché anche di fronte alla più subiettiva delle infermità egli non può escludere che quell’infermità sussista e non può contrastare o eludere l’interesse del paziente ad ottenere il certificato. In tal caso il medico deve certificare che il paziente "accusa" ad esempio cefalee o colica renale che sono formula
È quell’atto con cui gli esercenti una professione sanitaria segnalano all’Autorità Giudiziaria di avere prestato la propria assistenza od
opera in casi che possono presentare i caratteri d’un delitto perseguibile d’ufficio.
Art. 365 c.p.: Omissione di referto
Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio,
omette o ritarda di riferire all’Autorità indicata all’art.361, è punito
con la multa fino a € 516.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la
persona assistita a procedimento penale.
Tabella 3. Denunce.
Malattie infettive e diffusive
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Vaccinazioni obbligatorie
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Cause di Morte
Al sindaco ( entro 24 h dalla morte)
Fatti che possono interessare la sanità pubblica
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Nascita di infanti deformi
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Segnalazione di nascita infanti immaturi
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Malattie veneree
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Intossicazione da antiparassitari
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
Interruzione volontaria di gravidanza
All’AS ( Dipartimento di Prevenzione)
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Medicina legale in ambulatorio
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Ricetta o prescrizione medica
Neppure l’autopsia disposta dall’autorità giudiziaria e i prelievi
di organi eseguiti in tale caso sono subordinati al consenso dei
familiari.
Consenso Informato: L’utente ha diritto ad essere informato
dagli operatori sanitari, con un linguaggio a lui comprensibile,
circa i rischi collegati a particolari pratiche sanitarie e quindi
circa la possibilità di accettarle o meno in maniera consapevole (consenso informato) (5).
2) Counseling (Comunicazione)
intervento comunicativo professionale che ha l’obiettivo di mobilitare le risorse e le capacità dei genitori e di facilitare le loro decisioni
riguardanti la loro salute o quella dei loro figli senza sostituirsi a loro
e senza imporre comportamenti insostenibili (6).
È il documento con il quale il medico affida al proprio assistito la
prescrizione terapeutica farmacologica e non, al fine di curare uno
stato di malattia, deve riportare in maniera perfettamente leggibile:
1) Indicazione della terapia
2) Modalità d’uso
3) Firma del prescrittore
Trascrizione della terapia
La “semplice” trascrizione di un farmaco non esiste!
Esiste solo la prescrizione, della quale è responsabile chi firma la
ricetta che impone al farmacista la fornitura del preparato
Se il MPF trascrive una terapia proposta significa:
che la condivide
che la ritiene la più idonea per il paziente
che ne assume la completa responsabilità
Caratteristiche dell’informazione
Se vogliamo che le informazioni date dal professionista siano
ascoltate e non vengano rifiutate dovremo fare in modo che i
messaggi non siano: troppo difficili, troppo lunghi, troppo lontani
dalle convinzioni, abitudini e possibilità della famiglia.Un messaggio quindi per poter essere efficace dovrebbe almeno essere:
Semplice: dare un’informazione alla volta.
Breve: la capacità di ascolto, se il messaggio è troppo lungo,
diminuisce e ne viene trattenuta solo una parte. Ridurre sempre i
messaggi in uscita (ciò che si dice) favorendo i messaggi in
entrata (dare spazio alle domande, alle osservazioni, ai dubbi di
chi ascolta).
Concreto: far sempre in modo che alle indicazioni che si danno
corrispondano delle azioni e dei comportamenti. Se questo non
avviene, ciò che diciamo verrà dimenticato molto presto.
Compatibile: se avremo utilizzato passaggi comunicativi che
favoriscono l’esplorazione e la narrazione del genitore, avremo
raccolto informazioni sull’universo cognitivo-comportamentale di
quel particolare genitore e di quella famiglia e potremo facilmente verificare insieme a loro se i messaggi dati siano accettabili,
compresi e se sia per loro possibile trasformarli in azioni e comportamenti nuovi (7).
Visite domiciliari
ACN Art. 46 - Visite ambulatoriali e domiciliari:
L'attività medica viene prestata nello studio del pediatra. Qualora le
condizioni cliniche non consentano la trasferibilità dell’ammalato,
l’attività medica viene prestata a domicilio del paziente […] La visita domiciliare (qualora ritenuta necessaria da parte del pediatra)
deve essere eseguita di norma nel corso della stessa giornata […]
La richiesta di prestazione urgente recepita deve essere soddisfatta entro il più breve tempo possibile…
La visita domiciliare in regime di convenzione è subordinata alla
sola condizione di intrasportabilità del paziente, in difetto della
qual la prestazione sanitaria è da ritenersi libero professionale e
quindi a pagamento da parte dell’assistito.
La condizione di intrasportabilità è uno stato soggettivo tale che
il solo fatto dello spostamento possa causare con rilevante probabilità rischi gravi per la salute o creare condizioni di vita particolarmente penose.
La effettiva necessità è valutata responsabilmente dal medico, con
ragioni fondate e prudenti (conoscenza del caso e ulteriore anamnesi raccolta telefonicamente), caso per caso. La febbre isolata, in
genere, non controindica il trasporto del bambino in ambulatorio.
Il MPF non ha l’obbligo della reperibilità. Nelle ore notturne (dalle
ore 20.00 alle ore 08.00). Dalle ore 10.00 dei prefestivi alle 8.00 del
feriale→Continuità assistenziale.
Bibliografia
Quali strumenti ha il PLS per ricucire
il rapporto fiduciario?
1) Consenso informato
Consenso: Con il termine consenso di indica l'approvazione di
una pratica medica o chirurgica da parte della persona che la
deve subire, o di chi la rappresenta, se minorenne o incapace.
Lo stato di necessità esonera il medico dal richiederlo. Alcuni
trattamenti sanitari, detti obbligatori, prescindono dal consenso
del paziente (per esempio, vaccinazioni, trattamenti coatti di
malattie infettive e di malattie psichiche non altrimenti curabili).
69
1.
T. Feola “ Responsabilità legale del Medico di medicina Generale”
Minerva Ed. 1999.
2.
Palagi U. Lombardi M.A. Palagi Orengo F., Argomenti per una
medicina legale dell’età evolutiva. Pacini editore Pisa 1997 p 394.
3.
Certificazioni mediche dal sito www.Univadis.it
4.
Boll. O. M. di Roma e Prov., n.3, 1983.
5.
Bartolozzi G.Il consenso informato in Bugio R.G., Notarangelo L.D.
La comunicazione in Pediatria. Un pediatra per la società.
Utet periodici, scientifici Milano 1999, p 328.
6.
Bert G., Quadrino S., L’arte di Comunicare. Teoria e Pratica
del Counseling sistemico. Torino Edizioni Ch’ange 2005.
7.
Quadrino S. Il pediatra e la famiglia. Roma: Il pensiero Scientifico
Editore 2006.
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Rischi e benefici dell’attività
sportiva nell’adolescente
con patologia cronica
Giovanni Caldarone, Giuseppe Morino
Xxxxxxxxxxxxx, xxxxxxxxxxxxxxxxx
Manca affiliazione
di paramorfismi che definiscono la sindrome ipocinetica e con
aggravamento di quadri patologici, come le alterazioni osteoarticolari nelle patologie reumatiche o la capacità ridotta di controllo glicemico nel diabete. .La terapia dei disturbi metabolici, tra cui al
primo posto l’obesità complicata dall’iperinsulinismo, trova un suo
cardine nel movimento ed in un’attività sportiva regolare protratta
nel tempo, che se non prevede sforzi accentuati non comporta
rischi. Su queste basi vi è l’indicazione alla prescrizione di una attività sportiva come presidio terapeutico in queste patologie, ma
anche in quelle di tipo respiratorio tra cui al primo posto l’asma,
indicando i tipi di sport possibili, la necessità del riscaldamento ed
allenamento adeguati e la possibilità di insorgenza di broncospasmo, da trattarsi con farmaci adeguati a disposizione del soggetto.
Spetta allo specialista indicare per ogni singolo caso i limiti di tale
attività in relazione all’anamnesi, all’esame obbiettivo, alla storia clinica, al quadro nutrizionale ed agli esami ematochimici
Uno stile di vita corretto si struttura in tutte le età in relazione ad una
corretta alimentazione ed ad un’abitudine costante al movimento:
in realtà, anche in età pediatrico-adolescenziale, negli ultimi decenni hanno preso il sopravvento abitudini contrarie, caratterizzate da
regimi alimentari incongrue, ma soprattutto dalla costante diminuzione del tempo dedicato al movimento. Tale fenomeno è ulteriormente accentuato passando all’età adolescenziale, dai 9 anni ai 15
anni, come anche studi recenti hanno evidenziato, soprattutto nelle
ragazze.
Contemporaneamente è aumentato il numero di adolescenti con
patologie croniche, fonti di ripercussioni elevate sulla qualità e le
aspettative di vita di tali soggetti (diabete, asma, tumori, malattie
reumatologiche ed endocrinologiche, per non parlare del problema
ormai cronico dell’obesità infantile), per i quali spesso è stata preclusa ogni forma di attività sportiva. Questo ha condizionato ulteriormente situazioni di disagio fisico e psicologico con lo sviluppo
70
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La gravidanza nelle adolescenti
e la genitorialità precoce
Tito Livio Schwarzenberg
Unità Operativa Complessa di Adolescentologia - Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Riassunto
Milioni di giovani ragazze si trovano coinvolte ogni anno, in tutto il mondo, in una gravidanza non desiderata.
Sta di fatto, tuttavia, che le gravidanze nelle adolescenti sono andate aumentando in modo drammatico fino agli anni 80, per poi diminuire progressivamente in quasi tutti i Paesi industrializzati. Un identico andamento si può dimostrare
per le interruzioni volontarie di gravidanza nelle teenager sessualmente attive: da livelli sostanzialmente stabili fino alla
fine degli anni -80 si è registrato, successivamente, un trend in calo progressivo.
La letteratura internazionale ha registrato, per le gravidanze nelle minorenni, un rischio elevato di mortalità e morbilità
e, per i neonati di madre adolescente, un rischio elevato di prematurità, basso peso alla nascita, problemi di crescita e
di sviluppo e decessi nel primo anno di vita.
La genitorialità precoce viene considerata un importante problema sociale essendo connessa ad una serie di eventi
negativi, quali l’abbandono scolastico, la disoccupazione, l’indigenza e la disgregazione familiare.
Nella nostra indagine abbiamo potuto dimostrare una realtà molto diversa in Italia, con un tasso di gravidanze precoci
e di aborti decisamente contenuto e con gravidanze e parti nelle adolescenti a rischio molto basso. Anche l’accettazione, la gestione e il vissuto della genitorialità precoce sono risultati essere, per lo più, sostanzialmente positivi.
Parole chiave: adolescenza, gravidanza, aborto, genitorialità.
Teen pregnancy and early parenthood
Summary
Millions teenage women become pregnant in all the world every year, the vast majority unintentionally.
Although the rate of teenage pregnancies has dramatically increased among all teens since 1980s, the pregnancy rate
instead decreased in the most industrialized countries.
The abortion rate has remained fairly stable since the last 1980s; however, over the same period of time, abortion rates
have steadily declined among sexually experienced teenagers.
Adolescent mothers are at increased risk for mortality and pregnancy induced diseases, and their babies are at increased
risk for prematurity, low birthweight, developmental disabilities and mortality in their first years of life.
Teenage parenthood has become one of the most urgent and disturbing social problems.
Premature parenthood appears in fact linked to a wide variety of social ills as school dropout, unemployment, chronic
poverty and family disruption.
In our research we had the opportunity to demonstrate a very different situation in Italy, characterized by a resolutely low
rate of early pregnancies and abortions, and by teen-pregnancies and birth at a very low risk; also the acceptance, the
care and the personal experience of the precocious parenthood turned out to be substantially positive.
Key words: adolescence, pregnancy, abortion, parenthood.
71
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Verificare tutti i titoli delle tabelle
Da più recenti dati della letteratura internazionale sulle nascite da
madri adolescenti, emerge, comunque, un evidente e più
costante trend in decrescendo che percorre gli ultimi 15 anni.
Rimanendo sempre negli Usa (Tabella 2), dal 1990 al 2005, il
numero dei nati in madri di età inferiore a 15 anni si è, infatti,
quasi dimezzato: dai 12.000 registrati nel 1990 ai 6.717 del 2005
(con una riduzione del 44%). Per l’intera fascia 15-19 anni si
assiste ad un calo più contenuto seppure sempre molto significativo: dai 521.826 del 1990 ai 414.406 nel 2005 (pari a un calo
del 20%).
La stragrande maggioranza delle nascite da giovani donne americane di età uguale o inferiore ai 19 anni avviene (come, per
altro, ci saremmo attesi) al di fuori del matrimonio. Nel 1981,
delle nascite da giovani donne americane (sempre di età pari o
inferiore a 19 anni) il 50% si erano avute al di fuori del matrimonio, nel 1991 tale percentuale è aumentata al 69%, nel 1994 al
76%, per arrivare nel 2005 ad un valore pari a ben l’82,8%.
Questo fenomeno, che si è verificato anche in molti altri Paesi
compresa l’Italia, lungi dall’indicare un aumento delle nascite tra
le minori dimostra, invece, che con il passare degli anni e con
una sempre maggiore presa di coscienza della dignità femminile, la nascita di un figlio non viene più considerata come la via
obbligata ad un “matrimonio riparatore”.
Il predetto trend delle gravidanze precoci non presenta un andamento uniforme in tutte le Nazioni industrializzate (Tabella 3): se,
infatti, in Usa e in Italia si registra un calo rispettivamente del 19%
e del 21%, in altri Paesi come la Francia e la Germania si registra, al contrario, un aumento delle nascite da madri adolescenti pari rispettivamente al 35% nella prima e al 32% nella seconda;
abbastanza stabili o con ridotti incrementi risultano altre Nazioni
Il problema delle gravidanze precoci, seppure con le più diverse
incidenze e prevalenze nonché ricadute, sia sul piano strettamente medico che su quello psicologico, sociale, economico,
politico, culturale, etico e, se vogliamo, antropologico nella sua
più ampia accezione del termine, è antico quanto è antica l’umanità stessa: eppure anche al giorno d’oggi le gravidanze nelle
giovani e nelle giovanissime (raramente volute, ma per lo più
indesiderate) rappresentano un argomento di estremo interesse
e attualità, non solo nei Paesi in via di sviluppo e tra le classi
sociali economicamente più disagiate, ma anche negli assai più
favoriti Paesi industrializzati.
E’ fin troppo ovvio che proprio con l’inizio dell’attività sessuale
che, anche se con diverse incidenze si può quasi sempre collocare nel periodo dell’adolescenza, compare anche il rischio di
iniziare una gravidanza (perlopiù non desiderata) come anche di
incorrere nelle altre conseguenze legate ai primi rapporti non
protetti quali, ad esempio, le malattie a trasmissione sessuale.
Prendendo, in prima battuta, in considerazione i dati statunitensi
se non altro per il fatto che la letteratura medica internazionale è
portata ad enfatizzare e a generalizzare (qualche volta in modo
acritico) tutto ciò che proviene “d’oltre oceano”, vale la pena di
segnalare che tra il 1955 e il 1970 in USA il numero delle nascite/anno tra le giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni si era
incrementato passando da 484.000 a 645.000, per tornare nel
1984 a valori inferiori a quelli del 1955. Dal 1955 al 1984 si era
invece verificato un sostanziale incremento nel numero delle
nascite nelle fasce di età più basse (15-17 anni) passando da
150.000 a 167.000 (dopo aver toccato il picco di 224.000 nel
1970) e da 6.000 a 10.000 per le fasce di età al di sotto dei 15
anni (Tabella 1).
Tabella 1. Numero di nascite in USA dal 1955 al 1984 da madri adolescenti (<15-19 anni).
Età
1955
1960
1970
1980
1983
1984
18-19
334.000
405.000
421.000
354.000
317.000
303.000
15-19
484.000
587.000
645.000
552.000
489.000
470.000
15-17
150.000
182.000
224.000
198.000
173.000
167.000
< 15
6.000
7.000
12.000
10.000
10.000
10.000
Moore et al (1986). Collaborative Perinatal Study (1984); U.S.A. Department of Commerce, Bureau of the Census (1984);
National Center for Health Statistics (1985, 1986).
Tabella 2. Numero di nascite in USA dal 1990 al 2005 da madri adolescenti (<15-19 anni).
Età
1990
2002
2005
2005/1990
< 15
12.000
7.315
6.717
- 44%
15-19
521.826
425.193
414.406
- 20%
% teen birth
61/1000
43/1000
40.4/1000
- 33,7%
J.A.Martin et all 2003, 2005 Division of Vital Statistics, National Vital Statistics Report (CDC)
72
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 3. Nati vivi per Nazione da madri adolescenti (15-19 anni).
1995
2000
2001
2002
2003
Usa
512115
477509
445944
425493
414580
2003/1995
Inghilterra
47646
52060
49841
48865
49633
+ 4,0%
Francia
12915
15706
16090
17891
17541
+ 35,0%
Spagna
11981
11284
11856
11745
12338
+ 2,0%
Svizzera
1067
1207
1144
1106
1083
+ 1.50%
- 19,0%
Germania
19984
29301
22831
27906
26522
+ 32,0%
Italia
11995
10426
9796
9849
9482
- 21,0%
Tabella 4. Nascite per 1000 donne di età compresa tra 1 15 e i 19 anni.
CH
DK
NL
S
I
N
F
D
E
A
CAN
P
UK
R
USA
5,1
5,6
5,8
5,9
6,4
8
10,5
10,7
11,5
12,8
13,4
18,7
25,9
33,8
41,2
Paragone internazionale (EUROSTAT)
come la Spagna, la Svizzera, l’Inghilterra in cui si registra un
aumento relativamente moderato del 2%, 1,5% e del 4%.
Tuttavia, se vogliamo meglio renderci conto di quale è il reale
“peso” delle nascite da madre adolescente in Italia e nel panorama internazionale, dobbiamo passare dal dato numerico
“grezzo” a quello “relativo” che, in altre parole, prende in considerazione anche la numerosità della popolazione femminile di
volta in volta considerata. Viene utilizzato, a tal fine, il cosiddetto
“tasso di natalità adolescenziale” (= numero dei nati vivi ogni
1.000 donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni). È possibile scoprire in questo modo, che le ragazze italiane sono tra le meno
coinvolte in Europa e nel mondo intero nella problematica della
genitorialità precoce: precedute solo (per un minimo scarto percentuale) dalla Svizzera, Danimarca, Olanda e Svezia (Tabella 4).
Da una interessante indagine ISTAT relativa al numero di nati vivi
da madre di età inferiore ai 18 anni condotta in Italia dal 1980 al
2004 (Tabella 5) emerge, inoltre, una marcata e progressiva
riduzione delle nascite da madri minori, assai evidente nell’ultimo
ventennio, dove dai 10.146 nati vivi del 1980 si passa ai 2.591 del
2004 con una riduzione del 74.4%, anche se con andamenti differenziati tra le aree geografiche del Nord, Centro, Sud e Isole.
Alla luce delle evidenze appena emerse si può, quindi, globalmente desumere che su scala nazionale nel nostro Paese si è
verificata una reale diminuzione delle nascite in questa fascia di
età (pari al 14,5% paragonando il 2004 al 1995) in accordo con
quello che appare ormai un trend consolidato. Verosimilmente il
diverso andamento per area geografica potrebbe trovare delle
spiegazioni ravvisabili nel diverso tessuto economico e nelle
migliori opportunità di lavoro che di sicuro il Nord offre costituendo un più forte richiamo per l’immigrazione; il diverso andamento del Sud e delle Isole potrebbe, invece, essere interpretato in due modi: da un lato il sempre maggiore ricorso ad aborti
legali a scapito di quelli illegali, dall’altro una maggiore sensibilizzazione all’educazione sessuale e alla tutela della procreazio-
Tabella 5. Nati vivi in Italia da madre di età < 18 anni per anno e distribuzione geografica (ISTAT).
Anno
Distribuzione dei nati vivi da madre di età < 18 anni
Italia
Nord
Centro
Sud
Isole
1980
10146
2680
1296
3705
2465
1995
3033
540
262
1283
1064
2004
2591
627
266
966
731
2004/1995
- 14,57%
+16,11%
+1,53
- 24,71%
- 31,30%
2004/1980
- 74,46%
- 76,60%
- 79,48%
- 73,93%
- 70,34%
73
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
ché nell’arco del primo anno di vita una prevalenza di morti
improvvise, incidenti gravi e talora mortali, infezioni e maltrattamenti (Tabella 6).
Tuttavia, già verso l’inizio degli anni ’80, cominciava a farsi strada l’intuizione che i fattori di rischio della gravidanza nelle adolescenti non fossero connessi tanto alla giovane età della madre
quanto al livello socio-economico, politico e culturale e, quindi,
all’adeguatezza (o meno) delle cure prenatali e neonatali. Queste
prime ipotesi furono successivamente confermate da alcune
ricerche italiane e, in particolare, da una nostra originale e puntuale indagine condotta negli anni 1979-1985.
La nostra precedente ricerca aveva preso in esame complessivamente 39.500 gravidanze di cui 940 verificatesi in minorenni,
con lo scopo specifico di studiare il decorso della gravidanza
stessa e dell’eventuale parto nelle madri adolescenti. Possiamo
subito anticipare che delle 940 gravidanze nelle minori 164 si
erano concluse con il parto, 22 in aborto spontaneo e ben 754
(pari all’ 80,21% del totale!) in IVG (Tabella 7).
Tutto quanto premesso ci aveva consentito di affermare che la
gravidanza nell’adolescente non doveva più essere considerata
aprioristicamente a particolare “rischio” di patologia ostetrica e/o
perinatale. Anzi, proprio nelle minorenni si evidenziava la maggiore percentuale di parti spontanei da ricondurre sia al più
basso peso medio dei neonati (pretermine e non) che, soprattutto, alle ottimali condizioni di salute delle giovani madri.
Si riportano nella tabella successiva (Tabella 8) le modalità di
espletamento del parto nelle minorenni a paragone della casistica generale, da cui si può evincere che (almeno nella nostra
esperienza) le minori godono di un reale e non indifferente vantaggio rispetto alle donne di maggiore età.
Assodato, quindi, che al giorno d’oggi anche le donne più giovani, nella stragrande maggioranza dei casi purché adeguatamente tutelate e assistite, hanno la possibilità e la probabilità di
vivere la propria gravidanza in modo ottimale e di partorire fisiologicamente un figlio perfettamente sano, non ci rimane che verificare quale può essere (nella nostra realtà contemporanea) il
vissuto di una genitorialità precoce. Anche a tale proposito vale
la pena di ricordare un nostro precedente studio condotto in collaborazione tra il Servizio di Adolescentologia e il 1° Istituto di
Tabella 6. Potenziali rischi sanitari e psico/sociali connessi
alle gravidanze precoci.
Anemia
Gestosi
Inadeguata assistenza pre-natale
Travaglio prolungato
Parto operativo
lacerazioni cervicali
Complicanze del puerperio
Interruzione dello studio
difficoltà lavorative
Recidiva di gravidanze precoci
abortività
Ansia - depressione
Prematurità - basso peso alla nascita
Elevata mortalità perinatale
Distress respiratorio - infezioni
Scarsa assistenza
Sviluppo ritardato - deficit cognitivo
Maltrattamenti
Morte in culla (SIDS)
Inadeguato supporto parentale
Liti e violenze domestiche
Separazioni/divorzi
Comportamenti illeciti e delittuosi
Povertà
Tossicodipendenza
Madre
Neonato
Famiglia
ne responsabile, legata ad una più adeguata diffusione dei programmi di informazione da parte dei mass media e dei servizi
sanitari dedicati.
A questo punto, dopo aver constatato la persistente notevole rilevanza statistica delle nascite da madri adolescenti, nonostante
un quasi generalizzato trend negativo, è indispensabile puntualizzarne gli aspetti clinici ed epidemiologici, vale a dire le potenziali ricadute sul benessere del prodotto del concepimento, dei
giovani genitori e delle loro famiglie.
Quanto sopra descritto appare particolarmente rilevante dal
momento che, fino a tempi abbastanza recenti, le gravidanze
nelle adolescenti erano state considerate inevitabilmente ad “alto
rischio”.
Le casistiche di vari e autorevoli studi stranieri evidenziavano,
infatti, per le giovani madri una maggiore percentuale di tossiemia, di travagli prolungati, di tagli cesarei per sproporzione fetopelvica, di lacerazioni cervicali, di anemie e di complicanze del
puerperio. Nei nati da madri adolescenti si denunciavano, inoltre,
una più elevata frequenza di prematurità, di mortalità perinatale,
di distress respiratorio e di vari danni neurologici neonatali, non-
Tabella 7. Esiti delle gravidanze nelle madri
minorenni romane (Anni 1979-1985).
Numero
di gravidanze
%
Parti
164
17,45
Aborti spontanei
22
2,34
IVG
754
80,21
Totale
940
100,00
Da: T.L. Schwarzenberg e R. Canibus, 1987.
74
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
“difficoltà nel lavoro e negli studi” (40,9%), le “difficoltà economiche” (20,3%), una serie di “problemi fisici e di comportamento”
(33,3%) e, infine, ma in percentuale decisamente ridotta, le “problematiche di coppia” (5,5%). Nonostante la dimostrata possibilità per le adolescenti di portare a termine una gravidanza “ottimale” è, tuttavia, sempre molto elevato il numero delle giovani
che decidono di interrompere la gravidanza stessa sia per una
non adeguata accettazione psicologica dell’evento che per il
timore di non potere o sapere affrontare le notevoli rinunce e i difficili adattamenti che una maternità precoce indubbiamente
comporta. Né deve essere sottovalutata l’evenienza di tante giovani ragazze che pur desiderando (a volte ardentemente) di conservare il figlio da loro stesse concepito sono indotte (se non
costrette) ad abortire dall’ambiente familiare e sociale con cui
competono e nel quale si trovano inserite. Per quanto attiene ad
un approccio di tipo epidemiologico alla problematica delle gravidanze precoci come anche dei loro possibili esiti (parti – IVG –
aborti spontanei) sarà bene riflettere non solo su come anche
piccoli scarti di età anagrafica possano, per questa fascia di età,
comportare enormi differenze di livello maturativo sia da un
punto di vista somatico che personologico, come anche sul fatto
che un adolescente infradiciottenne, quindi legalmente ancora
“minore”, si trova in una situazione di netta inferiorità di fronte alla
legge rispetto a chi, pur essendo ugualmente un adolescente (e,
non di rado, meno responsabile) ha appena compiuto il diciottesimo anno di vita acquisendo così improvvisamente e completamente ogni capacità di agire.
Va inoltre rimarcato, ancora una volta, come la descrizione di
qualsiasi fenomeno statistico-epidemiologico fatta solo in termini numerici possa risultare non di rado fuorviante: ne consegue,
per quanto ci riguarda, che anche gli aumenti o le diminuzioni
delle IVG comunque segnalati dovrebbero sempre prendere in
considerazione anche la numerosità della popolazione femminile di volta in volta considerata. Per analizzare il fenomeno in termini relativi piuttosto che assoluti si fa ricorso, abitualmente, al
tasso di abortività (= numero di IVG per 1.000 donne in età
feconda, vale a dire tra i 15 e i 49 anni), al tasso di abortività
precoce (= numero di IVG per 1.000 adolescenti in età feconda,
vale a dire tra i 15 e i 19 anni) e al rapporto di abortività (numero di IVG per ogni 1.000 nati vivi).
Per quanto attiene al tasso di abortività precoce, questo si è attestato in Italia al 7,8 per mille: uno dei valori più bassi nel panorama internazionale, preceduto solo dalla Svizzera (5,1), Germania
(6,2) e Belgio (7,6). I tassi più elevati sono, invece, attribuiti agli
Stati Uniti (20,0), Inghilterra (24) e Svezia (25,4) (Tabella 10).
Esaminando la Tabella 11 si può meglio apprezzare quello che è
stato l’andamento delle IVG nelle adolescenti italiane nell’ultimo
quarto di secolo: dal 1980 al 2005. È possibile, in tal modo evincere come negli anni -80 l’accettazione di una gravidanza precoce fosse (almeno apparentemente) molto differenziata nelle
diverse zone della nostra penisola: con livelli massimi di IVG
nell’Italia Settentrionale e Centrale e minimi nell’Italia Meridionale
Tabella 8. Modalità di espletamento del parto
nelle minorenni e nelle donne appartenenti
alla casistica generale.
madri minorenni
Numero totale
casistica generale
164
Numero totale
19.275
Parto spontaneo 96,34%
Parto spontaneo 84,46%
Parto operativo
Parto operativo
3,66%
15,54%
Da: T.L. Schwarzenberg e R. Canibus, 1987.
Tabella 9. Giudizio sulla gravidanza precoce
da parte delle madri adolescenti.
N° di donne
%
Meglio avere un figlio
prima dei 19 anni
58
52
Meglio avere un figlio
dopo i 19 anni
38
34
Non so
16
14
Totale
112
100
Da: A. Morini, T.L. Schwarzenberg et al., 1988.
Clinica Ostetrica dell’Università di Roma “La Sapienza”. La predetta indagine aveva preso in esame 527 donne che avevano
messo al mondo un figlio quando loro stesse non avevano ancora compiuto i 19 anni. A causa di comprensibili difficoltà nel rintracciare sia gli indirizzi che i recapiti telefonici, come anche per
la reticenza di alcune donne, alla fine fu possibile intervistare, in
modo completo e attendibile, solo 112 soggetti. Nonostante la
numerosità apparentemente ridotta della casistica, il campione
oggetto di questa nostra “antica” ricerca ci aveva fornito informazioni estremamente interessanti, molte delle quali conservano
intatta la propria attualità. Vale la pena di rimarcare che mentre
alcune delle giovani madri avevano partorito recentemente, per
altre l’esperienza della gravidanza e della genitorialità precoce
risalivano a 5-6 anni prima. Il quesito fondamentale che veniva
posto a tutte le intervistate era il seguente: “In base alla tua
esperienza ritieni che sia meglio partorire prima o dopo i
19 anni?”.
Come si può facilmente notare dalla Tabella 9 la maggioranza
delle risposte (52%) confermava un giudizio positivo nei riguardi
della precoce esperienza genitoriale. Le motivazioni addotte indicavano essenzialmente che una maternità in età anche molto
giovane poteva favorire un miglior rapporto con il figlio (52%) ed
un maggiore benessere psicofisico materno (28,8%). Viceversa,
coloro che avevano dichiarato, dopo aver vissuto sul campo l’esperienza di una genitorialità precoce, che sarebbe stato per loro
meglio poter procrastinare di qualche anno la nascita del proprio
figlio, adducevano come giustificazione di tale convincimento le
75
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 10. Interruzioni di gravidanza per 1000 donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni compiuti.
CH
D
B
I
NL
E
F
N
DK
Can
USA
UK
S
2006
2007
2005
2006
2006
2005
2004
2006
2006
2004
2004
2006
2006
5,1
6,2
7,6
7,8
9,4
12,5
15,2
15,8
16,3
16,3
20,0
24
25,4
Paragone internazionale - (fonte EUROSTAT).
A conclusione di questo, pur sommario, excursus sulle gravidanze nelle minori e sui loro possibili esiti, come anche sulle ricadute personali e sociali della genitorialità precoce, si impongono
alcune constatazioni e riflessioni sui comportamenti sessuali
degli attuali adolescenti.
Dissertando di sexual behaviour si corre frequentemente il rischio
di confondere ipotesi per certezze e, soprattutto, di generalizzare risultanze desunte da indagini condotte con metodologie non
sempre rigorosamente scientifiche e riproducibili. Sta di fatto che
tutti i dati attualmente disponibili sul comportamento sessuale
della popolazione (giovane e meno giovane) sono per lo più
motivati dall’esigenza di “far notizia” che è propria dei massmedia, mentre assai più raramente rispondono alla domanda
scientifica di poter disporre di riferimenti statistico-epidemiologici verificabili e attendibili. Tutto ciò, si badi bene, non per svalu-
e Insulare. È evidente, tuttavia, come col passare degli anni fino
al momento attuale l’atteggiamento delle adolescenti italiane
tenda, invece, progressivamente ad uniformarsi. Tale andamento, tuttavia, suscita alcune perplessità legate al fatto che, nonostante il già dimostrato trend in calo delle gravidanze precoci,
proprio nell’Italia Meridionale e Insulare si sia verificato un così
evidente incremento di IVG tra le teenager. Una possibile spiegazione del fenomeno può essere ricercata nel maggiore accesso all’abortività legale a scapito di quella clandestina, precedentemente assai diffusa in queste regioni italiane. Parallelamente, si
può notare una sensibile riduzione delle IVG nelle adolescenti
dell’Italia Settentrionale e Centrale, verosimilmente imputabile,
questa volta, alla migliore conoscenza e più ampia utilizzazione
di metodi contraccettivi validi anche da parte della popolazione
giovanile.
Tabella 11. Tassi di abortività adolescenziale in italia dal 1980 al 2005 per area geografica (dati Istat).
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1 ITALIA
6,2
6,5
8,25
8,15
7,93
6,96
6,43
6,17
5,84
5,75
5,55
5,43
5,67
2 Nord Ovest
9,4
10,2
11,23
11,2
10,89
9,15
8,19
7,91
7,5
7,04
6,87
6,6
6,82
3 Nord Est
7,6
7,9
9,51
9,2
8,28
7,24
6,53
6,12
5,37
5,22
5,15
5
5,2
4 Nord
8,7
9,3
10,53
10,4
9,82
8,37
7,5
7,17
6,62
6,29
6,16
5,94
6,16
5 Centro
7,9
7,7
10,92
10,5
10,37
8,99
8,34
7,7
7,57
7,53
7,28
6,97
7,43
6 Sud
2,9
3,2
4,85
5,08
5,33
4,8
4,8
4,86
4,6
4,8
4,43
4,68
4,8
7 Isole
3
2,8
4,14
3,96
3,77
4,1
3,72
3,63
3,56
3,58
3,67
3,36
3,75
8 Mezzogiorno
2,9
3,1
4,63
4,73
4,84
4,58
4,46
4,47
4,27
4,41
4,19
4,26
4,47
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1 ITALIA
6,01
5,81
6,1
6,5
6,67
6,85
7,19
7,11
6,98
7,21
7,31
7,52
7,11
2 Nord Ovest
7,56
7,42
7,37
8,28
8,07
8,18
8,53
8,26
8,3
8,45
8,76
9,51
8,52
3 Nord Est
5,41
4,83
5,31
5,09
5,41
5,56
5,94
6,07
6
6,31
6,22
6,65
6,41
4 Nord
6,68
6,36
6,52
6,97
6,97
7,1
7,47
7,36
7,35
7,57
7,71
8,32
7,64
5 Centro
7,53
7,1
6,87
6,88
7,79
7,91
8,06
8,32
8,1
8,03
7,76
8,61
8,17
6 Sud
5,17
5,2
5,81
6,37
6,31
6,61
7,04
6,82
6,62
6,92
6,96
6,47
6,26
7 Isole
3,88
3,91
4,6
5,03
5,26
5,46
5,73
5,64
5,4
5,93
6,12
6,3
6,19
8 Mezzogiorno
4,77
4,79
5,43
5,95
5,98
6,25
6,63
6,45
6,24
6,61
6,59
6,42
6,24
Dati ISTAT su interruzioni volontarie di gravidanza in età adolescenziale.
76
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
tare gli importanti dati sui comportamenti e vissuti adolescenziali che ricercatori seri e competenti faticosamente riescono a raccogliere, ma per mettere in guardia da certe improprie e mai verificabili astrazioni e generalizzazioni statistiche: al contrario tutte
le indagini “sul campo” ci possono fornire preziose informazioni
su certe “tendenze comportamentali” che stanno emergendo in
modo inquietante tra gli attuali adolescenti.
In Italia, come è ben noto, non è mai esistita una seria e concreta programmazione nei riguardi della “educazione alla sessualità”, che pur viene costantemente (..e per lo più incoerentemente) invocata. Eppure, nonostante tutto, le nostre adolescenti
(come abbiamo avuto l’opportunità di dimostrare) sono tra le
meno coinvolte nelle varie problematiche delle gravidanze precoci, rispetto alle coetanee degli altri Paesi industrializzati.
Analoghe considerazioni potrebbero valere nei riguardi dei teenager italiani e le malattie a trasmissione sessuale. All’opposto,
nel nostro Paese sono sempre più numerosi gli atti di bullismo e
di teppismo anche a sfondo sessuale, gli stupri, la pedopornografia, la prostituzione minorile, precoci e disarmanti testimonianze di comportamenti sessuali ai limiti della devianza, il tutto
frequentemente amplificato dai supporti telematici e multimediali di internet, SMS, MMS e quant’altro.
Tutto ciò dovrebbe farci riflettere sulla scarsa affidabilità della più
volte invocata (e mai esattamente definita) “educazione sessuale” ma pur sempre di stampo troppo scolastico e curriculare,
comunque poco aderente ad una realtà in continua e tumultuosa evoluzione. Dovremmo, al contrario, riscoprire il significato e il
valore immutabile dell’educazione “globale”: alla legalità, alla tolleranza, al rispetto di regole condivise, alla salute (propria e
altrui), alla tutela dei più deboli. In questa auspicabile “riscoperta” dell’educazione uno spazio importante dovrebbe essere
riservato, per quanto di sua competenza, al Pediatra, specie se
impegnato con gli adolescenti, ovviamente senza alcuna pretesa di prevaricazione nei riguardi delle “agenzie privilegiate” quali
la famiglia e la scuola. Sarà indispensabile ricordare, infine, che
qualsiasi adulto che si confronti con i giovani diventa automaticamente un educatore, che l’educazione presuppone, anzitutto,
autorevoli esempi positivi e che qualsivoglia regola perde ogni
efficacia se non sottende una giusta, tempestiva ed equilibrata
sanzione.
4.
EUROSTAT: Servizi Informativi e Statistici dell'Unione Europea.
On Line http://www.eurostat.eu
5.
ISTAT: Avere un figlio in Italia - Approfondimenti tematici
dall’indagine campionaria sulle nascite. 2OO6; Sistema Statistico
Nazionale Istituto Nazionale di Statistica.
6.
Schwarzenberg T.L., Canibus R.:Le madri adolescenti ed i loro
neonati. Relazione al Primo Congresso Nazionale ASPER
su "Educazione sessuale: problemi e prospettive" (Roma 10 maggio
1987).
7.
Richards J.,Papworth M.,Corbett S., Good J.: Adolescent
Motherhood: A Q-Methodological Re-Evaluation of Psychological
and Social Outcomes. J. Community Appl. Soc. Psychol. 2007;
347-362:17.
8.
Morini A., Schwarzenberg T.L., Petronio E., Angelini R., Mossa B.,
Roscetti C., Aleandri V., Benagiano G.: Il parto nelle adolescenti:
casistiche del periodo 1976-1986 negli Istituti di Clinica Ostetrica
e Ginecologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Atti del
Convegno “Adolescenza: un problema sociale”. Sorrento
25/3/1988. (Edizioni Pozzi, 1989).
9.
Morini A., Schwarzenberg T.L., Napolitano, C., Sala D., Novembri
G., Roscetti C.,Florio V., Pontrelli V.C.: Indagine per il rilevamento
delle conseguenze personali e sociali della nascita di un figlio
nell’adolescente. Atti del Convegno “Adolescenza: un problema
sociale”. Sorrento 25/3/88. (Edizioni Pozzi, 1989).
Bibliografia
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aumento. Paragone internazionale. "Statistiques de l'avortement
en Suisse" On Line http://www.svss-uspda.ch/fr/suisse.
3.
Corrispondenza:
Prof. Tito Livio Schwarzenberg
Viale dell’Università 11 - 00185 Roma
Tel. +393288941032
e-mail: [email protected]
ISTAT: Bilancio demografico nazionale - Anno 2007 (3 luglio 2008).
On Line http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/
bildem/20080703_00/testointegrale20080703.pdf
77
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Il trattamento della sindrome
dell’ovaio policistico (PCOs)
in età adolescenziale
Mariangela Cisternino, 2Patrizia Sampaolo, 1Elena Borali, 1Ilaria Possenti, 1Valeria Calcaterra
1
1
Dipartimento di Scienze Pediatriche Università di Pavia e Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia
2
Clinica Ostetrica e Ginecologica Università di Pavia e Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia
Riassunto
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è caratterizzata da un eccesso di androgeni. Pur comparendo
talvolta già in età prenatale e nella primissima infanzia, questa sindrome diviene classicamente sintomatica in età adolescenziale per la presenza di uno o più dei seguenti sintomi: irsutismo, acne, seborrea, alopecia diffusa, irregolarità
mestruali, obesità. Le opzioni terapeutiche comprendono: modifiche dello stile di vita, farmaci ad azione antiandrogena,
contraccettivi orali, farmaci insulino-sensibilizzanti, in particolare la metformina, di cui tuttavia mancano studi clinici controllati a lungo termine che ne confermino l’efficacia. La metformina inoltre non è scevra da effetti collaterali. L’obiettivo
principale del pediatra è la prevenzione della PCOs. Questa consiste nell’individuazione dei casi a rischio di PCOs già
in età infantile. A nostro avviso un trattamento farmacologico andrà prescritto, tranne che in casi particolari, a partire dal
3° anno di età ginecologica in Centri Specialistici multidisciplinari che vedano affiancati il pediatra ed il ginecologo.
Parole chiave: metformina, iperandrogenismo, obesità, sindrome dell’ovaio policistico.
The treatment of the polycistic ovary sindrome in adolescents
Summary
Polycystic ovary syndrome (PCOs) is characterized by chronic androgen excess that may have origins in
childhood or even in utero. Clinical manifestations include hirsutism, acne, seborrhoea, diffuse alopecia, menstrual irregularities and obesity. Therapeutic options include lifestyle intervention, antiandrogens, oral contraceptive pills and insulin
sensitizisers such as metformin. The positive effects of metformin should be tempered by the fact that all of the studies
are small and short in duration. In addition, metformin may produce several side effects. Much efforts should be done by
paediatricians in order to prevent adolescent PCOs by recognizing precocious symptoms in infancy. In our opinion, pharmacological treatment should be prescribed from the 3rd year after menarche, except for selected cases, by a multidisciplinary team including a paediatrician and a gynaecologist.
Key words: metformin, hyperandrogenism, obesity, polycystic ovary syndrome.
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è caratterizzata da un
eccesso di androgeni. Pur comparendo talvolta già in età prenatale e nella primissima infanzia, questa sindrome diviene classicamente sintomatica in età adolescenziale (1). In questa fascia di età
tuttavia la PCOs comporta notevoli difficoltà diagnostiche rispetto
all’età adulta poiché le manifestazioni cliniche, quali irregolarità
mestruali ed anovulazione, le manifestazioni iperandrogeniche e
l’aspetto ecografico dell’ovaio, sono spesso indistinguibili dai quadri clinici fisiologici tipici dell’età adolescenziale. Tuttavia una corretta diagnosi è necessaria al fine di istituire un trattamento appro-
priato, dato che la PCOs ha ripercussioni importanti sulla salute sia
in età adolescenziale che in età adulta (2). Mentre in passato il trattamento della PCOs era mirato alla correzione delle irregolarità
mestruali o delle manifestazioni iperandrogeniche, più recentemente sono stati impiegati farmaci insulino sensibilizzanti. Diversi studi
hanno infatti dimostrato come un evento causale che sottintende
l’insieme di manifestazioni della PCOs sia uno stato di iperinsulinismo ed insulinoresistenza, di entità variabile a seconda che si tratti di ragazze normopeso o sovrappeso. L’insulinoresistenza è il fattore maggiormente responsabile della sindrome metabolica (3).
78
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) in età adolescenziale
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Come in età adulta, anche in età adolescenziale la PCOs può associarsi alla sindrome metabolica, all’aumentato rischio per malattie
cardiovascolari e per diabete tipo 2.
Le possibilità di trattamento della PCOs sono le seguenti (4, 5):
Modifiche dello stile di vita e calo ponderale
Farmaci insulino-sensibilizzanti
Farmaci ad azione antiandrogenica
Contraccettivi orali
Suddette opzioni terapeutiche applicate in associazione.
Interventi mirati a modificare lo stile di vita. Obesità o sovrappeso sono manifestazioni frequenti nella PCOs. L’obesità, specie
quella con disposizione addominale del tessuto adiposo, è fortemente indicata come causa di insulinoresistenza, chiave eziologica
principale della PCOs. Un corretto regime alimentare ed il regolare
esercizio fisico sono il trattamento di scelta. In donne adulte si è
osservato come la riduzione del 5-10% del peso corporeo sia in
grado di ridurre i livelli di insulina e l’insulinoresistenza, e di produrre una sensibile riduzione dell’iperandrogenismo e delle sue manifestazioni cliniche, nonché il ripristino della ciclicità mestruale (6, 7).
Un’elevata percentuale di casi, tuttavia, dopo l’avvenuto calo ponderale ripresenta un incremento del peso corporeo. E’ quindi questa un’opzione terapeutica che richiede grande motivazione, probabilmente ottenibile con l’impegno di un team multidisciplinare in
centri specialistici. Le adolescenti devono essere inoltre altamente
motivate e contare sull’ausilio familiare.
La riduzione del peso deve essere ottenuta non con l’applicazione
di drastiche diete ipocaloriche, cui spesso segue la ripresa del
peso, quanto con un programma di educazione alimentare che
possa entrare nello stile di vita e possa essere più facilmente accettato e rispettato negli anni. L’esercizio fisico riduce l’insulinemia in
quanto comporta un aumentato utilizzo del glucosio da parte delle
masse muscolari cui consegue una riduzione dei valori insulinemici. Le indicazioni sull’attività fisica devono essere abbastanza dettagliate. Il monitoraggio delle pazienti deve essere stretto, con controlli ravvicinati, mediamente quindicinali.
Farmaci insulino-sensibilizzanti. Oltre agli interventi volti a modificare lo stile di vita, vi sono farmaci specifici che possono controllare l’insulinoresistenza, tra cui la metformina.
La metformina, un derivato del biguanide, agisce abbassando la
concentrazione di insulina nel plasma a digiuno e provoca una
maggior captazione periferica del glucosio diminuendone la produzione epatica, senza però provocare ipoglicemia (eccetto quando assunta con alcool). È, in pratica, un elemento di sensibilizzazione all'insulina ed esplica la sua azione ipoglicemizzante potenziando l'attività dell'insulina sia endogena che esogena nei tessuti
periferici senza esercitare la stimolazione delle cellule pancreatiche.
In donne adulte l’uso della metformina, al pari del calo ponderale
ottenuto con le modifiche dello stile di vita, si è dimostrata efficace
nel controllo delle manifestazioni cliniche della PCOs (8). Tale trattamento ha infatti provocato un miglioramento della funzionalità
ovarica con riduzione degli androgeni e con miglioramento della
fertilità. Nonostante non vi siano finora studi clinici controllati a
lungo termine per l’uso di questo farmaco in età adolescenziale,
tuttavia, dai dati finora disponibili in Letteratura, emerge che l’impiego della metformina provoca una riduzione dell’iperinsulinismo,
iperandrogenismo ed irsutismo in adolescenti PCOs sia obese che
normopeso. L’efficacia finora dimostrata dalla metformina è però
limitata a studi di breve durata. E’ stato inoltre dimostrato che il
miglioramento dell’iperinsulinemia indotto dal farmaco, però, non
esplichi significativi effetti sull’attività enzimatica ovarica del citocromo P450c17. Questo porta a considerare la metformina semplicemente un adiuvante nella terapia a lungo termine della PCOs,
senza peraltro provocare specifici e significativi benefici sulla funzionalità ovarica (9). Generalmente ben tollerata anche dalle adolescenti, la metformina non è, però, del tutto priva di effetti collaterali, quali eccessiva stanchezza, irregolarità dell’alvo, riduzione dell’appetito, vomito e dolori addominali. Da ricordare inoltre la possibile interazione con innumerevoli altri farmaci, la potenziale epatotossicità e nefrotossicità a lungo termine, tali da giustificare controlli clinici ed ematochimici periodici. In corso di interventi chirurgici,
anche odontoiatrici è necessaria, inoltre la sospensione del farmaco. Di notevole importanza la possibilità di indurre acidosi lattica i
cui sintomi prodromici possono essere rappresentati da disturbi
gastroenterici, irregolarità della frequenza cardiaca e del respiro, tali
da richiedere l’immediata sospensione della terapia farmacologica
ed una stretta sorveglianza del paziente (10). Da non dimenticare
di sospenderne la somministrazione in caso di shock e disidratazione. Anche nella necessità di esecuzione di esami radiologici
contrastografici la metformina va sospesa da 48 ore prima a 48 ore
dopo l’esecuzione dell’indagine.
In genere la sua prescrizione trova indicazione in presenza di iperinsulinismo ed insulinoresistenza, quando le modifiche dello stile di
vita non riescono a provocare una normalizzazione dello stato
metabolico (5). La metformina è un farmaco “off label”: il medico
prescrittore ed il paziente, pertanto, previo dettagliato consenso
informato, se ne assumono la totale responsabilità della prescrizione e dell’assunzione.
Altri farmaci insulinosensibilizzanti, quali i tiazolidinedioni (pioglitazone e rosiglitazone) sono stati impiegati con efficacia in età adulta e sono al vaglio per l’età adolescenziale.
Farmaci antiandrogeni. Gli antiandrogeni impiegati nel trattamento della PCOs sono la flutamide, la finasteride, il ciproterone
acetato e lo spironolattone. Nei casi di iperandrogenismo surrenalico è indicato trattamento con cortisonici.
Il ciproterone acetato (CPA) è l’antiandrogeno più frequentemente
utilizzato. Viene somministrato come progestinico nella terapia contraccettiva orale in associazione all’etiniletradiolo, oppure nella terapia sequenziale inversa (EE :0.01 mg/die per 21 giorni e CPA 12.5
mg-25 mg/die nei primi 10 giorni del ciclo terapeutico). Dosi più elevate fino a 50-100mg/die sono spesso necessarie specie per il trattamento dell’acne. Tra gli effetti collaterali di questo farmaco vi sono
ipertrigliceridemia e rischio di trombosi venose.
La flutamide è un antiandrogeno non steroideo che ha mostrato di
ridurre l’iperandrogenismo e le sue manifestazioni cliniche. Tuttavia
79
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
questo farmaco non provoca la regolarizzazione dei cicli mestruali
e non ha alcuna influenza sull’iperinsulinismo ed insulinoresistenza.
La flutamide può provocare epatossicità, pertanto il suo impiego
richiede uno stretto monitoraggio della funzionalità epatica: per tale
motivo andrebbe limitato a casi particolari. Anche la flutamide è un
farmaco “off label”.
Lo spironolattone in studi a breve termine ha provocato un miglioramento dell’irsutismo, superiore a quello ottenuto con la metformina, ma questo farmaco ha scarsa influenza sulle manifestazioni
della sindrome metabolica. Tuttavia un miglioramento dell’insulinoresistenza è stato dimostrato con l’impiego dello spironolattone in
associazione alla dieta ed all’esercizio fisico. Tra gli effetti collaterali sono dimostrati l’iperkaliemia, l’ ipotensione e sanguinamenti frequenti. Anche lo spironolattone è un farmaco “off label”.
Contraccettivi orali. I contraccettivi orali (CO) contenenti un progestinico non androgenico vengono impiegati nella PCOs per sopprimere la funzionalità ovarica, ma non hanno effetto metabolico.
Con il loro utilizzo si ottiene la normalizzazione dei cicli mestruali e,
scegliendo le formulazioni con progestinici ad attività antiandrogenica, si può ottenere anche la riduzione della secrezione androgenica. Vi sono diversi CO a vari dosaggi di etinilestradiolo associato
ai progestinici (Levonorgestrel, Desogestrel, Norgestimate,
Gestodene, CPA e Drospirenone). Il loro impiego tuttavia è limitato
per una serie di motivi: non determina miglioramento del quadro
metabolico, che può invece peggiorare, se il progestinico con tenuto nella formulazione ha attività androgenica (Norgestrel,
Levonorgestrel). Inoltre la paziente può illudersi che questo trattamento sia curativo e quindi non sottoporsi al work-up necessario.
Spesso vi è incremento ponderale che contrasta con la desiderabile perdita di peso. La paziente sarà meno motivata a seguire le
prescrizioni sulle modifiche dello stile di vita, rendendo vani i tentativi di trattare le alterazioni metaboliche e ridurre il rischio di sindrome metabolica.
Trattamenti combinati. Varie associazioni farmacologiche sono
state sperimentate in donne adulte ed adolescenti con PCOs, allo
scopo di ottenere un buon controllo sia dell’iperandrogenismo
che dell’insulinoresistenza tra cui flutamide/metformina, CO e flutamide/metformina, metformina e CO con o senza flutamide. Fino
a quando non saranno disponibili studi clinici controllati è tuttavia
raccomandabile non impiegare cocktails farmacologici in adolescenza.
deve riguardare le modifiche dello stile di vita: educazione alimentare, calo ponderale, esercizio fisico. Cure estetiche per le
manifestazioni iperandrogeniche.
La prescrizione di metformina andrà limitata ai casi con ridotta
tolleranza glucidica, marcata insulinoresistenza ed in caso di
insuccesso delle modifiche dello stile di vita con persistenza
delle irregolarità mestruali, dell’iperandrogenismo e dell’insulinoresistenza. Farmaci antiandrogeni o contraccettivi orali contenenti progestinici ad attività antiandrogenica saranno prescritti
limitatamente ai casi di acne ed irsutismo grave.
3. Interventi farmacologici andranno associati alle modifiche dello
stile di vita solo dopo il 3° anno di età ginecologica, in presenza
di grave quadro iperandrogenico e di insulinoresistenza, con
stretto monitoraggio degli effetti collaterali. La scelta del trattamento dipende da quale obiettivo terapeutico ci si prefigge principalmente (se endocrino o metabolico) e dovrebbe essere affidata all’esperienza di Centri Specialistici multidisciplinari che
vedano affiancati il pediatra ed il ginecologo.
Bibliografia
Proposta di trattamento
della PCOs in età adolescenziale
1.
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syndrome. J Clin Endocrinol Metab 2006; 2006-2012.
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syndrome. J Endocrinol Invest 2006; 29:270-280.
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Ovary Syndrome. Clin Obstet Gynecol 2007; 50(1):244-254.
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effects. Med J Aust 2004 Jul 5; 180:53-4.
1. Intervento precoce con modifiche dello stile di vita in bambine in
età pre e peripuberale con sintomi predittivi di PCOs, tra cui principalmente obesità associata a pubarca prematuro, adrenarca
esagerato, pubertà precoce, aumento del volume ovarico ed
anamnesi positiva per basso/elevato peso alla nascita.
2. Prima del 3° anno di età ginecologica il trattamento della PCOs
Corrispondenza:
Prof. Mariangela Cisternino
Clinica Pediatrica Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo
P.le Golgi, 2 - 27100 Pavia
Tel. 0382-502732 - Fax 0382527976
e-mail [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
L’uso della metformina
nell’adolescente
Franca Fruzzetti, Daria Perini, Veronica Lazzarini
Divisione di Ginecologia e Ostetricia I Universitaria, Spedali Riuniti S. Chiara, Pisa
Riassunto
La metformina è un farmaco insulino-sensibilizzante utilizzato nel diabete di tipo 2 e nella correzione di
alterazioni endocrino-metaboliche associate all’insulino-resistenza nelle pazienti con Sindrome dell’Ovaio Policistico
(PCOS) e/o obesità.
La terapia con metformina determina un miglioramento dell’insulino-resistenza e del profilo lipidico e un calo ponderale. Nelle adolescenti con PCOS, inoltre, la metformina determina miglioramento della ciclicità mestruale e dell’iperandrogenismo. Tutti questi effetti positivi vengono ottenuti al prezzo di minimi e transitori effetti collaterali con conseguenza buona aderenza alla terapia.
Parole chiave: adolescenza, insulino-resistenza, metformina, obesità, PCOS.
Metformin in adolescents wiyh PCOS
Summary
Metformin is an insulin sensitizer used for therapy of tipe 2 diabetes and for the correction of endocrine
and metabolic abnormalities in insulin-resistant adolescents with Polycystic Ovary Syndrome (PCOS) and/or obesity.
Metformin treatment improves insulin-resistance, lipid profile and causes a weight loss. Moreover metformin in PCOS
adolescents restores regular menstrual cycles and normalizes androgen levels. Limited is the appearance of gastrointestinal side effects.
Key words: adolescent, insulin-resistance, metformin, obesity, PCOS.
La metformina è un farmaco appartenente alla classe degli insulino-sensibilizzanti chiamati biguanidi. Dopo assunzione orale, il
farmaco viene assorbito a livello intestinale, circola nel plasma in
forma libera e non subisce alcuna metabolizzazione epatica per
cui viene escreto come tale nelle urine. La sua emivita è di circa
1.5-3 ore. L’ azione insulino-sensibilizzante della metformina si
esplica principalmente attraverso la riduzione della produzione
epatica di glucosio e l’aumento del suo metabolismo a livello
periferico. Concorrono all’effetto euglicemizzante del farmaco la
riduzione dell’assorbimento intestinale di glucosio e la riduzione
della lipolisi a seguito della quale si ha un decremento dei substrati per la gluconeogenesi. In Italia la metformina è in commercio sottoforma di compresse da 500, 850 e 1000 mg; la dose
terapeutica giornaliera non deve superare i 3 g in dosi frazionate
per il rischio di acidosi lattica. L’insufficienza renale e le malattie
cardiopolmonari croniche aumentando questo rischio sono con-
troindicazioni all’uso di metformina. I più frequenti effetti collaterali sono di tipo gastrointestinale e comprendono anoressia, nausea, vomito, dolore addominale e diarrea. Questi effetti sono
dose-dipendenti, tendono a manifestarsi all’inizio della terapia e
sono spesso transitori. Per minimizzarli è possibile iniziare la
terapia aumentando gradualmente la dose (1). Il farmaco è indicato nel trattamento del Diabete Mellito di tipo 2 in monoterapia
o in associazione ad altri antidiabetici orali o ad insulina. In Italia
la metformina è registrata come farmaco usato nel diabete, tuttavia nell’ultimo decennio, diversi studi hanno dimostrato un’ efficacia clinica della metformina nella correzione di alterazioni
endocrino-metaboliche associate all’insulino-resistenza anche in
soggetti non diabetici con Sindrome dell’Ovaio Policistico
(PCOS) e/o obesità (2).
La PCOS è una sindrome endocrino-metabolica che interessa
circa il 5% delle donne in età riproduttiva (3). In base alla
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
pubarca precoce (PP) e storia di basso peso alla nascita in
quanto ad alto rischio di sviluppare la PCOS. Poco è conosciuto sulla progressione da PP a PCOS ma l’insulino-resistenza
sembra giocare, ancora una volta, un ruolo importante. In ragazze con PP e storia di basso peso alla nascita, la somministrazione quotidiana di 850 mg di metformina per 12 mesi ha determinato un miglioramento statisticamente significativo del peso corporeo e della distribuzione dell’adipe, del profilo lipidico, dell’insulino-resistenza e dell’iperandrogenismo, a differenza del gruppo non trattato, nel quale si è osservato un peggioramento di
questi indici (13).
In adolescenza, oltre alla PCOS, la metformina è stata utilizzata
in soggetti obesi e con iperinsulinemia con risultati incoraggianti. Studi randomizzati condotti su un grande numero di adolescenti dimostrano che nel gruppo trattato con metformina si
assiste ad una riduzione significativa del peso corporeo, dell’insulinemia e dell’insulinoresistenza rispetto al gruppo placebo
(14-15).
Per contrastare l’aumento ponderale farmaco-indotto, l’uso di
metformina è stato proposto anche in adolescenti in terapia con
antipsicotici. I dati presenti in letteratura sono per ora contradditori e ulteriori studi sono necessari per stabilire se la metformina
possa essere raccomandata a questi adolescenti (16).
In conclusione, numerosi studi confermano l’utilità della metformina nell’adolescenza per il trattamento degli stati di insulinoresistenza, sia intrinseci alla PCOS che secondari ad obesità.
Oltre al miglioramento dell’insulino-sensibilità, si assiste ad un
miglioramento del profilo lipidico , alla riduzione del peso corporeo e del tessuto adiposo addominale, effetti che hanno ripercussioni favorevoli sull’evoluzione di queste malattie. Inoltre,
nelle adolescenti con PCOS la terapia con metformina è in grado
di modificare positivamente l’espressione della malattia tramite
ripristino della ciclicità mestruale e riduzione dell’iperandrogenismo. In alcuni soggetti l’insulinosensibilizzante può essere associato a estroprogestinici o antiandrogeni.
Nonostante il farmaco rappresenti un valido aiuto per la perdita
di peso, gli adolescenti obesi o soprappeso devono essere educati ad uno stile di vita sano, con una dieta appropriata e costante attività fisica, che dovrà essere seguito anche dopo interruzione della terapia in modo mantenere i risultati ottenuti. I numerosi
effetti positivi della metformina, a breve e lungo termine, vengono ottenuti a fronte di limitati e transitori effetti collaterali con
buona adesione alla terapia, e basso costo della stessa.
Al di là degli effetti positivi evidenziati nella maggiore parte dei
soggetti nel corso della terapia non esistono comunque al
momento attuale studi a lungo termine capaci di chiarire se l’uso
di tale farmaco all’inizio della vita riproduttiva come è l’adolescenza sia effettivamente in grado di modificare il destino di queste giovani donne affette da PCOS. In altri termini assolutamente non chiaro è se l’uso della metformina possa effettivamente
determinare un miglioramento della ciclicità mestruale anche
dopo l’interruzione della terapia.
Consensus di Rotterdam si parla di PCOS quando sono presenti almeno due dei seguenti criteri: oligoamenorrea e/o anovularietà cronica, iperandrogenismo clinico e/o biochimico, evidenza
ecografica di ovaie policistiche, dopo esclusione di cause
secondarie di iperandrogenismo e oligomenorrea (iperprolattinemia, sindrome di Cushing, sindrome surrenogenitale) (4). La
PCOS si rende clinicamente manifesta a partire dall’adolescenza, periodo durante il quale alcuni degli aspetti tipici di questa
sindrome sono normalmente presenti rendendo la diagnosi difficoltosa. Nei primi anni dopo il menarca infatti, circa il 59% dei
cicli mestruali sono anovulatori e comune è il riscontro di ovaie
policistiche, fattori entrambi legati al processo di maturazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio (5). Inoltre, durante la pubertà
c’è un fisiologico aumento dell’insulino-resistenza e dei livelli di
androgeni circolanti come conseguenza dell’aumento dei livelli
di ormone della crescita (6). Per questi motivi nelle adolescenti la
diagnosi di PCOS può essere sovrastimata e non è ancora del
tutto chiaro quante delle adolescenti classificate come PCOS ne
siano realmente affette anche in età adulta.
La PCOS si accompagna sin dall’adolescenza ad una moltitudine di disordini metabolici quali obesità, insulino-resistenza con
iperisulinemia compensatoria e dislipidemia caratterizzata da
elevati livelli plasmatici di colesterolo totale, LDL e trigliceridi e da
ridotti livelli plasmatici di HDL; questi fattori espongono le pazienti affette da PCOS ad un rischio maggiore di sviluppare complicanze a lungo termine di tipo cardiovascolare rispetto alla popolazione generale (7).
Lo stato di insulino-resistenza in particolare gioca un ruolo chiave nella patogenesi della PCOS, contribuendo in maniera rilevante alle sue manifestazioni cliniche e alle sue complicanze (8).
Vista l’importanza patogenetica dell’insulino-resistenza nella
PCOS, l’utilizzo di farmaci insulino-sensibilizzanti come la metformina, è stato suggerito nelle pazienti affette da tale sindrome,
adolescenti comprese.
Gli effetti del miglioramento dell’insulino-sensibilità ottenuti tramite terapia con metformina sono molteplici e si riflettono a livello
metabolico, endocrinologico e clinico. Nelle adolescenti affette
da PCOS la terapia con metformina determina una riduzione
significativa del peso corporeo, del tessuto adiposo addominale
sottocutaneo e dei valori di insulinemia sia basale che dopo carico glucidico (9). Si assiste inoltre al miglioramento del profilo lipidico con riduzione dei livelli plasmatici di LDL e trigliceridi ed
aumento dei livelli di HDL (10). Durante terapia con metformina i
livelli circolanti di androgeni sono ridotti con modesta correzione
dell’irsutismo e dell’acne. Una riduzione maggiore delle manifestazioni dell’iperandrogenismo si ottiene associando alla metformina un farmaco antiandrogenico o un contraccettivo orale il cui
progestinico abbia azione antiandrogenica (11). La ciclicità
mestruale e il tasso di ovulazione migliorano sin dai primi mesi di
terapia con metformina per cui un contraccettivo ormonale è
consigliato se la ragazza è sessualmente attiva (12).
L’uso della metformina è stato proposto nelle ragazze con
82
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
L’uso della metformina nell’adolescente
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
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Corrispondenza:
Dr.ssa Franca Fruzzetti
Divisione di Ginecologia e Ostetricia I Universitaria
Spedali Riuniti S. Chiara
Via Roma, 35 - 56100, Pisa
Fax 050553410
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La terapia farmacologica
dell’obesità in adolescenza
Rita Tanas1, Lorenzo Iughetti2, Guido Caggese3, Giovanna La Fauci4, Marta Zaghi5,
Rossella Berri2, Maria Chiara China2, Salvatore Di Maio6
1
Divisione di Pediatria e di Adolescentologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.
UO di Pediatria,, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Università di Modena e Reggio Emilia.
3
Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara
4
Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università agli Studi di Ferrara
5
Laurea in Farmacia e Farmacia Industriale, Università agli Studi di Ferrara
6
Struttura Complessa di Auxologia e Endocrinologia, AORN “Santobono – Pausilipon”, Napoli
2
The pharmacotherapy of obesity in adolescence: the problems
Summary
In the Western World obesity represents, especially in childhood, a problem in expansion and of difficult
solution; therefore the request for pharmacological treatments limit consequences related to cardio-metabolic diseases.
However, the drugs currently available, approved by the competent authority, have many limits for adults and even more
for children.
The drugs approved by the U.S. Food and Drug Administration (FDA) and European Medicines Agency (EMEA) are limited for adult and more for adolescent people. They are Orlistat Sibutramine and Metformin. They have been used only in
pilot studies in adolescents. Their limits are related to side effects, the impossibility to use them for long periods (their
effects are lost at suspension of the drug), high cost of therapy and patient drop-out. Before and with drugs, one should
always offer a lifestyle improvement program which in adolescence should involve both patient and parents. Currently, in
Italy these programs are available in few centers open to the public and with limited offers.
Another recent drug is Rimonabant, selective antagonist of the cannabinoid receptor. It has been approved by the EMEA
for patients over 18, not by the FDA. Considering the role of the endocannabinoid system in neurogenesis and in the consolidation of cognitive processes and memory, the use in adolescents is not advised.
In conclusion, the use of drugs to prevent or contract obesity and its consequences in adolescents is still at its dawn.
Currently, we do not believe that in the near future we will be able to offer manageable and safe drugs to adolescents,
capable of helping them reach and maintain a certain lifestyle and a healthier weight. We should work to implement projects for lifestyle improvement and carryout political and social measures for the prevention of spreading obesity.
Key words: paediatric obesity, pharmacotherapy, anti-obesity agents, adolescent.
Introduzione
cina ufficiale. I programmi di miglioramento dello stile di vita sembrano teoricamente i più efficaci, ma richiedono tempi e competenze specialistiche non frequenti nell’ambito delle cure primarie
e persino nei reparti dedicati.
Se consideriamo la piramide che illustra una possibile rete assistenziale (Figura 1) all’adolescente sovrappeso e obeso è evidente che ancora molta strada deve essere fatta nel nostro
Paese. La maggior parte delle regioni, purtroppo, non ha ancora
realizzato programmi d’intervento educativo e cognitivo-compor-
L'obesità, soprattutto in età pediatrica, rappresenta un problema
in continua espansione e di difficilissima soluzione, non soltanto
nel mondo occidentale. La riduzione di quella che è stata definita una pandemia, auspicata e favorita da tante iniziative in tutti i
paesi industrializzati, non si è realizzata. La prevalenza dell’obesità, infatti, continua ad aumentare e ad accelerare (1). Il lavoro
di tipo politico-sociale per modificare i fattori ambientali che
l’hanno favorita fa fatica a decollare ed ancora nessuna soluzione terapeutica con evidenza di efficacia viene fornita dalla medi-
84
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
che, così come nell’adulto, anche in età adolescenziale(7) l’uso
di Orlistat associato ad una dieta ipocalorica con un normale
contenuto minerale giornaliero, non ha determinato una significativa variazione del bilancio minerale ed elettrolitico, mentre è
ormai assodato che Orlistat provoca un ridotto assorbimento
delle vitamine liposolubili (A, D, E, K), che soprattutto in età evolutiva può rendere necessaria l’integrazione vitaminica.
Gli effetti collaterali emersi negli studi in tutte le fasce di età, pur
essendo generalmente modesti (flatulenza, stimolo impellente
alla defecazione, steatorrea, perdite di piccole quantità di materiale oleoso dal retto, aumento della frequenza dell’alvo), hanno
causato scarsa compliance specie tra gli adolescenti.
tamentale di primo e secondo livello, a cui si potrebbe, eventualmente, associare il farmaco, indirizzando il paziente ad un centro di terzo livello (Figura 2).
La Farmacoterapia dell’obesità
I meccanismi di regolazione del peso corporeo sono estremamente complessi. I numerosi studi condotti in questo campo
hanno dimostrato l’esistenza di tanti e potenti sistemi di difesa
contro la “morte da fame”, operanti a più livelli, a partire dalle
strutture più antiche del nostro cervello, rendendo con ciò evidente la difficoltà di individuare in una sola molecola la soluzione al problema obesità.
Il farmaco ideale per la cura di tale condizione non è stato ancora trovato. Esso dovrebbe avere almeno 3 caratteristiche: essere
efficace, specie sul lungo termine, avere scarsi effetti collaterali e
migliorare i fattori di rischio correlati all’obesità, agendo soprattutto sulle complicanze cardio-metaboliche.
Attualmente sono ancora pochi i farmaci a disposizione, approvati dalle autorità competenti, soprattutto per l’adolescente. In
effetti dei farmaci utilizzati nel trattamento dell'obesità: l’Orlistat, è
stato approvato dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA)
per l’età adolescenziale solo nel 2003 e dall’European Medicines
Agency (EMEA) per i soggetti di età maggiore di 12 anni due anni
dopo. La Metformina è autorizzata solo per l’uso nel bambino
diabetico di età superiore ai 10 anni. La Sibutramina, invece, è
autorizzata per l’uso in soggetti con più di 16 anni dalla FDA e 18
dall’EMEA. Il Rimonabant è stato approvato solo nell’aprile 2008
dall'EMEA per i soggetti di età superiore ai 18 anni, e non ancora dalla FDA.
Sibutramina. La Sibutramina è un farmaco ad azione
prevalentemente centrale, che causa l’inibizione della ricaptazione di noradrenalina e serotonina, aumentandone i livelli nello
spazio sinaptico.
Un’ormai vasta letteratura ha documentato l’efficacia di questo
farmaco in pazienti adulti (8-13) nei quali la posologia iniziale è di
Centri di Riabilitazione
Obesi gravi (>40 BMI)
I farmaci
Orlistat. L’Orlistat (tetra-idro-lipostatina) è il più recente tra
Figura 1. L’Organizzazione in rete da predisporre per la cura
dell’obesità nell’ambito del SSN nelle varie Regioni Italiane.
gli agenti che riducono l’assorbimento dei nutrienti. Il farmaco si
lega alle lipasi intestinali, inibendo l’azione di idrolisi dei grassi
della dieta (trigliceridi) in acidi grassi liberi assorbibili e monoacilglicerolo.
Tale azione si riflette nell’eliminazione di circa il 30% dei grassi
ingeriti. L’assorbimento per via gastrointestinale è trascurabile e
questo fa sì che l’Orlistat non abbia attività sistemica.
Gli studi condotti sull’adulto, analizzati recentemente in una
metanalisi (2) hanno dimostrato la superiorità di Orlistat rispetto
al placebo, anche se clinicamente tale vantaggio si limita a una
riduzione di peso non superiore ai 3 kg. Inoltre da tali studi è
emerso che Orlistat, indipendentemente dalla riduzione del
peso, riduce i livelli di colesterolemia totale e di LDL, riduce i livelli pressori e migliora la resistenza insulinica a digiuno (3).
Anche i vari studi condotti nell’adolescente (4-6) hanno fornito
dati sovrapponibili a quelli realizzati negli adulti. Da sottolineare
Figura 2. La terapia farmacologica si colloca fra i compiti
del Centro di 3° livello per la cura dell’obesità in età adolescenziale.
85
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
10 mg alla mattina da aumentare a 15 mg se la perdita di peso
è inferiore a 2 kg dopo 4 settimane.
I lavori in età pediatrica e adolescenziale sono ancora pochi. Da
essi emerge che l’efficacia della terapia consiste in una perdita
media di peso inferiore ai 6 Kg (14), ma che il farmaco può essere
utile anche in casi di obesità ipotalamica (15). Inoltre l’integrazione
del farmaco in un piano terapeutico comportamentale ne migliora
significativamente la percentuale di successi terapeutici (16).
Gli effetti collaterali segnalati in letteratura sono un modico rialzo
della pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, e della frequenza cardiaca, cefalea, insonnia, secchezza delle fauci e stipsi.
Va però ricordato che in Italia, il farmaco è stato ritirato dal mercato nel marzo 2002, in seguito alla morte di due pazienti, e riammesso solo dopo un’istruttoria dell’EMEA che dichiarò che i suoi
benefici sono maggiori dei rischi.
Metformina. La Metformina è una biguanide che riduce
la gluconeogenesi epatica e l’assorbimento intestinale di glucosio e aumenta la captazione e l’utilizzo del glucosio a livello
muscolare con un miglioramento della sensibilità insulinica. Tra
gli ipoglicemizzanti orali è l’unico che, non solo non induce un
incremento, ma anzi favorisce il calo ponderale.
La Metformina, utilizzata per il trattamento del diabete mellito di
tipo 2, è stata oggetto di numerose sperimentazioni nell’adulto e
nell’adolescente, ma l’efficacia nel promuovere una riduzione di
peso è sempre risultata limitata. Molto più significativi sono gli
effetti sul miglioramento della sensibilità insulinica specie nelle
ragazze con policistosi ovarica (17-20).
Rimonabant. Il Rimonabant (21) è un antagonista selettivo del recettore di tipo1 dei cannabinoidi (CB1). Associato a
una riduzione dell’apporto calorico rispetto al fabbisogno individuale e aumento dell'attività fisica, esso ha dimostrato di essere
efficace nel ridurre il peso corporeo e le alterazioni metaboliche
dei pazienti. È generalmente ben tollerato, tuttavia sono stati
descritti disturbi dell’umore come ansia e depressione. Il rilevan-
te ruolo del sistema endocannabinoide nella neurogenesi e nel
consolidamento dei processi cognitivi e di memoria, attualmente, ne sconsiglia l'impiego nei bambini e negli adolescenti.
Efficacia attesa e uso
dei farmaci nell’adulto
La percentuale globale di peso che può essere perduta con un
ciclo terapeutico è attualmente molto bassa (Tabella 1). Può
essere ancora considerata valida la teoria che vede il cosiddetto
”adipostat ipotalamico“ conservare memoria del peso raggiunto
dal corpo fino a molti anni dopo il calo ponderale e cercare sempre di recuperarlo, qualora l’individuo se ne discosti. Dai farmaci, peraltro, si vorrebbe ottenere proprio lo spostamento del setpoint del peso del paziente verso valori più bassi per permettere
loro di mantenere più agevolmente nel tempo i risultati raggiunti
in fase iniziale.
Attualmente la terapia farmacologica nell’adulto è riservata a soggetti con BMI superiore a 30 kg/m2 o superiore a 27 kg/m2 con
comorbilità, come parte di un programma globale, che comprende la dieta e l’incremento dell’attività motoria, quando con questi
presidi da soli il risultato sia insufficiente (<-5%) o non si riesca a
mantenerlo nel tempo. Si considerano non-responders alla terapia
farmacologia, che quindi deve essere sospesa, i soggetti che
dopo 3 mesi di terapia non hanno dimostrato un calo ponderale
almeno del 5% (se il calo nel primo mese è inferiore ai 2 kg, è difficile che si registri una buona risposta successivamente).
La terapia comportamentale dietetica e motoria, anche se inizialmente efficace, purtroppo poi evolve nel recupero di peso: nel
61-83% dei casi dopo 3 anni e pressoché nella totalità dei soggetti dopo 5 anni. Questa incapacità a mantenere nel tempo il
calo ponderale raggiunto potrebbe essere trattata con la farmacoterapia.
Tabella 1. Conseguenze dei programmi intensivi di cambiamento dello stile di vita e dei farmaci
nell’adolescente e nell’adulto dopo 1 anno: calo ponderale, drop-out e problematiche (23,30).
Intervento
Calo medio
di peso (kg)
Drop-out
(%)
Effetti collaterali e problemi aperti
Interventi intensivi
sullo stile di vita
6,7
20-40%
Costi elevati, mancanza di personale preparato.
Orlistat
2,5-2,9
33-35%
Diarrea, flatulenza, feci oleose, ridotto assorbimento di vitamine
liposolubili, aumentato tournover osseo, litiasi colecistica 2%
(evitare se litiasi già esistente?)
Sibutramina
4,5-7,7
24-43
Aumento FC e PA, S. QT lungo, insonnia, vertigini, bocca secca,
stipsi, non associare ad anti MAO o altri inibitori del re-uptake
della serotonina per S. serotoninica.
Metformina studi
su numeri e tempi limitati
2,6
6-7%
Nausea, vomito, disturbi addominali, deficit di vitamina B,
acidosi lattica.
Rimonabant
5,6
40%
Nausea, vomito, disturbi addominali, ansia, insonnia, vertigini.
86
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Problemi della terapia
farmacologia dell’adolescente
Oggi la terapia farmacologia dell’obesità nell’adulto viene utilizzata:
1. nei primi mesi del trattamento per dare fiducia nelle proprie
capacità di ottenere un risultato a pazienti particolarmente
delusi da precedenti terapie fallimentari o con complicanze
gravi
2. nella seconda fase di un trattamento dietetico-comportamentale per aumentare la perdita di peso
3. al termine del programma di calo ponderale per favorire il
mantenimento del risultato nel tempo, dopo il primo anno di
cura. In tal caso si può pensare a una terapia ciclica, da
riprendere quando il peso tenda al recupero.
In età adolescenziale tutti i principi farmacologici hanno un limitato seppure crescente impiego solo in studi pilota (25-30).
Come gran parte degli studi condotti in questo campo nell’adulto essi hanno vari limiti che ne riducono l’uso:
tempo di impiego limitato: gli effetti sul calo ponderale con
tutti i farmaci oggi in commercio si perdono alla sospensione
del farmaco
effetti collaterali frequenti o disturbanti, talvolta gravi
(Tabella 1)
indicazioni ristrette (Tabella 2)
numero di controindicazioni elevato (Tabella 2)
costo elevato dei farmaci
drop-out elevato dei pazienti (Tabella 1).
indisponibilità di programmi intensivi per promuovere
un migliore stile di vita. Tali programmi dovrebbero sempre
precedere, associarsi e seguire l’uso della terapia farmacologica, ma sono oggi disponibili in Italia solo in pochissimi centri aperti al pubblico e con offerta limitata.
Efficacia attesa e uso
dei farmaci in adolescenza
La terapia farmacologica in adolescenza è consigliata solo ai
soggetti con obesità grave che, sottoposti ad un approccio plurispecialistico di tipo educativo-comportamentale ben condotto
ed esteso anche i familiari, della durata di sei mesi, non abbiano
avuto risposta o presentino comorbilità persistenti (22-23). In
realtà in adolescenza la variazione prevista allo scadere dei 14
anni del medico responsabile del ragazzo, la scarsa disponibilità
di approcci educativo-comportamentali certificati, l’elevato dropout del ragazzo, che aumenta con il crescere del grado di obesità e con la sensazione di fallimento terapeutico, raramente ci
costringono a decidere la prescrizione di un farmaco.
È difficile però accettare che un terzo degli adolescenti con alterata tolleranza glucidica o insulino-resistenza di grado elevato
evolvano in diabete entro 21 mesi, pur trattati con programmi di
cambio dello stile di vita di elevato livello (24). Difficile far accettare le complicanze spesso gravi in corso di interventi sanitari su
grandi obesi. Inutile cercare di placare il marito della paziente di
190 kg, deceduta a seguito di un intervento chirurgico, che al
telegiornale dell’8 luglio scorso chiede giustizia contro la classe
medica per la perdita di una moglie che “stava benissimo”.
Discussione e Conclusioni
Nonostante la diffusa e consolidata valutazione positiva dell’importanza della dieta e dell’esercizio fisico per ridurre l’eccesso di
adipe, l’evidenza suggerisce che spesso i programmi di perdita
di peso per gli adolescenti sono senza successo, e questa constatazione giustifica i tentativi di una terapia farmacologica.
Tuttavia l'impiego di farmaci per prevenire o contrastare l'obesità
nell’adolescenza è ancora in fase sperimentale(30).
L’esigenza di una terapia farmacologica è avvertita soprattutto per
condizioni particolarmente severe, dove essa potrebbe essere raccomandata per una più rapida perdita di peso in presenza di gravi
complicanze: esempio paradigmatico è l’obesità ipotalamica, che
Tabella 2. Indicazioni e controindicazioni degli interventi sanitari per la cura dell’obesità nell’adulto.
Intervento
Indicazioni
Controindicazioni
Interventi intensivi
sullo stile di vita
A tutti i soggetti sovrappeso e obesi,
prima del farmaco, in associazione
al farmaco e dopo la sua sospensione
Possibile promozione dell’esordio di disturbi
del comportamento alimentare
Orlistat
BMI > 30 o > 27 con almeno una comorbilità
(Alterata tolleranza glucidica, Dislipidemia, Steatosi)
Ipertensione arteriosa, aritmie, cardiopatie
Sibutramina
BM I> 30 o >27 con almeno una comorbilità
Disturbi psichiatrici, ipertensione
Metformina
Diabete Mellito (Alterata Tolleranza Glucidica,
Insulino-resistenza severa,
Sindrome dell’ovaio policiscico)
Patologie epatiche, renali, respiratorie,
consumo di alcool
Rimonabant
BMI > 30 o >27 con almeno una comorbilità
Disturbi psichiatrici, disturbi dell’umore
87
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
colpisce alcuni adolescenti curati per neoplasie endocraniche e la
cui prevalenza aumenta sempre di più per i successi della terapia
neurochirurgica e oncologica, e le obesità sindromiche: in questi
casi alcuni autori(15) hanno dimostrato che il trattamento con
Sibutramina può essere efficace sulla riduzione del peso, ma si tratta di uno studio sperimentale breve, i cui risultati vanno confermati
e completati con la valutazione dei parametri metabolici.
L’entusiasmo per una terapia farmacologica deve essere temperato da tre osservazioni:
1. tutti i farmaci usati sono a rischio di complicanze, alcuni di essi
anche gravi;
2. tutti i farmaci sono efficaci solo durante il periodo di assunzione, poiché non producono cambiamenti permanenti nella
fisiopatologia o nel comportamento;
3. i due farmaci finora più usati nell’adulto, Orlistat e Sibutramina,
determinano una modesta perdita di peso, variabile dal 3 a 8
%. A questo proposito è stato sostenuto che in adulti con
rischio di diabete tipo 2 anche una modesta perdita di peso
può essere potenzialmente benefica (31). Anche in età adolescenziale (32) i soggetti che perdono oltre il 5% del BMI, indipendentemente dal tipo di trattamento eseguito, hanno una
significativa riduzione della circonferenza addominale e un
miglioramento degli indici di rischio metabolico.
Resta pertanto fondamentale dimostrare l’efficacia dei farmaci
rispetto a end points di morbilità e mortalità, in quanto studi nei
quali i farmaci migliorano solo end points surrogati, quale la perdita di peso, alla fine non necessariamente hanno effetti di rilevanza clinica (33).
Oggi ci sono altre priorità nella prevenzione e nella cura dell’adolescente con questa patologia e per molti anni ancora non potremo probabilmente contare sull’appoggio di farmaci sicuri, efficaci e utilizzabili per tempi lunghi. Speriamo comunque che in futuro lo sforzo congiunto della classe medica e delle case farmaceutiche possa risolvere i seguenti punti cruciali sull’argomento:
1. la formalizzazione e l’implementazione fra i pediatri di famiglia
di un percorso di educazione del soggetto obeso e della sua
famiglia per la realizzazione di un piano di cambiamenti dei
comportamenti inadeguati alimentari e motori con altri più sani
quale quello da noi proposto(34-36) o quello pubblicato
recentemente dall’Accademia dei Pediatri Americani(37),
2. indicazioni più accurate sull’opportunità di associare un trattamento farmacologico, validato, autorizzato per l’età,
3. indicazione sul momento o livello di gravità più opportuno per
fare tale aggiunta,
4. indicazioni sulla durata della terapia farmacologica e sul possibile utilizzo di cicli di terapia ripetuti,
5. indicazioni realistiche sulla valutazione del percorso terapeutico educativo o farmacologico svolto, con definizioni condivise
su trattamento terapeutico “efficace” e “non-efficace”,
6. una valutazione delle problematiche ancora aperte relative
all’uso dei farmaci, non solo per la cura dell’obesità, ma anche
per la cura del grave obeso, soggetto che ammala di più e in
modo più grave, essendo esposto alle molte e frequenti complicanze metaboliche, cardiologiche, ostetriche, pneumologiche, ortopediche e psichiatriche dell’obesità morbigena.
Sappiamo molto poco sui meccanismi farmacocinetici di
assorbimento, legame proteico in circolo e ridistribuzione nei
tessuti e in particolare nel tessuto adiposo, legame con il
recettore, tempi di eliminazione ed interferenza con altri farmaci nel soggetto con obesità morbigena. Grande prudenza
deve essere raccomandata a tutti i professionisti della sanità
nella gestione di questi pazienti oggi sempre più frequenti
nella routine ospedaliera,
7. un controllo più accurato dei messaggi pubblicitari e mediatici rivolti agli adolescenti sull’offerta di trattamenti di sicura inefficacia: test diagnostici di incompatibilità agli alimenti, farmaci
da banco venduti nelle farmacie per dimagrire, prodotti per
ridurre la cellulite e alimenti a basso o nullo contenuto calorico, studiati per illudere o ingannare, chi vuole dimagrire.
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Corrispondenza:
Dott.ssa Rita Tanas
Divisione di Pediatria e di Adolescentologia.
Arcispedale S. Anna
Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara.
Telefono 0532 236933-237331 - Fax 0532 207107
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Il progetto della Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza (SIMA)
per la salute dell’adolescente
Un percorso di qualità inserito in un percorso
sanitario assistenziale dedicato
G. Raiola, 1S. Bertelloni, 2G. Romano, 3V. De Sanctis, 4M.C. Galati
1
U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza - U.O.C. di Pediatria, A.O. “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
Sezione di Medicina dell’Adolescenza, Dipartimento Materno-infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa,
2
U.O.C. Servizio informativo ASP, Catanzaro
3
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia - A.O. Universitaria di Ferrara, Arcispedale S. Anna
4
U.O. di Emato-oncologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
Riassunto
Gli autori riportano il documento elaborato dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza per la cura
degli adolescenti e le strategie per una migliore definizione degli interventi assistenziali. Viene proposta, inoltre, una rivisitazione del percorso assistenziale da un punto di vista di “Total Quality Management”.
Parole chiave: adolescenti, assistenza agli adolescenti, Italia, Total Quality Management.
The position statement of the Italian Society for Adolescent
Medicine for Adolescent health. A new medical pathway
Summary
The authors report the position statement of the Italian Society for Adolescent Medicine for adolescent
health care and strategies of intervention in Italy. A new proposal of medical pathway by Total Quality Management point
of view are illustrated, too.
Key words: adolescents, adolescent health care, Italy, Total Quality Management.
Introduzione
L’adolescenza può essere definita come “il periodo della vita di
un individuo il cui inizio coincide con la comparsa dei primi segni
morfo-funzionali e/o psicosociali di maturazione puberale ed il
cui termine coincide con il raggiungimento della maggiore età”;
tuttavia si ritiene oggi che l’età in cui termina l’adolescenza
rimanga poco definibile in termini cronologici, potendo sopravanzare la conclusione di quella che comunemente viene definita come “età evolutiva” (cioè 0-18 anni) in conseguenza di condizioni mediche e/o psico-sociali che ritardano l’acquisizione dell’indipendenza tipica del soggetto adulto (1). A tal proposito, vi è
stata una modificazione dei limiti cronologici di questa fascia di
età, tanto che alcune società scientifiche tendono a protrarre l’adolescenza fino alla terza decade di vita (Tabella 1).
Dunque, l’adolescenza rappresenta l’età di passaggio dall’infanzia, all’età adulta, inserita in un continuum che non prevede divisioni cronologiche ben definite. In questa fase della vita si compie un processo di maturazione biologica, in rapporto a profonde modificazioni dell’assetto ormonale, e contemporaneamente
si ha un’evoluzione del pensiero cognitivo e morale; nel loro
insieme, tali processi sono finalizzati al raggiungimento della fertilità e al pieno inserimento nella società degli adulti. Condizioni
mediche o psicosociali che alterano il fisiologico decorso dell’a-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente.
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato
la salute (benessere fisico, psichico e sociale) (5). Oggi, le nuove
strategie di prevenzione devono essere orientate verso la scoperta e il potenziamento delle risorse personali e sociali proprie
di ogni individuo; lo scopo è quello di mettere al centro del percorso l’adolescente nella sua interezza psico-fisica, superando i
“vecchi” programmi centrati sulle malattie e sulle situazioni a
rischio, orientando maggiormente la prevenzione verso il sostegno ai bisogni naturali di crescita, piuttosto che alla sola riduzione dei fattori di rischio e sulle ricadute sociali dei propri comportamenti (5, 6).
Per raggiungere tale scopo è fondamentale una diversa formazione degli operatori che dovrebbero essere in grado di fornire
“motivazioni reali per indurre i giovani a modificare i comportamenti individuali”, aiutandoli nella loro crescita umana e sociale
e rivolgendo particolare attenzione ai soggetti che sembrano a
maggior rischio psico-sociale. Un’adeguata formazione in medicina dell’adolescenza secondo queste nuove modalità stenta a
però a realizzarsi nell’ambito della formazione curriculare del
medico (Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia,
Scuola di Specializzazione in Pediatria o Corso di formazione per
medici di medicina generale).
Dal punto di vista assistenziale la situazione non è migliore. Dati
epidemiologici indicano che oltre l’85% degli adolescenti italiani
con età maggiore di 14 anni viene ricoverato in reparti non idonei per i soggetti in fase di crescita, cioè in quelli per adulti. Quelli
ricoverati in Area Pediatrica, sono assistiti insieme ai bambini piccoli, quindi in spazi non adeguati per i loro bisogni di privacy e
crescita. A livello territoriale, i circa 7400 pediatri di famiglia assistono meno del 50% degli adolescenti con età tra gli 11 e i 14
anni e solo pochissimi oltre questa età; i rimanenti sono in carico ai medici di medicina generale o, spesso, solo ai servizi di
emergenza/urgenza (pronto soccorso, medici della continuità
assistenziale, che non possono ovviamente garantire attività di
presa in carico e prevenzione (5). I ragazzi con patologia cronica
hanno un’assistenza frammentata tra centri specialistici e territoriali, spesso senza alcun collegamento tra i vari servizi. La medicina scolastica è stata abolita nella maggioranza del paese e la
pediatria di comunità è una realtà molto carente (5, 6).
dolescenza possono quindi avere ripercussioni negative non
solo in questa età ma per tutta la vita.
Utilizzando i limiti indicati in Italia, cioè 11-18 anni (Tabella 1), al
1° gennaio 2005 vivevano nel nostro Paese circa 4.863.935 di
adolescenti, pari a circa l’8,3% della popolazione (dati ISTAT) (23). Merita di essere sottolineato che di questi circa il 9% risulta
affetto da almeno una malattia cronica, percentuale che sale a
circa il 12% se si considera la fascia 14-19 anni. Si deve, inoltre,
osservare un fenomeno del tutto nuovo rappresentato dal fatto
che già a questa età il 2% degli adolescenti risulta affetto da due
o più malattie croniche, anche come conseguenza del miglioramento delle possibilità di cura per patologie fino a poco tempo
fa precocemente fatali. Un altro fenomeno del tutto emergente è
rappresentato dalla mutietnicità dell’attuale popolazione adolescenziale, che ha risvolti ed implicazioni assistenziali e psicoeducative importanti, anche come sfida all’integrazione di culture e tradizioni diverse (4, 5).
I dati sulla “Situazione sanitaria del Paese” (Ministero della Salute,
2006 e 2008) dimostrano, inoltre, una situazione preoccupante
per quanto riguarda i comportamenti sessuali a rischio, le malattie sessualmente trasmesse, l’abuso di alcolici, tabacco e droghe, per le quali è stato messo in evidenza, oltre ad una maggiore propensione al consumo tra i giovani, anche una più precoce età di inizio, suggerendo che i programmi di prevenzione
fino ad oggi utilizzati non hanno dato i risultati sperati (4). È inoltre evidente nella cronaca quotidiana il problema sempre più diffuso del bullismo che sfocia, ormai troppo spesso, in atti di vera
e propria criminalità minorile.
Insita nel concetto di “promozione alla salute” è la necessità di
intervenire per limitare il diffondersi di avvenimenti dannosi,
avversi, attraverso l’azione preventiva. Dunque, è proprio nell’ambito dell’adolescentologia che il pediatra deve riscoprire e
valorizzare il proprio ruolo di “medico dello sviluppo e dell’educazione”, termine con il quale è stato indicato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ciò si dovrebbe realizzare con la presa in carico del ragazzo (care), anche educandolo a condurre la propria vita in modo da saper riconoscere ed
evitare le principali situazioni a rischio capaci di comprometterne
Tabella 1. Limiti cronologici dell’adolescenza.
Ente
Paese
Anno
Limiti, aa
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
-
1975
10 – 20
Società Italiana di Pediatria (SIP)
Italia
1995
11 – 18
Accademia Americana di Pediatria (AAP)
USA
1995
11 – 21
Società di Medicina dell’Adolescenza (SAM)
USA
1995
10 – 251
Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA)
Italia
2007
10 – 182
1. inizio adolescenza = inizio sviluppo puberale; 2. fine adolescenza = acquisizione status adulto (sociale/economico)
1. inizio fin da 8-9 anni (se pubertà precoce/anticipata); 2. estensione fino alla III-IV decade di vita nel caso di individui con patologie croniche
(Italian Journal of Pediatrics, 2007; Acta Paediatrica, 2008)
1
2
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Trovare soluzioni a queste carenze non è semplice né è realizzabile in tempi brevi, ma è ormai indispensabile affrontare in maniera organica e collegiale il problema dei sistemi assistenziali e
tracciare una chiara e comune linea programmatica che possa
concretizzarsi in programmi di prevenzione e modelli di presa in
carico dell’adolescente (2-9).
Devono essere istituite modalità programmate di passaggio
assistenziale (transizione) tra i servizi pediatrici e i servizi dell’adulto. Questa fase di transizione (tra pediatra di famiglia e medico di medicina generale) dovrà essere gestita attraverso protocolli, riconosciuti in ambito di contrattazione nazionale, che consentano al nuovo curante, oltre che la presa in cura dell’adolescente, anche l’acquisizione di informazioni certe non solo sul
suo stato sanitario ma anche sugli aspetti di tipo sociale e relazionale più rilevanti. Il secondo livello assistenziale dovrà provvedere alla transizione degli adolescenti affetti da patologie croniche complesse, che necessitano di essere presi in carico dai
centri specialistici dell’adulto, secondo percorsi accreditati
anche sulla base di esperienze nazionali ed internazionali (12).
Il Progetto SIMA
La Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) propone
che:
Dal punto di vista formativo, per colmare le lacune esistenti e
assicurare competenze omogenee in questo settore su tutto il
territorio nazionale, l’adolescentologia medica abbia un ruolo
preminente nei programmi di Educazione Medica Continua
(ECM), sia per pediatri che per gli altri professionisti ed operatori sanitari che si occupano di adolescenti; nella programmazione
e realizzazione di tali programmi è fondamentale l’apporto della
Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per il background culturale e l’esperienza acquisita in tale ambito in circa 15
anni di attività.
Dal punto di vista assistenziale, si propone un modello organizzativo articolato in 2 livelli:
1. Primo livello, identificabile con i Medici delle Cure Primarie e
i Servizi territoriali, con compiti di educazione sanitaria, prevenzione, filtro e, quando possibile, trattamento delle condizioni più
comuni nella età adolescenziale sia in ambito individuale che collettivo, con particolare attenzione al mondo della scuola. A livello delle cure primarie, inoltre, dovrebbe essere sviluppato un
“Progetto Salute Adolescente”, che preveda l’esecuzione di
bilanci di salute dedicati ad età filtro, anche attraverso modalità
di chiamata attiva. Tali bilanci dovrebbero sostituire pregresse
forme di intercettazione delle patologie adolescenziali, oggi non
più presenti, usualmente tardivi, o dedicati solo a parte della
popolazione (es. visita di leva). Per svolgere queste funzioni, gli
operatori coinvolti (pediatri di famiglia, medici di medicina generale, pediatri di comunità, infermieri pediatrici, etc.) dovranno
possedere specifiche conoscenze e competenze di adolescentologia, accreditate da percorsi ECM, certificati dalla SIMA di
concerto con le Istituzioni sanitarie nazionali (10).
2. Secondo livello: questo viene identificato in strutture multidisciplinari localizzate all’interno dell’Area Pediatrica, che dovranno
attivare, oltre a servizi ambulatoriali e day hospital, un numero
adeguato di posti letto per adolescenti in aree di degenza specifiche, programmate in base a dati epidemiologici regionali. Tali
strutture dovranno essere dirette da un pediatra con riconosciuta competenza in medicina dell’adolescenza, anche sulla base di
un percorso di accreditamento individuato dalla SIMA e validato
dalle istituzioni sanitarie (9, 11). Il secondo livello ha anche compiti di produrre cultura e di collaborare con le strutture di I livello
che si occupano di adolescenti in un modello integrato a rete (8).
I presupposti per un cammino
verso la qualità in medicina
dell’adolescenza
La complessità “dell’adolescente”, nel suo insieme sanitario e
sociale, impone il suo inserimento in un percorso qualità che
consenta la tracciabilità di tutti gli interventi sanitari e psicosociali effettuati; il percorso assistenziale dovrà quindi essere rivisto in
un’ottica di “Total Quality Management” (13). Diviene fondamentale il ruolo manageriale dei medici nella promozione della
Qualità al fine di esaminare efficacia ed efficienza dei percorsi e
processi sanitari offerti all’adolescente. Per poter misurare e giudicare il percorso di qualità implementato nell’ambito dell’adolescenza è necessario definire gli aspetti che possono essere
misurati e confrontati.
Sono almeno sette gli aspetti o “dimensioni” della qualità - efficacia attesa, efficacia pratica, competenza tecnica, accettabilità,
efficienza, adeguatezza, accessibilità e appropriatezza - che possono essere racchiusi nello schema riportato in Tabella 2 (14).
Un percorso di qualità per l’adolescente, anche ai fini del sostegno delle conoscenze di base e di tutto quanto possa intervenire in un programma di total quality, presuppone che:
a. il personale venga adeguatamente formato a valutare e
migliorare l’organizzazione sanitaria e la performance del lavoro sull’adolescente;
b. il personale debba obbligatoriamente partecipare a sistematici programmi di aggiornamento atti al miglioramento della
qualità;
c. le organizzazioni sanitarie forniscano al personale dati accurati, completi e tempestivi mediante i quali le prestazioni cliniche
e l’organizzazione dei percorsi assistenziali per adolescente
possano essere efficacemente ed effettivamente misurate;
d. l’accessibilità alle informazioni sul percorso di salute dell’adolescente sia garantita a tutto il personale medico e sanitario dell’ospedale e del territorio secondo standard atti a
garantire le misure concrete e valutabili per il miglioramento
della qualità.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente.
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato
Tabella 2. Aspetti o “dimensioni” della qualità e relative definizioni.
Indicatore
Definizione
Azione
Efficacia attesa
Capacità potenziale di un certo intervento di
modificare in modo favorevole le condizioni di salute
delle persone cui è rivolta, quando esso venga
applicato in condizioni ottimali.
Fare ciò che è utile
Efficacia Pratica
Risultati ottenuti dall’ applicazione di routine
dell’intervento.
Nel modo migliore
Competenza tecnica
Livello di applicazione delle conoscenze scientifiche,
delle abilità professionali e delle tecnologie disponibili.
Da chi eroga cure
Accettabilità
Grado di apprezzamento del servizio da parte
dell’utente.
Per chi le riceve
Efficienza
Capacità di raggiungere i risultati attesi con il minor
costo possibile.
Al minor costo
Adeguatezza e Accessibilità
Capacità di assicurare le cure appropriate a tutti
coloro che ne hanno effettivamente bisogno.
A chi ne ha bisogno.
Appropriatezza
Grado di utilità della prestazione rispetto al problema
clinico e allo stato delle conoscenze
E soltanto a loro
stenza sanitaria. A tale proposito, è opportuno necessario partire dai seguenti due assiomi di base:
La qualità non è principio unico ed universale, ma conta moltissimo “l’osservatorio” dal quale si esprime la valutazione.
La qualità è un fenomeno multidimensionale, dinamico e dipendente da numerosi fattori, tra loro correlati; può essere valutato
sotto il profilo professionale, umanistico ed organizzativo.
Il seme del cambiamento nella valutazione della qualità è dentro
ogni attore del servizio sanitario ed è un seme di miglioramento
continuo della qualità in tutti i suoi aspetti e con tutte i naturali
limiti, che necessitano di trovare un suolo personale e professionale - ma anche organizzativo e sociale - fertile.
In medicina dell’adolescenza, è oramai imprescindibile l’esigenza di adottare processi di miglioramento continuo della qualità
che condurranno alla crescita della dimensione “oggettiva” delle
prestazioni ma anche degli elementi “soggettivi”, difficilmente
misurabili ma abbondantemente richiesti da istanze di umanizzazione e personalizzazione dei servizi.
Il benessere globale (fisico, psicologico e sociale) dell’adolescente appartiene al mandato connaturale delle figure mediche e sanitarie, nonostante vi possano essere diversità di opinione (17-18).
Se da un lato i medici e gli infermieri e tutti gli attori del servizio
sanitario sono chiamati ad instaurare una relazione di aiuto efficace, mettendo l’adolescente in condizioni di esprimere i propri
bisogni, curandone l’accoglienza, educandolo al corretto uso
della struttura e a recepire quelle che sono le aspettative, dall’altra gli stessi adolescenti sono chiamati a contribuire al miglioramento della qualità delle cure partecipando attivamente alla valutazione della qualità delle cure e degli interventi sanitari. Un concetto d’acquisire e che la ricerca della qualità non è un mandato
irrealizzabile.
Un altro presupposto per il successo dei programmi per la
Qualità in campo adolescenziale è la formazione che sviluppa,
alimenta ed avvalora il ruolo delle scienze comportamentali piuttosto che delle soluzioni tecniche. La cultura, gli atteggiamenti, la
formazione ed il management delle risorse umane sono essenziali. I Piani sanitari spesso ne fanno menzione, ma senza identificare o finanziare i soggetti a cui è preposta la responsabilità
della loro implementazione.
Per operare nel percorso qualità, gli operatori devono acquisire
le informazioni sull’approccio medico, quindi analizzarle alla luce
dei suddetti standard, definendo il migliore percorso qualità.
Conclusioni
….se venisse eliminata la Qualità, soltanto la razionalità
rimarrebbe immutata. Strano. Come mai??
Fedro non lo sapeva, ma sapeva che eliminando la Qualità
dalla descrizione del mondo così come lo conosciamo
aveva messo in luce l’importanza di questa nozione che
diventava fondamentale in un modo che lui non aveva
neanche sospettato. Il mondo può funzionare senza di essa,
ma la vita sarebbe così insulsa che non varrebbe neanche
la pena di essere vissuta.
Robert M. Pirsig
Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (15)
Questo lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo nella trattazione del complesso tema sulla qualità nell’assistenza all’adolescente, ma vuole far emergere come e quanto possa essere pregnante l’utilizzo di standard di qualità (16) nel mondo dell’assi-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Cambiare in meglio si può, è però indispensabile impegno, doveroso interesse e tenace motivazione. L’elaborazione di supporto
informativo ed informatico al processo assistenziale (Cartella
Clinica adolescenziale Integrata-Umanizzata) è di fondamento al
percorso fin qui descritto di definizione della qualità (19).
In estrema sintesi, per raggiungere gli obiettivi indicati sono fondamentali le seguenti condizioni:
1. adeguata competenza adolescentologica;
2. formazione continua degli operatori;
3. ascolto, servizi in rete, anche mediante la strutturazione di una
nuova medicina scolastica, da sviluppare sul modello delle
“school clinics” sperimentate con successo in altri paesi.
Inoltre i programmi di prevenzione dovrebbero basarsi sul
concetto che la crescita di una coscienza collettiva e individuale presuppone una maturazione culturale che può essere
raggiunta solo attraverso l’attivo coinvolgimento in ambito
familiare, scolastico e sociale (5-6);
4. sviluppo di processi di Total Quality Management.
Il lavorare quotidianamente con gli adolescenti ci ha insegnato e
ci insegna che i ragazzi sono molto attenti ai problemi medici e
sociali che li riguardano, con una grande sensibilità che va analizzata, indirizzata e valorizzata in modo che questa non venga
dispersa dalla mancanza d’informazione e dalla inadeguata formazione. In effetti, i giovani stessi sono una risorsa preziosa che
può e deve contribuire positivamente alla risoluzione di molti problemi; per tale motivo è indispensabile che essi vengano coinvolti in prima persona in tutte le attività di prevenzione a essi
destinate (20-21).
Per la realizzazione delle varie iniziative la SIMA si propone come
soggetto scientifico di riferimento, potendo svolgere un ruolo attivo di rilievo in tutte le iniziative future sui progetti di salute per l’adolescente.
per migliorare la qualità: il ruolo dell’ospedale. Minerva Pediatr
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Corrispondenza:
Dott. Giuseppe Raiola
U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza
U.O.C. di Pediatria, A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
Tel. - Fax: 0961/883118
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Quando consigliare
la vaccinazione anti-HPV
Gianni Bona
Clinica Pediatrica di Novara, Dipartimento di Scienze Mediche
Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”
Riassunto
L’infezione da papillomavirus umano è la più comune infezione sessualmente trasmessa nel mondo. Essa
si risolve spontaneamente nella grande maggioranza dei casi. Talora può però dar origine ad infezione cronica che, nel
caso di genotipi virali ad alto rischio, può associarsi allo sviluppo del tumore del collo uterino. In particolare, l’HPV 16
e 18 sono responsabili del 70% dei tumori della cervice e, in proporzioni variabili, di tumori della vagina, della vulva, dell’ano, del pene e dell’orofaringe. Genotipi a basso rischio, come l’HPV 6 e 11, causano invece i condilomi acuminati.
Utilizzando particelle simil virali (VLP) di una proteina capsidica (L1) sono stati preparati due vaccini verso HPV 16 e 18,
approvati dalla FDA, EMEA ed AIFA per l’uso in femmine dai 9 ai 26 anni. Uno di questi, contenente anche VLP di HPV
6 e 11. Studi su larga scala hanno mostrato che tali vaccini sono sicuri, ben tollerati, inducono alti livelli di anticorpi neutralizzanti e prevengono le lesioni cervicali (e i conditomi acuminati) dovuti ai tipi di HPV in essi contenuti. Per essere
efficaci i vaccini devono essere somministrati prima dell’inizio dell’attività sessuale. In Italia, la scelta è di offrirlo a tutte
le ragazze nel dodicesimo anno di vita. Due Consensus Conferences in area pediatrica su tali vaccini si sono tenute in
Italia nel 2007 e nell’anno in corso e vengono qui riassunti i dati essenziali relativi all’infezione da HPV, alla sua associazione con il tumore cervicale nonché i risultati emersi dall’impiego profilattico dei vaccini ed il ruolo primario del pediatra per l’adozione ottimale di questa nuova strategia preventiva.
Parole chiave: vaccinazione anti-HPV, condilomi, carcinoma collo dell'utero, malattie sessualmente trasmesse.
When recommend the vaccine against HPV
Summary
Genital human papillomavirus (HPV) infection is the most common sexually transmitted infection worldwide. Spontaneous clearance of HPV infection occurs in most cases, but chronic infection with high risk genotypes is
associated with the development of cervical cancer. In particular, HPV 16 and 18 are responsible for 70% of cancers of
the cervix and, in variable proportions, for cancers of the vagina, vulva, anus, penis and oropharinx. Low risk HPV genotypes, such as HPV 6 and 11, cause genital warts. Two prophylactic vaccines using virus like particles (VLPs) of L1 capside protein of HPV 16 and 18 have been developed and recently they have been approved by FDA, EMEA and AIFA for
use in 9-26 year-old females. Of these, one also containing VLPs of HPV 6 and 11. Large scale studies have shown that
these vaccines are safe, tolerated well, elicits high levels of neutralizing antibodies, prevents chronic HPV infections due
to genotypes present in the vaccine, and associated cervical lesions (and genital wars for the quadrivalent vaccine). To
be effective the vaccines should be given prior to sexual debut. In Italy, the vaccination will be offered to 12 year-old girls.
This article is the result of two targeted Consensus Conference by a panel of experts, which reviews the cornerstones of
HPV infection, its association with cervical cancer, the advances in prophylactic vaccines, and the primary role of the paediatrician for the optimal adoption of this new preventive strategy.
Key words: HPV infection, vaccination, sexually transmitted infections.
Il tumore della cervice uterina è la seconda causa di morte per
cancro nelle donne in tutto il mondo, dopo il cancro del seno (1).
La peculiarità di questa neoplasia è di avere come elemento indispensabile per il suo sviluppo l’infezione, acquisita prevalente-
mente per via sessuale, da uno dei sottotipi oncogeni di papillomavirus umano (Human Papilloma Virus, HPV) (2), che è considerato il cancerogeno biologico più potente della specie umana.
Ne deriva la possibilità di impedire la comparsa del tumore attra-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
hanno evidenziato significativi effetti collaterali. Anche gli studi in
fase III non hanno evidenziato particolari effetti collaterali della
vaccinazione. I più comuni effetti collaterali sono stati quelli locali e la febbre. Non si sono infine notati eventi avversi in seguito a
vaccinazione di donne già infettate da tipi di HPV contenuti nei
vaccini.
Dopo l’immissione in commercio, i dati di farmacovigilanza statunitensi (VAERS), riguardanti oltre 5 milioni di dosi distribuite,
non hanno ad oggi mostrato segnali di allarme. La maggioranza
degli effetti collaterali ha riguardato reazioni nella sede di iniezione. Per quanto attiene le reazioni sistemiche sono stati segnalati
13 casi di Sindrome di Guillain Barrè.
La misurazione degli anticorpi anti-L1 VLP è stato il principale
parametro per valutare le risposte immuni indotte dai vaccini
negli studi clinici (9). Gli anticorpi sono tipo-specifici, anche se
esistono omologie fra alcuni HPV che condividono uno o più epitopi (ad es. HPV 6/11, 31/33, 18/45 e 16/31). I vari studi documentano, invece, sieroconversione verso tutti i tipi di HPV contenuti nel vaccino in più del 98% dei casi. Inoltre, i soggetti immunizzati presentano risposte anticorpali sostanzialmente maggiori
di quelle riscontrate in seguito a infezione naturale. In generale, i
titoli anticorpali si riducono di 10 volte nei primi 2 anni e si stabilizzano a 3-5 anni, mantenendosi a livelli di oltre 10 volte superiori a quelli indotti dall’infezione (10).
Poiché è eccezionale che il cancro del collo dell’utero compaia
in donne in età inferiore ai 30 anni, sarebbero necessari almeno
15-20 anni per quantificare gli effetti favorevoli della vaccinazione anti-HPV sullo sviluppo della(e) neoplasia(e). La verifica dell’efficacia dei vaccini si è pertanto basata sul confronto della
comparsa di lesioni pre-cancerose nei vaccinati e nei controlli.
L’efficacia tipo specifica è risultata del 100%; la protezione verso
i condilomi del 99%. Nelle donne precedentemente infettate da
altri tipi di HPV, il vaccino quadrivalente si è dimostrato efficace
nel prevenire lesioni precancerose del collo dell’utero dovute ai
tipi di HPV in esso contenuti (11).
Efficacia sovrapponibile per la prevenzione di displasie del collo
dell’utero è emersa in studi di fase III anche con il vaccino bivalente (12).
Da sottolineare che l’ottima efficacia dei vaccini emerge quando
vengono valutate solo le donne risultate negative per i tipi di HPV
contenuti nel vaccino (naive) sia all’inizio dello studio che dopo le
tre dosi, somministrate senza violazioni significative del protocollo. Nel caso del vaccino quadrivalente è stata condotta anche
un’analisi intention to treat, in cui sono state considerate tutte le
donne arruolate, purché avessero ricevuto almeno una dose di
vaccino o placebo, indipendentemente quindi dall’aderenza o
meno al protocollo e soprattutto dal fatto che fossero inizialmente già infette con i tipi di HPV contenuti nel vaccino. Con questo
tipo di analisi l’efficacia vaccinale verso le lesioni pre-neoplastiche ovviamente si riduce e gli intervalli di confidenza al 95%
scendono frequentemente sotto lo zero, risultando quindi non
significativi
verso la prevenzione primaria dell’infezione tramite vaccini. La
sperimentazione nell’uomo ha recentemente portato allo sviluppo di vaccini dimostratisi ben tollerati, altamente immunogeni ed
efficaci nel prevenire le infezioni persistenti e le lesioni intraepiteliali causate da virus appartenenti ai tipi in essi contenuti.
Poiché la popolazione a cui primariamente sono destinati i vaccini contro il papillomavirus è rappresentata da bambine prepuberi o adolescenti non ancora contagiate, ossia che non
abbiano ancora avuto rapporti sessuali, i pediatri si troveranno
spesso ad essere consultati e ad esprimere un’opinione in proposito o ad effettuare la vaccinazione.
L’HPV è un virus a DNA in grado di infettare la cute e le mucose
e di raggiungere le cellule basali degli strati più profondi dell’epitelio ove inizia a replicarsi; giunto agli strati superficiali, ove avviene l’assemblaggio, si espande attivamente e, in seguito allo sfaldamento dell’epitelio, si diffonde nell’ambiente contagiando per
contatto diretto altre persone.
Alcuni genotipi virali, HPV 16 e HPV 18 sono quelli più importanti per la carcinogenesi cervicale, poiché identificati nel 70% dei
tumori squamosi.
L’HPV è di solito trasmesso in seguito a rapporti sessuali E’ ritenuta l’infezione a trasmissione sessuale più frequente al mondo.
Circa la metà delle infezioni avviene fra i 15 e 25 anni (2) e l’80%
delle donne sessualmente attive è contagiato entro i 50 anni.
L’incidenza annuale di nuovi casi di cancro della cervice nel
mondo è stimata in 493.000 nuovi casi, con 274.000 morti.
Essendo colpite donne relativamente giovani, il cancro della cervice costituisce un’importante causa di perdita di anni di vita,
specie nei paesi in via di sviluppo ove è il più comune dei tumori fra le donne. In Europa e negli USA muoiono comunque ancor
oggi circa 35.000 donne ogni anno per cancro della cervice. La
forma prevalente, in Italia come in tutti gli altri Paesi, è quella a
cellule squamose.
La finalità principale della vaccinazione verso HPV è quella di
prevenire il tumore del collo uterino e le relative lesioni precancerose, in seconda istanza di ridurre l’incidenza di altri tumori
associati al virus ed, infine, le lesioni benigne causate dallo stesso, come i condilomi acuminati.
Utilizzando particelle simil virali (VLP) di una proteina capsidica
(L1), sono stati sviluppati due vaccini in grado di prevenire l’infezione da HPV e le lesioni precancerose associate con effetti persistenti per più anni (3-8):
Il vaccino quadrivalente (Gardasil, Sanofi Pasteur MSD)
Contiene antigeni che proteggono nei confronti dei sierotipi HPV
16, 18, 6 e 11 (83). I protocolli impiegati si basano su tre somministrazioni (a 0, 2 e 6 mesi) (84). (approvato dai 9 ai 26 anni).
Il vaccino bivalente (Cervarix, GlaxoSmithKline)
Contiene antigeni contro HPV 16 e 18. Anche per questo vaccino il protocollo utilizzato prevede tre somministrazioni (a 0, 1 e 6
mesi) (approvato dai 10 ai 25 anni).
Entrambe i vaccini sono disponibili in Italia.
Durante gli studi randomizzati di fase II entrambi i vaccini non
96
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Fra i quesiti ancora aperti relativi ai vaccini anti-HPV uno dei più
rilevanti riguarda la durata dell’effetto protettivo. Una protezione
transitoria necessiterebbe, infatti, di richiamo(i) e ciò verrebbe ad
incidere sul rapporto costo/beneficio.
La maggioranza dei dati disponibili sull’efficacia dei vaccini si
riferisce ad un follow-up medio di pochi anni con un massimo di
cinque dal termine del ciclo vaccinale. Non è pertanto possibile
prevedere se sarà necessaria, a distanza di anni, una dose di
richiamo. Al momento i risultati documentano una risposta elevata e prolungata. E’ stata inoltre dimostrata una pronta risposta
anamnestica dopo somministrazione di una dose di vaccino
quadrivalente a distanza di 5 anni dal ciclo vaccinale, inclusi soggetti nel frattempo sieronegativizzatisi, ad indicare la persistenza
di memoria immunologica .
L’infezione da HPV viene acquisita nel tempo dopo l’inizio dell’attività sessuale. Gli attuali vaccini non sono in grado di far
regredire le lesioni in atto. Ne deriva che per ottimizzarne l’efficacia dovrebbero essere vaccinate le ragazze pre-puberi o nel
primo periodo adolescenziale, così come le donne che non
abbiano ancora avuto rapporti sessuali (da ricordare che la trasmissione avviene anche per rapporti non completi). L’Advisory
Committee on Immunization Practices (ACIP) raccomanda l’uso
routinario del vaccino in ragazze di 11-12 anni (età minima 9
anni) e catch-up vaccination nelle donne di 13-26 anni, indipendentemente dal fatto che siano sessualmente attive. Inoltre,
viene indicata la possibilità di vaccinare, a discrezione del medico curante, bambine di 9-10 anni sulla base del contesto sociale in cui vivono (3).
In Italia è prevista la vaccinazione attiva e gratuita della coorte di
ragazze dodicenni (ossia dopo il compimento degli 11 anni) e il
vaccino rientra fra i livelli essenziali di assistenza (LEA), mentre
l’organizzazione pratica della vaccinazione attraverso le strutture
del sistema sanitario compete alle singole Regioni. A maggio
2008 tutte le Regioni risultano aver stabilito i calendari per la
somministrazione dei vaccini verso i virus HPV. In alcune regioni,
il programma di intervento prevede che i vaccini vengano messi
a disposizione attivamente non solo per le ragazze nel corso del
dodicesimo anno di vita, ma anche per altre coorti.
Va segnalato che nel nostro paese al compimento del 12° anno
il 96,8% delle bambine ha già manifestato i primi segni di sviluppo puberale e che l’età media del menarca è di 12,4 anni (13). .
Inoltre un’indagine recente segnala che l’1% dei ragazzi ha rapporti sessuali entro i 12 anni ed un terzo entro i 17 anni. Alcuni
adolescenti tendono ha iniziare precocemente l’attività sessuale
(14): in questi soggetti, come in certi gruppi di immigrati le cui
tradizioni culturali potrebbero favorire rapporti sessuali precoci,
dovrà quindi essere valutata l’opportunità di una vaccinazione
anticipata.
Perché la vaccinazione verso HPV abbia successo sono necessari più fattori: un’adeguata informazione della popolazione e
degli operatori sanitari, una chiara volontà politica, le risorse ed
una strategia per la sua implementazione (incluse l’identificazio-
ne e la distribuzione del vaccino ai servizi) e una precisa programmazione dell’intervento in maniera sequenziale. Infine, è
necessaria un’alta copertura con sorveglianza nel tempo.
L’adesione alla vaccinazione passa necessariamente attraverso
una corretta informazione degli operatori (15,16). Onde uniformare il più possibile il loro comportamento e integrarsi nelle specifiche competenze, questi potranno avvalersi delle raccomandazioni emanate dalle Società Scientifiche delle professionalità
coinvolte, rafforzando in tal modo la campagna di informazione
programmata dalle Regioni e dal Ministero. Per quanto riguarda
i pediatri, un’indagine condotta in Italia (17) ha confermato l’utilità che la campagna vaccinale sia preceduta da un loro aggiornamento sull’argomento. In particolare, sebbene i pediatri coinvolti nello studio abbiano in generale dimostrato una propensione a consigliare la vaccinazione ai propri assistiti, è emersa la
mancanza di alcune conoscenze mirate sull’infezione da HPV e
la sua prevenzione, oltre alla necessità di ampliare e approfondire ulteriormente la discussione sulle tematiche sessuali. Nella
realtà assistenziale italiana, che prevede la figura del pediatra di
famiglia da cui vengono assistite oltre l’80% delle dodicenni, il
pediatra è scelto sulla base di un rapporto di fiducia che decorre spesso fin dalla nascita ed i genitori attribuiscono grande
importanza alla sua opinione per l’esecuzione di qualsiasi tipo di
vaccinazione. Quella verso HPV ha indubbiamente aspetti più
complessi ed articolati rispetto ad altre. La continuità del rapporto di fiducia del Pediatra con la famiglia e la ragazza gli consente di affrontare adeguatamente nel corso degli anni i temi legati
a corretti stili di vita, evidenze propedeutiche alla tutela della
salute anche in età adulta, ed in questo ambito si inseriscono
l’informazione riguardante il vaccino anti-HPV e le problematiche
sessuali connesse.
Le visite programmate (bilanci di salute) prevedono un controllo
proprio in età pre-adolescenziale. In tale occasione il Pediatra
avrà modo di promuovere e rafforzare l’invito alla vaccinazione
fatto dal centro di Sanità Pubblica. Ove sussistano le condizioni
potrà egli stesso procedere a vaccinare attivamente, contribuendo così in modo sostanziale al raggiungimento dell’auspicata
copertura vaccinale (18).
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Corrispondenza:
Dott. Gianni Bona
Clinica Pediatrica
Corso Mazzini ,18 - 28100 Novara
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
I noduli tiroidei: follow-up e terapia
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
I noduli tiroidei:
follow-up e terapia
Graziano Cesaretti
UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Riassunto
L’importanza di un corretto inquadramento diagnostico dei noduli tiroidei deriva principalmente dalla necessità di ottenere informazioni precise e dettagliate per una precoce individuazione delle formazioni indicative o a rischio di carcinoma tiroideo, ai fini di poter selezionare accuratamente i soggetti da sottoporre al trattamento chirurgico.
I noduli tiroidei costituiscono la patologia endocrina di più frequente riscontro nella pratica medica. La loro frequenza varia
in relazione all’area geografica considerata, in particolare all’apporto iodico e, soprattutto, in rapporto al criterio impiegato
per la loro individuazione, in quanto l’uso sempre più diffuso della diagnostica strumentale ha permesso di evidenziare, talora in modo inatteso, la presenza di reperti nodulari che il semplice esame clinico non consentiva di rilevare.
La diagnosi differenziale del nodulo tiroideo è fondamentalmente tra formazione benigna e carcinoma tiroideo. Si avvale di
un insieme di dati clinici, strumentali e di laboratorio, solo la cui valutazione complessiva è in grado di fornire le informazioni atte a stabilire il comportamento diagnostico più adatto e, conseguentemente, la strategia terapeutica più appropriata.
Parole chiave: nodulo tiroideo, ecografia tiroidea, carcinoma tiroideo, terapia medica e chirurgica.
L’importanza di un corretto inquadramento diagnostico dei
noduli tiroidei deriva principalmente dalla necessità di ottenere
informazioni precise e dettagliate per una precoce individuazione delle formazioni indicative o a rischio di carcinoma tiroideo, ai
fini di poter selezionare accuratamente i soggetti da sottoporre al
trattamento chirurgico.
In soggetti senza tireopatia;
In soggetti con tireopatia di varia natura.
B. Sede:
Intratiroidea: nel contesto del parenchima ghiandolare;
Peritiroidea: in contiguità alla ghiandola;
Extratiroidea: nella regione cervicale, non in diretto contatto
con il tessuto tiroideo.
C. Origine:
Da tessuto tiroideo:
- In sede intratiroidea;
- In sede peri o extratiroidea, trattandosi di noduli di tessuto
tiroideo ectopico.
Di natura non tiroidea:
- Da tessuto embriologicamente correlato alla tiroide;
- Da tessuto embriologicamente extratiroideo.
D. Numero:
Solitari o singoli o isolati, quando è presente un solo nodulo;
Multipli, quando i noduli sono almeno due; da rilevare che,
nell’ambito di una plurinodularità, si definisce dominante, il
nodulo che ha caratteristiche particolari che lo differenziano
dagli altri, sia cliniche (maggiori dimensioni e/o consistenza,
rapido accrescimento), sia ecografiche (dimensioni, ecogenicità, ecostruttura).
E. Dimensioni o volume:
All’ispezione e soprattutto alla palpazione è possibile rilevarne le
dimensioni, le cui misure esatte possono essere ottenute con
Definizione
Si definisce nodulo tiroideo una formazione di aspetto e dimensioni variabili situata nel contesto della ghiandola tiroide con
peculiarità strutturali diverse nei confronti del restante parenchima, oppure con caratteristiche simili, ma parzialmente o totalmente distinte dal tessuto circostante.
Da rilevare che esistono anche noduli di natura “embriologica”
tiroidea che sono situati nella regione cervicale, in posizione
“ectopica”, al di fuori della tiroide e che, al contrario, nel contesto della ghiandola si possono identificare dei noduli “embriologicamente” non tiroidei.
Classificazione
Possono essere distinti in base a diversi criteri.
A. “Status” tiroideo:
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Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
precisione con l’indagine ecografica. Possono essere distinti
anche in:
Modificanti significativamente le dimensioni tiroidee (nodulo
gozzigeno, ossia gozzo nodulare);
Non modificanti significativamente le dimensioni tiroidee
(nodulo non gozzigeno).
F. Forma:
Regolare: rotondeggianti o ovoidali;
Irregolari.
G. Consistenza/Contenuto:
Possono essere percepiti alla palpazione come duri, elastici, o
molli, cui può corrispondere, dal punto di vista della ecostruttura, un contenuto:
Anecogeni (liquidi);
Ipoecogeni o normoecogeni o iperecogeni (solidi);
Misti.
H. Rapporto con i tessuti circostanti:
I noduli può essere aderente alla cute sovrastante o ai tessuti
molli sottostanti o alle strutture muscolari limitrofe. La appartenenza di una formazione nodulare alla tiroide è determinata dalla
consensualità del suo spostamento con l’atto della deglutizione.
I. Funzione:
Eumetabolici (normofunzionanti);
Tossici (iperfunzionanti).
J. Rilievo scintigrafico:
Freddi;
Tiepidi (“warm”);
Caldi (“hot”).
K. Caratteristiche biologiche
Citologiche: benigni, maligni, dubbi o non diagnostici;
Istologiche: iperplastici, neoplastici, colloidi, cistici o tiroiditici.
Da rilevare che la percentuale di malignità è più elevata (20-40%)
nel nodulo isolato e si riduce nettamente, all’1% nel gozzo multinodulare. In età pediatrica, il nodulo isolato possiede, di per sé,
circa il 10-40% di possibilità di essere un carcinoma, nei confronti
del 10% della popolazione adulta; tale eventualità è più elevata,
a parità di tutte le altre condizioni, nel sesso maschile.
interferenti sulla funzione tiroidea, oppure la sensazione soggettiva di variazione delle dimensioni del nodulo stesso.
Esame clinico locale
Un adeguato esame clinico costituisce la base essenziale per un
corretto inquadramento diagnostico, consentendo di individuare
con buona probabilità il numero e le caratteristiche essenziali dei
noduli tiroidei.
L’ispezione mira a valutare la tumefazione nella regione del collo
ed osservarne le caratteristiche, quali quelle riguardanti la cute
sovrastante (entità della tumefazione, arrossamento o retrazione
cicatriziale), le dimensioni, la simmetria, l’eventuale deviazione
della trachea, la mobilità con la deglutizione, in quanto la risalita
consensuale è indice della natura tiroidea della tumefazione, a
meno che non si siano già instaurate aderenze alle regioni circostanti (carcinoma o tiroidite cronica invasiva). Deve anche essere anche ricercata l’eventuale presenza di circolo iperdinamico
(“danza” delle carotidi) o di un turgore delle vene del collo.
Alla palpazione, devono essere ricercati:
il numero delle formazioni nodulari;
la eventuale dolorabilità;
le dimensioni, che possono essere espresse attraverso una
comparazione o con una valutazione centimetrica approssimativa;
le consistenza, ossia le caratteristiche della superficie: liscia
e regolare, oppure irregolare o bozzoluta;
le eventuali aderenze con i tessuti limitrofi: cute sovrastante,
tessuti sottostanti, muscoli circostanti;
la presenza di eventuali linfoadenomegalia latero cervicali
che dovranno essere attentamente valutate, descrivendone
le caratteristiche semeiologiche (sede, numero, dimensioni,
consistenza, aderenze ai tessuti circostanti, mobilità). Da rilevare che il riscontro di tumefazioni linfonodali costituisce
spesso il primo segno di carcinoma tiroideo nell’infanzia.
Completa l’esame obiettivo la auscultazione che mira alla ricerca
di un eventuale soffio sistolico, come indice di eventuale nodulo
iperfunzionante o di una tireotossicosi, condizione che comunque non esclude di per sé la presenza di noduli.
L’esame clinico dovrà essere integrato, soprattutto nel caso di un
nodulo di notevoli dimensioni, dalla ricerca dei segni di compressione del nervo ricorrente, quali disfonia, dispnea, disfagia,
tosse e stridore.
Diagnosi clinica
Anamnesi
Familiare: mira ad individuare i soggetti con familiarità per
neoplasie o per patologie tiroidee in genere, soprattutto su
base autoimmunitaria. Da rilevare che le forme ereditarie di
carcinoma midollare della tiroide (il 25-40% del totale sono
forme familiari o all’interno della MEN-2) sono trasmesse
come carattere autosomico dominante e che esistono anche
rari casi di carcinoma familiare papillare tiroideo (3%).
Personale: deve essere rivolta a rilevare la residenza attuale o
precedente in zone a carenza iodica, una eventuale pregressa esposizione a radiazioni ionizzanti o a mezzi diagnostici
Diagnosi strumentale
Ecografia tiroidea
Si tratta di un esame strumentale che ricopre un ruolo fondamentale e che ha sostanzialmente modificato l’iter diagnostico
dei noduli tiroidei, consentendo di stabilire con esattezza l’appartenenza alla tiroide di una formazione nodulare della regione
del collo e di definirne le varie caratteristiche. In mani esperte, di
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
I noduli tiroidei: follow-up e terapia
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
coloro che hanno esperienza specifica di ecografia pediatrica, si
rivela uno strumento essenziale.
Dimostra una sensibilità superiore a quella del semplice esame
obiettivo, in quanto è possibile individuare anche noduli che
hanno dimensioni di pochi millimetri, altrimenti non rivelabili clinicamente: infatti, con una sonda ecografia real-time ad alta risoluzione (7,5 o 10 MHz), si possono identificare formazioni nodulari di dimensioni fino a 1 mm se di natura cistica, fino a 3 mm se
di natura solida.
Nello specifico, l’ecografia ci precisa:
Il numero, consentendo di identificare anche quelli non palpabili (generalmente con un diametro maggiore inferiore a 1
cm) e di definire quello dominante, ossia il nodulo con caratteristiche più sospette.
Le dimensioni, permettendo di calcolare il volume della formazione attraverso la formula dell’ellissoide di rotazione
[(lunghezza x spessore x larghezza x π/6 (0,52)]; l’indagine
consente inoltre di valutare nel tempo con esattezza le eventuali variazioni di volume, considerando significative quelle
maggiori del 30%.
La forma: regolare, irregolare, rotondeggiante, allungata. La
prevalenza del diametro ventro-dorsale rispetto al trasversale
(“more tall than wide”) potrebbe essere un indice di malignità.
La sede esatta: è possibile convenzionalmente dividere il lobo
tiroideo in tre parti per ciascuna delle tre dimensioni, che
sono, nell’ordine, la trasversale, la ventro-dorsale e la craniocaudale, derivandone la individuazione di 27 settori in cui collocare il nodulo.
Si definiscono come settori 1-9 quelli craniali, nell’ordine ventrali (1-3; in senso medio-laterale), mediani (4-6) e dorsali (79) e con le stesse modalità i settori 10-18 quelli mediani (in
senso cranio-caudale) e i settori 19-27 quelli caudali.
Naturalmente, a seconda delle dimensioni il nodulo potrà
occupare prevalentemente un settore o anche più settori.
Il contenuto: 1) interamente solido, ossia parenchimatoso e
quindi ecogeno; 2) interamente liquido, ossia cistico e quindi
anecogeno a contenuto sieroso, o colloide (con finissimi echi
non strutturati), o necrotico-emorragico (con pareti irregolari,
setti e corpuscoli ecoriflettenti); 3) misto (solido e liquido).
La ecogenicità: il nodulo può apparire, rispetto al parenchima
circostante, in parte o totalmente: 1) iporiflettente (ipoecogeno), motivo di sospetta lesione neoplastica; 2) normoreflettente (ipoecogeno); 3) iperriflettente (iperecogeno), indicativo
di benignità nel 99% dei casi.
La ecostruttura: può essere ad aspetto omogeneo, oppure
finemente o grossolanamente disomogeneo, oppure concamerato o cribroso, con eventuale vegetazione interna, caratterizzata da un gettone di tessuto solido in continuità con la
parete.
Le caratteristiche dei margini che possono essere: 1) regolari, lisci e ben presenti (“capsula” o “orletto periferico” o “vallo
di benignità” o “halo-sign”); 2) assenti, in parte o totalmente
senza soluzione di continuo col tessuto circostante, irregolari o frastagliati, con infiltrazione del parenchima tiroideo limitrofo; all’immagine color-Doppler l’alone corrisponde alla rete
vascolare perinodulare.
Le eventuali calcificazioni, che possono essere: 1) grossolane, con distribuzione a guscio d’uovo, che hanno generalmente carattere di benignità; 2) a spruzzo (finemente punteggiate), rilevate soprattutto come microcalcificazioni, identificabili come spot iperecogeni, del diametro inferiore a 2 mm
che orientano verso una patologia maligna, essendo tipiche
del carcinoma papillare e rappresentando l’equivalente delle
calcificazioni dei corpi psammomatosi.
La vascolarizzazione, valutabile con le tecniche del colorDoppler, o del power-Doppler, anche con l’ausilio di mezzi di
contrasto ecografici, può fornire le informazioni aggiuntive
sulla natura del flusso nodulare ed, in particolare, indicare se
è di tipo periferico (sostanzialmente “benigno”) o se risulta
presente anche all’interno del nodulo (potenzialmente “maligno”).
Le caratteristiche dei linfonodi latero-cervicali, che costituiscono un dato essenziale per stabilire la natura della linfoadenomegalia. In particolare, appare importante valutare gli elementi ecografici indicativi di lesione sospetta: i margini non
ben definiti, la scomparsa o l’asimmetria dell’ilo, il rapporto
tra asse maggiore e asse minore (segno di malignità: < 1,5)
con profilo rotondeggiante, la corticale ispessita o eccentrica,
la presenza di calcificazioni punteggiate all’interno, la ecostruttura disomogenea con aree simil-parenchimali e la
vascolarizzazione all’interno aumentata e non uniforme.
Da rilevare che talora possono essere scambiati per noduli degli
accumuli di sostanza colloide (lumps) che si caratterizzano per
lesioni anecogene, con diametro inferiore a 10 mm, non circondante da una capsula ben definita e che hanno probabilmente
caratteristiche dinamiche.
Agobiopsia con ago sottile
L’eventuale indagine successiva è costituita dall’agoaspirato
tiroideo che nella esecuzione eco-guidata fornisce una attendibilità diagnostica elevata (accuratezza diagnostica dell’80-90%). È
infatti un esame di esecuzione relativamente facile, ben accettato anche in età pediatrica, essenziale nell’iter diagnostico di un
nodulo tiroideo, essendo considerato oggi il gold standard diagnostico.
Può essere eseguito anche a livello del tessuto linfonodale laterocervicale e consente di eseguire, oltre all’indagine citologica
classica, anche altre indagini sul materiale prelevato o sul liquido
di lavaggio.
È possibile effettuare tale accertamento normalmente su noduli
di dimensioni superiori a 1 cm, ma può essere eseguito da persone esperte anche per dimensioni fino a 5 mm.
Le indicazioni all’impiego dell’agobiopsia tiroidea sono date dal
riscontro di:
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
nodulo unico isolato, solido o cistico con diametro superiore
a 1 cm;
nodulo dominante in un gozzo multinodulare;
lesioni nodulari nel contesto della malattia di malattia di
Basedow o di tiroidite cronica autoimmune;
nodulo di qualsiasi dimensioni, se con crescita rapida e/o
con linfonodi regionali sospetti;
aree sfumate di parenchima tiroideo nell’ambito di tiroiditi
subacute o croniche di dubbia interpretazione.
La tecnica di esecuzione può essere quella “a mano libera”,
tenendo con una mano la sonda ecografica e con l’altra la siringa, aspirando, quando sotto controllo ecografico, si rileva che
l’ago (ecoriflettente) è giunto nella posizione desiderata ed eseguendo alcuni movimenti di oscillazione; il prelievo può essere
effettuato su più punti dello stesso nodulo, a seconda delle sue
caratteristiche o anche, naturalmente, su più noduli. Tale modalità
di esecuzione si può avvalere di tecniche di marcatura della cute
sovrastante al fine di ottimizzare il punto di inserimento dell’ago.
L’altra tecnica di effettuazione è quella che utilizza delle sonde
“dedicate” con la guida dell’ago incorporata, richiedendosi uno
strumento di puntamento e di aspirazione che migliora la qualità
dell’accertamento, anche se potrebbe renderlo più indaginoso.
Si fissa una guida alla sonda ecografica, cui corrisponde una
immagine di puntamento sullo schermo, per cui inserendo l’agocannula (di tipo spinale) nella apposita guida, si segue un percorso ben definito ecovisibile; quando l’ago è arrivato nel punto
desiderato, si estrae il mandrino, si collega ad un sistema di
aspirazione (pistola Cameco®) e si aspira, eseguendo anche in
questo caso dei movimenti di oscillazione e ripetendo eventualmente anche più volte la manovra.
gne (adenoma follicolare, nodulo iperplastico) dalle forme maligne
(carcinoma follicolare, variante follicolare del carcinoma papillare).
Per tale motivo, si consiglia generalmente l’asportazione chirurgica per una diagnosi definitiva istologica.
Sul materiale allestito su vetrino è possibile effettuare altre indagini:
immunocitochimica, per il riconoscimento di marcatori tumorali, quali, ad esempio, la galectina-3 umana, soprattutto nelle
lesioni follicolari, e l’Human Bone Marrow Endothelial Cell-1
(HBME1);
videocitometria (image analysis): studio del contenuto del DNA
cellulare per la valutazione della ploidia;
ricerca di marcatori, mediante tecniche di biologia molecolare,
come, ad esempio, le mutazioni del proto-oncogene RET/PTC,
o nell’esone 4 del gene oncosoppressore p53;
Sul liquido di lavaggio dell’ago è possibile:
dosare marcatori quali la tireoglobulina, la calcitonina ed il
paratormone;
ricercare mutazioni genetiche caratteristiche del tumore tiroideo.
Scintigrafia tiroidea
È di impiego assai meno frequente rispetto a qualche anno fa, in
quanto la diffusione e, soprattutto, la migliore tecnica ecografica,
consentono spesso di inquadrare correttamente la patologia nodulare senza dover ricorrere all’impiego di isotopi radioattivi, anche se
i problemi legati alla dosimetria nel bambino sono risolti con l’impiego degli attuali traccianti. Da rilevare in ogni caso che la capacità di risoluzione dell’indagine non è superiore a 8-10 mm.
La scintigrafia tiroidea, eseguita con tecnezio-99m pertecnetato
(99mTc) o 131Iodio o, se disponibile con 123Iodio, che ha una breve
Ricerca su agoaspirato
tiroideo
L’esame citologico convenzionale riveste una
importanza fondamentale nel corretto inquadramento diagnostico di un nodulo tiroideo,
consentendo di definire le caratteristiche delle
cellule esaminate e di fornire quindi indicazioni sufficientemente precise sulle caratteristiche biologiche del nodulo. Deve essere eseguito da persone esperte che hanno una specifica esperienza nel settore.
Si ritiene che, per definire adeguato un prelievo citologico di un nodulo tiroideo, sia necessario identificare almeno due vetrini con almeno sei cluster cellulari formato ciascuno da
10-20 cellule follicolari ben conservate.
Rimane comunque piuttosto difficoltosa la
definizione biologica delle neoformazioni follicolari (6-10% di tutti i prelievi citologici), dal
momento che la lettura non consente di
discriminare adeguatamente le forme beni-
Figura 1.
102
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
I noduli tiroidei: follow-up e terapia
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Conclusioni
emivita e proprietà fisiche e dosimetriche ottimali in campo pediatrico, consente di:
attribuire il nodulo individuato alla tiroide;
fornire un’immagine di funzione della ghiandola e del nodulo
(zone di captazione assente, ridotta, normale o aumentata);
deve essere ben tenuto presente che, anche se la malignità
è più elevata nel nodulo freddo, sia i noduli tiepidi, sia quelli
caldi posseggono percentuali di malignità del 4-9%, per cui la
presenza di captazione non esclude un carcinoma;
riconoscere eventuali formazioni tiroidee ectopiche;
evidenziare anche le zone retrosternali.
La diagnosi differenziale del nodulo tiroideo è fondamentalmente
quindi tra formazione benigna e carcinoma tiroideo. Si avvale quindi di un insieme di dati clinici, strumentali e di laboratorio, solo la cui
valutazione complessiva è in grado di fornire le informazioni atte a
stabilire il comportamento diagnostico più adatto e, conseguentemente, la strategia terapeutica più appropriata.
Nella Figura 1 è riportata una flow-chart di comportamento diagnostico-differenziale da osservare di fronte ad un nodulo tiroideo in età
pediatrica.
Esami di funzione tiroidea
Bibliografia
Ricoprono il ruolo di chiarire la caratteristica funzionale del nodulo e quindi di evidenziare una condizione di ipotiroidismo, ma
soprattutto una eventuale autonomia funzionale, che si dimostra
con FT4 e FT3 aumentate in presenza di un TSH ridotto o soppresso (ipertiroidismo franco, ad esempio da adenoma “tossico”) o con la sola riduzione dei livelli di TSH in presenza di valori di FT4 e di FT3 non aumentati (ipertiroidismo subclinico, ad
esempio da adenoma “pretossico”). Utile anche il dosaggio sierico di anticorpi anti-tireoperossidasi e anti-tireoglobulina ed
eventualmente anti-tireorecettore, che indicheranno la presenza
di una tiroidite autoimmune o di una tireotossicosi, anche se il
loro riscontro, di per sé, non esclude una patologia neoplastica.
La valutazione della calcitonina deve essere eseguita nel sospetto
di un nodulo da attribuire ad un carcinoma midollare. Alcuni hanno
raccomandato il suo dosaggio di routine in tutti i soggetti con nodulo tiroideo come screening del carcinoma midollare e della iperplasia delle cellule C, ma tale eventualità rappresenterebbe, secondo
altri, un aggravio eccessivo di costi, soprattutto per il frequente verificarsi di risposte di dubbia interpretazione che richiederebbero
ulteriori accertamenti. Nel caso in cui la calcitonina risulti elevata
con negatività delle corrispondenti indagini molecolari (proto-oncogene RET/PTC), deve essere ripetuto l’accertamento dopo stimolo
con pentagastrina, al fine di valutare la migliore opzione chirurgica.
Al contrario, l’antigene carcino-embrionale (CEA) si positivizza solo
nel caso di recidiva e può risultare utile quindi solo nel follow-up.
Utile la valutazione della tireoglobulina circolante, un cui incremento deve essere sempre valutato con sospetto, anche se è da tenere presente che il livello sierico può essere aumentata anche in condizioni di iperfunzione o di flogosi tiroidea aspecifica.
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Corrispondenza:
Dott. Graziano Cesaretti
UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Via Roma, 67 - 56126 Pisa
Tel 050/992101 - Fax 050 /993044
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Quando pensare a una sindrome
genetica in un adolescente
Maria Piccione, Giovanni Corsello
U.O Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale Dipartimento Materno-Infantile Università degli Studi di Palermo
Riassunto
Le sindromi genetiche sono spesso caratterizzate da un fenotipo variabile secondo le diverse età.
L’adolescenza, momento di intensi e profondi mutamenti, è un’epoca particolare per l’evidenziarsi di una serie di segni e
sintomi che possono permettere l’identificazione di patologie genetiche il cui fenotipo è stato sfumato o poco orientativo
nell’età precedenti. Tra le malattie genetiche che si possono evidenziare in età adolescenziale: le patologie legate ad alterazione dello sviluppo sessuale (ad esempio le sindromi da anomalie dei cromosomi sessuali), quelle con anomalie della
crescita associate ad alterazione scheletrica (ad esempio la sindrome di Marfan, la discondrosteosi di Leri-Weill, la sindrome trico-rino-falangea tipo 1/3) o quelle in cui al ritardo mentale si associano tratti fenotipici peculiari dell’età adolescenziale prima e adulta poi, che ne permettono un corretto inquadramento diagnostico (ad esempio la sindrome dell’X
fragile).
Parole chiave: adolescenza, sindromi genetiche, fenotipo.
When you should think of a genetic syndrome in adolescents
Summary
Genetic syndromes are often characterized by variable phenotype according to different ages. Adolescence, a
period of intense and deep changes is certainly a particular period when a series of signs and symptoms become evident and
allow the identification of genetic pathologies whose phenotype has been unclear and not indicative in preceding ages. Among
the genetic diseases that can become evident in adolescence: the pathologies linked to alterations in sexual development (e.g.
syndromes caused by anomalies in the sexual chromosomes), those with growth anomalies associated with alterations in the
skeleton (e.g. Marfan syndrome, Leri-Weill dyschondrosteosis, type1/3 tricho-rhino-phalangeal syndrome) or those in which mental retardation is associated with particular phenotypical traits of adolescence first and adulthood later, that allow a correct diagnosis (e.g. X fragile syndrome).
Key words: adolescence, genetic syndromes, phenotype.
Introduzione
L’adolescenza viene convenzionalmente indicata come l’età
compresa tra i 10 e i 18-20 anni (1). E’ un periodo di intensa e
rapida crescita, di cambiamenti somatici e proprio per tale motivo, nel corso dei bilanci di salute, andranno valutati tutti i segni e
sintomi che possono permettere di sospettare una patologia
genetica. L’espressività clinica, infatti, delle patologie genetiche
varia in funzione anche dell’età, ed è proprio l’adolescenza l’epoca in cui si possono evidenziare tratti fenotipici e/o problematiche cliniche che permettono un corretto inquadramento diagnostico.
Nell’adolescenza si determinano, infatti, tutti quei fenomeni che
porteranno alla maturazione sessuale, si raggiungerà la statura
definita attraverso un periodo di rapida crescita staturo-ponderale, ed infine si evidenzieranno tutte quelle modifiche fenotipiche
che porteranno all’aspetto adulto. Tra le patologie genetiche che
si possono sospettare in età adolescenziale emergono quelle
che possono determinare:
alterazioni dello sviluppo sessuale (es. sindromi da anomalie
dei cromosomi sessuali)
anomalie della crescita associate ad alterazioni scheletriche
(es. sindrome di Marfan, discondrosteosi di Ler-Weill, sindrome tricorinofalangea I/III)
evoluzione del fenotipo in soggetti con ritardo mentale (es.
sindrome dell’X fragile).
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Sindromi da anomalie
dei cromosomi sessuali
rio, di patologia autoimmune (LES, artrite reumatoide, sindrome
di Sjogren etc.) e di osteoporosi (11).
La sindrome di Turner
Sindromi da anomalie
scheletriche e della crescita
La sindrome di Turner ha una prevalenza alla nascita di 1/2.500
nati vivi di sesso femminile, è determinata da monosomia X,
mosaicismi cellulari ed anomalie strutturali del cromosoma X. Nel
35% dei casi la diagnosi è prenatale per il riscontro di igroma
cistico del collo e ritardo di crescita intruterino. In epoca neonatale i segni clinici più caratteristici sono il ritardo di crescita, il linfedema del dorso delle mani e dei piedi, la cardiopatia congenita
(17-45% dei casi) (aorta bicuspide, coartazione aortica, insufficienza aortica etc.) (2,3) e le malformazioni renali (30-40% dei
casi) (rene a ferro di cavallo, bacinetto renale bifido, stenosi del
giunto pielo-ureterale etc.). Nel periodo scolare si rendono più
evidenti lo pterigium colli, il torace slargato, la teletelia, la bassa
statura disarmonica (rapporto tronco/arti a favore del tronco), la
ridotta velocità di crescita e diverse anomalie scheletriche (cubito
valgo, brachimetacarpia del 4 e 5 metacarpo, anomalia di
Madelung, ipoplasia delle vertebre cervicali). Possono, inoltre,
manifestarsi difficoltà di attenzione e deficit di memoria. In fase
puberale il mancato scatto puberale nella crescita e l’assente o
ridotto sviluppo dei caratteri sessuali secondari sono i segni clinici peculiari, cui può associarsi uno stato d’ansia e una scarsa
stima di sé (4). La sterilità sarà il segno principale dell’età adulta.
Oltre all’ ipertensione arteriosa che può essere essenziale o
secondaria a difetti cardiaci e/o renali, di recente, è stato segnalato anche un aumentato rischio di dilatazione aortica (5).
Frequenti sono le patologie autoimmuni (tiroidite, celiachia, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn, epatiti croniche) (6,2,7,8), le otiti
ricorrenti (6) e l’osteoporosi in giovane età (9). La terapia con l’ormone della crescita già dall’età infantile e quella estro-progestinica hanno radicalmente cambiato la prognosi dei soggetti affetti.
La sindrome di Marfan
La sindrome di Marfan è una patologia del tessuto connettivo a
trasmissione autosomica dominante, la cui prevalenza viene stimata 1/5.000 persone. E’ legata, nel 66-90% dei casi, ad una alterazione della fibrillina1 (FBN1). Il gene che codifica per tale proteina è localizzato sul cromosoma 15, nella regione 15q21, più
recentemente sono stati segnalati casi associati a mutazioni nei
geni TGFBR1 e 2 localizzati rispettivamente sul cromosoma 9
(9q33-q34) e sul cromosoma 3 (3p22), (12,13). Il fenotipo clinico
è caratterizzato da un interessamento multiorgano: sistema
muscolo-scheletrico, oculare, cutaneo ed apparto cardiovascolare. Il sospetto diagnostico può insorgere in adolescenti o giovani
adulti con alta statura disarmonica (rapporto tronco/arti a favore
di questi ultimi), aracnodattilia, scoliosi, deformità toracica. I criteri diagnostici stabiliti a Berlino nel 1986 sono stati rivalutati da de
Paepe et al. nel 1996 (14). Vengono distinti criteri maggiori e
minori di specificità diagnostica (criteri di Grent). La diagnosi di
sindrome di Marfan richiede la presenza di un criterio maggiore in
2 sistemi ed il coinvolgimento di un terzo sistema. E’ di fondamentale importanza individuare precocemente i soggetti affetti
perché il trattamento in fase iniziale delle alterazioni cardiovascolari prolunga notevolmente la via dei pazienti (15).
La discondrosteosi di Leri-Weill
La discondrosteosi o sindrome di Leri-Weill, displasia scheletrica
caratterizzata da bassa statura disarmonica con brevità mesomelica degli arti ed anomalia di Madelung, è causata da mutazione o delezione del gene SHOX, localizzato nella regione pseudoautosomica (PAR1) dei cromosomi sessuali (Xpter-p22.32;
Ypter-p11.2), (16). Non si riscontrano tratti dismorfici che possano orientare la diagnosi, ma le anomalie scheletriche associate,
che ne permettono l’inquadramento diagnostico, evolvono nel
tempo. Più evidenti in età puberale sono le anomalie delle ossa
carpali (anomalia di Madelung: carpo ad ogiva, polso a dorso di
forchetta), l’incurvamento dell’avambraccio (incurvamento del
radio con aumentata distanza interossea tra radio ed ulna), la
deformità delle articolazioni coxo-femorali (coxa valga), la tibia
vara e la presenza di un esostosi della regione metafisaria della
tibia (17). La patologia va, quindi, sospettata in tutti i casi di
bassa statura disarmonica con brevità mesomelica degli arti.
L’incidenza è ancora oggi fortemente sottostimata. La diagnosi,
oltre che una presa in carico precoce dei soggetti affetti per una
prevenzione secondaria delle patologie correlate, permette
anche la consulenza genetica familiare, in considerazione dell’elevato rischio di ricorrenza (50%).
La sindrome di Klinefelter
La sindrome di Klinefelter, la più comune anomalia cromosomica
(prevalenza 1/500 nati maschi), è caratterizzata dalla presenza in
soggetti di sesso maschile di un cromosoma X sovrannumerarrio. L’espressività clinica è variabile e spesso i segni sono sfumati o assenti fino all’età adolescenziale, epoca in cui si può evidenziare ginecomastia, scarsa peluria, distribuzione ginoide dell’adipe, masse muscolari ipotrofiche ed ipogenitalismo (ipogonadismo ipergonadotropo). L’accrescimento si presenta regolare fino all’età di 5-8 anni, epoca in cui si assiste ad un aumento
di velocità di crescita con una statura finale elevata rispetto al
potenziale genetico. Sospetto diagnostico può insorgere se in
età puberale i testicoli hanno un volume <2ml, con normale sviluppo del pene. La terapia in epoca puberale con testosterone
favorisce una normalizzazione delle proporzioni corporee e dei
caratteri sessuali secondari. Possono essere associati ritardo del
linguaggio e turbe comportamentali (10). Nella storia naturale
della patologia vi è un aumentato rischio di carcinoma mamma-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
La sindrome trico-rino-falangea
tipo I/III
e sporgenti,, macrorchidismo, prolasso della valvola mitralica, QI
circa 40. E’ stata proposta una checklist per identificare tra i soggetti con ritardo mentale quali sottoporre a diagnosi molecolare
del DNA per sindrome dell’X fragile (24). Particolare attenzione
merita il possibile riscontro di menopausa precoce (premature
ovarian failure, POF) in donne con premutazione FMR1 e quindi
a rischio di prole affetta. La permutazione, inoltre, espone ad un
aumentato rischio per la sindrome tremori/atassia associati all’X
fragile (FXTAS) (25). Non esiste una terapia specifica per la sindrome dell’X fragile, vanno consigliati trattamento riabilitativo e
terapia comportamentale.
Vengono descritte tre varianti cliniche della sindrome trico-rinofalangea, tutte ad ereditarietà autosomica dominante, caratterizzate da un’estrema variabilità fenotipica (18,19). Le forme I e III
vengono considerate varianti cliniche di un unico spettro fenotipico e sono causate da mutazioni del gene TRPS 1 (mappato sul
cromosoma 8, regione 8q23.39). La sindrome tricorinofalangea
tipo I rappresenta la forma lieve, mentre la sindrome tricorinofalangea tipo III, la forma grave (severa brevità di tutte le falangi
e dei metacarpi associata a grave bassa statura). La forma II presenta tutti segni tipici della forma III a cui si associano ritardo
mentale ed esostosi cartilaginee multiple ed è legata a mutazioni dei geni TRPS1 e EXT1 (mappati sul braccio lungo del cromosoma 8). I segni clinici delle varianti I-III si rendono più evidenti
con l’avanzare dell’età: bassa statura, capelli radi e sottili, naso
a “pera”, filtro nasale lungo, labbro superiore sottile, anomalie
della mano (brachidattilia con dite deviate ulnalmente ed articolazioni interfalangee prossimali ingrossate, epifisi a cono).
L’andamento dell’età ossea è caratteristico: ritardata fino alla
pubertà, con precoce saldatura delle cartilagini di accrescimento alla pubertà e statura definitiva bassa. Progressive sono, inoltre, le anomalie delle articolazioni coxofemorali tipo Perthes: coxa
magna, coxa plana e vara. La diagnosi permette un follow-up
mirato con valutazioni clinico-radiologiche periodiche per un’ efficace prevenzione secondaria delle patologie associate.
Conclusioni
Una delle caratteristiche di molte sindromi genetiche è il fenotipo
più evidente nel tempo. Solo l’osservazione costante può, quindi, consentire di rilevare i segni clinici necessari per un corretto
inquadramento diagnostico.
Bibliografia
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Sindromi con ritardo mentale
La sindrome dell’X fragile
La sindrome dell’X fragile è la forma più comune di ritardo mentale ereditario, con una prevalenza nella popolazione generale di
1:4.000 nei maschi (20). Il gene responsabile è l’FMR1, localizzato sul cromosoma X (Xq27.3). Nella regione 5’ non tradotta del
primo esone del gene FMR1 è presente una sequenza di triplette CGG il cui numero varia nei soggetti normali all’incirca da 5 a
49. La sindrome dell’X fragile è una tipica patologia da amplificazione genica legata all’espansione delle triplette CGG che si
ripetono tra 50 e 199 volte nella permutazione ed oltre le 200
volte nella mutazione completa (21). Il superamento della soglia
delle 200 triplette comporta una metilazione delle citosine e quindi un blocco della trascrizione del gene e della produzione della
proteina FMRP (fragile X mental retardation protein). La FMRP si
associa ad RNA codificanti importanti proteine neuronali e ne
regola il trasporto e la traduzione prevalentemente a livello delle
sinapsi del sistema nervoso centrale (22,23). Il fenotipo non è
orientativo né alla nascita né nella prima infanzia (macrocrania,
ipotonia muscolare, iperlassità legamentosa, ritardo psicomotorio, tratti artistici), mentre diventa più espresso nella adolescenza: alta statura, viso allungato, ipotelorismo, mandibola prominte, ipoplasia della regione zigomatica, padiglioni auricolari ampi
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Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
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syndrome associated with Fragile X permutation. Curr neurol
Neurosci Rep 2005; 5:405-410.
Corrispondenza:
Dott.ssa Maria Piccione
U.O Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale
Dipartimento Materno-Infantile
Università degli Studi di Palermo
via Cardinale Rampolla, 1 - 90142 Palermo
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Come comunicare
una cattiva diagnosi
Maria Rita Govoni
U.O.. di Pediatria e Adolescentologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Ferrara
Communication of a serious diagnosis in adolescence
Summary
There are difficulties in managing communication with young people who have a chronic , life threatening illness. Diagnosis communication has to take into account age specificity. It’s important to know the developmental tasks and
the different somatic, relational and social aspects. The adolescent should participate in his own care. Active participation
is crucial for patients and their families in order to retrieve cognitive and emotional capacity to obtain the best quality of life.
Key words: adolescent development, chronic disease, communication
La comunicazione medico-paziente sottende una serie di azioni, di
comportamenti e di parole, dette e non dette, che intercorrono tra
un medico ed un paziente: essa investe senz’altro ambiti diversi:
sociologico, psicologico, etico, medico-legale, ma attinge profondamente anche alla sfera più intima della sensibilità del medico e
del paziente. C’è accordo unanime nel ritenere la comunicazione
medico-paziente come uno degli aspetti più significativi della professione e della professionalità medica. A differenza di quanto
accade per il medico dell’adulto, il professionista che si occupa di
bambini e adolescenti deve sperimentare modelli di comunicazione diversi, in relazione alle modificazioni cronologiche e psicocognitive del proprio paziente (1). Nel passaggio da bambino ad adolescente si realizza una progressiva acquisizione di capacità astrattive, relazionali, emotive, che costituiscono di fatto la “ competenza” di un adolescente (2-4); si organizza una più consapevole
immagine di sé, in altri termini si riconoscono all’adolescente la
possibilità ed il diritto ad essere coinvolto attivamente nelle questioni che riguardano la sua salute (5).
Una “cattiva” malattia, qualunque essa sia, ha insite in sé alcune
categorie di pensiero e prospettive , razionali ed emozionali:
Esito infausto/ morte Cronicità Disabilità Diversità
Incertezza del futuro.
Queste caratteristiche hanno di per sé e nell’insieme un impatto
enorme sullo sviluppo dell’adolescente e viceversa (6, 7).
La malattia infatti agisce sull’adolescente influenzandone, in modo
diverso a seconda delle caratteristiche cliniche, l’accrescimento, lo
sviluppo puberale, l’evoluzione psicologica, l’adattamento sociale,
le capacità cognitive, l’immagine di sé, le relazioni familiari e con i
pari, l’inserimento ed il profitto scolastico; a sua volta anche l’età
adolescenziale agisce sull’andamento della malattia attraverso l’in-
cremento della richiesta calorica, che può agire negativamente
sulle malattie metaboliche, attraverso la maggiore autonomia e la
migliore capacità cognitiva, che possono penalizzare l’aderenza ai
programmi terapeutici, o determinarne il rifiuto, attraverso l’identificazione con “modelli” generazionali, che possono essere inconciliabili con le esigenze della malattia, e infine attraverso la possibile
adozione di comportamenti a rischio (alcol, fumo, attività sessuale
non protetta,….) (Tabella 1). La reazione umana di fronte ad una
malattia grave, secondo Elizabeth Kubler Ross, si esprime “per
fasi”, non necessariamente successive ed in ordine, ma presenti
nel corso del tempo e con diversa intensità, ed in relazione all’età
ed alle caratteristiche emozionali della persona colpita (8):
Negazione e rifiuto Rabbia Patteggiamento
Depressione Accettazione.
In questo vissuto il medico, con la propria professionalità e la propria sensibilità, può avere uno spazio prezioso per accompagnare
l’adolescente e la sua famiglia; la comunicazione dovrebbe essere
fornita fin dall’inizio ad entrambi con chiarezza, in modo esaustivo,
con onestà, e cercando di porsi in un atteggiamento di ascolto e di
condivisione. È essenziale, per una comunicazione efficace e gratificante, che si stabiliscano relazione e fiducia da parte di entrambe le parti, medico ed adolescente-famiglia, allo scopo di poter
ricevere e poter offrire la massima collaborazione per il percorso
successivo. In relazione alla sua “competenza” l’adolescente
dovrebbe essere aiutato ed incoraggiato a fare domande, garantendogli, se richiesto, uno spazio ed un tempo “privati” e confidenziali, indipendentemente dai suoi familiari, e dovrebbe essere invitato ad esprimere la sua opinione sui programmi terapeutici (9).
Alcune “regole” generali di comunicazione con l’adolescente sono
riportate nella Tabella 2.
108
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Come comunicare una cattiva diagnosi
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 1. Alcuni possibili effetti reciproci della malattia grave /disabilità sullo sviluppo adolescenziale e viceversa
(modificata da J.C. Suris, Arch Dis Child, 2004)
Malattia e sviluppo adolescenziale
Adolescenza e malattia
Effetti biologici
Ritardo puberale
Bassa statura
Ridotta massa ossea
Aumento richiesta calorica per l’accrescimento
Ormoni e metabolismo
Effetti psicologici
Identificazione con la malattia
Riduzione delle funzioni cognitive
Scarsa compliance alle terapie
Rifiuto della malattia
Effetti sociali
Isolamento
Ridotta autonomia
Cattive relazioni con i pari
Comportamenti a rischio
Bibliografia
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Dott.ssa Maria Rita Govoni
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Divisione Pediatrica - Azienda Ospedaliera Universitaria
C.so Giovecca, 203 Ferrara
e-mail: [email protected] [email protected]
Corrispondenza:
Tabella 2. Indicazioni per una efficace comunicazione utile con l’adolescente.
(Euteach, aprile 2008)
Da fare
Da evitare
Annotati le cose importanti prima di vedere il paziente
Vai nella sala d’attesa ad accogliere il paziente
Presentati con il tuo nome
Nell’ambulatorio spiega chi sei e cosa fai
Assicura confidenzialità
Chiarisci il significato dei termini che usi
Lascia che il paziente racconti la sua storia senza interrompere
Usa domande aperte per chiarificare
Cerca di essere professionale
Ascolta in atteggiamento non giudicante
Fai domande in modo non inquisitorio
Sottolinea gli aspetti positivi
Cerca di avere una buona ragione per ciascuna domanda
Riassumi e sintetizza la conversazione
109
Gergo medico
Domande si/no
Evita di apparire uno del gruppo;
I pazienti osservano la tua professionalità
Evita di fare un interrogatorio
Evita di chiedere cose non necessarie
Evita di scrivere sulla cartella clinica durante il colloqui
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Fisiopatologia
della spermatogenesi
Vincenzo De Sanctis, Luigina Urso1, Giuseppe Raiola2
2
U.O.C. di Pediatria ed Adolescentologia – Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara
1
U.O. di Pediatria, Arzignano (Vicenza)
U.O. di Pediatra – U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza - A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
Anatomia dell’apparato
riproduttivo
Nel testicolo si distinguono una componente ghiandolare tubulare esocrina, sede della spermatogenesi, e una componente
ghiandolare endocrina che produce gli androgeni. Il testicolo è
suddiviso in circa 250 lobuli, da setti fibrosi incompleti che si
irradiano da tutta la superficie interna della tonaca albuginea e
che convergono posteriormente nel mediastino, un ammasso
connettivale dove penetrano e si dipartono, per poi decorrere i
setti, i vasi sanguigni, i linfatici e le fibre nervose. I lobuli contengono i tubuli seminiferi, canicoli tortuosi di lunghezza variabile tra 30 e 70 cm e il cui diametro nell’adulto varia da 150 a 250
Ìm. In ogni testicolo ci sono da 500 a 1000 tubuli seminiferi.
L’epitelio che riveste i tubuli seminiferi è pluristratificato ed è
formato da due tipi di cellule: le cellule germinali e le cellule di
Sertoli. Nell’interstizio tra i tubuli si trovano le cellule di Leydig. I
tubuli seminiferi contorti iniziano a fondo cieco presso l’albuginea e convergono verso il mediastino, in prossimità del quale
sboccano nei tubuli retti (uno per lobulo) che, dopo un breve
percorso rettilineo, fanno capo alla rete testis, una vera e propria rete di ampie lacune e di sottili canali, situata nella regione mediastinica. Il prodotto della spermatogenesi viene convogliato, attraverso i dotti efferenti, nella testa dell’epididimo
costituita da 10-12 lobuli ciascuno composto da un dotto efferente e dal connettivo circostante. I dotti efferenti, dopo molte
circonvoluzioni, fanno capo ad un condotto comune: il canale
dell’epididimo che si continua con il dotto deferente in corrispondenza del polo inferiore del testicolo.
Il dotto deferente, della lunghezza di circa 40-45 cm, risale lungo
il margine posteriore del testicolo, perviene nel funicolo spermatico dove è accompagnato dall’arteria deferenziale e contornato dalle vene del plesso pampiniforme e, dopo aver attraversato il canale inguinale, entra nella pelvi. Il deferente volge
quindi in basso e indietro nel piccolo bacino e raggiunge la faccia laterale della vescica. I due dotti deferenti convergono verso
il centro e, dopo aver incrociato il rispettivo uretere, prendono
stretto rapporto con il fondo vescicale e ciascuno termina nell’ampolla del deferente, un’ampolla dilatata in cui si aprono i
condotti escretori delle vescicole seminali. L’ampolla del deferente si continua nei brevi dotti eiaculatori che attraversano la
prostata e si aprono nell’uretra prostatica.
Controllo della spermatogenesi
Il testicolo adulto attraverso le sue quattro componenti fondamentali - le cellule di Sertoli, le cellule di Leydig, le cellule germinali e peritubulari - svolge due funzioni: la secrezioni di
androgeni e la spermatogenesi, entrambe sono sotto il controllo di azioni autocrine, paracrine ed endocrine (1).
Le influenze endocrine sono esercitate dagli ormoni ipotalamici
e dall’ipofisi che, a loro volta, risentono di un feed-back negativo da parte degli ormoni prodotti dal testicolo (2).
L’ormone stimolante la secrezione di gonadotropine (GnRH) è
sintetizzato da neuroni neurosecretori dell’ipotalamo e viene rilasciato episodicamente nel circolo portale ipofisario. Il GnRH stimola la sintesi e la secrezione pulsatile, da parte dell’adenoipofisi, delle due gonadotropine: l’ormone luteinizzante (LH) e l’ormone follicolo-stimolante (FSH) (3).
L’LH, legandosi a specifici recettori di membrana delle cellule di
Leydig, stimola la biosintesi degli androgeni. Le cellule di
Leydig vanno incontro a due fasi di sviluppo: la prima durante la
vita fetale e la seconda durante la pubertà. Iniziano a svilupparsi durante l’VIII settimana di gestazione e alla fine della XIV rappresentano il 50% della massa testicolare (nell’adulto costituiscono il 10% della massa totale del testicolo).
Le cellule di Leydig fetali secernono testosterone che raggiunge alla XIV-XVIII settimana un valore corrispondente a quello
dell’adulto.
Nella seconda parte della vita fetale il numero di cellule di
Leydig diminuisce progressivamente; a 6 mesi di vita postnatale queste cellule non sono più riconoscibili. Durante la pubertà,
sotto l’azione dell’LH, si differenziano a partire dai fibroblasti.
Le cellule di Leydig rappresentano il principale bersaglio
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fisiopatologia della spermatogenesi
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Maturazione degli spermatozoi
dell’LH. Il legame tra la gonadotropina e i recettori della cellula
interstiziale stimola l’adenil-ciclasi con conversione dell’ATP
(adenosin-trifosfato) in AMPc (adenosin-monofosfato ciclico) e
la conseguente formazione del testosterone a partire dall’acetato e colesterolo.
Le cellule di Leydig secernono anche altre sostanze: l’ossitocina, che si ritiene causi la contrazione delle cellule mioidi peritubulari e la pro-opio-melano-cortina che sembra agire da regolatore paracrino della funzione delle cellule di Sertoli (4).
La produzione di testosterone da parte del testicolo adulto, è
compresa tra 3 e 10 mg/die.
Il testosterone circola nel plasma legato ad una globulina di trasporto (SHBG) per il 60%, all’albumina per il 38% e libero per il
2% (frazione biologicamente attiva). L’azione degli androgeni è
mediata da un legame con i recettori specifici a sede intranucleare che si traduce in un aumento della trascrizione, nelle cellule bersaglio, di geni specifici sensibili agli androgeni.
Le cellule di Sertoli proliferano solo durante la vita fetale e perinatale, si allineano lungo la membrana peritubulare e si estendono verso il lume del tubulo. Queste cellule svolgono un ruolo
di supporto e nutrizionale per i tubuli ed, inoltre, controllano la
spermatogenesi che ha luogo nelle pieghe del loro citoplasma.
La cellula di Sertoli è la principale cellula bersaglio dell’FSH.
Questa gonadotropina si lega a specifici recettori presenti sulla
membrana plasmatica e attiva l’adenilatociclasi con aumento
dell’AMPc a cui consegue la sintesi di acido ribonucleico e di
proteine. Le cellule di Sertoli producono una varietà di macromolecole(4), in particolare:
ABP (Androgen Binding Protein) - Una proteina molto simile
all’SHBG la cui funzione sembra essere quella di trasportare il
testosterone e il diidrotestosterone nei tubuli seminiferi e forse
nell’epididimo.
Inibina - Eterodimero composto da due subunità alfa e beta,
capace di bloccare specificatamente in vivo e in vitro la secrezione dell’FSH ipofisario senza influenzare quella dell’LH.
Transferrina - Leggermente diversa nella struttura dalla transferrina circolante, sembra avere la funzione di trasportare il ferro
alle cellule germinali.
Attivatore del plasminogeno - Nel tubulo seminifero è un fattore
essenziale per la spermiazione, cioè per il distacco dello spermatozoo dalle cellule di Sertoli. Esercita inoltre funzioni importanti nell’apertura delle “gap junction”, permettendo alle cellule
germinali che si trovano nel compartimento basale, di portarsi in
quello luminale. E’ presente in grande quantità nel plasma seminale umano ed è prodotto prevalentemente dalla prostata.
IGF-1 - E’ un fattore di crescita ubiquitario. Recettori per l’IGF-1
sono presenti negli spermatociti di primo, di secondo ordine,
negli spermatidi e nelle cellule di Sertoli.
Le cellule mioidi contrattili che circondano i tubuli seminiferi contengono recettori per gli androgeni e l’ossitocina, secernono
varie proteine per mezzo delle quali modulano, per via paracrina, l’azione sia delle cellule di Sertoli che delle cellule di Leydig.
La produzione dello sperma ha luogo nelle centinaia di tubuli
seminiferi che costituiscono più del 90% del volume del testicolo adulto.
Le cellule germinali vanno incontro ad un processo di sviluppo
e di differenziazione dalla vita fetale fino alla pubertà. Durante la
vita intrauterina le cellule germinali primordiali si trasformano in
gonociti da cui prendono origine gli spermatogoni fetali. Dal
terzo al quinto mese di vita postnatale gli spermatogoni fetali si
trasformano in spermatogoni di tipo A mediante divisione mitotica (1).
Si distinguono due tipi di spermatogoni di tipo A:
spermatogoni di riserva - tipo scuro A - che costituiscono
una riserva di cellule germinali staminali;
spermatogoni che si rinnovano - tipo pallido A - che gradualmente si differenziano attraverso 4 divisioni mitotiche
dando origine agli spermatogoni di tipo B. Da questi ultimi,
dopo un a divisione mitotica, originano gli spermatociti primari.
Gli spermatogoni di tipo B compaiono per la prima volta verso i
4 anni di età e la spermatogenesi si arresta allo stadio dello
spermatocita primario fino alla pubertà. Il processo che produce spermatozoi maturi e mobili può essere diviso in tre fasi: la
prima fase viene definita “ spermatogenesi”, la seconda “spermiogenesi” e la terza “fase di maturazione”. Dalla pubertà con
il termine “spermatogenesi” si intende il ripetersi regolare e
continuo di cicli di cito-differenziazione mediante i quali gruppi
di cellule germinali diploidi indifferenziate (spermatogoni) si
moltiplicano e si trasformano in cellule germinali maschili aploidi (spermatidi). Il processo di differenziazione delle cellule germinali è centripeto, per cui le cellule più mature si trovano verso
il centro del tubulo seminifero. Gli spermatogoni di tipo pallido
A, nel maschio adulto, iniziano la spermatogenesi ad intervalli
fissi di 16 giorni. Gli spermatogoni di tipo B si differenziano negli
spermatociti primari (divisione mitotica) e questi vanno incontro
a divisione meiotica dando origine agli spermatociti secondari
provvisti di un corredo aploide di cromosomi. Dagli spermatociti secondari, dopo una seconda divisione meiotica, derivano
gli spermatidi, che si differenziano in spermatozoi, senza altre
divisioni, mediante il processo denominato spermiogenesi. La
spermiogenesi è una complessa metamorfosi che trasforma lo
spermatide amorfo, rotondo, nello spermatozoo morfologicamente differenziato.
La maturazione nemaspermica post-testicolare comprende una
complessa combinazione di cambiamenti fisiologici, morfologici, biochimici, biofisici e metabolici (4). In particolare:
a) dal punto di vista fisiologico, lo spermatozoo diviene mobile
ed acquisisce le capacità di fecondare
b) dal punto di vista morfologico, perde il residuo citoplasmatico
c) dal punto di vista biochmico, diviene più attivo e mostra
un’aumentata fruttolisi
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Circa la metà degli spermatozoi, prodotti dal testicolo, muoiono e vengono distrutti all’interno dell’epididimo e riassorbiti dall’epitelio epididimario. I rimanenti spermatozoi maturi vengono
immagazzinati nella coda dell’epididimo (circa il 70% di tutti gli
spermatozoi presenti nel tratto genitale maschile). I vasi deferenti contengono solo il 2% circa degli spermatozoi totali.
La produzione di spermatozoi richiede un periodo costante di
70 ± 4 giorni dalla fase di spermatogonio tipo A a spermatide
maturo. Il rilascio degli spermatozoi testicolari (spermiazione)
ed il loro passaggio attraverso i dotti afferenti del testicolo e dell’epididimo, si ritiene richieda altri 3-21 giorni.
Al momento dell’eiaculazione gli spermatozoi vengono trasferiti dai depositi nella coda dell’epididimo e mescolati con le
secrezioni delle ghiandole accessorie, dapprima quella prostatica e successivamente vescicolare, ed emessi all’esterno attraverso l’uretra peniena preparata precedentemente dalla secrezione delle ghiandole bulbo-uretrali.
Subito dopo l’eiaculazione, si assiste ad una coagulazione
spontanea dell’eiaculato dovuta a sostanze di derivazione
vescicolare. La liquefazione successiva è dovuta a fattori di origine prostatica (4).
Uno spermatozoo maturo possiede una testa (di forma ovalare,
a contorni regolari, della lunghezza di 3-5 µm) con una regione
anteriore più chiara (acrosoma) ed una posteriore più scura.
Subito dietro la testa è presente un tratto intermedio, ispessito
con una lunghezza di 7-8 µm e con una larghezza di 1 µm.
La coda spermatica è inserita in maniera simmetrica in una lieve
depressione della base della testa e misura circa 50 Ìm.
La regolazione ormonale della spermatogenesi è esercitata
dall’FSH e dal testosterone. I livelli di testosterone intratesticolare si mantengono normalmente, nell’adulto, 100 volte più elevati che nella circolazione periferica, presumibilmente per fornire un supporto appropriato alla spermatogenesi (1).
La presenza di FSH è necessaria anche per la sintesi di androgeni, sia attraverso un aumento della produzione di recettori per
l’LH (4), sia mediante la stimolazione della produzione, da parte
delle cellule di Sertoli, di ABP (Androgen Binding Protein).
Questa proteina, prodotta nei testicoli, lega specificamente il
testosterone e si pensa, quindi, fornisca l’ormone alle cellule
androgenosensibili all’interno dell’epitelio seminifero.
seminali, della prostata, delle ghiandole bulbouretrali (ghiandole di Cowper) e delle ghiandole uretrali (ghiandole di Littré) (5).
La porzione dell’eiaculato che origina dal testicolo e dall’epididimo costituisce il 5% del volume totale dell’eiaculato. Il rimanente volume deriva dalla prostata (25%), dalle vescicole seminali (65%) e dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali (2-5%) (5).
Il liquido seminale contiene:
1. spermatozoi e testosterone legato all’ABP (prodotti del testicolo)
2. carnitina (fonte di energia per gli spermatozoi), inositolo, lipidi e fosfolipidi (prodotti dall’epididimo)
3. fruttosio e prostaglandina (prodotti dalle vescichette seminali)
4. enzimi, fosfatasi acida, zinco e calcio (prodotti dalla prostata)
5. mucoproteine (prodotte dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali).
Lo spermarca, cioè l’inizio del rilascio degli spermatozoi nelle
urine, è stato valutato da vari Autori(6-9). Una spermaturia è
stata osservata nel 68.69% dei ragazzi di età superiore ai 13
anni. Secondo Pedersen et al. (8) la presenza di spermaturia nei
ragazzi non ancora virilizzati, potrebbe essere dovuta ad un
passaggio spontaneo e continuo di spermatozoi nell’uretra.
La prima eiaculazione cosciente, secondo Janczewski e
Bablok(9), avviene nei 12 mesi dopo l’inizio della pubertà e,
secondo Laron, si verifica con il raggiungimento di un’età ossea
di 13 anni e mezzo (range 12.5-15.6 anni) (6). Non sono state
osservate correlazioni significative tra l’età della prima eiaculazione, il volume testicolare, la peluria pubica e lo sviluppo del
pene.
Normali parametri seminali vengono raggiunti 12-14 mesi dopo
la prima eiaculazione, mentre una normale motilità degli spermatozoi si osserva 1 anno più tardi.
Analisi del liquido seminale
Per liquido seminale si intende una sospensione di spermatozoi nel plasma seminale. Quest’ultimo è formato dalle secrezioni degli epididimi, dei deferenti, delle ampolle, delle vescicole
seminali, della prostata, delle ghiandole bulbouretrali (ghiandole di Cowper) e delle ghiandole uretrali (ghiandole di Littré).
La porzione dell’eiaculato che origina dal testicolo e dall’epididimo costituisce il 5% del volume totale dell’eiaculato. Il rimanente volume deriva dalla prostata (25%), dalle vescicole seminali (65%) e dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali (2-5%).
Spermatogenesi, liquido
seminale e spermarca
Con il termine spermatogenesi viene indicata la continua e regolare differenziazione mitotica e meiotica delle cellule germinali
che attraverso diversi stadi portano alla formazione della cellula
germinale maschile: lo spermatozoo.
Per liquido seminale si intende una sospensione di spermatozoi nel plasma seminale. Quest’ultimo è formato dalle secrezioni degli epididimi, dei deferenti, delle ampolle, delle vescicole
1) Informazioni per il paziente
il liquido seminale dovrà essere raccolto per masturbazione,
dopo 3-5 giorni di astinenza. Un periodo di astinenza prolungato può condurre ad un aumento del volume dell’eiaculato ed eventualmente della concentrazione di spermatozoi
a cui può associarsi una diminuzione della motilità nema-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fisiopatologia della spermatogenesi
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
spermica. Un periodo ridotto determina una riduzione del
volume e della concentrazione degli spermatozoi;
il campione va completamente raccolto. Raccolte incomplete non dovrebbero essere esaminate poiché la prima parte
dell’eiaculato è ricca di spermatozoi;
lo sperma dovrebbe essere raccolto possibilmente in laboratorio. Se il paziente per motivi psicologici preferisce effettuare la raccolta a casa, dovrà consegnare il campione entro
un’ora. Il contenitore dovrà essere mantenuto a temperatura
non inferiore a 20°C e non superiore a 36°C.
vescicole seminali, mentre un’eccessiva alcalinità (> 8) corrisponde ad una riduzione della secrezione prostatica.
c) volume dell’eiaculato: è generalmente compreso tra 1 e 5 ml.
Con il termine aspermia viene indicata la mancanza di eiaculato, con ipospermia un volume di eiaculato inferiore a 0.5
ml ed iperspermia un volume superiore a 6 ml.
d) esame a fresco: la conta degli spermatozoi viene effettuata al
microscopio ottico mediante camera di Thoma-Zeiss, di
Neubauer o dopo aver diluito (1:20) il seme in una soluzione
immobilizzante gli spermatozoi.
La conta nella microcamera di Makler offre il vantaggio di non
dover ricorrere alla diluizione del campione.
La valutazione quantitativa e qualitativa della motilità degli spermatozoi viene, generalmente, effettuata mediante osservazione diretta al microscopio ottico.
La morfologia viene valutata su strisci colorati (Papanicolau,
May-Grunwald-Gimsa). La lettura ed il conteggio devono essere effettuati al microscopio con obiettivo ad immersione (x100).
La nomenclatura per la definizione dei parametri seminali viene
riportata nella Tabella 1.
Altri componenti cellulari che dovranno essere differenziati nei
campioni seminali sono le cellule rotonde (leucociti, elementi
immaturi della linea geminale e residui citoplasmatici), le cellule
epiteliali e gli eritrociti, generalmente presenti in basso numero.
Batteri e protozoi non sono normalmente presenti nel liquido
seminale e la loro presenza in quantità rilevante è probabilmente associata ad una infezione del tratto genitale.
2) Esame standard
Un’analisi del liquido seminale deve essere iniziata un’ora dopo
l’eiaculazione. E’ raccomandabile una incubazione a temperatura ambiente o a 37° C affinché si compia la fluidificazione (entro
20-30 minuti). L’iperviscosità è responsabile di una diminuita
mobilità degli spermatozoi. Prima di iniziare qualsiasi tipo di
analisi il campione di liquido seminale dovrà essere mescolato
per 20-30 secondi.
a) aspetto: il liquido seminale ha un aspetto lattescente od opalescente. In condizioni di grave oligospermia o di azoospermia può assumere un aspetto acquoso.
b) pH: è compreso tra 7.2 ed 8.2. Il pH tende ad aumentare con
il passare del tempo dopo l’eiaculazione. I valori leggermente alcalini consentono la sopravvivenza degli spermatozoi a
livello dell’ambiente acido vaginale. Uno sperma acido (< 7)
indica una diminuzione della componente proveniente dalle
Tabella 1. Nomenclatura seminale.
A) Dati generali
Normospermia:
Dispermia:
Aspermia:
Oligopsia:
Polipsia:
eiaculato normale in tutti si suoi caratteri
eiaculato anomalo in qualcuno dei suoi caratteri
assenza di eiaculato
quantità di eiaculato inferiore ad 1 ml
quantità di eiaculato superiore a 6 ml.
B) Concentrazione
Normospermia:
Oligospermia:
Azoospermia:
normale concentrazione degli spermatozoi nell’eiaculato
riduzione della concentrazione degli spermatozoi
completa assenza degli spermatozoi nell’eiaculato
C) Motilità
Normocinesi:
Astenospermia:
Discinesia:
Acinesia:
normale percentuale di motilità e normale qualità di movimento degli spermatozoi
alterazione quantitativa della percentuale di spermatozoi mobili
alterazione qualitativa del movimento degli spermatozoi per ridotta velocità, progressione o linearità
assenza completa di motilità
D) Morfologia
Teratospermia:
aumentata percentuale di atipie della morfologia spermatica.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Tabella 2. Valori di normalità dei parametri seminali nell’adulto.
Volume:
la quantità dell’eiaculato è normalmente compresa tra i 2 e i 6 ml
Fluidificazione:
deve avvenire entro 30-60’ dall’eiaculazione
pH:
normalmente varia tra 7,2 e 8,0
Concentrazione:
superiore a 20x106/ml
Motilità:
superiore al 50%, di cui almeno la metà rapida
Morfologia:
utilizzando tecniche di citologia specialistiche, fino al 70% degli spermatozoi possono essere atipici;
si tratta sempre di atipie miste essendo le monomorfe su base genetica
Leucociti:
sono normalmente presenti in concentrazione < 1x106/ml
Tabella 3. Cause di alterata fertilità nell’adulto.
(da F. Dondero, A. Lenzi: Fisiopatologia e clinica dell’apparato riproduttivo maschile.
Pensiero Scientifico Editore, cap. 32, pag. 359, 2000, modificata)
Idiopatiche
25-30%
Varicocele
25-30%
Infettive
8-10%
Danno testicolare (orchiti, traumi, torsione)
10%
Varie
9%
Malformazioni (CBAVD, criptorchidismo)
1-2%
Endocrine
8%
Disfunzioni eiaculatorie
Immunologiche
Non si sa esattamente quando l’adolescente raggiunge una
completa spermatogenesi, per questo motivo bisognerà essere
cauti prima di esprimere un giudizio definitivo sulle potenzialità
spermatogenetiche del soggetto in esame.
I valori di normalità dei parametri seminali vengono riportati nella
Tabella 2.
D) Funzione dello spermatozoo eiaculato (da cause immunologiche, alterazioni morfofunzionali del gamete).
L’incidenza delle varie patologie che comportano una alterazione della fertilità nell’adulto viene riportata nella Tabella 3.
Valutazione delle alterazioni
della spermatogenesi
Aspetti patogenetici
Come in ogni condizione patologica, la valutazione delle alterazioni della spermatogenesi deve cominciare con un’anamnesi
dettagliata ed un attento esame fisico a cui andranno associati
un dosaggio dell’inibina, gonadotropine e del testosterone
(Tabella 4) ed in casi selezionati un analisi del cariotipo ed una
RMN cerebrale.
Le alterazioni della spermatogenesi possono essere di 4 tipi
(10):
A) Pre-testicolari, secondarie ad alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi (deficit di gonadotropine)
B) Testicolari (arresto maturativo associato a patologie cromosomiche o a delezioni geniche, a cause tossiche, a patologie traumatiche, a varicocele, a criptorchidismo)
C) Post-testicolari, secondarie ad ostruzione del sistema canalicolare che permette agli spermatozoi di abbandonare i tubuli seminiferi per passare nell’eiaculato (ostruzione bilaterale
dei dotti deferenti nella fibrosi cistica od a patologie acquisite, ad es. flogosi)
Quando richiedere l’esame del
liquido seminale nell’adolescente
Non esistono criteri ben definiti. Un esame del liquido seminale
potrà essere proposto agli adolescenti “maturi” che hanno rag-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fisiopatologia della spermatogenesi
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Patologie che più
frequentemente causano una
alterazione della fertilità
giunto una completa fase di maturazione puberale e con storia
anamnestica e/o clinica di:
criptorchidismo bilaterale
varicocele di III grado
varicocele di II grado con ipoplasia della gonade (meno del
25% rispetto alla gonade controlaterale)
patologia cronica (talassemia, drepanocitosi, morbo di
Crohn)
ipoplasia testicolare con aumento dell’FSH
durante il trattamento di induzione della spermatogenesi con
gonadotropine.
Nota bene: è opportuno eseguire un esame del liquido seminale
nei pazienti affetti da patologie che richiedono un trattamento
radiante o chemioterapico (11) o su richiesta dell’adolescente.
Varicocele
Il varicocele è una condizione di ectasia delle vene del sistema
testicolo-epididimo-funicolo spermatico, con prevalente localizzazione a sinistra, secondaria alla stasi venosa.
La frequenza del varicocele appare essere età-dipendente: 4.5%
in età prepuberale, 15-20% nell’età adolescenziale (12).
Nel 90% dei casi è presente a sinistra e si accompagna, nell’adulto, ad alterazioni della spermatogenesi (65% dei soggetti
affetti). Il varicocele, in età puberale, molto spesso si accompagna ad una riduzione volumetrica della gonade. La riduzione del
volume testicolare sembra progredire con l’età del paziente e
l’entità del varicocele e, poiché i tubuli seminiferi costituiscono
più del 90% della massa testicolare, si può ritenere che l’ipotrofia del testicolo sia espressione di una compromissione più o
meno grave della fertilità.
L’ipotrofia della gonade frequentemente si associa a lesioni istologiche dei tubuli seminiferi e dell’interstizio, sovrapponibile a
quelle descritte negli adulti (13).
Le indicazioni al trattamento chirurgico, in età adolescenziale,
sono rappresentate dall’ipotrofia testicolare (20-25% rispetto al
controlaterale) e dal varicocele di grado elevato (III grado).
Il recupero della fertilità, nei maschi adulti, dopo trattamento del
varicocele è del 50%-60% con pregnancy rate del 26%-41% (15).
Misura dei parametri endocrini
Una valutazione endocrina di base è in grado di fornire importanti informazioni diagnostiche. Basse concentrazioni di FSH-LH
e testosterone indirizzano verso una patologia ipotalamo-ipofisaria (ipogonadismo-ipogonadotropo). Alti livelli di gonadotropine
e basse concentrazioni di testosterone indicano una patologia
testicolare (ipogonadismo-ipergonadotropo). Un aumento dei
livelli di FSH indica un danno dell’epitelio seminifero, se si associa ad un aumento dell’LH e ad un valore normale-basso di
testosterone si deve pensare ad un associato deficit parziale
delle cellule del Leydig. Un incremento combinato dell’ LH e del
testosterone è riferibile a condizioni di androgeno-resistenza. La
presenza di una azoospermia con livelli ormonali nella norma
deve far sospettare un ostacolo delle vie seminali.
Livelli elevati di prolattina possono essere il sintomo di un’incapacità ipotalamica di secernere il fattore inibente la prolattina
(PIF) o possono essere un segno di adenoma ipofisario.
Criptorchidismo
Il criptorchidismo rappresenta l’anomalia più frequente dell’apparato uro-genitale in età pediatrica con importanti sequele che
possono condizionare lo stato di fertilità dell’individuo.
I pazienti criptorchidi, anche se monolaterali e anche se corretti
in età adeguata, presentano fertilità ridotta rispetto alla popola-
Tabella 4. Valori plasmatici di LH, FSH e testosterone nelle patologie con oligoazoospermia.
Patologia
LH
Livelli ormonali
FSH
testosterone
Azoospermia:
assenza congenita dei dotti deferenti
ostruzione acquisita dei dotti deferenti
sindrome di Klinefelter
ipogonadismo ipogonadotropo
N
N
↑
↓
N
N
↑↑
↓
N
N
N↓
↓
Azoospermia-olioazoospermia:
varicocele
criptorchidismo bilaterale
parziale resistenza agli androgeni
pregressa chemioterapia
N
N↑
↑
N↑
N↑
N↑
N↑
↑↑
N
N↓
↑
N↓
115
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
zione normale, e il testicolo ritenuto, lasciato in sede criptorchide, presenta scarsissime possibilità di sviluppare spermatogenesi. Recenti studi dimostrerebbero che è possibile la prevenzione parziale del danno testicolare se si segue una diagnosi
precoce in età neonatale e si riposiziona il testicolo in sede scrotale entro il primo anno di vita (16,17).
dei pazienti adulti che avevano avuto l’orchite parotitica. A livello
testicolare è presente una fibrosi localizzata dei tubuli seminiferi
che può progredire per anni, ma che di solito si autolimita (1).
Chemioterapia e radioterapia
Gli effetti della chemioterapia sul sistema riproduttivo sono ben
noti. I fattori che influenzano l’entità del danno gonadico sono
rappresentati dall’età, sesso, fase puberale, malattia di base,
regime chemioterapico utilizzato (dose, durata). I bambini prepuberi sembrano essere relativamente più resistenti al danno da
farmaci citotossici rispetto ai soggetti puberi (20).
L’irradiazione testicolare con dosi comprese tra 1.4-3 Gy causa
azoospermia, che può essere solo temporanea, mentre una sterilità irreversibile è provocata da una irradiazione superiore a 7 Gy.
In molti casi sia la chemioterapia che la radioterapia determinano una persistente, compensata disfunzione subclinica delle
cellule di Leydig.
La crioconservazione del seme è consigliata prima di iniziare il
trattamento chemio o radioterapico.
Azoospermia ostruttiva
Il 97-98% dei pazienti con fibrosi cistica (FC) presentano una
azoospermia ostruttiva secondaria ad aplasia congenita dei vasi
deferenti (CBAVD). L’ostruzione è causata dalla presenza di
secrezioni abnormi che si verificano in fasi precoci di spermatogenesi (13-14a settimana di età gestazionale). La patogenesi di
questa alterazione sarebbe da ricondurre ad un assente o cattivo funzionamento della CFTR (cystic fibrosis transmembrane
factor) a livello delle strutture epidimo-differenziali, con conseguente difettoso trasporto di elettroliti e d’acqua nelle membrane
apicali delle cellule epiteliali delle strutture genitali (18).
L’eiaculato ha un volume ridotto, il pH è basso (< 7), il fruttosio
e le prostaglandine sono assenti, l’acido citrico è aumentato. I
valori delle gonadotropine e del testosterone sono nella norma.
Tecniche di fertilizzazione in vitro, dopo prelievo microchirurgico
di spermatozoi dalla rete testis, sono state utilizzate in alcuni
pazienti non sempre con successo (19). Prospettive più incoraggianti sembrano aprirsi con l’uso della iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI).
In tutti i casi, prima di procedere ad un intervento terapeutico per
l’infertilità, è necessario cercare nella partner la presenza di una
delle mutazioni più frequenti della FC (18).
Ipogonadismo-ipogonadotropo
La terapia medica è in grado di indurre fertilità nel 50-60% dei
pazienti con ipogonadismo-ipogonadotropo; l’incidenza si riduce quando questa patologia si associa a criptorchidismo.
L’approccio terapeutico prevede l’uso di gonadotropina crionica
(hCG) associato alla gonadotropina della menopausa (hMG) o
l’impiego pulsatile del releasing ormone delle gonadotropine
(Gn-RH) per via sottocutanea (20).
Nei pazienti con ipogonadismo-ipogonadotropo parziale, la
spermatogenesi può essere indotta con la sola hCG; il mantenimento della spermatogenesi, in alcuni casi, può essere raggiunto con LH-RH per via nasale.
Nei soggetti adulti in trattamento con gonadotropine, la somministrazione di GH sembra migliorare la produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig (21) e la risposta spermatogenetica (22).
L’IGF-1 aumenta la produzione di testosterone hCG-indotta
determinando sia un aumento del numero dei recettori di membrana per l’hCG/LH e del loro accoppiamento ai recettori intracellulari, sia un aumento dell’attività di alcuni enzimi della stereidogenesi (21).
Sindrome di Klinefelter
La sindrome di Klinefelter è secondaria ad un’anomalia cromosomica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X soprannumerario (20). La frequenza di questa condizione è di 1:600-1000.
I pazienti presentano vari gradi di sviluppo eunucoide: scarsa
crescita della barba, distribuzione femminile del pelo corporeo,
alterate proporzioni dello scheletro, ginecomastia e sviluppo
inferiore al normale dello scroto e del pene. I testicoli sono piccoli (volume inferiore a 6 ml) e presentano istologicamente ialinizzazione dei tubuli con fibrosi e iperplasia delle cellule di Leydig
(20). Può essere presente un ritardo mentale (lieve-moderato). Le
indagini di laboratorio dimostrano una severa oligoastenospermia
o azoospermia, elevati tassi di FSH e LH e livelli di testosterone
plasmatico normali o nel range basso della normalità (20).
L’estrazione testicolare di spermatozoi associata alla ICSI ha permesso ad alcuni pazienti di diventare padri (20).
Difetto dei recettori per gli androgeni
Una oligospermia è stata riportata in soggetti con normale fenotipo maschile e ridotti livelli dei recettori per gli androgeni. I livelli di testosterone ed LH sono usualmente elevati, in qualche caso
normali (23).
Orchite parotitica
Patologie croniche
Compare 4-7 giorni dopo l’esordio della parotite nel 15-20% dei
soggetti dopo la pubertà ed è più rara durante l’infanzia.
Raramente l’interessamento dei testicoli è bilaterale.
Oligospermia o azoospermia sono state osservate in circa il 30%
Per malattie croniche si intendono patologie permanenti che
comportano una invalidità completa o parziale e richiedono, per
tutta la vita, un trattamento medico e/o riabilitativo. Recenti studi
116
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fisiopatologia della spermatogenesi
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
adolescenti che hanno raggiunto una completa maturazione
puberale.
Questi aspetti dovranno essere illustrati all’adolescente ed ai genitori allo scopo di garantire una corretta informazione e conoscenza
delle tecniche che vengono utilizzate per la fertilizzazione assistita..
condotti negli Stati Uniti riportano una prevalenza di malattia cronica nel 6% dei soggetti in età adolescenziale. Diverse sono le
patologie croniche che possono determinare alterazioni della
spermatogenesi (24).
Nella beta-talassemia i tests funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi indicano un ipogonadismo ipogonadotropo, quasi
sempre permanente (25). Nei ragazzi con malattia drepanocitica
omozigote è presente, dal punto di vista istologico, un’immaturità dei tubuli seminiferi e negli adulti si osserva l’assenza o l’arresto della spermatogenesi (26).
La malattia celiaca può associarsi ad una infertilità. L’analisi del
liquido seminale mostra talvolta le seguenti anomalie: lieve oligospermia, ridotta motilità ed anomalie morfologiche. Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino si associano a ipospermatogenesi. I meccanismi eziopatogenetici restano in gran parte
sconosciuti, anche se la persistenza della febbre, lo scadente
stato nutrizionale e l’uso prolungato di farmaci quali la salazopirina possono concorrere a determinare le alterazioni del liquido
seminale (27).
Un’oligospermia secondaria ad ipospermatogenesi o ad un arresto parziale della spermatogenesi è stata riportata in adolescenti con diabete insulino-dipendente, ipotiroidismo primario e sindrome surreno-genitale (28-30).
Ringraziamenti
Gli Autori desiderano esprimere il più vivo ringraziamento alla
segretaria della Divisione Pediatrica, sig.ra Gianna Vaccari, per
l’efficiente collaborazione e disponibilità, e alla Edizioni Minerva
Medica per aver permesso di riportare nel testo una parte dei
lavori (bibliografia 1 e 3) già pubblicati su Minerva Pediatrica.
Bibliografia
Conclusioni
Negli ultimi venti anni le conoscenze nel campo della andrologia
e fisiopatologia della riproduzione hanno subito un forte impulso.
Il ruolo del pediatra, in passato, era principalmente legato alla
diagnosi e terapia delle patologie del contenuto scrotale (criptorchidismo, orchiti, torsione testicolare, tumori). In tempi più recenti ha dovuto acquisire conoscenze in vari campi della andrologia
(genetica, endocrinologia, fisiopatologia della riproduzione).
Grazie al miglioramento delle cure prestate molti soggetti affetti
da patologie croniche, a differenza di quanto avveniva in passato, raggiungono l’età adulta e di conseguenza chiedono di poter
avere una vita affettiva e riproduttiva del tutto corrispondente a
quella dei coetanei. In considerazione di ciò, il pediatra molto
spesso si troverà a dover affrontare problematiche molto complesse, in particolare la prevenzione e la terapia delle alterazioni
della spermatogenesi e della steroidogenesi testicolare.
Una compromissione gonadica è stata ben documentata in
diverse patologie: emoglobinopatie, malattie gastrointestinali
(celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali), endocrinopatie e tumori.
Nei pazienti trattati con chemio-radioterapia per patologia tumorale o sottoposti a trapianto di midollo l’entità del danno testicolare e, quindi, della spermatogenesi è in relazione all’età del
paziente, allo stadio puberale ed alla terapia utilizzata (dose,
durata, tipo di associazione).
La crioconservazione del seme è, quindi, consigliabile in tutti gli
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Corrispondenza:
Dott. Vincenzo De Sanctis
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia
Azienda Ospedaliera Universitaria
Arcispedale S. Anna
Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara
Tel.: 0532/236934
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Abstract
La rivelazione ai genitori
del proprio orientamento degli
adolescenti omosessuali
viceversa una buona accettazione e sostegno genitoriale. È importante che i Medici che si occupano di adolescenti sappiano riconoscere e sostenere le famiglie in cui una diversità del ragazzo rappresenta un fattore di rischio e vulnerabilità.
C. Alfaro, G. Apreda, C. Tregrossi, M. D’Aniello,
L. Imperato, M.A. Cascone, L. Tarallo
U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5. Castellammare di Stabia (NA)
Una crisi emicranica con aura
in una tredicenne
Per i giovani omosessuali è considerato benefico, dal punto di vista
psicologico, rivelare il proprio orientamento sessuale e vivere alla
luce del sole. I genitori, però, tendono a reagire con emozioni violente, incredulità, rifiuto, delusione e vergogna quando vengono a
sapere dell'orientamento omosessuale del figlio o della figlia. La
rivelazione spesso provoca una dolorosa crisi che, se non superata perché cristallizzata in una comunicazione combattiva, può
generare la disgregazione del nucleo familiare, fino all'allontanamento di alcuni membri della famiglia (il ragazzo o meno spesso
uno dei genitori). I disaccordi che fisiologicamente conseguono alla
rivelazione dovrebbero essere gestiti dai membri della famiglia in
modo razionale con il fine di maturare reciprocamente in un’ottica
empatica e raggiungere dei compromessi senza permettere alle
emozioni di avere la meglio. Sarebbe importante sostenere l'indipendenza di ogni persona mantenendo contemporaneamente i
legami familiari come fondamentale risorsa e difesa. La persona
immersa nell'emotività mostra invece difficoltà a separare il pensiero dalle emozioni. Gli sforzi per raggiungere autonomia e intimità
spesso sono inefficaci. Il rischio è che colui che decide di allontanarsi, nel caso specifico il figlio o figlia omosessuale, tronchi i legami familiari considerando l'allontanamento come affermazione di
autonomia. In questi casi non si raggiunge una reale indipendenza
e genitori e figli rimangono psicologicamente fermi al momento dell'ultimo contatto. Non è un caso che depressione e suicidio siano
tre volte più frequenti tra gli adolescenti omosessuali, che proprio
dalla famiglia avrebbero bisogno di sostegno e protezione anziché
rifiuto e ostracismo. I genitori hanno bisogno di essere “educati”
circa lo stile di vita omosessuale per abbattere l'influenza negativa
di vecchie informazioni e pregiudizi. Più un genitore è informato sul
tema omosessualità, più si adatta alla rivelazione che un figlio o
figlia sono omosessuali. Per esempio i genitori devono assolutamente sapere che l'omosessualità non è più classificata come una
malattia mentale. Abbiamo chiesto a 10 giovani omosessuali, 8 M
e 2 F, età 17-22 anni (mediana 19aa), come abbiano gestito la
comunicazione del proprio orientamento sessuale ai genitori: 3 (2
M e 1F) non l’hanno mai confessato, con la conseguenza di rapporti insinceri, ambigui o distaccati; 4 (3 M, 1F) a seguito della rivelazione hanno conseguito rapporti difficili, conflittuali e aspri con, in
3 casi, allontanamento fisico del ragazzo; 3(M) hanno dichiarato
C. Alfaro, C. Tregrossi, M. Borrelli, L. Tarallo
U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5. Castellammare di Stabia (NA)
Riportiamo il caso di una ragazza di 13aa1m che ha manifestato, in pieno benessere, crisi cefalalgica preceduta da disturbi del
visus e seguita da vomito ed agitazione. Condotta al più vicino
PO (sprovvisto di Pediatra), è stata posta diagnosi di crisi isterica in anoressica, sulla scorta della notevole magrezza (peso=42
kg, altezza=164 cm), del disturbo del visus oer cui non distingueva la fisionomia dei familiari, e dello stato di agitazione, ulteriormente accentuato dalla vista e dall’approccio dei sanitari. È
stata praticatata terapia ev con prometazina 50mg e levosulpride
50mg a scopo di sedazione. La paziente ha poi manifestato irrequietezza, confusione, disartria, torpore ed è stata trasferita
immediatamente nella nostra UOC. Nell’anamnesi familiare presenza di cefalea (madre), negativa la a. personale remota.
All’E.O. all’ingresso: discrete condizioni generali, parametri vitali
nella norma, apiressia, non segni di flogosi meningea, stato di
torpore (solo se stimolata con insistenza accenna a svegliarsi e
poi subito si riaddormenta), nella norma esame dei nervi cranici,
tono, trofismo e forza muscolare, riflessi osteotendinei, sensibilità superficiale e profonda, fondo oculare. Risultano nella norma:
emocromo, indici infiammatori, glicemia, elettroliti, indici di funzionalità epatica e renale, LDH, CPK, PT, PTT, fibrinogeno, Ddimeri, TAC cranio senza mdc. EEG: su ritmo di fondo instabile
inserite sequenze di onde lente delta ad alto voltaggio sulle derivazioni occipitali soprattutto a sn. Trattamento con desametasone 4 mg ev ogni 12 ore per 2 gg e mannitolo 100cc ev ogni 12
ore per 1 giorno. Il giorno dopo, la ragazza appare sveglia, orientata, con amnesia retrograda, buone condizioni cliniche, non
deficit neurologici a focolaio, prove vestibolari nella norma. Nella
norma: screening per celiachia, tireopatia, infezione da EBV e
Mycoplasma pneumoniae. L’EEG in seconda giornata mostra
miglioramento del tracciato con instabilità dell’AEK e persistenza
di residuo lento posteriore, e risulterà completamente negativo
dopo 1 mese. La ragazza viene dimessa in terza giornata in equilibrio clinico e affidata alla Neurologia nel caso di nuove crisi emicraniche. Questo caso sottolinea come, benché negli adole-
119
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Obesità e asma: indagine
conoscitiva in una popolazione
pediatrica
scenti siano comuni i sintomi psicosomatici, non bisogna mai
tralasciare un rigoroso approccio diagnostico di fronte a presentazioni cliniche di dubbia interpretazione.
E. Anastasio, M. Aloe, M.G. Magnolia, M. Baserga
Cattedra di Pediatria, Università “Magna Græcia” di Catanzaro
Strategie per prevenire
le stragi del sabato sera
in Costiera sorrentina
Background. Obesità e asma sono condizioni che colpiscono
milioni di persone nel mondo. Negli ultimi 20 anni si è verificato
un rapido aumento della prevalenza di entrambe e molti studi
epidemiologici concordano per un’associazione tra le due patologie. L’obesità può interferire sul fenotipo asmatico attraverso
fattori meccanici, immunologici, genetici, endocrinologici ed
ambientali (1).
Scopo dello studio Valutare l’effetto dell’obesità sulla funzionalità
respiratoria e sul controllo della malattia asmatica in una coorte
di bambini giunti presso la nostra Unità Operativa negli anni
2006-2007.
Materiali e Metodi. Sono stati reclutati 86 bambini, 59 M e 27 F,
con range di età pari ad 8 anni ± 3 ed età media pari a 7 anni e
2/12. Sono stati effettuati: anamnesi immuno-allergologica familiare e personale; prick test e dosaggio IgE totali e specifiche; prove
di funzionalità respiratoria; assetto nutrizionale e profilo lipidico;
controllo cardiologico. È stato valutato: accrescimento staturo-ponderale; pressione arteriosa e frequenza cardiaca; eventuali complicanze dell’obesità (epatomegalia, scoliosi, valgismo del ginocchio). Una volta calcolato il body mass index (BMI), sono stati definiti due gruppi di studio: 31 M (53%) e 14 F (55%)
sovrappeso/obesi (> 85° pc), 28 M (47%) e 13 F (45%) normopeso (<85° pc). Infine, per valutare il controllo dell’asma e la percezione dei sintomi nei bambini, è stato somministrato il questionario
“Asthma Control Test” (ACT) , come affidabile ausilio per il monitoraggio e l’impostazione del trattamento terapeutico (2-3) .
Risultati. Il 20 % di questi bambini presentava all’esordio un’asma di tipo intermittente, il 66% un’asma persistente lieve, il
restante 14% un’asma persistente di grado moderato (classificazione di gravità, G.I.N.A.). All’esame clinico, l’11% (5 M) mostrava epatomegalia, il 29% (10 M e 3 F) atteggiamento scoliotico, il
16% (4 M e 3 F) valgismo del ginocchio, il 33% (9 M e 6 F) piattismo del piede. In nessuno dei pazienti esaminati sono stati
riscontrati reperti patologici di frequenza cardiaca e pressione
arteriosa. Assenti anomalie della conduzione cardiaca all'ECG e
alterazioni di tipo strutturale all'esame ecocardiografico. Assetto
nutrizionale e profilo lipidico nella norma. I prick test per i comuni allergeni sono risultati positivi nel 48% dei pazienti, mentre le
IgE specifiche nel 19%. Le prove di funzionalità respiratoria
hanno evidenziato una lieve riduzione dei livelli di FEV1% nei
bambini sovrappeso/obesi di entrambi i sessi, con valori pari a
95,32 nel gruppo M normopeso, 80,06 nei M sovrappeso/obesi,
91,23 nelle F normopeso e 80,28 nelle F sovrappeso/obese. Per
l'analisi statistica si è fatto ricorso al test T di Student per dati
appaiati che ha riportato: per i M valori di t di 11.58, pari a un valore di p < 0,005 e per le F valori di t di 7,46, pari a un valore di p <
0,005. Dallo stesso test, eseguito per il confronto dei valori di FEV
C. Alfaro, C. Tregrossi, M. D’Aniello, M.A. Cascone,
L. Tarallo
U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA)
Gli incidenti stradali rappresentano il 40% delle cause di morte in
adolescenti e giovani adulti, e il 30% almeno è causato da conducenti che hanno assunto alcool o droghe. In una nostra indagine
svolta nelle discoteche su 124 ragazzi di 18-24 anni della Penisola
sorrentina (64 Femmine e 60 Maschi, età mediana 20 aa) in un
sabato sera tipico il 21% dei giovani ha dichiarato di non bere
(20%M), il 41% di consumare in media 1-2 dosi di alcolici (20% M);
il 25% 3-5 dosi (66% M) e il 13 % oltre 6 bicchieri (100% M). La prevenzione degli incidenti tra i giovanissimi si dovrebbe basare
soprattutto sulla informazione e sensibilizzazione. La campagna
nazionale“Guida con Prudenza” promossa da numerosi anni dalla
Fondazione ANIA per la sicurezza stradale, è partita a Sorrento il 18
luglio, simultaneamente ad altre località turistiche in tutta Italia.
All’ingresso dei locali che aderiscono all’iniziativa, i ragazzi sono
invitati a “dare a Bob le chiavi dell’auto”: Bob rappresenta il
“Guidatore designato”, che si impegna a non bere per accompagnare a casa i suoi amici senza rischi. All’uscita dalla discoteca, se
ha mantenuto fede al suo impegno, “Bob” riceverà un premio. Il
progetto dell’ANIA prevede anche l’allestimento all’esterno dei
locali di corner della sicurezza stradale, dove i ragazzi possono sottoporsi volontariamente ad un semplice test alcoolemico monouso(
test del palloncino, risposta in 2 minuti: se si oltrepassa il limite di
0.25 mg di alcool per litro di aria, pari a 0.5 g di alcool per litro di
sangue, si sconsiglia la guida, perché il rischio di incidente aumenta di 3 volte). Nei camper dell’ANIA, i giovani possono inoltre cimentarsi con un simulatore di guida, che permette loro di verificare l’attuazione di un percorso virtuale di guida in condizioni normali e in
stato di ebbrezza. Un progetto provinciale, chiamato”A casa tranquilli”, è stato varato a inizio luglio a Castellammare di Stabia: si tratta di un tir attrezzato con tre cabine che i giovani devono attraversare in sequenza, con una permanenza di tre minuti in ognuna, per
la valutazione della propria percezione uditiva, visiva e olfattiva al
termine della serata in discoteca, in modo da verificare direttamente se sono in condizioni di lucidità ottimali per mettersi alla guida.
Questi progetti puntano sulla responsabilizzazione e autodeterminazione del giovane che, più dei metodi coercitivi e dei controlli,
dovrebbero produrre benefici a lungo termine.
Benché siano piuttosto scarsi in Italia i dati di valutazione di efficacia di questo tipo di programmi di prevenzione, è importante coordinare e ottimizzare gli interventi, e monitorizzare costantemente i
risultati, come auspicato dalle istituzioni europee.
120
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Risultati. Maschi: Frequentazione palestra: 58 % / no sport;
Rendimento scolastico: 17% distinto, 58 % buono, 25 % sufficiente;
Tempo libero: 61 % naviga in internet , 25 % guarda la tv, 14 %
gioca con i videogames.
Femmine: Frequentazione palestra: 88 % / no sport;
Rendimento scolastico: 40% ottimo, 18 % distinto, 30 % buono,
12% sufficiente;
Tempo libero: 64 % guarda la tv, il 20% ascolta la radio, il 16 %
legge i libri.
Conclusione. Dai dati in nostro possesso è emerso che nessuno dei nostri pazienti esercita sport, la maggior parte frequenta
la palestra, con una media, in entrambi i sessi, di 2-3 volte a settimana.
Lo svolgimento di attività fisica in tali soggetti, si è dimostrato incidere in maniera molto positiva sul rendimento scolastico, che risulta buono in entrambi i sessi, anche se con profitto migliore nelle
femmine rispetto ai maschi. Inoltre, né allergia, né celiachia, risultano incidere in maniera negativa sullo svolgimento di attività motoria
non essendo malattie invalidanti da un punto di vista fisico, se si
segue una terapia corretta e rigorosa. I nostri dati concordano con
quelli già presenti in letteratura, che confermano quanto gli adolescenti preferiscano passare la maggior parte del proprio tempo
libero in attività sedentarie, come guardare la tv o utilizzare il computer, dedicando sempre meno spazio all’attività fisica.
1% tra M e F sovrappeso/obesi, non è emerso alcun dato statisticamente significativo per attribuire la differenza tra i due gruppi al
sesso.
L’analisi dei dati del questionario ACT ha mostrato una correlazione significativa tra i valori del FEV1% e il punteggio dell’ACT: solo
il 22% dei bambini sovrappeso/obesi (23% M e 21% F) aveva totalizzato un punteggio ACT >20, pari ad un livello di controllo ottimale della malattia, mentre tale punteggio veniva raggiunto nel
78% dei bambini normopeso (79 % M e 77% F).
Conclusioni. In età pediatrica l’obesità ha un ruolo importante
nell’indurre modificazioni della funzionalità respiratoria, in particolare in termini di riduzione dei volumi polmonari ed aumento
delle resistenze delle vie aeree. La prevenzione e la tempestiva
diagnosi rimangono i cardini dell’intervento sia per l’asma che
per l’obesità. Tali patologie, insieme e/o entrambe, rappresentano due evenienze invalidanti che interferiscono sulla qualità di
vita del bambino.
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Adolescenti con patologia
cronica: scuola, sport
e tempo libero. Dati preliminari
E. Anastasio, L. Giancotti, E. De Marco, M. Rubino,
F. Graziano, E. Bonanno, E. Madarena, M. Baserga
Cattedra di Pediatria - “Università degli Studi Magna Graecia” di Catanzaro
Introduzione. Patologie croniche possono essere associate a
difficoltà nello sviluppo emotivo, e indurre conseguenze rilevanti
nei processi psicologici. Celiachia ed allergia, in quanto malattie
croniche ad inizio infantile, possono produrre reazioni di adattamento emozionale e di personalità, in modo più accentuato
rispetto a malattie che insorgono invece, in età adulta, soprattutto in coincidenza dell’inserimento scolastico, momento in cui tutti
i bambini iniziano a socializzare.
Obiettivi. Abbiamo valutato la performance scolastica, l’attività
motoria/sport e il tempo libero di un gruppo di adolescenti con
allergia e celiachia al fine di rilevare quanto queste incidano sulle
abitudini della vita.
Materiali e metodi. Abbiamo somministrato previo consenso
informato, ad un campione di 29 pazienti 17 F (età media 14
anni; range 10 - 17 anni) e 12 M (età media 13.5 anni; range 11
– 17 anni) afferiti al nostro ambulatorio, un questionario di autovalutazione strutturato in 19 domande che indagano sul rendimento scolastico, l’attività motoria/sport e il tempo libero.
Intervento sul consumo
giornaliero di frutta o verdura
in un gruppo di adolescenti
con eccesso ponderale
V. Bianchi, F. De Cesaris, A. Petracchi, G. Massai,
S. Nastasio, G. Saggese
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana
Introduzione. È ormai noto come il consumo di frutta e verdura
sia uno degli elementi essenziali di un’alimentazione sana ed
equilibrata.
Obiettivi. Questo studio ha lo scopo di dimostrare la relazione
esistente tra il consumo di 4-5 porzioni giornaliere di frutta o verdura e la riduzione dei valori di BMI in un gruppo di adolescenti
italiani con eccesso ponderale.
Metodi. Sono stati esaminati 88 adolescenti di età compresa tra
11 e 16 anni (BMI medio 27.2 kg/m2 ± 4.2 DS), di cui 39 obesi e
121
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
2006), di età compresa tra gli 11 ed i 18 anni (età media 13 anni
e 2 mesi ± 1.5 DS), seguiti presso il Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008.
A ciascun paziente, dopo un inquadramento auxologico, è stato
consigliato di seguire una dieta normocalorica equilibrata, adeguata all’età e suddivisa in 5 pasti giornalieri (colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena), costituita per un 15% da proteine,
un 25% da lipidi e per un 60% da carboidrati, con un consumo
quotidiano di almeno 5 porzioni tra frutta e verdura.
È stata inoltre suggerita la pratica costante di un qualsiasi tipo di
attività fisica.
I pazienti sono stati nuovamente rivalutati dal punto di vista auxologico 6 mesi dopo la consegna della dieta.
Risultati. il BMI medio al momento della prima visita era di 28.9
kg/mÇ ± 4.9 DS e 2.7 SDS ± 1.6 DS; dopo 6 mesi abbiamo
osservato un BMI medio di 27.2 kg/m2 ± 4.1 DS e 2.1 SDS ± 1.3
DS, con una riduzione statisticamente significativa di tale valore,
espresso sia in kg/m2 (p<0.02) che in SDS (p<0.02), nel 97% dei
pazienti esaminati.
Conclusioni. dal nostro studio è emerso come un’ alimentazione normocalorica equilibrata adeguata all’età, associata ad attività fisica, sia in grado di determinare una riduzione di BMI negli
adolescenti sovrappeso ed obesi.
Pertanto, anche in tali soggetti è importante evitare regimi dietetici di tipo restrittivo, difficili da seguire e soprattutto dannosi per
lo stato di salute di un individuo in crescita.
49 sovrappeso, seguiti presso il Centro per l’obesità infantile
della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008.
Ad ogni paziente, dopo un’accurata valutazione auxologica, è
stato chiesto di compilare un diario alimentare, specificando il
consumo di frutta e verdura nella giornata.
I soggetti sono stati classificati come obesi o sovrappeso in base
ai valori di cut-off di BMI secondo Cacciari (2006).
Sono stati effettuati incontri mensili con tutti i pazienti e le loro
famiglie mirati a sottolineare il valore nutrizionale della frutta e
della verdura e l’importanza di un’alimentazione sana ed equilibrata. A tutti gli adolescenti è stato consigliato un consumo giornaliero di almeno 5 porzioni di frutta o verdura.
Risultati. durante il primo incontro abbiamo riscontrato uno
scarso o assente consumo di frutta e verdura nell’87% degli adolescenti esaminati.
Dopo 1 anno il 76% degli adolescenti consumavano abitualmente tra 4 e 5 porzioni di frutta o verdura al giorno. In tutti i pazienti
abbiamo riscontrato una riduzione del peso corporeo, e quindi
del BMI, significativa: valore di BMI medio di 23.4 kg/m2 ± 2.5
DS. Inoltre il BMI di coloro che avevano seguito abitualmente i
consigli nutrizionali era significativamente inferiore (p<0.05)
rispetto a quello di coloro che avevano modificato solo parzialmente le proprie abitudini alimentari.
Conclusioni. Molti adolescenti italiani, soprattutto quelli con
eccesso ponderale, consumano quotidianamente ridotte quantità
di frutta e verdura. Questi alimenti hanno un elevato valore nutrizionale e sono fondamentali per un’alimentazione sana ed equilibrata.
Il consumo abituale di 4-5 porzioni di frutta o verdura al giorno è
correlato positivamente (p<0.05) con la riduzione del valore del
BMI negli adolescenti sovrappeso ed obesi.
Diabete ibrido: un caso
in una giovane adolescente
A. Blasetti, C. Di Giulio, A.M. Tocco, M.F. Matronola,
F. Chiarelli
Efficacia di un’ alimentazione
normocalorica equilibrata,
associata ad attività fisica,
sulla riduzione del BMI
in un gruppo di adolescenti
PO SS Annunziata - Università di Chieti
Il “doppio diabete” o diabete ibrido è una forma di diabete di
recente acquisizione che insorge in età pediatrica, con segni di
autoimmunità, tipici del diabete di tipo 1 (T1D) e che si caratterizza per la presenza di sovrappeso/obesità e insulino resistenza,
tipici del diabete di tipo 2 (T2D). Descriviamo il caso di una giovane adolescente che aveva presentato all’esordito sintomi tipici di
T1D e successivamente sviluppava caratteristiche del T2D.
Clarissa, una ragazza italiana di 13 anni e 11 mesi giunge alla
nostra osservazione per riscontro di iperglicemia, chetonuria e di
sintomatologia caratterizzata da poliuria, polidipsia e perdita di
peso nei due mesi precedenti il ricovero.
All’anamnesi remota nessun elemento degno di nota, ad eccezione del riscontro di un episodio di iperglicemia occasionale
circa quattro mesi prima (Glicemia capillare pari a 118 mg/dl a
digiuno). Familiarità per T2D.
All’ingresso presso la nostra Clinica: statura: 170 cm (97° C);
peso: 70 kg (97° C ); BMI: 28; glicemia capillare: 269 mg/dl;
HbA1c: 9.2%, Chetonuria: ++++; pH 7.38. Gli esami ematici
eseguiti durante la degenza avevano documentato: C Peptide
V. Bianchi, F. De Cesaris, S. Nastasio, A. Petracchi,
G. Massai, G. Saggese
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana
Introduzione. l’adolescenza è una fase molto delicata dello sviluppo dell’individuo; per garantire una normale crescita durante
questo periodo, è necessario fornire all’organismo quantità adeguate dei principali nutrienti. Pertanto risulta fondamentale che
anche gli adolescenti in eccesso ponderale seguano un’ alimentazione equilibrata normocalorica.
Scopo. nel nostro studio abbiamo voluto dimostrare l’efficacia di
una dieta normocalorica equilibrata, associata alla pratica
costante di attività fisica, sulla riduzione dei valori di BMI in un
gruppo di adolescenti sovrappeso ed obesi.
pazienti e metodi: abbiamo esaminato 108 adolescenti, 54
sovrappeso e 54 obesi (valori di cut-off di BMI secondo Cacciari,
122
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
ridotto (pari a 0.80 ng/ml); positivi gli anti glutammato-deidrogenasi, (ANTI GAD:4.20U/ml); negativi gli anticorpi anti-insula
(ICA); funzionalità tiroidea (TSH; FT3, FT4) nella norma; negativi
gli anticorpi anti-perossidasi tiroidea ed anti-tireoglobulina; negativa la sieorologia per malattia celiaca (anti-transglutaminasi ed
anti-endomisio). La tipizzazione per alleli HLA di classe seconda
evidenziava la presenza di alleli considerati neutri per quanto
riguarda il rischio di T1DM: DQA1*0102-DQB1*0601/
DQA1*0103-DQB1*0604. DR 13;15.
La ragazza è stata dimessa con diagnosi di diabete di tipo 1 all’esordio, e terapia insulinica sottocute ottimizzata, secondo lo schema basal/bolus: Analogo lento (Glargine) + Analogo rapido
(Lispro), ai pasti ( fabbisogno insulinico alla dimissione:1U/kg/die).
Nei mesi successivi alla diagnosi il fabbisogno insulinico della
paziente si è progressivamente ridotto (circa 0.29-0.13 U/kg/die),
parallelamente alla riduzione degli anticorpi anti glutammato-deidrogenasi, (ANTI GAD:1.40-1.10 U/ml), ed all’aumento del C
Peptide: (1.86-1.30 ng/ml). La HbA1c è risultata, in occasione
delle visite di follow-up di 5.8- 5.3- 5.3%.
Attualmente Clarissa non effettua terapia insulinica, ma soltanto
terapia dietetica, con un alimentazione che privilegia l’assunzione di carboidrati a basso indice glicemico, ed ha incrementato
inoltre le ore settimanali di attività fisica.
Il caso da noi riportato evidenzia che, a fronte di una omogeneità
di presentazione clinica all’esordio (iperglicemia, chetosi), esiste
una eterogeneità patogenetica e immunologia che rende attualmente la diagnosi di Diabete più complessa.
È, a nostro parere, degno di nota il riscontro del parallelismo fra
la diminuzione del titolo degli anticorpi Anti GAD, ed il miglioramento del controllo metabolico e della secrezione insulinica. È
infatti noto che la iperglicemia può indurre l’espressione dell’autoantigene glutammato deidrogenasi sulla superficie β-cellulare,
stimolando in tal modo la risposta autoimmune.
Il caso da noi segnalato vuole sottolineare come la diagnosi di
una condizione di iperglicemia esordita o meno con chetoacidosi in un bambino o adolescente, possa diventare problematica
per la possibile coesistenza delle due forme di diabete.
ci e aumento dell’attività fisica sono alla base delle strategie di prevenzione delle patologie cardiovascolari.
Scopo del lavoro. Valutare il profilo lipidico in una popolazione di
adolescenti affetti da DMT1, prima e dopo training dietetico-nutrizionale basato sui principi della dieta Mediterranea.
Materiali e metodi. Sono stati reclutati gli adolescenti afferenti
all’ambulatorio di Diabetologia della Clinica Pediatrica di Novara dal
1 ottobre 2006 al 31 maggio 2007. Sono stati esclusi i pazienti con
storia di chetoacidosi nell’ultimo anno, con ipercolesterolemia o
iperlipidemia combinata e con tireotossicosi. I pazienti sono stati
sottoposti a visita auxologica e a valutazione del profilo lipidico a
tempo 0 e a 6 mesi dall’intervento dietetico. L’alimentazione è stata
valutata utilizzando il programma WinFood 1.5 (Medimatica;
Martinsicuro-TE, Italia). L’analisi statistica è stata effettuata mediante SPSS per Windows versione 11.0 (SPSS; Chicago, IL). Sono stati
utilizzati il test Wilcoxon, il test Mann-Whitney U e l’ANOVA; la significatività statistica è stata posta per p<0.05.
Risultati. Abbiamo reclutato 52 pazienti (28 maschi, 24 femmine,
età media 15.6 ± 2,7).
I maschi consumavano mediamente un maggior quantitativo di
proteine rispetto alla popolazione diabetica femminile (p<0.05).
Il colesterolo totale a T0 correlava negativamente con la quantità di
carboidrati e di proteine assunte (p<0.01, R2 = 0.26), mentre il
colesterolo HDL correlava negativamente con i carboidrati, le proteine, i lipidi della dieta abituale e più in generale con l’introito calorico giornaliero (p<0.04, R2 = 0.172). Il colesterolo LDL correlava
positivamente con le calorie giornaliere assunte, con i lipidi, le proteine e i carboidrati (p<0,03, R2 = 0.162). I trigliceridi correlavano
positivamente con calorie e carboidrati nella dieta (p<0.05, R2 =
0.143). L’emoglobina glicata non correlava con il quadro lipidico.
Dopo l’intervento dietetico si è osservata una riduzione dell’introduzione dei grassi animali ed un aumento dell’introduzione delle fibre
e delle proteine (p<0.05), con una riduzione significativa di colesterolo totale ed LDL (rispettivamente p<0.006 e p<0.0001). Non
si sono invece osservate variazioni significative nei livelli di trigliceridi e colesterolo HDL.
Confrontando maschi e femmine, nei maschi si è osservata una
maggiore riduzione del colesterolo totale (p<0.01) e del colesterolo LDL (p<0.01), in assenza di variazioni significative in termini di
BMI e BMI-SDS tra i due gruppi.
Conclusioni. Successivamente al training dietetico si è osservato
un aumento dell’assunzione delle fibre e una riduzione dei grassi
saturi e dei carboidrati semplici e complessi introdotti con l’alimentazione associati ad un miglioramento del quadro lipidico in particolare ad una riduzione dei livelli di colesterolo potenzialmente più
aterogeni.
La mancata modificazione dei livelli di trigliceridi può essere conseguente al fisiologico stretto legame esistente tra massa grassa e secrezione di ormoni sessuali tipica della pubertà.
L’intervento nutrizionale ha determinato a 6 mesi un’ulteriore
miglioramento della dieta giornaliera determinando una riduzione dell’introito di carboidrati sia semplici sia complessi ed
aumentando l’introito di fibra e di proteine vegetali.
Efficacia di un training dietetico
sul profilo lipidico in una
popolazione diabetica in età
pediatrica
I.M. Bonsignori, E.C. Grassino, F. De Rienzo,
F. Prodam, F. Cadario, S. Bellone, A. Petri, G. Bona
Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte
Orientale, Novara
Introduzione. Tra i molti fattori di rischio che concorrono alla patogenesi dell’aterosclerosi la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa e il
diabete mellito rivestono un ruolo importante.
Tali fattori possono esser già presenti nell’infanzia e devono pertanto esser monitorati e quanto più possibile corretti. Interventi dieteti-
123
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Maternità e paternità
in adolescenza: nostra
esperienza di un anno
Rigidità di parete vascolare
e spessore medio-intimale
carotideo in soggetti in età
pediatrica affetti da
ipercolesterolemia familiare
e da ipercolesterolemia primaria
A. Cervo1, C. Alfaro, G. Apreda, D. Coppola, D. Scafato,
L. Carpinelli, L. Tarallo
U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo- ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA)
*Pediatra di famiglia ASL SA 1
N. Camarda1, M. Valenzise1, S. Riggio2, R. Iudicello2,
G. Zerbi-Cama2, E. Imbalzano2, A. Saitta2, F. De Luca1,
T. Arrigo1
La crisi adolescenziale parte dal cambiamento corporeo che genera disagio, ambivalenza, conflitto. Il corpo diventa il luogo per eccellenza in cui si vivono i conflitti e rappresenta il mezzo di comunicazione e relazione più immediato. L’adolescente vive il rapporto erotico come confronto, cercando di misurare le proprie competenze,
ma anche la sua incerta identità e i suoi dubbi. Oltre alla gestione
delle proprie pulsioni sessuali gli adolescenti devono imparare ad
improntare una relazione affettiva e paritaria con l’altro. Spesso la
sessualità non è vissuta in armonia con l’affettività e la relazione
può essere insoddisfacente.
L’atteggiamento poi degli adolescenti rispetto alla prevenzione gravidanza non è sempre lineare: rispetto al passato esiste maggiore
informazione, ma non sempre le conoscenze teoriche sono applicate, soprattutto quando l’esperienza è carica di emotività, inibizioni ed aspettative. Il 30% delle adolescenti italiane non adopera alcuna precauzione; il ricorso al contraccettivo d'emergenza, è cresciuto del 60% in 7 anni, in particolare tra le adolescenti (1). Gravidanza
indesiderata è un’espressione spesso inadeguata all’immaginario
dell’adolescente gravida, in quanto queste gravidanze sono in
realtà desiderate inconsciamente, ma non volute. Diversamente,
molti ragazzi dinanzi alla gravidanza della partner si assumono le
responsabilità in termini legali ma non psicologici e rinunciano al
legame con il figlio che poi, in molti casi, tenteranno di recuperare
in età più matura. Nell’ultimo anno abbiamo seguito n.24 madri
adolescenti (età 13-17 anni, mediana 16 anni). L’età dei padri era
15-32 anni, mediana 19 anni. Nel 71% dei casi non era stato utilizzato alcun metodo contraccettivo, nel restante il coito interrotto. Il
64% delle coppie è rimasta insieme, nel restante numero di casi il
padre si è defilato. Nell’86% la famiglia di origine ha fornito un
sostanziale supporto alla ragazza e al nascituro. Una buona relazione madre-bambino è stata trovata nel 70% dei casi. Nell’analisi
dei casi va considerata la funzione relazionale della gravidanza
rispetto alla famiglia di origine. Le gravidanze in adolescenza
potrebbero rappresentare un tentativo di svincolo dalle proprie
famiglie. ma si tratta in realtà di una trappola perché questa condizione li rende ancora più dipendenti dalle figure genitoriali dal punto
di vista emotivo, relazionale ed anche economico Capire il significato relazionale della gravidanza e della nascita di un figlio in giovane età è importante in quanto nascere genitore e mettere al
mondo un bimbo sono due eventi con temporalità diverse: prendersi cura della nascita significa prendersi innanzitutto cura dei
genitori, accogliendoli e sostenendoli nel nuovo ruolo.
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche ,
Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica2. Università di Messina
1
Background. Lo stiffness arterioso è considerato un predittore
indipendente di mortalità per eventi cardio e cerebro vascolari in
soggetti affetti da ipertensione arteriosa. Esistono risultati contrastanti circa il ruolo dell’ipercolesterolemia sui parametri di rigidità vascolare, sia in lavori eseguiti nella popolazione adulta che
in quella pediatrica. Tuttavia l’ipercolesterolemia è uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari e lo stiffness
arterioso è noto essere marker di aterosclerosi ancora più precoce dell’IMT.
Scopo dello studio. a) valutare la rigidità di parete (arterial stiffness) e lo spessore medio-intimale carotideo (IMT) in una popolazione pediatrica affetta da ipercolesterolemia familiare (FH) e ipercolesterolemia primaria (HC) , b) valutare se l’ipercolesterolemia è
associata ad un aumento dell’arterial stiffness sistemico (AI%) in
età pediatrica.
Soggetti e metodi. Sono stati reclutati 35 soggetti (13M/22F) ipercolesterolemici in età pediatrica (anni 9,9 ± 3,4) di nuova diagnosi;
16 affetti da ipercolesterolemia familiare eterozigote (FH) e 19 da
ipercolesterolemia primaria (HC), e 15 soggetti (6M/9F) controllo
paragonabili per sesso, età e valori pressori. In tutti i soggetti sono
stati valutati Peso, Altezza, BMI, Pressione arteriosa sistolica (PAS),
diastolica (PAD), Pulse Pressure (PP), Assetto lipidico: CT,TG, HDL,
LDL e Glicemia. È stato misurato lo spessore medio intimale carotideo (IMT) delle carotidi comuni bilateralmente mediante
Ecocolordoppler TSA; e con Echo-Tracking software (Aloka, Japan)
sono stati ottenuti i cinque parametri di rigidità vascolare considerati: β-stiffness, Young Elastic modulus (Ep), Arterial Compliance
(AC), Pulse Wave Velocity (PWV) e Augmentation index (AIx).
Risultati. nei gruppi FH e HC ß-stiffness, Ep, PWV e AIx risultavano incrementati e AC ridotta rispetto al gruppo controllo. I soggetti
affetti da ipercolesterolemia familiare presentavano valori di ß-stiffness, Ep, PWV e AIx aumentati e valori di AC ridotti rispetto al gruppo di HC. Nessuna differenza è stata trovata per i valori dell’IMT tra
i gruppi di FH e HC rispetto al gruppo controllo. CT, HDL e LDL non
risultavano correlati con alcuno degli indici di stiffness considerati;
e non rientravano, come determinanti di rigidità vascolare, nell’analisi di regressione multipla.
Conclusioni. In bambini con ipercolesterolemia è presente un
danno meccanico vascolare precoce (ß-stiffness, Ep, aortic PWV,
Augmentation index) ancor prima della comparsa di modificazioni
strutturali valutabili mediante misura dell’IMT. Tale danno, probabilmente legato alla disfunzione endoteliale indotta dall’ipercolesterolemia, risulta più marcato in relazione alla durata di malattia e ai
valori della colesterolemia.
Bibliografia
1. X Congresso Società Europea della Contraccezione, Praga, 2 maggio
2008.
124
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Trattamento con analoghi
del gnrh per pubertà precoce
centrale (PPC) e composizione
corporea in adolescenza
nazione e la differenziazione sessuale. Poiché condizioni differenti possono manifestarsi clinicamente con fenotipi simili, ogni
soggetto affetto da DSD necessita di accurate indagini cliniche,
strumentali, endocrinologiche e genetiche al fine di individuare
l’esatta forma clinica. Una precisa diagnosi ha ripercus-sioni sull’assegnazione del sesso, le indicazioni alla gonadectomia e lo
stato di salute in età adulta.
Obiettivo dello studio. Rivalutare la correttezza della diagnosi
di sin-drome da insensibilità agli androgeni.
Pazienti e Metodi. Sono state esaminate 29 pazienti con fenotipo femminile, gonadi e cariotipo maschile (46, XY); sulla base
solamente di tali dati era precedentemente stata posta diagnosi
di “Sindrome di Morris”. Per ogni paziente, sono stati valutati:
anamnesi personale e familiare, analisi molecolare per i geni
recettore androgeni (AR), 5α-reduttasi, 17β-idrossisteroidodeidrogenasi, recettore LH.
Sono stati inoltre esaminate precedenti cartelle cliniche alla ricerca di descrizione fenotipica alla nascita, dati ormonali pre-gonadectomia (quando effettuate), referti ecografici e anatomo-istologici.
Risultati. Delle 29 pazienti diagnosticate come affette da
“Sindrome di Morris”, 21 (75%) avevano in effetti una mutazione
nel gene (AR) compatibile con una insensibilità completa agli
androgeni (AIS). Le restanti pazienti (25%) non avevano mutazioni del gene AR, ma le ulteriori indagini di biologia molecolare
hanno permesso di identificare un deficit di 5α-reduttasi in 3
pazienti (10.3%), un deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi in
2 pazienti (6.9%), ipoplasia delle cellule di Leydig in 1 paziente
(3.4%). In 2 pazienti non è stato ancora possibile effettuare una
diagnosi di certezza.
Conclusioni. Una consistente percentuale di pazienti con diagnosi presun-tiva di “Sindrome di Morris” risulta affetta da altre
patologie. Una esatta diagnosi molecolare dovrebbe guidare
l’assegnazione del sesso e l’eventuale interevento di gonadectomia, anche ai fini di promuovere un migliore stato di salute psicosociale in età adulta.
E. Chiocca1, E. Dati1, S. Ghione1, A. Petracchi1, P. Erba2,
G. Mariani2, G.I. Baroncelli1, S. Bertelloni1
1
2
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile;
Medicina Nucleare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa
Premessa. Il trattamento della PPC si basa sulla soppressione
dell’asse gonadi-ipofisi indotta con gli analoghi del GnRH.
Scopo dello studio è stato quello di valutare l’effetto del trattamento a lungo termine con tali farmaci sul BMI e sulla composizione corporea.
Pazienti e metodi. Sono state esaminate 17 adolescenti
(14.4±1.2 anni, media ± SD) precedentemente trattate con triptorelina depot per PPC (3.75 mg/28 gg) da 8.1±0.8 anni fino a
11.5±0.8 anni. Sono stati valutati: peso, altezza e BMI (kg/m2).
Lo studio della composizione corporea è stato eseguito mediante metodica DEXA total body (DEXA, Lunar Prodigy).
Risultati. Tutte le pazienti hanno raggiunto la statura finale
(156.9±6.0 cm), che è risultata all’interno del loro bersaglio
genetico e non differente rispetto a quella della popolazione di
riferimento (p = NS vs 0). Il BMI non si è modificato significativamente dall’inizio della terapia con anologhi del GnRH (0.4±1.1
SDS) all’età adulta (0.1±0.9 SDS), ed è risultato non significativamente diverso da quello della popolazione di riferimento.
All’altezza finale, la massa grassa (FM) è risultata significativamente aumentata (1.3±0.8 SDS, p < 0.001) e la massa magra
(FFM) significativamente diminuita (-1.6±0.9 SDS, p < 0.001).
Conclusioni. La terapia con analoghi del GnRH determina il
raggiungimento della statura adulta finale all’interno del target
genetico e all’ambito dei valori di normalità della popolazione
generale. Non sono stati rilevati effetti a lungo termine del trattamento sul BMI, mentre è stato riscontrato un aumento dei valori
di massa grassa e una diminuzione di quelli massa magra. Tale
rilievo suggerisce la necessità di un attento follow-up ,fino all’età
adulta, della composizione corporea e il monitoraggio del rischio
cardio-vascolare.
Sindrome dell’ovaio policistico:
fenotipi clinici in adolescenza
E. Dati1, S. Ghione1, A. Petracchi1, E. Chiocca1,
F. Fruzzetti2, D. Parrini2, S. Bertelloni1
Rivalutazione della diagnosi
di insensibilità agli androgeni:
aspetti genetico-molecolari
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2Ginecologia Endocrina, UO
Ginecologia e Ostetricia 1, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa
1
E. Dati1, S. Ghione1, E. Chiocca1, F. Baldinotti2, A. Fogli2,
M.E. Conidi2, A. Michelucci2, P. Simi2, O. Hiort3,
A. Richter Unruh4, S. Bertelloni1
Premessa. La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) rappresenta un’entità clinica eterogenea; pertanto nella pratica clinica,
risulta di difficile diagnosi, soprattutto nelle adolescenti. Infatti, i
criteri diagnostici a disposizione, stabiliti in tre consensus internazionali (NIH, 1990; E-SHRE/ASRM, 2003, AES, 2006), riguardano solo le donne adulte. Questo studio si pone l’obiettivo di valutare criticamente la diagnosi di PCOs, con i vari criteri in un gruppo di adolescenti.
1
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2UO Citogenetica e Biologia Molecolare,
Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa;
3
Pädiatrische Endokrinologie und Diabetologie, Universitätsklinikum SchleswigHolstein, Lübeck; 4Pädiatrische Endokrino-login und –Diabetologin, Bochum
Premessa. Il termine “disordini della differenziazione sessuale”
(DSD) indica diverse condizioni cliniche, riguardanti la determi-
125
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Pazienti e metodi. Sono state valutate 27 ragazze con irregolarità mestruale e/o iperandrogenismo clinico (età 15.4+2.2 anni,
età al menarca 11.7+1.4 anni). I parametri esaminati sono stati il
calendario mestruale, il BMI (kg/m2), le dimensioni e le caratteristiche ovariche all’ecografia pelvica (trans-addominale nella
maggior parte dei casi per motivi etici e pratici), la tolleranza glucidica, l’insulino resistenza (con un test da carico orale di glucosio, OGTT), la funzione gonadica e surrenalica.
Risultati. Tutte le adolescenti hanno presentato iperandrogenismo clinico e/o di laboratorio. Sovrappeso ed obesità sono stati
rilevati rispettivamen-te in 4 (15%) e 8 (30%) pazienti.
All’ecografia pelvica 5 ragazze (18.5%) hanno presentato il tipico
aspetto morfologico-policistico delle ovaie. Per quanto riguarda
l’insulino-resistenza, l’alterazione dei parametri HOMA-IR e
WBISI è risultata presente rispettivamente nel 100% e nel 61%
delle ragazze indipendentemente dal loro BMI.
Un’alterata tolleranza glucidica è stata rilevata nel 17% dei casi.
La diagnosi di PCOs, in accordo con i criteri internazionali, è
stata possibile in 23/27 (85%) adolescenti, ma l’applicazione
delle differenti definizioni individua un numero differente di fenotipi clinici.
Conclusioni. Le adolescenti presentano alcune specificità etàcorrelate (cicli anovulatori fisiologici e/o irregolarità mestruali nei
primi anni gineco-logici), che complicano la diagnosi di PCOs. In
questo studio, le principali caratteristiche fenotipiche delle adolescenti esaminate sono risultate l’iperandrogenismo - clinico e/o
di laboratorio - e l’insulino-resistenza, che è risultata indipendente dai valori di BMI (normale o aumentato).
primi mesi di vita. In particolare abbiamo chiesto di indicare se il
ragazzo fosse stato allattato al seno, specificandone la durata in
mesi, o con latte formulato.
Utilizzando i valori di cut-off di BMI secondo Cacciari 2006,
abbiamo suddiviso i pazienti in normopeso (n. 28), sovrappeso
(n. 54) ed obesi (n.56).
Risultati. Dalla valutazione dei questionari è emerso che tutti i
pazienti normopeso erano stati allattati al seno per almeno 1
mese; tra i sovrappeso tale percentuale scendeva al 70% e tra gli
obesi addirittura al 50%, con una differenza statisticamente significativa (p<0,0001) tra il gruppo dei ragazzi con eccesso ponderale (sovrappeso ed obesi) e quello dei normopeso.
Inoltre abbiamo osservato la presenza di una correlazione negativa tra la durata dell’allattamento materno, espressa in mesi, e i
valori del BMI, espressi sia in kg/m2 (r = -0.44 e p<0.001) che
in SDS (r = -0.43 e p < 0.001).
Conclusioni. L’allattamento al seno è senza dubbio un fattore
positivo per lo sviluppo dell’interazione tra madre e figlio.
Il nostro studio ha evidenziato l’esistenza di una correlazione
negativa non solo tra il grado di eccesso ponderale e la presenza di allattamento materno, ma anche tra la durata di quest’ultimo e il valore del BMI in un gruppo di adolescenti italiani.
L’allattamento al seno e, in particolar modo la sua durata, sembrerebbero dunque svolgere un effetto protettivo nei confronti
dello sviluppo di eccesso ponderale in età evolutiva, in accordo
con la maggioranza dei dati presenti in letteratura su tale argomento.
Effetti dell’allattamento al seno
sullo sviluppo di eccesso
ponderale in età adolescenziale
Valutazione dell’attività
sedentaria in un gruppo
di adolescenti con eccesso
ponderale
F. De Cesaris, V. Bianchi, S. Nastasio, G. Massai,
A. Petracchi, G. Saggese
F. De Cesaris, V. Bianchi, G. Massai, S. Nastasio,
A. Petracchi, G. Saggese
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana.
Introduzione. Il ruolo dell’allattamento al seno nei confronti dello
sviluppo di eccesso ponderale in età evolutiva è un tema molto
dibattuto negli ultimi anni.
Molti studiosi sono però concordi nel sottolineare il ruolo protettivo
dell’allattamento materno sullo sviluppo di obesità in età giovanile.
Scopo. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare la
correlazione esistente tra la presenza di allattamento al seno e la
sua durata ed il grado di eccesso ponderale in un gruppo di adolescenti italiani normopeso, obesi e sovrappeso.
pazienti e metodi: abbiamo esaminato 138 adolescenti italiani,
con un’età media di 13 anni e 6 mesi (± 1.7 DS), giunti presso il
Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il
2005 ed il 2008.
Dopo aver sottoposto ciascun paziente ad un inquadramento
auxologico, abbiamo chiesto ai genitori di compilare un questionario volto a valutare il tipo di alimentazione fornita al ragazzo nei
Introduzione. Negli ultimi anni, sull’onda del grande sviluppo e
diffusione dei media, dell’informatica e dell’elettronica, abbiamo
assistito ad un progressivo aumento dell’utilizzo di televisione,
computer e videogiochi da parte dei nostri adolescenti.
Contemporaneamente all’incremento dell’attività sedentaria dei
giovani si è verificata anche un’epidemia di sovrappeso ed obesità in età evolutiva.
Scopo. L’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare la
correlazione esistente tra il numero giornaliero di ore di attività
sedentaria ed il grado di eccesso ponderale in un gruppo di adolescenti italiani.
Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 138 adolescenti (BMI
medio 28.9 kg/m2 ± 4.9 DS)
di cui 56 obesi, 54 sovrappeso e 28 normopeso, (valori di cut-off
di BMI secondo Cacciari, 2006), di età compresa tra gli 11 ed i
18 anni (età media 13 anni e 6 mesi ± 1.7 DS), seguiti presso il
126
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il
2005 ed il 2008.
Ciascun paziente è stato sottoposto ad una accurata valutazione
auxologica e ad un colloquio volto ad evidenziare il numero di
ore giornaliere trascorse di fronte a TV, computer e videogiochi.
Risultati. Dal nostro studio è emerso come la metà dei pazienti
con eccesso ponderale, da noi esaminati, dedicava quotidianamente circa 2 ore ad attività di tipo sedentario, ben il 33% circa 4
ore, il 2% addirittura più di 6 ore e solo il 15% meno di un’ora.
Tra i soggetti normopeso, invece, il 65% trascorreva meno di
un’ora della giornata guardando la TV o giocando al computer o
con i videogiochi, il 30% circa 2 ore, solo il 5% circa 4 ore e nessuno più di 6 ore.
Abbiamo poi osservato una correlazione positiva e fortemente
significativa tra il numero giornaliero di ore trascorse in attività di
tipo sedentario e il valore di BMI, espresso sia in kg/m2 (r =0.31
e p<0.0001) che in SDS (r =0.31 e p = 0.001).
Conclusioni. I nostri adolescenti trascorrono gran parte della
giornata guardando la TV, navigando su Internet o giocando con
i videogiochi. Questo determina un costante aumento delle attività di tipo sedentario ed una conseguente riduzione del tempo
trascorso all’aria aperta o dedicato allo svolgimento di attività
fisica.
Secondo il nostro studio sembra che tale fenomeno sia strettamente associato all’allarmante incremento del grado di eccesso
ponderale in età evolutiva verificatosi negli ultimi anni, in accordo
con la maggioranza degli studi presenti in letteratura.
facilitare un’adeguata modalità di relazione all’interno della
propria famiglia.
Tali progetti si basano sull’utilizzo di percorsi esperenziali che
permettono un’acquisizione dei contenuti non legata alle diverse
realtà culturali ed ai diversi livelli di scolarizzazione. Un esempio
di tali percorsi è rappresentato dai “giochi psicologici” che hanno
lo scopo di:
far sperimentare ai partecipanti una particolare forma di
apprendimento;
attuare percorsi che consentono di prendere consapevolezza
di dimensioni psichiche e relazionali;
facilitare l’acquisizione di nuovi modi di pensare, sentire, relazionarsi.
Attraverso tali percorsi, la famiglia diventa un’entità funzionale;
attenta ai rapporti relazionali tra i diversi componenti, creatrice di
identità di appartenenza e di trasformazione, capace di generare salute.
La famiglia nello studio
del pediatra
(I Bilanci di salute alla Famiglia)
G. De Luca, R. Pellicani, G. Schiavone, A. D’adamo,
A. De Pasquale
Gruppo di studio Promozione alla Salute SIMA
Un numero sempre più crescente di bambini-adolescenti soffrono di disturbi psicosomatici, comportamentali e/o emozionali
che spesso non trovano una causa definita. Su tali disturbi, il
pediatra, non riesce a fornire alcun consiglio ai genitori ed assume, in genere, una condotta attendista, riservandosi di inviare
allo specialista neuropsichiatra infantile solo le problematiche
che gli sembrano più gravi. Dovrebbe, invece, imparare ad effettuare una valutazione “globale” della famiglia (Bilancio di salute
alla Famiglia (BSF)), per evidenziare eventuali disturbi relazionali tra i singoli componenti, allo scopo di stabilire quanto questi
fattori incidano sul determinismo della sintomatologia espressa
dal bambino. Sappiamo, infatti, che l’azione della famiglia come
sistema è essenziale per assicurare uno sviluppo armonico della
persona, sia in senso psicofisico che comportamentale e sappiamo pure che i componenti del nucleo familiare si influenzano
reciprocamente e risentono dei rapporti con la famiglia d’origine
e con l’ambiente in cui l’unità funzionale vive. Il pediatra può individuare i fattori di rischio che influenzano negativamente lo sviluppo psicofisico del bambino attraverso l’esame delle relazioni
familiari ( Bilancio di salute alla Famiglia) che possono presentare caratteristiche interattive patologiche presenti singolarmente o
in maniera combinata tra loro. Tali caratteristiche interattive sono:
1) L’invischiamento: i membri della famiglia sono ipercoinvolti
nelle attività, gli uni degli altri, con scarsa autonomia, per cui c’è
una confusione dei ruoli. 2) Iperprotettività: tale atteggiamento
non aiuta il bambino a sviluppare relazioni axtrafamiliari e l’interesse per il bambino è tale da coprire i conflitti in seno alla fami-
Percorsi di valorizzazione
delle risorse della famiglia
in ambito pedagogico
ed educativo-sanitario
G. De Luca, G. Schiavone, R. Pellicani, A. D’Adamo,
C. Cafaro, C. Tangorra
Gruppo di studio Promozione Alla Salute della SIMA
La famiglia gioca un ruolo decisivo nell’assicurare uno sviluppo
armonico del bambino che acquisisce le prime competenze
cognitive, emotive e motorie proprio nell’ambito familiare. Il
pediatra di famiglia con competenze sistemico relazionali può
elaborare dei progetti rivolti alla famiglia che servono ad individuare risorse che la famiglia non si accorge di avere. Tali progetti
sono di più facile realizzazione se il pediatra lavora in gruppo o
in associazione e se instaura dei rapporti di collaborazione con
psicologi e psicoterapeuti. I progetti elaborati hanno i seguenti
obiettivi:
fornire ai genitori una visione sul funzionamento della famiglia
in generale e della loro in particolare;
stimolare una comunicazione efficace tra genitori e figli, partendo da un’analisi del “vissuto” personale dei genitori;
favorire e sostenere nei genitori una lettura attenta dei comportamenti propri in relazione ai figli;
127
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
glia stessa, anche se i membri della famiglia mostrano un alto
livello d’interesse reciproco. 3) Rigidità: la famiglia nell’insieme
sembra non avere alcun altro problema che la malattia del bambino; nega, pertanto, le altre realtà interattive e difende i propri
modelli relazionali. 4) Intolleranza ai conflitti: qualunque relazione
che porta ad una diversa opinione genera conflitti; per cui viene
evitato qualsiasi confronto con il bambino sintomatico che diventa attore principale per evitare i conflitti. 5) Coinvolgimento del
bambino nel conflitto genitoriale: i genitori sono completamente
assorbiti dai sintomi del bambino in maniera tale da reprimere i
conflitti che rimangono nascosti.
Attraverso l’esecuzione dei Bilanci di Salute alla Famiglia (BSF),
il pediatra sarà in grado di valutare, in maniera più appropriata, il
grado di coinvolgimento della famiglia nelle problematiche presenti nel bambino-adolescente e potrà selezionare con maggiore appropriatezza le famiglie che necessitano di un eventuale
trattamento psicoterapeutico.
prevedono: il gruppo dei pari, isomorfo con il sistema intrapsichico motorio-istintuale, la famiglia, in rapporto isomorfico con il
sistema emotivo, il gruppo degli adulti, isomorfo con il sistema
cognitivo. Tali sistemi devono essere in equilibrio ed in armonia
tra loro, collegati in maniera sincrona, per garantire una sana crescita ed un “armonico” sviluppo dell’individuo. Da una prima
analisi, su circa 50 adolescenti esaminati con il questionario, e
con la visita-colloquio del bilancio di salute dei 12 e dei 14 anni,
si può affermare che nel 30% circa dei soggetti sono stati riscontrati degli elementi che consigliano un ulteriore approfondimento
diagnostico specialistico. Sono attualmente in corso delle nostre
valutazioni per evidenziare i più importanti elementi da considerare, nell’ambito della visita filtro, come dei veri e propri “fattori di
rischio disfunzionali”. Attraverso tale valutazione, quindi, il bilancio di salute all’adolescente, si arricchisce di ulteriori elementi
indirizzati a prevenire eventuali patologie psico-comportamentali
presenti in età adolescenziale o che potranno diventare tali in età
adulta.
Indagine preliminare
sull’individuazione di fattori
di rischiodisfunzionali
nell’adolescente nel corso
del bilancio di salute
Bibliografia
1. Baldascini L “Vita da adolescenti” Franco Angeli Editore (2° edizione)
1996 Milano.
L’educazione alla salute nella
scuola: esperienze relazionali
in uno spazio d’ascolto
G. De Luca, G. Panza A. D’Adamo, R. Pellicani,
G. Schiamone, C. Mastrangelo
Gruppo di Studio Promozione alla salute della SIMA
G. De Luca, M. Fattibene, R. Pellicani, G. Schiavone,
A. D’Adamo, L. Mortato
L’adolescenza costituisce un periodo di transizione in cui alla
maturazione fisica segue una variazione comportamentale.
L’adolescente, acquisendo una maggiore coscienza di Sé, è
portato a modificare i rapporti di relazione prima di tutto con se
stesso, poi con la famiglia, con la scuola, con gli adulti e con gli
amici. Per meglio valutare questa nuova dimensione psichica, si
è pensato di elaborare un questionario da somministrare, nello
studio del pediatra, ai ragazzi di 12-14 anni. La compilazione del
questionario, (che consta di 30 domande, di cui 20 con risposte
multiple e chiuse e 10 con risposte aperte), deve avvenire in una
sala d’attesa appositamente attrezzata per gli adolescenti, in
occasione del bilancio di salute previsto per questa età. La stanza d’attesa dedicata all’adolescente è caratterizzata dalla presenza di un impianto di filodiffusione, di poster adeguati all’età e
riviste specializzate. L’obiettivo è quello di far compilare il questionario in un ambiente adeguato, in cui l’adolescente si senta a
proprio agio, in grado di esprimere liberamente le proprie opinioni e sensazioni. A tale compilazione scritta seguirà un colloquio-visita in cui il pediatra dovrà entrare in empatia con l’adolescente e cercare di capire le modalità espressive del ragazzo
(motorio, cognitivo, emotivo) ed interpretare le sue dinamiche
relazionali nei confronti degli altri (famiglia, pari, adulti). Nel
modello formulato dalla scuola di Baldascini, i sistemi intrapsichici (motorio, cognitivo, emotivo) sono infatti collegati isomorficamente ai sistemi interpersonali (famiglia, pari, adulti), i quali
Gruppo di Studio Promozione alla Salute SIMA
Ogni scuola, nell’ambito della propria autonomia, deve prevedere un serio progetto di educazione alla salute pluriennale da inserire nel proprio programma d’Istituto, nell’ambito dei POF ( Piano
dell’Offerta Formativa). In un ambito più generale rientrano gli
appropriati stili di vita, le esperienze emozionali, il confronto e la
relazione con l’altro.
In questo lavoro vengono riportate le esperienze di un’ attività
pluriennale di uno spazio di ascolto, in ambito scolastico, attraverso l’utilizzo di laboratori rivolti ai ragazzi, ai genitori, ai docenti. La metodologia è quella di mettere il giovane al centro dell’iniziativa, garantendogli la possibilità delle scelte ma anche la possibilità di far emergere le proprie problematiche basandosi sul
vissuto del soggetto. Con questo lavoro ci si propone di: a)
diffondere la cultura educativa “ho bisogno..mi rivolgo..”, che
mira a esplorare il mondo dei ragazzi, a considerare il vissuto
emozionale, a valutare le dinamiche relazionali; b) promuovere
l’incontro ed il confronto sulle tematiche giovanili, favorendo
l’informazione e la formazione degli adulti educatori; c) promuovere un’integrazione progettuale con i servizi del territorio.
L’interesse suscitato nei ragazzi dal progetto proposto, soprattutto riferito al primo punto dei proponimenti, è stato valutato con
la somministrazione di un questionario a 200 ragazzi della 3ª
128
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
classe di una scuola media di Bari. I ragazzi hanno risposto di
aver avuto l’opportunità di: a) esplorare il mondo emozionale,
che per il 41% di era sconosciuto; b) conoscere e quindi affrontare meglio le situazioni della propria vita e di conoscere le relazioni con sé stessi e con il gruppo dei pari (78% dei ragazzi).
Con una parte del questionario sono state anche valutate le relazioni interpersonali relative alle emozioni. I sistemi relazionali, in
cui i ragazzi sentono di potere esplorare il mondo delle emozioni sono: il gruppo dei pari (46%), la famiglia (26%), la scuola
(25%) e altro (3%).
Le valutazioni sono state, dunque, molto positive, in quanto i
ragazzi hanno potuto esprimere le loro emozioni e sensazioni
come raramente accade purtroppo nella scuola, nell’ambito
delle comuni attività, mentre la scuola dovrebbe proprio svolgere tale funzione pedagogica, cercando di far emergere nel ragazzo le spesso nascoste potenzialità.
Nell’ultimo biennio (2005-2006), il TG è stato 2,10 (4 M+F):
TG 3,28 (3 M); TG 1,01 (1 F): TG 1,09 (3 M+F) per incidenti
stradali: TG 2,18 (2 M) e TG 1,01 (1 F); TG 1,09 (1 M) per
patologia neurodegenarativa.
Gli incidenti stradali (TG 0,69) e le patologie oncologiche (TG
0,43) sono risultate le prime 2 cause di morte a Catanzaro, dato
confermato dalle statistiche regionali (TG 0,85 per incidenti stradali; TG 0,84 per patologie oncologiche) e nazionali (TG 0,81 per
incidenti stradali; TG 0,40 per patologie oncologiche).
Il sesso più colpito è risultato quello maschile in entrambe le
cause di morte in Italia come in Calabria, mentre a Catanzaro
risulta più colpito il sesso maschile per gli incidenti stradali, quello femminile per le patologie oncologiche. In entrambi i sessi sia
la fascia d’età più colpita era 15-19 anni.
Conclusioni. Lo studio condotto ha permesso di dimostrare a
Catanzaro come in Calabria ed in Italia un trend di mortalità in
accentuata diminuizione, con spostamento della mortalità dalla
fascia adolescenziale verso quella giovane-adulta per quanto
riguarda le patologie oncologiche, segno del miglioramento delle
attuali tecniche diagnostico-terapeutiche, a fronte di un grosso
aumento della mortalità dovuta ad incidenti stradali che continua
ad essere caratterizzata da un elevato numero di decessi annui,
segno questo di una non ancora ben consolidata coscienza
verso importanti problemi quali educazione e sicurezza stradale
fra gli adolescenti.
Mortalità in etàadolescenziale
(10-19 aa) nel comune
di catanzaro (1995-2006).
Dati preliminari
E. De Marco1, L. D’Aiutolo1, P.C. Rizzi2, M. Baserga1
Cattedra di Pediatria - “Università Magna Graecia di Catanzaro “
2
Medicina Legale-ASP di Catanzaro - 1“Registro di Mortalità per Tumore
della Città di Catanzaro”
Studio delle mutazioni
di fattori trascrizionali
coinvolti in difetti combinati
di ormoni ipofisari
Scopo. Valutazione della mortalità a Catanzaro, nel periodo
1995-2006 in età adolescenziale e confronto con i dati della
Regione Calabria e dell’Italia.
Materiali e Metodologia. I dati dei residenti a Catanzaro sono
stati ricavati dalle schede ISTAT di morte fornite dalla Medicina
Legale-ASP di Catanzaro e suddivisi nei seguenti periodi: 199599; 2000-04; 2005-06. I Tassi Grezzi (TG) sono riferiti a 100.000
abitanti. I dati relativi a Calabria e Italia sono stati ricavati dalle
tavole di mortalità ISTAT, pubblicate dall’Istituto Superiore di
Sanità fino al 2002.
Risultati. Nel periodo considerato il numero totale dei decessi a
Catanzaro è stato di 6.719 Maschi + Femmine (M+F) (TG
582,59): TG 624,42 (3.486 M) e TG 543,34 (3.233 F); quello relativo all’età adolescenziale, è stato 1,73 (20 M+F): TG 2,50 (14 M)
e TG 1,00 (6 F):
Nel primo quinquennio (1995-1999), il TG è stato 1,44 (7
M+F ): TG 1,70 (4 M) ; TG 1,20 (3 F): TG 0,42 (1 M) per incidente stradale; TG 0,82 (4 M+F) per patologie oncologiche:
TG 0,85 (2 M), tumori cerebrale ed osseo, TG 0,80 (2 F),
tumori vaginale ed ematologico; TG 0,40 (1 F) per patologia
cardiovascolare; TG 0,42 (1 M) per suicidio.
Nel secondo quinquennio (2000-2004), il TG è stato 1,87 (9
M+F): TG 3,02 (7 M); TG 0,80 (2 F): TG 1,72 (4 M) per incidenti stradali; TG 0,40 (1 F) per tumore intestinale; TG 0,40 (1
F) per meningoencefalite virale; TG 0,86 (2 M) per patologie
vascolari; TG 0,43 (1 M) per suicidio.
F. De Rienzo, E. Grassino, I.M. Bonsignori,
M. Giordano, G. Corneli, F. Prodam, S. Bellone,
A. Petri, G. Bona
Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte
Orientale, Novara
I difetti combinati degli ormoni ipofisari (CPHD) sono definiti
come disordini endocrini e/o neuroanatomici che comportano un
deficit di almeno 2 tra i seguenti ormoni: GH, TSH, ACTH, prolattina, FSH, LH ed ADH.
Si tratta di una condizione rara, nella maggior parte dei casi sporadica e dovuta a lesioni organiche. In una minoranza di casi l’eziologia è da ricondurre a difetti genetici, in particolare a livello
dei geni per i fattori di trascrizione ipofisari PIT1, PROP1, HESX1,
LHX3, LHX4.
Scopo del lavoro. Identificazione delle basi molecolari dei difetti ipofisari su un’ampia casistica di soggetti con CPHD ad eziopatogenesi verosimilmente non organica reclutati in 26 centri italiani ed in un centro turco
Casistica. La casistica comprende 133 soggetti con diversa età
alla diagnosi, da neonatale ad adulta, italiani e stranieri, sporadici e familiari.
129
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Ganglioneuroma con
localizzazione al mediastino
posteriore e retroperitoneale:
un tumore raro e spesso
asintomatico. descrizione
di un caso
Materiali e metodi. Lo studio genetico è stato effettuato su
campioni di DNA provenienti da tali pazienti e sono state ricercate mutazioni causali nei geni candidati.
I soggetti sono stati sottoposti a test di stimolo per valutare la
funzione ipofisaria basale e dopo stimolo.
Risultati.
Analisi clinica
La maggioranza dei soggetti studiati è costituita da bambini italiani sporadici e si osserva un eccesso di maschi. La quasi totalità dei soggetti CPHD inclusi nello studio presenta un deficit di
GH associato ad uno o più degli altri ormoni secreti dall’adenoipofisi. Per quanto riguarda lo studio morfologico mediante RMN,
il quadro più frequentemente riscontrato era l’ipoplasia ipofisaria.
Analisi genetica
PROP1 è stato analizzato in 115 pazienti e sono stati identificati
3 polimorfismi, 2 microdelezioni in omozigosi già note e 2 mutazioni missense in eterozigosi composta verosimilmente causali.
PIT1 è stato analizzato in 69 soggetti e sono state evidenziate
numerose variazioni di sequenza con significato di polimorfismo
e 1 nuova mutazione verosimilmente causale in omozigosi.
HESX1 è stato studiato in tutti i soggetti della casistica e sono
state trovate 3 variazioni in eterozigosi.
LHX4 è stato analizzato in tutti i soggetti e non sono state trovate mutazioni causali.
Discussione. Lo studio molecolare dei geni coinvolti nei difetti
ipofisari condotto su un’ampia casistica di CPHD ha permesso
l’identificazione di mutazioni causali solo in rari casi, prevalentemente familiari. La percentuale delle mutazioni riscontrate a livello di PROP1 è pari a 2,17% nei soggetti sporadici e 17% in quelli familiari, mentre per PIT1 e HESX1 sono state trovate mutazioni solo in soggetti sporadici e la percentuale è pari rispettivamente a 1,69% e 0,83%. I dati riscontrati sono in accordo con
quelli riportati in letteratura tranne che per PROP1; ciò può essere spiegato da differenze nei campioni di pazienti selezionati.
La storia naturale dei deficit ormonali in soggetti con mutazioni a
livello di PROP1 suggerisce un progressivo declino della funzionalità ipofisaria anteriore con comparsa di deficit progressivi,
pertanto il riscontro di mutazioni a questo livello nei soggetti studiati ha avuto grande valore prognostico e di programmazione
del follow-up endocrinologico.
I pazienti con mutazioni a livello di HESX1 spesso presentano
caratteristiche dismorfiche, in particolare anomalie della linea
mediana. Dunque un difetto nello sviluppo faciale o cranico in
associazione a bassa statura, deve indurre il clinico a richiedere
un’analisi genetica per HESX1.
La notevole variabilità fenotipica riscontrata in soggetti portatori
della stessa mutazione è un fenomeno già descritto da altri autori e apre la strada a numerose ipotesi da comprovare, compresa
la possibilità che altri fattori genetici o ambientali possano
influenzare l’espressione fenotipica. Stabilire il genotipo resta in
ogni caso un passaggio importante per la gestione del singolo
paziente affetto da CPHD, per la possibilità di fornire un counselling genetico e per favorire la diagnosi precoce.
A. Dello Russo, E. Galea, R. Mandaglio, M.C. Galati, C.
Consarino
U.O. Ematologia ed Oncologia Pediatrica
Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” - Presidio “De Lellis” - Catanzaro
Il ganglioneuroma è un raro tumore benigno che origina dalle cellule della cresta neurale. Caratterizzato da una crescita lenta e, per
questo asintomatico, viene diagnosticato quando ha raggiunto
notevoli dimensioni. Esso rappresenta la controparte più differenziata e matura dei tumori neurobastici periferici.
Descriviamo un caso di tumore neurogangliare a localizzazione
mediastinica posteriore e retroperitoneale.
Paziente D.G. di anni 12 giunge alla nostra osservazione per dolori
addominali ricorrenti prevalentemente post-prandiali. L’ecografia
addome mostra formazione solida in corrispondenza della flessura
colica sinistra (153 mm per 118 mm per 87 mm). La TAC e la RMN
total Body con mdc evidenziano massa mediastinica posteriore (33
mm per 60 mm) in contiguità con aorta ascendente e tronco polmonare e massa retroperitoneale sinistra (121 mm per 84 mm), in
rapporti di contiguità con aorta, vena cava inferiore e muscolo
psoas. I test di laboratorio (Latticodeidrogenasi, Acido vanil-mandelico ed Enolasi neuronale specifica) risultano essere negativi;
myc: non amplificato. L’esame istologico su biopsia rivela: “stroma
schwannico con elementi gangliari maturi o “ganglion-like” senza
evidenza di tessuto neuroblastomatoso”.
In considerazione dell’estensione della massa retroperitoneale, dei
suoi rapporti di contiguità con i grossi vasi e l’ilo renale sinistro, si
sottopone il paziente ad exeresi chirurgica riduttiva in previsione di
severe complicanze d’organo.
Il ganglioneuroma è un tumore benigno. La chemioterapia adiuvante e la radioterapia locale non sono pertanto indicati. La resezione chirurgica rappresenta la sola via di scelta sia diagnostica
che terapeutica. Il tumore resta silente per parecchi anni, è necessario un periodico follow-up se presente malattia residua dopo exeresi chirurgica.
Nel nostro caso la persistenza di massa mediastinica e retroperitoneale lentamente evolutiva, impone la necessità di verificare a
distanza il rischio di complicanze d’organo e/o la trasformazione
maligna.
Morbillo: nuova epidemia
in adolescenza?
L. Galli, F. Vierucci, I. Sammartino, A. Nicolosi1,
S. Nastasio, G. Cesaretti, G. Baroncelli
U.O. Pediatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa; 1Clinica
Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico”, Catania
130
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Il morbillo è una malattia infettiva causata da un virus appartenente
alla famiglia dei paramixovirus la cui incidenza nei paesi industrializzati è diminuita negli ultimi anni in seguito alla somministrazione
del vaccino (raccomandato dal Ministero della Sanità dal 2004),
mentre rimane una importante causa di mortalità nei paesi in via di
sviluppo. Tale situazione epidemiologica rende difficoltosa la diagnosi della malattia.
Casistica. Nel mese di Maggio 2008 sono stati osservati presso il
Pronto Soccorso della Clinica Pediatrica 8 pazienti di età compresa
tra 14 e 17 anni, 6 maschi e 2 femmine, per rapido scadimento
delle condizioni generali, febbre elevata e tosse intensa, preceduti
da rinite e congiuntivite. In 4 pazienti era inoltre presente un interessamento bronco-polmonare (confermato mediante RX) e in un
caso intensa faringodinia con angina “rouge”. Questi 5 pazienti
sono stati trattati con terapia antibiotica e sono stati osservati in
regime di ricovero ordinario per alcuni giorni. Durante il ricovero tutti
i pazienti hanno mostrato la comparsa di un esantema maculopapuloso (in un caso con componente emorragica), a comparsa
cranio-caudale, che si associava ad un progressivo miglioramento
della sintomatologia clinica. Gli altri 3 casi, che presentavano una
minore compromissione dello stato generale e l’assenza di lesioni
polmonari sono stati osservati in regime ambulatoriale.
Gli esami ematochimici erano indicativi di una patologia di probabile etiologia virale; le indagini virologiche permettevano di porre
diagnosi di morbillo (IgM positive, IgG negative) in tutti e 8 i pazienti. Dal punto di vista anamnestico è emerso che tutti i pazienti (n =
8) frequentavano lo stesso Istituto di Scuola Media Superiore. Sei
pazienti non avevano eseguito la vaccinazione antimorbillosa mentre due avevano praticato solamente la I dose del vaccino ma non
il richiamo. Nessun paziente ha presentato complicanze importanti, in particolare dal punto di vista neurologico.
Commenti. Il morbillo non può essere considerata una malattia
scomparsa nel nostro paese; infatti sporadici focolai di malattia
sono ancora presenti. I dati in nostro possesso e i casi di riportati
anche da altri colleghi nello stesso periodo di tempo suggeriscono
che probabilmente l’evento a cui abbiamo assistito non è riconducibile ad una vera e propria epidemia di morbillo. Tuttavia, le ulteriori
segnalazioni della malattia nei mesi successivi, in particolare in
alcune comunità di etnia ROM, hanno evidenziato la necessità di
raggiungere una ottimale copertura vaccinale anche nelle fasce di
popolazione più disagiate che potrebbero rappresentare un serbatoio della malattia.
È pertanto, compito del Pediatra promuovere la vaccinazione completa nei propri assistiti e contribuire alla realizzazione del progetto
europeo dell’OMS 2005-2010 per eradicare la malattia.
Caso clinico. E.K., di etnia albanese, 15 anni.
All’età di 7 anni (11/01) K.E. giunge in Italia per accertamenti endocrinologici. All’esame obiettivo si rilevano esoftalmo, gozzo multinodulare, ipertelorismo e microcrania (<3° percentile); statura al
25° percentile e peso al 25° percentile in base all’età staturale.
Gli esami di funzionalità tiroidea mostravano la presenza di un
quadro di tireotossicosi (FT4 27,4 pg/ml, FT3 16,90 pg/ml, TSH
<0,01 µU/ml, tireoglobulina 109,9 ng/ml), con conseguente diagnosi di ipertiroidismo primitivo TRAB-negativo da probabile
mutazione del recettore per il TSH, per cui veniva intrapresa terapia con metimazolo alla dose di 2,5 mg per due volte al giorno
per 3 mesi con soppressione della funzione tiroidea (FT3 2,07
pg/ml; FT4 0,95 pg/ml; TSH 0,95 µU/ml).
Per la necessità di alte dosi di tiouracilici e per l’imponente gozzo
che determinava deformazione della linea del collo e compressione delle trachea con un reperto ecografico di fibrosi e strie
iperecogene, veniva deciso l’intervento chirurgico di tiroidectomia che, dato il quadro anatomico, poteva essere eseguita solo
in maniera subtotale, residuando inoltre una compromissione
della motilità delle corde vocali.
Il successivo esame istologico, dopo inclusione, metteva in evidenza, a differenza dell’accertamento estemporaneo, la presenza di un carcinoma papillare di 1 cm, variante follicolare, capsulato (T1, Nx, Mx stadio 1). Per tale motivo veniva sottoposto a
trattamento radiometabolico con 11 mCi (0,407 GBq) di I131 e
proseguita terapia con metimazolo (5 mg una volta al giorno) per
4 mesi. La scintigrafia eseguita successivamente con 216 µCi di
I131 evidenziava la presenza di captazione di Iodio in regione tiroidea (3a ora 40%; 24a ora 23%), per cui veniva nuovamente effettuato trattamento radiometabolico con 21 mCi (0.777 GBq) di I131.
La scintigrafia total-body post-dose terapeutica successiva evidenziava la presenza di un’area di iodiofissazione in regione tiroidea compatibile con i residui ghiandolari post-chirurgici e veniva
continuata terapia con levo-tiroxina sodica a dosi soppressive.
All’età di 14 anni il ragazzo iniziava a presentare cefalea ingravescente, rachialgie, artralgie e disfagia. La RM dell’encefalo evidenziava la presenza di una Sindrome di Arnold-Chiari di tipo I e
di idromielia/siringomielia. Pertanto l’anno successivo veniva sottoposto ad intervento di derivazione ventricolo-peritoneale sinistra. Gli esami di funzionalità tiroidea evidenziavano un valore di
tireoglobulina di 14,90 ng/ml: per tale motivo veniva sottoposto
al test al Thyrogen® (0,9 mg rTSH im) che evidenzia la presenza
di cellule tireoglobulina produttrici (con un TSH di 110 µU/ml, una
tireoglobulina 20,40 ng/ml dopo la 2a somministrazione); pertanto veniva nuovamente sottoposto a trattamento radiometabolico
con 100 mCi (3,7 GBq) di I131. Attualmente il ragazzo è in buone
condizioni generali e sta eseguendo terapia soppressiva con
levotiroxina sodica (125 µg/die).
Il caso risulta particolarmente interessante in quanto mette in evidenza come una tireotossicosi precoce (tra l’altro associata a carcinoma tiroideo) non sottoposta ad adeguato trattamento possa
determinare un quadro clinico di craniostenosi e di successiva
idromielia tale da rendere necessario l’intervento neurochirurgico.
Tireotossicosi ad esordio
precoce con craniostenosi
e idromielia secondaria
L. Galli, S. Lunardi, V. Madrigali, G. Cesaretti
UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero - Universitaria
Pisana
131
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Bassa statura: non solo ormoni
La Federazione Internazionale Diabete (IDF) ha definito i criteri per
la diagnosi della sindrome metabolica nel bambino; la circonferenza addominale, come nell’adulto, sembra essere un fattore
predittivo indipendente di insulino resistenza, alterati livelli lipidici
e pressione arteriosa.
Scopo del lavoro. Valutare i fattori di rischio metabolico e il ruolo
predittore della circonferenza vita in un gruppo di bambini obesi.
Materiale e metodi. I bambini obesi prepuberi afferenti presso la
nostra Clinica da Novembre 2007 ad Aprile 2008 sono stati sottoposti a visita auxologica comprensiva di misurazione di circonferenza vita, rilevazione di pressione arteriosa e valutazione del
metabolismo basale. In un sottogruppo è stato eseguito carico
orale di glucosio (OGTT).
Risultati. La coorte era costituita da 149 bambini (72 maschi e 77
femmine, età media ± SD 10,1 ± 3,0 anni). In 46 pazienti è stato
eseguito OGTT: due mostravano glicemia basale alterata (IFG),
uno presentava glicemia diagnostica per diabete mellito tipo 2
dopo OGTT e due alterata tolleranza al glucosio (IGT).
Sono stati riscontrati alterati livelli glicemici nel 3,4% dei pazienti,
livelli di trigliceridi >150 mg/dl nel 2,0%, livelli di HDL <40 mg/dl
nel 19,5%, PAOS >130 mmHg nel 14,1% , PAOD >85 mmHg nel
18,1%. Si è osservata una circonferenza vita di 83,3 ± 12,7 cm
(media ± SD) in assenza di variazioni significative legate al sesso.
La circonferenza vita correlava positivamente con BMI, PAOS e
PAOD, indice HOMA, QUICKI, trigliceridi, insulina (IRI) a digiuno ,
a 60 e a 120 minuti durante OGTT. Quando pesata per BMI e BMI
ed età, la circonferenza vita correlava significativamente con IRI
T0 (Pearson=0.533; p<0.004), IRI T60 (0.376; p<0.005), IRI T120
(0.425; p<0.002), HOMA (0.578; p<0.002), mentre non risultavano significative le correlazioni con PAOS, PAOD, QUICKI, ISI. Nella
regressione multipla il miglior predittore della circonferenza vita è
stato l’HOMA (r2=0.317; p<0.001).
Conclusioni. Già in età prepubere l’obesità si associa a sindrome metabolica. La circonferenza vita risulta essere un buon predittore per riconoscere i bambini con alto rischio metabolico.
S. Ghione1, E. Dati1, S. Bertelloni1, F. Baldinotti2,
A. Fogli2, M.E. Conidi2, A. Michelucci2, P. Simi2,
G. Federico1, G. Saggese1
1
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2UO Citogenetica e Biologia
Molecolare, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Pisana, Pisa
M. giunge alla nostra osservazione per bassa statura. Nato da gravidanza decorsa regolarmente fino alla 35° settimana di gestazione; peso alla nascita kg 2.370 (> 10° centile); lunghezza cm 47.0
(> 50° centile); indice Apgar 8/9; periodo perinatale: ndn. Bersaglio
staturale cm 164.3 (-1.6 SDS). Allattamento al seno fino ad 1 anno;
scarso accrescimento staturo-ponderale fin dai primi mesi di vita.
Alla prima visita (età 3 anni, 7/12): altezza 88.5 cm (-2.3 SDS; età
staturale 2 anni, 4/12); peso 12.1 kg (25° centile per età staturale);
velocità di crescita 7.2 cm/anno (45° centile). All’esame obiettivo si
rileva un aspetto proporzionato. Non presenza di segni di discondrosteosi (deformità di Madelung, cubito valgo, palato ogivale, ipertrofia muscolare) o di altre displasie ossee. Testicoli ad ascensore
bilateralmente. Le indagini effettuate per identificare la causa della
bassa statura [valutazione di: funzione tiroidea, screening per
morbo celiaco, IGF-I (Insulin Growth Factor I) e IGFBP-3 (Insulin
Growth Factor Binding Protein 3), test di stimolo per GH (L-DOPA,
Arginina)] danno ripetutamente esito negativo. Si prospetta quindi
una diagnosi di bassa statura idiopatica. All’età di 6 anni si rileva:
statura cm 102.0 (-2.5 SDS), apertura alare cm 104 e altezza da
seduto cm 55.5: la curva di crescita si è mantenuta parallela, ma
inferiore, al 3° centile. L’analisi molecolare del gene SHOX (Short
Stature Homeobox) in un campione di DNA mette in evidenza un’alterazione in eterozigosi: esone 2 sostituzione di una Adenina in
posizione 100 con una Timina (c100A>T), con conseguente sostituzione amminoacidica della Treonina in posizione 34 con una
Serina (pT34S). È ipotizzabile che la modificazione della catena
proteica condizioni la struttura e la funzione del gene SHOX, alterando la sua capacità funzionale. I nostri risultati confermano che
mutazioni geniche del gene SHOX possono essere alla base di un
alterato pattern di crescita staturale in assenza di altri importanti
segni clinici. Tale rilievo è riportato in circa il 2% dei bambini con
bassa statura idiopatica. Una precisa diagnosi eziologica della
causa di bassa statura ha una rilevante importanza per il consiglio
genetico, per un corretto inquadramento clinico e anche per il trattamento in considerazione del fatto che i bambini con mutazioni del
gene SHOX migliorano il loro pattern accrescitivo con la terapia con
ormone della crescita.
Bibliografia
Lee S, Bacha F, Arslanian SA. Waist circumference, blood pressure, and
lipidcomponents of the metabolic syndrome. J Pediatr 2006; 149:809-16.
Il benesso-metro: la costruzione
del benessere nell’età
adolescenziale in ambito
psicoeducativo
A. Improta1, A. Improta2, C. Capasso3, A. Iaccarino3,
L.G. Liguori3, R. Caiazzo3, P.M. Fiumani4
Ruolo predittore della
circonferenza vita nell’obesità
in età pediatrica
1
Pedagogista, Psicologa, Docente e coordinatrice Progetto di Educazione alla
Salute presso la S.S.I. Macedonio Melloni di Portici (NA) e collaboratrice presso
la Seconda Università degli Studi di Napoli (S.U.N) - 2Pediatra di famiglia
in convenzione ASL NA 1- Vice Segretario Nazionale C.I.Pe. - 3Psicologa,
frequentatrice scientifica della S.U.N, Esperta esterna S.S.I. Macedonio Melloni
di Portici (NA) - 4Psicologa e Psicoterapeuta – I Livello Dirigente Dipartimento
di Pediatria S.U.N. e coordinatrice scientifica attivi)tà di Educazione alla salute
presso la S.S.I. Macedonio Melloni di Portici (NA)
E.C. Grassino, I.M. Bonsignori, F. De Rienzo, A. Petri,
G. Corneli, S. Bellone, F. Prodam, G. Bona
Endocrinologia Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche,
Università del Piemonte Orientale, Novara, Italia
132
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Negli ultimi anni un’attenzione sempre crescente da parte dei
mass-media è data all’alimentazione, sia volta all’acquisizione di
corrette modalità alimentari, sia in relazione ai Disturbi del
Comportamento Alimentare (D.C.A.).
Se da un lato questo ha garantito una maggiore sensibilità intorno al problema, d’altra parte, senza un fondamento psicologico e
pedagogico, ha aumentato il disorientamento e la disinformazione. Spesso, infatti, quello che viene proposto dai mezzi di comunicazione di massa è un modello semplicistico, che porta l’immaginario collettivo della magrezza e della bellezza come cause fondamentali dei D.C.A., misconoscendo la complessità di un fenomeno che ha radici più articolate. I diversi orientamenti teorici,
infatti, sottolineano la complessità e la multifattorialità di un fenomeno che pone le sue origini anche nella primissima infanzia.
Tra le figure preposte alla prevenzione dei D.C.A. il pediatra,
seguendo il bambino per tutto l’arco evolutivo, non può non
porre attenzione all’aspetto alimentare, finalizzando l’intervento
alla prevenzione dei D.C.A. sensibilizzando i genitori non solo
sull’aspetto nutrizionale in sé ma come quest’ultimo può essere
una prima e fondamentale opportunità di prendersi cura in
maniera globale del bambino, stabilendo un contatto fisico in cui
sono coinvolti i bisogni affettivo – emotivi. In ambito preventivo
anche la scuola ha un ruolo centrale e attraversando un periodo
di crisi e di trasformazioni, dovute ai cambiamenti veloci di una
“società che corre”. Questa sorta di sisma socioculturale ha portato con sé anche una maggiore difficoltà nella formazione di
relazioni emotivamente significative che ha come conseguenza
la comparsa di disagi nella fascia adolescenziale.
In questo quadro complesso si pone la nostra proposta: un intervento che integri la dimensione cognitiva con quella affettiva, che
coinvolga anche la famiglia (spesso in difficoltà nell’ascoltare i
bisogni dei propri figli) in un ambito educativo e non curativo.
Nasce in quest’ottica il progetto in progress di “Educazione alla
salute” inteso non solo come prevenzione sanitaria ma come
promozione del benessere psicosociale della persona, considerando il comportamento come espressione del proprio benessere ma anche del proprio disagio. Tale lavoro è basato sull’ipotesi che l’impostazione di un intervento “preventivo” in un ambito
educativo e non curativo (la scuola) permetta di inquadrare precocemente i molteplici fattori, costituzionali, socio-ambientali,
educativi, psicologici che sono alla base dell’eziopatogenesi dei
D.C.A.
Nel Poster verrà presentato un quadro sintetico del lavoro svolto
negli ultimi dieci anni dalle coordinatrici presso una Scuola
Secondaria Inferiore, con percorsi differenziati per le tre classi
della scuola media. Punto di forza dell’intervento è rappresentato
dal coinvolgimento indiretto dei genitori e dal coinvolgimento attivo degli attori sociali adolescenti: è questa la chiave di volta che
può far scattare la curiosità prima e la consapevolezza poi, per
ragazzi/e che spesso si oppongono agli stili di vita vissuti come
imposizione del mondo adulto e appaiono disorientati anche di
fronte alla scelta degli stili alimentari da adottare.
Nell’impostazione del lavoro siamo infatti partiti da un approccio
che coinvolgesse i soggetti in prima persona, tenendo conto delle
loro abitudini alimentari e dei loro “vissuti personali ”.
Abbiamo ritenuto che questa potesse essere una strategia utile
per migliorare il rapporto con il cibo come strumento di comunicazione. Su questi sono i presupposti per le attività delle classi
terze è stato costruito un innovativo questionario che abbiamo
denominato “Benesso-metro”, uno strumento ludico ed educativo volto ad acquisire la consapevolezza della relazione esistente
tra percezione di sé e abitudini alimentari. È organizzato in due
aree:
Area A: Abitudini alimentari - Area B: Io e gli altri.
Il questionario, di rapida somministrazione, si presta anche
all’autosomministrazione collettiva con la guida di un operatore
esperto. Esso ha il pregio di far visualizzare ai ragazzi immediatamente il proprio “stato di benessere” in ciascuna delle due
aree, infatti è stata individuata la modalità del “Semaforo” per
rendere più immediata la lettura.
Nel Poster verrà presentato operativamente lo strumento che ha
il vantaggio di essere utile in età adolescenziale sia per attività clinica individuale (come tecnica di supporto al colloquio) sia per
attività preventiva collettiva.
Va precisato, che è in via di realizzazione una versione più
approfondita dello strumento, in collaborazione con la Dott.ssa
Loredana La Barbera (Psicologa- Collaboratrice cattedra
Psicologia dello Sviluppo della Facoltà di Psicologia
dell’Università di Cagliari) - Dott. Paolo Zandara (Pediatra di
Famiglia in convenzione con ASL N°7 di Carbonia – Cagliari, Vice
Segretario Nazionale C.I.Pe).
Predisposizione a disturbi
del comportamento alimentare
in adolescenti con dmt1
D. Lo Presti, A.L.Saggio, C. Latina, C. Ingegnosi,
M. Andaloro, M. Caruso-Nicoletti
Dipartimento di Pediatria - A.O.U. P. “G. Rodolico”, Catania
Introduzione. È noto che il diabete mellito tipo 1 (DMT1) rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare (DCA) sia per un certo rigore in tema di alimentazione che per la peculiarità della terapia insulinica che può
prestarsi a manipolazioni.
Nelle adolescenti affette da DMT1 si calcola un’incidenza doppia
sia dei DCA classici (Anoressia (AN) Bulimia (BN)) che dei disturbi definiti “sottosoglia” o NAS (non altrimenti specificati) che hanno
un’incidenza media nelle varie casistiche intorno al 10-14%.
Il trattamento dei DCA è inevitabilmente complesso e tanto più
efficace quanto più tempestivamente il problema viene individuato e trattato.
Scopo del lavoro. Scopo del presente lavoro è stato screenare
la predisposizione a DCA in una popolazione di adolescenti
affetti da DMT1 utilizzando uno strumento semplice e rapido
(questionario autosomministrabile).
133
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Caso clinico. E.P., maschio, 11 anni. Da circa 2 anni presenta cervico-algie e torcicollo: per tale motivo è stato sottoposto a varie
indagini radiologiche, consulenza ortopedica per scoliosi e fisiochinesi-terapia. Due mesi prima della nostra osservazione, il
ragazzo presenta deficit di forza e di sensibilità a livello dell’emilato dx con compromissione soprattutto dell’arto superiore (braccio e
polso). Una RM encefalo risulta nella norma, mentre RM del rachide cervicale unita a angio-RM dei vasi collo mette in evidenza una
voluminosa lesione espansiva extramidollare e verosimilmente
extradurale, estesa dal processo odontoide di C2 allo spazio intersomatico C3-C4. La lesione occupa gran parte dello spazio vertebrale e all’altezza di C2-C3 determina una marcata compressione
midollare. La lesione occupa lo spazio anteriore e laterale dello
spazio vertebrale ed il midollo spinale è compresso e dislocato in
regione postero-laterale sx (Figura 1). Viene eseguito un primo
intervento neuro-chirurgico di decompressione del midollo spinale
ed asportazione della lesione per via posteriore. L’esame bioptico
permette la diagnosi di cordoma. Successivamente, una RM dimostra la presenza di un residuo tumorale nella parte anteriore e laterale dx del midollo spinale cervicale. Una seconda RM rileva un
residuo neoplastico extradurale a livello di C2-C4 a sviluppo anteriore e antero-laterale dx di volume immodificato, grave cifosi per
crollo vertebrale di C2-C4. Un secondo intervento permette un’asportazione subtotale della lesione per via antero-laterale dx e la
RM di controllo dimostra una completa risoluzione della cifosi cervicale con buona distensione del rachide. Permane un residuo
Materiali e metodi. Sono stati selezionati 136 soggetti di età
compresa fra 11 e 18 anni (84 M e 52 F) e con durata di malattia > 1 anno, cui è stato chiesto di compilare il questionario EDE
Q modificato con l’introduzione di una domanda sulla omissione,
occasionale o meno, della terapia insulinica.
L’EDE Q è uno strumento di autovalutazione, che può essere
compilato a partire dagli 11 anni in circa 20’, che indaga il rapporto col cibo e il grado di soddisfazione per il proprio corpo.
Risultati. In base al punteggio “cutoff” di 1 utilizzato per la valutazione delle risposte all’EDE Q sono risultati sospetti per DCA
25 soggetti (8 M e 17 F). I ragazzi sono stati indirizzati ad un
approfondimento diagnostico tramite intervista semistrutturata
da cui è stato possibile individuare 6 casi di DCA sottosoglia
(bulimia NAS), 2 casi in cui il disturbo dell’alimentazione si manifesta nell’ambito di un disturbo di personalità in corso di
approfondimento e 1 caso in cui è stata posta diagnosi di binge
eating.In tutti i pazienti è stato iniziato un percorso di “riabilitazione psiconutrizionale” che vede impegnati in prima linea psicologo e dietista.
Conclusioni. Nella nostra casistica è stato possibile individuare
un 6,6% di DCA NAS e nessun caso di DCA classico. Tutti i soggetti risultati positivi all’approfondimento clinico sono di sesso
femminile fatta eccezione per il caso di binge eating.
La relativamente bassa incidenza di DCA NAS nella nostra popolazione sembra confermare la validità dell’approccio dietetico
“non prescrittivo” ormai utilizzato da un decennio presso il nostro
Centro di Diabetologia Pediatrica e corroborato da una reale
“interdisciplinarietà” del team diabetologico per cui le singole
figure professionali, pur mantenendo la specificità di ruolo, definiscono insieme obiettivi e programmi.
Dolore cervicale e torcicollo
in un adolescente
D. Lombardi1, E. Dati2, S. Bertelloni2
Pediatra, Neuropsichiatria Infantile, Pietrasanta (Lucca);
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa
1
2
Figura 1
I tumori spinali sono un’evenienza rara (10% delle neoplasie del
sistema nervoso centrale e 1% delle neoplasie maligne). Questo
tipo di tumore è inoltre relativamente meno frequente nell’infanzia,
con un rapporto variabile da 1-5 a 20 rispetto a quelli intracranici,
e risulta più frequente nel sesso maschile tra 3-5 anni. Ciascuno
dei tratti midollari, cervicali, toracico e lombare, da origine al 30%
dei tumori, mentre il restante 10% origina dalla regione sacrale. A
seconda della sede, i tumori spinali vengono poi distinti in extramidollari, intramidollari, intradurali e extradurali. Tra questi ultimi, il
cordoma rappresenta una ancora più rara neoplasia, che trae origine da residui della notocorda e che si localizza nel 90% dei casi
a livello della base dello sfenoide o in regione sacrococcigea; solo
il 10% si ritrova a in altre sedi della colonna vertebrale, di solito a
localizzazione inizialmente extradurale.
134
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
della componente anteriore del tumore; si applica sistema ortesico
tipo Minerva con Diadema, che viene rimosso dopo 1 mese con
successivo inizio del trattamento radiante.
Commento. I cordomi sono tumori rari, che di solito proliferano
come masse gelatinose, molli e grigiastre, lentamente invasive.
Rare sono le metastasi. I quadri istologici riproducono i vari stadi
dello sviluppo embrionale della notocorda. In tutte le forme è presente muco sia in sede intra- che extra-cellulare, soprattutto
abbondanti nei casi di tipo epiteliale. Il muco extra-cellulare può
essere cosi abbondante da creare laghi secretori in cui nuotano
liberamente le cellule neoplastiche. I cordomi, sebbene istologicamente benigni, presentano una cattiva prognosi perché invasivi,
producendo dapprima lesioni dei nervi cranici, particolarmente dei
nervi motori oculari, e poi segni di sofferenza del tronco cerebrale
(localizzazione endocranica) o segni di compressione midollare
(localizzazione spinale).
Terapia. Si presciveva pertanto terapia diuretica con Acetazolamide
(alla dose di 250 mg BID) e dieta ipocalorica-iposodica.
Follow-Up. Dopo 15 giorni di terapia si assisteva a notevole riduzione della congestione vasale peripapillare e scomparsa della
cefalea e dopo 5 mesi a risoluzione del quadro oftalmologico, riduzione del peso corporeo (circa 5 Kg) e negatività dell'obiettività neurologica.
Conclusioni. Suggestivo, a nostro giudizio, il caso clinico riportato
per l'evenienza di una complicanza rara ma possibile dell'obesità
severa, peraltro, nel caso specifico, già gravata da altre complicanze quali la resistenza insulinica, la policistosi ovarica e l'ipertensione arteriosa su cui inoltre, si è aggiunto, verosimilmente, l'effetto
di ritenzione idrica dell'uso prolungato di estro-progestinici.
Metabolismo periferico
del cortisolo in adolescenti
obesi: valutazione in vivo
dell’attività dell’enzima
β-idrossisteroidodeidrogenasi
11β
β-hsd1) mediante
tipo 1 (11β
croma-tografia/spettrometria
di massa tandem.
Dati preliminari
Una rara, ma possibile
complicanza dell'obesità
A. Nicolosi, V. Panebianco, M. Crapanzano, R.Nicolosi,
M.Caruso-Nicoletti
Dipartimento di Pediatria - A.O.U. P. “G. Rodolico” Catania
Presentazione del caso. Descriviamo il caso clinico di una
ragazza di 16 anni giunta alla nostra osservazione per cefalea
fronto-parietale sinistra, cervico-dorso-rachialgia, vomito, strabismo convergente dell'occhio sinistro e diplopia.
All'anamnesi personale, riferita, terapia con estro-progestinici per
circa due anni, per policistosi ovarica, interrotta da 20 giorni.
Incremento ponderale progressivo (30 kg in 3 aa circa). All'esame
obiettivo Peso 90 Kg, BMI 35,4 (+6.0 SDS), altezza 159,5 cm (-0,44
SDS 33°centile), circonferenza vita 87 cm (......°c). Acanthosis nigricans alle pieghe del collo e ai cavi ascellari, strie rubre ai fianchi,
irsutismo e ipertricosi. Sviluppo puberale completato. Sensorio integro, strabismo convergente e deficit di abduzione dell'occhio sinistro, riferita diplopia nella deviazione laterale sinistra. Ipertensione
arteriosa (PA 145/85 mmHg).
Esami di laboratorio. Nella norma gli esami di routine, batteriologici e i marckers tumorali. Ridotta tolleranza glucidica e resistenza
insulinica al carico orale di glucosio. Alla RM encefalo venosa: dilatazione delle guaine periottiche, bulging delle papille
ottiche,ampliamento delle cisterne della base. Alla visita oculistica
marcato edema bilaterale della papilla, congestione vasale peripapillare e paralisi del muscolo retto esterno. Riduzione della motilità
attiva dell'os. Alla rachicentesi prelievo di circa 20 ml di liquor limpido ad elevata pressione liquorale, negativo l'esame cito-chimicofisico e batteriologico, assenti acidi nucleici virali PCR.
Diagnosi. Il quadro clinico deponeva per ipertensione endocranica, pertanto escluse le principali cause e osservato il miglioramento clinico dopo puntura lombare evacuativa, ci si orientava verso
una forma di Pseudotumor Cerebri, patologia con incidenza rara e
prevalenza nel sesso femminile(più colpite le giovani donne obese).
A. Petracchi1, A. Saba2, E. Dati1, S. Ghione1,
E. Chiocca1, A. Raffaelli3, S. Bertelloni1, G. Saggese1
1
Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, 2Dipartimento di Chimica e Chimica
Industriale, Università di Pisa, 3CNR-ICCOM, Pisa
Premessa. L’enzima 11β-HSD1 regola il metabolismo periferico
(prere-cettoriale) dei glucorticoidi. Alcuni lavori hanno prospettato che un’alterata attività dell’enzima 11β-HSD1 possa contribuire all’insorgenza della sindrome metabolica nei soggetti adulti
affetti da obesità essenziale.
Obiettivo. Valutare l’attività dell’enzima 11β-HSD1 in adolescenti con normopeso o con eccesso di peso corporeo.
Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 20 adolescenti (età
11.9-18.2 anni). In rapporto al peso corporeo, i soggetti dello studio sono stati suddivisi, utilizzando le curve di Cacciari et al. (JEI
2006), in obesi [n = 6: BMI 3.25+0.53 SDS], sovrappeso (n = 6:
BMI 1.89+0.52 SDS) e controlli (n = 8: BMI 0.17+0.50 SDS).
In tutti i soggetti sono stati determinati i valori sierici (prelievo ore
8.00) di cortisolo (F) e cortisone (E) mediante cromatografia
associata alla spettrometria di massa tandem. Il rapporto tra F ed
E è stato considerato come un metodo per stimare in vivo l’attività dell’enzima 11β-HSD1.
Risultati. Il rapporto F/E ha mostrato un andamento inversamente proporzionale a quello del BMI (SDS) (r = -415). Gli adolescenti
obesi hanno presentato valori di rapporto F/E significativamente
minori rispetto al gruppo normopeso (3.71 + 0.42 vs 6.06 + 1.98;
p < 0.01). Nel gruppo dei pazienti con sovrappeso sono stati rilevati valori intermedi di tale rapporto (F/E 4.94 + 1.88).
135
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
te in 36 soggetti, mentre gli altri 30 ragazzi hanno evidenziato solo
polimorfismi o nessuna mutazione. I soggetti con FH, pur nell’ambito di una variabile espressione fenotipica, presentavano valori di
LDL significativamente più elevati di quelli con ipercolesterolemia
poligenica (238.5 ± 38.8 vs 181.7 ± 49.9 mg/dl; p< 0.01).
Il valore medio di FMD riscontrato negli adolescenti con FH non
è risultato significativamente diverso né dai soggetti con ipercolesterolemia poligenica, né da quello dei soggetti di controllo
(12.1 ± 17.6%; 10.0 ± 12.1%; 12.5 ± 2.7%, rispettivamente).
Considerando come valore limite della normalità il più basso di
quelli ottenuti nel gruppo di soggetti d controllo (7%), abbiamo
però evidenziato come un’alterazione dei valori di FMD sia già
presente nel 46.4% degli adolescenti con FH rispetto al 16.5%
dei soggetti con ipercolesterolemia poligenica (p<0.05). Non è
stata evidenziata nessuna correlazione tra FMD e profilo lipidico,
mentre è risultato che i maschi presentano valori di FMD significativamente inferiori rispetto alle femmine.
I nostri dati evidenziano come pazienti con fenotipo lipidico
sostanzialmente sovrapponibile possano presentare un genotipo
differente e suggeriscono come nei pazienti con indagine genetica negativa per alterazioni del gene LDL-R debbano essere
indagate anche altre possibili mutazioni che coinvolgano Apo B100 ed Apo E.
Inoltre i nostri risultati dimostrano che i soggetti con FH hanno
una peggiore funzione vascolare sia rispetto ai coetanei con ipercolesterolemia poligenica sia ai coetanei sani, non apparentemente correlata al profilo lipidico. Dato che i soggetti con FH
sono a maggior rischio di sviluppare precocemente malattie cardiovascolari, la valutazione della FMD può essere uno strumento utile per la stratificazione del rischio in pazienti adolescenti con
FH, soprattutto per decidere circa l’inizio della terapia farmacologica già a partire dalla seconda decade di vita.
Conclusioni. I nostri dati suggeriscono un’alterazione dello
steady state tra F e E progressivamente ingravescente con l’incremento del peso corporeo. Tale rilievo potrebbe essere correlabile ad una disregolazione dell’attività dell’enzima 11β-HSD1
negli adolescenti con eccesso massa grassa.
Diagnosi genetica e valutazione
della funzione endoteliale
in adolescenti affetti da
ipercolesterolemia familiare (FH)
B. Predieri1, R. Rossi2, P. Bruzzi1, A. Nuzzo2,
G. Vellani1, V. Patianna3, D. Iaccarino2, E. Mazzali1,
F. Balli1, S. Calandra4, M.G. Modena2, L. Iughetti1
Clinica Pediatrica1, U.O. di Cardiologia2, Dipartimenti Materno-Infantile1,
Emergenza-Urgenza2 e Scienze Biomediche4, Corso di Laurea in Medicina
e Chirugia3, Università di Modena & Reggio Emilia1-4, Modena
L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria autosomica dominante del metabolismo delle lipoproteine causata
dalla mutazione del gene codificante per il recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDL-R), clinicamente caratterizzata da
elevati livelli di colesterolo e da xantomi ai tendini estensori delle
mani, dei piedi e del tendine achilleo, che possono comparire già
dalla seconda decade di vita. Anche in soggetti con mutazioni
del gene per il recettore delle LDL esiste comunque un’ampia
variabilità inter-individuale dei livelli di LDL, in relazione al tipo di
mutazione ed al suo effetto sull’attività del LDL-R.
Gli elevati livelli di LDL predispongono allo sviluppo della malattia aterosclerotica, determinando in questi pazienti una precoce
morbidità e mortalità cardiovascolare secondaria a fenomeni
ischemici miocardici.
La diagnosi di FH, la cui conferma definitiva si ottiene mediante
l’analisi genetica, in epoca adolescenziale si basa innanzi tutto
sull’anamnesi familiare e sui dati di laboratorio essendo la clinica
in genere non ancora presente. La disfunzione endoteliale rappresenta uno stadio precoce e reversibile dello sviluppo di aterosclerosi e può essere valutata, prima che compaiano cambiamenti morfologici, tramite la misurazione ecografica della dilatazione endotelio-mediata (FMD).
Scopo del nostro studio è stato quello di individuare adolescenti affetti da FH e di valutare la presenza in questi ragazzi di segni
subclinici di alterazione della funzionalità endoteliale
Abbiamo selezionato 66 adolescenti (26 femmine) con anamnesi familiare e dati di laboratorio suggestivi per FH ed abbiamo
eseguito il sequenziamento del promotore prossimale delle giunzioni esone/introne e dei 18 esoni del gene LDL-R per individuare i pazienti con difetto genetico. In tutti i soggetti è stata eseguita inoltre la valutazione della funzionalità endoteliale mediante
misurazione ecografica della FMD.
I dati ottenuti sono stati comparati a quelli determinati in un gruppo
di controllo composto da 20 soggetti comparabili per sesso ed età.
Mutazioni esoniche e mutazioni del promoter sono state riscontra-
Total quality management:
metodologia di valutazione
della qualità assistenziale
G. Romano1, G. Raiola2, M.C. Galati3
1
U.O.C. Servizio Informativo A.S. Provinciale di Catanzaro; 2U.O.S di
Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza – U.O.C. di Pediatria;
3
U.O.C. di Ematoncologia Pediatrica A.O. “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
Al giorno d’oggi si sente parlare di Qualità, a vario titolo ed a vari
livelli; i dipendenti del SSN avvertono profondamente la naturale
propensione alla Qualità, ma anche l’esigenza di compartecipare al
processo di riorganizzazione dell’intero sistema sanitario. Quali
responsabilità e quali opportunità per rivedere il percorso assistenziale in un’ottica di Total Quality Management? Il senso ed il motivo
di questo lavoro, perciò, sta nella ricerca e nell’indagine della
Qualità, nei suoi aspetti generali, soprattutto nei principi e fondamenti che animano tutta la prassi sanitaria, all’interno del nostro
SSN, e nel definire una base comune di informazioni e definizioni
che sostengono la qualità. La crescita della tecnologia e dell’informazione, la richiesta di trasparenza e di affidabilità pubblica ed i
136
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
limiti delle risorse umane e finanziarie obbligano ogni Stato membro dell’Unione Europea a descrivere e riformare il proprio sistema
sanitario sulla base di standards (4), riconosciuti a livello internazionale, di struttura, processo, prestazione e risultati. Nel misurare la
Qualità si incontrano delle difficoltà, in quanto dobbiamo trasformare “aggettivi di tipo soggettivo” in unità di misura che siano confrontabili e verificabili. A dispetto di queste difficoltà, è oramai
tempo che gli Operatori del sistema sanitario riscoprano le motivazioni per il perseguimento della Qualità, soprattutto in ragione della
competitività del mercato. Ecco l’importanza del ruolo manageriale
nella promozione della Qualità al fine di esaminare efficacia ed efficienza dei percorsi e processi sanitari offerti all’Utente. Nell’ambito
della complessità crescente delle organizzazioni sanitarie, i vari
attori del sistema devono definire e sviluppare il proprio contributo
in termini di Qualità all’interno delle equipe, in modo da orientare il
proprio specifico professionale, considerandone la centralità, verso
la persona. Questa è un’ipotesi di Know How basato su: competenza, autonomia ed organizzazione ed orientato a fornire l’input
al cambiamento e alla realizzazione di un percorso organizzativofunzionale nella pratica clinica, volto al miglioramento continuo
della Qualità (1). La qualità è un fenomeno multidimensionale, dinamico e dipendente da numerosi fattori correlati più o meno tra loro:
la modalità con cui la prestazione viene erogata; il tipo di prestazione offerta; i risultati che ha prodotto; i costi che sono stati sostenuti per erogarla. Inoltre, la qualità dipende anche dalle preferenze
e dalle aspirazioni delle persone cui si chiede di esprimere un giudizio. Di conseguenza, la qualità può essere considerata come
risultante dalla combinazione di numerosi fattori, in parte oggettivi e
in parte soggettivi, non sempre perfettamente concretizzabili, ciascuno dei quali partecipa, in misura diversa, a qualificare le prestazioni sanitarie. Tali fattori sono giudicati più o meno importanti in
funzione dei punti di vista, dei gusti personali e delle circostanze in
cui sono valutati. Il percorso di management della qualità nell’ambiente della salute, sebbene di recente diffusione, costituisce la
strada per il successo nel miglioramento continuo della Qualità,
perché consente un adeguato controllo in particolare degli errori
medici fatali, sempre molto pubblicizzati (2). Alcune organizzazioni
per la Qualità, insieme ad esperti della qualità provenienti dall’industria, hanno dato il via all’introduzione, in via sperimentale nel
mondo della salute, del Management della Qualità. Questa sperimentazione è stata un successo ed ha dimostrato che il
Management della Qualità può sortire gli stessi benefici del mondo
industriale. Nonostante sia noto come l’adozione del Management
della Qualità possa ridurre i costi e migliorare la Qualità prestazionale, pochissime organizzazioni sanitarie hanno la capacità di
adottare questo sistema per ottenere un significativo vantaggio
strategico. Infatti, soltanto il corpo di conoscenze che il
Management della Qualità possiede può portare ad impostare una
corretta equazione: Costi/Qualità/ Valore. Inoltre è necessaria la
presenza di una Leadership forte, che sia in grado di traghettare
l’organizzazione sanitaria verso il Management della Qualità.
Affinché una transizione sia di successo, occorre che essa possegga almeno tre requisiti fondamentali:
1. Mantenere i valori della Medicina. Sebbene le pratiche dell’apprendimento scientifico classico siano oramai obsolete, esistono
degli imperativi etici che debbono essere mantenuti assolutamente in vita anche nell’approccio scientifico al miglioramento
della Qualità.
2. Creare ed implementare una cultura organizzativa adatta alla
Qualità. È necessario che le organizzazioni sanitarie si impegnino per studiare strategie efficaci in grado di mantenere i valori
storici della cultura della salute e, al tempo stesso, per creare
nuove soluzioni che realizzino l’integrazione clinica richiesta per
il miglioramento della Qualità.
3. Sviluppare concetti e pratiche per una nuova Leadership. Non ci
si deve sorprendere se relativamente pochi Leaders hanno la
capacità di comprendere e sperimentare il moderno Management della Qualità nei processi di cura. La letteratura che si ispira ad un vecchio stile di Leadership, basato sulla gerarchia e sul
passaggio delle conoscenze top-down, non ha nessuno spazio
nella rivoluzione in corso.
Negli Stati Uniti, i rappresentanti della JCAHO visitano gli ospedali
su richiesta e ogni tre anni per verificare se i requisiti proposti dalla
JCI (Joint Commission International) siano stati raggiunti e mantenuti. In questo modo l’ospedale può essere accreditato parzialmente o totalmente (3). Attraverso programmi internazionali di sviluppo della Qualità dell’assistenza e servizi connessi all’accreditamento, la JCI persegue la qualità come fondamentale obiettivo
della propria metodologia di accreditamento, anche attraverso i
programmi di Continuos Quality Improvement, gestiti in forma sistematica e con una visione che tenga conto sempre della complessità aziendale e di tutte le sue componenti culturali e professionali.
Non è immaginabile alcun percorso di miglioramento continuo
della Qualità senza il coinvolgimento congiunto dei Responsabili
clinici, infermieristici e gestionali dell’Azienda. L’approccio globale
alla gestione e al miglioramento continuo della Qualità prevede cinque fasi: pianificazione strategica della Qualità aziendale; progettazione dei processi clinici e manageriali; monitoraggio del livello di
funzionamento dei processi attraverso la raccolta di indicatori; analisi dei dati; implementazione e sostegno dei cambiamenti che
generano miglioramento. Ciascuna di queste fasi prevede il coinvolgimento di alcuni Settori aziendali: la Pianificazione spetta al
Management aziendale; la Progettazione deve essere guidata da
esperti del settore; il Monitoraggio può avvenire soltanto attraverso
“raccoglitori” opportunamente istruiti; l’Analisi (4) deve essere condotta da “lettori” competenti; lo sviluppo di programmi di miglioramento ritorna ai progettisti del sistema che ne riferiscono al
Management aziendale.
Queste differenti attività, nel loro ripetersi ed alternarsi, danno luogo
ad un vero e proprio circolo della Qualità. I circoli di qualità costituiscono uno dei metodi maggiormente riconosciuti di applicazione
della Qualità totale, come superamento dei difetti nei processi di
lavoro in precisi contesti organizzativi, attraverso la partecipazione
di tutti i componenti della organizzazione. Il circolo della Qualità
vede riunirsi periodicamente un piccolo Gruppo di professionisti
volontari che individua sistematicamente i problemi, li discute, li
137
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
insulinoresistenza in base all’indice HOMA-r. La prevalenza dei
soggetti con insulinoresistenza risulta differente a seconda del
criterio utilizzato: HOMA-r 4 n. 31 casi (43.6%) vs HOMA-r
95° percentile n. 49 casi (69%). La popolazione studiata è stata
inoltre distribuita in classi arbitrarie di elevazione dell’ HOMA: <
3 n. 27; 3-5 n. 24; 5-8 n. 12; 8-11 n. 4; › 11 n. 4. Tali classi di distribuzioni dell’HOMA sono state messe anche in relazione con il
BMI dei soggetti.
analizza e trova soluzioni appropriate. Le soluzioni vanno presentate alla Direzione, che rappresenta il livello di governo che utilizza tali
valutazioni.
≥
Bibliografia
1. Hamer S., Collison G., Evidence Based Practice - Assistenza Basata
su prove di efficacia, Mc Graw Hill, Milano 2002.
2. Ranci Ortigosa E., La valutazione di qualità nei servizi sanitari, Franco
Angeli, Milano 2000.
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www.asq.org/healthcare/1102_meetings/past_present_and_future.pdf,
Merry D. Martin, Crago G. Micheal, The present and future of health care
quality in phycician executive, Settembe - Ottobre 2001
4. Pellegrini L. L’accreditamento delle strutture e dei servizi sanitari,
in Monitor Elementi di analisi e osservazione dei sistemi salute. Rivista
bimestrale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, n. 2/2002) www.assr.it
La stipsi negli adolescenti
(dati preliminari di un’indagine
sulle caratteristiche dell’alvo
e la prevalenza del fenomeno)
L. Tarallo, M.A. Cascone, C. Alfaro, M. Borrelli
U.O.C. di Pediatria. P.O.S. Leonardo- ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA)
Da una nostra indagine svolta somministrando un questionario a
risposta multipla a 3932 adolescenti, 1676 femmine e 2256
maschi, età 13-20aa (media=16.1aa, mediana=15.9aa), reclutati in 10 scuole superiori dell’area fra Castellammare di Stabia e
Sorrento(Napoli), risulta che il 6.9% h soffre al momento attuale
di stipsi e il 6.30% di alvo alterno (in totale 13.2% ha problemi).
Abbiamo cercato di individuare le differenze tra i soggetti con stipsi (gruppo A), quelli con alvo alterno(gruppo B) e quelli non stitici(gruppo C). Problemi urinari e dolori addominali sono presenti rispettivamente nel 12% e nel 47% del groppo A, nel 4.4% e nel
38% del B, vs il 2.4% ed il 4.8% del gruppo C. Storia di diarrea
nel 37% del gruppo A, 33.3% del B, vs 15.8% del gruppo C. Il
7.4% del gruppo A ha riscontrato spesso sangue nelle feci, il
13.7% a volte, l’1.8% sempre, mentre nel gruppo B il 6% ha
riscontrato a volte sangue nelle feci, e nessuno spesso; nel gruppo C, solo il 2.2% a volte e lo 0.2% spesso. Il 51.5% del gruppo
A, il 64% del gruppo B,e il 34% del gruppo C considera cattive le
condizioni dei servizi igienici della scuola e il 45% del gruppo A, il
49% del gruppo B, il 26% del gruppo C quelle della palestra (e il
47% del gruppo A , il 45% del gruppo B e il 21% del gruppo C se
ne servirebbe di più se fossero migliori). Riguardo alla introduzione di acqua, nel gruppo A il 23% ammette di bere poco, e il 18%
meno che in famiglia; nel gruppo B, il 7% dichiara di bere poco, e
il 9.6% meno che in famiglia; nel gruppo C, solo il 6% berrebbe
poco e l’11% meno dei familiari. Per quanto riguarda il consumo
di frutta e verdura, nel gruppo A il 10% confessa di consumarne
poca, e il 27% meno di quanto se ne consumi in famiglia; nel
gruppo B, il 12% ammette di consumarne poca, e il 16% meno di
quanto se ne consumi in casa; nel gruppo C, solo il 9% ne consumerebbe poca e il 20% meno dei familiari. Il 63% degli stitici e
il 97% del gruppo ad alvo alterno non avrebbe trovato accoglienza medica al proprio problema, nonostante il 35% dei primi e il
16% dei secondi considerino la stipsi un problema che influenza
la loro vita. Riteniamo importante proseguire l’approfondimento
dei fattori che si associano alla stipsi negli adolescenti, dato l’impatto non trascurabile di questo problema sulla loro qualità di vita.
Prevalenza di diabete mellito
e altre alterazioni del
metabolismo glucidico in
adolescenti afferenti, negli
ultimi 4 anni, al D.H. pediatrico
dell’U.O. di pediatria del P.O.
di Paola ASP di Cosenza
A. Santelli1, G. Santoro1, G. De Martino1, B. Russo1,
F. De Berardinis2, F. Imbroinise3, M. D’Andrea4
1
Dirigente Medico U.O. di Pediatria – P.O. di Paola – ASP di Cosenza; 2Dirigente
Medico Servizio di Diabetologia – P.O. di Paola; 3Psicologa-Psicoterapeuta U.O.
di Pediatria – P.O. di Paola; 4Assistente sociale U.O. di Pediatria – P.O. di Paola
Sono state esaminate la tipologia e la frequenza delle varie forme
di Diabete Mellito (DM) e di alterazioni del metabolismo glucidico in una popolazione non selezionata di adolescenti afferenti al
Day Hospital della nostra U.O. negli ultimi 4 anni (gennaio 2005 luglio 2008), nell’ambito dell’attività di screening e inquadramento diagnostico dell’obesità e dell’iperglicemia occasionale e di
terapia e follow-up delle suddette condizioni e del DM conclamato. Sono stati osservati: n. 35 pazienti con DM tipo 1, di cui n.
6 neodiagnosticati nel periodo indicato; n. 1 paziente con S. di
Bardet-Biedl che ha sviluppato un diabete dalle caratteristiche
metaboliche simili al DM tipo 2; n. 1 paziente insulinodipendente
affetta da S. di Wolfram (DIDMOAD). Recenti studi dimostrano
che la sensibilità insulinica, valutata mediante OGTT e calcolata
con vari indici (Quiki, Hanson, Matsuda) e l’insulinoresistenza
mediante HOMA, correlano in modo statisticamente significativo
con il BMI e risultano essere significativamente più alterati nei
soggetti con obesità grave. Pertanto sono stati elaborati i dati di
71 soggetti sottoposti a OGTT e sono stati individuati: n. 1
paziente con ridotta tolleranza glucidica (IGT) da sospetto
MODY; n. 2 pazienti con DM tipo 2 (2.8%); n. 2 casi di IGT (2.8%);
n. 3 casi di alterata glicemia a digiuno (IFG) glicemia 100 e
125 mg/dl (4.2%) ; un numero considerevole di soggetti con
≥
≥
≤
138
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Abstract
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
Carcinoma papillare
della tiroide in una paziente
con sindrome di Turner
e tiroidite di Hashimoto
ra ad organizzazione follicolare. In corso gli studi di immunoistichimica. Conclusioni. La nostra esperienza, sebbene basata sull’analisi di un solo caso clinico, sottolinea ancora una volta che
a) l’associazione fra tiroidite di Hashimoto ed isocromosoma
della X non è casuale; b) un nodulo tiroideo in una paziente con
ST è da guardare sempre con sospetto, in particolare quando
coesista un altro fattore di rischio, quale l’Hashimoto; c) l’aumento di dimensioni dei noduli tiroidei sotto terapia tiroxinemica
potrebbe costituire un ulteriore fattore di rischio; d) l’eventuale
riscontro, anche in questo caso, di recettori per il GH da parte
della neoplasia potrebbe confermare, dopo completamento
degli studi di immunoistochimica, un ruolo dell’asse GH-IGF
nella sua patogenesi.
M. Valenzise, M.F. Messina, L. Calbo, T. Arrigo,
S. Iannelli, G. Zirilli, F. De Luca
Dipartimento di Scienze Pediatriche Medico-Chirurgiche, AOU Messina UOC
Chirurgia Generale e Mininvasiva
La sindrome di Turner (ST), una delle più comuni anomalie citogenetiche, è caratterizzata dalla completa o parziale monosomia
del cromosoma X. L’incidenza è pari a 1:2000-2.500 soggetti di
sesso femminile. Il rischio di cancro nelle pazienti con ST non è
stato ancora chiaramente definito. Una recente revisione della
letteratura (Lancet Oncol 2008; 9(3): 239-46) evidenzia un
aumentato rischio di gonadoblastoma, meningioma, tumori
cerebrali infantili, cancro alla vescica, melanoma, carcinoma uterino, ma di contro un diminuito rischio di cancro al seno. Il motivo di tale rischio potrebbe risiedere in fattori genetici e ormonali
o negli effetti dei trattamenti ormonali praticati dalle pazienti. Il
carcinoma papillare della tiroide è riportato in letteratura solo in
pochissime pazienti con ST che erano state sottoposte a trattamento con ormone della crescita, e l’espressione di recettori per
il GH da parte della neoplasia sembrerebbe sottolineare una
possibile relazione tra l’asse GH-IGF e la patogenesi del tumore.
L’incidenza di questa neoplasia in età pediatrica è pari a 0.020.3/100000 pazienti con età inferiore ai 16 anni e secondo i dati
di una recentissima revisione del gruppo di studio della SIEDP la
sua prevalenza nella popolazione pediatrica affetta da tiroide di
Hashimoto sembra essere pari al 3%. Riportiamo il caso di una
paziente affetta da ST, seguita presso il centro di Endocrinologia
Pediatrica, che ha sviluppato nel corso del follow-up un carcinoma papillare della tiroide. La paziente è giunta per la prima volta
alla nostra osservazione all’età di 11 anni per bassa statura ed
ipertransaminasemia. La presenza di note fenotipiche fortemente indicative di ST (cubito valgo, pterigium colli, attaccatura a tridente dei capelli, numerosi nei cutanei) ci ha indotti ad eseguire
un cariotipo che ha confermato la diagnosi 46 di Xi (Xq). Nel tentativo di migliorare la prognosi staturale, altrimenti pessima, la
paziente veniva sottoposta a trattamento ormonale con ormone
della crescita per 5 anni. All’età di 14 anni, a seguito del riscontro di una elevata positività degli anticorpi antitiroide e di una diffusa disomogeneità ecografica della ghiandola tiroidea, veniva
posta diagnosi di tiroidite di Hashimoto ed avviata terapia con Ltiroxima sulla scorta di esami della funzionalità tiroidea compatibili con un quadro di ipotiroidismo. Il monitoraggio ecografico
della ghiandola, dopo circa 10 anni dall’esordio della tiroidite,
evidenziava la comparsa di formazioni nodulari che da pochi mm
diventavano rispettivamente di 0.5 cm e di 1 cm. L’agoaspirato
non ci forniva elementi sufficienti per differenziare un eventuale
adenoma da un carcinoma follicolare. La paziente veniva pertanto sottoposta a tiroidectomia totale e l’esame istologico confermava la diagnosi di un carcinoma papillare pluricentrico, talo-
Trattamento cronico con
pamidronato in adolescenti
con osteoporosi: effetti sullo
stato minerale osseo
e sulla prevalenza di fratture
F. Vierucci, L. Galli, S. Ghione, G.I. Baroncelli,
G. Saggese
U.O. Pediatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa
L’osteoporosi è una condizione che colpisce non solo l’adulto
ma anche il bambino e l’adolescente. L’esperienza clinica ed il
suo trattamento sono ancora molto limitati. Il trattamento con
bisfosfonati sembra essere molto promettente. Nel presente studio sono stati valutati gli effetti del trattamento con pamidronato
sullo stato minerale osseo e la prevalenza di fratture in pazienti
affetti da varie forme di osteoporosi.
Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 12 pazienti (9 M e 3 F;
età 12.4±4.2 aa) affetti da osteoporosi idiopatica giovanile (n=3)
o forme secondarie (tetraparesi spastica da paralisi cerebrale
infantile, n=4; m. di Menkes, n=1; sindrome polimalformativa,
n=2; m. di Gaucher, n=1, artrite idiopatica giovanile in terapia
corticosteroidea, n=1).
All’ingresso dello studio 10/12 pazienti (83%) avevano presentato almeno una frattura (totale fratture n=28, media 2.3±2.1).
I pazienti sono stati sottoposti a trattamento con pamidronato
e.v. (Aredia) ogni 4-6 mesi (0.5-1 mg/kg per 3 gg) e Ca gluconato 10% e.v. (0.5-1 ml/kg).
Lo stato minerale osseo è stato misurato a livello delle falangi
prossimali della mano mediante ultrasonografia quantitativa
(QUS; DBM Sonic BP, IGEA) e a livello delle vertebre lombari e
del collo femorale mediante densitometria ossea a doppio raggio-X (DXA, Lunar-GE, Prodigy). I valori dei parametri densitometrici sono stati espressi come Z-score rispetto ai valori di riferimento per l'età ed il sesso.
Risultati. all’ingresso dello studio tutti i pazienti avevano un
ridotto stato minerale osseo (-3.5±1.1 Z-score). La terapia
(4.3±1.1aa) determinava un miglioramento dello stato minerale
osseo anche se i valori densitometrici rimanevano ridotti (verte-
139
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1)
secondario mai trattato, che si è presentato al nostro Centro a
causa di G bilaterale e dolente. I dati anamnestici erano negativi
per assunzione di farmaci che possono indurre G. L’esame obiettivo confermava la presenza di G ed ipogonadismo: assenza di
segni di androgenizzazione periferica e ridotto volume testicolare
(4 cc) senza palpabili alterazioni strutturali. Il quadro ormonale era
compatibile con HH e confermava un ridotto rapporto T / E2.
L’ecografia testicolare metteva in evidenza una massa solida ed
eterogenea nel contesto del testicolo sn e la microlitiasi testicolare in entrambi testicoli. Il paziente è stato sottoposto ad orchiectomia sn con conferma istologica di Leydigoma ben capsulato.
Dopo l’intervento nel paziente è stata avviata la terapia sostitutiva
con T enanthate con successiva normalizzazione del rapporto T /
E2 e riduzione significativa della G.
In questo paziente la G dolente era un sintomo chiave per la diagnosi preclinica del Leydigoma in soggetto con aumento rischio
di tumore testicolare da azospermia. Questo caso dimostra
anche l’importanza e l’utilità della ecografia testicolare in caso di
G, soprattutto quando l’esame obiettivo della regione inguinoscrotale non è rilevante.
bre lombari: BMDarea -1.7±1.1, p<0.001; BMDvolume 1.2±1.2, p<0.02; falangi della mano: AD-SoS -1.3±1.1, p<0.01;
BTT -1.3±1.0, p<0.001). I valori a livello del collo femorale non
subivano variazioni.
La prevalenza di fratture diminuiva durante il follow-up (totale fratture n=8, media 0.7±0.7, p<0.03 vs valori all’ingresso). Non era
evidente alcuna correlazione tra dose totale, dose per kg, durata della terapia e parametri densitometrici o prevalenza delle fratture durante il follow-up.
In 10 pazienti (83%) si è presentata febbre associata ad una sindrome simil-influenzale durante il primo ciclo di terapia; in 3
pazienti tale sintomatologia è comparsa anche durante il secondo ciclo di terapia. Un paziente ha presentato tetania durante il
primo ciclo di terapia, in prima giornata, prima dell’infusione del
calcio gluconato, e discinesie transitorie facciali e a carico degli
arti superiori. Nessun paziente ha mostrato episodi di tetania a
domicilio. Due pazienti hanno lamentato artralgie agli arti e alla
colonna cervicale della durata di 3-5 gg, trattate con ibuprofene.
Durante il follow-up non sono state rilevate alterazioni ematologiche, epatiche, renali o oculari, né alterazioni della crescita staturale. Nessun paziente ha presentato lesioni del tessuto dentario
e/o del parodonto o osteonecrosi delle ossa mascellari.
Commenti. Il trattamento cronico con pamidronato è in grado di
ridurre la prevalenza di fratture in adolescenti affetti da varie
forme di osteoporosi con un parziale recupero dello stato minerale osseo, senza determinare l’insorgenza di effetti indesiderati
importanti. Tuttavia, la terapia con bisfosfonati deve essere riservata a casi selezionati ed effettuata in centri specialistici. Inoltre,
tutti i pazienti trattati con bisfosfonati devono essere sottoposti
ad un accurato e prolungato follow-up per l’individuazione di
potenziali effetti indesiderati a lungo termine.
Uso non convenzionale della
metformina in un adolescente
non obeso con acanthosis
nigricans diffusa e isolata
M. Wasniewska, F. Lombardo, G. Salzano,
T. Aversa, S. Iannelli, F. De Luca
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche , Università di Messina
Oggetto di questa presentazione è un ragazzo giunto per la
prima volta alla nostra osservazione all’età di 11.5 anni per
eccesso di peso del 60% che si associava al quadro di acanthosis nigricans (AN) diffusa. Con il trattamento dietetico appropriato si è risolto l’eccesso ponderale persistendo, tuttavia, la condizione di AN diffusa. L’OGTT ha confermato la presenza di iperinsulinismo con normale tolleranza glucidica. Sono state escluse
altre possibili cause di AN.
All’età di 14.3 anni, alla luce del grave disagio psicologico causato dall’AN, è avvato un trattamento sperimentale con
Metformina (dose 1000 mg/die) allo scopo di ridurre l’iperinsulinismo e di conseguenza l’AN.
Durante il suddetto trattamento è stato osservato un notevole,
progressivo miglioramento della melanodermia e delle altre alterazioni dermatologiche, con totale regressione dell’AN dopo 8
anni di terapia. Il quadro metabolico ha dimostrato una sensibile
riduzione nel tempo dell’indice di resistenza periferica insulinica
(da 4.5 a 0.5), con concomitante aumento significativo dell’indice di insulino-sensibilità (da 2.6 a 4.7).
Questo caso dimostra che la Metformina può rendere possibile
la risoluzione totale dell’AN diffusa e isolata. Questo tipo di uso
non convenzionale di Metformina, in casi selezionati, necessita di
un stretto follow-up del metabolismo glucidico.
Ginecomastia di origine incerta:
sintomo chiave del tumore
testicolare
M. Wasniewska, G. Raiola1, T. Arrigo, M.C. Galati2,
F. Lombardo, G. Birilli, G. Ascenti, F. De Luca
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
1
Unità di Auxoendocrinologia, Ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
2
Unità di Ematologia Pediatrica, Ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
La ginecomastia (G) è una condizione la cui prevalenza è stata
valutata intorno a 60-90% in epoca neonatale, 50-60% in epoca
puberale e più del 70% in età senile. Il principale responsabile di
questa patologia è uno squilibrio nel metabolismo di testosterone ed estrogeni con riduzione del rapporto testosterone (T) /
estradiolo (E2). Nella maggior parte dei casi la G è una condizione benigna parafisiologica o indotta dai farmaci. Ma può
essere anche una “spia” di diverse patologie come tumore testicolare (si riscontra in 3 % dei pazienti con G).
Presentiamo il caso di un giovane adulto (35 anni) con βThalassemia intermedia ed ipogonadismo ipogonadotropo (HH)
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