23-25 Ottobre 2008
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Vol. 6 - n. 2 - (Suppl. 1) 2008 Periodico quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1, comma 1 DCB Milano Indexed in EMBASE/Compendex Geobase/Scopus ORGANO UFFICIALE XV Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza 23- 25 Ottobre 2008 Rende (Cs) XV Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza 23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs) Presidenti del Congresso Giampaolo De Luca Giuseppe Raiola Consiglio Direttivo SIMA Presidente Giuseppe Raiola Vice Presidente Silvano Bertelloni Tesoriere Salvatore Chiavetta Segretario Luigi Ranieri Consiglieri Michele De Simone Piernicola Garofalo Maria Rita Govoni Commissione Didattica Vincenzo De Sanctis (coordinatore) Antonietta Cervo Giampaolo De Luca Michele De Simone Revisori dei conti Mariangiola Baserga Domenico Lombardi Domenico Salerno I XV Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza 23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs) Moderatori e Relatori Salvatore Anastasi Elisa Anastasio Sebastiano Andò Vincenzo Maria Arcuri Teresa Arrigo Mariangiola Baserga Sergio Bernasconi Federico Bianchi di Castelbianco Silvano Bertelloni Gianni Bona G. Roberto Burgio Giovanni Caldarone Giovanni Capocasale Manuela Caruso Nicoletti Antonietta Cervo Graziano Cesaretti Franco Chiarelli Salvatore Chiavetta Giuseppe Chiumello Nicola Cicchella Alessandro Cicognani Manuela Cisternino Giovanni Corsello Tiziano Dall’Osso Filippo De Luca Giampaolo De Luca Annamaria D’Este Carlo De Sanctis Vincenzo De Sanctis Michele De Simone Salvatore Di Maio Pasquale Di Pietro Franca Fruzzetti Angela Funaro Piernicola Garofalo Laura Giancotti Maria Rita Govoni Catania Catanzaro Cosenza Catanzaro Messina Catanzaro Parma Roma Pisa Novara Pavia Roma Crotone Catania Salerno Pisa Chieti Palermo Milano Benevento Bologna Pavia Palermo Bologna Messina Cosenza Udine Torino Ferrara L’Aquila Napoli Genova Firenze Cosenza Palermo Catanzaro Ferrara Maria Concetta Galati Salvatore Grotteria Giuseppe Gullotta Antonio Gurnari Elena Iacona Caruso Antonio Improta Andrea Liotta Chiara Lolli Domenico Lombardi Renata Lorini Marcello Maggiolini Antonino Mangiagli Carmela Maradei Saverio Marrelli Maria Panebianco Annamaria Pasquino Umberto Pelosi Raffaele Perrelli Carlo Pintor Ida Pucarelli Giuseppe Raiola Luigi Ranieri Patrizia Reda Piercarlo Rizzi Leopoldo Ruggiero Giuseppe Saggese Domenico Salerno Antonietta Santelli Tito Livio Schwazenberg Giuseppe Spadafora Mariella Sturniolo Rita Tanas Luciano Tatò Alberto Verrotti Stefania Zampogna Maria Zanni Catanzaro Catanzaro Catania Reggio Calabria Cosenza Napoli Palermo Cosenza Lucca Genova Cosenza Siracusa Cosenza Cosenza Cosenza Roma Catanzaro Cosenza Cagliari Roma Catanzaro Catanzaro Cosenza Catanzaro Lecce Pisa Catanzaro Cosenza Roma Cosenza Cosenza Ferrara Verona Chieti Catanzaro Cosenza Con il patrocinio di: Ministero della Salute, Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, Provincia di Cosenza, Comune di Rende, Società Italiana di Pediatria, Federazione Italiana Pediatri, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Confederazione Italiana Pediatri, Ordine Nazionale dei Biologi, Ordine Regionale degli Psicologi, Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi della Provincia di Cosenza, Collegio degli Infermieri Professionali di Cosenza, Ordine dei Farmacisti della Provincia di Cosenza, Acsa&Ste Onlus. II XV Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza 23-25 Ottobre 2008 Rende (Cs) Sommario L’asma difficile Umberto Pelosi pag. 1 La gestione dell’adolescente con asma acuto in P.S. Stefania Zampogna, Luciana Indinnimeo, Pasquale Di Pietro pag. 3 Gestione dell’adolescente con asma cronico Elisa Anastasio pag. 7 Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici Antonietta Santelli, Giacomo Santoro, Giuseppe De Martino, Bambina Russo, Franca Imbroinise, Maria D’Andrea pag. 9 Le meningoencefaliti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici Chiara Lolli pag. 17 Aspetti assistenziali delle patologie infiammatorie acute nell’adolescente Maria Zanni pag. 20 Il mondo degli adolescenti oggi Carlo Pintor pag. 21 La sessualità nei giovani: condotte e trasgressioni Federico Bianchi Di Castelbianco pag. 22 Educare alla salute Giampaolo De Luca pag. 23 Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea Giuseppe Spadafora pag. 28 Uso del GH nelle malattie croniche non endocrine Mariella Valenzise, Teresa Arrigo, T. Aversa, G. Zirilli, S. Iannelli, Filippo De Luca Le poliendocrinopatie autoimmuni Renata Lorini, Giuseppe d’Annunzio pag. 37 Dal diabete di tipo 2 al diabete di tipo ibrido A. Blasetti, A.M. Tocco, C. Di Giulio, F. Chiarelli pag. 41 Ipertireotropinemie in età pediatrica e adolescenziale G. Chiumello, G. Weber, A. Passoni, F. Cortinovis, S. Rabbiosi pag. 44 III pag. 33 L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio? Paolo Cavarzere, Rossella Gaudino, Previtera Carlo, Luciano Tatò pag. 46 Recenti progressi nell’imaging pediatrico adolescenziale Vincenzo Arcuri, Pier Paolo Arcuri, Giuseppe Raiola, Maria Concetta Galati La terapia psichiatrica nell’adolescente Sara Matricardi, Francesco Chiarelli, Alberto Verrotti pag. 51 pag. 53 La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro Piercarlo Rizzi pag. 61 Medicina legale in ambulatorio Luigi Ranieri pag. 66 Rischi e benefici dell’attività sportiva nell’adolescente con patologia cronica Giovanni Caldarone, Giuseppe Morino pag. 70 La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce Tito Livio Schwarzenberg pag. 71 Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) in età adolescenziale Mariangela Cisternino, Patrizia Sampaolo, Elena Borali, Ilaria Possenti, Valeria Calcaterra pag. 78 L’uso della metformina nell’adolescente Franca Fruzzetti, Daria Perini, Veronica Lazzarini pag. 81 La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza Rita Tanas, Lorenzo Iughetti, Guido Caggese, Giovanna La Fauci, Marta Zaghi, Rossella Berri, Maria Chiara China, Salvatore Di Maio pag. 84 Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente. Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato G. Raiola, S. Bertelloni, G. Romano, V. De Sanctis, M.C. Galati pag. 90 Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV Gianni Bona pag. 95 I noduli tiroidei: follow-up e terapia Graziano Cesaretti pag. 99 Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente Maria Piccione, Giovanni Corsello pag. 104 Come comunicare una cattiva diagnosi Maria Rita Govoni pag. 108 Fisiopatologia della spermatogenesi Vincenzo De Sanctis, Luigina Urso, Giuseppe Raiola ABSTRACT pag. 110 pag. 119 IV Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) L’asma difficile Umberto Pelosi Divisione di Pediatria Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Catanzaro L’asma viene considerata attualmente la malattia cronica più frequente in età pediatrica. Nonostante l’introduzione nella sua gestione di nuovi farmaci e l’applicazione di lineee guida per la terapia degli episodi acuti e delle fasi intercritiche, i valori di morbilità e di mortalità della malattia sono oggi simili a quelli riscontrati diversi anni fa ed addirittura aumentati in alcune nazioni (1). L’asma è stata definita “una malattia infiammatoria cronica delle vie aere, caratterizzata da un processo di flogosi a decorso cronico nella quale rivestono una attività primaria alcune classi cellulari, in particolare mastociti, eosinofili e T-linfociti. L’infiammazione è responsabile della sintomatologia ed in parte della iper-reattività bronchiale che caratterizzano la malattia” (2). La flogosi è presente nelle vie aeree sin dall’esordio della malattia, anche nelle forme più lievi, e addirittura prima che compaiano le manifestazioni cliniche; aumenta con la severità ed è responsabile di tutte quelle modificazioni strutturali a carico del bronco che vengono unificate con il termine di “rimodellamento” (3). La relazione tra infiammazione a carico delle vie aeree ed aumento della gravità della malattia è stata valutata sia rilevando la frequenza e l’intensità delle manifestazioni cliniche, la compromissione della funzionalità respiratoria e la flogosi mediante la determinazione nello sputo indotto, nel BAL e nell’aria espirata di mediatori (ECP, MPO, triptasi) o sostanze specifiche (NO) (4-7). Si è visto che in gran parte dei casi la severità clinica della malattia è correlata alla infiammazione eosinofila. Da questa osservazione scaturisce l’indicazione dell’utilizzo di farmaci antinfiammatori per il controllo della malattia. Le più recenti linee guida sulla gestione della malattia asmatica confermano che i corticosteroidi possono essere utilizzati per via inalatoria con buoni risultati nei bambini con asma moderato o severo e per via sistemica nelle riacutizzazioni o nelle forme più severe di malattia (8, 9). Nella maggior parte dei casi la terapia steroidea è in grado di controllare la gravità della malattia; fa eccezione una piccola percentuale di bambini i quali presentano un tipo di asma che difficilmente viene controllato, anche quando si incrementino i farmaci antiasmatici ed in particolare i corticosteroidi. Questa varietà di asma viene definita asma “difficile” (10, 11). Recentemente la Società Europea delle Malattie respiratorie ha definito “asma difficile” l’asma che non viene controllata utilizzando ≥ 800?g di budesonide o equivalenti (12). Quando ci si trova di fronte ad un bambino la cui asma non è ben controllata nonostante alte dosi di steroidi, è importante in primo luogo cercare di comprendere le ragioni di questo scarso controllo e successivamente definire le eventuali correzioni da applicare per risolvere o migliora- re questa situazione. Bisogna riconsiderare i 3 elementi che caratterizzano la malattia: il bambino, la malattia e la sua severità, la terapia. Innanzitutto deve essere considerata la possibilità che la nostra diagnosi di asma non sia corretta e che la persistenza della sintomatologia e la sua gravità possano essere correlate ad altre forme morbose (Tabella 1). E’ necessario in questo caso rivalutare la storia clinica, l’esame obiettivo, ed approfondire le indagini diagnostiche per escludere la coesistenza di patologie che possono essere responsabili della maggiore gravità e di un imperfetto controllo clinico dell’asma in particolare il reflusso gastroesofageo e la rinosinusite (13, 14). Al di là della possibilità che la diagnosi non sia corretta o che un evento patologico sia responsabile di un asma intrattabile, devono essere prese in considerazione altre eventuali cause. In particolare che la gravità della malattia possa essere sovrastimata (in particolare dai genitori) o sottostimata (in particolare dal paziente). Sia nel primo caso che nel secondo è utile rivalutare la storia clinica, la funzionalità respiratoria (volume residuo, resistenze polmonari), la qualità della vita, i risvegli notturni, la capacità da parte del bambino di compiere una attività fisica, seppure non particolarmente intensa. Un ulteriore fattore da considerare nell’asma difficile è la possibilità che il bambino non segua correttamente la prescrizione terapeutica o non utilizzi in modo corretto i farmaci (16, 17). La maggior parte dei pazienti in età adulta, meno frequentemente in età pediatrica, tende ad adoperare con maggiore frequenza i beta2-agonisti e meno i corticosteroidi, per la paura degli effetti collaterali. Frequentemente la terapia per via inalatoria, nel bambino, viene Tabella 1. Diagnosi alternative nell’asma difficile. Fibrosi cistica Discinesia ciliare primitiva Anomalie polmonari congenite Tracheobroncomalacia Anelli vascolari Bronchiectasie Inalazione di corpo estraneo Cardiopatie congenite Disfunzione delle corde vocali Reflusso gastroesofageo Sindrome di Churg-Strauss 1 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) praticata in modo errato e spesso il MDI viene prescritto senza un distanziatore o con spiegazioni insufficienti sulle modalità di utilizzo. Senza dubbi la scelta del distanziatore e le corrette informazioni sulle modalità di uso assai spesso sono più importanti della scelta della dose di farmaco da impiegare. L’attivazione di programmi educazionali rivolti al bambino asmatico ed alla sua famiglia possono contribuire ad aumentare l’aderenza alla terapia e a migliorare il controllo della malattia (18). A tale riguardo, nel caso di asma allergico non ben controllato è indispensabile rivalutare il pattern di sensibilizzazione e se tutti i consigli ambientali vengano correttamente seguiti, al fine di escludere l’esposizione ad una eccessiva carica allergenica (19). Infine in alcuni casi è possibile che l’asma difficile sia legata a un’insufficiente risposta alla terapia steroidea. In questo caso è necessario valutare il quadro dell’infiammazione e le modificazioni presenti a livello della mucosa bronchiale. In recenti studi è stato osservato che la cellularità eosinofila prevale nell’asma, ma in alcuni casi l’infiammazione è caratterizzata da una abbondante infiltrazione di neutrofili (20-22). Questi risultati sottolineano che esistono differenti modelli di infiammazione e che essi dovrebbero essere curati con farmaci diversi: corticosteroidi quando prevale l’infiammazione eosinofila e antibiotici (macrolidi) o teofilline quando questa è costituita da neutrofili. Un altro fattore alla base di un’asma difficile è rappresentato dalla resistenza ai corticosteroidi (23, 24). Per differenziare questi casi è consigliabile utilizzare un trial di CS (prednisone/prednisolone) per os per 2 settimane o, se si sospetta una mancata aderenza alla terapia, la somministrazione per via intramuscolare di triamcinolone (25, 26). Nei casi di resistenza ai CS è inutile incrementare il dosaggio degli steroidi ed è consigliato utilizzare farmaci quali la ciclosporina (27). Alla luce di questi dati appare evidente che nei casi di asma difficile la strategia terapeutica debba essere finalizzata dalla identificazione del fenotipo responsabile (21). 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. The International Study of Asthma and Allergies in Childhood (ISAAC) Steering Committee. Worldwide variation in prevalence of symptoms of asthma, allergic rhinoconjunctivitis, and atopic eczema: ISAAC. Lancet 1998; 351:1225-1232. Busse WW, Lemanske RF Jr. Asthma. N Engl J Med 200; 344:350-362. Ward C, Pais M, Bish R, Reid D, Feltis B, Johns D, Walters EH. Airway inflammation, basement membrane thickening and bronchial hyperresponsiveness in asthma. Thorax 2002; 57:309-316. The ENFUMOSA cross-sectional European multicentre study of the clinical phenotype of chronic severe asthma. European Network for Understanding Mechanisms of Severe Asthma. Eur Respir J 2003; 22:470–477. Turktas H, Oguzulgen K, Kokturk N, Memis L, Erbas D. 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Il riconoscimento, la stabilizzazione e la cura di un adolescente in condizioni critiche rappresentano forse l’aspetto più difficile della pediatria e richiedono conoscenze di anatomia, fisiologia e psicologia peculiari, accanto ad una grande abilita nelle manovre da attuare in situazioni di emergenza. La terapia è descritta secondo le Linee Guida della Società Italiana di Pediatria 2008. Parole chiave: adolescente, asma acuto, terapia asma acuto. Acute asthma in adolescence presenting to an emergency department Summary In this work we intended to give an accurate description of acute asthma in adolescence presenting to an Emergency Department. The acknowledgement, stabilization and the therapy of an adolescent with acute asthma represent perhaps the most difficult aspect of the pediatrics and require knowledges of anatomy, physiology and psychology peculiar and also a great skill in the manoeuvre to realize in emergency situations. The therapy is described according to Italian Society of Pediatrics 2008 Guidelines. Key words: adolescence, acute asthma, terapy of acute asthma. Introduzione Negli ultimi decenni la prevalenza dell’asma nel mondo è aumentata sia tra i bambini che tra gli adolescenti; parallelamente a ciò, dai primi anni ‘80 sono andate anche aumentando le segnalazioni di ricoveri come pure di decessi causati da essa (1-2). Al contrario, la mortalità è riportata in calo a partire dagli anni ’90: il che ragionevolmente consegue al miglioramento complessivo delle cure dedicate alla malattia (3). Le riacutizzazioni asmatiche, frequenti in età adolescenziale, conseguono per lo più all’esposizione a fattori scatenanti, ma molto spesso riflettono un fallimento del programma di trattamento a lungo termine della malattia, a cui possono contribuire sia la scarsa adesione alle linee guida da parte del curante che la scarsa compliance da parte del paziente e della sua famiglia. L’attacco acuto d’asma si può presentare con modalità diverse, sia per gravità che per sede ove si verifica; durante l’adolescenza, si evidenzia una minore frequenza e quantità di accessi ma un aumento della gravità delle manifestazioni cliniche con maggior rischio di evoluzione in situazioni di emergenza respiratoria: in tali casi il ruolo dell’ospedale diventa cruciale in quanto l’importante impegno respiratorio e l’ipossia richiedono una terapia più aggressiva in termini di frequenza, dosaggi e tipi di farmaci somministrati nonché un monitoraggio continuo dei parametri vitali e della ossigenazione. Il riconoscimento, la stabilizzazione e la cura di un adolescente con asma acuto rappresentano forse l’aspetto più difficile della pediatria e richiedono conoscenze di anatomia, fisiologia e psicologia peculiari dell’età adolescenziali, accanto ad una grande abilità nelle manovre da attuare in situazioni di emergenza (4). 3 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Adottare in un Pronto Soccorso strategie corrette di comportamento è, pertanto, fondamentale per cercare di ridurre i ricoveri e la potenziale mortalità. Una rapida ed attenta valutazione atta a stabilire la gravità dell’episodio rappresenta un momento prioritario e indispensabile per instaurare un piano razionale di interventi. A questo scopo risultano utili alcuni elementi anamnestici e clinici (19). È da tener presente che da soli i sintomi clinici si correlano poco con la gravità dell’ostruzione, pertanto è necessario integrarli con valutazioni oggettive: la Saturazione di O2 (SaO2) (%) in aria (5-6), il Picco di Flusso Espiratorio (PEF) o il Volume Espiratorio Forzato in 1 secondo (FEV1) (7) e nei casi gravi la Pressione parziale di CO2 (PaCO2) (8). mente rispondenti alle terapie iniziali, anche se mancano evidenze forti che dimostrino la superiorità di tali modalità di somministrazione rispetto a quella inalatoria tradizionale (9,10). Anche l’ipratropio bromuro nebulizzato trova particolare indicazione nel trattamento in Pronto Soccorso, l’uso sempre in associazione al salbutamolo, e anche in dosi ripetute, nei soli pazienti con asma grave, in quanto migliora in essi la funzionalità respiratoria e riduce la necessità di ricovero (11). Altri farmaci più recentemente studiati per il trattamento delle riacutizzazioni in urgenza sono il magnesio solfato e l’heliox: per entrambi mancano però ancora evidenze consistenti che ne giustifichino l’uso routinario, sebbene limitate osservazioni suggeriscano che tali farmaci possono essere efficaci in sottogruppi di pazienti scarsamente rispondenti alle terapie convenzionali e a rischio di imminente insufficienza respiratoria (12-13). La teofillina, per molti anni farmaco di prima scelta nel trattamento delle riacutizzazioni asmatiche, ha ormai perso il suo ruolo in Pronto Soccorso; La somministrazione di teofillina può essere contemplata in aggiunta al trattamento abituale nei pazienti con imminente insufficienza respiratoria e in quelli che in passato abbiano mostrato una soddisfacente risposta al farmaco. L’adrenalina non offre vantaggi rispetto ai beta-2 agonisti nel trattamento dell’asma acuto e comporta un rischio di eventi avversi maggiore particolarmente nei pazienti ipossiemici. Un suo possibile utilizzo è indicato laddove non siano disponibili beta-2 agonisti per via inalatoria o endovenosa . Indicazioni per il ricovero Esistono molte controversie sulla capacità di riuscire a predire l’evoluzione di un episodio asmatico sulla base di criteri predefiniti. Pertanto, fino a quando non sarà sviluppato un efficace metodo predittivo, la decisione di ricoverare un paziente dovrebbe essere presa sulla base di una valutazione complessiva di parametri anamnestici, clinici e funzionali e di una continua osservazione del paziente. Le indicazioni assolute per il ricovero sono: Insufficienza respiratoria. Gravità dei parametri clinici (dispnea importante, wheezing inespiratorio, uso della muscolatura accessoria, cianosi, torace silente, stato mentale alterato), in particolare dopo il trattamento broncodilatatore. SaO2 <92%, in particolare dopo trattamento broncodilatatore. PEF <60% (valori riferiti a quelli teorici o, se conosciuto, al valore personale migliore), in particolare dopo broncodilatatore. Presenza di complicanze (es. pneumotorace, pneumomediastino, atelectasie, polmonite). Criteri più rigidi devono essere invece adottati per pazienti osservati nel pomeriggio o di notte, con precedenti episodi asmatici gravi, con “asma instabile”, con ridotta percezione dei sintomi, con scarso sostegno familiare o con difficoltà a raggiungere l’ospedale in caso di ulteriore aggravamento (17, 18). Linee Guida SIP (14) Attacco lieve Salbutamolo: inalazione, spray predosato (con distanziatore) 2-4 (200-400 mcg) spruzzi, fino a 10 spruzzi nelle forme più gravi, o nebulizzazione (0.15 mg/Kg/dose, 1 goccia = 0.25 mg), ripetibile se necessario ogni 20 min. fino ad un massimo di 3 dosi a) Risposta soddisfacente (risposta stabile per 60 min. dopo l’ultima somministrazione, distress respiratorio lieve, SaO2 >95%, PEF o FEV1 >80%): Non necessario il ricovero, il paziente può continuare la somministrazione di salbutamolo ogni 4-6 ore e poi con frequenza progressivamente minore per circa 7 giorni. Per i pazienti già in trattamento con steroidi inalatori, continuare ad utilizzarli alle loro dosi abituali. b) Risposta insoddisfacente e/o ricaduta entro la prima ora: continuare la somministrazione di Salbutamolo e aggiungere uno steroide per os.: Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Betametasone 0.1-0.2 mg/Kg/die (max 4 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Deflazacort 1-2 mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni b1) se miglioramento, continuare con Salbutamolo come Trattamento Cardini della terapia della riacutizzazione asmatica sono gli steroidi e il salbutamolo nebulizzato in dosi ravvicinate, con la concomitante somministrazione di ossigeno. Nel paziente grave, il salbutamolo può essere somministrato mediante nebulizzazione continua; la somministrazione endovenosa, sotto stretto monitoraggio, può essere presa in considerazione nei pazienti scarsa- 4 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gestione dell’adolescente con asma acuto in P.S. Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) sopra e steroidi per os per altri 3-5 giorni. b2) se non migliora, trattare come episodio moderato. b2) in caso di ulteriore mancata risposta, iniziare un trattamento più aggressivo: • Aminofillina: Bolo endovena 6-7 mg/Kg in 50 cc di S.F. in 20-30 min. (2.5 mg/Kg se paziente in terapia teofillinica); mantenimento: 1mg/Kg/h(<12 aa) e 0.5mg/Kg/h(>12 aa) • Salbutamolo: endovena 10 mcg/Kg (dose bolo) in 10 min., seguita da infusione continua di 0.2 mcg/Kg/min. In caso di mancata risposta, aumentare la dose di 0.1 mcg/Kg ogni 15 min. fino a un massimo di 2 mcg/Kg/min. • Eventuale ricovero in Unità di Terapia Intensiva Attacco moderato Salbutamolo: inalazione, spray predosato (con distanziatore) 2-4 (200-400 mcg) spruzzi, fino a 10 spruzzi nelle forme più gravi, o nebulizzazione (0.15 mg/Kg/dose1, goccia = 0.25 mg),), ripetibile se necessario ogni 20 min. fino ad un massimo di 3 dosi, in associazione con Ipratropium bromuro spray predosato (con distanziatore), 4-8 spruzzi (80160 mcg) o nebulizzazione, 125-250 mcg (<4 aa) e 250-500 mcg (>4 aa) Steroide: per os, Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Betametasone 0.1-0.2 mg/Kg/die (max 4 mg/dose) in 1-2 somministrazioni o Deflazacort 1-2 mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni a) Risposta soddisfacente: Ridurre progressivamente la frequenza di somministrazione di Salbutamolo ed Ipratropium, eventualmente continuare solo Salbutamolo e steroidi per os b) Risposta insoddisfacente: Ricovero. Ripetere 3 dosi di Salbutamolo in un’ora in associazione con Ipratropium bromuro Continuare CSO Somministrare O2 b1) se miglioramento, ridurre progressivamente il trattamento in base alla risposta clinica b2) se non migliora trattare come un attacco grave Raccomandazioni per la dimissione L’attacco acuto di asma dovrebbe essere considerato un fallimento della terapia preventiva e deve essere l’occasione per aiutare i bambini e le loro famiglie ad evitare ulteriori episodi. Non esiste un criterio unico per la dimissione, essa deve essere decisa sulla base di una valutazione complessiva dei parametri clinici e funzionali del bambino (15, 16). Conclusioni Alla luce di quanto esposto le caratteristiche peculiari dell’adolescente in generale e dell’urgenza-emergenza impongono che i Pronto Soccorso dell’adulto e pediatrici non solo, riservino spazi adeguati per la patologia critica dell’adolescente garantendo così una sufficiente condizione di rispetto e privacy, ma sarà anche necessario che il pediatra riceva una adeguata formazione rivolta alla gestione delle emergenze respiratorie che rappresentano una delle situazioni critiche più frequenti durante l’adolescenza. Attacco grave Salbutamolo: inalazione, spray (con distanziatore) 2-4 (200400 mcg) spruzzi fino a 10 spruzzi, o nebulizzazione (0.15 mg/Kg/dose), ogni 20 min. x 3 dosi, in associazione con Ipratropium bromuro spray (con distanziatore), 4-8 spruzzi (80-160 mcg), o nebulizzazione, 125-250 mcg (<4 aa) e 250500 mcg (>4 aa) Steroide: per os, Prednisone 1-2 mg/Kg/die (max 40 mg/dose) in 1-2 somministrazioni, o Betametasone 0.1-0.2 mg/Kg/die (max 4 mg/dose) in 1-2 somministrazioni, o Deflazacort 1-2 mg/Kg/die, in 1-2 somministrazioni; parenterale, Metilprednisolone 1-2 mg/Kg/6-8 h (max 40 mg/dose) o Idrocortisone 5-10 mg/Kg/6-8 h O2 Ricovero a) Risposta soddisfacente: Ridurre progressivamente la frequenza di somministrazione di Salbutamolo e Ipratropium (inizialmente ogni ora per tre dosi). Continuare steroidi e O2, se SaO2 <95%, b) Risposta insoddisfacente: Ripetere le inalazione ogni 20 min. x 3 dosi. Continuare steroidi e O2 b1) se miglioramento, ridurre progressivamente il trattamento in base alla risposta clinica Bibliografia 5 1. Streetman DD, Bhatt-Mehta V, Johnson CE. “Management of Acute, Severe Asthma in Children”. The Annals of Pharmacotherapy 2002; 36:1249-1260. 2. Rachelefsky G. Treating exacerbations of asthma in children: the role of systemic corticosteroids. Pediatrics 2003; 112 (2):382397. 3. Sly RM. Decreases in asthma mortality in the United States. Ann Allergy Asthma Immunol 2000; 85:121-127. 4. S. Zampogna ,P. Di Pietro, D. Pirlo , G. Raiola. L’Insufficienza respiratoria acuta. Minerva Pediatrica 2003; 55:17-19. 5. Geelhoed GC, Landau LI, Le Souëf PN.Evaluation of SaO2 as a predictor of outcome in 280 children presenting with acute asthma. Ann Emerg Med. 1994; 23:1236-124. 6. Boychuk RB, Yamamoto LG, DeMesa CJ, Kiyabu KM. Correlation of initial emergency department pulse oximetry values in asthma Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 14. Linee Guida SIP:Coordinatore Luciana Indinnimeo. Estensori: Barbato A. Cutrera R., De Benedictis F.M., Di Pietro P., Duse M., Gianiorio P., Indinnimeo L., Indirli G., La Grutta S., La Rosa M., Miceli Sopo S., Miglioranzi P., Miraglia del Giudice M., Monaco F., Radzik D., Renna S., Zampogna S. severity classes (steps) with the risk of hospitalization. Am J Emerg Med. 2006; 24:48-52. 7. Schuh S, Johnson D, Stephens D, Callahan S, Canny G. Hospitalization patterns in severe acute asthma in children. Pediatr Pulmonol. 1997; 23:184-192. 8. Kerem E, Canny G, Tibshirani R, et al. Clinical physiologic correlations in acute asthma of childhood. Pediatrics 1991;87:481-486. 9. Rodrigo GJ, Rodrigo C. “Continuous vs Intermittent B-Agonists in the Treatment of Acute Adult Asthma. A Systematic Review with Meta-analysis”. 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Corrispondenza: Dott.ssa Stefania Zampogna U.O. di Pediatria AO “ Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro e-mail: [email protected] 6 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Gestione dell’adolescente con asma cronico Elisa Anastasio Cattedra di Pediatria, Università “Magna Græcia”, Catanzaro L’asma è una malattia cronica che interessa il 5% degli adulti e il 10% dei bambini, con una prevalenza del 10,3% tra gli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 14 anni (1-2). Se mal curata, può diventare talmente invalidante da alterare la qualità di vita del paziente e limitarlo nelle attività. Il raggiungimento di una qualità di vita ottimale, pur convivendo con una malattia cronica, è certamente un buon motivo per impegnarsi in un programma educativo e formativo rivolto al “controllo” della malattia e personalizzato in base alle esigenze del singolo paziente (3, 4). Nel passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale in primo piano troviamo senza dubbio le problematiche educative e di aderenza alla terapia. È indispensabile infatti, con il paziente adolescente, instaurare un dialogo aperto alla conoscenza e ottenere una partecipazione assoluta al progetto educativo, evitando di sottostimare le reali dimensioni del problema senza tuttavia arrivare ad una dipendenza ansiosa dalla malattia stessa. L’adolescente infatti spesso non osserva le prescrizioni terapeutiche né le norme necessarie ad evitare i fattori scatenanti le crisi, probabilmente per vergogna nei confronti dei compagni di gruppo o per la difficoltà ad accettare la propria malattia. A quest’età possono infatti insorgere maggiori resistenze nei confronti di tutto ciò che può essere interpretato come una forma di controllo non gradito sulla vita del ragazzo affetto da asma cronico in quanto i pazienti adolescenti si dimostrano meno aderenti al regime terapeutico rispetto ai bambini più piccoli, solitamente gestiti dai genitori caregivers. Ciò si traduce in un incremento, proprio in età adolescenziale, degli eventi asmatici fatali, anche a causa dell’inizio, a quest’età, di abitudini scorrette, quali il fumo di sigaretta (5-10). Nell’ambito delle Linee Guida G.I.N.A. (1) un’ampia parte è dedicata all’aspetto educazionale del paziente asmatico. Presso la nostra Unità Operativa è attivo un programma di self-management, il cui scopo è quello di coinvolgere non solo i bambini asmatici ed i loro familiari, ma anche gli insegnanti e gli allenatori sportivi, importanti sia per il tempo trascorso col paziente, sia per il loro ruolo formativo. Il progetto educativo prevede un processo continuo, che, iniziato al momento della diagnosi, è portato avanti nel corso dei successivi incontri ad 1-3-6 mesi, durante i quali vengono valutati il controllo dei sintomi, la compliance alla terapia, l’adeguamento nella scelta dei farmaci e la correttezza dei bisogni educativi, come codificato dalle Linee Guida G.I.N.A. L’efficacia di tale programma formativo viene valutata attraverso un apposito questionario somministrato alle famiglie. Il questionario, costituito da otto items, ha lo scopo di effettuare una corretta valutazione dei bisogni educativi, consentendo in tal modo di attuare un programma educazionale efficace. Dalle risposte ottenute finora è emerso che l’asma viene percepita come una malattia respiratoria dal 28% dei pazienti (pz), come una sensazione di soffocamento dal 40% dei pz, come un’infiammazione delle vie aeree dall'11% dei pz, come un broncospasmo scatenato da reazioni di natura allergica dal 13% dei pz, come tosse secca dal 4% dei pz. Alla fine del percorso formativo la quasi totalità dei pz esaminati (93%) riconosce i sintomi dell’asma ed il 71% ne sa individuare i fattori scatenanti. L’80% sa gestire l’attacco acuto d’asma, il 55% usa i farmaci come prescritto, il 68% sa come prevenire l’attacco d’asma. Il 79% dei genitori è consapevole del ruolo fondamentale svolto da una corretta profilassi ambientale nella prevenzione della malattia asmatica e la esegue costantemente , il 78% riconosce i fattori scatenanti e cerca di prevenirli. Tuttavia solo il 58% sa cos’è il turbohaler e/o il diskhaler e/o l'aerochamber. I risultati finora emersi confermano l’importanza di un adeguato programma educativo nella gestione del bambino asmatico. La consapevolezza dei genitori e dei giovani pazienti nei riguardi della profilassi da attuare e dei farmaci da assumere, sia durante l’episodio acuto sia nella terapia di fondo, è risultata fondamentale nel determinare una migliore gestione della malattia. In definitiva è possibile affermare che un corretto programma educazionale ha consentito di ottenere un adeguato controllo dei sintomi, una riduzione dell’utilizzo dei farmaci e delle strutture sanitarie, una minore perdita delle giornate scolastiche, facilitando così la gestione della malattia da parte della famiglia e migliorando la qualità di vita e di relazione del paziente, specie in età adolescenziale. Bibliografia 1. 7 Global Strategy for Asthma Management and Prevention (revised 2006 ). Aviable at: www.ginasthma.com Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 2. ISAAC Steering Committee. Wordwide variations in the prevalence of symptoms of asthma, allergic rhinoconjunctivitis, andatopic eczema: ISAAC. Lancet. 1998; 351:1225-32. 3. Boulet L-P, Chapman KR, Green LW, Fitzgerald JM. Asthma education. Chest 1994; 106(suppl.):184-196. 4. Marchi A., Ricci A. Management of the asthmatic adolescent. Minerva Pediatrica 2002; 54(6):587-597. 5. De Benedictis FM, Ferrante AL. Asthma in adolescence: a problem. Monaldi Arch Chest Dis 1999; 54:5,381-383. 6. Rich M, Schneider L. Managing asthma with the adolescent. Curr Opin Pediatr 1996; 8:301-9. 7. Sawer Sm, Bowes G. Adolescence on the health agenda. Lancet 1999; 354 (Suppl. II):31-4. 8. Rosenthal SL, Biro FM. Communication with adolescents and their families. Adolesc Pediatr Gynecol 1991; 4:57-61. 9. Bruzzese JM et al. Asthma education: the adolescent experience. Patient Education and Counseling 2004; 55 (3):396-406. 10. Helvi A et Al. Compliance of adolescents with asthma. 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In genere fa seguito ad una infezione virale delle alte vie respiratorie i cui sintomi nasali, quale la rinorrea, persistono oltre il limite di 10 giorni. I germi in causa nelle forme acute e subacute sono lo S. Pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis. La diagnosi di rinosinusite acuta batterica va posta in base a soli criteri anamnestici e clinici (persistenza della rinorrea purulenta o scolo nasale posteriore superiore a 10 giorni, specie se accompagnata da altri sintomi). La terapia antibiotica nelle forme lievi è raccomandata allo scopo di ottenere una più rapida risoluzione dei sintomi, mentre è tassativa nelle forme gravi per evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze. Le tecniche di imaging (TC e RM) non sono necessarie per confermare la diagnosi di rinosinusite acuta batterica non complicata, riservandole solo a quei casi in cui la diagnosi è dubbia o è presente una complicazione o non vi è risposta ad appropriata terapia antibiotica. Tra gli antibiotici, l’amoxicillina o l’associazione amoxicillina–acido clavulanico e le cefalosporine di 2° o 3° generazione, sono da preferire tenendo conto dell’eziologia della rinosinusite acuta e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi farmaci. La terapia topica nasale ha lo scopo di ridurre l’edema del complesso osteomeatale e favorire il drenaggio delle secrezioni delle cavità nasali e i corticosteroidi topici rappresentano un valido aiuto in tal senso. La terapia chirurgica è indicata nelle forme di rinosinusite acuta complicata. Si definisce rinosinusite l’infiammazione di uno o più seni paranasali, la cui causa più comune è un a infezione. Si classifica sulla base della durata dei sintomi in acuta, subacuta, cronica e ricorrente. L’incidenza di questa patologia varia tra lo 0,5% e il 10% secondo vari autori. In genere fa seguito ad una infezione virale delle alte vie respiratorie i cui sintomi nasali, quale la rinorrea, persistono oltre il limite di 10 giorni. I germi in causa nelle forme acute e subacute sono lo S. Pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis. La diagnosi di rinosinusite acuta batterica va posta in base a soli criteri anamnestici e clinici (persistenza della rinorrea purulenta o scolo nasale posteriore superiore a 10 giorni, specie se accompagnata da altri sintomi). La terapia antibiotica nelle forme lievi è raccomandata allo scopo di ottenere una più rapida risoluzione dei sintomi, mentre è tassativa nelle forme gravi per evitare la possibile insorgenza di gravi complicanze. Le tecniche di imaging (TC e RM) non sono necessarie per confermare la diagnosi di rinosinusite acuta batterica non complicata, riservandole solo a quei casi in cui la diagnosi è dubbia o è presente una complicazione o non vi è risposta ad appropriata terapia antibiotica. Tra gli antibiotici, l’amoxicillina o l’associazione amoxicillina–acido clavulanico e le cefalosporine di 2° o 3° generazione, sono da preferire tenendo conto dell’eziologia della rinosinusite acuta e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi farmaci. La terapia topica nasale ha lo scopo di ridurre l’edema del complesso osteomeatale e favorire il drenaggio delle secrezioni delle cavità nasali e i corticosteroidi topici rappresentano un valido aiuto in tal senso. La terapia chirurgica è indicata nelle forme di rinosinusite acuta complicata. Parole chiave: rinosinusite, fisiopatologia, diagnosi, terapia, adolescenza. 9 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Manca titolo in inglese Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx Summary Acute bacterial rhinosinusitis is generally due to the propagation of a nasal inflammation and may involve one or more paranasal sinuses. Depending on how long the disturbances lasts, it is classified as acute, sub-acute, acute recurrent and chronic. The incidence of this pathology lies in a range of between 0,5% and 10% depending on which author is reporting. Usually secondary to a viral infection (Rhinovirus, parainfluenzal virus 1,2,3, syncytial respiratory virus, adenovirus, enterovirus) it complicates follwing bacterial attack (S. pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis, anaerobic Streptococchi and Bacteroides). All the experts recommend basing a diagnosis of acute bacterial rhinosinusitis on clinical criteria in children who present with persistent or severe upper respiratory symptoms( persistence of purulent nasal or post-nasal draining lasting at least 10 days, especially if accompanied by symptoms and signs and at which point antibiotic treatment has to be recommended. Appropriate antibacterial therapy should be recommended if the draining has been present for less time, but is concomitantly associated with significant fever localized signs of sinus inflammation. Imaging studies are not necessary to confirm the diagnosis of clinical rhinusinusitis for the purposes of treatment, but should be reserved for cases in which the diagnosis is in doubt or a complication is suspected , and for patients with recurrent or chronic rhinosinusitis. Under these circumstances, a CT scan is the preferred evaluation. Systemic acute rhinosinusitis therapy consists mostly of antibiotic treatment. Amoxcillin is the drug of choise for treatment of acute rhinosinusitis, with second and third-generation cephalosporins. Other important therapeutic aids are those aimed at facilitating the reduction of the mucous oedema of the osteo-meatal complexes and drainage of secretions from the paranasal cavities and use of nasal washing with physiological solution. Topical corticosteroids represent a usefull class of drugs for the management of rhinosinusitis. Surgical therapy is used on acutely complicated forms. Key words: rhinosinusitis, phisiopatology, diagnosis, therapy, adolescence . luogo, una corretta diagnosi di rinosinusite richiede la concordanza tra i segni clinici e i dati strumentali, ed infine, altro aspetto che deve essere preso sempre in attenta considerazione è che i seni paranasali non sono tutti presenti alla nascita, poiché, per ciascuno di essi, la pneumatizzazione avviene con modalità e tempi differenti (Figura 1) . E’ pertanto evidente che il sospetto di una patologia flogistica rino-sinusale dovrà essere sempre correlata al dato cronologico della comparsa di tali strutture anatomiche (Figura 2). La rinosinusite è solitamente dovuta ad un’infezione virale nasale, generalmente causata da rhinovirus, virus parainfluenzale, virus respiratorio sinciziale, adenovirus ed enterovirus, a cui se non trattata, può sovrapporsi un’infezione batterica. In caso di infezione batterica, i microrganismi più frequentemente coinvolti sono: S. pneumoniae (30-40%), H. influenzae (20-30%), M. catarrhalis (20-30%), nella rinosinusite acuta; mentre prevalgono i germi anaerobi nella rinosinusite cronica (in particolare Streptococchi anaerobi e Bacteroides), il cui sviluppo è favorito dalle condizioni di anaerobiosi e dalle alterazioni del pH del muco, tipiche delle Figura 1. Cronologia della pneumatizzazione dei seni paranasali nei primi anni di vita. Si definisce rinosinusite acuta un’infezione di uno o più seni paranasali che può essere di origine virale o batterica e si preferisce utilizzare questo termine invece che quello di sinusite, vista la continuità anatomica tra cavità nasali e paranasali considerandole come una unica unità funzionale rinosinusale. L’incidenza di tale patologia si aggira attorno ad un range compreso tra lo 0.5% e il 10% a seconda degli Autori. Queste notevoli differenze di dati sono legate a molteplici fattori, in primo luogo occorre tener presente le frequenti infezioni delle alte vie respiratorie di natura virale, nelle quali, non di rado, coesistono e si confondono i processi rinosinusitici. In secondo 10 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 1. Agenti eziologici della rinosinusite. Sinusite acuta Streptococcus pneumoniae Haemophilus influenzae Moraxella catarrhalis Batteri aerobi Staphilococco aureus Enterobacteriacee Pseudomonas aureginosa Sinusite cronica Batteri anaerobi Batteri fusiformi Propionibacterium acnes Peptostreptococcus Prevotella Figura 2. Interessamento flogistico nasosinusale a seconda dell’età. cavità chiuse (Tabella 1). Requisito fondamentale per una integrità funzionale dei seni paranasali è che vi sia un continuo scambio aereo con le cavità nasali ed una normale clearance mucociliare, in grado di veicolare le secrezioni endosinusali verso l’esterno. Nell’insorgenza delle rinosinusiti acute si riconoscono tre diversi aspetti patogenetici: 1. ostruzione degli osti di comunicazione (di natura meccanica o più spesso dovuta a cause flogistiche o di altra natura) che causa edema della mucosa, in particolare a livello del meato medio, dove è situato l’ostio di comunicazione dei principali seni (Figura 3); 2. difetti del trasporto muco-ciliare (secondari a cause congenite come la S. delle ciglie immobili e fibrosi cistica) ma spesso indotti dalle infezioni batterico-virali che danneggiano l’epitelio pseudostratificato ciliato di rivestimento dei seni causando un insufficiente trasporto mucociliare (TMC) ed il conseguente accumulo di secrezione mucosa. Tutto ciò favorisce l’impianto e la moltiplicazione di una flora batterica piogena e l’intervento delle cellule delle flogosi (Figure 4-5-6); 3. alterazioni qualitative e quantitative del muco (dovute alla ipersecrezione delle ghiandole mucose e al rallentamento o blocco del trasporto muco-ciliare, responsabile del cambiamento 3 4 Figura 3. Fisiopatologia delle riniti. 5 Figura 4. Eziopatogenesi della formazione dell’essudato catarrale. Figura 5. Cause di sovrainfezione batterica. Figura 6. Citologia nasale. Il rinocitogramma è caratterizzato da numerosi neutrofili e batteri. 11 6 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) dei caratteri fisico-chimici dell’essudato rappresentati da un aumento della viscosità e da un aumento del pH che a loro volta accentuano l’ostruzione degli osti e i difetti del TMC). Questi tre eventi patogenetici si integrano in un circolo vizioso che progressivamente favorisce il processo sinusitico (Figura 7 a / b). La rinosinusite si classifica sulla base della durata dei sintomi in: rinosinusite acuta, caratterizzata da sintomi persistenti per più di 10 giorni, ma meno di 30; rinosinusite subacuta batterica, caratterizzata da sintomi persistenti per più di 30 giorni ma meno di 90; rinosinusite cronica, caratterizzata da sintomi persistenti per più di 90 giorni; rinosinusite acuta ricorrente, definita da almeno tre episodi in sei mesi o almeno quattro episodi all’anno di rinosinusite acuta, separati l’uno dall’altra da periodi di almeno 10 giorni, nei quali il paziente è totalmente asintomatico. Il quadro clinico è eterogeneo e varia nell’espressività a seconda dell’età del soggetto, della durata dei sintomi stessi e soprattutto della gravità. Sulla base della gravità la forma acuta si distingue in lieve e grave (Tabella 2). In età adolescenziale spesso compare oltre ai sintomi nasali anche la cefalea, espressione dello sviluppo nella diploe cranica dei seni frontali e sfenoidali che insieme alle connessioni vascolari esistenti tra le ossa craniche e le meningi, rendono le complicanze delle rinosinusiti frontali o sfenoidali isolate, più gravi delle altre rinosinusiti per la possibile diffusione dei batteri dai seni interessati alle strutture intracraniche. Quindi i sintomi clinici della rinosinusite sono età dipendente. I sintomi più frequentemente presenti sono riportati nella Tabella 3. La rinosinusite acuta può spesso andare incontro a complicanze, che derivano dalla diretta estensione del processo infettivo alle zone vicine, in particolare all’orbita e alle strutture endocraniche per continuità o attraverso i vasi sanguigni (Tabella 4). Le complicanze che interessano l’orbita sono quelle di maggiore frequenza perché costituiscono il 90% del totale. In generale, il 3% dei casi di rinosinusite può complicarsi con la comparsa di cellulite orbitaria. Figura 7a. Ciclo sinusale normale. Figura 7b. Ciclo sinusale patologico. Tabella 2. Sintomi di esordio della rinosinusite. Forma lieve Rinorrea mucosa o purulenta Tosse diurna Febbre assente o febbricola Alitosi Edema orbitario (eccezionale) Forma grave Febbre elevata (≥ 39°) Compromissione dello stato generale Rinorrea purulenta Tosse diurna e notturna Edema orbitario Cefalea Alitosi Inquadramento diagnostico La diagnosi di rinosinusite acuta va posta in base a soli criteri anamnestici e clinici in soggetti che accusano sintomi di infezione acuta delle vie aeree superiori, con caratteristiche di elevata gra- 12 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) In pratica la diagnosi di rinosinusite acuta batterica può essere posta se: un’infezione della via aerea superiori non tende a risolversi nè a migliorare nell’arco di 10 giorni e tutti o parte dei sintomi presenti all’esordio (rinorrea, tosse prevalentemente notturna, febbricola) persistono oltre questo intervallo temporale; un’infezione delle vie aeree superiori decorre fin dall’inizio con un quadro di notevole gravità (febbre elevata, compromissione dello stato generale, rinorrea purulenta, cefalea, dolori al viso) che permane invariato per almeno 3 o 4 giorni o tende ad evolvere negativamente per la comparsa di complicanze oculari o endocraniche; un’infezione delle vie aeree superiori si risolve completamente nel giro di 3 o 4 giorni, ma prima della scadenza del 10° giorno si ripresenta con tutti i suoi sintomi (febbre, rinorrea, tosse). L’esame obiettivo, tranne nei casi gravi, specie se complicati da alterazioni oculari o endocraniche, non contribuisce in modo sostanziale alla diagnosi perché i riscontri clinici in corso di rinosinusite acuta batterica sono spesso sovrapponibili a quelli di una comune infezione delle vie aeree superiori. In entrambi i casi la semplice rinoscopia anteriore, che permette la visualizzazione della porzione anteriore delle fosse nasali, solo in alcuni casi consente di osservare il turbinato medio ed il meato medio, rivelando una mucosa eritematosa ricoperta di essudato mucoso o mucopurulento con edema. Tutto ciò resta insufficiente, in quanto non permette di visualizzare le regioni anatomiche di maggiore rilievo quali: i complessi osteomeatali, la regione etmoidale, la fessura olfattoria, il rinofaringe. La rinoscopia posteriore, invece, consente di visualizzare il rinofaringe, ma, richiedendo un’attiva partecipazione del paziente, la sua esecuzione in età pediatrica risulta spesso difficile. L’uso di una qualsiasi tecnica diagnostica per immagini non è necessaria per la conferma di diagnosi clinica di rinosinusite acuta batterica, ma dovrebbe essere riservata ai soli casi nei quali la diagnosi è in dubbio o complicata in pediatria. Sebbene non sia possibile una visione diretta dei seni, l’esame nasale con l’endoscopio è il mezzo migliore per ottenere informazioni cliniche significative riguardo ai seni. L’endoscopia nasale, sia con ottiche rigide che flessibili a seconda delle età e della collaborazione del paziente, permette di obiettare la presenza o meno di secrezioni mucopurulente provenienti dagli osti sinusali (Figura 8); tale reperto rappresenta un segno patognomonico di rinosinusite acuta. La radiografia dei seni paranasali, un tempo largamente utilizzata, non consente di evidenziare i punti chiave della diagnostica per immagine e cioè il complesso osteo-meatale (COM) ed il recesso sfeno-etmoidale (RSE) e visualizza in modo inadeguato l’etmoide e lo sfenoide. Si tratta quindi di una tecnica diagnostica superata da tecniche più affidabili e precise, quali la tomografia computerizzata (TC) del massiccio facciale, la risonanza magnetica (RM) del massiccio facciale. La TC attualmente è il gold standard per la diagnosi di rinosinusi- Tabella 3. Quando sospettare una rinosinusite. Rinorrea muco purulenta che persiste oltre i 10 gg. Tosse (diurna e notturna) Scolo retrofaringeo muco purulento Febbre (non elevata) Cefalea e dolore al volto Edema peri-orbitale Alitosi Tabella 4. Complicanze della rinosinusite. Interessamento dell’orbita Edema orbitario Cellulite pre-settale Cellulite post-settale Ascesso sottoperiostale Ascesso orbitario Trombosi del seno cavernoso Interessamento intracranico Empiema epi-durale Empieva sub-durale Meningite Encefalite Ascesso cerebrale Infarto cerebrale Interessamento sottogaleale Osteomielite vità o di significativa persistenza, o che si ripresentino entro breve tempo dopo un’apparente risoluzione. Nella maggior parte dei casi, un’infezione virale delle vie aeree superiori tende a risolversi spontaneamente nel giro di 5 o 7 giorni o che comunque presenta un significativo miglioramento entro 10 giorni dall’inizio. Inoltre, un’infezione virale della via aerea superiore non si manifesta mai con un quadro di notevole gravità. Figura 8. Endoscopia nasale. 13 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Figura 9a. Cellulire presettale: aspetto alla Tomografia assiale computerizzata (TC). Si noti l’ispessimento dei tessuti molli (*) senza estensione post settale ne formazione di ascesso. Figura 9b. Ascesso sottoperiostale post settale. L’asterisco indica la raccolta liquida laterale alla lamina papiracea (freccia corta) e mediale rispetto al muscolo retto mediale (freccia lunga). te ed ha i pregi nell’ottima risoluzione dei tessuti molli e delle strutture ossee. Si tratta di un’indagine molto sensibile e deve essere sempre utilizzata nel contesto dell’anamnesi e dell’esame clinico. La sua esecuzione è considerata appropriata nei casi di rinosinusite grave complicata ed in quelli che, con forme estremamente persistenti anche se lievi o con ampia recidività, non rispondono al trattamento medico (Figura 9 – a / b). Le immagini riguardanti la patologia infiammatoria naso-sinusale della RM non eguaglia quella della TC, anche se consente una più analitica definizione dei tessuti molli interessati dai processi infiammatori con partenza dai seni e, pertanto, il suo impiego è fondamentale in caso di complicanze orbitali e/o extra-orbitali intracraniche (Figura 10 – a / b). Per quanto riguarda le altre indagini diagnostiche: l’aspirazione del seno paranasale è considerata il gold standard per la diagnosi di rinosinusite batterica, ma è invasiva e dovrebbe essere eseguita solo in pazienti immunocompromessi, in cui può essere fondamentale mettere in evidenza l’a- gente eziologico o, comunque, in casi in cui la terapia non ha portato a risoluzione del quadro; la citologia nasale, che può essere utile nelle forme ricorrenti, seppur semplice da eseguire, ha attualmente scarso rilievo nella diagnostica rinosinusale acuta: l’ecografia dei seni paranasali si ritiene superata all’approccio della rinosinusite; la biopsia della mucosa paranasale si rende necessaria solo in casi i sinusite micotica in pazienti immunocompromessi, nei pazienti con dismotilità ciliare. Terapia Terapia sistemica Gli obiettivi principali nell’ambito terapeutico sono: le eradicazioni delle infezioni; Figura 10a. Ascesso cerebrale secondario a rinosinusite. L’asterisco indica l’ascesso, le frecce l’edema vasogenico. 10a Figura 10b. Empiema intracranico da rinosinusite sfenoidale. La RM rivela una completa opacizzazione del seno sfenoidale (*) e una discreta raccolta purulenta in fossa cranica media (freccia). 14 10b Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Le rinosinusiti acute in età adolescenziale: aspetti diagnostici e terapeutici Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 11a 11b Figura 11a. Schema di penetrazione dello spray predosato. Figura 11b. Immagine scintigrafica dello spray predosato. la riduzione della durata della malattia ; la prevenzione delle recidive. La scelta dell’antibiotico e il suo dosaggio devono tener conto dell’eziologia della rinosinusite batterica e delle resistenze dei patogeni in causa ai diversi farmaci. In Italia, lo S. pneumoniae è resistente alla penicillina e ai macrolidi con percentuali rispettivamente del 20% e 40% dei casi, l’H. influenzae è resistente alla amoxicillina fino al 30% mentre è quasi totale la resistenza della M. catarrhalis . È raccomandata la necessità di eseguire terapia per via endovenosa nelle forme gravi complicate con farmaci che coprano tutte le possibili resistenze. Nelle forme lievi di rinosinusite acuta, l’amoxicillina alla dose di 50mg/kg/die in tre dosi rappresenta il farmaco di prima scelta perché il rischio di un fallimento terapeutico con questo antibiotico è teoricamente molto basso. Si può, inoltre, considerare che almeno il 15% delle forme S. pneumoniae, il 50% da H. influenzae e il 50-75% di quelle da M.catarrhalis possono guarire spontaneamente. Tenendo conto della prevalenza di ciascuno di questi batteri nella rinosinusite acuta batterica e delle rispettive percentuali di resistenza, si può calcolare che il rischio di fallimento della terapia con amoxicillina è non superiore al 10%, un valore accettabile. Nei soggetti che abbiano ricevuto terapia antibiotica nei precedenti 90 giorni, che frequentino la comunità infantile o che presentino patologia locale o generale atta a favorire infezioni da germi resistenti agli antibiotici, l’amoxacillina va sostituita con l’associazione amoxicillina-acido clavulanico (80-90 mg/kg/die in 3 dosi) o con acetossietilcefuroxima (30 mg/kg/die in 2 dosi) o con cefaclor (50 mg/kg/die in 2 dosi). La durata della terapia consigliata è di 10-14 giorni nella rinosinusite acuta lieve. La rinosinusite acuta grave complicata va trattata con antibiotici per via endovenosa e possono essere considerati di prima scelta i seguenti: il ceftriaxone (100 mg/kg/die in dose unica), cefotaxima (100 mg/kg/die in 3 dosi), amoxicillina - acido clavulanico (100 mg/kg/die in 3 dosi), ampicillina - sulbactam (100 mg/kg/die in 3 dosi). Le forme acute gravi senza apparente complicazione possono essere trattate con amoxicillina - acido clavulanico (80-90 mg/kg/die in 3 dosi). Il passaggio alla terapia endovenosa può essere previsto quando, dopo 24-48 ore, non vi sia un miglioramento. La durata ottimale delle forme gravi è di 14-21 giorni. La profilassi antibiotica non è raccomandata per la rinosinusite. Terapia topica nasale La terapia inalatoria rappresenta una valida tecnica terapeutica per la sicurezza, la facilità d’uso e la non invasività anche in età pediatrica. Il corretto approccio terapeutico alla rinosinusite, fondato, prima di tutto, nell’eliminare i microrganismi responsabili con antimicrobici sistemici, non può prescindere dal trattare l’edema mucosale del COM e del RSE, “centraline fisiopatologiche”, migliorandone ventilazione, drenaggio e clearance mucociliare. Tutti gli autori sono concordi nel trattare l’edema mucosale del COM e del RSE con corticosteroidi topici, associando, eventualmente, la detersione endonasale con soluzioni saline e/o farmacologiche, mediante doccia nasale micronizzata: il motivo risiede nel rimuovere meccanicamente, laddove presenti, le secrezioni muco-purulenti favorendo l’azione dei corticosteroidi. Risultati positivi in termine di miglioramento dei sintomi nasali, della tosse sono stati osservati con l’utilizzo di soluzioni saline ipertoniche in bambini di età compresa tra 3 e 16 anni con rinosinusite cronica. Nella terapia delle rinosinusiti, acute e croniche riacutizzate, il sistema spray nasale predosato-corticosteroide rappresenta la formulazione terapeutica più avanzata e contemporaneamente di più semplice impiego per ripristinare il drenaggio, la ventilazione e la normale clearance mucoliare del COM e del RSE., in grado di ottimizzare la compliance del paziente (Figura 11 a / b). Negli ultimi anni vi è stato interesse sulla possibilità di utilizzo di 15 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) antibiotici topici da somministare per via inalatoria nel trattamento della rinosinusite. Non vi sono dati pediatrici né studi randomizzati controllati su questo argomento, di conseguenza l’impiego di antibiotici per via inalatoria non risulta attualmente raccomandato nella terapia della rinosinusite. L’utilizzo di decongestionanti, espettoranti, mucolitici e vasocostrittori non è raccomandato nella terapia della rinosinusite acuta, ed in assenza di allergie dimostrate, non sono raccomandati pure gli antistaminici. Slavin RG, Spector SL, Bernstein IL; for Joint Task Force on Practice Parameters. The diagnosis and management of sinusitis: a practice parameter update. J Allergy Clin Immunol 2005; 116:S13-47, 3. Esposito S., Marseglia G., Novelli A., de Martino M., Di Maur G., Gabiano C., et al. La rinosinusite in età pediatrica. Consensus Conference- Firenze, 1 aprile 2006. Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP). Giorn It Infettivol Ped 2006; 8 (Suppl):3-29. 4. Medina J.,Hernandez H., Tom LW., Bilaniuk L., Development of the paranasal sinuses in children. Am J Rhinol 1997; 11:203-9. 5. Zeifer B. Pediatric sinonasal imaging: normal anatomy and inflammatory disease. Neuroimaging Clin N Am 2000; 10:137-59. 6. Aitken M., Taylor JA. 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The Sentinel Project: an update on the prevalence ofantimicrobical resistence in community-acuired respiartory Streptococcus pneumonia and Haemophilus influenzae spp. In Italy. Int J Antimicrob Agents 2005; 26: 8-12, Bibliografia 2. 8. 11. Gruppo di Studio dekka Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP): Esposito S., Marseglia G., Novelli A., et al. La rinosinusite in età pediatrica. Pneumologia Pediatrica 2007; 25:13-20. Le complicanze della rinosinusite acuta sono rare, ma mettono il soggetto in una situazione di grave pericolo a causa della sottigliezza della parete dei seni. Le complicanze che interessano l’orbita sono quelle più comuni rispetto a quelle del sistema nervoso centrale e possono avere una gravità differente, espressa in 5 gruppi : 1. edema (cellulite presettale); 2. cellulite orbitale; 3. ascesso subperiosteo; 4. ascesso orbitario; 5. trombosi seno cavernoso: Secondo Oxford e McClay, i pazienti con solo edema dell’orbita possono essere trattati con terapia antibiotica orale o parenterale, mentre per quelli con sintomi del IV° o V° gruppo è necessaria terapia intravenosa antibiotica. Qualora siano dimostrabili alterazioni della funzione oculare, estroflessione del bulbo oculare o segni neurologici suggestivi di problematiche endocraniche, è tassativo sia eseguire immediatamente le indagini di diagnostica per immagini (TAC e/o RM) utili a verificare l’entità del danno e la necessità di un intervento chirurgico, sia richiedere consulenze multidisciplinari (oculista, otorinolaringoiatra e neurochirurgo). American Academy of Peditrics. Clinical practice guideline: management of sinusitis. Pediatrics 2001; 108:798-808. Conrad DA, Jenson HB. Menagement of acute bacterial rhinosinusitis. Curr Opin Pediatr 2002; 14:86-90. 10. Esposito S., Bosis S., Bellasio M., Principi N. From clinical practice to guidelines: how to recognize rhinosinusitis in children. Pediatr Allery Immunol 200718 (Suppl. 18):48-50. Terapia delle complicanze 1. 7. 21. Pssali D., MazzeiT., Novelli A., Fallani S., Dentico P., Ferri R. et al. Tissue distribution of amoxcyllin/calvulanate in chronic sinusitis. Acta Otorhinolaryngol Belg 2001; 55:259-64. 22. Novembre E., Mori F., Pucci N., Bernardini R., Vierucci A., de Martino M. Systemic treatment of rhinosinusitis in children. Pediatr Allergy Immnuol 2007; 18 (Suppl. 18):56-61. 23. Fiocchi A., Sarratud T., Bouygue GR, Ghiglioni D., Bernardo L., Terraciano L. Topical treatment of rhinosinusitis. Pediatr Allergy Immunol 2007; 18 (Suppl. 18):62-7. 24. 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In particolare, la meningite nasce all’interno dello spazio sabaracnoideo, che si trova tra la media e la più interna delle lamine: l’Aracnoide e la Pia Madre. La malattia che generalmente è di origine infettiva può essere virale o batterica e può evolvere in un quadro meningoencefalitico ed encefalomielitico. La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune in età adolescenziale: solitamente non ha conseguenze gravi e si risolve nell’arco di una decina di giorni. La forma batterica, invece, è più rara, estremamente più seria e anche con conseguenze fatali. L’agente batterico più temuto è la Neisseria meningitidis detto meningococco, identificato per la prima volta nel 1887. I primi sintomi della meningite possono facilmente essere confusi con quelli dell’influenza: solitamente il peggiorano avviene nell'arco di un paio di giorni, ma in qualche caso, la decorrenza della malattia è estremamente rapida con rischio di un danno cerebrale o di morte La diagnosi si effettua con un’analisi del contenuto del liquor e con una coltura batterica: un intervento tempestivo può costituire l’unica possibilità per salvare la vita del ragazzo. Parole chiave: meningoencefaliti, adolescenti, complicanze. Acute meningoencephalitis in adolescence: diagnostic and therapeutic aspects Summary A new case of meningitis causes widespread alarm in communities because of both patient’s clinical gravity and epidemic disease risk. Meningitis is an inflammation of the meninges, which is a system of membranes covering the brain and the spinal cord. The meninges consist of three layers: the Dura Mater, the Arachnoid Mater and the Pia Mater which is the deepest one. Meningitis developes between Arachnoid and Pia Mater in the so called subarachnoid space. Meningitis is usually caused by a viral or bacterial infection and it can develop in meningoencephalitis or encephalomyelitis.Viral meningitis, also called aseptic meningitis, is the most common between adolescents. It is usually less severe and resolves without specific treatment in about ten days. Bacterial meningitis is rare but it is a medical emergency and has a high mortality rate if untreated. The most dreaded organism is Neisseria Meningitidis also called meningococcus, which has been identified for the first time in 1887. The first symptoms of meningitis can easily be confused with flu ones; we usually have worsening in about two days but in some case the illness can take a rapid course with cerebral disease and death’s risk. The diagnosis is usually made by growing bacteria from a sample of spinal fluid. A well-timed treatment is the only possibility to save the patient. Key words: meningoencephalitis, adolescents, complications. 17 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) della malattia meningococcica è legata alla sua rapida progressione e, nonostante la diagnosi precoce e la terapia medica, il tasso di letalità è ancora piuttosto elevato con il 10% nel caso di meningite e il 50% in caso di sepsi. Inoltre, qualora la diagnosi e la terapia non siano tempestive si possono avere danni neurologici come cecità, sordità, paralisi, amputazioni di arti e ritardo mentale (1). Dei 13 sierogruppi esistenti, così suddivisi in base alla costituzione della parete esterna del batterio, il tipo B e C sono quelli più frequenti in Italia ed in Europa. La maggior parte dei casi, in Italia, si presentano come casi sporadici nei mesi invernali e primaverili, mentre non sono rari piccoli focolai epidemici chiamati “cluster”, come quello verificatosi nel Veneto (1, 6). Il contagio avviene da persona a persona con contatti stretti, mediante goccioline e secrezioni infette del naso e della gola in ambienti affollati, mentre il batterio non riesce a sopravvivere nell'ambiente, né in alimenti, bevande o su oggetti. Il periodo di incubazione è breve, pari a 24-72 ore. I fattori individuali che sembrano aumentare il rischio di malattia meningococcica sono: alcune forme di immunodeficienza, una pregressa infezione del tratto respiratorio, il fumo passivo e la vita in ambienti affollati. In Italia, in confronto con gli altri paesi Europei ed extraeuropei, la meningite ha una incidenza molto bassa, in progressiva diminuzione, anche grazie alla diffusione della vaccinazione. Mentre grandi epidemie sono ancora presenti in Africa, America latina ed Asia. Dal punto di vista clinico, i sintomi sono indistinguibili da quelli delle meningiti causate da altri batteri, ma nel 10-20% questo germe può causare delle forme settiche rapidamente ingravescenti con decorso fulminante che, nonostante l’adeguata terapia, può portare al decesso in poche ore. La diagnosi viene effettuata con l’identificazione del microrganismo su campioni di liquido cerebrospinale o su sangue e il trattamento si basa soprattutto sulla terapia antibiotica mirata (5, 6). La prevenzione dei casi secondari è basata sulla sorveglianza dei contatti stretti per 10 giorni (8) e la chemioprofilassi capace di ridurre del’ 89% il rischio di casi secondari tra i conviventi (9) In Italia è operativo dal 1994 (10) uno speciale sistema di sorveglianza meningitico il SIMI ordinato dall'Istituto Superiore di Sanità. Il sistema raccoglie sistematicamente dati sui nuovi casi e sui microrganismi che li hanno causati e sulla loro tipizzazione. Attualmente sono disponibili vaccini contro i sierogruppi A, C, Y e W135, mentre non esistono vaccini per prevenire le meningiti da gruppo B. Solo il vaccino contro il gruppo C è efficace nel primo anno di vita. La sua efficacia in corso di epidemie è difficile da stimare data la rarità dei casi, viene comunque raccomandata quando l’incidenza è superiore a 10 casi per 100.000 abitanti nell’arco di tre mesi (5, 11). Il focolaio epidemico verificatosi nel dicembre del 2007 nel Veneto con sette casi di meningite nella zona tra Montebelluna e Conegliano (1) ci offre l’opportunità di commentare i punti più importanti per la gestione della sanità pubblica nel caso di malattie invasive come la meningite sia dal punto di vista epidemiologico che della prevenzione e del controllo della malattia. La meningite è una infiammazione delle meningi: tre sottili membrane che rivestono l’encefalo e il midollo spinale. In particolare, la meningite nasce all’interno dello spazio subaracnoideo che si trova tra la media e la più interna delle lamine cioè tra l’Aracnoide e la Pia Madre. La malattia che generalmente è di origine infettiva può essere virale o batterica e può evolvere in un quadro meningo-encefalitico ed encefalomielitico (2). La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune e non ha conseguenze gravi. Tra i principali agenti gli enterovirus (coxsackie ed echovirus ) sono i maggiori responsabili delle meningiti in eta’ adolescenziale (80% dei casi) (1, 3, 4). La meningite virale compare dopo un periodo di incubazione di 3-6 giorni: è contagiosa solo nella fase acuta dei sintomi e nei giorni immediatamente precedenti l’esordio (5). La sintomatologia non presenta elementi patognomonici e il quadro dell’encefalite può essere preminente con confusione, coma, comizialità ed emiparesi. È sempre a liquor limpido; solitamente non ha sequele e si risolve nell’arco di una decina di giorni. La diagnosi si effettua con l’isolamento del virus dal liquor, con la sierologia e con la ricerca del genoma virale sul liquor (PCR) (3, 5). Non è necessaria alcuna terapia se non quella di sostegno. Altri virus come il virus della parotite e l’herpes virus possono dare complicazioni meningee nel decorso della malattia primitiva (1). La forma batterica invece, è meno frequente ma estremamente più seria e può avere conseguenze fatali. La più temuta è la meningite meningococcica che colpisce il 15% degli adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni (1). Il meningococco è un batterio diplococcico gram- aerobico fornito di capsula polisaccaridica che è presente a livello delle prime vie respiratorie nel 25% degli adolescenti definiti portatori asintomatici. Lo stato di portatore induce la comparsa di anticorpi protettivi e evidenze scientifiche indicano che la malattia insorge in ragazzi che hanno acquisito da poco l’infezione: infatti solo nell’1% dei casi il meningococco riesce a superare le difese dell’organismo provocando la meningite (6). Solitamente l’infezione batterica origina in un altro punto del corpo (otiti, sinusiti). Da qui i batteri possono invadere il torrente circolatorio, attraversare le meningi, riprodursi nel liquido cerebro spinale e, una volta raggiunta una certa carica, provocare l’infiammazione delle meningi (7). Il grave shock settico che si accompagna alla malattia è dovuto alla diffusione dei meningococchi nel sistema circolatorio che liberano una potente endotossina capace di stimolare la produzione di proteine come il TNF capace di determinare l’aumento della permeabilità vascolare all’estremità inducendo un collasso spesso letale. La gravità 18 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Le meningoencefaliti acute in età adolescenziale: Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) aspetti diagnostici e terapeutici Bibliografia 1. http://www.saluteeuropa.it/index.php/salute_europa/ Riflettori_puntati_su/Meningite_un_problema_serio_attualmente _all_attenzione_pubblica 2. http://www.ausl.mo.it/dsp/sipcrb/doc/Guaraldi_G.pdf 3. http://www.med.unifi.it/segreteria/laurea/medicina/Corso/ specialita_m_c_i/malattie_infettive/paradisi/memingiti.pdf 4. http://www.formazione.cristian.googlepages.com/corsovds 5. http://www.epicentro.iss.it/problemi/meningiti/meningite.asp (marta ciofi... 6. http://www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=19 7. http://www.geocities.com/HotSprings/Spa/5276/meningiti.htm #meningite%20batterica 8. American Academy of Pediatrics. Report of the Committee on Infectious Diseases. Red Book, 26th edition, 2003 9. Purcell B, Samuelsson S, Hahné SJM, et al. Effectiveness of antibiotics in preventing meningococcal disease after a case: systematic review. BMJ 2004; 328:1339. 10. http://www.simi.iss.it/ 11. Advisory Committee on Immunization Practices. Control and Prevention of serogrup C meningococcal disease: evaluation and management of suspected outbreaks. MMWR, 1997, 46 (RR-5); 13-21. Corrispondenza: Dott.ssa Chiara Lolli SS 18 Rende - 87030 (CS) 19 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Aspetti assistenziali delle patologie infiammatorie acute nell’adolescente Maria Zanni Az. Ospedaliera Cosenza, Cosenza Oggi, ai bambini ammalati, sono riconosciuti specifici diritti sintetizzati sia nella “Carta dei diritti dei bambini e degli adolescenti in ospedale” redatta dalla SIP e dalla ABIO, sia nella carta di EACH che riguarda più in generale il bambino ammalato. Questo clima di sensibilità verso le necessità specifiche dei bambini, trovano nella figura dell’infermiere pediatrico il principale attore del riconoscimento e dell’attuazione di tali diritti. Il rapporto empatico che si crea con l’adolescente ammalato e con la sua famiglia consente all’infermiere di interpretare gran parte delle esigenze spesso inespresse. La mancata espressione delle proprie esigenze, spesso determinato da esperienze precedenti o da condizioni economiche e culturali, sfocia nella difficoltà di intraprendere rapporti interpersonali. Compito precipuo dell’Infermiere, oltre a quello tradizionale di assistenza sanitaria, è di dedicare particolare attenzione al processo comunicativo, fornendo risposte adeguate alle frequenti domande e aiutando la famiglia a rielaborare ed accettare l’evento “malattia” del proprio figlio. Quanto detto è sintetizzabile nell’acquisizione da parte dell’Infermiere Pediatrico dei tre saperi: SAPERE – è necessario che l’I.P. sia in grado di riconoscere tempestivamente i segni e i sintomi di eventuali complicanze; SAPER FARE – deve essere in grado di effettuare tutti quegli interventi terapeutici necessari e prescritti, oltre a saper istruire i familiari sulle manovre che essi stessi potranno compire nel corso della malattia; SAPER ESSERE – entrare, come dicevo prima, in quel rapporto empatico con l’adolescente e la sua famiglia in modo da interpretarne le reazioni, le esigenze psicologiche e fisiche e poter attuare tutte le strategie necessarie alla riduzione del disagio. Nello specifico dell’assistenza sanitaria all’adolescente nelle patologie trattate dai precedenti relatori, mi soffermerò sulla meningoencefalite e sull’addome acuto mentre trascurerò la rinosinusite nella quale il coinvolgimento infermieristico è alquanto marginale. Entrambe rappresentano un’emergenza-urgenza che necessita di ricovero ospedaliero. All’accettazione di tali pazienti i primi interventi da parte dell’I.P. saranno rivolti al rilevamento dei parametri vitali del giovane paziente (applicazione di monitoraggio di FC – FR – PA – SatO2 – temperatura corporea) e rilievo di sintomatologia specifica che possa essere d’aiuto alla diagnosi, oltre che alla sistemazione del paziente al fine di diminuirne il disaggio e favorire tutti gli interventi necessari. Nello specifico di sospetto di meningoencefalite, l’intervento caratterizzante è sicuramente l’esecuzione della Puntura Lombare. Intervento di non particolare difficoltà (effettuata dal medico che la possiede nel proprio bagaglio fondamentale) ma delicata nell’esecuzione. È infatti necessaria una particolare e puntuale attenzione alle norme di assoluta asepsi pur nell’esecuzione al letto del paziente, luogo tutt’altro che asettico. Grande attenzione va riservata alla preparazione del carrello facendo attenzione che tutto il necessario sia presente e facilmente raggiungibile. E’ utile preparare una check list che ne faciliti la rapida preparazione. Grande importanza nella fase preprocedurale rivestono i rapporti con i familiari. La PL rappresenta ancora, nell’immaginario collettivo, una manovra estremamente cruenta a carico di un sistema, quello nervoso, evocatore di danni drammatici e irreparabili. Fase particolarmente critica è rappresentata dalla capacità di far accettare la terapia e le necessarie indagini ad un adolescente che, molto spesso e soprattutto una volta superata la fase più critica, tende a rifiutarsi di sottoporvisi a prescindere dalla comprensione della necessità ed urgenza della loro esecuzione. Infine, ma non ultimo, è necessario richiamare l’attenzione sulla attività “riabilitativa” nel periodo convalescenziale. È di grande importanza la conoscenza di tecniche di manipolazione che, oltre a portare indubbi benefici al giovane paziente, inducono alla consapevolezza che il contatto con il suo infermiere non è accompagnato solo da sensazioni sgradevoli. 20 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Il mondo degli adolescenti oggi Carlo Pintor Università degli studi di Cagliari Gli anni ’70 rappresentano un’ epoca estremamente importante per una serie di eventi alcuni positivi ed altri negativi che li hanno caratterizzati. Si può infatti far riferimento a questo particolare periodo che è responsabile di una profonda modificazione della società attuale. Alcuni di questi avvenimenti si riferiscono alla società in generale, altri hanno un particolare riferimento alla famiglia, alla scuola e conseguentemente ai minori. È infatti intorno a questo periodo che ha preso corpo (fatto assolutamente positivo, solo sotto certi aspetti) l’emancipazione femminile. Ciò ha determinato l’assenza nel nucleo familiare dell’elemento portante sopratutto in considerazione al fatto che ancora oggi non si sono trovate alternative valide in particolare perchè l’elemento maschile, che avrebbe dovuto condividere gli oneri del nucleo familiare, in realtà ancora oggi non ha assunto questo ruolo particolare. Giova inoltre ricordare che i motti del 68 anch’essi positivi sotto certi aspetti, in realtà hanno finito per lasciare in eredità quasi esclusivamente il permissivismo in contrapposizione al vecchio autoritarismo. Ciò ha portato ad una sempre più grave mancanza di assunzione di responsabilità degli adulti e conseguentemente dei giovani e dei bambini. È venuto a mancare sempre di più il percorso educativo cardine in una società civile, che non può non essere conseguenza di una famiglia sana, di una scuola sana e conseguentemente dell’utenza (bambini e giovani). Altri 2 grossi eventi hanno contraddistinto pesantemente questo periodo (con letture a seconda dei casi e delle singole ideologie comunque positive o negative). Dobbiamo infatti rammentare che è di questo periodo la legge sul divorzio ed in seguito anche quella sull’aborto. Entrambi questi eventi hanno avuto un grosso impatto sulla società. In particolare sono stati e sono oggetto di profonde diatribe ancora non risolte perchè prevalentemente l’uno e l’altro provvedimento, che sia giudicato giusto o no, non è stato accompagnato da una seria e profonda analisi e soprattutto dai percorsi scritti nella legge che indicano nella prevenzione la strada maestra da seguire. Giova ricordare che anche qui non è possibile non denunciare una profonda carenza dei percorsi conoscitivi e conseguentemente educativi. Ma ancora è di questo periodo il primo allarme di un fenomeno gravissimo che è andato diffondendosi a macchia d’olio, tant’è che oggi i numeri sono veramente allarmanti: alcool e droga. Ancora una volta una famiglia assente che è l’espressione di un male dilagante di cui tanto si parla ma al quale non si trovano rimedi: il dialogo genitori figli. Sotto questo aspetto il dato più preoccupante è non solo il quotidiano incremento del fenomeno al quale prutroppo si accompagna con altrettanto rapido abbassamento dell’età di iniziazione. Tant’è che già all’eta di sette/otto anni si fuma e si assumono droghe e spesso sotto i 10 anni si fa sesso. Le cosiderazione su esposte sono le responsabili di una adolescenza sempre più negata. Se è vero infatti che l’inizio della adolescenza, scrive l’organismo mondiale della sanità, inizia ai 13/14 anni, in realtà questi elementi di vita vissuta non possono non anticipare tale evento di diversi anni. In una società inoltre nella quale è difficile trovare sbocco lavorativo o comnque staccarsi dal nucleo familiare, il termine della adolescenza dovrebbe essere in realtà spostato ai 35/40 anni, periodo in cui diversi “adolescenti” raggiungono un’autonomia gestionale e finalmente tagliano il cordone ombelicale. Corrispondenza: Dott. Carlo Pintor Via Scano, 5 - 09100 Cagliari Telefono: 348/4151849 e-mail: [email protected] 21 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La sessualità nei giovani: condotte e trasgressioni Federico Bianchi Di Castelbianco Manca affiliazione Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxx nelle ragazze sembrano essere invece le paure dei ragazzi che si avvicinano al vivere la sessualità. La masturbazione si delinea invece come una realtà messa in atto maggiormente dai maschi, nelle diverse fasce d’età analizzate, ma vissuta con maggior senso di colpa dalle femmine; il petting sostituito con il toccarsi e con l’atto sessuale e leggermente maggiore nei maschi. C’è una sorta di “iniziazione” verso la sessualità, per cui viene sovente presa in considerazione l’esperienza con una prostituta ma mai quella omosessuale. Più nello specifico, si è visto come l’esperienza unica omosessuale, vissuta come momento di passaggio e con senso di colpa, sia maggiore nei maschi, e che si traduce con allontanamento temporaneo dall’attività sessuale o ricerca di partner eterosessuali. Un senso di solitudine senza possibilità di interlocutori è quella che invece viene maggiormente percepita dall'adolescente omosessuale, che vive la sua diversità con vergogna per una “sessualità sbagliata”. L’adolescenza è una fase di sviluppo in cui si consolidano l’identità personale e di genere, attraverso una nuova elaborazione e rappresentazione di sé che include il sesso anatomico e quello assegnato, da cui si attivano tumulti emotivi connessi con la mascolinità e femminilità. Il corpo dell’adolescente è esibito come mezzo di seduzione e provocazione, anche perché la quotidianità di tutti, e l’immaginario collettivo, sono sempre più invasi da corpi aggraziati, provocanti, snelli. Molto spesso l’avvicinarsi alla sessualità è accompagnato nell’adolescente dall’uso di droghe o alcool, aventi lo scopo di permettere una maggiore disinibizione, atti a giustificare il corteggiamento o assicurarsi “la prestazione”, e che sembra essere collegato anche all’aumento delle gravidanze indesiderate. Internet poi, che è ciò che l’adolescente usa maggiormente oggi, grazie a chat, webcam video e foto, ha permesso l’incremento del sesso virtuale e della disparità di esperienze a disposizione del giovane. L’impotenza e l’eiaculazione precoce nei maschi, d il dolore e l’assenza di orgasmo 22 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Educare alla salute Giampaolo De Luca Pediatra di Famiglia Coordinatore Nazionale Gruppo di Studio “promozione della salute” della SIMA - Responsabile Nazionale Formazione CIPe Riassunto Il pediatra di famiglia, rappresenta un riferimento educativo sanitario importante, non solo per il bambino ma anche per tutta la famiglia. Tale funzione educativa viene svolta, prevalentemente, nell’ambulatorio del pediatra, nel corso di particolari visite filtro definite “ bilanci di salute”. Il pediatra di famiglia dovrebbe, invece, essere coinvolto più attivamente in progetti educativi sanitari, svolti all’interno della scuola, o nelle comunità frequentate da bambini ed adolescenti. Parole chiave: educare alla salute, bilanci di salute, scuola. Train to health Summary The family paediatrician is an important source of health education for children and their family. The paediatrician generally perform this educational role in his office, during specific outpatients called “well-child visits”. However, we believe that the family paediatrician should have a more active role in health education projects in the schools, and the communities where children and adolescents are active.. Key words: health aducation, well-child visit, school. Introduzione La pediatria di famiglia da tempo svolge una funzione educativa sanitaria nei confronti dei propri assistiti e delle loro famiglie. Tale attività viene svolta nel corso dei bilanci di salute. Il pediatra di famiglia potrebbe essere utilizzato anche nella scuola, come esperto, in occasione della programmazione delle attività educativo sanitarie. no (1, 2). Attraverso i bilanci di salute il pediatra sarà in grado anche di identificare, nel momento opportuno, particolari segni, sintomi o comportamenti che permettono una precoce diagnosi di condizioni patologiche, ed una identificazione dei fattori di rischio modificabili (3). Il pediatra, negli ultimi anni, sta già dedicando una maggiore attenzione all’educazione sanitaria, anche se studi di verifica dell’efficacia di tali interventi sono estremamente rari (4). D’altra parte il pediatra di famiglia ha una scarsa attitudine alla ricerca e mancano progetti finanziati mirati a coinvolgere l’intera categoria su definiti obiettivi educativi. Su tali interventi educativi è necessario applicare le prove dell’efficacia dell’intervento stesso, sia intesa come efficacia teorica (efficacy), quando c’è la prova che la riduzione del fattore di rischio migliora la salute, sia come efficacia osservata (effectiveness), quando viene documentata una modificazione del comportamento a rischio. Il pediatra può costituire un punto di riferimento educativo importante ed un collante per qualsiasi progetto educativo che riguar- L’educazione sanitaria in pediatria di famiglia Al pediatra di famiglia, che viene definito dall’OMS come “ il medico dello sviluppo e dell’educazione”, con l’accordo collettivo nazionale della pediatria di libera scelta (DPR 615/96), gli viene affidata una funzione educativa sanitaria specifica e strutturata attraverso la esecuzione dei “bilanci di salute”, un particolare tipo di visita filtro, che consente al pediatra di svolgere una funzione preventiva e l’opportunità di trasferire alcuni messaggi educativi importanti, in momenti definiti della crescita del bambi- 23 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) da il bambino e l’adolescente (5). Da un punto di vista sanitario il pediatra di famiglia, infatti, accompagna il bambino dalla nascita fino alla pubertà e stabilisce con i suoi genitori un rapporto fiduciale tale da costituire un punto di riferimento indispensabile per molte scelte importanti ( rapporti con i genitori, che tipo di sport praticare, che tipo di alimentazione deve seguire etc…) (1). Una funzione educativa di raccordo può essere svolta dal pediatra e può essere rivolta al singolo bambino o alla famiglia, nel proprio ambulatorio, oppure può essere svolta in ambito scolastico, negli asili, nelle palestre e nelle comunità in genere e rivolta a gruppi di bambini (1,6). In tali ambiti il pediatra può lavorare da solo o essere supportato da altre figure professionali (assistenti sociali, psicologi,infermieri etc..) (1,5). Tale attività educativa può essere da supporto anche a genitori o insegnanti ed attuata con modalità definite che possono mirare ad esempio a migliorare il livello di conoscenza su specifici ambiti sanitari ( gruppi di genitori che hanno bambini affetti da asma bronchiale allergico) (7), oppure possono riguardare dei semplici progetti educativi rivolti agli insegnanti, per poi essi stessi diventare “educatori sanitari” nei confronti dei ragazzi. E’ evidente che la sola informazione non è sufficiente a modificare i comportamenti che riguardano la salute, per cui è necessario ed opportuno stabilire dei criteri comunicativi, attuabili nello studio del pediatra di famiglia, che esprimano una efficace azione educativa. E’ purtroppo noto che non esiste, nel percorso universitario e di specializzazione, alcun insegnamento sulle tecniche di comunicazione, e nel rapporto medico paziente per cui, ogni pediatra lo stabilisce secondo la propria sensibilità e disponibilità individuale. Nella pediatria, inoltre, vi è una ulteriore difficoltà che è quella di fare accettare un consiglio o una prescrizione ad una terza persona, che non è l’interessato dall’intervento ma, che è, in genere, la madre del bambino. Per cui, in base anche alla tipologia dei genitori, si dovranno adottare tecniche comunicative diverse, pur mantenendo invariato il contenuto essenziale del messaggio (8). Per determinare una buona promozione alla salute è necessario che il messaggio comunicativo debba possedere i seguenti requisiti: sia semplice chiaro e di facile comprensione, si avvali di opportuni strumenti di rinforzo comunicativi, possieda dei substrati scientifici certi, consideri i danni che possano determinarsi in seguito ad una errata interpretazione del messaggio stesso, miri ad un obiettivo concreto e semplice da raggiungere per produrre cambiamenti specifici, attivi dei momenti di verifica per misurare l’efficacia dell’intervento stesso, tenga conto del contesto in cui si opera. Questi criteri metodologici applicati alla promozione della salute sono essenziali per evitare di disperdere lavoro ed energie verso obiettivi complessi da raggiungere e soprattutto non contestualizzati (9). Inoltre, è necessario effettuare una verificare sui risultati degli interventi preventivi attuati. Questo è certamente uno degli aspetti più complicati, perché i risultati, in educazione com- Tabella 1. Principali aree di intervento di educazione sanitaria svolto dal pediatra (da: ref. 8 modificata). Uso corretto dei servizi sanitari Prevenzione e cura delle comuni malattie Promozione delle vaccinazioni Alimentazione Igiene Dentale Sviluppo psicomotorio Aspetti relazionali e comportamentali Prevenzione Incidenti Educazione alla sessualità Prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse Prevenzione delle “Killer Diseases” portamentale, sono influenzati da diverse variabili non prevedibili e sono di difficile valutazione. Comunque uno sforzo verso il raggiungimento di tale obiettivi è sempre necessario attuarlo quando si programma ogni specifico intervento (10). Gli strumenti per promuovere la salute possono essere diversi: il linguaggio, il materiale cartaceo, il materiale audiovisivo, i giochi (8). L’educazione sanitaria nei bilanci di salute Abbiamo già ricordato la funzione dei Bilanci di Salute (11, 12). Tali Visite filtro sono previste dagli accordi stipulati nelle diverse Regioni, dai pediatri di famiglia, e sono utili ad evidenziare i principali problemi di salute nelle varie fasi dell’età evolutiva. La loro esecuzione, in età prestabilite, si basa sull’evidenza che esiste una età ottimale per evidenziare precocemente le diverse patologie o problematiche allo scopo di attuare un tempestivo e quanto più risolutivo intervento terapeutico. Le aree di maggiore intervento educativo sanitario sono riportate in Tabella 1. I bilanci di salute, introdotti con l’accordo collettivo nazionale del 1996 e ribaditi dal successivo del 2000 e dal recente del 2005, sono stati inseriti organicamente nel progetto obiettivo saluteinfanzia. Ogni singola regione ha però modificato il calendario dei bilanci di salute prevedendone, in genere, qualcuno in più (2). Nel piano dei bilanci di saluti sono stati inseriti alcuni screening, pensati nell’ottica di una medicina preventiva comune a tutti i bambini, quali quello per la rilevazione precoce della sublussazione delle anche (ecografia delle anche tra il 2° ed il 4° mese), dell’ambliopia ( stereotest di Lang, Cover Test al 24° o al 36° mese) e quello per evidenziare i problemi uditivi (Boel Test al 9°-12° mese) (8). Per una corretta e completa esecuzione dei bilanci di salute è necessario che il pediatra possieda una “check list” scritta degli aspetti da valutare ad ogni bilancio di 24 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Educare alla salute Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) salute che sarà inevitabilmente diversa a seconda dell’età in cui si effettua tale visita filtro. Attraverso i bilanci di salute è possibile trasferire ai genitori, al bambino, all’adolescente alcuni messaggi educativi, importanti ai fini della promozione della salute, in momenti definiti della loro crescita. I bilanci di salute che devono necessariamente essere eseguiti, per attuare la funzione educativa e preventiva della pediatria di famiglia, sono quelli effettuati a 1-3 mesi, a 4-6 mesi, a 9- 12 mesi, a 18-24 mesi, a 28-36 mesi, a 5-6 anni ed in età adolescenziale (12). I bilanci di salute in età adolescenziale non vengono ancora eseguiti, in maniera appropriata, in diverse Regioni Italiane. I pediatri ancora non sono adeguatamente formati all’esecuzione dei bilanci di salute in età adolescenziale perché l’approccio con l’adolescente è più complesso rispetto a quello con il bambino, che è spesso mediato dai genitori, e perché le problematiche adolescenziali sono specifiche di questa fascia d’età (Tabella 2), discostandosi completamente dalle problematiche che hanno interessato il bambino negli anni precedenti, e pertanto meritano un approccio clinico e comportamentale completamente diverso cosiddetto esperto esterno, il quale svolgeva, il più delle volte, una vera e propria lezione magistrale, che rappresentava il frutto delle sue conoscenze e competenze, piuttosto che una attività formativa con ricadute in termine di modifica dei comportamenti. Quindi, tale tipo d’intervento non ha consentito alcun cambiamento delle abitudini o di stili di vita. La mancanza di obiettivi formativi, le carenze metodologiche e progettuali, non ha consentito di raggiungere risultati migliorativi su problematiche sanitarie importanti che attualmente rappresentano delle vere e proprie emergenze sanitarie (Tabella 1.4). Attualmente la scuola si sta finalmente appropriando dei contenuti e delle metodologie tipiche della promozione della salute in quei campi in cui l’insegnante può svolgere il proprio ruolo educativo (corretta alimentazione, igiene orale, fumo di sigaretta) mentre, per alcune tematiche più complesse si rivolge ad esperti formatori esterni ( tossicodipendenze, educazione sessuale, primo soccorso) (12). Tutti gli interventi devono prevedere l’uso di indicatori validati per potere misurare ciò che il progetto, preposto ed effettuato, ha determinato come cambiamento positivo. La cosa non è così semplice, se consideriamo, ad esempio, che nonostante si svolgano diversi progetti su una corretta alimentazione, nel nostro Paese, l’incidenza di obesità e la sua prevalenza è la più alta d’Europa. Troppe sono ancora le scuole che presentano nel loro interno dei distributori automatici di bibite zuccherate e di merendine dolci che certo non educano ad una corretta alimentazione, ma che costituiscono una piccola fonte economica per le scuole che hanno sempre maggiori problemi a garantire i propri servizi, per via di una autonomia finanziaria che ancora non è stata ben assimilata. Un particolare tipo d’intervento sanitario nella scuola, mirato a modificare i comportamenti, quindi di alto valore formativo e preventivo, potrebbe puntare al coinvolgimento del pediatra nelle attività scolastiche, per le ragioni che sono state precedentemente illustrate. Tale progetto consiste nel mettere il giovane al centro dell’iniziativa, determinando in lui una possibilità di scelta, La scuola e la pediatria di famiglia Ogni scuola, nell’ambito della propria autonomia, dovrebbe elaborare un serio progetto di educazione alla salute da inserire nel proprio programma d’istituto, nell’ambito dei POF (Piano dell’Offerta Formativa), in rapporto alle esigenze del contesto sociale di cui la scuola è espressione o parimenti alle linee guida programmatiche formulate dalle istituzioni locali. I progetti educativi di tipo sanitario devono essere scelti tra gli obiettivi di salute previsti dal Piano Sanitario Nazionale e Regionale per svolgere una adeguata ed utile azione preventiva. In passato gli interventi preventivi di educazione sanitaria nella scuola erano semplicemente informativi ed episodici avvalorati dalla figura del Tabella 2. Principali problematiche degli adolescenti. Problematiche adolescenziali Manifestazioni prodotte Incidenti 1° causa di morte in soggetti 11-24 anni Suicidi 2°- 3° causa di morte tra 14 -24 anni Abuso sostanze tossiche Incremento del consumo di fumo di sigaretta alcol e droghe. Attività sessuale Malattie sessualmente trasmesse, gravidanze indesiderate, IVG. Disturbi nutrizione Alterate abitudini alimentari, anoressia, bulimia, obesità. Effetti mass-media Incremento dei comportamenti violenti, abuso di sostanze, sessualità vissuta in maniera inadeguata e distorta. Disagio e marginalizzazione Scarso rendimento scolastico, inadeguato rapporto con gli altri, pochi amici, tendenza alla depressione. 25 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Gli argomenti richiesti dagli alunni nel corso del colloquio individuale, per un approfondimento sulle specifiche conoscenze sono stati: l’abuso di alcol e droghe, l’Aids, le abitudini alimentari, l’immagine corporea, il rapporto con gli amici con gli adulti, lo sviluppo psico-fisico, le malattie croniche. Interessante è stato l’aspetto che gli adolescenti utilizzano i diversi momenti del progetto per esprimere situazioni di disagio o sofferenze altrimenti non espresse (13). In tali situazione è opportuno il coinvolgimento della famiglia che può essere interessata nel corso del primo colloquio- visita o nei successivi. Una volta emersa la problematica, che può appartenere alla sfera somatica o psicosociale, (Tabella 4) è utile provvedere all’invio del soggetto ai centri di riferimento (16). L’esperienza di Cesena prevedeva il coinvolgimento del pediatra di comunità, che però non è sempre presente nelle varie ASL, per cui sarebbe opportuno un coinvolgimento dei pediatri di famiglia, con competenze adolescentologiche, in quanto sono distribuiti capillarmente sul territorio. I pediatri di famiglia, possono svolgere questa funzione di supporto, trasformando la scuola in un osservatorio sanitario territoriale, che individua il malessere giovanile ed educa i giovani ai comportamenti che generano salute. Tabella 3. Fasi del progetto “self-help” (da: ref. 12). Progetto “self help” compilazione anonima di un questionario distribuito all’interno della scuola colloquio con il pediatra adolescentologo e valutazione staturo-ponderale (per interagire su interrogativi riguardanti la propria crescita ed il proprio comportamento con particolare attenzione ai processi di tutela del benessere personale, ai fattori protettivi e di rischio) discussione in classe, in piccolo gruppo, sulle schede, poi in plenaria con l’insegnante e l’operatore sanitario ma anche una possibilità di far emergere le proprie problematiche basandosi sul vissuto del soggetto nell’ambito scolastico. Questo vale ancora di più nell’età adolescenziale dove i dubbi e le incertezze sono anche legate alle modificazioni corporee e comportamentali (12). Un esempio di coinvolgimento del pediatra con competenze adolescentologiche è rappresentato dal progetto “self help”(13). Tale progetto consiste in un programma di collaborazione tra le ASL (consultorio giovani, servizio di psicologia clinica dell’adolescenza, ufficio educazione alla salute con il pediatra di comunità), i dirigenti scolastici ed insegnanti, con l’obiettivo di coinvolgere gli adolescenti nella autovalutazione e nella tutela del proprio stato di salute, creando uno spazio di ascolto per sostenere il benessere degli adolescenti e raccogliere domande di aiuto (13-15). Tale progetto si basa su tre momenti fondamentali riportati nella Tabella 3. Conclusioni L’educazione alla salute trova nel pediatra di famiglia la figura sanitaria che meglio di ogni altra si adatta a proporre stili di vita appropriate ad un corretto stato di salute. Il Pediatra deve organizzare la sua attività in maniera tale da dare risposte adeguate alla crescente domanda di salute che proviene dalle famiglie. Tale attività, in gran parte, viene svolta dal pediatra, nel proprio studio convenzionato nei confronti dei propri assistiti, attraverso i bilanci di salute. Purtroppo manca ancora un concreto ed efficace coinvolgimento del pediatra nella scuola, dove invece le sue caratteristiche professionali dovrebbero essere utilizzate per meglio educare alla salute i giovani, e contribuire a prevenire, molte delle patologie imputabili ad errati comportamenti. Tabella 4. Problematiche adolescenziali rilevate dal progetto “self-help”. (da: ref 13 modif.) Problematice adolescenziali Problemi somatici Problemi psicosociali Obesità psicorelazionale Disagio Disturbi comportamento alimentare Problemi scolastici Asma Difficoltà intrafamiliari Ritardo puberale Balbuzie Emicrania Attacchi di panico Scoliosi Tossicomania Bibliografia Acne Disturbi del ciclo mestruale 26 1. De Luca G, in Chiavetta S. Adolescentologia Essenziale per la pediatria del territorio, Edizione Centro Studi Auxologici, Firenze 2005; 17-42. 2. Becherucci P, Biancalani L, Bussi, R et al . I bilanci di salute: uno strumento di medicina preventiva, Area Pediatrica 5, Dossier prevenzione 2004; 1-22. 3. De Luca G, Ruggiero P, Raiola G, Bertelloni S, De Sanctis V . L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’Adolescente, Riv Ital Med Adolesc 2004; 2, 25-30. 4. Mazzocchi A. Efficacia informativa di un poster sulla prevenzione dei traumi dentali nelle scuole. Riv Ital odont infant 1997; 4, 31-33. 5. Burgio GR. L’adolescente tra soma e psiche, merita il pediatra, Min Pediatr. 2001; 53, 391-395. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Educare alla salute Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 6. American Academy of pediatric. Committee on Practice and Ambulatory Medicine. Recomandations for preventive pediatrics health care. Pediatrics. 1996; 96, 373-377. 7. Bonin P. Valutazione di un intervento educativo per i bambini asmatici e le loro famiglie. Quaderni ACP. 1998; 5,2:10-14. 8. Venturelli L, Caso G, Marangoni B. L’educazione alla salute in pediatria di famiglia, Collana di Pediatria di Famiglia, Utet Periodici, Torino 2000. 9. Baronciani D. Progettare interventi di educazione alla salute. Quaderni ACP 1997; 4,1:31-36 11. Saggese G, Bertelloni S. I bilanci di salute nell’adolescente, Riv Ital Pediatr. 2001; 27, 656-659 12. De Luca G. Il pediatra e l’aducazione alla salute – dal bambino all’adolescente; NICOMP LE Editore – Edizione Centro studi auxologici, Firenze, 2008. 13. Mazzini F, Rossi O. “Self-help project”: an educational program to support adolescent wellbeing. Ital J Pediatr 2003; 29:22-24. 14. Pintor C, Mostellino F. La comunicazione nell’adolescente: comunicare la prevenzione. Min Pediatr 2001; 54:579-86. 15. Tucci M. Essere Adolescenti Oggi. Occhio Clinico Pediatria 2004; 8:118. 10. Grugnetti M. Progetto Salute Infanzia, Il bilancio di salute (età 36 mesi) consigli utili al pediatra di famiglia, Il Medico Pediatra 2003; 6 (suppl 2), Pacini Editore, Padova. 16. De Luca G. in Burgio-Bertelloni. Una pediatria per la società che cambia. Edito da Tecniche Nuove, Milano 2007; 111-118. Corrispondenza: Dott. Giampaolo De Luca Via Tevere 9/b Casella postale 183 87032 Amantea (Cs) e-mail: [email protected] 27 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea Giuseppe Spadafora Prof. Ordinario di Pedagogia Generale Università della Calabria La problematicità della formazione In queste diverse posizioni, ma con il medesimo significato politico viene posta la matrice culturale forte della democrazia occidentale, sicuramente da confrontare con la “democrazia degli altri” non occidentale riproposta di recente, da considerarsi un ideale perseguibile prevalentemente attraverso la partecipazione della maggioranza ai benefici della formazione per la costruzione della democrazia. Questo originario valore attributo all’educazione e il suo legame con la realtà sociale costituiscono per la civiltà occidentale una radice culturale forte destinata ad esercitare la sua influenza fino ai giorni nostri, come testimoniano significativamente le opere del filosofo americano John Dewey, dalle quali trae origine una visione della democrazia come “way of life”, modo di vivere, mutuato dalle intuizioni sul concetto di democrazia definite nel classico testo sulla democrazia americana del 1832 di Alexis de Tocqueville e come ideale concretizzabile attraverso l’educazione democratica delle giovani generazioni. In effetti, nel pensiero di Dewey, viene confermato e sottolineato il rapporto esistente tra educazione e politica, tra formazione dei giovani e dei cittadini che partecipano alla sfera del pubblico e la convivenza democratica. In particolare l’individualità del soggetto in situazione che si evolve è studiata da varie prospettive ma in un modo sorprendentemente convergente da parte delle filosofie di James, Peirce e Dewey nell’ambito del pragmatismo classico americano. È, in particolare, in James e in Dewey che una filosofia dell’individualità è analizzata in modo organico e centrale. Il rapporto individuo-ambiente, in tutta l’opera di John Dewey ad esempio sin dal 1896 quando il filosofo “corregge” la teoria dell’arco riflesso mutuata da Cartesio e modificata da William James, si presenta come una dimensione transazionale che rivela la contestuale evoluzione del soggetto e dell’oggetto Il concetto di formazione, sebbene sia stato variamente e lungamente esplorato dalla cultura filosofica e pedagogica contemporanea, è talmente vasto e indeterminato che necessita di continui approfondimenti. La formazione rimanda, così come diversi anni fa si affermava a proposito dell’educazione, a una “famiglia di processi”. Ci si forma perché si cresce nello spazio e nel tempo secondo una dimensione ontologico-biologica, la crescita involontaria (growth la definisce Dewey distinguendola dal growing inteso come atto intenzionale che determina il crescere dell’individuo nel suo incessante farsi)1. Per queste ragioni, un’analisi puntuale sulla natura della formazione e sul legame con l’ambiente si legittima pienamente e si pone come forte argomentazione intesa a dimostrare la qualità di questo legame e, di conseguenza, il valore che il fatto formativo acquisisce con riferimento al tempo storico in cui si invera e si concretizza. Comunque si valutino questi temi, appare abbastanza evidente che non solo la formazione è un processo estremamente complesso e plurale, ma anche che essa si connette più o meno direttamente con tutti quei processi sociali, culturali, politici ed economici che caratterizzano una particolare realtà antropologica in uno specifico e determinato tempo storico. D’altro canto, poi, occorre sottolineare che la formazione assume nei confronti di quel contesto sociale in cui si determina un’elevata valenza propositiva ed innovativa, tanto da potersi affermare che essa è una risorsa sociale ancorché individuale e, soprattutto, esercita un influsso significativo e qualificante sui processi di crescita e di trasformazione delle società. Questa ultima puntualizzazione dimostra l’interesse che nei confronti del concetto di formazione ha da sempre manifestato la riflessione pedagogica occidentale. È vastissima la bibliografia che si è sviluppata tra gli anni ”80 e gli anni ”90 nel nostro paese sulla problematica della formazione. Una sintesi significativa che prelude a sviluppi successivi si può cogliere in A. Granese, Istituzioni di pedagogia generale, Cedam, Padova, 2003; C. Xodo, Capitani di se stessi, La Scuola, Brescia, 2003; E. Colicchi, a cura di, Intenzionalità: una categoria pedagogica, Unicopli, Milano, 2004; F. Cambi, Metateoria pedagogica. Struttura, funzione, modelli, Clueb, Bologna, 2006; G. Minichiello, Il principio imperfezione, Pensa, Lecce, 2006. 1 28 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) filosofici della modernità e, allo stesso tempo, si è riscattata da quell’immagine biologizzata consegnataci dalla tradizione empirista delle scienze naturali. Sottratta dall’aseità e dall’astrattezza di talune teorizzazioni o, al contrario, dalla deiezione/reificazione delle scienze empiriche, l’idea di soggetto si è andata affermando per la complessità – e problematicità – di dimensioni costitutive plurime che, indagate con più accorti, più sofisticati, meno semplificati procedimenti investigativi, decantati dagli eccessi delle facili teorizzazioni e di taluni ingenui sperimentalismi, rimandano ad una totalità problematica e non organica unica, singolare, irripetibile da comprendere in quella specifica soggettività che è ogni persona non intesa nell’accezione del personalismo cattolico anche se sono inevitabili alcune retroazioni delle problematiche di fede nella specifica situazione della soggettività. e, nel contempo, l’unicità e l’irripetibilità del soggetto in situazione, concetto espresso più volte da Dewey nella sua opera da considerare la svolta più significativa filosoficamente e pedagogicamente della sua teoria2. La conseguenza fondamentale di questa impostazione è la problematicità del concetto di formazione che può essere definito dal termine poietico. L’atteggiamento poietico riprende, come già è stato fatto notare a proposito della filosofia deweyana, la tradizionale distinzione aristotelica tra scienze teoretiche, scienze pratiche e scienze poietiche, rovesciandola3. L’atteggiamento poietico è complesso e reciproco tra la soggettività e l’oggettività e risponde a un fondamento teorico centrale: quello di una soggettività che modifica la realtà non attraverso la categoria della trasformazione, ma attraverso l’adattamento trasformativo dell’individuo all’ambiente. Queste riflessioni preliminari pongono in luce la centralità della formazione all’interno della riflessione filosofica e pedagogica occidentale del Novecento. In questa centralità, anzi, si pone la legittimazione pedagogica in ragione del suo essere elemento di sintesi di un sapere costitutivamente posto come orientamento di senso di una categoria da analizzare e dirigere tra teorizzazione ed applicazione. Ogni riflessione sull’educazione, infatti, si misura con analisi condotte su un piano formale, ma anche con le dimensioni storiche in cui i processi della formazione si concretizzano, qui ed ora, con le situazioni contingenti e particolari che rappresentano il banco di prova di ogni possibile teorizzazione pedagogica. Per tali ragioni, si è ancora più indotti ad indagare il concetto di formazione con intenzionalità pedagogica, sia per chiarire il senso che la formazione può dare e deve assumere per il soggetto e i gruppi umani nella complessa stagione di questo nostro tempo, sia per individuare quei dispositivi procedurali e metodologici che permettono di legittimare modelli rispondenti alle istanze di formazione avanzate dai soggetti e dai gruppi. Ed è proprio con riferimento ai soggetti, alle persone, che gli studi della formazione hanno visto concretizzarsi quel ruolo indipendente e regolativo della pedagogia rispetto ad altri contesti e ad altri saperi, sulla base di un impegno che, analizzando ed interpretando esiti di ricerche diversificate, ha permesso una riflessione più profonda e, allo stesso tempo più ampia, sul soggetto e sulla sua formazione. Pensare la formazione nella sua problematicità, infatti, significa pensarla con esplicito riferimento all’idea di soggetto che coltiviamo e di cui ipotizziamo un percorso di trasformazione. E questa idea di soggetto, proprio in virtù di studi fenomenologici, ermeneutici, pragmatisti e neopragmatisti, di ricerche psicologiche e psichiatriche, linguistiche, neuroscientifiche, ha perduto l’aseità che l’ha caratterizzata in alcuni luoghi teorico- Formazione e persona tra conformazione, riconoscimento ed emancipazione Il rinvio alla interpretazione di quella persona, colta nella sua specifica contingenza esistenziale, ci permette di individuare intenzionalità, coscienza e razionalità, ma anche forze irrazionali, istintualità, affettività, emotività e quella specifica linguisticità attraverso cui si legge una storia della formazione, di eventi e di atti intenzionali, di successi ma anche di rischi e di perdite. Ci sono elementi per evidenziare in questa composita e complessa immagine del soggetto-persona la valenza e il significato della pedagogia come disciplina che può intenzionalmente intervenire con l’elaborazione di modelli di formazione che traggono i loro elementi di giustificazione nell’individuazione di princìpi e criteri corrispondenti a persone che sono quelli di conoscere, interpretare e comprendere nel loro “senso”4. In effetti, un tale approccio al soggetto consente di pensare la formazione come un processo che investe diverse e complesse sfere di personalità, ma anche vissuti intenzionali, modalità singolari di strutturare il rapporto con la realtà circostante, con gli orizzonti storici e linguistici, sociali e culturali. La formazione del soggetto esprime così una sua implicita tensionalità verso un orizzonte di senso che rivela le ragioni delle scelte, dei progetti, delle azioni. La formazione, così, è una categoria costitutivamente antropologica, in cui è possibile scorgere dimensioni riguardanti il destino della persona, ma anche dimensioni quali lo sviluppo, la crescita, l’apprendimento. In effetti, la formazione è da considerare in modo forse più complesso rispetto al processo educativo. I princìpi fondanti del processo formativo sono vari. In genere quattro possono essere considerati quelli più significativi. Su questi aspetti risultano interessanti M. Eldridge, Transforming Experience, Vanderbilt University Press, Nashville, 1998; J. Shook, Dewey’s Empirical Theory of Knowledge and Reality, Vanderbilt University Press, Nashville, 2000. Cfr. L. Hickman, La tecnologia pragmatica di John Dewey, Armando, Roma, 2000 (1991). In particolare cfr. la presentazione del testo. 4 Cfr. S. Moravia, L’esistenza ferita, Feltrinelli, Milano, 1999. Sul rapporto formazione-democrazia cfr. V. Burza, Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma 2003. Sul problema delle identità e delle appartenenze cfr. Amartya Sen, Identità e violenza, Laterza, Roma-Bari, 2006 (2005). 2 3 29 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Innanzitutto la formazione è espressione di una crescita e di uno sviluppo involontario del soggetto. Ci si forma, trasformando la propria persona nel corso degli anni. Le trasformazioni dello sviluppo biologico, fisiologico, psicologico del soggetto determinano cambiamenti spesso inavvertiti dalla coscienza del soggetto e indipendenti dalla volontà. Ci si trasforma dall’infanzia all’adolescenza, ci si trasforma dall’adolescenza alla età matura e ancora di più, dall’età matura alla senescenza. Numerosi problemi, che già l’epistemologia genetica di Piaget individuava, si evidenziano nell’analisi di questi cambiamenti che trasformano il quadro cognitivo, metacognitivo e relazionale del soggetto. Ma, accanto alla dimensione della crescita e dello sviluppo del soggetto esiste anche una dimensione della motivazione all’azione che, studiata da varie correnti psicologiche, è un fattore centrale per determinare l’agire formativo. Quando la motivazione, per varie ragioni, è limitata o addirittura negata, si possono insinuare nel soggetto elementi di frustrazione, di apatia, di malinconia, o addirittura di depressione, che caratterizzano un rapporto negativo del soggetto con la realtà. La formazione è caratterizzata anche da altre dimensioni, una delle quali può essere sintetizzata nei complessi fenomeni legati al pensare e all’agire e si afferma attraverso la connessione organica tra il momento percettivo-noetico e il momento praticoapplicativo. La complessità teorico-pratica della formazione si può definire, così come si è visto, come attività poietica, intendendo con questo termine un insieme di azioni e reazioni teorico-pratiche dell’attività umana nell’ambiente e, in particolare, nei rapporti interpersonali. Un ultimo aspetto dell’attività formativa è il rapporto dell’agire nei confronti degli eventi, degli accadimenti che sono anch’essi indipendenti dall’attività umana. Un incontro occasionale, il caso, l’hazard di rousseauiana memoria, un evento tragico, un trauma, un lutto determinano inevitabilmente, una reazione negativa o positiva del soggetto, un segnale evidente di frustrazione, uno sforzo di rielaborazione, un momento, comunque, di trasformazione cognitiva, affettiva e relazionale del soggetto. Le considerazioni fin qui proposte intendono mostrare come il compito della pedagogia, interpretata nel suo congegno teoricopratico, consista nell’analizzare, orientare la formazione della persona unica ed irripetibile che è costituita da molteplici dimensioni che trovano nell’intenzionalità e nelle complesse costruzioni poietiche della persona la strutture fondamentali del suo costruirsi come unica ed irripetibile5. In questa particolare accezione, il processo formativo è da intendersi come sviluppantesi secondo una prospettiva di interpretazione pedagogica in modo oscillante tra due contesti: i processi di condizionamento, le regole della competizione sociale, del mondo mediatico, i processi di conformazione e la possibilità di emancipazione salvifica che conduce la persona alla piena rea- lizzazione del suo potenziale umano e del suo rapporto con il sé, con le altre persone, con la realtà circostante. In questa oscillazione ambivalente tra la conformazione e l’emancipazione che ha sempre caratterizzato l’educabilità umana due sono le categorie ulteriori di analisi delle problematiche della persona: il riconoscimento dell’identità, in altri termini il punto di arrivo del processo formativo che è vissuto dalla soggettività che si deve formare come una perenne tensione ideale e l’impossibilità di fare a meno di un vincolo, di un punto fermo, necessario a determinare lo sviluppo della potenzialità umana. In questo senso è da definire un modello di pedagogia della persona individualizzata e cioè di una pedagogia della persona come soggettività unica e irripetibile nelle situazioni specifiche. L’educazione nella scuola e nell’extrascuola, allora, non può non tenere conto di questi contesti, di queste dimensioni e di questi vettori di sviluppo e, attraverso percorsi quanto più personalizzati e correlati alle esigenze formative della singola persona, realizzare la tensione individuale-universale come frutto di scelte consapevoli, e, soprattutto, di un progetto che dia senso alle vocazioni interiori della soggettività iscrivendole in un orizzonte intersoggettivo che permette al soggetto di relazionarsi con l’altro nella costruzione di valori democratici intersoggettivamente condivisi e convissuti. Il problema, in ultima analisi, ci induce a considerare che le modalità attraverso cui si costruisce la civile convivenza vanno ripensate, riformulate e ridisegnate, costruendo talune categorie quale quella di maggioranza come criterio di scelta democratica, per ripensarle attraverso il vaglio della ragione critica capace di leggere ed interpretare le ragioni delle minoranze, dei gruppi e, forse meglio, delle persone che nella loro unicità esprimono la loro singolarità e la loro irripetibilità. Le considerazioni fin qui esposte inducono a pronunciarsi con esplicito riferimento ad un progetto educativo che possa essere legittimato sulla base di princìpi intesi a valicare i fondamenti stessi del progetto6. Appare opportuno, pertanto, assumere la responsabilità della progettazione educativa con esplicito riferimento al problema antropologico, ponendo al centro del discorso pedagogico la questione della persona e delle persone che esprimono istanze di formazione non rispondenti alle ragioni di un possibile modello ma a quello del riconoscimento e dell’emancipazione del singolo e dei gruppi e della libertà. In questa prospettiva, non occorrerà legittimare sulla base del criterio della formatività quanto su quel telos educativo che è tanto più educativo quanto più si pone fuori della logica dell’adeguamento del soggetto alla “forma”, per caratterizzarsi con un’intenzionalità fortemente emancipativa, legata al disvelamento del sé, alla realizzazione della persona attraverso la soggettivazione, l’individuazione e la liberazione. Il problema centrale di questa seconda riflessione è che la persona si costituisce e si definisce progressivamente attraverso un Cfr. G. Spadafora, L’intenzionalità in pedagogia: un’ipotesi, In E. Colicchi, a cura di, Intenzionalità: una categoria pedagogica, Contributi teorici, vol. I, Unicopli, Milano, 2004, pp. 39-62. Cfr. V. Burza, a cura di, Democrazia e nuova cittadinanza. Interpretazioni pedagogiche, Soveria Mannelli, Rubbettino 2005. 5 6 30 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Formazione e democrazia: il nodo cruciale della cultura contemporanea Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) complesso processo formativo che è insieme conformativo, emancipativo, legato al riconoscimento e al vincolo. Una “famiglia di processi” che disvela e costituisce la persona nel mondo solo attraverso i processi formativi ma che, nel contempo, propone un complessivo ripensamento del concetto di libertà. La libertà della persona non è mai tanto “libera” né nelle sue potenzialità come “assoluto” biologico, né tantomeno nella sua capacità emancipativa e progressiva di trasformazione del mondo. Il suo naturale legame con l’ipotesi ricostruttiva della democrazia fornisce ulteriori ampliamenti concettuali e chiarificazioni al problema. In tutta l’opera deweyana, ma in particolare in Democracy and Education del 1916, in The Public and Its Problems del 1927 nonché in Individualism Old and New del 1930 e in Art as Experience del 1934 John Dewey discute il legame esistente tra formazione del soggetto e realizzazione di orizzonti di vita democratica, sottolineando il fatto che la democrazia è un ideale regolativo destinato ad ispirare ed orientare la condotta dei singoli formati dall’esperienza del confronto e della convivenza civile e capaci di realizzare la crescita culturale, politica e civile delle comunità9. È evidente che stiamo analizzando e prospettando il rapporto particolare-universale, focalizzando l’attenzione su una precisa esigenza: promuovere percorsi di formazione fortemente personalizzati e particolari ed orientati, in ultima analisi, verso la realizzazione di persone capaci di costruire democrazia intesa come telos universale di riferimento. Il problema centrale che si pone è quello di prestare particolare attenzione per il mondo della scuola, l’agenzia educativa fondamentale che deve abbandonare l’idea del modello formativo e conformativo e per la ridefinizione dell’istituzione scolastica in vista di un impegno a favore di ogni singolo alunno, soprattutto per quegli alunni che vivono particolari condizioni di emergenza esistenziale e di disagio sociale. Proprio per questi alunni occorre ripensare la scuola ed ipotizzare la fuoriuscita dai modelli rigidi e chiusi a favore di sperimentazioni educative attraverso cui realizzare nuovi spazi progettuali, organizzativi e didattici. Le considerazioni fin qui esposte, in definitiva, orientano la nostra proposta verso un progetto educativo pensato per ogni persona, pensato affinché ogni soggetto possa essere sollecitato verso la concretizzazione del proprio potenziale e verso la realizzazione di comportamenti socialmente e democraticamente condivisi. In questo senso l’educazione si fa intervento intenzionale che vuole trascendere limiti e condizionamenti in vista della promozione di diverse dimensioni di sviluppo, si pensi a quella fisica e a quella intellettuale e culturale, ma si pensi anche a quella della crescita sociale, morale ed interiore, attraverso cui il soggetto può sperimentare la libertà della scelta, l’adesione alla norma, la fuoriuscita da condizioni di conformazione o di reificazione. Ma l’educazione è anche intenzionalmente progetto sociale orientato verso la costruzione di comunità in cui sia garantito il diritto e tutelata la giustizia sociale. Di fatto l’educazione diventa progetto per la coltivazione della persona per l’orientamento alle sue scelte future e di promozione della democrazia come laboratorio di condivisione e costruzione di valori comuni. In tale prospettiva, si può meglio interpretare la tensione peda- Formazione, persona, democrazia: una questione aperta Una tale intenzionalità educativa si dispiega attraverso due prospettive integrate, quella della concretizzazione dell’umano in ogni persona in quanto atto di realizzazione delle potenzialità e di liberazione dal limite e quella della costruzione di orizzonti sociali in cui sia consentita la realizzazione di valori democratici di grande respiro sociale e di profonda aspirazione libertaria ed emancipativa. In ordine alla prima prospettiva, lo sforzo da compiersi va nella direzione della interpretazione dello statuto del soggetto colto nella sua esistenza, nel suo processo di formazione e di soggettivazione7. Questo specifico problema induce ad analizzare e comprendere la formazione come fatto rivelatore della complessità della persona individualizzata. La scelta teorica adottata si esprime per la formazione unica e irripetibile del soggetto-persona, di cui cogliere, analizzare e comprendere la complessità e la specificità delle sue dimensioni costitutive ed interpretare il bisogno di emancipazione che ogni persona esprime tra il superamento del limite e della conformazione e l’implicito telos verso l’emancipazione. Per quanto riguarda la prospettiva dell’emancipazione, della giustizia e della libertà sociale, occorre ricordare come taluni fondamentali valori – quelli della dignità della persona, della tutela della vita, della stabilità affettiva, della convivenza democratica – sono costruzioni di significati comuni e universali e quelle persone che, attraverso l’esperienza educativa, hanno maturato la capacità di dialogo, di apertura, di creatività, di accettazione, inclusione, integrazione, possono esprimere la loro possibilità legata alle realizzazioni concrete8. 7 Su questa problematica cfr. G. Spadafora, La questione della soggettività in John Dewey, in V. Burza, a cura di, Il problema del soggetto tra la persona e la democrazia, in corso di pubblicazione. 8 Il dibattito pedagogico sul tema è ampio e ricco di suggestioni. Non potendosi offrire una rassegna esaustiva della letteratura pedagogica esistente, si segnalano alcune delle più recenti opere sul rapporto tra educazione della persona e democrazia. Cfr. P. Bertolini, Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano, 2003; G. Acone, La paideia introvabile. Lo sguardo pedagogico sulla post-modernità, La Scuola, Brescia, 2004; M. Corsi, R. Sani, a cura di, L’educazione alla democrazia tra passato e presente, Vita e Pensiero, Milano, 2004; L. A. Hickman, Pragmatismo, postmodernità e cittadinanza globale, in F. Stara, a cura di, Etica, cittadinanza e democrazia, Quaderni della Fondazione Italiana John Dewey, Cosenza, 2004; S. Chistolini, a cura di, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, Roma, 2005; C. De Luca, Il volontariato per la formazione dell’uomo solidale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004. 9 Cfr. G. Spadafora, Studi deweyani, Quaderni della Fondazione Italiana John Dewey, Cosenza, 2006. Per un discorso complessivo sulla democrazia cfr. L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari, 2006 (nuova edizione) e collegandola al problema della scuola cfr. G. Bertagna, Pensiero manuale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006. 31 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) gogica per la definizione di una nuova cittadinanza non più intesa come semplice adesione di ogni consociato alle leggi, alle regole della convivenza civile, ad un’etica pubblica e ad uno stato garante del superamento di divisioni particolaristiche. La cittadinanza si prospetta come uno status anzitutto etico – oltre che cognitivo, culturale e giuridico – secondo il quale il cittadino è colui che è in grado di sentire la propria appartenenza alla grande comunità degli uomini, è colui che sa impegnarsi all’interno della propria compagine sociale e politica in modo costruttivo e attivo; è colui che sa adottare una prospettiva pluralista nel confronto con altre etnie, altre religioni, altre culture e che sa cooperare esprimendo le proprie capacità di relazione, progettazione e azione. L’ideale della democrazia è per questo cittadino un ideale regolativo, un valore da difendere, una insostituibile ed unica occasione di porre in essere il confronto, la mediazione, l’intesa. In questo senso, pedagogia e politica, per molti versi, esprimono una stessa vocazione axiologica e teleologica intesa a costruire la persona adatta per la costruzione di una nuova democrazia e condividono, pertanto, una prospettiva utopica all’interno della quale l’educazione è occasione per preparare l’emancipazione del singolo e per costruire democrazia. Una democrazia della persona, dunque, che esteticamente coglie il senso della propria vita e la consapevolezza delle proprie vocazioni interiori, intese come “doni” e “professioni” da comprendere e applicare alle varie situazioni che si incrocia con il ripensa- mento delle “comunità locali” alla ricerca di una “Grande comunità” in cui la diversità dei talenti non sia un limite all’inclusione sociale dei più deboli e degli svantaggiati. Certo, sarà necessario interpretare meglio le ragioni della persona e delle compagini sociali che vivono questo nostro tempo storico; sarà necessario comprendere le modalità attraverso le quali garantire ad ogni persona i diritti alla salute, alla stabilità emotiva ed affettiva, alla formazione, all’interpretazione, alla partecipazione, così come sarà necessario comprendere la vie che permettono la realizzazione di questi diritti all’interno dei modelli sociali e politici che si vanno via via definendo e ricostruendo. Si tratta di un duro lavoro di ricerca, di riflessione e di interpretazione critica, lavoro ad oggi ancora in fase progettuale e in via di organizzazione. V’è da rilevare come la pedagogia non sia assolutamente sola rispetto a tali compiti, trovando riscontro in altre discipline e in altre dimensioni conoscitive, quali la filosofia, l’antropologia, la stessa sociologia. Ciò che importa è ipotizzare una pista pedagogica di ricerca intesa a concretizzare la categoria della formazione alla luce di chiari princìpi epistemologici e metodologici e, soprattutto, alla luce dell’esigenza primaria derivante dall’adesione ad elementi regolativi oscillanti tra individuale ed universale, elementi da dovere storicizzare e contestualizzare nella situazioni specifiche della vita con riferimento a persone in carne ed ossa che vivono in società in cui sono ancora da realizzare forme più democratiche di esistenza. Corrispondenza: Prof. Giuseppe Spadafora Dipartimento di Scienze dell’Educazione cubo 18 B Arcavacata di Rende - 87030 (CS) e-mail: [email protected] 32 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Uso del GH nelle malattie croniche non endocrine Mariella Valenzise, Teresa Arrigo, T. Aversa, G. Zirilli, S. Iannelli, Filippo De Luca UOC Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Messina Riassunto Dall’avvento della terapia con ormone della crescita (GH), l’uso di questo preziosissimo presidio terapeutico è notevolmente aumentato ed esteso anche ad un’ampia varietà di condizioni cliniche. Trials clinici condotti negli ultimi anni hanno dimostrato la sicurezza e l’efficacia di tale trattamento sia in pazienti pediatrici che adulti con varie condizioni associate a bassa statura come insufficienza renale cronica, fibrosi cistica, malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Recenti acquisizioni della letteratura scientifica sui benefici effetti del GH nei confronti del metabolismo allargano gli orizzonti terapeutici. Scopo di questo lavoro è di presentare una revisione della letteratura concernente l’uso del GH nella moderna farmacoterapia. Parole chiave: GH, ormone della crescita, insufficienza renale cronica, malattie infiammatorie intestinali, fibrosi cistica. Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx Summary Manca titolo in inglese Since the advent of growth hormone (GH), the pediatric applications of GH therapy have expanded. Children with a wide variety of growth disorders have received GH treatment. Clinical trials conducted in recent years have proved the safety of its administration in both children and adults with various conditions associated with short stature as renal failure, cystic fibrosis and inflammatory bowel diseases. Recent findings of the beneficial effect of GH on metabolism widened the array of its indications. The aim of this paper is to summarize the current data on GH administration in modern pharmacotherapy. Key words: GH, growth hormone, chronic kidney disease, inflammatory bowel disease, cystic fibrosis Introduzione Fra le varie condizioni caratterizzate da bassa statura patologica nelle quali è stato proposto il trattamento con GH, tale trattamento si è rivelato sicuramente molto efficace soltanto in alcune sindromi ipotalamo-ipofisarie accomunate da una secrezione deficitaria di GH (GHD). In alcune delle condizioni non-GHD il GH ha dimostrato un’efficacia parziale e tuttavia sufficiente a giustificarne la prescrivibilità terapeutica in Italia ed in molti altri Paesi dell’Unione Europea come nel caso dell’insufficienza renale cronica (IRC). Vi sono infine altre condizioni non-GHD nelle quali i trials terapeutici, nonostante qualche dato promettente, non hanno finora documentato una sicura efficacia a lungo termine del GH, per cui l’indicazione a tale trattamento non ha ancora ottenuto il riconoscimento ufficiale dalle diverse Autorità sanitarie: la fibrosi cisti- ca, le malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Lo stato dell’arte sulle conoscenze relative ai risultati della terapia con GH in tutte le suddette condizioni non-GHD viene riportato nelle sue linee essenziali nella seguente trattazione. IRC e terapia con GH L’eziologia dell’insufficienza renale cronica (IRC) nell’infanzia è strettamente correlata all’età del paziente al momento in cui viene diagnosticata: a) in bambini di età inferiore ai 5 anni è solitamente il risultato di una anomalia anatomica congenita del rene o delle vie urinarie ; b) dopo i 5 anni di età è il risultato di malattie glomerulari acqui- 33 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) tuisce il cardine irrinunciabile della terapia antirigetto. Il GH contrasta l’azione catabolica di tali farmaci ed il loro effetto inibente la crescita, ma nel contempo per la sua attività immunomodulante sembra facilitare la frequenza degli episodi di rigetto nei pazienti trapiantati trattati con GH. Alcuni autori tuttavia sottolineano che il rigetto nei trapiantati trattati con GH si era verificato nei casi che avevano già presentato un episodio di rigetto prima dell’avvio della terapia con rhGH. A conferma di questo, una recentissima revisione della letteratura (3) riporta come la terapia con GH a lungo termine in pazienti prepuberi e puberi si traduca in una incrementata altezza adulta, ma nel contempo sottolinea come la risposta al trattamento diminuisca nei pazienti dializzati e/o in quelli con severo ritardo dello sviluppo puberale. Infine esistono delle segnalazioni sull’uso del GH per via intraperitoneale nei pazienti dializzati nei quali si assiste ad un miglioramento del deficit staturale e della velocità di crescita dopo due anni di terapia, senza un incremento del rischio di peritonite tipico di tali pazienti (4). La dose attualmente raccomandata nei pazienti con IRC è di 0.35 mg/kg per settimana (28IU/m2/settimana)(5). site o di disordini ereditari. A prescindere dall’eziologia, una volta raggiunto il deterioramento della funzionalità renale, la progressione verso l’insufficienza renale terminale è inevitabile. Il rallentamento della crescita staturale rappresenta una caratteristica costante dei pazienti con IRC e costituisce un ostacolo per una loro sodddisfacente riabilitazione psicosociale. I fattori che condizionano il rallentamento della crescita sono molteplici: la malattia renale primitiva, la malnutrizione caloricoproteica, l’acidosi, la perdita di bicarbonati ed elettroliti, l’azione delle sostanze tossiche legate all’uremia, l’osteodistrofia renale, alcune alterazioni endocrine e l’uso dei glucocorticoidi a seguito del trapianto di rene. I livelli circolanti di GH sono normali o addirittura aumentati a seguito della ridotta clearance renale dell’ormone e per l’instaurarsi di alterazioni ipotalamiche. Il GH però non può espletare la sua funzione biologica dal momento che i suoi recettori nei tessuti bersaglio sono deficitari, come dimostrano i ridotti livelli sierici di GH binding protein (GHBP), in parte espressione dell’inadeguato stato nutrizionale dei pazienti. I livelli sierici di IGF-1 sono ridotti, mentre quelli di IGF-2 sono modicamente aumentati. Questo potrebbe essere più che sufficiente ad assicurare una azione periferica degli effettori del GH. In realtà ciò non avviene perché le IGF sono complessate abnormemente dalle loro proteine leganti (IGFBP1,2, 6 e i frammenti delle IGFBP3) che ne riducono notevolmente la biodisponibilità (1). La terapia con GH dovrebbe essere intrapresa quando la statura di tali pazienti scende al di sotto del terzo centile per l’età e quando non si realizza un catch-up growth dopo la correzione delle altre cause di ritardo staturale. In realtà è stato tentato un trattamento in pazienti con età cronologica inferiore a 2 anni ottenendo un significativo recupero staturale e ciò allo scopo di evitare che tali soggetti accumulino nel tempo un deficit di potenziale accrescitivo che sarà difficile recuperare nelle epoche successive della vita. I dati della letteratura riportano che la terapia con GH a dosi di 4UI/m2/die per almeno 4 anni: a)aumenta la velocità di crescita in pazienti puberi e prepuberi con IRC; b) non accelera significativamente la maturazione ossea; c) migliora la statura finale che diviene sovrapponibile al bersaglio genetico; d) non provoca significativi eventi avversi a carico del metabolismo glucidico e calcio-fosforico (2). I pazienti con insufficienza renale terminale mostrano una diversa risposta al trattamento con GH. L’incremento staturale osservabile nel primo anno di terapia ritorna a valori pre-trattamento nell’anno successivo. Poiché questi pazienti vengono trapiantati solitamente entro due anni dall’avvio del trattamento dialitico non sono disponibili risultati a lungo termine. Se in teoria è ipotizzabile che il trapianto renale, ristabilendo le alterazioni metaboliche causate dall’uremia, possa normalizzare la funzione dell’asse GH-IGF, in pratica ciò non si realizza nel paziente trapiantato nel quale si assiste ugualmente ad una crescita rallentata. Il motivo di questa mancata ripresa dell’accrescimento risiede nella somministrazione di glucorticoidi che costi- Fibrosi cistica e GH La scarsa crescita staturo-ponderale nei pazienti con fibrosi cistica (FC) costituisce un problema di notevole interesse scientifico; il grado complessivo di attenzione nei confronti della patologia da parte dei cultori della materia è aumentato anche in seguito alla aumentata longevità dei pazienti . E’ noto come la statura finale sia inferiore alla statura target e spesso al di sotto del terzo centile (6). Nonostante la crescita di recupero che generalmente segue la diagnosi, un deficit staturoponderale si mantiene comunque fino all’adolescenza e si aggrava ulteriormente in epoca adolescenziale a causa dello spurt puberale ritardato e subnormale. E’ anche vero però che i pazienti con fibrosi cistica presentano spesso una statura inferiore ai loro coetanei solo perché i loro familiari sono di bassa statura, come riportato in una nostra recente segnalazione (7). I principali fattori responsabili del deficit accrescitivo sono: la malnutrizione proteino-calorica, l’eventuale coesistenza di una epatopatia cronica e /o di uno stato infiammatorio cronico e la terapia corticosteroidea (8). Dalla valutazione dei dati della letteratura emerge che diversi fattori possono altresì influenzare la crescita staturale nei bambini FC e tra questi sicuramente il peso alla nascita, la presenza di ileo da meconio, l’età della diagnosi, il genotipo e soprattutto lo stato nutrizionale. La supplementazione nutrizionale intensiva (e.v.) da sola non è risultata in grado, a lungo termine, di migliorare significativamente l’accrescimento staturo-ponderale (9). Tutti i suddetti fattori interferirebbero negativamente sulla crescita alterando l’integrità funzionale dell’asse GH-IGF1, ma 34 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Uso del GH nelle malattie croniche non endocrine Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) secondo alcuni autori (10) il principale modulatore dell’asse IGFIGFBP sarebbe lo stato infiammatorio cronico. Alla luce di queste premesse sono stati condotti in questi ultimi anni alcuni studi sperimentali finalizzati a valutare l’efficacia della terapia con GH nei pazienti FC con un grave problema accrescitivo nonostante l’attuazione di un regime nutrizionale ipercalorico, un adeguato trattamento con enzimi pancreatici, una normale funzionalità epatica ed un trattamento corticosteroideo ridotto nella posologia e nella durata nei cicli. Le esperienze degli ultimi anni, periodo in cui è emerso , accanto a studi pilota, anche un trial clinico multicentrico randomizzato controllato (11), hanno confermato la positiva influenza del GH sulla crescita staturoponderale, sulla forza muscolare, sulla funzionalità polmonare, sulla qualità vita , sulla tolleranza dell’esercizio fisico nonché sottolineato l’effetto anabolizzante del GH e quindi aumento della massa magra e rimpinguamento della “bone-bank” (posologia 0.3 mg/Kg/settimana). Sono necessari chiaramente ulteriori contributi per estendere l’uso del GH ad una categoria di pazienti sicuramente a rischio di ridotta tolleranza glucidica e di diabete mellito: è doveroso valutare preliminarmente lo stato glicometabolico prima dell’avvio del trattamento monitorandolo periodicamente per tutta la sua durata. GH si esplicherebbe attraverso un catabolismo ridotto delle proteine, l'aumento della sintesi delle proteine, la mobilizzazione del grasso e la conversione degli acidi grassi a coenzima A, con aumento del deposito di glicogeno. Teoricamente, se la sintesi delle proteine e l'azoto totale del corpo possono essere aumentati in pazienti con il MC tramite l'uso di dosi soprafisiologiche di GH, questo può essere favorevole in questi pazienti per la riabilitazione nutrizionale ed il trattamento del ritardo di crescita. L’eventuale uso concomitante dei glucocorticoidi determina un razionale ancora più forte per il trattamento con GH. Inoltre, considerate le interferenze negative dell’infiammazione cronica sul sistema IGF – IGFBP recentemente dimostrate, la terapia con GH potrebbe agire positivamente ripristinando le alterazioni indotte dalla flogosi. Un primo studio pilota pediatrico (15) ha messo in evidenza il positivo effetto della terapia con GH su accrescimento staturale, metabolismo osseo e composizione corporea nei bambini prepuberi con MC corticodipendente. Di contro in un altro studio pilota (16) il GH somministrato a dosi soprafisiologiche (0.05mg/kg/die) non avrebbe effetti positivi sulla crescita, neppure se addizionato alla terapia nutrizionale. Anche se nel complesso i risultati sembrano incoraggianti emerge chiaramente la necessità di avere a disposizione maggiori studi per estendere l’uso del GH a questa categoria di pazienti le cui problematiche sono sicuramente complesse. Morbo di Crohn e GH La scarsa crescita staturale è fino ad oggi una delle complicanze più frequenti del Morbo di Crohn (MC) in età pediatrica. In circa l’88% dei bambini con MC alla diagnosi si rileva un rallentamento della velocità di crescita a livelli inferiori al 3° centile. Durante il percorso clinico il 30-40% dei pazienti pediatrici continua ad avere un grave ritardo di crescita, che nel 17% dei casi rimane permanente. Questa complicanza spesso si associa ad un ritardo della maturazione scheletrica e quindi dello sviluppo puberale (12-13). L’eziologia del ritardo di crescita è multifattoriale. Le principali cause sono: non adeguata introduzione calorica giornaliera con un aumentato fabbisogno, malassorbimento con eccessiva perdita gastrointestinale, infiammazione cronica. Analogamente alla fibrosi cistica, anche nel MC proprio quest’ultima sarebbe responsabile della scarsa crescita ,a conferma dell’interrelazione esistente fra citochine pro-infiammatorie e fattori di crescita (10-14). Sebbene le moderne strategie terapeutiche (trattamento nutrizionale specifico terapie farmacologiche anti-infiammatorie e immunomodulatori), abbiano influenzato positivamente l’accrescimento staturo-ponderale di questi pazienti, tuttavia il ritardo accrescitivo persiste nel 20-25% di loro (13). Risultati incoraggianti sono scaturiti dall’uso dell’ormone della crescita nel MC. E’ stato dimostrato che la terapia con GH stimola la sintesi proteica durante la nutrizione parenterale ipocalorica sia in individui malati critici che in buona salute. L’effetto del Bibliografia 35 1. Ulinski T, Mohan S, Kiepe D, Blum WF, Wingen AM,Mehls O, Tonshoff B. Serum insulin-like growth factor binding protein (IGFBP)4 and IGFBP-5 in children with chronic renal failure: relationship to growth and glomerular filtration rate. The European Study Group for Nutritional Treatment of Chronic Renal Failure in Childhood. Germany Study Group for Growth Hormone Treatment in Chronic Renal Failure. 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La prima segnalazione di poliendocrinopatie autoimmuni risale al 1855 da parte di Thomas Addison, che descrisse la coesistenza di insufficienza surrenalica, anemia perniciosa e vitiligo in un medesimo paziente. Successivamente sono stati segnalati numerosi altri casi che hanno permesso di comprendere e classificare la cosiddetta “Sindrome poliendocrina autoimmune”, che è stata riscontrata con variabile frequenza in condizioni che coinvolgono progressivamente organi endocrini e organi non endocrini. Le principali forme cliniche sono raggruppabili in 2 tipi: il tipo 1 con insorgenza in età pediatrica, ed il tipo 2 con insorgenza in età adulta. Nelle Tabelle 1 e 2 sono riportate le principali caratteristiche delle 2 forme. Tabella 1. Caratteristiche cliniche della sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1. Età di insorgenza Pediatrica Rapporto f / m 1.5/1 Trasmissione genetica Autosomica recessiva: cromosoma 21q22.3 Associazione con HLA Nessuna Componenti endocrin Ipoparatiroidismo Morbo di Addison Tireopatia autoimmune Diabete Mellito Tipo 1 Ipogonadismo (60% > 13a) Componenti non Endocrine Candidosi muco-cutanea Anemia perniciosa Vitiligo (8-9%) Epatite cronica attiva Alopecia Malassorbimento Distrofia smalto dentario Distrofia ungueale Sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 Il primo caso di sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 è stato descritto nel 1929 e riportava un bambino con tetania cronica da ipoparatoiroidismo associata a candidosi mucocutanea. La sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1, detta anche APECED (Autoimmune Polyendocrinopathy-CandidiasisEctodermal Dystrophy) é un disordine autosomico recessivo caratterizzato dalla associazione di manifestazioni autoimmuni a carico di alcune ghiandole endocrine e di patologie di natura infettiva, prima fra tutte l'infezione persistente o ricorrente da Candida della cute e/o delle mucose (candidosi mucocutanea cronica). L'APECED è una condizione che può interessare sia casi isolati sia più componenti di una stessa famiglia. Poiche l'APECED è caratterizzata da una grande variabilità fenotipica era stato inizialmente ipotizzato una eziopatogenesi poligenica, ma in seguito è stato identificato un solo gene responsabile della malattia nelle varie etnie esaminate, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 21 (q22.3), nella regione posta tra D21S49 e D21S71 e Tabella 2. Caratteristiche cliniche della sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 2. 37 Età di insorgenza Adulta Rapporto f / m 1.8/2.1 Associazione con HLA DR3/DQB1*0201 Componenti endocrine Morbo di Addison Tireopatia autoimmune Diabete Mellito Tipo 1 Ipogonadismo Ipopituitarismo (ipofisite) Componenti non endocrine Vitiligo Anemia perniciosa Morbo celiaco Alopecia Miastenia gravis Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) delle ghiandole endocrine e si manifesta ad un’età compresa fra 3 mesi e 44 anni, solitamente prima dei 15 anni. La comparsa di ipoparatiroidismo in epoca neonatale richiede diagnosi differenziale con la sindrome di Di George, la malattia di Kenney-Caffey e la sindrome di Bakarat. Istologicamente le paratiroidi presentano atrofia ed infiltrato di cellule mononucleate. Clinicamente sono presenti parestesie, ipereccitabilità neuromuscolare, ipotensione, malassorbimento intestinale con steatorrea. Gli esami di laboratorio mostrano ipocalcemia associata ad iperfosfatemia e bassi livelli di paratormone, ipocalciuria ed iperfosfaturia; la funzionalità renale è normale. In una percentuale variabile dall’11 al 38 % dei casi sono stati evidenziati anticorpi anti-paratiroide mediante immunofluorescenza. Più recentemente sono stati descritti anticorpi diretti contro il recettore calcio-sensibile. La terapia dell’ipoparatoridismo si basa su calcio e vitamina D. In caso di ipocalcemia acuta è necessaria l’infusione endovenosa di Calcio gluconato. L'iposurrenalismo, che nella sua manifestazione meno grave può causare una sindrome di affaticamento cronico, è di solito la terza componente dell’APECED a comparire in senso cronologico. Compare fra i 6 mesi ed i 40 anni, con un’età media di 14.6 anni, e interessa dal 22% alla totalità dei pazienti; sono affetti soprattutto i soggetti di razza ebraica, e meno frequentemente i nordeuropei. Istologicamente si osserva infiltrato linfocitario ed atrofia ghiandolare, quest’ultima confermata anche dalla tomografia assiale computerizzata. I segni ed i sintomi clinici sono conseguenti al deficit combinato di glucocorticoidi, mineralcorticoidi ed androgeni. Clinicamente è riferita debolezza, astenia, malessere, apatia, calo ponderale ed anoressia. L’astenia aumenta con l’esercizio fisico e si risolve con il riposo. La malattia può evolvere insidiosamente sino alla crisi surrenalica, scatenata da differenti fattori (infezioni, stress, interventi chirurgici) e che costituisce un’emergenza endocrinologica talora così grave da causare la morte del paziente. I sintomi gastrointestinali sono rappresentati da nausea, vomito, dolori addominali e diarrea alternata a stipsi. L’ipotensione è il sintomo cardiovascolare, l’ipoglicemia è il principale dato metabolico alterato, conseguente a deficit di cortisolo e aumentata utilizzazione periferica del glucosio. Sono inoltre presenti iponatriemia, ipocloremia e iperkaliemia con ridotta osmolarità plasmatici. Anticorpi anti-21 idrossilasi sono presenti nel 48% dei pazienti in età pediatrica. In molti casi è presente iperpigmentazione cutanea per aumentati livelli di propiomelaocortina, ACTH, ‚-lipotropina, melatonina, o per azione combinata dei suddetti peptidi. L’iperpigmentazione è localizzata in aree già scure (areole mammarie, nevi genitali esterni), oppure in aree esposte al sole o soggette a microtraumi. Caratteristica è l’iperpigmentazione delle pieghe palmari e delle cicatrici. Può essere presente deficit di cortisolo, di aldosterone o di entrambi. L'insufficienza surrenalica riscontrata in pazienti con APECED è primaria, pertanto la diagnosi si basa sul riscontro di bassi livelli di cortisolemia con elevate concentrazioni di ACTH. In casi borderline occorre effettuare test di stimolo sembra essere coinvolto nella selezione negativa e nell’induzione di anergia timica.. Il gene è stato chiamato AIRE (AutoImmune REgulator), e codifica per una proteina nucleare di 545 aminoacidi. L’espressione clinica della malattia dipende dalla presenza della mutazione su entrambi gli alleli del gene AIRE. I genitori dei pazienti affetti sono portatori di un solo allele mutato e non presentano segni o sintomi riferibili alla malattia. Il meccanismo fisiopatologico della sindrome poliendocrinopatica autoimmune tipo 1 è correlato ad anomalie della normale tolleranza immunitaria, che determinano la formazione di anticorpi contro determinati antigeni tissutali quali recettori di superficie, enzimi intracellulari, ormoni proteici secreti dalle cellule endocrine. L’APECED rappresenta pertanto la prima malattia autoimmune caratterizzata da mutazione di un singolo gene. La sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 è malattia rara, e presenta una frequenza compresa fra 1:9000 negli Ebrei Iraniani e 1:14.400 in Finlandia. In Italia la frequenza varia da 1:25.000 in Sardegna e 1:200.000 nel Veneto. Il rapporto femmine/maschi è compreso fra 0.8 e 2.4, a seconda delle popolazioni esaminate. Aspetti clinici Le manifestazioni cliniche maggiori della sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 (APECED) sono la candidosi mucocutanea cronica, l'ipoparatiroidismo e l'insufficienza surrenalica. Per formulare diagnosi clinica di APECED devono essere presenti due di queste tre condizioni morbose. Nella maggior parte dei casi la prima manifestazione clinica è la candidosi mucocutanea, seguita dall'ipoparatiroidismo e successivamente dalla insufficienza surrenalica. Più precoce è la comparsa di una delle condizioni morbose caratterizzanti la malattia, più numerose saranno le patologie che si svilupperanno nel corso del follow-up. La candidosi mucocutanea cronica è la più frequente delle tre manifestazioni maggiori, si può manifestare già nei primi mesi di vita, e presenta un picco di incidenza entro i primi 2 anni di età. Sono interessate cute, unghie, mucosa orale, esofagea e vaginale. La candidosi pseudomembranosa orale è la lesione che appare per prima ed è stata osservata in più del 90% di tutti i casi di candidosi mucocutanea cronica. Altrettanto comuni sono le onicomicosi. che vanno dalla semplice distrofia e decolorazione dell'unghia fino a formazione di escrescenze ipercheratosiche. Un'interessante caratteristica clinica è che, seppur in presenza di estese infezioni della bocca, della cute, delle unghie, è rara la candidosi profonda. Sono stati descritti tuttavia casi di encefalite, meningite ed endoftalmite da Candida. La candidosi mucocutanea è dovuta ad un deficit selettivo delle cellule T nei confronti della Candida. La risposta delle cellule B è invece normale, con conseguente assenza di candidosi sistemica. La terapia antimicotica con itraconazolo è più efficace nella candidosi ungueale rispetto alle forme con interessamento mucosale. L'ipoparatiroidismo in genere è la prima manifestazione a carico 38 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Le poliendocrinopatie autoimmuni Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) con ACTH. La diagnosi dì deficit di aldosterone si basa sul riscontro di incapacità a trattenere sodio. La terapia sostitutiva dell’insufficienza surrenalica comprende idrocortisone, da non sospendere soprattutto in caso di stress o malattie intercorrenti; in tali situazioni può essere necessario aumentare la dose del farmaco o ricorrere alla somministrazione endovenosa. La determinazione del cortisolo urinario è parametro utile per valutare l’appropriatezza terapeutica. I pazienti con le prime due manifestazioni di APECED andrebbero controllati con la ricerca degli anticorpi anti-surrene per valutare la possibilità di un'evoluzione verso l'insufficienza surrenalica. Se soltanto queste tre malattie possono considerarsi componenti fondamentali dell'APECED, lo spettro delle manifestazioni cliniche minori associate è assai ampio ed include: 1) altre endocrinopatie autoimmuni (ipogonadismo ipergonadotropo. diabete mellito tipo 1, malattie della tiroide e dell'ipofisi); 2) malattie gastrointestinali autoimmuni o immunomediate (gastrite cronica atrofica, anemia perniciosa, malassorbimento, epatite cronica attiva); 3) malattie autoimmuni della cute (vitiligine); 4) distrofia ectodermica (alopecia, displasie dentarie, cheratocongiuntivite); 5) difetti immunologici (dell'immunità umorale e cellulare). Tra le endocrinopatie su base autoimmune è frequente l'ipogonadismo ipergonadotropo, più frequente nelle femmine e caratterizzato da amenorrea primaria o secondaria, elevati livelli di gonadotropine e bassi livelli di estrogeni sierici. L'esame istologico dell’ovaio mostra ipoplasia tessutale ed infiltrato linfocitario dei follicoli in via di sviluppo. Può residuare sterilità. Altre manifestazioni endocrine sono il diabete mellito tipo 1, secondario a distruzione autoimmune delle cellule ‚ pancreatiche (fino al 12% dei casi), malattie autoimmuni della tiroide quali tiroidite di Hashimoto (dal 4 al 36% dei casi) ed ipofisite autoimmune (7% dei casi), caratterizzate da presenza di anticorpi circolanti contro le rispettive ghiandole endocrine. Tra le malattie gastrointestinali autoimmuni o immunomediate sono da ricordare: l'epatite cronica attiva, che può interessare il 5-31% dei pazienti e presentare diversi livelli di gravità (da asintomatica a fulminante) e che può condizionare la prognosi dell'APECED, l'anemia perniciosa, la gastrite cronica atrofica, e il malassorbimento che si presenta con episodi ricorrenti di diarrea e /o steatorrea e che è stato descritto con una frequenza elevata (18-22% dei casi). Il malassorbimento può essere dovuto ad una grande varietà di cause quali l'enteropatia autoimmune, il morbo celiaco, l’insufficienza pancreatica, le infezioni intestinali da Candida o da Giardia e la linfangiectasia intestinale. La distrofia ectodermica riguarda soprattutto unghie e smalto dentale. L'ipoplasia dello smalto dentario interessa solo i denti permanenti. Può essere severa ed è indipendente dalla comparsa dell' ipoparatiroidismo. Fanno parte del quadro della distrofia ectodermica anche l'ipotricosi fino all'alopecia totale e la cheratocongiuntivite, il cui primo sintomo è la fotofobia e che si diagnostica sulla base del riscontro di opacità corneali grigiastre, irregolari, lentamente confluenti. Alterazioni immunologiche Alla base della candidosi mucocutanea cronica, che è una delle tre componenti fondamentali deIl'APECED, è stato ipotizzato ci fosse un difetto immunologico. In particolare si è pensato ad un difetto dell'immunità cellulo-mediata e sono stati identificati diversi profili di deficit immunologico di differente gravità nei pazienti con candidosi mucocutanea cronica. Nel 1981 è stata documentata una risposta cutanea ritardata difettosa o assente nei confronti di alcuni antigeni (Candida, streptochinasi, streptodornasi, tubercolina e alcuni funghi patogeni). Nel 1989 è stato descritto un caso di CMC con deficit di IgG2 e di IgG4. Nel 1990 è stato evidenziato che mentre l'immunità umorale era nella norma, l' immunità cellulare mostrava una diminuzione del rapporto CD4/CD8 proprio nei pazienti con maggiori complicanze di tipo infettivo. Nella metà dei casi la candidosi mucocutanea cronica è associata ad endocrinopatia. E' stata ipotizzata l'esistenza di un difetto di immunoregolazione alla base da una parte dell'infezione cronica da Candida e dall'altra responsabile delle manifestazioni autoimmuni. Autoanticorpi e autoantigeni Numerosi autoanticorpi organo e non-organo specifici sono stati descritti nel siero di pazienti con APECED. Il loro significato patogenetico non é noto. Nonostante non sia stata dimostrata una stretta correlazione fra sintomatologia clinica e riscontro di autoanticorpi, la presenza dell'anticorpo organo-specifico può avere un significato predittivo. Trattamento Nell'APECED il trattamento delle endocrinopatie, che consiste nella sostituzione ormonale, ha condotto a notevole miglioramento della sopravvivenza neg1i ultimi 25 anni. Il trattamento non è dissimile da quello raccomandato per le singole endocrinopatie. Di più difficile soluzione sembrerebbe il trattamento della candidosi mucocutanea cronica. Tre possibili strategie per affrontare la malattia sono rappresentate da: 1) la terapia antimicotica; 2) la terapia immunomodulante; 3) l'associazione tra le prime due. Un' importante considerazione da prendere in esame nella strategia terapeutica della candidosi mucocutanea cronica è che, presentando la malattia un deficit immunitario, le infezioni tendono a ripetersi se non si interviene sul sottostante deficit . Il successo della terapia immunologica dipende dall'identificazione e dalla caratterizzazione del difetto immunologico. 39 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 2 10. L’associazione fra insufficienza surrenalica e tiroidite cronica è stata descritta nel 1926 in 2 pazienti. Sei anni dopo è stata segnalata la coesistenza di diabete mellito, insufficienza surrenalica e tiroidite. E’ stata definita Sindrome di Schmidt dal nome dell’autore che per primo la descrisse. L’incidenza della Sindrome di Schmidt è 1.4-4.5 casi/100.000, e interessa soprattutto donne in età adulta (media 35 anni), con rapporto femmine/maschi di 2.7-3.7, e assai raramente è osservata in pazienti pediatrici. Le manifestazioni cliniche maggiori includono insufficienza surrenalica, tireopatie autoimmuni, diabete mellito autoimmune. Una caratteristica del diabete mellito è l’esordio clinico variabile, che può essere acuto oppure a lenta evoluzione come nel LADA (Latent Autoimmune Diabetes of the Adult). Sindrome poliendocrina autoimmune tipo 2 è incompleta qualora siano presenti oltre all’insufficienza surrenalica anche anticorpi antitiroide e/o anti ‚-cellula pancreatica, o qualora tireopatie autoimmuni o diabete mellito siano associati ad anticorpi anti-21 idrossilasi, indipendentemente dalla anamnesi familiare. Per quanto concerne le poliendocrinopatie autoimmuni è importante considerarle malattie croniche caratterizzate da un lungo periodo di latenza asintomatico, e che nella loro storia naturale si possono identificare 3 fasi: 1) potenziale; 2) subclinica e 3) clinica. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 21. Ahonen P. Autoimmune polyendocrinopathy-candidosis-ectodermal dystrophy (APECED): autosomal recessive inheritance. Clin Genet 1985; 27:535-42. 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Di Giulio, F. Chiarelli Clinica Pediatrica, Chieti Riassunto Il diabete tipo 1 (T1D) e il diabete di tipo 2 (T2D) sono stati considerati sino a qualche anno fa due entità patologiche separate. Tuttavia tale classificazione è stata messa in discussione da evidenze recenti di “overlapping” fra le due forme di diabete. In particolare sono stati rilevati casi di diabete in bambini e adolescenti in cui si evidenziava la presenza di markers di autoimmunità rivolti verso la beta-cellula pancreatica (anticorpi GAD, IA-2 e IAA) seppure in numero ridotto rispetto al T1D, associati a alcune caratteristiche tipiche del diabete di tipo 2 (obesità ed insulino resistenza) e a familiarità per T2D e/o T1D. Questo diabete “atipico” della popolazione pediatrica è stata definito con termini diversi: “diabete doppio (DD)” o “diabete ibrido” o “diabete tipo 1.5”. L’insulino resistenza e l’obesità associati alla presenza di almeno un marker dell’autoimmunità pancreatica definiscono questa “nuova” forma di diabete. Varie ipotesi sono state proposte per spiegare la relazione tra le varie forme di diabete (T1D, DD, T2D) e l’aumento globale di diabete nella popolazione pediatrica. Data la variabilità fenotipica delle due forme di diabete sarebbe opportuno un follow-up attento dei pazienti già diagnosticati come T1D e T2D al fine di valutare l’eventuale evoluzione clinica in diabete ibrido e l’eventuale associazione con fattori di rischio al fine di stabilire strategie preventive appropriate. In attesa di studi a lungo termine il pediatra o lo specialista endocrinologo dovranno promuovere variazioni dello stile di vita dei bambini e adolescenti al fine di prevenire lo sviluppo di diabete in età pediatrica e di patologie cardiovascolari in età adulta. Parole chiave: diabete doppio, diabete ibrido, diabete tipo 1, diabete tipo 2, adolescenti. Diagnosis of causes of diabetes in children Summary Until few years ago, type 1 diabetes (T1D) and type 2 diabetes (T2D) were considered two different entities. However, this classification has been questioned by recent evidence of an "overlapping" between the two forms of diabetes. The incidence of both T1D and T2D is increasing worldwide in children. This increase parallels the rise of childhood obesity and insulin resistance. Some authors have proposed the so-called “accelerator hypothesis “ to partially explain these findings, postulating that insulin resistance accelerates immune-mediated diabetes, leading to a rise in the incidence of diabetes and to an overlapping between T1D and T2D. This condition, named double diabetes or hybrid diabetes, is characterized by a high frequency of family history of T2 D; a reduced influence of the major T1D genetic susceptibility genes (MHC); hyperglycaemia; insulin resistance and markers of ß-cell autoimmunity (GAD, IAA, IA2). Given the phenotypic variability of the two forms of diabetes, a careful follow-up of patients already diagnosed with T1D and T2D is important to assess any changes in clinical hybrid diabetes and to detect any association with risk factors. Pending long-term studies, the paediatrician should promote changes in lifestyle for children and adolescents in order to prevent the development of paediatric diabetes and cardiovascular disease in adulthood Key words: “double diabetes”, “Hybrid diabetes”, children, adolescents, type 1 diabetes, type 2 diabetes. 41 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) L’iperglicemia cronica oltre a determinare un’inefficienza funzionale delle ß-cellule, si è rilevata in grado di indurre una “up-regulation” immunologica: è stata infatti dimostrato che elevati livelli di glicemia determinano un’aumentata espressione dell’autoantigene GAD 65 (8) a livello pancreatico, che favorirebbe l’aggressione immunitaria e quindi la distruzione della beta-cellula. Altri fattori possono determinare una aumentata richiesta di produzione di insulina e favorire lo scatenamento dell’autoimmunità: accrescimento, infezioni, stress psicologici, fattori ambientali (9-11). Recentemente Wilkin (10) ha proposto la cosiddetta ‘Accelerator Hypothesis’ che propone un’interpretazione eziopatogenetica unitaria dei due tipi principali di diabete e delle sue forme intermedie. L’ipotesi prevede l’interazione di tre fattori, uno intrinseco, l’apoptosi, e due acquisiti, l’insulino-resistenza e l’aggressione autoimmune. Questi fattori in modo integrato e consecutivo, determinerebbero la comparsa dell’iperglicemia. Il primo fattore ‘acceleratore’ è rappresentato dalla costituzionale (fisiologica) perdita di beta cellule attraverso il meccanismo dell’apoptosi; il secondo ‘acceleratore’ è costituito dall’insulino-resistenza periferica, mentre il terzo ‘acceleratore’, presente solo in quella quota di individui geneticamente suscettibili, è rappresentata dall’aggressione autoimmune. Il meccanismo apoptotico da solo, in assenza degli altri 2 ‘acceleratori’, difficilmente porta al diabete mellito, ma, se lo provoca, lo provoca solo in soggetti anziani, quelli in cui l’apoptosi delle beta cellule ha raggiunto lo stadio più avanzato e dove la secrezione residua di insulina non è più in grado di mantenere un buon compenso glico-metabolico. Il secondo ‘acceleratore’ è l’insulino-resistenza, che è il perno su cui si poggia l’ipotesi. L’insulino-resistenza, infatti, è il risultato di una predisposizione genetica, a cui contribuiscono numerosi Il diabete tipo 1 (T1D) e il diabete di tipo 2 (T2D) sono stati considerati sino a qualche anno fa due entità patologiche separate. Tale distinzione si basava su caratteristiche cliniche e patogenetiche diverse, nonché dal riscontro di infiltrazione linfocitaria delle insule pancreatiche, dalla presenza di markers di autoimmunità pancreatica e dall’associazione con specifici antigeni di istocompatibilità di classe II (HLA). Questa classificazione è stata messa in discussione da evidenze recenti di “overlapping” e/o di coesistenza delle due forme di diabete in età pediatrica. (1-3) In particolare è stato rilevato un aumento di casi di T1D e di T2D in bambini e adolescenti in soprappeso o obesi prima di sviluppare iperglicemia. In tali pazienti è stata evidenziata la presenza di marker di autoimmunità rivolto verso la beta-cellula pancreatica (anticorpi GAD, IA-2 e IAA) seppure in numero ridotto rispetto al T1D, associati a alcune caratteristiche cliniche tipiche del diabete di tipo 2 (obesità ed insulino resistenza) e familiarità per T2D e/o T1D. Questo diabete “ atipico” nella popolazione pediatrica è stata definito per la prima volta da Libman e Beker (4) “diabete doppio” e successivamente “diabete ibrido” o “diabete tipo 1.5” o LADY ( Latent Autoimmune Diabetes in Youth) da altri autori (3). L’insulino resistenza e l’obesità associati alla presenza di almeno un marker dell’autoimmunità pancreatica definiscono questa “nuova” forma di diabete. Varie ipotesi sono state proposte per spiegare una possibile relazione tra diabete di tipo 1, diabete di tipo 2 e diabete di tipo ibrido dato l’aumento globale di diabete nella popolazione pediatrica. Lo studio EURODIAB ha documentato, nei paesi europei, un costante aumento di incidenza del T1D in un relativamente breve arco di tempo (dieci anni), in particolare si è verificato un aumento di incidenza del T1D nella fascia d’età 0-14 aa (5-6). La più alta incidenza è stata registrata in Finlandia ed in Sardegna: 40.9 /100000/anno, e 37.8 /100000/anno, rispettivamente. Tale aumento di incidenza, avvenuto in così breve tempo, nonché il dato epidemiologico dell’anticipo dell’età di esordio, fa ipotizzare un importante ruolo dei fattori ambientali. Anche l’incidenza del T2D in età pediatrica è aumentata vertiginosamente negli ultimi 10 anni, in parallelo all’aumento registrato, soprattutto nei paesi industrializzati, di insulino- resistenza ed obesità (7). Dati epidemiologici rilevano non solo la coesistenza di T1D e T2D nelle famiglie di pazienti con T1D ma anche l’eccessiva frequenza di familiarità per T2D nei bambini con T1D rispetto alla popolazione generale supportando l’ipotesi dell’esistenza del diabete doppio. Qualunque sia la causa, il diabete nelle sue varie forme è la risultante di un disordine ß-cellulare, che comporta la compromissione del controllo glicemico. La perdita della funzione ß-cellulare, o l’impossibilità di far fronte ad un fabbisogno insulinico aumentato a causa dell’insulino resistenza, comportano l’esordio dell’iperglicemia clinicamente manifesta. Tabella 1. Principali caratteristiche del diabete ibrido. Storia familiare per T2D e/o T1D Insorgenza in età infantile e durante l’adolescenza Ridotto numero di caratteristiche cliniche tipiche del T1D, quali perdita di peso, poliuria/polidipsia, insorgenza di chetoacidosi Presenza di caratteristiche cliniche del T2D Ipertensione arteriosa Dislipidemia Aumentato BMI con aumentato rischio per complicanze microvascolari rispetto ai bambini con T1D classico La terapia insulinica non è la terapia primaria rispetto ai soggetti affetti da T1D Presenza di autoanticorpi rivolti verso le isole pancreatiche, ma in numero ridotto rispetto ai soggetti affetti da T1D 42 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Dal diabete di tipo 2 al diabete di tipo ibrido Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) geni, e a cui si associano fattori acquisiti, come il peso corporeo e l’attività fisica. Il soprappeso (o la franca obesità) e la scarsa attività fisica sono fenomeni sempre più diffusi nei paesi industrializzati e rappresentano i principali fattori di rischio per l’insorgenza del diabete di tipo 2. A questi fattori si deve però associare la comparsa degli autoanticorpi diretti contro le beta cellule, i marcatori del diabete di tipo 1. Evidenze di ciò sono state documentate sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica. Inoltre l’aumento ponderale e quindi dell’insulino resistenza nei soggetti a rischio di T1D favorirebbe il processo distruttivo delle beta cellule per lo stato proinfiammatorio indotto dall’obesità. È noto che le adipocitochine e altre molecole immunomodulatrici indotte dalla stato di obesità determinano anche effetti immunologici sulle cellule T (con shift della risposta Th1/Th2), sulle cellule macrofagiche e sulla produzione di altre citochine amplificando ed automantenendo il processo infiammatorio e quindi favorendo l’aggressione autoimmune pancreatica. Inoltre un altro possibile meccanismo che lega insulino resistenza e autoimmunità è la documentata correlazione positiva tra titolo di GAD e incremento di BMI dovuta probabilmente ad aumentata espressione citochino indotta (Il1, IFNg, TNFa). Presi nel loro insieme, questi dati tendono a confermare il ruolo centrale dell’insulino-resistenza come fattore di rischio in comune tra il diabete di tipo 1 e di tipo 2. Le due forme si distinguerebbero, quindi, sul grado di modulazione del terzo acceleratore, l’aggressione autoimmune, che agirebbe come un ulteriore catalizzatore sulla perdita complessiva del patrimonio beta cellulare dell’individuo. Fattori genetici modulerebbero quindi l’innesco e l’aggressione autoimmune e l’evoluzione clinica del diabete (11). Ulteriori e più ampi studi sono fondamentali nella popolazione pediatrica al fine di comprendere l’etiopatogenesi e l’evoluzione clinica di questa nuova forma di diabete. Allo stato delle conoscenze attuali bisogna promuovere campagne di prevenzione dell’obesità in bambini e adolescenti e di cambiamento nello stile di vita al fine di prevenire lo sviluppo, in età pediatrica di patologie metaboliche associate ad un aumentato rischio cardiovascolare in età adulta, come il diabete ibrido e la sindrome metabolica Bibliografia 1. Gale EA. Declassifying diabetes. Diabetologia 2006; 49:1989-95. 2. Becker DJ et al. Changing phenotypes of IDDM. Is it type 1 or type 2? Pediatric Research 2001; 49:93. 3. Pozzilli P, Buzzetti R. A new expression of diabetes: double diabetes. Trends Endocrinol Metab 2007; 18:52-57. 4. Libman IM, Becker DJ. Coexistence of type 1 and type 2 diabetes mellitus: “double” diabetes? Pediatr Diabetes 2003; 4:110-3. 5. The DIAMOND PROJECT GROUP. Incidence and trends of childhood type 1 diabetes worldwide 1990-1999. Diabet Med 2006; 23:857-866. 6. Onkamo P, Vaananen S, Karvonen M, Tuomilehto J. Worldwide increase of type I diabetes-analysis of the data on published incidence trends. Diabetologia 1999; 42:1395-1403. 7. Hypponen E, Virtanen SM, Kenward MG, Knip M, Akerblom HK. Obesity, increased linear growth, and risk of Type I diabetes in children. Childhood Diabetes in Finland Study Group. Diabetes Care 2000; 23:1755-1760. 8. Bjork E, Kampe O, Karlsson FA et al. Glucose regulation of the autoantigen GAD65 in human pancreatic islets. JClin Endocrinol Metab 1992; 75:574-576. 9. Dahlquist GG. 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Sono necessari tuttavia ulteriori studi a lungo termine di follow-up in pazienti di età pediatrica con sospetto diabete ibrido al fine di stabilire dei protocolli adeguati. Inoltre data la variabilità fenotipica delle due forme di diabete sarebbe opportuno un follow-up attento dei pazienti già diagnosticati come T1D e T2D al fine di valutare l’eventuale evoluzione clinica in diabete ibrido e l’eventuale associazione con fattori di rischio al fine di stabilire strategie preventive appropriate. Dott.ssa Annalisa Blasetti Clinica Pediatrica, Ospedale Policlinico Via dei Vestini, 5 - 66100 Chieti Tel: + 39 0871/358021-358015 Fax: +39 0871/ 574831 e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] 43 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Ipertireotropinemie in età pediatrica e adolescenziale G. Chiumello, G. Weber, A. Passoni, F. Cortinovis, S. Rabbiosi Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza Università Vita-Salute San Raffaele, Milano Si definisce Ipertirotropinemia e/o Ipotiroidismo Subclinico (IS) una condizione clinica caratterizzata da valori lievemente elevati di ormone tireostimolante (TSH) con normali livelli sierici di ormoni tiroidei liberi, in assenza di specifica sintomatologia clinica. Nella popolazione adulta si stima un’incidenza del 4-10%, con predominanza femminile, che raggiunge il 7-26% negli anziani (1). Per quanto riguarda l’età pediatrica ci sono pochi dati epidemiologici disponibili in letteratura; un recente studio condotto su una popolazione di 1,327 adolescenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni ha evidenziato la presenza di ipotiroidismo subclinico nell’1.7 % dei soggetti (2). Le cause dell’ipertireotropinemia sono molteplici e variano in base all’età di insorgenza. Il riscontro può essere occasionale o in seguito al dosaggio della funzionalità tiroidea per familiarità positiva per tireopatia o per la comparsa di sintomatologia aspecifica quale stanchezza, difficoltà a perdere peso, tireomegalia, scarso accrescimento staturo-ponderale. In età peripuberale la causa più frequente dell’IS acquisito è la tiroidite cronica autoimmune. Tale patologia è la causa principale di disfunzione tiroidea nella popolazione pediatrica, con un’incidenza di 1.3% tra gli 11 e i 18 anni, e frequentemente può essere associata ad altre patologie autoimmuni (diabete mellito autoimmune, celiachia, poliendocrinopatie). La prevalenza nel sesso femminile è 4-7 volte maggiore rispetto al sesso maschile e nel 30-40 % dei pazienti vi è un’anamnesi familiare positiva per tireopatia. Il segno più frequente associato alla tiroidite autoimmune è il gozzo, spesso asintomatico. La positività degli anticorpi anti-tireoperossidasi (Ab-TPO), anti-tireoglobulina (Ab-TGA) ed il dato ecografico patognomonico permettono di porre la diagnosi, tuttavia la maggior parte dei pazienti si presenta in eutiroidismo o con un ipotiroidismo subclinico. È meritevole di nota il fatto che nella popolazione pediatrica ed adolescenziale il rischio di progressione dalla forma subclinica ad un ipotiroidismo franco è meno comune rispetto che in età adulta (3). L’ipotiroidismo subclinico inoltre è frequentemente riscontrato in paziente portatori di cromosomopatie (ad esempio sindrome di Down, di Turner, di Klinefelter, di Williams) o sindromi malformative complesse. In particolare patologie tiroidee sono spesso associate alla sindrome di Down; i bambini con tale sindrome sono geneticamente predisposti a sviluppare patologie autoim- muni quali la celiachia, il diabete e l’ipotiroidismo su base autoimmune, tuttavia non è infrequente riscontrare quadri di IS idopatico, con negatività degli anticorpi anti-tiroide. Con l’aumento dell’incidenza dell’obesità nella popolazione pediatrica deve essere inoltre posta sempre maggiore attenzione alle alterazioni della funzionalità tiroidea nei soggetti sovrappeso. Un recente studio ha infatti definito in tali pazienti una prevalenza dell’ipotiroidismo subclinico o franco pari al 19.5%, con valori di TSH direttamente correlati ai livelli di insulinemia a digiuno e al grado di insulino-resistenza (4). La letteratura non evidenzia dati uniformi e di sicura interpretazione in merito all’eventuale reversibilità di tale disfunzione tiroidea con il calo ponderale. Non può infine essere sottostimata la possibile interferenza con la funzionalità tiroidea di alcune sostanze presenti nell’ambiente, dell’alimentazione o di farmci. Innanzitutto è da menzionare la carenza di iodio, che a livello mondiale costituisce tuttora la più frequente causa di ipotiroidismo e gozzo e che ha visto negli ultimi anni attuare strategie preventive di salute pubblica come la commercializzazione del sale iodato (5). È inoltre noto che alcuni farmaci possono alterare la sintesi, il trasporto e il metabolismo degli ormoni tiroidei. In particolare l’assunzione di acido valproico può determinare un quadro di ipertireotropinemia, con aumento dei soli livelli sierici di TSH in presenza di normali valori di FT3 e FT4, ed in un recente studio tale alterazione è stata evidenziata nel 25.2% dei pazienti trattati (6). Sostanze voluttuarie come il fumo di sigaretta possono accentuare disfunzioni tiroidee altrimenti silenti. Oltre alle forme di ipertirotropinemia acquisita è importante effettuare un attento follow-up nei soggetti con anamnesi neonatale positiva per alterazioni della funzionalità tiroidea. È documentato in letteratura che bambini con ipertirotropinemia neonatale “transitoria”, più comunemente associata al passaggio transplacentare di auto-anticorpi materni, deficit o eccesso materno di iodio o esposizione del feto a farmaci anti tiroidei, tendono a presentare anche negli anni successivi lievi alterazioni della funzionalità tiroidea in un’alta percentuale di casi che varia dal 36 al 70% (7). Un’attenzione particolare deve inoltre essere posta nei confronti degli ex prematuri, infatti un recente studio che ha esaminato la funzionalità tiroidea all’età di 6-10 anni ha riscontrato valori di tireotropina superiori ai limiti di normalità in più del 10 % dei casi (8). 44 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Ipertireotropinemie in età pediatrica e adolescenziale Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Bibliografia I casi di ipertireotropinemia neonatale persistente riconoscono spesso come base eziologica un’alterazione molecolare, frequentemente in eterozigosi, in uno dei geni coinvolti nell’ormonogenesi tiroidea. In letteratura sono state descritte mutazioni a carico del gene del recettore del TSH (TSHr) e dei geni DUOX2 DUOXA2. Tali quadri sono più frequentemente caratterizzati da una ghiandola tiroidea in sede, valori di TSH borderline o modestamente elevati e possono risultare negativi allo screening neonatale (9, 10). Da una casistica di 58 pazienti seguiti presso il nostro Centro per ipotiroidismo congenito con ghiandola in sede, che hanno effettuato la rivalutazione eziologica dopo il terzo anno di vita, è emerso che ben il 44% di essi presentava dopo sospensione della terapia sostitutiva con L-Tiroxina una ipertireotropinemia persistente. Nella letteratura specialistica non c’è ancora accordo in merito alla necessità della terapia ormonale sostitutiva nei quadri di funzionalità tiroidea borderline e di ipotiroidismo subclinico, ed in età pediatrica non esistono linee guida in proposito. Nella pratica clinica è infatti comunemente accettata la terapia con LTiroxina qualora i livelli di TSH si confermino > 10 mU/L. Numerosi studi condotti nella popolazione adulta hanno dimostrato che una condizione prolungata di IS può comportare effetti dannosi a carico dell’apparato cardiocircolatorio, aumentando il rischio di aterosclerosi e di infarto miocardico (11), a carico dell’assetto lipidico, con aumento del colesterolo totale e delle LDL (12), a carico del sistema nervoso centrale e a carico del muscolo. Alcuni studi randomizzati e a doppio cieco hanno dimostrato che esiste un miglioramento dopo terapia ormonale sostitutiva, ma non tutti i lavori confermano tale effetto. Queste alterazioni non sono tutt’ora evidenziate nella popolazione pediatrica, tuttavia diversi autori ne postulano la presenza mettendo in luce i benefici che potrebbero derivare dal trattamento con L-tiroxina (13). Oltre ai sovracitati effetti a lungo termine deve essere considerato anche il rischio di sviluppare noduli o gozzo multi nodulare, legato prevalentemente alla presenza di familiarità per patologie tiroidee oppure alla presenza di difetti dell’ormonogenesi. Anche alterazioni molto lievi della funzionalità tiroidea devono essere dunque valutate con estrema attenzione, poichè il trattamento sin dai primi anni di vita con L-tiroxina potrebbe risultare un mezzo efficace per la prevenzione in età adulta dello sviluppo di patologia nodulare. Per quanto riguarda i difetti di organificazione dello Iodio sono comparsi recentemente diversi lavori che confermano come tali alterazioni possano causare nel tempo un’aumento delle dimensioni della ghiandola tiroidea, con lo sviluppo di un gozzo (14, 15). Sicuramente le conoscenze attuali impongono un attento monitoraggio nel tempo con particolare attenzione al quadro ecografico, che fornisce informazioni in merito allo sviluppo di iperplasia del tessuto tiroideo, e alle situazioni di aumentata richiesta ormonale quali lo sviluppo puberale, in cui l’ipertireotropinemia potrebbe evolvere verso un ipotiroidismo conclamato. 1. Canaris GJ, Manowitz NR, Mayor G et al. The Colorado thyroid disease prevalence study. Arch Intern Med. 2000 Feb; 160(4):526-34. 2. Wu T, Flowers JW et al. Subclinical thyroid disorders and cognitive performance among adolescents in the United States. BMC Pediatrics 2006 Apr; 6:12. 3. Moore DC Natural course of subclinical hypothyroidism in childhood and adolescence. Arch Pediatr Adolesc Med 1996; 150:293-297. 4. Michalaki MA, Vagenakis AG et al. Thyroid function in humans with morbid obesity. Thyroid 2006 Jan; 16(1):73-8. 5. 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L’ipertrofia testicolare compensatoria (CTH) in bambini con criptorchidismo monolaterale è una condizione relativamente rara, caratterizzata dall’aumento di volume del testicolo presente in scroto di almeno 2DS rispetto alle dimensioni normali per età. L’obiettivo di questo lavoro è valutare la concentrazione di inibina B e la risposta ipofisaria dopo stimolazione con GnRH-analogo, in bambini prepuberi con monorchidia e CTH, in modo da poter definire se tele fenomeno è vantaggioso per la loro futura fertilità. Materiali e Metodi. 11 bambini monorchidi e 15 bambini sani, prepuberi, reclutati presso il nostro centro in cooperazione con la divisione di Chirurgia dell’ospedale di Trento tra il 2004 e il 2007, sono stati sottoposti a un completo esame clinico e al dosaggio di inibina B. Tutti i monorchidi sono stati inoltre sottoposti a ecografia testicolare e a un test di stimolo con GnRH-analogo. Risultati. I monorchidi con ipertrofia testicolare compensatoria presentavano un volume testicolare significativamente maggiore rispetto a quello dei controlli (p<0.001). I valori di inibina B riscontrati nei monorchidi si sono rivelati più bassi rispetto a quelli dei controlli sani (p<0.001). Una correlazione positiva tra inibina B e volume testicolare è stata evidenziata nei monorchidi (p<0.05). La risposta al test con GnRH-analogo ha permesso di evidenziare una correlazione negativa tra il picco di FSH dopo stimolo e il rapporto tra inibina B/volume testicolare (p<0.05). Conclusioni. L’ipertrofia compensatoria, seppur precocemente formatasi, non è in grado di prevenire un’insufficienza testicolare in età adulta. Possiamo quindi suggerire una tempestiva valutazione ormonale, completa di dosaggio dell’inibina B, in soggetti monorchidi con ipertrofia compensatoria alla pubertà, da associare all’analisi della conta spermatica. Parole chiave: inibina B, ipertrofia compensatoria, monorchia, volume testicolare, infertilità, FSH. Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx Summary Manca titolo in inglese Objective. To investigate the prepubertal serum inhibin B levels in monorchid boys with compensatory testicular hypertrophy (CTH) and in a population of prepubertal boys without endocrinological disorders; and to evaluate the response to gonatropin releasing hormone agonist (Gn-RH-a) stimulation in monorchid boys. Patients and Methods. we analysed 11 monorchids with CTH and for comparison 15 healthy boys. All monorchid boys underwent a Gn-RH-a test. Inhibin B measurement was performed at basal time in patients and controls. Results. There was a significant difference in mean testicular volume between monorchid and healthy children (p<0.001), with CTH boys evidencing larger testicle volume. The inhibin B levels were significantly lower in CTH boys than in the control group (p<0.001). The FSH peak response to GnRH-a stimulation was significantly negatively correlated to inhibin B/testicular volume ratio (p<0.05). Conclusions. Monorchid infants with CTH showed low inhibin B and high FSH levels. Our finding may confirm the hypothesis that CTH is unable to prevent testicular insufficiency in adulthood. We suggest an early hormonal evaluation of boys with CTH at puberty, together with early sperm analysis. Key words: Inhibin B, FSH, testicular volume, compensatory testicular hypertrophy, prepubertal monorchids. 46 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio? Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Introduzione a feedback negativo tra inibina B e FSH (12,13). Pertanto al momento attuale l’inibina B viene considerata un marker di spermatogenesi migliore rispetto ad altri ormoni come FSH nella valutazione dell’infertilità maschile (14). Alla nascita, i livelli di inibina B sono simili a quelli presenti negli adulti (12). Nei primi mesi di vita è nota, infatti, una transitoria attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi che permette il riscontro di valori elevati di gonadotropine, inibina e testosterone, con un picco intorno al terzo mese di vita (8,12). Successivamente i livelli di questi ormoni decrescono fino a rientrare nei range di normalità per l’infanzia; in particolare, i livelli di testosterone e di gonadotropine si riducono entro il 6°-9° mese di vita fino a divenire normalmente soppressi in condizioni basali, mentre quelli di inibina si riducono entro i 2 anni di età, raggiungendo il nadir ai 4 anni di vita, rimanendo, però, misurabili per tutta l’infanzia e aumentando nuovamente fino a raggiungere un picco alla pubertà (12). Nei maschi con criptorchidismo bilaterale sono stati segnalati livelli estremamente elevati di gonadotropine e livelli soppressi di inibina B (15). Con tali premesse l’obiettivo di questo breve scritto è valutare la concentrazione di inibina B e la risposta ipofisaria dopo stimolazione con GnRH-analogo, in bambini prepuberi con monorchidia e ipertrofia testicolare compensatoria. L’ipertrofia testicolare compensatoria (CTH) è una condizione relativamente rara nell’infanzia, descritta per la prima volta da Laron e Zilka nel 1969, in pazienti con criptorchidismo monolaterale (1). Tale condizione, definita come l’aumento di volume del testicolo presente in scroto di almeno 2DS rispetto alle dimensioni normali per età, sembra essere un fenomeno compensatorio alla ridotta presenza di parenchima testicolare controlaterale (1). E’ stato inoltre, riportato che il grado di ipertrofia testicolare è inversamente correlato con volume di tessuto testicolare presente dal lato in cui il testicolo non è palpabile (2). A conferma di ciò, una associazione tra ipertrofia testicolare compensatoria e monorchidismo è stata descritta per la prima volta nel 1989 (3). E’ stato da noi già precedentemente dimostrato (4), in accordo con quanto affermato da Laron et al. (5), che maschi prepuberi con criptorchidismo unilaterale e ipertrofia compensatoria presentavano un’ipersecrezione di FSH sia basale che post stimolo con LHRH. Inoltre, deficit di testosterone sierico e quadri di oligospermia e/o azoospermia sono stati segnalati da Laron in maschi puberi con ipertrofia compensatoria del testicolo supponendo che l’ipertrofia testicolare non sia in grado di prevenire un’insufficienza funzionale del testicolo al momento della pubertà (6). Appare interessante valutare la funzione testicolare dei pazienti con ipertrofia compensatoria e in particolare studiare il comportamento di sostanze, come l’inibina B, che attualmente in età adulta vengono considerate markers di fertilità (7). L’inibina B, l’unica forma di inibina funzionalmente attiva nei maschi, è un ormone glicoproteico, costituito da una subunità ? e da una subunità ?-B, che durante l’infanzia viene prodotto interamente ad opera delle cellule del Sertoli (8-11). Con la pubertà si ha un cambio nella regolazione della produzione di inibina B nella cui sintesi intervengono anche le cellule germinali e, dal III stadio puberale di Tanner, si attiva un sistema di regolazione Figura 1 Tabella 1. Parametri clinici e livelli di inibina B dei soggetti monorchidi e dei controlli esaminati. Pazienti n Età (anni) Volume Testicolare (mL) Inibina B (pg/mL) Monorchidi 11 8.3 (5.9-12.0) 9.8±3.8 24.3±15.3 2.4±1.1 Controlli 15 8.5 (3.3-11.8) 4.9±0.8* 84.8±45.8* 16.9±7.4* *monorchidi vs controlli P<0.001 I dati relativi all’età sono espressi come mediana più range, tutti gli altri come media ± deviazione standard. 47 Inibina B/Volume testicolare (pg/mL) (/mL) Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Materiali e Metodi triptorelina (Decapeptyl, Ferring GmbH, Kiel, Germany), somministrata tramite iniezione sottocutanea al dosaggio di 0.1 mg/m2. I dosaggi di LH, FSH e testosterone sono stati effettuati prima dell’iniezione dell’analogo, e dopo 4 ore dalla stessa. L’inibina B è stata misurata solo al momento basale. Per ragioni etiche, il test da stimolo non è stato eseguito nei soggetti sani di controllo i quali sono stati sottoposti a un completo esame clinico, e ad un prelievo venoso per il dosaggio dell’inibina B basale. FSH, LH e testosterone sono stati misurati con un metodo immunoenzimatico in fase solida (Immunolite 2000 analyzer). Le corrispondenti sensibilità analitiche erano: 0.1 mIU/mL, 0.05 mIU/mL e 0.15 ng/mL. L’inibina B è stata determinata tramite un test ELISA (DSL, TX) con sensibilità analitica pari a 7 pg/mL. Soggetti 11 bambini monorchidi con ipertrofia compensatoria e 15 bambini sani, tutti prepuberi, sono stati analizzati in cooperazione presso il DH di Endocrinologia della Clinica Pediatrica di Verona e il Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’ospedale Santa Chiara di Trento tra il 2004 e il 2007. I soggetti monorchidi presentavano un solo testicolo alla palpazione e l’assenza del testicolo controlaterale è stata confermata chirurgicamente mediante intervento eseguito mediamente a 1.3 ± 0.6 anni di età. La diagnosi di ipertrofia compensatoria del testicolo palpabile è stata posta mediante esame clinico ed ecografia testicolare in seguito al riscontro di un volume testicolare superiore alle 2DS rispetto alle dimensioni testicolari medie per età. I bambini del gruppo di controllo non presentavano alterazioni endocrinologiche, malattie acute o croniche e, al momento della visita, non assumevano alcuna terapia. Essi sono stati esaminati durante un normale controllo auxologico. Lo studio è stato condotto in ottemperanza alla II Dichiarazione di Helsinki e i genitori dei bambini hanno firmato un apposito consenso informato con cui acconsentivano alla partecipazione del proprio figlio allo studio stesso. Analisi statistica I parametri individuali sono stati espressi come media ± deviazione standard o come mediana con range, dove appropriato. Un test U di Mann-Whitney è stato usato per calcolare la differenza nei valori ormonali tra i bambini criptorchidi e i controlli. Le possibili correlazioni tra livelli ormonali (inibina B, FSH, LH e testosterone), volume testicolare e rapporto inibina B/volume testicolare sono state calcolate usando il coefficiente di correlazione di Spearman. Abbiamo usato il rapporto tra inibina B e somma del volume testicolare come indice di attività testicolare. Il volume testicolare è stato calcolato come somma dei dei volumi testicolari dei due lati nei controlli, come dato singolo nei monorchidi. Il rapporto tra inibina B/volume testicolare deriva dalla semplice divisione tra i valori di inibina B (pg/mL) e la somma del volume testicolare (mL). L’analisi statistica è stata eseguita tramite il programma SPSS per Windows, versione 14.0. La significatività statistica è stata fissata a P<0.05. Metodi Tutti i soggetti sono stati sottoposti a un completo esame clinico eseguito dallo stesso medico con determinazione degli stadi puberali secondo i criteri di Tanner. Il volume testicolare è stato misurato utilizzando un orchidometro di Prader e calcolato come somma dei volumi testicolari destro e sinistro. Tutti i bambini monorchidi sono stati inoltre sottoposti ad ecografia testicolare, realizzata dallo stesso radiologo, che permetteva di escludere altre anomalie testicolari, e a un test di stimolo con GnRH-analogo. Per tale test è stato usato come analogo la Risultati I valori di inibina B riscontrati nei bambini monorchidi (n=11) si sono rivelati significativamente più bassi rispetto a quelli di controlli sani della stessa età (n=15) (Tabella 1 e Figura 1). Inoltre il volume testicolare dei soggetti con ipertrofia compensatoria si è rivelato significativamente aumentato rispetto a quello dei controlli (p<0.001) e conseguentemente il rapporto tra inibina B/volume testicolare era significativamente più basso nei soggetti con ipertrofia compensatoria se paragonato a quello evidenziato nei bambini sani Figura 2 48 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza L’ipertrofia compensatoria del testicolo è un vantaggio? Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) cati (27). Nei soggetti adulti, un feedback negativo tra FSH e inibina B è presente da metà pubertà e i soggetti con normale fertilità presentano più elevati livelli di inibina B con inferiori livelli di FSH, se comparati con quelli di soggetti infertili (28,29). Inoltre, l’inibina B correla con il volume testicolare e riflette la funzione delle cellule del Sertoli (30, 31). Una dubbia correlazione tra FSH e inibina B si è ipotizzata già prima della pubertà, e la presenza di un meccanismo a feedback tra ipofisi e gonadi nel periodo neonatale è stata descritta nel neonato gonadectomizzato che presenta livelli estremamente elevati di gonadotropine (10, 24). I risultati del nostro lavoro, al contrario confermano l’assenza di correlazione tra FSH e inibina B in bambini monorchidi prepuberi con ipertrofia compensatoria, ma hanno permesso di identificare una relazione tra statisticamente significativa tra inibina B e volume testicolare, nonostante i bassi livelli da loro presentati. La spiegazione di tale fenomeno risiede, come già evidenziato istologicamente negli animali (17), nel fatto che l’ipertrofia compensatoria non sia associata a un apprezzabile aumento delle cellule del Sertoli ma piuttosto a un’ipertrofia delle stesse o a un’ipotetica fibrosi testicolare. Per motivi etici, vista l’assenza di alterazioni parenchimali all’ecografia testicolare, non abbiamo potuto eseguire in bambini prepuberi una biopsia testicolare del testicolo rimasto, e altri studi sono necessari per confermare tale nostra ipotesi. I nostri risultati confermano che l’ipertrofia compensatoria, seppur precocemente formatasi, non è in grado di prevenire un’insufficienza testicolare in età adulta. A conferma di ciò vi è l’evidenza che nostri pregressi pazienti, ora in età adulta, presentano problemi di fertilità. Possiamo perciò suggerire una tempestiva valutazione ormonale dei soggetti monorchidi con ipertrofia compensatoria alla pubertà, da associare all’analisi della conta spermatica. (p<0.001) (Tabella 1). L’ecografia testicolare eseguita nei monorchidi ha evidenziato, in ognuno, un’ecostruttura omogenea e l’assenza di anomalie parenchimali. In Figura 2 sono riportati i valori delle gonadotropine prima e dopo stimolo con GnRH negli 11 bambini criptorchidi. I valori di testosterone sia basali che dopo stimolo permanevano bassi (0.21±0.20 ng/mL e 0.27±0.20 ng/mL, rispettivamente). Tutti hanno mostrato una risposta prepubere al test con valori basali e post stimolo di gonadotropine aumentati rispetto a quanto riportato in letteratura per bambini prepuberi sani, in cui i livelli di LH e FSH basali erano di 0.6±0.1 e 0.9±0.1 mU/mL rispettivamente e aumentavano a 1.4±0.3 e 8.8±1.5 mU/mL (16). E’ stata evidenziata una correlazione positiva statisticamente significativa tra inibina B e volume testicolare (P<0.05, r=0.71) mentre una correlazione negativa statisticamente significativa è stata riscontrata tra il picco di FSH dopo stimolo con triptorelina e il rapporto tra inibina B/volume testicolare (P<0.05, r=-0.64). Discussione Questo studio, seppur con il limite di un ridotto numero di casi, dimostra che bambini con monorchia e ipertrofia compensatoria testicolare presentano valori di inibina B inferiori rispetto a una popolazione di controllo di bambini della stessa età. Inoltre il rapporto tra inibina B/volume testicolare è ridotto in tali pazienti se rapportato a quello di bambini sani privi di anomalie endocrinologiche. L’ipertrofia compensatoria è una condizione rara, studiata prevalentemente in modelli animali (17). Nei mammiferi, la rimozione di un testicolo provoca un’ipertrofia compensatoria con incremento del volume della gonade controlaterale, ma tale fenomeno compensatorio si ha solo quando la castrazione unilaterale avviene prima della pubertà. Alcuni studi hanno riportato normali livelli plasmatici di testosterone e un’adeguata conta spermatica in mammiferi adulti dopo emicastrazione, ma non è stato descritto alcun compenso della spermatogenesi in tali animali (18,19). Negli uomini è ben nota la correlazione monorchidismo-ipertrofia compensatoria (20,21). Dal punto di vista istologico tale fenomeno sembra conseguente all’aumento della lunghezza dei tubuli seminiferi, del numero totale delle cellule germinali e delle cellule del Sertoli con una ridotta apoptosi delle stesse (22-24). L’ipertrofia compensatoria sembra essere legata a un’alterazione del feedback ipofisario con conseguente ipersecrezione di FSH. E’ comunque ancora in dibattito l’accuratezza diagnostica del FSH come marker di una condizione istologica del testicolo, in quanto vi è una grande sovrapposizione nei livelli di FSH nei maschi con regolare o ridotta funzione testicolare (25,26). L’inibina B sierica è ipotizzata essere un marker più diretto della funzione testicolare rispetto al FSH nei soggetti adulti (25). Essa viene prodotta dalle cellule del Sertoli, parzialmente sotto l’influenza del FSH stesso, sebbene altri fattori paiono essere impli- Bibliografia 49 1. Laron Z, Zilka. 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Paolo Cavarzere Clinica Pediatrica Dipartimento Materno-Infantile e di Biologia-Genetica Università degli Studi di Verona, Verona, Italia 50 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Recenti progressi nell’imaging pediatrico adolescenziale Vincenzo Arcuri1,Pier Paolo Arcuri1, Giuseppe Raiola2, Maria Concetta Galati3 2 1 U.O.C. di Radiologia Diagnostica U.O.S. di Auxo-Endocrinologia e Medicina dell’Adolescenza – U.O.C. di Pediatria 3 Struttura Complessa di Ematoncologia Pediatrica Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro Riassunto L’imaging diagnostico ha subito negli ultimi anni notevoli progressi. Sin dagli anni novanta l’avvento di nuove tecnologie quali la Risonanza Magnetica(RM),la Tomografia Spirale multistrato (MDCT) e l’ecografia tridimensionale hanno rivoluzionato l’approccio diagnostico alla patologia pediatrico-adolescenziale. Anche la radiologia tradizionale, grazie all’introduzione della tecnologia digitale offre oggi maggiori informazioni diagnostiche, consentendo anche di ridurre la esposizione a radiazioni ionizzanti dei giovani pazienti, anche nel rispetto rispettando delle attuali norme in materia di radioprotezione. Parole chiave: imaging, RM, MDTC, eco 3D, PET/PET- CT. Pediatric imaging: what’s new Summary In recent years , pediatric imaging had many technological progresses. In nineteens ’s all imaging technologies had many implementation. Today MR, MDCT, Echo 3D and PET/PET-CT consents a revolutionary approach to pediatric adolescential pathology. Also digital radiographic technique offer some important diagnostic information and reduce exposure dose in order to radioprotection of pediatric age. Key words: imaging, MR, MDCT, echo 3D, PET/PET- CT. Introduzione Ecografia (US) L’avvento delle nuove tecniche di imaging cross-sectional (Risonanza Magnetica,Tomografia Computerizzata, Ecografia) hanno notevolmente implementato, a partire dagli anni novanta le possibilità diagnostiche prima legate alla radiologia tradizionale. Anche le tecniche cross-sectional nell’ultimo decennio hanno mostrato notevoli progressi tecnologici nonché metodologici legati all’uso di mezzi di contrasto di nuova tipologia e dedicati come nel campo ecografico. La stessa radiologia tradizionale, grazie all’impiego dei detettori digitali, ha nettamente migliorato le sue performances diagnostiche, ottenendo anche una riduzione della dose radiante ai i pazienti. I maggiori progressi diagnostici, in campo pediatrico-adolescenziale si sono ottenuti in campo neurologico, addomino-pelvico ed in oncologia, dove l’utilizzo di nuove apparecchiature quali PET e PET/CT ha radicalmente modificato l’approccio di imaging. La diagnostica ecografia oggi rappresenta in molte patologie l’approccio iniziale e spesso risolutivo in campo pediatrico-adolescenziale. L’ecografia degli organi pelvici e degli organi endocrini (tiroide,mammella,surreni) consente di supportare le diagnosi cliniche in molteplici patologia auxo-endocrinologiche. Inoltre grazie all’ausilio dell’EcoColorDoppler si può implementare lo studio ecografico in altre situazioni patologiche quali quelle dello scroto consentendo la visualizzazione oltre che delle strutture didimarie anche quelle extra-didimarie come per il varicocele. L’impiego di mezzi di contrasto ecografico (microbolle-Sonovue) implementa la diagnostica addominale e delle strutture superficiali, fornendo una migliore caratterizzazione diagnostica degli espansi a carico degli organi parenchimatosi in maniera semplice e soprattutto senza radiazioni ionizzanti. 51 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Radiologia tradizionale digitale PET e PET-CT L’utilizzo dei detettori digitali nelle apparecchiature di radiologia tradizionale ha di fatto determinato una svolta nel campo diagnostico con radiazioni ionizzanti. Infatti i progressi in questo campo hanno consentito di raggiungere due obiettivi principali: riduzione della dose al paziente per minore possibilità di errore tecnico e per fatti intrinseci all’apparecchiatura; miglioramento delle qualità diagnostiche per la possibilità di rielaborazione (post-processing) dell’immagine. Non è poi da trascurare anche l’aspetto informatico di supporto e trasferimento dell’immagine esattamente come avviene per tutte le altre tecnologie digitali (1). La Tomografia ad emissione positronica ha determinato un radicale cambiamento nella strategia diagnostica delle malattie sistemiche emato-oncologiche. Il principio su cui questa Tecnologia è basata è l’assunto che le cellule a maggio turn-over energetico, quindi anche quelle tumorali, assorbono in maggior quantità la sostanza che viene iniettata al paziente denominata FDG. Tale maggiore assorbimento viene registrato dalla apparecchiatura e riportata poi in immagine funzionale. L’indicazione principale è di stadiazione e follow-up delle malattie onco-ematologiche. Tomografia computerizzata (MDCT) Conclusioni Da quando le apparecchiature di Tomografia Computerizzata sono state implementate con la tecnologia multidetettore (MDCT) le problematiche connesse all’uso di questa tecnologia in campo pediatrico adolescenziale si sono ridotte, in specie la necessità di sedazione per evitare gli artefatti da scarsa collaborazione (2) e, parzialmente, l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Tuttavia,la diagnostica di maggior impatto oggi della MDCT è sicuramente quella toracica (3). Anche in campo addominale ed in particolare in quello urologico reno-surrenalico la MDCT ha oggi un ruolo diagnostico fondamentale grazie alla multiplanarietà diretta ricostruttiva che ha di fatto soppiantato le metodiche contrastografiche tradizionali (4). Il moderno Imaging diagnostico sta rapidamente modificando l’approccio a molteplici comportamenti clinici in campo pediatrico-adolescenziale. Ulteriori progressi sono all’orizzonte come ad esempio la Risonanza Magnetica a 3Tesla di campo (7), in tutte le modalità diagnostiche. Rimane fermo il principio che solo l’integrazione costante tra Clinico e Radiologo consente il miglior uso della tecnologia e soprattutto di conseguenza una efficacia terapeutica. Bibliografia Risonanza magnetica (MR) Le apparecchiature di Risonanza Magnetica di recente tecnologia,cosiddetta multicanale, consente di effettuare performances di elevato livello sia per la maggiore velocità nelle sequenze che nelle possibilità di usare sequenze e tecniche di esecuzione assolutamente sofisticate come ad esempio le sequenze dinamiche o la studio funzionale di diffusione- perfusione. Sicuramente la RM dimostra una particolare capacità risolutiva a livello del sistema encefalo-midollare essendo, in alcuni casi, l’esame d’elezione . Lo studio dell’ipofisi e dell’asse ipotalamo-ipofisario, nel sospetto di malattie endocrinologiche, è di fatto l’unico risolutivo. Non è poi da trascurare l’apporto diagnostico nel campo delle talassemie per la determinazione dell’accumulo tissutale del ferro (5). Altro campo d’interesse è quello della patologia muscolo-scheletrica, grazie all’introduzione di bobine sempre più sofisticate e tecniche di studio specifiche, in particolare nel campo delle neoplasie e degli staging per secondarismi ossei. In questo ultimo campo l’utilizzo di bobine cosiddette Whole-Body consente una panoramicità di visione dello scheletro, associata con un intrinseco dettaglio anatomico che rendono la RM competitiva con la scintigrafia ossea tradizionale. Un dettaglio non possibile con nessuna altra tecnica è possibile anche nello studio della cartilagine articolare (6). 1. Lederman HM,KhademianZP ,FeliceM et al. (2002) Exposure rate reduction fluoroscopy in pediatrica: Pediatr Radiol 12:844-848. 2. 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Vincenzo Arcuri Struttura Complessa di Radiologia Diagnostica A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro e-mail: [email protected] 52 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La terapia psichiatrica nell’adolescente Sara Matricardi, Francesco Chiarelli, Alberto Verrotti Clinica Pediatrica, Università di Chieti - Ospedale Policlinico Riassunto È noto che il processo di sviluppo segue una legge generale isomorfa nei vari sistemi concettuali di: sviluppo personale (ontogenesi), sviluppo sociale (etnogenesi), evoluzione della specie (filogenesi), formazione dei disturbi mentali (patogenesi): "il cambiamento avviene per complessificazione". Mentre la finalità del processo rimane comunque orientata al conseguimento della capacità di sostenere il compito evolutivo proprio dell’età considerata che nel periodo giovanile-adolescenziale prevede: distacco dalla dipendenza familiare, inserimento extrafamiliare efficace, ricerca di rapporti personali di intimità, trascendenza del sé mediante operazioni creative (opere, imprese, filiazione), ecc. In questa dimensione concettuale, quindi, l'adolescenza, nell'ambito dell'età evolutiva, è l'età del cambiamento, della trasformazione con proprie caratteristiche specifiche in quanto tempo di passaggio tra l'età infantile e quella adulta, entrambe molto più stabili. Il soggetto non è più bambino, ma non è ancora adulto. In definitiva nel rinnegamento dell'infanzia e delle sue concrete certezze, e nella ricerca della stabilità astrattiva dell'adulto si costituisce l'essenza stessa della adolescenza. In tal modo l'emergenza del disturbo mentale appare molto complessa potendo essere riferita sia a incapacità/insufficienza, sia a blocco/arresto evolutivo; ma anche a regressione dissociativa (disintegrazione) degli stadi di differenziazione già raggiunti. In tal modo si realizza una coesistenza frammentaria e caotica, priva di coordinazione integrativa, di capacità appartenenti a differenti stadi evolutivi, il che rende specifica la psicopatologia dell’adolescenza. Comprendere questo periodo transitorio e descriverne le caratteristiche costituisce impresa quanto mai ardua e piena di rischi sopratutto di tipo riduttivo. Di fronte agli incessanti cambiamenti, alle molteplici rotture, ai numerosi paradossi che configurano la specificità psicopatologica dell’adolescente, il clinico corre anch'egli alcuni rischi: medicalizzare un processo in sé sano, oppure teorizzare in modo artificioso, o, ancora, utilizzare modelli descrittivi riduttivi della varietà e variabilità della realtà concreta, oppure, infine, rinunciare alla comprensione per un più comodo accompagnamento empatico. Il modello terapeutico e di intervento clinico su percorsi sicuramente psicopatologici, deve tener conto delle caratteristiche specifiche dell’adolescenza e, quindi, porsi di fronte ad un riesame costante caso per caso dei modelli di lettura teorici per accedere con efficacia alla straordinaria caratterizzazione degli aspetti psicopatologici dell'adolescenza stessa. Senza alcuna pretesa di esaustività saranno illustrati alcuni modelli di comprensione della complessa fenomenologia adolescenziale ove i presidi farmacologici, psicoterapeutici, abilitativo-riabilitativi, che sostanziano l’intervento clinico, assumono identità proprie caso per caso nell’adattamento dei dosaggi, nella modulazione della relazione terapeutica, nella esatta definizione dello stadio di sviluppo della componente disfunzionale su cui si va ad interagire con strumenti abilitativi-riabilitativi. Parole chiave: incapacità/insufficienza, blocco/arresto evolutivo, regressione dissociativa (disintegrazione), psicofarmacologia, psicoterapia, terapia abilitativo-riabilitativa. Psychiatric therapy in adolescents Summary It is well know that the developmental process follows a general isomorphic law in varied conceptual systems of: personal development (ontogenesis), social development (ethogenesis), species evolution (phylogenesis), formation of mental disorder (pathogenesis): “the change happens for complexity”. While the purpose of the process is based on the ability to support the evolutional task that during the adolescence pro- 53 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) vides: the detaching from the family, to became part of an effective extrafamily context, to establish personal relationships and to look for original patterns. The adolescence represents the age of changes, with specific own aspects, between infancy and aduldhood, that are both more stable. In this way a mental desease appears very complex and it is represented by inability/inadequacy and also by developmental stop/arrest, or a dissociative regression (disintegration) of established phase. So that, there is a chaotic mix of different developmental phase, that gives specificity to adolescent’s psychopathology. To understand this particular period is more difficult for clinicians and there are many risks: to treat a normal process, or to underestimate a pathological process. The thepeutic approach has to consider the specific pattern of adolescence and the particular adolescent’s psychopathology. With this review we explain the complex adolescent phenomenology, her psychopharmacology, the psychotherapy approach and the rehabilitation treatment for some specific case. Key words: inability/inadequacy, developmantal stop/arrest, dissociative regression (disintegration), psychopharmacology, psychotherapy, rehabilitation treatment. Introduzione crescente interazione coordinativa dell’intero sistema per assimilazione, associazione, integrazione delle configurazioni cognitive, emotivo-affettive, linguistiche, motorie, sensoriali, sessuali, di relazione, proprie dello stadio precedente nelle configurazioni proprie dello stadio successivo. Si realizzano in definitiva cambiamenti di stadio evolutivo per complessificazione del sistema con inevitabile transito critico-conflittuale nel momento della integrazione delle competenze (2). Nel processo di sviluppo umano la condizione matura (adulta) è concepita dunque come più complessa delle precedenti in termini di autonomia organizzativa, autoregolazione morale delle azioni, capacità espressiva, adattamento attivo dell’individuo al proprio contesto di relazione, con la finalità di sostenere i compiti evolutivi che il ciclo vitale propone in ciascun periodo di tempo al singolo individuo (accrescimento, procreazione, integrazione scolastica, integrazione sociale, distacco emancipazione dalla famiglia, inserimento extrafamiliare,ecc.). Il “cambiamento per complessificazione”, tra l’altro, è una legge generale che regola i processi di sviluppo dei sistemi viventi applicabile a vari contenitori concettuali: sviluppo personale (ontogenesi), sviluppo sociale (etnogenesi), sviluppo della specie (filogenesi), formazione del disturbo mentale (patogenesi), sviluppo dei sistemi relazionali, ecc. Questa legge, inoltre, reca in posizione paradigmatica le inevitabilità della crisi di transizione nelle fasi di passaggio di stato per consentire la riorganizzazione del sistema ad un più alto livello di complessità nelle competenze funzionali. La finalità dell’intero processo di sviluppo è individuabile nell’acquisizione di capacità e competenze per sostenere la serie di compiti evolutivi che il contesto di relazione propone in ciascun periodo di tempo al singolo individuo ed al sistema di relazioni. Come ogni forma di “therapeia”, anche la terapia psichiatrica dell’adolescenza si propone senz’altro il ripristino e/o la gestione di quelle variazioni funzionali peggiorative dell’equilibrio salute inteso nel suo senso olistico più ampio possibile. Anche in questo ambito disciplinare è quindi necessario disporre non solo di presidi terapeutici efficaci ma anche di definire con chiarezza la differenza tra condizione armoniosa di salute e stato disarmonico patologico, che occorre colmare. Ecco che allora diventa immediatamente necessario considerare il processo diagnostico che rende possibile pensare queste differenze. Così si giunge ad evidenziare che la psicopatologia dell’adolescente ha caratteristiche sue proprie che la differenziano non solo da quella adulta ma anche da quella del bambino (1). La psicopatologia adulta soprattutto è caratterizzata, tra altre peculiarità, da una evidente carattere di staticità, struttura compiuta, a differenza di quella infantile costantemente evolutiva e di quella adolescenziale caratterizzata da uno specifico dinamismo. Come noto lo sviluppo dell’individuo è il risultato di un processo che procede da una condizione originaria indifferenziata di estrema dipendenza eteronoma, caratteristica dell’età infantile, verso una condizione di indipendenza ed autonomia, considerata matura, propria dell’età adulta, finalizzata alla armoniosa integrazione dell’individuo con il proprio contesto di relazione socio-culturale ed ambientale ed alla generatività. Questo processo avviene attraverso gradi successivi (stadi evolutivi) di differenziazione, identificazione ed autoregolazione attiva di funzioni, capacità e/o competenze adattative, sotto l’influenza spesso determinante del contesto di relazione sociale (cultura). Durante tale progressione organizzativa non si determina sostituzione o perdita di contenuti (competenze), bensì una 54 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La terapia psichiatrica nell’adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Così ogni stadio di sviluppo, individuato come specifico contenitore di competenze, riconosce alla persona-sistema bisogni e modalità di realizzazione specifici. Nello sviluppo umano occorre inoltre considerare che la maturità delle varie funzioni (motoria, cognitiva, emotivo-affettiva, relazionale, sessuale, ecc.) avviene in tempi successivi e diversi nell’arco del ciclo vitale individuale con specifico ritardo della maturazione sessuale rispetto a quella psicosomatica. In tal modo diventa ulteriormente intuibile che i bisogni individuali e le competenze esprimibili, così come i determinanti sintomatologici, sono diversi a seconda dello stadio evolutivo che si considera. Infatti la maturità di una funzione può realizzarsi in una organizzazione di personalità ancora in evoluzione per altri diversi aspetti. Così, ad esempio, una procrastinata dipendenza del bambino dalle cure parentali necessarie per la sopravvivenza rende meno flessibile in alcuni casi il complesso legame di attaccamento genitore-figlio al momento della emancipazione scolastica o adolescenziale, quindi determinando una inevitabile condizione di difficoltà evolutiva, molto più marcata della crisi di transizione fisiologica. Mentre una condizione di disagio “disagio evolutivo” per quanto sopra detto è in certo modo inevitabile nei periodi di transizione critica da uno stadio evolutivo al successivo, l’emergenza della “difficoltà evolutiva” o del “disturbo mentale pd.” possono essere ascrivibili anche ad uno dei seguenti fenomeni: insufficienza, incapacità di assolvere ai compiti evolutivi propri dello stadio di sviluppo considerato; blocco-arresto evolutivo a stadi di sviluppo precedenti; regressione dissociativa (disintegrazione) dagli stadi di differenziazione già raggiunti (in effetti in questo caso non si realizza ad es. il ritorno dell’adulto al bambino, bensì l’individuo smette di essere adulto) (3). Questo modello dello sviluppo umano per complessificazione comporta necessariamente una procrastinata dipendenza del bambino dalle cure parentali per la sopravvivenza; dipendenza che si realizza mediante un complesso legame di attaccamento genitore-figlio; altra conseguenza è la necessità di una organizzazione sociale dei gruppi umani con ulteriore influenza sulla differenziazione individuale da parte della specifica cultura di gruppo, intesa come insieme di miti, riti, memorie, regole e modelli di comportamento propri di ogni comunità. Diventa chiaro così che un disturbo di linguaggio si realizzerà nel periodo di sviluppo linguistico e successivamente precostituirà una condizione di debolezza che condizionerà uno o più disturbi di apprendimento (durante lo sviluppo degli apprendimenti), che favorirà ulteriormente l’emergere di disturbi più o meno marcati dell’umore o disfunzioni sessuali o misuso/abuso di sostanze nelle età successive, ecc. Accanto al modello evolutivo di psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza occorre poi prendere in considerazione le più classiche eziologie genetiche e/o connatali (ritardo mentale, disordini neuropsicologici, ADHD, ecc.) o traumatiche (fisiche, relazionali, psicologiche) (bullying, disturbo post traumatico da stress, ecc.), ovvero disturbi che vedono i due modelli intersecarsi, sostenersi, potenziarsi a vicenda come nei disturbi generalizzati di sviluppo nelle varie espressioni di gravità o la temibile psicosi infantile. In definitiva un processo diagnostico che possa effettivamente “pesare” la differenza tra psicopatologia e salute mentale deve necessariamente tener conto dell’individuo in quanto tale, del suo sistema relazionale della fase di sviluppo (N.B. ritardi di sviluppo) e quindi del complesso sindromico che caratterizza il disturbo o la difficoltà (4). Questo insieme di informazioni inoltre dovrà necessariamente essere valutato e confrontato con i manuali diagnostico-statistici per una classificazione nosografica accettata da organizzazioni scientifiche internazionali (evidence based). Quando questo complesso processo valutativo si conclude si può ipotizzare una strategia di intervento terapeutico che dispone in questo capitolo disciplinare di tre capisaldi fondamentali: intervento farmacologico, intervento psicoterapeutico, intervento abilitativo-riabilitativo. La terapia psicofarmacologica Negli ultimi anni la ricerca sulla psicofarmacologia pediatrica si è molto evoluta sia per l’utilizzo di nuove sostanze ad azione recettoriale, sia per le migliorate conoscenze di psicopatologia e di psicodiagnosi (5). Tuttavia le preoccupazioni sulla sicurezza sono certamente essenziali soprattutto quando si considera l’esposizione dei bambini e degli adolescenti agli agenti farmacologici; ogni volta sia possibile è necessario valutare la possibilità di usare alternative e gli interventi psicosociali dovrebbero essere pensati prima di scegliere un trattamento farmacologico. Comunque per molti adolescenti una farmacoterapia attentamente monitorata e utilizzata con cautela e “scientificamente informata” può produrre miglioramenti significativi in molte condizioni psicopatologiche. Nel panorama della ricerca farmacologia la psicofarmacologia pediatrica può essere considerata una nuova area d’interesse; l’uso pediatrico dei farmaci psicotropi è aumentato molto durante gli ultimi 10 anni, specialmente negli Stati Uniti con conseguente incremento delle ricerche sull’efficacia e sulla sicurezza. Clinical trials sono stati condotti per testare l’efficacia di stimolanti, antidepressivi, stabilizzanti dell’umore e antipsicotici in bambini e in adolescenti affetti da una varietà di condizioni come l’ADHD, la depressione, il doc o il disturbo d’ansia, il disturbo bipolare, l’autismo o altri disturbi pervasivi dello sviluppo. Malgrado o a causa di questo aumentato utilizzo e l’espansione delle basi della ricerca, l’uso pediatrico dei farmaci psicotropi rimane oggetto di un aperto dibattito e di controversia. Mentre vi è una minima resistenza a prescrivere antibiotici per il tratta- 55 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) definitive in nessuna direzione positiva o negativa e molti studi propongono valutazioni discriminatorie con esiti incerti. Trattandosi di sostanze chimiche estranee all’organismo che inducono variazioni funzionali (terapeutiche) i farmaci possono presentare per definizione problemi di sicurezza. Ma gli studi sono ancora in fase preliminare ed i potenziali rischi-benefici dovrebbero essere pesati nel contesto della severità del disordine da trattare e dei possibili approcci alternativi. Quindi i potenziali rischi di un trattamento devono essere valutati anche verso la possibile evolutività negativa di una psicopatologia non trattata. La domanda “se è giusto o sbagliato somministrare farmaci psicotropi durante l’età dello sviluppo” non può essere banalizzata con una risposta positiva o negativa. Un approccio complesso,quindi, forse diventa indispensabile nella decisione se un trattamento psicofarmacologico possa essere appropriato per un bambino e diversi elementi devono essere considerati, incluso il tipo, la severità e la durata dei sintomi, il livello funzionale danneggiato a causa dei sintomi e la possibilità di un trattamento con interventi psicosociali (6). Molte famiglie e molti medici preferiscono l’uso della psicoterapia quando possibile, lasciando in seconda linea il trattamento farmacologico; ma anche in questo caso non si può generalizzare, infatti ci sono chiaramente condizioni come gli stati psicotici, i disturbi bipolari che devono essere primariamente trattati con farmaci. Sono ormai numerosi gli studi che comparano interventi psicosociali, psicoterapeutici e psicofarmacologici in numerose condizioni psicopatologiche e a questi specifici studi occorre riferirsi senza poter definire degli “a priori” di intervento/non intervento che a questo punto non appartengono a criteri scientifici ma a “malpractice” e ignoranza dei presidi più opportuni. In ogni caso l’importanza critica di una sicura e comprensiva valutazione diagnostica è il primo indispensabile passo verso uno specifico trattamento così come il costante aggiornamento, anche divulgativo dei soli presidi efficaci, è determinante per la cura di molte condizioni morbose (7). Ulteriore considerazione riguarda il tipo e la severità del sintomo che deve essere documentato preferibilmente utilizzando strumenti razionali. A tutto quanto detto occorre aggiungere anche una rivalutazione periodica per monitorare non solo efficacia, ma anche efficacia Vs effetti collaterali. Appare di tutta evidenza che la pratica della psicofarmacologia pediatrica richiede diverse abilità, tra cui la conoscenza della psicopatologia dello sviluppo e la psicofarmacologia specifica possono non essere decisive soprattutto se uno degli obiettivi della terapia in questo settore scientifico è integrare il sapere scientifico con i bisogni specifici dell’individuo e della sua famiglia, che richiede anche competenze psicosociali spesso ancora più complesse. Il principio generale dell’evidence-based medicine è dunque quello di prendere le decisioni cliniche basate sulla migliore evidenza disponibile della loro efficacia. È corretto far notare tutta- mento delle infezioni, broncodilatatori per l’asma o anticonvulsivanti per l’epilessia, il concetto che i farmaci psicotropi possano essere utilizzati per il trattamento dei disturbi mentali è apparentemente più difficile da accettare. In parte questa resistenza sembra correlata al fatto che la malattia mentale non ha markers biologici che possano essere utilizzati a scopi diagnostici e che la diagnosi è correntemente basata sulla descrizione di una fenomenologia comportamentale. Inoltre, per i comuni disordini psichiatrici, come l’ADHD, la depressione e l’ansia esiste un continuum con la normalità e quindi è cresciuta la preoccupazione di medicalizzare il comportamento normale o limite. Fin tanto che è sembrato arbitrario diagnosticare un disturbo basato sulla presenza di un certo numero di sintomi su una lista, come correntemente accettato per il disturbo mentale nell’adulto. Ma per molti disturbi i sintomi non danno la diagnosi, ma inducono malfunzionamenti socio-relazionali i quali ultimi portano alla diagnosi. Inoltre, la continuità tra “normalità” e “psicopatologia” non è specifica della psichiatria infantile, o della psichiatria in generale, bensì trattasi di una peculiarità che caratterizza molti tratti della patologia umana. In parallelo e per contro molti progressi sono stati fatti nel documentare le basi neurobiologiche della psicopatologia, sebbene tali scoperte non sono ancore state “tradotte” in markers diagnostici affidabili. Un secondo argomento contro il trattamento pscicofarmacologico negli adolescenti consiste nel ritenere i disturbi psichiatrici come problematiche esclusivamente “psicologiche”, con una diretta ed esclusiva connessione con fattori ambientali negativi e trattabili di conseguenza con interventi psicologici. Ma anche questa obiezione contrasta sempre più con l’aumentata evidenza che la tradizionale dicotomia dei fattori psicologici vs i biologici non è valida: infatti tutti gli eventi psicologici sono correlati a substrati biologici e le caratteristiche delle interazioni dell’ambiente spesso sono geneticamente determinate Un altro preminente concetto è che i farmaci psicotropi potrebbero essere non sicuri per l’uso nei bambini e incidere negativamente sullo sviluppo. In merito a questo non si hanno prove Tabella 1. Elementi che influenzano le decisioni terapeutiche. Tipo di sintomi Severità dei sintomi Severità del danno associato ai sintomi Evidenza dell’efficacia e sicurezza delle terapia Tipologia dei potenziali effetti collaterali Preparazione del medico Esperienza clinica del medico con la specifica terapia Preferenze, aspettative e valutazioni della famiglia Considerazioni economiche 56 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La terapia psichiatrica nell’adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 2. Livelli di evidenza dell’efficacia della terapia Livello A L’efficacia è provata da 2 o più studi clinici randomizzati Livello B L’efficacia è supportata da un solo studio clinico randomizzato Livello C L’efficacia è suggerita da studi osservazionali, studi incontrollati o da case report via che l’evidence-based medicine e le sue applicazioni agli adolescenti psichiatrici costituiscono un ideale verso cui tendere, infatti, troppo spesso la scelta terapeutica è stata condizionata da scelte economiche piuttosto che da dati scientifici. Così molti farmaci psicotropi sono stati sviluppati per il trattamento degli adulti e una volta commercializzati, sono stati utilizzati anche per il trattamento dei bambini e degli adolescenti, senza un’adeguata evidenza empirica della loro efficacia e sicurezza nei soggetti pediatrici. Negli ultimi anni, comunque, una considerevole espansione della ricerca in psicofarmacologia pediatrica ha dato le informazioni necessarie sugli effetti dei farmaci psicotropi negli adolescenti, permettendo così lo sviluppo di linee guida evidence-based. Le decisioni terapeutiche, come se trattare o quale trattamento usare, sono probabilmente influenzate da diversi fattori e considerazioni (Tabella 1). L’evidenza scientifica è solo uno di questi fattori, anche se dovrebbe essere il più influente. Il termine “evidence” può avere diversi significati in accordo con il contesto nel quale viene impiegato. L’evidenza che un trattamento produce dati effetti significa che la relazione causa-effetto si è stabilita tra l’intervento e l’outcome. Generalmente vengono paragonati gli effetti su un gruppo di pazienti trattati con una speciale terapia vs un altro gruppo di pazienti come controllo trattati con una terapia diversa. Si tratta in definitiva di studi caso-controllo spesso in doppio cieco di costo notevole. Altre buone fonti di valutazione possono essere studi osservazionali, non randomizzati, case-report, metanalisi più o meno complesse, ma in questo caso la validità predittiva del trattamento dovrà comunque essere verificata. Ci sono, infatti, numerosi esempi di interventi medici i cui benefici terapeutici sono stati suggeriti da studi osservazionali non randomizzati, non confermati successivamente da studi clinici randomizzati. È generalmente accettato che l’evidenza degli effetti del trattamento negli adolescenti deve derivare da studi clinici condotti sugli adolescenti e che i risultati degli studi clinici condotti sugli adulti attraverso l’informazione sono insufficienti a guidare l’uso pediatrico. Differenze metaboliche, farmacocinetiche e farmacodinamiche tra bambini e adulti implicano per entrambi la necessità di valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. La forza dell’evidenza che supporta l’efficacia del trattamento può essere collocata a diversi livelli (Tabella 2). Linee guida cliniche e algoritmi di trattamento integrato disponibili evidenziano in steps sequenziali che gli interventi supportati dal livello A di evidence sono considerati come migliori nel supportare il trattamento dei pazienti. Nonostante il procedimento ineccepibile sul piano della scientificità supportata da rigore sperimentale, i dati di letteratura riguardano comunque un campione statistico di popolazione più o meno rappresentativo con criteri di inclusione precodificati; nella pratica clinica, invece, abbiamo il paziente con la sua realtà e varietà spesso incodificabili, quindi l’evidenza ci indica quale trattamento effettuare con buon margine di sicurezza, ma l’esperienza clinica e la casistica personale non dovranno essere comunque passate in secondo ordine. Le linee guida in buona sostanza ci sostengono nella “good practice” medico legale, ma non possono essere garanti di esito certo. Un’analisi della letteratura (8) sull’argomento mostra come praticamente ogni farmaco psicoattivo entrato in commercio per il trattamento dei disturbi psichiatrici nell’età adulta sia stato “provato” con vario successo nella psicofarmacoterapia dell’adolescente (Tabella 3). La terapia psicologica Il trionfo delle neuroscienze e delle discipline cognitive ha reso facilmente comprensibile l’assunto che un comportamento umano non è in diretta dipendenza dagli stimoli ambientali (assunto basilare delle discipline comportamentiste: stimolorisposta) bensì dai pattern cognitivi dell’individuo stesso (modello cognitivista ABC). Tali pattern cognitivi costituiscono il “sistema di credenze” specifico, individuale, unico, originale, irripetibile che connota e qualifica ciascun individuo. Uno stesso comportamento può essere assunto in dipendenza di pattern cognitivi assai diversi tra loro nei diversi individui, così come una condotta disfunzionale o francamente patologica può discendere da un pattern non del tutto specifico di ciascun individuo, benché disfunzionale. Questo assioma ritenuto ormai certamente valido caratterizza molti aspetti degli interventi psicoterapeutici nell’adulto. Nell’età evolutiva, per quanto precede, occorre invece considerare anche l’incompletezza e l’evolutività dei pattern cognitivi che presiedono i comportamenti oppure la specificità della funzione in evoluzione (ad es: linguaggio oppure sessualità) che può completamente assorbire gli span cognitivi e caratterizzare la 57 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 3. Diagnosi in età evolutiva per la cui cura può essere indicata la farmacoterapia. Diagnosi DSM-IV Farmacoterapia Diagnosi DSM-IV Farmacoterapia ADHD Stimolanti Antidepressivi triciclici Antipsicotici Clonidina Guanfacina Fluoxetina Clomipramina IMAO Bupropione Disturbo della condotta (grave, caratterizzato da aggressività) Antipsicotici (tioridazina, aloperidolo, clorpromazina) Litio Propanololo Carbamazepina Trazodone Clonidina Disturbo d’ansia da separazione Imipramina Clordoazepossido Fluoxetina Alprazolam Buspirone Clomipramina Clonazepam Encopresi Enuresi Litio DDAVP Imipramina Benzodiazepine Carbamazepina Amfetamine Clomipramina Desipramina Disturbo esplosivo intermittente propanololo Disturbo depressivo maggiore Antidepressivi Litio Episodio maniacale (terapia in acuto e di mantenimento) Litio Antipsicotici Acido valproico Ritardo mentale (con grave disturbo del comportamento e/o comportamento auto lesivo) Tioridazina Clorpromazina Aloperidolo Litio Propanololo Naltrexone Disturbo ossessivo-compulsivo Clomipramina Fluoxetina Fluvoxamina Clonazepam Disturbo d’ansia generalizzato Benzodiazepine Difenidramina Fluoxetina Buspirone Idrossizina Disturbo di panico Antideprassivi triciclici Alprazolam Clonazepam Disturbi pervasivi dello sviluppo Aloperidolo Flufenazina Naltrexone Fenfluramina Clomipramina Buspirone Clonidina Disturbo post-traumatico da stress (acuto) propanololo Schizofrenia Antipsicotici Mutismo selettivo Fluoxetina Disturbi del sonno Difenidramina Insonnia primaria Idrossizina Benzodiazepine Difenidramina Disturbo del ritmo circadiano Idrossizina Benzodiazepine Imipramina Disturbo da terrore durante il sonno Carbamazepina Benzodiazepine Imipramina Sonnambulismo Aloperodolo Pimozide Disturbo di Tourette Clonidina Desipramina Nortriptilina Fluoxetina 58 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La terapia psichiatrica nell’adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) sintomatologia (intesa come comportamento disfunzionale). Nel primo caso ad esempio si consideri l’acquisizione di capacità metacognitive assolutamente necessaria per condurre una proficua riflessione sul sé disfunzionale, oppure l’acquisizione del pensiero formale astratto indispensabile per confermare la teoria della mente e/o la capacità di prevedere l’effetto del proprio comportamento disturbato. Nel secondo caso le capacità cognitive sono interamente occupate dal “sistema” funzione in sviluppo, tanto che “tutto” viene riferito o ricondotto, compreso il sintomo, ovviamente inteso come condotta disfunzionale, all’area della funzione in sviluppo (es: componenti ossessivo compulsivo della genitalità adolescenziale, che rimangono tali e cambiano di oggetto dopo lo sviluppo adolescenziale; es: disturbi del linguaggio solo apparentemente emendati dallo sviluppo stesso, ma condizionanti disturbi molto più complessi e gravi in età successive) (9). Chiarito quanto precede occorre proporre una ulteriore riflessione. Il pattern cognitivo, inteso come sistema di credenze specifico ed individuale, non è accessibile dall’esterno da parte del terapeuta-osservatore, lo è solo parzialmente dall’interno (cfr coscienza di sé vs. inconscio-automatismo cognitivo). Ne consegue che oltre alla diagnosi della condotta disfunzionale che va inquadrata in un ordinamento nosografico condiviso, come abbiamo visto in precedenza, occorre anche una ulteriore diagnosi che riguarda la funzionalità-disfunzionalità del sistema di credenze individuali. Essendo il sistema di credenze inaccessibile si dovrà far ricorso alle tecniche specifiche della interpretazione per gli orientamenti terapeutici psicoanalitico o psicodinamico ovvero della ipotizzazione per gli orientamenti sistemico-relazionale e/o cognitivistacostruttivista, al fine di co-costruire con il paziente una buona definizione del sistema di credenze che presieda la condotta patologica diagnosticata (10). Il sistema di credenze inoltre non è solo frutto dell’esperienza fenotipica dell’individuo, ma anche della sua dotazione genetica; inoltre viene enormemente influenzato dai meccanismi culturali familiari, sociali e transgenerazionali. Nonostante l’estrema semplificazione del modello, molto più articolato nella realtà terapeutica e nelle specifiche realtà individuali osservate, è facile notare che il processo alla base del percorso psicoterapeutico è estremamente complesso e richiede una formazione specifica specialistica. Per quanto precede in sintesi risultano molteplici le vie di accesso e di co-costruzione di “immagini” significative dei pattern cognitivi individuali, infatti le scuole di tecnica psicoterapeutica sono molteplici e tutte più o meno valide, alla verifica delle prove di efficacia, indispensabili soprattutto in questo ambito di speculazione scientifica. Così d’altra parte la “didattica” con cui condurre uno stimolo efficace in grado di produrre un “change” del pattern disfunzionale è assai varia e spesso oggetto di sperimentazione sul campo nonostante le numerosissime codifiche esistenti in letteratura. In definitiva, l’ecclettismo culturale che pervade il campo della psicoterapia in termini di comprensione dei fenomeni e di produzione di cambiamenti è assai vario e dà ragione ai numerosissimi approcci oggi esistenti. Infine occorre analizzare un ulteriore filone comune alle varie scuole che è quello della relazione terapeutica, in definitiva poco influenzata da regole di setting. La relazione terapeutica ha in tutte le modalità di approccio e di gestione del caso una caratterizzazione asimmetrica up/down, che deve essere rispettata e rimanere tale in tutto il percorso per consentire l’affidamento del paziente e la relazione di fiducia che poi sarà motivante per il “change”. Una ulteriore caratteristica sarà costituita dalla neutralità emotiva del terapeuta che non dovrà mai essere coinvolto nelle dinamiche transferali del cliente, pena clamorosi drop-out che saranno dolorosi soprattutto per il cliente stesso ed il suo affidamento motivante. Altre particolarità invece possono appartenere alle diverse scuole di pensiero e di tecnica che si perseguono. Ultimo oggetto di questa breve ed incompleta disamina degli approcci psicoterapeutici alle patologie mentali dell’infanzia e della adolescenza è la scelta del setting: individuale, madrebambino, coppia genitoriale, familiare, familiare allargata, ecc. In questo caso dovranno essere invocate a supporto tutte le premesse fin’ora considerate: tipo di diagnosi, età del soggetto, sistema di relazioni sociali e familiari, caratteristiche della psicopatologia, risultati delle prove di efficacia per i vari settori nosografici in cui ci si trova ad operare, competenza professionale del terapeuta (l’ecclettismo a volte auspicabile spesso contrasta con le discipline di scuola o con l’età “esperienza” del terapeuta). In definitiva, la psicoterapia si colloca spesso come mezzo decisivo e risolutivo di molte casistiche, come d’altra parte è a volte completamente inutile se non dannosa, se la relazione terapeutica, il setting scelto o le tecniche usate non sono idonee al “change” dei pattern cognitivi disturbati. Molte altre cose sono state tralasciate in questa sede non specialistica di fronte all’obiettivo di presentare la complessità delle cose e la necessità di elevata professionalità necessaria nell’intraprendere percorsi psicoterapeutici. Purtroppo in questo ambito, poco monitorato, la “malpractice” è troppo frequente e troppo spesso produce risultati negativi o addirittura iatrogeni misconosciuti, che il medico inviante, ancorché molto poco esperto, deve ipotizzare senza precostituirsi pensieri di inefficacia o di inutilità ancora peggiori della stessa “malpractice” psicoterapeutica. Iniziative di divulgazione e aggiornamento dei medici invianti, sono assai auspicabili, soprattutto per sciogliere lo stigma del mentale almeno nel medico. Una ultima serie di riflessioni nel trattamento del bambino con disturbi mentali riguarda il processo di abilitazione-riabilitazione. Nell’ambito pediatrico anche questo processo è specifico dovendo considerare la evolutività del sistema bambino di cui la riabilitazione diviene garante; a differenza dell’adulto dove la ria- 59 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) riabilitativo, bensì la capacità di condurre osservazioni cliniche di screening per controllare il corretto sviluppo delle varie funzioni all’interno delle finestre evolutive specifiche. In questo caso al pediatra sarà richiesta una grande competenza nell’osservazione clinica delle tappe evolutive per cogliere precocemente condizioni deficitarie che, se trattate in modo immediato, possono essere completamente emendate. Gli aspetti specifici fanno invece parte di professionalità specializzate. Anche la riabilitazione, in particolare quella cosiddetta cognitiva, è quindi un valido strumento di trattamento e ripristino di funzioni deficitarie che impediscono lo sviluppo normale o l’acquisizione di funzioni necessarie alla vita di relazione, a patto che sia utilizzata nei tempi e nei modi specifici; infatti essa non è più efficace al di fuori della finestra evolutiva della particolare funzione considerata in tal caso risultando completamente inutile. bilitazione ha più forti connotazioni di ripristino. Ecco perché spesso si preferisce parlare di abilitazione di funzione soprattutto in ambito pediatrico. Questa modalità di intervento ha notevole importanza nel trattamento complessivo del bambino in quanto una diagnosi di funzionamento e di stadio evolutivo spesso accompagna la diagnosi clinica; d’altra parte è altrimenti noto che il salto della finestra evolutiva per l’acquisizione di una determinata funzione produce notevoli difficoltà nel successivo step evolutivo. Si sta trattando in questa sede in particolare della cosiddetta riabilitazione cognitiva che ha come fondamento specifico l’obiettivo di abilitare, ripristinare, vicariare aree cerebrali deputate al presiedere a specifiche funzioni. Concettualmente non vi sono differenze rispetto alla problematica dei pattern cognitivi affrontata nell’approfondimento della psicoterapia che precede, solo che in questo caso non si considera più il sistema mentale complessivo, ma sottoinsiemi cerebrali più limitati o aspetti neuropsicologici che fanno da supporto “hardware” a varie funzioni neuro-psichiche. Quanto appena detto rende facilmente comprensibile che, ad esempio, la logopedia non si orienterà su finalità fonologiche, se l’apparato fonatorio non sarà specificamente interessato, bensì su finalità cognitive, attraverso la somministrazione di specifici stimoli, non sempre sicuramente verbali, per abilitare-riabilitare il “software” gestionale che presiede la funzione linguaggio Se concettualmente la problematica è addirittura intuitiva, la pratica riabilitativa è assai specifica e specialistica, necessita di diagnosi molto accurate e specifiche nonchè di studi di funzione molto approfonditi, anche con mezzi di diagnostica per immagine molto sofisticati. Infine l’intervento sarà assolutamente specifico e mirato da richiedere una applicazione professionale completamente a se stante come quella del tecnico della riabilitazione neuropsicomotoria dell’età evolutiva, o altrimenti, del logopedista, intese come figure professionali emergenti nel panorama delle nuove figure di professionisti sanitari. Questa area di intervento è quindi molto specializzata e vede la necessaria sinergia tra neuropsichiatra infantile e tecnico della riabilitazione, ma vede anche la partecipazione del pediatra come specifico e competente inviante. In questo caso non sono necessarie conoscenze approfondite di tipo diagnostico o di tipo Bibliografia 1. Dazzi N, Muscetta S. L’adolescenza tra L’infanzia e l’età adulta. Adolescenza 1990; 1:1-9. 2. Ladame F. Le trasformazioni psichiche nel corso dell’adolescenza. In Ammanniti M. La nascita del sé. Laterza. Bari 1989. 3. Albergamo M. Conflitto, rottura e identità nell’adolescente. In Ammanniti M. La nascita del sé. Laterza. Bari 1989. 4. Fonagy P., Target M.. Psicopatologia evolutiva. Raffaello Cortina ed. 2005. 5. Olfson M., Marcus SC., Weissman MM., Jensen PS. National trends in the use of psychotropic medications by children. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2002; 41:514-521B. 6. Vitello B, Masi G., Marazziti D. Handbook of child and adolescent psychopharmacology. Informa healthcare ed. 2006. 7. Vitello B., Riddle MA., Greenhill, LL., et al. How can we improve the assessment of safety in child and adolescent psychopharmacology? J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2003; 42:634-64. 8. Green W.H. Principles of psychopharmacotherapy and specific drug treatment. Child and adolescents psychiatry. Lewis ed.1996. 9. Palacio Espasa F. Psicoterapia con I bambini. Cortina ed. 1995. 10. Lambrusche F. Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Boringhieri ed. Torino 2004. Corrispondenza: Prof. Alberto Verrotti Clinica Pediatrica Università degli Studi “G. D'Annunzio”, Chieti Tel: 0871 358015 - Fax: 0871 574831 email: [email protected] 60 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro Piercarlo Rizzi Direttore U.O. Medicina Legale A.S.P., Catanzaro Riassunto Si espone quanto effettuato, nell’Azienda Ospedaliera e Territoriale della Provincia di Catanzaro, per l’attivazione di un sistema di Clinical Risk Management, indicando le difficoltà incontrate e le modalità di approccio alla problematica. In particolare, si rappresenta l’esigenza che le diffuse carenze strutturali o organizzative, specifiche di singole strutture e/o riconducibili a problemi generali “di sistema”, possono essere superati attraverso la progressiva sensibilizzazione del personale sanitario verso la gestione del rischio clinico, adottando percorsi assistenziali condivisi e protocolli/linee guida. Parole chiave: clinical risk management, Catanzaro, medicina legale. Introduzione È l’esigenza di governare il “rischio clinico”, inteso quale “probabilità che un paziente subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”, ad imporre l’adozione di idonei interventi di prevenzione, basati sull’analisi dei processi diagnosticoterapeutici. Infatti, nella maggior parte dei casi, l’errore scaturisce dall’interazione tra errori umani, difetti organizzativi e/o tecnologici. Nell’attuale organizzazione assistenziale, l’errore viene analizzato solamente in ambito giudiziario, nel cui contesto è solo il singolo sanitario a doversi porre dei quesiti e ad addurre eventuali giustificazioni al proprio operato. Viceversa, superando l’approccio punitivo all’errore è necessario ricercare le cause che ne hanno sotteso il verificarsi, per identificarne le dinamiche nascoste, successivamente predisponendo idonee difese di sistema. In altri termini, a fronte del verificarsi di un incidente, l’obiettivo primario non deve più essere quello di individuare chi ha sbagliato, ma accertare in quali condizioni organizzative si è manifestato e come e perchè le difese hard e soft eventualmente approntate hanno fallito. Si consideri che lo strumento assicurativo da solo non basta per far fronte al “rischio”, ma necessita di essere affiancato da inter- venti tecnici in cui il trasferimento assicurativo rappresenta soltanto l’ultimo stadio di un processo all’interno del quale assuma importanza primaria gli aspetti legati alle tecniche di prevenzione. L’esigenza di avviare attività di Clinical Risk Management nelle strutture sanitarie insistenti nel territorio della Regione Calabria è emersa per la prima volta nell’anno 2003, nell’Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro. Infatti, nel mese di Luglio 2003 la Direzione Strategica decise di convenzionare appositamente un Medico (specialista in Medicina Legale) che provvedesse alla gestione del rischio clinico. L’esigenza Aziendale scaturiva dalla necessità di assicurare la qualità dell’assistenza e migliorare i rapporti con l’utenza, nel contempo tentando di contrarre gli ingenti oneri sopportati annualmente per far fronte agli specifici contenziosi e agevolare gara di appalto per stipulare contratto assicurativo per la responsabilità professionale, sino a quell’epoca disertata dalle Compagnie d’assicurazione. Dall’anno 2004, previa stipula di apposito protocollo d’intesa, l’attività è stata assolta dall’Unità Operativa di Medicina Legale dell’ex Azienda Sanitaria n.7 di Catanzaro, che dallo stesso periodo ha iniziato ad assolvere pari attività nell’interesse della medesima. 61 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Attività svolte Questi dati furono integrati con gli indicatori dell’utenza (URP, TdM) e con quelli relativi a near miss segnalati dai Referenti di reparto, una volta identificate queste figure di supporto al gruppo di lavoro. Per inciso, si rileva che si ritenne opportuno agevolare l’instaurarsi di un rapporto costante con il Tribunale dei Diritti del Malato, i cui rappresentati trovavano ospitalità all’ingresso del Presidio Ospedaliero (il TdM ha il vantaggio di non essere considerato “di parte” e, pertanto, la Sua collaborazione era utile per raggiungere la massima completezza informativa possibile, sugli eventi sentinella). Referenti di reparto furono identificati in corso di riunioni di area (Chirurgica, Medica, Servizi), tra il personale medico e quello infermieristico, nel contempo avviandosi la sensibilizzazione “culturale” dello stesso verso le problematiche della gestione del rischio clinico. I referenti delle diverse figure professionali consentivano di interfacciarsi con il reparto di appartenenza, così disponendo di un punto di riferimento sia per assicurare la costante sensibilizzazione del personale verso le problematiche nella gestione del rischio, sia per l’indispensabile collaborazione in corso di valutazione di comportamenti Sanitari oggetto di contenzioso giudiziario e collaborazione nella redazione di consulenze tecniche di parte. Il referente, evidentemente, aveva il compito di fornire gli elementi per programmare in maniera “mirata” gli interventi per la riduzione del rischio nel reparto stesso (qualora necessario, estendendo ad altri referenti, di altri reparti, il comune problema, al fine di elaborare “linee guida”, “protocolli”, proposte operative da trasmettere alla direzione aziendale, e quant’altro potesse tendere al fine prefissato di ridurre l’incidenza degli errori). L’azione per la gestione del rischio clinico si è sviluppata lungo due direttrici: 1) Gestione Proattiva del rischio costituzione del “Gruppo per la gestione del rischio clinico” avvio di specifiche attività per la gestione proattiva del rischio (organizzazione per processi, redigendo percorsi diagnostico-terapeutici; adozione di linee guida e protocolli), anche avvalendosi delle Raccomandazioni Ministeriali 2) Gestione Reattiva del rischio Espletamento di audit clinici Costituzione Comitato Gestione Sinistri La mappatura del rischio ha consentito di acquisire conoscenza delle aree e dei comportamenti sanitari a maggiore rischio, emergendo la prevalente esigenza di: a. riformulare le cartelle cliniche; b. discutere della validità della strutturazione del “diario clinico” e delle “consegne” degli infermieri; c. regolamentare diversamente la fornitura al reparto delle unità di sangue da trasfondere; d. regolamentare le modalità di ricovero dei pazienti, evitando ricoveri incongrui ed in reparti che non erano tra i più indicati per la loro accoglienza; Inizialmente, la principale difficoltà affrontata è stata quella di superare le diffidenze del personale Sanitario, culturalmente contrario a sottoporre a rivisitazione i propri comportamenti e i processi organizzativi, assicurandolo che la finalità dell’attività intrapresa non era di individuare e punire i fautori di errori professionali, ma di prevenire la verificazione di eventi avversi ovvero, una volta verificatisi, discuterne insieme, criticamente, per identificarne le eventuali cause organizzative e proporre idonee azioni per evitarne il ripetersi. Del resto, la carenza di “fiducia/disponibilità” degli operatori destina il programma a sicuro fallimento. A tal fine, si decise di costituire un ristretto “Gruppo di lavoro per la prevenzione degli errori”, così formato: 1) Direttore Sanitario di Presidio 2) Medico Legale 3) Esperto aziendale in problematiche di gestione del rischio clinico e conoscitore della realtà del Presidio Ospedaliero (Direttore della Radiologia) 4) Esperto aziendale in problematiche di gestione del rischio clinico e conoscitore della realtà del Presidio Ospedaliero (Dirigente Medico della Chirurgia Generale) Il Gruppo si propose la seguente modalità d’azione: 1. Individuazione dei problemi 2. Ricerca delle cause dei problemi 3. Proporre diverse possibili soluzioni per ciascun problema 4. Verifica, per l’attuazione di ciascuna soluzione proposta, delle disponibilità di risorse umane, strumentali ed economiche 5. Previsione di forme di verifica dell’efficacia delle soluzioni adottate. Evidentemente, nessun programma era realizzabile in carenza di elementi informativi che valessero, quantomeno, ad individuare le principali criticità. A tal fine, si ritenne utile costruire una banca dati degli eventi avversi, utilizzando il dato “storico”, rappresentato dai sinistri pendenti, noti all’Ufficio Legale, peraltro già analiticamente esaminati dal Medico Legale congiuntamente al Broker, nella fase di allestimento della gara di appalto del contratto assicurativo. L’analisi del contenzioso giudiziario ha consentito di definire le aree richiedenti priorità d’intervento e, in considerazione del più elevato rischio ricorrente nelle Divisioni Chirurgiche, avvalendosi dell’insegnamento fornito da problematiche emergenti, si sono tenuti Audit Clinici, esaminando le procedure “ideali” da seguire. Inoltre, l’esame del contenzioso ha consentito di rilevare che: a) numerose richieste di risarcimento per “colpa medica”sono infondate; b) spesso, i contenziosi emergono da carenza di comunicazione con l’utente. c) a fronte di comportamenti sanitari adeguati al caso concreto, spesso sussistono difficoltà nel difendersi, indotte da carenze nella redazione della cartella clinica o da carenze documentali. 62 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) e. programmare metodiche di identificazione e segnalazione dei “near miss”; f. formulare proposte “fattibili” di interventi nella logica organizzativa per “processi diagnostico-terapeutici”, secondo un ordine di priorità. Le attività condotte hanno fatto rilevare che la sensibilità del personale nei confronti delle problematiche inerenti la gestione del rischio clinico è massima in occasione di eventi avversi. Infatti, in queste circostanze, gli audit clinici hanno consentito di intervenire riorganizzando le attività, in uno spirito di fattiva collaborazione (effetti a breve termine sull’organizzazione del lavoro, sulla tenuta della documentazione sanitaria, etc, con successivi risvolti in termini assicurativi e di sensibilizzazione del personale verso la gestione proattiva del rischio clinico). Il personale è stato sensibilizzato sull’esigenza di: a) mantenere con diligenza la documentazione sanitaria (elettivamente, si è discusso sulle modalità di redazione della cartella clinica, sfatando l’errato convincimento che “meno si scrive e meglio è” (questo modo di agire ingenera nel lettore il convincimento che il paziente non sia stato curato con la necessaria, dovuta attenzione); b) correggere abitudini errate, quale quella di escludere la cartella anestesiologica dalla cartella clinica e, a fronte delle perplessità rappresentate dagli Anestesisti, che avvertivano l’esigenza di mantenere il possesso di copia della scheda, adozione di scheda in duplice copia (carta copiativa); c) comunicare adeguatamente con gli utenti e con i loro parenti, oltre che con altri sanitari coinvolti nei processi diagnosticoterapeutici; d) rammentare che la firma sul foglio del consenso informato rappresenta l’esito di un’attività di informazione completa e corretta fornita all’interessato, al fine di perseguire l’obiettivo dell’alleanza terapeutica; e) consegnare prontamente, in Direzione Sanitaria, le cartelle cliniche e gli accertamenti strumentali relativi a persone decedute per le quali è prevedibile l’acquisizione da parte dell’Autorità Giudiziaria, così evitando la presenza, nei reparti, della polizia giudiziaria. Gli audit clinici hanno rappresentato l’occasione per discutere dell’adozione di protocollo per la prevenzione delle cadute dei pazienti, soprattutto se anziani, ovvero della derelizione di corpi estranei nel sito chirurgico (e modalità per prevenirla: modifica del protocollo conta garze). Nel volgere dei primi mesi dell’anno 2007 in uno dei Presidi Ospedalieri insistenti nel territorio dell’ASP, dotato di reparto di Chirurgia Generale, Medicina e Servizi ambulatoriali, si sono attivati gruppi di lavoro per elaborare la cartella clinica unificata (medico-infermieristica), elettivamente adottando la scheda unica della terapia, diventate di uso corrente dal mese di Settembre 2007. Il riscontro che numerosi visitatori lamentavano cadute accidentali in Ospedale, ha indotto ad intervenire anche in questo ambi- to, provvedendo a porre in essere interventi per meglio definire le esatte dinamiche infortunistiche (redazione di scheda anamnestica sottoscritta dall’interessato, con la descrizione del sinistro, facendo elettivo riferimento alla esatta identificazione del sito, come ad es. la eventuale presenza di “liquidi vischiosi” e/o l’inadeguata illuminazione). Posto che nella realtà Catanzarese, in cui le persone prediligono rivolgersi alla Magistratura per esporre i loro problemi, si ritenne indispensabile informare adeguatamente, mediante appositi tabelloni da appendere in tutti i reparti e nei corridoi, sull’esistenza e funzioni dell’URP. Si è avviata adeguata formazione del personale sulle problematiche inerenti le infezioni nosocomiali e la loro prevenzione (in questa attività avvalendosi del C.I.O.). Si è avviata l’elaborazione di percorsi assistenziali condivisi, inizialmente tra pronto soccorso e reparti di degenza, con elettivo riferimento al Dipartimento Materno-Infantile e si è sollecitata l’adozione di protocolli/linee guida. Si è fornito al Broker la mappatura del rischio, per approntare adeguate gare di appalto Assicurativo e si è avviata, con il settore assicurativo dell’ufficio Affari Generali, la previsione di revisione, nel contratto d’appalto, dei rapporti con il Broker e la compagnia d’assicurazione (vincolandone il compenso non all’ammontare dei premi pagati ma in relazione ai servizi forniti, quali, ad es: gestione contenzioso, monitoraggio rischi, eventuale risparmio conseguito a seguito del raggiungimento dell’obiettivo del rapporto sinistri/premi del 70%; determinando la tipologia di franchigia -singolo sinistro e aggregata annua- e la fascia di ritenzione dei sinistri, in relazione al loro andamento; determinando gli elementi retributivi da considerare per determinare il premio annuale di polizza, formalizzando procedure, periodicità e modalità di trasferimento all’Azienda dei dati sui sinistri -richieste, quote a riserva, liquidazioni) Si sono espressi estemporanei pareri medico legali, a richiesta dei diversi reparti. In ipotesi di richieste di risarcimento, si è ritenuto opportuno modificare la procedura seguita dall’Ufficio Legale dell’Azienda, che a fronte di una richiesta di risarcimento danni per ipotesi di colpa medica rivolgeva, per iscritto, alla Direzione Sanitaria di Presidio e questa, sempre per iscritto, ai Medici del Reparto interessato, relazione sull’evento di interesse. Un sistema siffatto non rispondeva alle esigenze di difesa. Pertanto, la procedura è stata così modificata: le richieste dell’Ufficio Legale sono rivolte al Medico Legale, che acquisisce contezza della contestazione, anche visitando la parte offesa (se disponibile). Quindi, il Medico Legale fornisce completa informazione al referente dell’U.O. interessata, che collabora a redigere apposita relazione. La relazione viene infine presentata all’Ufficio Legale, a firma del solo Medico Legale, comprensiva di suo parere sull’eventuale ricorrere di colpa. Il parere è discusso in ambito di Comitato Gestione Sinistri, eventualmente esitando nella formulazione di proposta transattiva alla parte lesa. 63 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) medico a tal fine deve utilizzare gli strumenti disponibili per comprendere le cause di un evento avverso e mettere in atto i comportamenti necessari per evitarne la ripetizione; tali strumenti costituiscono esclusiva riflessione tecnico professionale, riservata, volta alla identificazione dei rischi, alla correzione delle procedure e alla modifica dei comportamenti”. In Calabria, è con il “Piano per la salute 2004-2006” (Legge Regionale 19.3.2004 n.11) che si rinviene riferimento alla “…creazione di osservatori medico legali, tesi alla gestione medico legale del contenzioso ed alla prevenzione dei conflitti…” (Azioni prioritarie dell’Obiettivo 1.9 - Medicina Legale). Evidentemente, ben diverso da un sistema per la gestione del rischio clinico è un osservatorio medico legale del contenzioso, anche se la citazione relativa alla “prevenzione dei conflitti” tende ad accreditare un diverso significato all’intera previsione normativa. Certamente, non lascia spazio a dubbi interpretativi quanto sancito nella Delibera della Giunta Regionale 2.5.2006 n.313 (Atto di indirizzo alle Aziende del SSR per l’adozione dell’atto aziendale di cui all’art.3 del DLgs n.229/99), in cui è stato definito che tra i compiti dell’Unità Operativa di Medicina Legale devono essere comprese le attività di “Risk Management”. Nel nuovo Piano Sanitario Regionale 2007-2009, allegato alla delibera di Giunta Regionale n.694 del 9.11.2007, al punto 2.5.1.6.2 (Formazione Continua in Medicina), tra le iniziative prioritarie di formazione da sviluppare, è stata prevista l’area tematica del “risk management, con particolare riferimento all’area del rischio clinico”, mentre il punto 2.5.1.8 è stato riservato al “rischio clinico e la sicurezza del paziente”. Al punto 2.14.3.8 - Valutazione medico-legale per finalità pubbliche e degli stati di disabilità, sono stati posti in evidenza i profondi mutamenti subiti dalla Medicina Legale: dall’assicurare “fiscalismo” valutativo, sia negli adempimenti certificativi che in ambito di accertamenti di invalidità, verso una “Medicina Sociale”, finalizzata alla tutela dei minorati, alla sicurezza sociale, alla prevenzione dei conflitti nel rapporto utenti/operatori sanitari, al diritto del lavoro, alla bioetica, agendo così da integrazione e coordinamento tra specialità diverse dell’organizzazione sanitaria, anche operando all’interno delle strutture ospedaliere, compreso quelle Aziendali, quale elemento portante della gestione del contenzioso e nella prevenzione del rischio clinico. Ed è proprio in questo ambito operativo che la Medicina Legale ha concretizzato il più profondo dei mutamenti, avvalendosi della specifica competenza in merito alla prevedibilità degli eventi avversi. Questo mutamento ha comportato l’assunzione di una dimensione elettivamente protesa verso la prevenzione del rischio, con interventi finalizzati alla sua identificazione attraverso lo sviluppo di metodologie di tipo sistemico per l'analisi degli incidenti, seguita dall’adozione di correttivi, in alternativa a quella gestionale del contenzioso per responsabilità degli operatori sanitari. La parte lesa, evidentemente, non è vincolata al giudizio espresso dal Medico Legale dell’Azienda, potendo optare, in ipotesi di disaccordo (sul ricorrere della responsabilità medica o sulla valutazione del danno), tra il ricorso in sede giurisdizionale o alla Camera di Conciliazione. Si precisa che il Comitato Gestione Sinistri ha consentito di transare diversi sinistri, nel contempo consentendo il diretto controllo della gestione della franchigia aggregata annua prevista nel contratto di polizza. Si segnala che deficitario è stato il ricorso alla Camera di Conciliazione istituita presso l’Ordine dei Medici della Provincia di Catanzaro, verosimilmente per carenza di sensibilità degli Uffici Legali Aziendali e dell’Avvocatura. Peraltro, questa possibilità di composizione delle vertenze, adeguatamente pubblicizzato sia mediante la cartellonistica dell’URP, sia attraverso l’Ordine Professionale degli Avvocati, potrebbe contribuire alla riduzione della pressione “penale” sui medici (che induce tanta ansia negli operatori), posta la maggiore convenienza che gli utenti avrebbero a percorrere la strada del “rapido” e congruo risarcimento di eventuale ingiusto danno patito, invece di assoggettarsi ai tempi della Giustizia. Si è partecipato, in veste di C.T.P., a visite di C.T.U., contrastando richieste di parte incongrue rispetto alla realtà dei fatti. Situazione in Calabria Fatta eccezione per realtà regionali “avanzate” (Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, etc.), che hanno prodotto specifica legislazione, è con l’ACN Sanità 2002/2005, che per la prima volta è stato disposto che “Le aziende attivano sistemi e strutture per la gestione dei rischi, anche tramite sistemi di valutazione e certificazione della qualità, volti a fornire strumenti organizzativi e tecnici adeguati per una corretta valutazione delle modalità di lavoro da parte dei dirigenti dei quattro ruoli, nell’ottica di diminuire le potenzialità di errore e, quindi, di responsabilità professionale nonché di ridurre la complessiva sinistrosità delle strutture sanitarie, consentendo anche un più agevole confronto con il mercato assicurativo. Al fine di favorire tali processi le aziende ed enti informano le organizzazioni sindacali di cui all’art. 9 del CCNL 8 giugno 2000” (art.21 comma 5 -Copertura assicurativa). Emerge da questa norma, tra gli altri, il fine economico/assicurativo di diminuire le potenzialità di errore e, quindi, di responsabilità professionale e di sinistrosità delle strutture sanitarie, attivando sistemi e strutture per la gestione dei rischi. Il Codice di Deontologia Medica approvato il 16.12.2006, ha previsto : “Art. 14 – Sicurezza del paziente e prevenzione del rischio clinico: Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e contribuire all’adeguamento dell’organizzazione sanitaria, alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli errori al fine del miglioramento della qualità delle cure. Il 64 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gestione reattiva del rischio clinico nelle Aziende della Provincia di Catanzaro Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) I provvedimenti legislativi, elettivamente connessi alla tutela dei minorati; la maggiore sensibilità da riservare alla prevenzione dei rischi in ambito ospedaliero e nelle strutture territoriali, anche per contenere l’imponente crescita dei premi assicurativi e arginare la crisi di assicurabilità del sistema. A tal fine, tra gli obiettivi della Medicina Legale è stato previsto: “Realizzare attività di gestione del rischio clinico, eseguendone la mappatura nelle strutture ospedaliere, assicurando l’evasione delle richieste di consulenza per conto dell’Amministrazione, per responsabilità professionale sanitaria, attivando corsi di formazione in tema di prevenzione del rischio clinico, assicurando la partecipazione ai Comitati Valutazione Sinistri, collaborando nella preparazione delle gare di appalto per la RC professionale”. Peraltro, nonostante quanto predetto, che risponde all’esigenza di imporre alle Aziende l’istituzione di specifica funzione specializzata nella gestione del rischio clinico, a tutt’oggi ben poche si sono attivate in tal senso. Questo fatto è stato stigmatizzato dalla Commissione SerraRiccio nella relazione del 14.4.2008: “…mancanza di una attenzione sistematica e continuativa, da parte del sistema sanitario nel suo complesso e nelle sue diverse componenti ai diversi livelli, alla prevenzione degli errori clinici e/o organizzativi o, quanto meno, alla minimizzazione dei danni che ne possono derivare per il paziente…”. In contemporanea all’intervento della citata Commissione, il Dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria, con D.G.R. n.279 del 5.4.2008, ha istituito il “Centro regionale per la gestione del rischio clinico e la sicurezza del paziente (CRRC)”, con l’obiettivo di prevenire gli eventi avversi più gravi e far emergere le situazioni critiche della pratica professionale quotidiana. È stato previsto che per perseguire gli obiettivi prefissati, il CRRC si deve avvalere dello Staff Tecnico Operativo (STO), che ha il compito di promuovere l’implementazione del sistema di gestione del rischio clinico e assicurare il necessario coordinamento di tutta l’attività dei Gruppi regionali specifici per aree di criticità (GRAC, cui competerà affrontare i rischi inerenti specifici ambiti assistenziali: emergenza/urgenza; chirurgia; ostetricia/neonatale) e i Nuclei aziendali per la gestione del rischio clinico (NARC), istituiti presso le singole Aziende Sanitarie Provinciali e Aziende Ospedaliere. Con decreto del Dipartimento Tutela della Salute del 28.4.2008, n.4794, è stato costituito lo Staff Tecnico Operativo del Centro regionale per la gestione del rischio clinico e la sicurezza del paziente e, attualmente, è in fase di avvio il programma di intervento. Conclusioni In Calabria, ed elettivamente nell’Azienda Sanitaria e Ospedaliera di Catanzaro, sono state avviate attività per la prevenzione del rischio clinico. Le attività sono rese particolarmente difficoltose per le condizioni in cui ci si trova ad operare, caratterizzate da diffuse carenze strutturali o organizzative, specifiche di singole strutture e/o riconducibili a problemi generali “di sistema”, oltre a difficoltà connesse all’acquisizione, da parte del personale Sanitario, della necessaria sensibilità verso queste problematiche. È sulla strada della elaborazione di percorsi assistenziali condivisi e sull’adozione di protocolli/linee guida che definiscano mezzi, strumenti e procedure per le diverse tipologie di intervento assistenziale, che si dovrà elettivamente cimentare l’attività degli operatori che si dedicheranno alla gestione del rischio clinico. Corrispondenza: Dott. Piercarlo Rizzi U.O. Medicina Legale ASP-Cz Via Ettore Vitale, 248 - 88100 Catanzaro 65 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Medicina legale in ambulatorio Luigi Ranieri Pediatra di famiglia ASP 7, Catanzaro Le insidie di tipo medico legale che si possono riscontrare in un ambulatorio pediatrico sono le più innumerevoli e le più svariate. Le problematiche medico legali sono sempre esistite ma si sono amplificate negli ultimi anni , da quando cioè è venuto meno quel fattore protettivo che garantiva la figura del medico e cioè: “il rapporto fiduciario con il paziente”. A tal punto è fondamentale capire perché si è rotto quel rapporto fiduciario tra medico e paziente. Far causa al medico è un business: dietro l'aumento del contenzioso in sanità "c'è un business. Un mercato popolato di avvocati, media, assicurazioni, ma anche medici che si occupano di contenzioso" "Ormai quello dei risarcimenti è diventato un business e le richieste sono destinate ad aumentare. Oggi i numeri reali degli errori non esistono". Con il risultato che ormai molti specialisti, per prudenza, ricorrono alla medicina difensiva, e ad atti medici dettati più da cautela giudiziaria che da motivi scientifici". Negli anni la medicina, è migliorata enormemente, ma le denunce nei confronti dei medici sono lievitate, "per colpa anche del mercato del risarcimenti. È tempo di cambiare le cose. E lo si può fare dando tempo e qualità al rapporto medico-paziente, e a momenti come il consenso informato", creando un'alleanza culturale e fattiva - che punta a migliorare la tutela della salute dei cittadini e la serenità degli operatori. Perché gli errori medici sono rari, ma esistono. E non vanno taciuti, ma rilevati, studiati e prevenuti. Per questo è stato chiesto al ministero del Welfare l'istituzione di un Osservatorio dell'errore medico e del contenzioso paziente-medico. prevedere gli effetti possibili del proprio agire e corregge il comportamento in base a tale previsione. La valutazione del rischio è atto dovuto del professionista che responsabilmente svolge il proprio compito. Non potrà essere scusato quel Sanitario che non avrà posto in atto tutti quei provvedimenti che devono rappresentare il bagaglio culturale di ogni esercente la professione sanitaria. Il mancato aggiornamento professionale rappresenta violazione di precisi obblighi volontariamente assunti La responsabilità consegue ad un illecito che consegue ad una condotta umana (azione od omissione) che una norma considera vietata e che l'ordinamento giuridico vi attribuisce come conseguenza una sanzione: 1) penale: funzione punitiva-preventiva 2) civile: funzione risarcitoria È in colpa chi poteva prevedere l'evento e, quindi, prevenirlo, adottando la diligenza del buon professionista (cioè essendo dotato della perizia media che normalmente viene richiesta ad ogni operatore sanitario) (1). Responsabilità professionale colposa La responsabilità colposa nasce da un errore. L’errore può essere commissivo (Esecuzione errata di atti sanitari) oppure omissivo (mancata esecuzione di atti sanitari). L’errore al contempo può generare un danno che può determinare: lesioni personali (colpose ) o morte (colposa). L’errore (o presunto tale ) può dare ilvia ad una azione legale che a sua volta può essere un’azione penale (querela→indagine pm→ rinvio a giudizio→processo o archiviazione ) o un’azione civile (richiesta risarcimento danni→risarcimento) (Figura 1). Cosa può fare un medico per evitare problemi di responsabilità professionale?... … cessare l’attività! Il rischio di errore è connaturato all’espletamento della professione …oppure: Acquisire conoscenze di base che gli consentano di avere contezza: sul ruolo professionale che è chiamato a svolgere - su cosa pretende la società dal medico… …un libero professionista …con un rapporto Convenzionale con il SSN. Lo studio del pdf è uno studio professionale privato, presidio del SSN destinato ad un pubblico servizio. Art. 358 c.p. (Nozione di persona incaricata di un pubblico servizio). <<Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Concetto di responsabilità Responsabilità in quale ambito?: Etico ,deontologico, giuridico (penale, civile, amministrativo). Il concetto di responsabilità può essere interpretato con due ottiche diverse (Tabella 1): 1) un’ottica positiva: Conoscenza degli obblighi connessi all’incarico, Centralità del paziente conoscenze scientifiche aggiornate, Tutela della salute del paziente, Valorizzazione degli aspetti sostanziali, Operatività ispirata all’autocritica. 2) Un’ottica negativa: Essere chiamati a rendere conto del proprio operato; Colpa, Centralità dell’operatore, sentenze della Magistratura, prevenzione di sanzioni, Esasperazione dei formalismi Medicina difensiva, Operatività focalizzata alla valutazione di un possibile giudicante. La persona responsabile si impegna a 66 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Medicina legale in ambulatorio Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Il mancato ottemperamento a tale obbligo è perseguibile penalmente (art. 622 c.p.), deontologicamente (art 10 c.d. ) e dal codice della privacy DLgs 196/03). Il medico non è tenuto a rivelare ai genitori i segreti del minore ove non lo ritenga opportuno e sempre che questi abbia raggiunto la “capacità naturale” Capacità naturale: “Sinonimo di quel tanto di discernimento che si sviluppa con l’età e pone in grado il minore di fare buon uso della Ragione, ha riflessi importanti nei riguardi dei fatti intimi della persona, compresi quelli concernenti la salute e il consenso ai trattamenti sanitari” (2). Le fasi dell’intervento sanitario in cui può verificarsi l’errore ingenerante responsabilità sono: 1) Formulazione della diagnosi: a) Insufficiente raccolta dei dati b) errata scelta di mezzi diagnostici c) errata interpretazione dei dati 2) Definizione della prognosi 3) Scelta del metodo di cura 4) Esecuzione della cura Alcuni obbliglighi incombenti sul medico di famiglia Certificato medico Definizione: Attestazione scritta di fatti obiettivamente rilevati dal medico nell’esercizio della sua attività, con la finalità di provarne la veridicità. Attestazione di indole tecnica riguardante fatti obiettivamente rilevati dal medico nell’esercizio della sua attività, aventi rilevanza giuridica ed amministrativa. Certificazione: Il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati. Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati e alla formulazione di giudizi obiettivi e scientificamente corretti. Caratteristiche: Luogo e Data, Obiettività clinica o Diagnosi, Terapia, Prognosi, Firma Evitare: “…per gli usi consentiti” oppure “…in fede” Il titolare del certificato è l’interessato e nessun altro. Il certificato deve essere rilasciato unicamente alla persona assistita o visitata ovvero al suo rappresentante legale (genitore o tutore) in caso di minore o comunque di soggetto legalmente incapace. Il contenuto del certificato non deve essere divulgato (segreto professionale). È indispensabile conoscere la finalità di impiego del certificato, al fine di dargli adeguata veste formale per es: Certificati di malattia (per assenza dal servizio o per domande di invalidità o per giustificare l’assenza ad una udienza) Certificati più frequenti (da erogarsi a carico del SSN): Mantenere il segreto, certificare il vero, refertare, denunciare, soccorrere il malato, informare adeguatamente…….(Tabella 2). Segreto professionale È segreto qualunque fatto che una persona abbia interesse debba essere celato all’altrui conoscenza. Figura 1. Tabella 1. Concetto di responsabilità. Ottica positiva Ottica negativa Conoscenza degli obblighi connessi all’incarico Essere chiamati a rendere conto del proprio operato; colpa Centralità del paziente Centralità dell’operatore Guida: conoscenze scientifiche aggiornate Guida: sentenze della Magistratura Obiettivo: tutela della salute del paziente Obiettivo: prevenzione delle sanzioni Valorizzazione degli aspetti sostanziali Esasperazione dei formalismi; medicina difensiva Operatività ispirata alla autocritica Operatività focalizzata alla valutazione di un possibile giudicante 67 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) idonea a lasciare al paziente la paternità e responsabilità di quanto egli dice al medico in merito ad infermità non obiettivabili" Falsa certificazione: art 481 c.p. <<Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito…>> La falsa certificazione è una piaga della professione medica, il più delle volte fatta a titolo di favore non di lucro. Fattispecie in cui ricorre la falsità in certificato: Attestazione di infermità inesistenti e/o obiettività clinica non corrispondente alla realtà (la diagnosi fonda su presupposti clinici che il medico sa non essere veri) Falsità di giudizio prognostico (valutazione sproporzionata rispetto alle effettive esigenze) È necessario l’elemento soggettivo del reato: coscienza e volontà del dolo. Se la certificazione è frutto di errore del medico, non può essere constato il reato di falso. Tabella 2. Alcuni obblighi incombenti sul medico libero professionista. Mantenere il segreto Certificare il vero Refertare Denunciare Soccorrere il malato Informare adeguatamente Richiedere i ricoveri coatti Assolvere gli atti d’ufficio Certificato di malattia del bambino (per astensione dal lavoro del genitore) Certificato idoneità ad attività sportive non agonistiche nell’ambito scolastico (in caso di motivato sospetto clinico il medico visitatore ha facoltà di chiedere accertamenti specialistici integrativi) Certificato per ammissione nell’asilo nido, alla scuola materna, alla scuola dell’obbligo, alle scuole secondarie superiori Certificato per invalidità civile (3). Denuncia È la segnalazione che il medico è tenuto a fare alle autorità competenti, di fatti o persone che ai pubblici poteri interessa conoscere per ragioni sanitarie, preventive e sociali (Tabella 3). Le diagnosi “riferite” Referto Il problema delle diagnosi riferite dai pazienti è assai delicato. In effetti il medico dovrebbe, in teoria, diagnosticare solo quanto da lui personalmente riscontrato. È però possibile e plausibile che alcuni stati morbosi di breve durata ma di elevata intensità inabilitante provochino disturbi che non siano visibili o che siano scomparsi all’atto della visita medica: per es. una crisi di emicrania, una nevralgia del trigemino, una crisi di vertigine acuta, un’enterite con diarrea profusa ma transitoria. "Il medico anche in questi casi deve rilasciare al paziente il certificato perché anche di fronte alla più subiettiva delle infermità egli non può escludere che quell’infermità sussista e non può contrastare o eludere l’interesse del paziente ad ottenere il certificato. In tal caso il medico deve certificare che il paziente "accusa" ad esempio cefalee o colica renale che sono formula È quell’atto con cui gli esercenti una professione sanitaria segnalano all’Autorità Giudiziaria di avere prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri d’un delitto perseguibile d’ufficio. Art. 365 c.p.: Omissione di referto Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferire all’Autorità indicata all’art.361, è punito con la multa fino a € 516. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Tabella 3. Denunce. Malattie infettive e diffusive All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Vaccinazioni obbligatorie All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Cause di Morte Al sindaco ( entro 24 h dalla morte) Fatti che possono interessare la sanità pubblica All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Nascita di infanti deformi All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Segnalazione di nascita infanti immaturi All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Malattie veneree All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Intossicazione da antiparassitari All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) Interruzione volontaria di gravidanza All’AS ( Dipartimento di Prevenzione) 68 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Medicina legale in ambulatorio Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Ricetta o prescrizione medica Neppure l’autopsia disposta dall’autorità giudiziaria e i prelievi di organi eseguiti in tale caso sono subordinati al consenso dei familiari. Consenso Informato: L’utente ha diritto ad essere informato dagli operatori sanitari, con un linguaggio a lui comprensibile, circa i rischi collegati a particolari pratiche sanitarie e quindi circa la possibilità di accettarle o meno in maniera consapevole (consenso informato) (5). 2) Counseling (Comunicazione) intervento comunicativo professionale che ha l’obiettivo di mobilitare le risorse e le capacità dei genitori e di facilitare le loro decisioni riguardanti la loro salute o quella dei loro figli senza sostituirsi a loro e senza imporre comportamenti insostenibili (6). È il documento con il quale il medico affida al proprio assistito la prescrizione terapeutica farmacologica e non, al fine di curare uno stato di malattia, deve riportare in maniera perfettamente leggibile: 1) Indicazione della terapia 2) Modalità d’uso 3) Firma del prescrittore Trascrizione della terapia La “semplice” trascrizione di un farmaco non esiste! Esiste solo la prescrizione, della quale è responsabile chi firma la ricetta che impone al farmacista la fornitura del preparato Se il MPF trascrive una terapia proposta significa: che la condivide che la ritiene la più idonea per il paziente che ne assume la completa responsabilità Caratteristiche dell’informazione Se vogliamo che le informazioni date dal professionista siano ascoltate e non vengano rifiutate dovremo fare in modo che i messaggi non siano: troppo difficili, troppo lunghi, troppo lontani dalle convinzioni, abitudini e possibilità della famiglia.Un messaggio quindi per poter essere efficace dovrebbe almeno essere: Semplice: dare un’informazione alla volta. Breve: la capacità di ascolto, se il messaggio è troppo lungo, diminuisce e ne viene trattenuta solo una parte. Ridurre sempre i messaggi in uscita (ciò che si dice) favorendo i messaggi in entrata (dare spazio alle domande, alle osservazioni, ai dubbi di chi ascolta). Concreto: far sempre in modo che alle indicazioni che si danno corrispondano delle azioni e dei comportamenti. Se questo non avviene, ciò che diciamo verrà dimenticato molto presto. Compatibile: se avremo utilizzato passaggi comunicativi che favoriscono l’esplorazione e la narrazione del genitore, avremo raccolto informazioni sull’universo cognitivo-comportamentale di quel particolare genitore e di quella famiglia e potremo facilmente verificare insieme a loro se i messaggi dati siano accettabili, compresi e se sia per loro possibile trasformarli in azioni e comportamenti nuovi (7). Visite domiciliari ACN Art. 46 - Visite ambulatoriali e domiciliari: L'attività medica viene prestata nello studio del pediatra. Qualora le condizioni cliniche non consentano la trasferibilità dell’ammalato, l’attività medica viene prestata a domicilio del paziente […] La visita domiciliare (qualora ritenuta necessaria da parte del pediatra) deve essere eseguita di norma nel corso della stessa giornata […] La richiesta di prestazione urgente recepita deve essere soddisfatta entro il più breve tempo possibile… La visita domiciliare in regime di convenzione è subordinata alla sola condizione di intrasportabilità del paziente, in difetto della qual la prestazione sanitaria è da ritenersi libero professionale e quindi a pagamento da parte dell’assistito. La condizione di intrasportabilità è uno stato soggettivo tale che il solo fatto dello spostamento possa causare con rilevante probabilità rischi gravi per la salute o creare condizioni di vita particolarmente penose. La effettiva necessità è valutata responsabilmente dal medico, con ragioni fondate e prudenti (conoscenza del caso e ulteriore anamnesi raccolta telefonicamente), caso per caso. La febbre isolata, in genere, non controindica il trasporto del bambino in ambulatorio. Il MPF non ha l’obbligo della reperibilità. Nelle ore notturne (dalle ore 20.00 alle ore 08.00). Dalle ore 10.00 dei prefestivi alle 8.00 del feriale→Continuità assistenziale. Bibliografia Quali strumenti ha il PLS per ricucire il rapporto fiduciario? 1) Consenso informato Consenso: Con il termine consenso di indica l'approvazione di una pratica medica o chirurgica da parte della persona che la deve subire, o di chi la rappresenta, se minorenne o incapace. Lo stato di necessità esonera il medico dal richiederlo. Alcuni trattamenti sanitari, detti obbligatori, prescindono dal consenso del paziente (per esempio, vaccinazioni, trattamenti coatti di malattie infettive e di malattie psichiche non altrimenti curabili). 69 1. T. Feola “ Responsabilità legale del Medico di medicina Generale” Minerva Ed. 1999. 2. Palagi U. Lombardi M.A. Palagi Orengo F., Argomenti per una medicina legale dell’età evolutiva. Pacini editore Pisa 1997 p 394. 3. Certificazioni mediche dal sito www.Univadis.it 4. Boll. O. M. di Roma e Prov., n.3, 1983. 5. Bartolozzi G.Il consenso informato in Bugio R.G., Notarangelo L.D. La comunicazione in Pediatria. Un pediatra per la società. Utet periodici, scientifici Milano 1999, p 328. 6. Bert G., Quadrino S., L’arte di Comunicare. Teoria e Pratica del Counseling sistemico. Torino Edizioni Ch’ange 2005. 7. Quadrino S. Il pediatra e la famiglia. Roma: Il pensiero Scientifico Editore 2006. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Rischi e benefici dell’attività sportiva nell’adolescente con patologia cronica Giovanni Caldarone, Giuseppe Morino Xxxxxxxxxxxxx, xxxxxxxxxxxxxxxxx Manca affiliazione di paramorfismi che definiscono la sindrome ipocinetica e con aggravamento di quadri patologici, come le alterazioni osteoarticolari nelle patologie reumatiche o la capacità ridotta di controllo glicemico nel diabete. .La terapia dei disturbi metabolici, tra cui al primo posto l’obesità complicata dall’iperinsulinismo, trova un suo cardine nel movimento ed in un’attività sportiva regolare protratta nel tempo, che se non prevede sforzi accentuati non comporta rischi. Su queste basi vi è l’indicazione alla prescrizione di una attività sportiva come presidio terapeutico in queste patologie, ma anche in quelle di tipo respiratorio tra cui al primo posto l’asma, indicando i tipi di sport possibili, la necessità del riscaldamento ed allenamento adeguati e la possibilità di insorgenza di broncospasmo, da trattarsi con farmaci adeguati a disposizione del soggetto. Spetta allo specialista indicare per ogni singolo caso i limiti di tale attività in relazione all’anamnesi, all’esame obbiettivo, alla storia clinica, al quadro nutrizionale ed agli esami ematochimici Uno stile di vita corretto si struttura in tutte le età in relazione ad una corretta alimentazione ed ad un’abitudine costante al movimento: in realtà, anche in età pediatrico-adolescenziale, negli ultimi decenni hanno preso il sopravvento abitudini contrarie, caratterizzate da regimi alimentari incongrue, ma soprattutto dalla costante diminuzione del tempo dedicato al movimento. Tale fenomeno è ulteriormente accentuato passando all’età adolescenziale, dai 9 anni ai 15 anni, come anche studi recenti hanno evidenziato, soprattutto nelle ragazze. Contemporaneamente è aumentato il numero di adolescenti con patologie croniche, fonti di ripercussioni elevate sulla qualità e le aspettative di vita di tali soggetti (diabete, asma, tumori, malattie reumatologiche ed endocrinologiche, per non parlare del problema ormai cronico dell’obesità infantile), per i quali spesso è stata preclusa ogni forma di attività sportiva. Questo ha condizionato ulteriormente situazioni di disagio fisico e psicologico con lo sviluppo 70 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce Tito Livio Schwarzenberg Unità Operativa Complessa di Adolescentologia - Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Riassunto Milioni di giovani ragazze si trovano coinvolte ogni anno, in tutto il mondo, in una gravidanza non desiderata. Sta di fatto, tuttavia, che le gravidanze nelle adolescenti sono andate aumentando in modo drammatico fino agli anni 80, per poi diminuire progressivamente in quasi tutti i Paesi industrializzati. Un identico andamento si può dimostrare per le interruzioni volontarie di gravidanza nelle teenager sessualmente attive: da livelli sostanzialmente stabili fino alla fine degli anni -80 si è registrato, successivamente, un trend in calo progressivo. La letteratura internazionale ha registrato, per le gravidanze nelle minorenni, un rischio elevato di mortalità e morbilità e, per i neonati di madre adolescente, un rischio elevato di prematurità, basso peso alla nascita, problemi di crescita e di sviluppo e decessi nel primo anno di vita. La genitorialità precoce viene considerata un importante problema sociale essendo connessa ad una serie di eventi negativi, quali l’abbandono scolastico, la disoccupazione, l’indigenza e la disgregazione familiare. Nella nostra indagine abbiamo potuto dimostrare una realtà molto diversa in Italia, con un tasso di gravidanze precoci e di aborti decisamente contenuto e con gravidanze e parti nelle adolescenti a rischio molto basso. Anche l’accettazione, la gestione e il vissuto della genitorialità precoce sono risultati essere, per lo più, sostanzialmente positivi. Parole chiave: adolescenza, gravidanza, aborto, genitorialità. Teen pregnancy and early parenthood Summary Millions teenage women become pregnant in all the world every year, the vast majority unintentionally. Although the rate of teenage pregnancies has dramatically increased among all teens since 1980s, the pregnancy rate instead decreased in the most industrialized countries. The abortion rate has remained fairly stable since the last 1980s; however, over the same period of time, abortion rates have steadily declined among sexually experienced teenagers. Adolescent mothers are at increased risk for mortality and pregnancy induced diseases, and their babies are at increased risk for prematurity, low birthweight, developmental disabilities and mortality in their first years of life. Teenage parenthood has become one of the most urgent and disturbing social problems. Premature parenthood appears in fact linked to a wide variety of social ills as school dropout, unemployment, chronic poverty and family disruption. In our research we had the opportunity to demonstrate a very different situation in Italy, characterized by a resolutely low rate of early pregnancies and abortions, and by teen-pregnancies and birth at a very low risk; also the acceptance, the care and the personal experience of the precocious parenthood turned out to be substantially positive. Key words: adolescence, pregnancy, abortion, parenthood. 71 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Verificare tutti i titoli delle tabelle Da più recenti dati della letteratura internazionale sulle nascite da madri adolescenti, emerge, comunque, un evidente e più costante trend in decrescendo che percorre gli ultimi 15 anni. Rimanendo sempre negli Usa (Tabella 2), dal 1990 al 2005, il numero dei nati in madri di età inferiore a 15 anni si è, infatti, quasi dimezzato: dai 12.000 registrati nel 1990 ai 6.717 del 2005 (con una riduzione del 44%). Per l’intera fascia 15-19 anni si assiste ad un calo più contenuto seppure sempre molto significativo: dai 521.826 del 1990 ai 414.406 nel 2005 (pari a un calo del 20%). La stragrande maggioranza delle nascite da giovani donne americane di età uguale o inferiore ai 19 anni avviene (come, per altro, ci saremmo attesi) al di fuori del matrimonio. Nel 1981, delle nascite da giovani donne americane (sempre di età pari o inferiore a 19 anni) il 50% si erano avute al di fuori del matrimonio, nel 1991 tale percentuale è aumentata al 69%, nel 1994 al 76%, per arrivare nel 2005 ad un valore pari a ben l’82,8%. Questo fenomeno, che si è verificato anche in molti altri Paesi compresa l’Italia, lungi dall’indicare un aumento delle nascite tra le minori dimostra, invece, che con il passare degli anni e con una sempre maggiore presa di coscienza della dignità femminile, la nascita di un figlio non viene più considerata come la via obbligata ad un “matrimonio riparatore”. Il predetto trend delle gravidanze precoci non presenta un andamento uniforme in tutte le Nazioni industrializzate (Tabella 3): se, infatti, in Usa e in Italia si registra un calo rispettivamente del 19% e del 21%, in altri Paesi come la Francia e la Germania si registra, al contrario, un aumento delle nascite da madri adolescenti pari rispettivamente al 35% nella prima e al 32% nella seconda; abbastanza stabili o con ridotti incrementi risultano altre Nazioni Il problema delle gravidanze precoci, seppure con le più diverse incidenze e prevalenze nonché ricadute, sia sul piano strettamente medico che su quello psicologico, sociale, economico, politico, culturale, etico e, se vogliamo, antropologico nella sua più ampia accezione del termine, è antico quanto è antica l’umanità stessa: eppure anche al giorno d’oggi le gravidanze nelle giovani e nelle giovanissime (raramente volute, ma per lo più indesiderate) rappresentano un argomento di estremo interesse e attualità, non solo nei Paesi in via di sviluppo e tra le classi sociali economicamente più disagiate, ma anche negli assai più favoriti Paesi industrializzati. E’ fin troppo ovvio che proprio con l’inizio dell’attività sessuale che, anche se con diverse incidenze si può quasi sempre collocare nel periodo dell’adolescenza, compare anche il rischio di iniziare una gravidanza (perlopiù non desiderata) come anche di incorrere nelle altre conseguenze legate ai primi rapporti non protetti quali, ad esempio, le malattie a trasmissione sessuale. Prendendo, in prima battuta, in considerazione i dati statunitensi se non altro per il fatto che la letteratura medica internazionale è portata ad enfatizzare e a generalizzare (qualche volta in modo acritico) tutto ciò che proviene “d’oltre oceano”, vale la pena di segnalare che tra il 1955 e il 1970 in USA il numero delle nascite/anno tra le giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni si era incrementato passando da 484.000 a 645.000, per tornare nel 1984 a valori inferiori a quelli del 1955. Dal 1955 al 1984 si era invece verificato un sostanziale incremento nel numero delle nascite nelle fasce di età più basse (15-17 anni) passando da 150.000 a 167.000 (dopo aver toccato il picco di 224.000 nel 1970) e da 6.000 a 10.000 per le fasce di età al di sotto dei 15 anni (Tabella 1). Tabella 1. Numero di nascite in USA dal 1955 al 1984 da madri adolescenti (<15-19 anni). Età 1955 1960 1970 1980 1983 1984 18-19 334.000 405.000 421.000 354.000 317.000 303.000 15-19 484.000 587.000 645.000 552.000 489.000 470.000 15-17 150.000 182.000 224.000 198.000 173.000 167.000 < 15 6.000 7.000 12.000 10.000 10.000 10.000 Moore et al (1986). Collaborative Perinatal Study (1984); U.S.A. Department of Commerce, Bureau of the Census (1984); National Center for Health Statistics (1985, 1986). Tabella 2. Numero di nascite in USA dal 1990 al 2005 da madri adolescenti (<15-19 anni). Età 1990 2002 2005 2005/1990 < 15 12.000 7.315 6.717 - 44% 15-19 521.826 425.193 414.406 - 20% % teen birth 61/1000 43/1000 40.4/1000 - 33,7% J.A.Martin et all 2003, 2005 Division of Vital Statistics, National Vital Statistics Report (CDC) 72 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 3. Nati vivi per Nazione da madri adolescenti (15-19 anni). 1995 2000 2001 2002 2003 Usa 512115 477509 445944 425493 414580 2003/1995 Inghilterra 47646 52060 49841 48865 49633 + 4,0% Francia 12915 15706 16090 17891 17541 + 35,0% Spagna 11981 11284 11856 11745 12338 + 2,0% Svizzera 1067 1207 1144 1106 1083 + 1.50% - 19,0% Germania 19984 29301 22831 27906 26522 + 32,0% Italia 11995 10426 9796 9849 9482 - 21,0% Tabella 4. Nascite per 1000 donne di età compresa tra 1 15 e i 19 anni. CH DK NL S I N F D E A CAN P UK R USA 5,1 5,6 5,8 5,9 6,4 8 10,5 10,7 11,5 12,8 13,4 18,7 25,9 33,8 41,2 Paragone internazionale (EUROSTAT) come la Spagna, la Svizzera, l’Inghilterra in cui si registra un aumento relativamente moderato del 2%, 1,5% e del 4%. Tuttavia, se vogliamo meglio renderci conto di quale è il reale “peso” delle nascite da madre adolescente in Italia e nel panorama internazionale, dobbiamo passare dal dato numerico “grezzo” a quello “relativo” che, in altre parole, prende in considerazione anche la numerosità della popolazione femminile di volta in volta considerata. Viene utilizzato, a tal fine, il cosiddetto “tasso di natalità adolescenziale” (= numero dei nati vivi ogni 1.000 donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni). È possibile scoprire in questo modo, che le ragazze italiane sono tra le meno coinvolte in Europa e nel mondo intero nella problematica della genitorialità precoce: precedute solo (per un minimo scarto percentuale) dalla Svizzera, Danimarca, Olanda e Svezia (Tabella 4). Da una interessante indagine ISTAT relativa al numero di nati vivi da madre di età inferiore ai 18 anni condotta in Italia dal 1980 al 2004 (Tabella 5) emerge, inoltre, una marcata e progressiva riduzione delle nascite da madri minori, assai evidente nell’ultimo ventennio, dove dai 10.146 nati vivi del 1980 si passa ai 2.591 del 2004 con una riduzione del 74.4%, anche se con andamenti differenziati tra le aree geografiche del Nord, Centro, Sud e Isole. Alla luce delle evidenze appena emerse si può, quindi, globalmente desumere che su scala nazionale nel nostro Paese si è verificata una reale diminuzione delle nascite in questa fascia di età (pari al 14,5% paragonando il 2004 al 1995) in accordo con quello che appare ormai un trend consolidato. Verosimilmente il diverso andamento per area geografica potrebbe trovare delle spiegazioni ravvisabili nel diverso tessuto economico e nelle migliori opportunità di lavoro che di sicuro il Nord offre costituendo un più forte richiamo per l’immigrazione; il diverso andamento del Sud e delle Isole potrebbe, invece, essere interpretato in due modi: da un lato il sempre maggiore ricorso ad aborti legali a scapito di quelli illegali, dall’altro una maggiore sensibilizzazione all’educazione sessuale e alla tutela della procreazio- Tabella 5. Nati vivi in Italia da madre di età < 18 anni per anno e distribuzione geografica (ISTAT). Anno Distribuzione dei nati vivi da madre di età < 18 anni Italia Nord Centro Sud Isole 1980 10146 2680 1296 3705 2465 1995 3033 540 262 1283 1064 2004 2591 627 266 966 731 2004/1995 - 14,57% +16,11% +1,53 - 24,71% - 31,30% 2004/1980 - 74,46% - 76,60% - 79,48% - 73,93% - 70,34% 73 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) ché nell’arco del primo anno di vita una prevalenza di morti improvvise, incidenti gravi e talora mortali, infezioni e maltrattamenti (Tabella 6). Tuttavia, già verso l’inizio degli anni ’80, cominciava a farsi strada l’intuizione che i fattori di rischio della gravidanza nelle adolescenti non fossero connessi tanto alla giovane età della madre quanto al livello socio-economico, politico e culturale e, quindi, all’adeguatezza (o meno) delle cure prenatali e neonatali. Queste prime ipotesi furono successivamente confermate da alcune ricerche italiane e, in particolare, da una nostra originale e puntuale indagine condotta negli anni 1979-1985. La nostra precedente ricerca aveva preso in esame complessivamente 39.500 gravidanze di cui 940 verificatesi in minorenni, con lo scopo specifico di studiare il decorso della gravidanza stessa e dell’eventuale parto nelle madri adolescenti. Possiamo subito anticipare che delle 940 gravidanze nelle minori 164 si erano concluse con il parto, 22 in aborto spontaneo e ben 754 (pari all’ 80,21% del totale!) in IVG (Tabella 7). Tutto quanto premesso ci aveva consentito di affermare che la gravidanza nell’adolescente non doveva più essere considerata aprioristicamente a particolare “rischio” di patologia ostetrica e/o perinatale. Anzi, proprio nelle minorenni si evidenziava la maggiore percentuale di parti spontanei da ricondurre sia al più basso peso medio dei neonati (pretermine e non) che, soprattutto, alle ottimali condizioni di salute delle giovani madri. Si riportano nella tabella successiva (Tabella 8) le modalità di espletamento del parto nelle minorenni a paragone della casistica generale, da cui si può evincere che (almeno nella nostra esperienza) le minori godono di un reale e non indifferente vantaggio rispetto alle donne di maggiore età. Assodato, quindi, che al giorno d’oggi anche le donne più giovani, nella stragrande maggioranza dei casi purché adeguatamente tutelate e assistite, hanno la possibilità e la probabilità di vivere la propria gravidanza in modo ottimale e di partorire fisiologicamente un figlio perfettamente sano, non ci rimane che verificare quale può essere (nella nostra realtà contemporanea) il vissuto di una genitorialità precoce. Anche a tale proposito vale la pena di ricordare un nostro precedente studio condotto in collaborazione tra il Servizio di Adolescentologia e il 1° Istituto di Tabella 6. Potenziali rischi sanitari e psico/sociali connessi alle gravidanze precoci. Anemia Gestosi Inadeguata assistenza pre-natale Travaglio prolungato Parto operativo lacerazioni cervicali Complicanze del puerperio Interruzione dello studio difficoltà lavorative Recidiva di gravidanze precoci abortività Ansia - depressione Prematurità - basso peso alla nascita Elevata mortalità perinatale Distress respiratorio - infezioni Scarsa assistenza Sviluppo ritardato - deficit cognitivo Maltrattamenti Morte in culla (SIDS) Inadeguato supporto parentale Liti e violenze domestiche Separazioni/divorzi Comportamenti illeciti e delittuosi Povertà Tossicodipendenza Madre Neonato Famiglia ne responsabile, legata ad una più adeguata diffusione dei programmi di informazione da parte dei mass media e dei servizi sanitari dedicati. A questo punto, dopo aver constatato la persistente notevole rilevanza statistica delle nascite da madri adolescenti, nonostante un quasi generalizzato trend negativo, è indispensabile puntualizzarne gli aspetti clinici ed epidemiologici, vale a dire le potenziali ricadute sul benessere del prodotto del concepimento, dei giovani genitori e delle loro famiglie. Quanto sopra descritto appare particolarmente rilevante dal momento che, fino a tempi abbastanza recenti, le gravidanze nelle adolescenti erano state considerate inevitabilmente ad “alto rischio”. Le casistiche di vari e autorevoli studi stranieri evidenziavano, infatti, per le giovani madri una maggiore percentuale di tossiemia, di travagli prolungati, di tagli cesarei per sproporzione fetopelvica, di lacerazioni cervicali, di anemie e di complicanze del puerperio. Nei nati da madri adolescenti si denunciavano, inoltre, una più elevata frequenza di prematurità, di mortalità perinatale, di distress respiratorio e di vari danni neurologici neonatali, non- Tabella 7. Esiti delle gravidanze nelle madri minorenni romane (Anni 1979-1985). Numero di gravidanze % Parti 164 17,45 Aborti spontanei 22 2,34 IVG 754 80,21 Totale 940 100,00 Da: T.L. Schwarzenberg e R. Canibus, 1987. 74 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) “difficoltà nel lavoro e negli studi” (40,9%), le “difficoltà economiche” (20,3%), una serie di “problemi fisici e di comportamento” (33,3%) e, infine, ma in percentuale decisamente ridotta, le “problematiche di coppia” (5,5%). Nonostante la dimostrata possibilità per le adolescenti di portare a termine una gravidanza “ottimale” è, tuttavia, sempre molto elevato il numero delle giovani che decidono di interrompere la gravidanza stessa sia per una non adeguata accettazione psicologica dell’evento che per il timore di non potere o sapere affrontare le notevoli rinunce e i difficili adattamenti che una maternità precoce indubbiamente comporta. Né deve essere sottovalutata l’evenienza di tante giovani ragazze che pur desiderando (a volte ardentemente) di conservare il figlio da loro stesse concepito sono indotte (se non costrette) ad abortire dall’ambiente familiare e sociale con cui competono e nel quale si trovano inserite. Per quanto attiene ad un approccio di tipo epidemiologico alla problematica delle gravidanze precoci come anche dei loro possibili esiti (parti – IVG – aborti spontanei) sarà bene riflettere non solo su come anche piccoli scarti di età anagrafica possano, per questa fascia di età, comportare enormi differenze di livello maturativo sia da un punto di vista somatico che personologico, come anche sul fatto che un adolescente infradiciottenne, quindi legalmente ancora “minore”, si trova in una situazione di netta inferiorità di fronte alla legge rispetto a chi, pur essendo ugualmente un adolescente (e, non di rado, meno responsabile) ha appena compiuto il diciottesimo anno di vita acquisendo così improvvisamente e completamente ogni capacità di agire. Va inoltre rimarcato, ancora una volta, come la descrizione di qualsiasi fenomeno statistico-epidemiologico fatta solo in termini numerici possa risultare non di rado fuorviante: ne consegue, per quanto ci riguarda, che anche gli aumenti o le diminuzioni delle IVG comunque segnalati dovrebbero sempre prendere in considerazione anche la numerosità della popolazione femminile di volta in volta considerata. Per analizzare il fenomeno in termini relativi piuttosto che assoluti si fa ricorso, abitualmente, al tasso di abortività (= numero di IVG per 1.000 donne in età feconda, vale a dire tra i 15 e i 49 anni), al tasso di abortività precoce (= numero di IVG per 1.000 adolescenti in età feconda, vale a dire tra i 15 e i 19 anni) e al rapporto di abortività (numero di IVG per ogni 1.000 nati vivi). Per quanto attiene al tasso di abortività precoce, questo si è attestato in Italia al 7,8 per mille: uno dei valori più bassi nel panorama internazionale, preceduto solo dalla Svizzera (5,1), Germania (6,2) e Belgio (7,6). I tassi più elevati sono, invece, attribuiti agli Stati Uniti (20,0), Inghilterra (24) e Svezia (25,4) (Tabella 10). Esaminando la Tabella 11 si può meglio apprezzare quello che è stato l’andamento delle IVG nelle adolescenti italiane nell’ultimo quarto di secolo: dal 1980 al 2005. È possibile, in tal modo evincere come negli anni -80 l’accettazione di una gravidanza precoce fosse (almeno apparentemente) molto differenziata nelle diverse zone della nostra penisola: con livelli massimi di IVG nell’Italia Settentrionale e Centrale e minimi nell’Italia Meridionale Tabella 8. Modalità di espletamento del parto nelle minorenni e nelle donne appartenenti alla casistica generale. madri minorenni Numero totale casistica generale 164 Numero totale 19.275 Parto spontaneo 96,34% Parto spontaneo 84,46% Parto operativo Parto operativo 3,66% 15,54% Da: T.L. Schwarzenberg e R. Canibus, 1987. Tabella 9. Giudizio sulla gravidanza precoce da parte delle madri adolescenti. N° di donne % Meglio avere un figlio prima dei 19 anni 58 52 Meglio avere un figlio dopo i 19 anni 38 34 Non so 16 14 Totale 112 100 Da: A. Morini, T.L. Schwarzenberg et al., 1988. Clinica Ostetrica dell’Università di Roma “La Sapienza”. La predetta indagine aveva preso in esame 527 donne che avevano messo al mondo un figlio quando loro stesse non avevano ancora compiuto i 19 anni. A causa di comprensibili difficoltà nel rintracciare sia gli indirizzi che i recapiti telefonici, come anche per la reticenza di alcune donne, alla fine fu possibile intervistare, in modo completo e attendibile, solo 112 soggetti. Nonostante la numerosità apparentemente ridotta della casistica, il campione oggetto di questa nostra “antica” ricerca ci aveva fornito informazioni estremamente interessanti, molte delle quali conservano intatta la propria attualità. Vale la pena di rimarcare che mentre alcune delle giovani madri avevano partorito recentemente, per altre l’esperienza della gravidanza e della genitorialità precoce risalivano a 5-6 anni prima. Il quesito fondamentale che veniva posto a tutte le intervistate era il seguente: “In base alla tua esperienza ritieni che sia meglio partorire prima o dopo i 19 anni?”. Come si può facilmente notare dalla Tabella 9 la maggioranza delle risposte (52%) confermava un giudizio positivo nei riguardi della precoce esperienza genitoriale. Le motivazioni addotte indicavano essenzialmente che una maternità in età anche molto giovane poteva favorire un miglior rapporto con il figlio (52%) ed un maggiore benessere psicofisico materno (28,8%). Viceversa, coloro che avevano dichiarato, dopo aver vissuto sul campo l’esperienza di una genitorialità precoce, che sarebbe stato per loro meglio poter procrastinare di qualche anno la nascita del proprio figlio, adducevano come giustificazione di tale convincimento le 75 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 10. Interruzioni di gravidanza per 1000 donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni compiuti. CH D B I NL E F N DK Can USA UK S 2006 2007 2005 2006 2006 2005 2004 2006 2006 2004 2004 2006 2006 5,1 6,2 7,6 7,8 9,4 12,5 15,2 15,8 16,3 16,3 20,0 24 25,4 Paragone internazionale - (fonte EUROSTAT). A conclusione di questo, pur sommario, excursus sulle gravidanze nelle minori e sui loro possibili esiti, come anche sulle ricadute personali e sociali della genitorialità precoce, si impongono alcune constatazioni e riflessioni sui comportamenti sessuali degli attuali adolescenti. Dissertando di sexual behaviour si corre frequentemente il rischio di confondere ipotesi per certezze e, soprattutto, di generalizzare risultanze desunte da indagini condotte con metodologie non sempre rigorosamente scientifiche e riproducibili. Sta di fatto che tutti i dati attualmente disponibili sul comportamento sessuale della popolazione (giovane e meno giovane) sono per lo più motivati dall’esigenza di “far notizia” che è propria dei massmedia, mentre assai più raramente rispondono alla domanda scientifica di poter disporre di riferimenti statistico-epidemiologici verificabili e attendibili. Tutto ciò, si badi bene, non per svalu- e Insulare. È evidente, tuttavia, come col passare degli anni fino al momento attuale l’atteggiamento delle adolescenti italiane tenda, invece, progressivamente ad uniformarsi. Tale andamento, tuttavia, suscita alcune perplessità legate al fatto che, nonostante il già dimostrato trend in calo delle gravidanze precoci, proprio nell’Italia Meridionale e Insulare si sia verificato un così evidente incremento di IVG tra le teenager. Una possibile spiegazione del fenomeno può essere ricercata nel maggiore accesso all’abortività legale a scapito di quella clandestina, precedentemente assai diffusa in queste regioni italiane. Parallelamente, si può notare una sensibile riduzione delle IVG nelle adolescenti dell’Italia Settentrionale e Centrale, verosimilmente imputabile, questa volta, alla migliore conoscenza e più ampia utilizzazione di metodi contraccettivi validi anche da parte della popolazione giovanile. Tabella 11. Tassi di abortività adolescenziale in italia dal 1980 al 2005 per area geografica (dati Istat). 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1 ITALIA 6,2 6,5 8,25 8,15 7,93 6,96 6,43 6,17 5,84 5,75 5,55 5,43 5,67 2 Nord Ovest 9,4 10,2 11,23 11,2 10,89 9,15 8,19 7,91 7,5 7,04 6,87 6,6 6,82 3 Nord Est 7,6 7,9 9,51 9,2 8,28 7,24 6,53 6,12 5,37 5,22 5,15 5 5,2 4 Nord 8,7 9,3 10,53 10,4 9,82 8,37 7,5 7,17 6,62 6,29 6,16 5,94 6,16 5 Centro 7,9 7,7 10,92 10,5 10,37 8,99 8,34 7,7 7,57 7,53 7,28 6,97 7,43 6 Sud 2,9 3,2 4,85 5,08 5,33 4,8 4,8 4,86 4,6 4,8 4,43 4,68 4,8 7 Isole 3 2,8 4,14 3,96 3,77 4,1 3,72 3,63 3,56 3,58 3,67 3,36 3,75 8 Mezzogiorno 2,9 3,1 4,63 4,73 4,84 4,58 4,46 4,47 4,27 4,41 4,19 4,26 4,47 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 1 ITALIA 6,01 5,81 6,1 6,5 6,67 6,85 7,19 7,11 6,98 7,21 7,31 7,52 7,11 2 Nord Ovest 7,56 7,42 7,37 8,28 8,07 8,18 8,53 8,26 8,3 8,45 8,76 9,51 8,52 3 Nord Est 5,41 4,83 5,31 5,09 5,41 5,56 5,94 6,07 6 6,31 6,22 6,65 6,41 4 Nord 6,68 6,36 6,52 6,97 6,97 7,1 7,47 7,36 7,35 7,57 7,71 8,32 7,64 5 Centro 7,53 7,1 6,87 6,88 7,79 7,91 8,06 8,32 8,1 8,03 7,76 8,61 8,17 6 Sud 5,17 5,2 5,81 6,37 6,31 6,61 7,04 6,82 6,62 6,92 6,96 6,47 6,26 7 Isole 3,88 3,91 4,6 5,03 5,26 5,46 5,73 5,64 5,4 5,93 6,12 6,3 6,19 8 Mezzogiorno 4,77 4,79 5,43 5,95 5,98 6,25 6,63 6,45 6,24 6,61 6,59 6,42 6,24 Dati ISTAT su interruzioni volontarie di gravidanza in età adolescenziale. 76 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La gravidanza nelle adolescenti e la genitorialità precoce Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) tare gli importanti dati sui comportamenti e vissuti adolescenziali che ricercatori seri e competenti faticosamente riescono a raccogliere, ma per mettere in guardia da certe improprie e mai verificabili astrazioni e generalizzazioni statistiche: al contrario tutte le indagini “sul campo” ci possono fornire preziose informazioni su certe “tendenze comportamentali” che stanno emergendo in modo inquietante tra gli attuali adolescenti. In Italia, come è ben noto, non è mai esistita una seria e concreta programmazione nei riguardi della “educazione alla sessualità”, che pur viene costantemente (..e per lo più incoerentemente) invocata. Eppure, nonostante tutto, le nostre adolescenti (come abbiamo avuto l’opportunità di dimostrare) sono tra le meno coinvolte nelle varie problematiche delle gravidanze precoci, rispetto alle coetanee degli altri Paesi industrializzati. Analoghe considerazioni potrebbero valere nei riguardi dei teenager italiani e le malattie a trasmissione sessuale. All’opposto, nel nostro Paese sono sempre più numerosi gli atti di bullismo e di teppismo anche a sfondo sessuale, gli stupri, la pedopornografia, la prostituzione minorile, precoci e disarmanti testimonianze di comportamenti sessuali ai limiti della devianza, il tutto frequentemente amplificato dai supporti telematici e multimediali di internet, SMS, MMS e quant’altro. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere sulla scarsa affidabilità della più volte invocata (e mai esattamente definita) “educazione sessuale” ma pur sempre di stampo troppo scolastico e curriculare, comunque poco aderente ad una realtà in continua e tumultuosa evoluzione. Dovremmo, al contrario, riscoprire il significato e il valore immutabile dell’educazione “globale”: alla legalità, alla tolleranza, al rispetto di regole condivise, alla salute (propria e altrui), alla tutela dei più deboli. In questa auspicabile “riscoperta” dell’educazione uno spazio importante dovrebbe essere riservato, per quanto di sua competenza, al Pediatra, specie se impegnato con gli adolescenti, ovviamente senza alcuna pretesa di prevaricazione nei riguardi delle “agenzie privilegiate” quali la famiglia e la scuola. Sarà indispensabile ricordare, infine, che qualsiasi adulto che si confronti con i giovani diventa automaticamente un educatore, che l’educazione presuppone, anzitutto, autorevoli esempi positivi e che qualsivoglia regola perde ogni efficacia se non sottende una giusta, tempestiva ed equilibrata sanzione. 4. EUROSTAT: Servizi Informativi e Statistici dell'Unione Europea. On Line http://www.eurostat.eu 5. ISTAT: Avere un figlio in Italia - Approfondimenti tematici dall’indagine campionaria sulle nascite. 2OO6; Sistema Statistico Nazionale Istituto Nazionale di Statistica. 6. Schwarzenberg T.L., Canibus R.:Le madri adolescenti ed i loro neonati. Relazione al Primo Congresso Nazionale ASPER su "Educazione sessuale: problemi e prospettive" (Roma 10 maggio 1987). 7. Richards J.,Papworth M.,Corbett S., Good J.: Adolescent Motherhood: A Q-Methodological Re-Evaluation of Psychological and Social Outcomes. J. Community Appl. Soc. Psychol. 2007; 347-362:17. 8. Morini A., Schwarzenberg T.L., Petronio E., Angelini R., Mossa B., Roscetti C., Aleandri V., Benagiano G.: Il parto nelle adolescenti: casistiche del periodo 1976-1986 negli Istituti di Clinica Ostetrica e Ginecologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Atti del Convegno “Adolescenza: un problema sociale”. Sorrento 25/3/1988. (Edizioni Pozzi, 1989). 9. Morini A., Schwarzenberg T.L., Napolitano, C., Sala D., Novembri G., Roscetti C.,Florio V., Pontrelli V.C.: Indagine per il rilevamento delle conseguenze personali e sociali della nascita di un figlio nell’adolescente. Atti del Convegno “Adolescenza: un problema sociale”. Sorrento 25/3/88. (Edizioni Pozzi, 1989). Bibliografia 1. AA Vari U.S. Teenage Pregnancy Statistics - National and State Trends and Trends by Race and Ethnicity Guttmacher Institute Updated September 2006 (120 Wall Street, New York, NY 10005). 2. AA Vari: Gravidanze all'età adolescente in Svizzera: non c'è aumento. Paragone internazionale. "Statistiques de l'avortement en Suisse" On Line http://www.svss-uspda.ch/fr/suisse. 3. Corrispondenza: Prof. Tito Livio Schwarzenberg Viale dell’Università 11 - 00185 Roma Tel. +393288941032 e-mail: [email protected] ISTAT: Bilancio demografico nazionale - Anno 2007 (3 luglio 2008). On Line http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/ bildem/20080703_00/testointegrale20080703.pdf 77 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) in età adolescenziale Mariangela Cisternino, 2Patrizia Sampaolo, 1Elena Borali, 1Ilaria Possenti, 1Valeria Calcaterra 1 1 Dipartimento di Scienze Pediatriche Università di Pavia e Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia 2 Clinica Ostetrica e Ginecologica Università di Pavia e Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia Riassunto La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è caratterizzata da un eccesso di androgeni. Pur comparendo talvolta già in età prenatale e nella primissima infanzia, questa sindrome diviene classicamente sintomatica in età adolescenziale per la presenza di uno o più dei seguenti sintomi: irsutismo, acne, seborrea, alopecia diffusa, irregolarità mestruali, obesità. Le opzioni terapeutiche comprendono: modifiche dello stile di vita, farmaci ad azione antiandrogena, contraccettivi orali, farmaci insulino-sensibilizzanti, in particolare la metformina, di cui tuttavia mancano studi clinici controllati a lungo termine che ne confermino l’efficacia. La metformina inoltre non è scevra da effetti collaterali. L’obiettivo principale del pediatra è la prevenzione della PCOs. Questa consiste nell’individuazione dei casi a rischio di PCOs già in età infantile. A nostro avviso un trattamento farmacologico andrà prescritto, tranne che in casi particolari, a partire dal 3° anno di età ginecologica in Centri Specialistici multidisciplinari che vedano affiancati il pediatra ed il ginecologo. Parole chiave: metformina, iperandrogenismo, obesità, sindrome dell’ovaio policistico. The treatment of the polycistic ovary sindrome in adolescents Summary Polycystic ovary syndrome (PCOs) is characterized by chronic androgen excess that may have origins in childhood or even in utero. Clinical manifestations include hirsutism, acne, seborrhoea, diffuse alopecia, menstrual irregularities and obesity. Therapeutic options include lifestyle intervention, antiandrogens, oral contraceptive pills and insulin sensitizisers such as metformin. The positive effects of metformin should be tempered by the fact that all of the studies are small and short in duration. In addition, metformin may produce several side effects. Much efforts should be done by paediatricians in order to prevent adolescent PCOs by recognizing precocious symptoms in infancy. In our opinion, pharmacological treatment should be prescribed from the 3rd year after menarche, except for selected cases, by a multidisciplinary team including a paediatrician and a gynaecologist. Key words: metformin, hyperandrogenism, obesity, polycystic ovary syndrome. La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è caratterizzata da un eccesso di androgeni. Pur comparendo talvolta già in età prenatale e nella primissima infanzia, questa sindrome diviene classicamente sintomatica in età adolescenziale (1). In questa fascia di età tuttavia la PCOs comporta notevoli difficoltà diagnostiche rispetto all’età adulta poiché le manifestazioni cliniche, quali irregolarità mestruali ed anovulazione, le manifestazioni iperandrogeniche e l’aspetto ecografico dell’ovaio, sono spesso indistinguibili dai quadri clinici fisiologici tipici dell’età adolescenziale. Tuttavia una corretta diagnosi è necessaria al fine di istituire un trattamento appro- priato, dato che la PCOs ha ripercussioni importanti sulla salute sia in età adolescenziale che in età adulta (2). Mentre in passato il trattamento della PCOs era mirato alla correzione delle irregolarità mestruali o delle manifestazioni iperandrogeniche, più recentemente sono stati impiegati farmaci insulino sensibilizzanti. Diversi studi hanno infatti dimostrato come un evento causale che sottintende l’insieme di manifestazioni della PCOs sia uno stato di iperinsulinismo ed insulinoresistenza, di entità variabile a seconda che si tratti di ragazze normopeso o sovrappeso. L’insulinoresistenza è il fattore maggiormente responsabile della sindrome metabolica (3). 78 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) in età adolescenziale Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Come in età adulta, anche in età adolescenziale la PCOs può associarsi alla sindrome metabolica, all’aumentato rischio per malattie cardiovascolari e per diabete tipo 2. Le possibilità di trattamento della PCOs sono le seguenti (4, 5): Modifiche dello stile di vita e calo ponderale Farmaci insulino-sensibilizzanti Farmaci ad azione antiandrogenica Contraccettivi orali Suddette opzioni terapeutiche applicate in associazione. Interventi mirati a modificare lo stile di vita. Obesità o sovrappeso sono manifestazioni frequenti nella PCOs. L’obesità, specie quella con disposizione addominale del tessuto adiposo, è fortemente indicata come causa di insulinoresistenza, chiave eziologica principale della PCOs. Un corretto regime alimentare ed il regolare esercizio fisico sono il trattamento di scelta. In donne adulte si è osservato come la riduzione del 5-10% del peso corporeo sia in grado di ridurre i livelli di insulina e l’insulinoresistenza, e di produrre una sensibile riduzione dell’iperandrogenismo e delle sue manifestazioni cliniche, nonché il ripristino della ciclicità mestruale (6, 7). Un’elevata percentuale di casi, tuttavia, dopo l’avvenuto calo ponderale ripresenta un incremento del peso corporeo. E’ quindi questa un’opzione terapeutica che richiede grande motivazione, probabilmente ottenibile con l’impegno di un team multidisciplinare in centri specialistici. Le adolescenti devono essere inoltre altamente motivate e contare sull’ausilio familiare. La riduzione del peso deve essere ottenuta non con l’applicazione di drastiche diete ipocaloriche, cui spesso segue la ripresa del peso, quanto con un programma di educazione alimentare che possa entrare nello stile di vita e possa essere più facilmente accettato e rispettato negli anni. L’esercizio fisico riduce l’insulinemia in quanto comporta un aumentato utilizzo del glucosio da parte delle masse muscolari cui consegue una riduzione dei valori insulinemici. Le indicazioni sull’attività fisica devono essere abbastanza dettagliate. Il monitoraggio delle pazienti deve essere stretto, con controlli ravvicinati, mediamente quindicinali. Farmaci insulino-sensibilizzanti. Oltre agli interventi volti a modificare lo stile di vita, vi sono farmaci specifici che possono controllare l’insulinoresistenza, tra cui la metformina. La metformina, un derivato del biguanide, agisce abbassando la concentrazione di insulina nel plasma a digiuno e provoca una maggior captazione periferica del glucosio diminuendone la produzione epatica, senza però provocare ipoglicemia (eccetto quando assunta con alcool). È, in pratica, un elemento di sensibilizzazione all'insulina ed esplica la sua azione ipoglicemizzante potenziando l'attività dell'insulina sia endogena che esogena nei tessuti periferici senza esercitare la stimolazione delle cellule pancreatiche. In donne adulte l’uso della metformina, al pari del calo ponderale ottenuto con le modifiche dello stile di vita, si è dimostrata efficace nel controllo delle manifestazioni cliniche della PCOs (8). Tale trattamento ha infatti provocato un miglioramento della funzionalità ovarica con riduzione degli androgeni e con miglioramento della fertilità. Nonostante non vi siano finora studi clinici controllati a lungo termine per l’uso di questo farmaco in età adolescenziale, tuttavia, dai dati finora disponibili in Letteratura, emerge che l’impiego della metformina provoca una riduzione dell’iperinsulinismo, iperandrogenismo ed irsutismo in adolescenti PCOs sia obese che normopeso. L’efficacia finora dimostrata dalla metformina è però limitata a studi di breve durata. E’ stato inoltre dimostrato che il miglioramento dell’iperinsulinemia indotto dal farmaco, però, non esplichi significativi effetti sull’attività enzimatica ovarica del citocromo P450c17. Questo porta a considerare la metformina semplicemente un adiuvante nella terapia a lungo termine della PCOs, senza peraltro provocare specifici e significativi benefici sulla funzionalità ovarica (9). Generalmente ben tollerata anche dalle adolescenti, la metformina non è, però, del tutto priva di effetti collaterali, quali eccessiva stanchezza, irregolarità dell’alvo, riduzione dell’appetito, vomito e dolori addominali. Da ricordare inoltre la possibile interazione con innumerevoli altri farmaci, la potenziale epatotossicità e nefrotossicità a lungo termine, tali da giustificare controlli clinici ed ematochimici periodici. In corso di interventi chirurgici, anche odontoiatrici è necessaria, inoltre la sospensione del farmaco. Di notevole importanza la possibilità di indurre acidosi lattica i cui sintomi prodromici possono essere rappresentati da disturbi gastroenterici, irregolarità della frequenza cardiaca e del respiro, tali da richiedere l’immediata sospensione della terapia farmacologica ed una stretta sorveglianza del paziente (10). Da non dimenticare di sospenderne la somministrazione in caso di shock e disidratazione. Anche nella necessità di esecuzione di esami radiologici contrastografici la metformina va sospesa da 48 ore prima a 48 ore dopo l’esecuzione dell’indagine. In genere la sua prescrizione trova indicazione in presenza di iperinsulinismo ed insulinoresistenza, quando le modifiche dello stile di vita non riescono a provocare una normalizzazione dello stato metabolico (5). La metformina è un farmaco “off label”: il medico prescrittore ed il paziente, pertanto, previo dettagliato consenso informato, se ne assumono la totale responsabilità della prescrizione e dell’assunzione. Altri farmaci insulinosensibilizzanti, quali i tiazolidinedioni (pioglitazone e rosiglitazone) sono stati impiegati con efficacia in età adulta e sono al vaglio per l’età adolescenziale. Farmaci antiandrogeni. Gli antiandrogeni impiegati nel trattamento della PCOs sono la flutamide, la finasteride, il ciproterone acetato e lo spironolattone. Nei casi di iperandrogenismo surrenalico è indicato trattamento con cortisonici. Il ciproterone acetato (CPA) è l’antiandrogeno più frequentemente utilizzato. Viene somministrato come progestinico nella terapia contraccettiva orale in associazione all’etiniletradiolo, oppure nella terapia sequenziale inversa (EE :0.01 mg/die per 21 giorni e CPA 12.5 mg-25 mg/die nei primi 10 giorni del ciclo terapeutico). Dosi più elevate fino a 50-100mg/die sono spesso necessarie specie per il trattamento dell’acne. Tra gli effetti collaterali di questo farmaco vi sono ipertrigliceridemia e rischio di trombosi venose. La flutamide è un antiandrogeno non steroideo che ha mostrato di ridurre l’iperandrogenismo e le sue manifestazioni cliniche. Tuttavia 79 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) questo farmaco non provoca la regolarizzazione dei cicli mestruali e non ha alcuna influenza sull’iperinsulinismo ed insulinoresistenza. La flutamide può provocare epatossicità, pertanto il suo impiego richiede uno stretto monitoraggio della funzionalità epatica: per tale motivo andrebbe limitato a casi particolari. Anche la flutamide è un farmaco “off label”. Lo spironolattone in studi a breve termine ha provocato un miglioramento dell’irsutismo, superiore a quello ottenuto con la metformina, ma questo farmaco ha scarsa influenza sulle manifestazioni della sindrome metabolica. Tuttavia un miglioramento dell’insulinoresistenza è stato dimostrato con l’impiego dello spironolattone in associazione alla dieta ed all’esercizio fisico. Tra gli effetti collaterali sono dimostrati l’iperkaliemia, l’ ipotensione e sanguinamenti frequenti. Anche lo spironolattone è un farmaco “off label”. Contraccettivi orali. I contraccettivi orali (CO) contenenti un progestinico non androgenico vengono impiegati nella PCOs per sopprimere la funzionalità ovarica, ma non hanno effetto metabolico. Con il loro utilizzo si ottiene la normalizzazione dei cicli mestruali e, scegliendo le formulazioni con progestinici ad attività antiandrogenica, si può ottenere anche la riduzione della secrezione androgenica. Vi sono diversi CO a vari dosaggi di etinilestradiolo associato ai progestinici (Levonorgestrel, Desogestrel, Norgestimate, Gestodene, CPA e Drospirenone). Il loro impiego tuttavia è limitato per una serie di motivi: non determina miglioramento del quadro metabolico, che può invece peggiorare, se il progestinico con tenuto nella formulazione ha attività androgenica (Norgestrel, Levonorgestrel). Inoltre la paziente può illudersi che questo trattamento sia curativo e quindi non sottoporsi al work-up necessario. Spesso vi è incremento ponderale che contrasta con la desiderabile perdita di peso. La paziente sarà meno motivata a seguire le prescrizioni sulle modifiche dello stile di vita, rendendo vani i tentativi di trattare le alterazioni metaboliche e ridurre il rischio di sindrome metabolica. Trattamenti combinati. Varie associazioni farmacologiche sono state sperimentate in donne adulte ed adolescenti con PCOs, allo scopo di ottenere un buon controllo sia dell’iperandrogenismo che dell’insulinoresistenza tra cui flutamide/metformina, CO e flutamide/metformina, metformina e CO con o senza flutamide. Fino a quando non saranno disponibili studi clinici controllati è tuttavia raccomandabile non impiegare cocktails farmacologici in adolescenza. deve riguardare le modifiche dello stile di vita: educazione alimentare, calo ponderale, esercizio fisico. Cure estetiche per le manifestazioni iperandrogeniche. La prescrizione di metformina andrà limitata ai casi con ridotta tolleranza glucidica, marcata insulinoresistenza ed in caso di insuccesso delle modifiche dello stile di vita con persistenza delle irregolarità mestruali, dell’iperandrogenismo e dell’insulinoresistenza. Farmaci antiandrogeni o contraccettivi orali contenenti progestinici ad attività antiandrogenica saranno prescritti limitatamente ai casi di acne ed irsutismo grave. 3. Interventi farmacologici andranno associati alle modifiche dello stile di vita solo dopo il 3° anno di età ginecologica, in presenza di grave quadro iperandrogenico e di insulinoresistenza, con stretto monitoraggio degli effetti collaterali. La scelta del trattamento dipende da quale obiettivo terapeutico ci si prefigge principalmente (se endocrino o metabolico) e dovrebbe essere affidata all’esperienza di Centri Specialistici multidisciplinari che vedano affiancati il pediatra ed il ginecologo. Bibliografia Proposta di trattamento della PCOs in età adolescenziale 1. Rosenfield RL. Identifying children at risk for polycystic ovary syndrome. J Clin Endocrinol Metab 2006; 2006-2012. 2. Baumann EE, Rosenfield RL. Polycystic Ovary Syndrome in Adolescence. The Endocrinologist 2002; 12:333-348. 3. Essah PA, Nestler JE. The metabolic syndrome in polycystic ovary syndrome. J Endocrinol Invest 2006; 29:270-280. 4. Dronavalli S, Ehrmann DA. Pharmacologic Therapy of Polycystic Ovary Syndrome. Clin Obstet Gynecol 2007; 50(1):244-254. 5. Ulanch JW, Arslanian S. Treatment of PCOS in adolescence. Best Pract & Res Clin Endocrinol & Metab 2006; 20:311-330. 6. Legro RS. Detection of insulin resistance and its treatment in adolescents with polycystic ovary syndrome. J Pediatr Endocrinol Metab.2002; 15:1367-1378. 7. Hoeger KM. Role of lifestyle modification in the management of polycystic ovary syndrome. Best Pract & Res Clin Endocrinol & Metab 2006; 20:293-310. 8. Hoeger KM, Kochman L, Wixom N, Craig K, Miller RK, Guzick DS. A randomized, 48-week, placebocontrolled trial of intensive lifestyle modification and/or metformin therapy in overweight women with polycystic ovary syndrome: a pilot study. Fertil Steril. 2004; 82:421429. 9. Unluhizarci K, Kelestimur F, Bayram F, et al. The effects of metformin on insulin resistance and ovarian steroidogenesis in women with polycystic ovarian syndrome. Clin End 1999; 51:231-236. 10. Nisbet JC, Sturtevant JM, Prins JB. Metformin and serious adverse effects. Med J Aust 2004 Jul 5; 180:53-4. 1. Intervento precoce con modifiche dello stile di vita in bambine in età pre e peripuberale con sintomi predittivi di PCOs, tra cui principalmente obesità associata a pubarca prematuro, adrenarca esagerato, pubertà precoce, aumento del volume ovarico ed anamnesi positiva per basso/elevato peso alla nascita. 2. Prima del 3° anno di età ginecologica il trattamento della PCOs Corrispondenza: Prof. Mariangela Cisternino Clinica Pediatrica Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo P.le Golgi, 2 - 27100 Pavia Tel. 0382-502732 - Fax 0382527976 e-mail [email protected] 80 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) L’uso della metformina nell’adolescente Franca Fruzzetti, Daria Perini, Veronica Lazzarini Divisione di Ginecologia e Ostetricia I Universitaria, Spedali Riuniti S. Chiara, Pisa Riassunto La metformina è un farmaco insulino-sensibilizzante utilizzato nel diabete di tipo 2 e nella correzione di alterazioni endocrino-metaboliche associate all’insulino-resistenza nelle pazienti con Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) e/o obesità. La terapia con metformina determina un miglioramento dell’insulino-resistenza e del profilo lipidico e un calo ponderale. Nelle adolescenti con PCOS, inoltre, la metformina determina miglioramento della ciclicità mestruale e dell’iperandrogenismo. Tutti questi effetti positivi vengono ottenuti al prezzo di minimi e transitori effetti collaterali con conseguenza buona aderenza alla terapia. Parole chiave: adolescenza, insulino-resistenza, metformina, obesità, PCOS. Metformin in adolescents wiyh PCOS Summary Metformin is an insulin sensitizer used for therapy of tipe 2 diabetes and for the correction of endocrine and metabolic abnormalities in insulin-resistant adolescents with Polycystic Ovary Syndrome (PCOS) and/or obesity. Metformin treatment improves insulin-resistance, lipid profile and causes a weight loss. Moreover metformin in PCOS adolescents restores regular menstrual cycles and normalizes androgen levels. Limited is the appearance of gastrointestinal side effects. Key words: adolescent, insulin-resistance, metformin, obesity, PCOS. La metformina è un farmaco appartenente alla classe degli insulino-sensibilizzanti chiamati biguanidi. Dopo assunzione orale, il farmaco viene assorbito a livello intestinale, circola nel plasma in forma libera e non subisce alcuna metabolizzazione epatica per cui viene escreto come tale nelle urine. La sua emivita è di circa 1.5-3 ore. L’ azione insulino-sensibilizzante della metformina si esplica principalmente attraverso la riduzione della produzione epatica di glucosio e l’aumento del suo metabolismo a livello periferico. Concorrono all’effetto euglicemizzante del farmaco la riduzione dell’assorbimento intestinale di glucosio e la riduzione della lipolisi a seguito della quale si ha un decremento dei substrati per la gluconeogenesi. In Italia la metformina è in commercio sottoforma di compresse da 500, 850 e 1000 mg; la dose terapeutica giornaliera non deve superare i 3 g in dosi frazionate per il rischio di acidosi lattica. L’insufficienza renale e le malattie cardiopolmonari croniche aumentando questo rischio sono con- troindicazioni all’uso di metformina. I più frequenti effetti collaterali sono di tipo gastrointestinale e comprendono anoressia, nausea, vomito, dolore addominale e diarrea. Questi effetti sono dose-dipendenti, tendono a manifestarsi all’inizio della terapia e sono spesso transitori. Per minimizzarli è possibile iniziare la terapia aumentando gradualmente la dose (1). Il farmaco è indicato nel trattamento del Diabete Mellito di tipo 2 in monoterapia o in associazione ad altri antidiabetici orali o ad insulina. In Italia la metformina è registrata come farmaco usato nel diabete, tuttavia nell’ultimo decennio, diversi studi hanno dimostrato un’ efficacia clinica della metformina nella correzione di alterazioni endocrino-metaboliche associate all’insulino-resistenza anche in soggetti non diabetici con Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) e/o obesità (2). La PCOS è una sindrome endocrino-metabolica che interessa circa il 5% delle donne in età riproduttiva (3). In base alla 81 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) pubarca precoce (PP) e storia di basso peso alla nascita in quanto ad alto rischio di sviluppare la PCOS. Poco è conosciuto sulla progressione da PP a PCOS ma l’insulino-resistenza sembra giocare, ancora una volta, un ruolo importante. In ragazze con PP e storia di basso peso alla nascita, la somministrazione quotidiana di 850 mg di metformina per 12 mesi ha determinato un miglioramento statisticamente significativo del peso corporeo e della distribuzione dell’adipe, del profilo lipidico, dell’insulino-resistenza e dell’iperandrogenismo, a differenza del gruppo non trattato, nel quale si è osservato un peggioramento di questi indici (13). In adolescenza, oltre alla PCOS, la metformina è stata utilizzata in soggetti obesi e con iperinsulinemia con risultati incoraggianti. Studi randomizzati condotti su un grande numero di adolescenti dimostrano che nel gruppo trattato con metformina si assiste ad una riduzione significativa del peso corporeo, dell’insulinemia e dell’insulinoresistenza rispetto al gruppo placebo (14-15). Per contrastare l’aumento ponderale farmaco-indotto, l’uso di metformina è stato proposto anche in adolescenti in terapia con antipsicotici. I dati presenti in letteratura sono per ora contradditori e ulteriori studi sono necessari per stabilire se la metformina possa essere raccomandata a questi adolescenti (16). In conclusione, numerosi studi confermano l’utilità della metformina nell’adolescenza per il trattamento degli stati di insulinoresistenza, sia intrinseci alla PCOS che secondari ad obesità. Oltre al miglioramento dell’insulino-sensibilità, si assiste ad un miglioramento del profilo lipidico , alla riduzione del peso corporeo e del tessuto adiposo addominale, effetti che hanno ripercussioni favorevoli sull’evoluzione di queste malattie. Inoltre, nelle adolescenti con PCOS la terapia con metformina è in grado di modificare positivamente l’espressione della malattia tramite ripristino della ciclicità mestruale e riduzione dell’iperandrogenismo. In alcuni soggetti l’insulinosensibilizzante può essere associato a estroprogestinici o antiandrogeni. Nonostante il farmaco rappresenti un valido aiuto per la perdita di peso, gli adolescenti obesi o soprappeso devono essere educati ad uno stile di vita sano, con una dieta appropriata e costante attività fisica, che dovrà essere seguito anche dopo interruzione della terapia in modo mantenere i risultati ottenuti. I numerosi effetti positivi della metformina, a breve e lungo termine, vengono ottenuti a fronte di limitati e transitori effetti collaterali con buona adesione alla terapia, e basso costo della stessa. Al di là degli effetti positivi evidenziati nella maggiore parte dei soggetti nel corso della terapia non esistono comunque al momento attuale studi a lungo termine capaci di chiarire se l’uso di tale farmaco all’inizio della vita riproduttiva come è l’adolescenza sia effettivamente in grado di modificare il destino di queste giovani donne affette da PCOS. In altri termini assolutamente non chiaro è se l’uso della metformina possa effettivamente determinare un miglioramento della ciclicità mestruale anche dopo l’interruzione della terapia. Consensus di Rotterdam si parla di PCOS quando sono presenti almeno due dei seguenti criteri: oligoamenorrea e/o anovularietà cronica, iperandrogenismo clinico e/o biochimico, evidenza ecografica di ovaie policistiche, dopo esclusione di cause secondarie di iperandrogenismo e oligomenorrea (iperprolattinemia, sindrome di Cushing, sindrome surrenogenitale) (4). La PCOS si rende clinicamente manifesta a partire dall’adolescenza, periodo durante il quale alcuni degli aspetti tipici di questa sindrome sono normalmente presenti rendendo la diagnosi difficoltosa. Nei primi anni dopo il menarca infatti, circa il 59% dei cicli mestruali sono anovulatori e comune è il riscontro di ovaie policistiche, fattori entrambi legati al processo di maturazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio (5). Inoltre, durante la pubertà c’è un fisiologico aumento dell’insulino-resistenza e dei livelli di androgeni circolanti come conseguenza dell’aumento dei livelli di ormone della crescita (6). Per questi motivi nelle adolescenti la diagnosi di PCOS può essere sovrastimata e non è ancora del tutto chiaro quante delle adolescenti classificate come PCOS ne siano realmente affette anche in età adulta. La PCOS si accompagna sin dall’adolescenza ad una moltitudine di disordini metabolici quali obesità, insulino-resistenza con iperisulinemia compensatoria e dislipidemia caratterizzata da elevati livelli plasmatici di colesterolo totale, LDL e trigliceridi e da ridotti livelli plasmatici di HDL; questi fattori espongono le pazienti affette da PCOS ad un rischio maggiore di sviluppare complicanze a lungo termine di tipo cardiovascolare rispetto alla popolazione generale (7). Lo stato di insulino-resistenza in particolare gioca un ruolo chiave nella patogenesi della PCOS, contribuendo in maniera rilevante alle sue manifestazioni cliniche e alle sue complicanze (8). Vista l’importanza patogenetica dell’insulino-resistenza nella PCOS, l’utilizzo di farmaci insulino-sensibilizzanti come la metformina, è stato suggerito nelle pazienti affette da tale sindrome, adolescenti comprese. Gli effetti del miglioramento dell’insulino-sensibilità ottenuti tramite terapia con metformina sono molteplici e si riflettono a livello metabolico, endocrinologico e clinico. Nelle adolescenti affette da PCOS la terapia con metformina determina una riduzione significativa del peso corporeo, del tessuto adiposo addominale sottocutaneo e dei valori di insulinemia sia basale che dopo carico glucidico (9). Si assiste inoltre al miglioramento del profilo lipidico con riduzione dei livelli plasmatici di LDL e trigliceridi ed aumento dei livelli di HDL (10). Durante terapia con metformina i livelli circolanti di androgeni sono ridotti con modesta correzione dell’irsutismo e dell’acne. Una riduzione maggiore delle manifestazioni dell’iperandrogenismo si ottiene associando alla metformina un farmaco antiandrogenico o un contraccettivo orale il cui progestinico abbia azione antiandrogenica (11). La ciclicità mestruale e il tasso di ovulazione migliorano sin dai primi mesi di terapia con metformina per cui un contraccettivo ormonale è consigliato se la ragazza è sessualmente attiva (12). L’uso della metformina è stato proposto nelle ragazze con 82 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza L’uso della metformina nell’adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Bibliografia 1. Katsung BG Farmacologia generale e clinica. 5th. Italy:Piccin; 2003 8. 2. Pasquali R, Gambieri A, Biscotti D et al. Effect of long term treatment with metformin added to hypocaloric diet, fat distribution and androgen and insulin levels in abdominally obese women with and without the polycystic ovary syndrome. J Clin Endocrinol Metab 2000; 85:2767. Dunaif A. 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Chiara Via Roma, 35 - 56100, Pisa Fax 050553410 e-mail: [email protected] 83 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza Rita Tanas1, Lorenzo Iughetti2, Guido Caggese3, Giovanna La Fauci4, Marta Zaghi5, Rossella Berri2, Maria Chiara China2, Salvatore Di Maio6 1 Divisione di Pediatria e di Adolescentologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara. UO di Pediatria,, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Università di Modena e Reggio Emilia. 3 Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara 4 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università agli Studi di Ferrara 5 Laurea in Farmacia e Farmacia Industriale, Università agli Studi di Ferrara 6 Struttura Complessa di Auxologia e Endocrinologia, AORN “Santobono – Pausilipon”, Napoli 2 The pharmacotherapy of obesity in adolescence: the problems Summary In the Western World obesity represents, especially in childhood, a problem in expansion and of difficult solution; therefore the request for pharmacological treatments limit consequences related to cardio-metabolic diseases. However, the drugs currently available, approved by the competent authority, have many limits for adults and even more for children. The drugs approved by the U.S. Food and Drug Administration (FDA) and European Medicines Agency (EMEA) are limited for adult and more for adolescent people. They are Orlistat Sibutramine and Metformin. They have been used only in pilot studies in adolescents. Their limits are related to side effects, the impossibility to use them for long periods (their effects are lost at suspension of the drug), high cost of therapy and patient drop-out. Before and with drugs, one should always offer a lifestyle improvement program which in adolescence should involve both patient and parents. Currently, in Italy these programs are available in few centers open to the public and with limited offers. Another recent drug is Rimonabant, selective antagonist of the cannabinoid receptor. It has been approved by the EMEA for patients over 18, not by the FDA. Considering the role of the endocannabinoid system in neurogenesis and in the consolidation of cognitive processes and memory, the use in adolescents is not advised. In conclusion, the use of drugs to prevent or contract obesity and its consequences in adolescents is still at its dawn. Currently, we do not believe that in the near future we will be able to offer manageable and safe drugs to adolescents, capable of helping them reach and maintain a certain lifestyle and a healthier weight. We should work to implement projects for lifestyle improvement and carryout political and social measures for the prevention of spreading obesity. Key words: paediatric obesity, pharmacotherapy, anti-obesity agents, adolescent. Introduzione cina ufficiale. I programmi di miglioramento dello stile di vita sembrano teoricamente i più efficaci, ma richiedono tempi e competenze specialistiche non frequenti nell’ambito delle cure primarie e persino nei reparti dedicati. Se consideriamo la piramide che illustra una possibile rete assistenziale (Figura 1) all’adolescente sovrappeso e obeso è evidente che ancora molta strada deve essere fatta nel nostro Paese. La maggior parte delle regioni, purtroppo, non ha ancora realizzato programmi d’intervento educativo e cognitivo-compor- L'obesità, soprattutto in età pediatrica, rappresenta un problema in continua espansione e di difficilissima soluzione, non soltanto nel mondo occidentale. La riduzione di quella che è stata definita una pandemia, auspicata e favorita da tante iniziative in tutti i paesi industrializzati, non si è realizzata. La prevalenza dell’obesità, infatti, continua ad aumentare e ad accelerare (1). Il lavoro di tipo politico-sociale per modificare i fattori ambientali che l’hanno favorita fa fatica a decollare ed ancora nessuna soluzione terapeutica con evidenza di efficacia viene fornita dalla medi- 84 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) che, così come nell’adulto, anche in età adolescenziale(7) l’uso di Orlistat associato ad una dieta ipocalorica con un normale contenuto minerale giornaliero, non ha determinato una significativa variazione del bilancio minerale ed elettrolitico, mentre è ormai assodato che Orlistat provoca un ridotto assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K), che soprattutto in età evolutiva può rendere necessaria l’integrazione vitaminica. Gli effetti collaterali emersi negli studi in tutte le fasce di età, pur essendo generalmente modesti (flatulenza, stimolo impellente alla defecazione, steatorrea, perdite di piccole quantità di materiale oleoso dal retto, aumento della frequenza dell’alvo), hanno causato scarsa compliance specie tra gli adolescenti. tamentale di primo e secondo livello, a cui si potrebbe, eventualmente, associare il farmaco, indirizzando il paziente ad un centro di terzo livello (Figura 2). La Farmacoterapia dell’obesità I meccanismi di regolazione del peso corporeo sono estremamente complessi. I numerosi studi condotti in questo campo hanno dimostrato l’esistenza di tanti e potenti sistemi di difesa contro la “morte da fame”, operanti a più livelli, a partire dalle strutture più antiche del nostro cervello, rendendo con ciò evidente la difficoltà di individuare in una sola molecola la soluzione al problema obesità. Il farmaco ideale per la cura di tale condizione non è stato ancora trovato. Esso dovrebbe avere almeno 3 caratteristiche: essere efficace, specie sul lungo termine, avere scarsi effetti collaterali e migliorare i fattori di rischio correlati all’obesità, agendo soprattutto sulle complicanze cardio-metaboliche. Attualmente sono ancora pochi i farmaci a disposizione, approvati dalle autorità competenti, soprattutto per l’adolescente. In effetti dei farmaci utilizzati nel trattamento dell'obesità: l’Orlistat, è stato approvato dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA) per l’età adolescenziale solo nel 2003 e dall’European Medicines Agency (EMEA) per i soggetti di età maggiore di 12 anni due anni dopo. La Metformina è autorizzata solo per l’uso nel bambino diabetico di età superiore ai 10 anni. La Sibutramina, invece, è autorizzata per l’uso in soggetti con più di 16 anni dalla FDA e 18 dall’EMEA. Il Rimonabant è stato approvato solo nell’aprile 2008 dall'EMEA per i soggetti di età superiore ai 18 anni, e non ancora dalla FDA. Sibutramina. La Sibutramina è un farmaco ad azione prevalentemente centrale, che causa l’inibizione della ricaptazione di noradrenalina e serotonina, aumentandone i livelli nello spazio sinaptico. Un’ormai vasta letteratura ha documentato l’efficacia di questo farmaco in pazienti adulti (8-13) nei quali la posologia iniziale è di Centri di Riabilitazione Obesi gravi (>40 BMI) I farmaci Orlistat. L’Orlistat (tetra-idro-lipostatina) è il più recente tra Figura 1. L’Organizzazione in rete da predisporre per la cura dell’obesità nell’ambito del SSN nelle varie Regioni Italiane. gli agenti che riducono l’assorbimento dei nutrienti. Il farmaco si lega alle lipasi intestinali, inibendo l’azione di idrolisi dei grassi della dieta (trigliceridi) in acidi grassi liberi assorbibili e monoacilglicerolo. Tale azione si riflette nell’eliminazione di circa il 30% dei grassi ingeriti. L’assorbimento per via gastrointestinale è trascurabile e questo fa sì che l’Orlistat non abbia attività sistemica. Gli studi condotti sull’adulto, analizzati recentemente in una metanalisi (2) hanno dimostrato la superiorità di Orlistat rispetto al placebo, anche se clinicamente tale vantaggio si limita a una riduzione di peso non superiore ai 3 kg. Inoltre da tali studi è emerso che Orlistat, indipendentemente dalla riduzione del peso, riduce i livelli di colesterolemia totale e di LDL, riduce i livelli pressori e migliora la resistenza insulinica a digiuno (3). Anche i vari studi condotti nell’adolescente (4-6) hanno fornito dati sovrapponibili a quelli realizzati negli adulti. Da sottolineare Figura 2. La terapia farmacologica si colloca fra i compiti del Centro di 3° livello per la cura dell’obesità in età adolescenziale. 85 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 10 mg alla mattina da aumentare a 15 mg se la perdita di peso è inferiore a 2 kg dopo 4 settimane. I lavori in età pediatrica e adolescenziale sono ancora pochi. Da essi emerge che l’efficacia della terapia consiste in una perdita media di peso inferiore ai 6 Kg (14), ma che il farmaco può essere utile anche in casi di obesità ipotalamica (15). Inoltre l’integrazione del farmaco in un piano terapeutico comportamentale ne migliora significativamente la percentuale di successi terapeutici (16). Gli effetti collaterali segnalati in letteratura sono un modico rialzo della pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, e della frequenza cardiaca, cefalea, insonnia, secchezza delle fauci e stipsi. Va però ricordato che in Italia, il farmaco è stato ritirato dal mercato nel marzo 2002, in seguito alla morte di due pazienti, e riammesso solo dopo un’istruttoria dell’EMEA che dichiarò che i suoi benefici sono maggiori dei rischi. Metformina. La Metformina è una biguanide che riduce la gluconeogenesi epatica e l’assorbimento intestinale di glucosio e aumenta la captazione e l’utilizzo del glucosio a livello muscolare con un miglioramento della sensibilità insulinica. Tra gli ipoglicemizzanti orali è l’unico che, non solo non induce un incremento, ma anzi favorisce il calo ponderale. La Metformina, utilizzata per il trattamento del diabete mellito di tipo 2, è stata oggetto di numerose sperimentazioni nell’adulto e nell’adolescente, ma l’efficacia nel promuovere una riduzione di peso è sempre risultata limitata. Molto più significativi sono gli effetti sul miglioramento della sensibilità insulinica specie nelle ragazze con policistosi ovarica (17-20). Rimonabant. Il Rimonabant (21) è un antagonista selettivo del recettore di tipo1 dei cannabinoidi (CB1). Associato a una riduzione dell’apporto calorico rispetto al fabbisogno individuale e aumento dell'attività fisica, esso ha dimostrato di essere efficace nel ridurre il peso corporeo e le alterazioni metaboliche dei pazienti. È generalmente ben tollerato, tuttavia sono stati descritti disturbi dell’umore come ansia e depressione. Il rilevan- te ruolo del sistema endocannabinoide nella neurogenesi e nel consolidamento dei processi cognitivi e di memoria, attualmente, ne sconsiglia l'impiego nei bambini e negli adolescenti. Efficacia attesa e uso dei farmaci nell’adulto La percentuale globale di peso che può essere perduta con un ciclo terapeutico è attualmente molto bassa (Tabella 1). Può essere ancora considerata valida la teoria che vede il cosiddetto ”adipostat ipotalamico“ conservare memoria del peso raggiunto dal corpo fino a molti anni dopo il calo ponderale e cercare sempre di recuperarlo, qualora l’individuo se ne discosti. Dai farmaci, peraltro, si vorrebbe ottenere proprio lo spostamento del setpoint del peso del paziente verso valori più bassi per permettere loro di mantenere più agevolmente nel tempo i risultati raggiunti in fase iniziale. Attualmente la terapia farmacologica nell’adulto è riservata a soggetti con BMI superiore a 30 kg/m2 o superiore a 27 kg/m2 con comorbilità, come parte di un programma globale, che comprende la dieta e l’incremento dell’attività motoria, quando con questi presidi da soli il risultato sia insufficiente (<-5%) o non si riesca a mantenerlo nel tempo. Si considerano non-responders alla terapia farmacologia, che quindi deve essere sospesa, i soggetti che dopo 3 mesi di terapia non hanno dimostrato un calo ponderale almeno del 5% (se il calo nel primo mese è inferiore ai 2 kg, è difficile che si registri una buona risposta successivamente). La terapia comportamentale dietetica e motoria, anche se inizialmente efficace, purtroppo poi evolve nel recupero di peso: nel 61-83% dei casi dopo 3 anni e pressoché nella totalità dei soggetti dopo 5 anni. Questa incapacità a mantenere nel tempo il calo ponderale raggiunto potrebbe essere trattata con la farmacoterapia. Tabella 1. Conseguenze dei programmi intensivi di cambiamento dello stile di vita e dei farmaci nell’adolescente e nell’adulto dopo 1 anno: calo ponderale, drop-out e problematiche (23,30). Intervento Calo medio di peso (kg) Drop-out (%) Effetti collaterali e problemi aperti Interventi intensivi sullo stile di vita 6,7 20-40% Costi elevati, mancanza di personale preparato. Orlistat 2,5-2,9 33-35% Diarrea, flatulenza, feci oleose, ridotto assorbimento di vitamine liposolubili, aumentato tournover osseo, litiasi colecistica 2% (evitare se litiasi già esistente?) Sibutramina 4,5-7,7 24-43 Aumento FC e PA, S. QT lungo, insonnia, vertigini, bocca secca, stipsi, non associare ad anti MAO o altri inibitori del re-uptake della serotonina per S. serotoninica. Metformina studi su numeri e tempi limitati 2,6 6-7% Nausea, vomito, disturbi addominali, deficit di vitamina B, acidosi lattica. Rimonabant 5,6 40% Nausea, vomito, disturbi addominali, ansia, insonnia, vertigini. 86 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La terapia farmacologica dell’obesità in adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Problemi della terapia farmacologia dell’adolescente Oggi la terapia farmacologia dell’obesità nell’adulto viene utilizzata: 1. nei primi mesi del trattamento per dare fiducia nelle proprie capacità di ottenere un risultato a pazienti particolarmente delusi da precedenti terapie fallimentari o con complicanze gravi 2. nella seconda fase di un trattamento dietetico-comportamentale per aumentare la perdita di peso 3. al termine del programma di calo ponderale per favorire il mantenimento del risultato nel tempo, dopo il primo anno di cura. In tal caso si può pensare a una terapia ciclica, da riprendere quando il peso tenda al recupero. In età adolescenziale tutti i principi farmacologici hanno un limitato seppure crescente impiego solo in studi pilota (25-30). Come gran parte degli studi condotti in questo campo nell’adulto essi hanno vari limiti che ne riducono l’uso: tempo di impiego limitato: gli effetti sul calo ponderale con tutti i farmaci oggi in commercio si perdono alla sospensione del farmaco effetti collaterali frequenti o disturbanti, talvolta gravi (Tabella 1) indicazioni ristrette (Tabella 2) numero di controindicazioni elevato (Tabella 2) costo elevato dei farmaci drop-out elevato dei pazienti (Tabella 1). indisponibilità di programmi intensivi per promuovere un migliore stile di vita. Tali programmi dovrebbero sempre precedere, associarsi e seguire l’uso della terapia farmacologica, ma sono oggi disponibili in Italia solo in pochissimi centri aperti al pubblico e con offerta limitata. Efficacia attesa e uso dei farmaci in adolescenza La terapia farmacologica in adolescenza è consigliata solo ai soggetti con obesità grave che, sottoposti ad un approccio plurispecialistico di tipo educativo-comportamentale ben condotto ed esteso anche i familiari, della durata di sei mesi, non abbiano avuto risposta o presentino comorbilità persistenti (22-23). In realtà in adolescenza la variazione prevista allo scadere dei 14 anni del medico responsabile del ragazzo, la scarsa disponibilità di approcci educativo-comportamentali certificati, l’elevato dropout del ragazzo, che aumenta con il crescere del grado di obesità e con la sensazione di fallimento terapeutico, raramente ci costringono a decidere la prescrizione di un farmaco. È difficile però accettare che un terzo degli adolescenti con alterata tolleranza glucidica o insulino-resistenza di grado elevato evolvano in diabete entro 21 mesi, pur trattati con programmi di cambio dello stile di vita di elevato livello (24). Difficile far accettare le complicanze spesso gravi in corso di interventi sanitari su grandi obesi. Inutile cercare di placare il marito della paziente di 190 kg, deceduta a seguito di un intervento chirurgico, che al telegiornale dell’8 luglio scorso chiede giustizia contro la classe medica per la perdita di una moglie che “stava benissimo”. Discussione e Conclusioni Nonostante la diffusa e consolidata valutazione positiva dell’importanza della dieta e dell’esercizio fisico per ridurre l’eccesso di adipe, l’evidenza suggerisce che spesso i programmi di perdita di peso per gli adolescenti sono senza successo, e questa constatazione giustifica i tentativi di una terapia farmacologica. Tuttavia l'impiego di farmaci per prevenire o contrastare l'obesità nell’adolescenza è ancora in fase sperimentale(30). L’esigenza di una terapia farmacologica è avvertita soprattutto per condizioni particolarmente severe, dove essa potrebbe essere raccomandata per una più rapida perdita di peso in presenza di gravi complicanze: esempio paradigmatico è l’obesità ipotalamica, che Tabella 2. Indicazioni e controindicazioni degli interventi sanitari per la cura dell’obesità nell’adulto. Intervento Indicazioni Controindicazioni Interventi intensivi sullo stile di vita A tutti i soggetti sovrappeso e obesi, prima del farmaco, in associazione al farmaco e dopo la sua sospensione Possibile promozione dell’esordio di disturbi del comportamento alimentare Orlistat BMI > 30 o > 27 con almeno una comorbilità (Alterata tolleranza glucidica, Dislipidemia, Steatosi) Ipertensione arteriosa, aritmie, cardiopatie Sibutramina BM I> 30 o >27 con almeno una comorbilità Disturbi psichiatrici, ipertensione Metformina Diabete Mellito (Alterata Tolleranza Glucidica, Insulino-resistenza severa, Sindrome dell’ovaio policiscico) Patologie epatiche, renali, respiratorie, consumo di alcool Rimonabant BMI > 30 o >27 con almeno una comorbilità Disturbi psichiatrici, disturbi dell’umore 87 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) colpisce alcuni adolescenti curati per neoplasie endocraniche e la cui prevalenza aumenta sempre di più per i successi della terapia neurochirurgica e oncologica, e le obesità sindromiche: in questi casi alcuni autori(15) hanno dimostrato che il trattamento con Sibutramina può essere efficace sulla riduzione del peso, ma si tratta di uno studio sperimentale breve, i cui risultati vanno confermati e completati con la valutazione dei parametri metabolici. L’entusiasmo per una terapia farmacologica deve essere temperato da tre osservazioni: 1. tutti i farmaci usati sono a rischio di complicanze, alcuni di essi anche gravi; 2. tutti i farmaci sono efficaci solo durante il periodo di assunzione, poiché non producono cambiamenti permanenti nella fisiopatologia o nel comportamento; 3. i due farmaci finora più usati nell’adulto, Orlistat e Sibutramina, determinano una modesta perdita di peso, variabile dal 3 a 8 %. A questo proposito è stato sostenuto che in adulti con rischio di diabete tipo 2 anche una modesta perdita di peso può essere potenzialmente benefica (31). Anche in età adolescenziale (32) i soggetti che perdono oltre il 5% del BMI, indipendentemente dal tipo di trattamento eseguito, hanno una significativa riduzione della circonferenza addominale e un miglioramento degli indici di rischio metabolico. Resta pertanto fondamentale dimostrare l’efficacia dei farmaci rispetto a end points di morbilità e mortalità, in quanto studi nei quali i farmaci migliorano solo end points surrogati, quale la perdita di peso, alla fine non necessariamente hanno effetti di rilevanza clinica (33). Oggi ci sono altre priorità nella prevenzione e nella cura dell’adolescente con questa patologia e per molti anni ancora non potremo probabilmente contare sull’appoggio di farmaci sicuri, efficaci e utilizzabili per tempi lunghi. Speriamo comunque che in futuro lo sforzo congiunto della classe medica e delle case farmaceutiche possa risolvere i seguenti punti cruciali sull’argomento: 1. la formalizzazione e l’implementazione fra i pediatri di famiglia di un percorso di educazione del soggetto obeso e della sua famiglia per la realizzazione di un piano di cambiamenti dei comportamenti inadeguati alimentari e motori con altri più sani quale quello da noi proposto(34-36) o quello pubblicato recentemente dall’Accademia dei Pediatri Americani(37), 2. indicazioni più accurate sull’opportunità di associare un trattamento farmacologico, validato, autorizzato per l’età, 3. indicazione sul momento o livello di gravità più opportuno per fare tale aggiunta, 4. indicazioni sulla durata della terapia farmacologica e sul possibile utilizzo di cicli di terapia ripetuti, 5. indicazioni realistiche sulla valutazione del percorso terapeutico educativo o farmacologico svolto, con definizioni condivise su trattamento terapeutico “efficace” e “non-efficace”, 6. una valutazione delle problematiche ancora aperte relative all’uso dei farmaci, non solo per la cura dell’obesità, ma anche per la cura del grave obeso, soggetto che ammala di più e in modo più grave, essendo esposto alle molte e frequenti complicanze metaboliche, cardiologiche, ostetriche, pneumologiche, ortopediche e psichiatriche dell’obesità morbigena. Sappiamo molto poco sui meccanismi farmacocinetici di assorbimento, legame proteico in circolo e ridistribuzione nei tessuti e in particolare nel tessuto adiposo, legame con il recettore, tempi di eliminazione ed interferenza con altri farmaci nel soggetto con obesità morbigena. Grande prudenza deve essere raccomandata a tutti i professionisti della sanità nella gestione di questi pazienti oggi sempre più frequenti nella routine ospedaliera, 7. un controllo più accurato dei messaggi pubblicitari e mediatici rivolti agli adolescenti sull’offerta di trattamenti di sicura inefficacia: test diagnostici di incompatibilità agli alimenti, farmaci da banco venduti nelle farmacie per dimagrire, prodotti per ridurre la cellulite e alimenti a basso o nullo contenuto calorico, studiati per illudere o ingannare, chi vuole dimagrire. Bibliografia 88 1. Tanas R, Alberini A, Casarini T, Armari S, Bottazzi M. 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Anna Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara. Telefono 0532 236933-237331 - Fax 0532 207107 e-mail: [email protected] 24. Weiss R, Taksali SE, Tamborlane WV, Burgert TS, Savoye M, Caprio S. Predictors of changes in glucose tolerance status in obese youth. Diabetes Care 2005; 28:902-909. 25. Chanoine JP, Hampl S, Jensen C, Boldrin M, Hauptman J. 89 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato G. Raiola, 1S. Bertelloni, 2G. Romano, 3V. De Sanctis, 4M.C. Galati 1 U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza - U.O.C. di Pediatria, A.O. “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro Sezione di Medicina dell’Adolescenza, Dipartimento Materno-infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa, 2 U.O.C. Servizio informativo ASP, Catanzaro 3 U.O. di Pediatria ed Adolescentologia - A.O. Universitaria di Ferrara, Arcispedale S. Anna 4 U.O. di Emato-oncologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro Riassunto Gli autori riportano il documento elaborato dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza per la cura degli adolescenti e le strategie per una migliore definizione degli interventi assistenziali. Viene proposta, inoltre, una rivisitazione del percorso assistenziale da un punto di vista di “Total Quality Management”. Parole chiave: adolescenti, assistenza agli adolescenti, Italia, Total Quality Management. The position statement of the Italian Society for Adolescent Medicine for Adolescent health. A new medical pathway Summary The authors report the position statement of the Italian Society for Adolescent Medicine for adolescent health care and strategies of intervention in Italy. A new proposal of medical pathway by Total Quality Management point of view are illustrated, too. Key words: adolescents, adolescent health care, Italy, Total Quality Management. Introduzione L’adolescenza può essere definita come “il periodo della vita di un individuo il cui inizio coincide con la comparsa dei primi segni morfo-funzionali e/o psicosociali di maturazione puberale ed il cui termine coincide con il raggiungimento della maggiore età”; tuttavia si ritiene oggi che l’età in cui termina l’adolescenza rimanga poco definibile in termini cronologici, potendo sopravanzare la conclusione di quella che comunemente viene definita come “età evolutiva” (cioè 0-18 anni) in conseguenza di condizioni mediche e/o psico-sociali che ritardano l’acquisizione dell’indipendenza tipica del soggetto adulto (1). A tal proposito, vi è stata una modificazione dei limiti cronologici di questa fascia di età, tanto che alcune società scientifiche tendono a protrarre l’adolescenza fino alla terza decade di vita (Tabella 1). Dunque, l’adolescenza rappresenta l’età di passaggio dall’infanzia, all’età adulta, inserita in un continuum che non prevede divisioni cronologiche ben definite. In questa fase della vita si compie un processo di maturazione biologica, in rapporto a profonde modificazioni dell’assetto ormonale, e contemporaneamente si ha un’evoluzione del pensiero cognitivo e morale; nel loro insieme, tali processi sono finalizzati al raggiungimento della fertilità e al pieno inserimento nella società degli adulti. Condizioni mediche o psicosociali che alterano il fisiologico decorso dell’a- 90 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente. Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato la salute (benessere fisico, psichico e sociale) (5). Oggi, le nuove strategie di prevenzione devono essere orientate verso la scoperta e il potenziamento delle risorse personali e sociali proprie di ogni individuo; lo scopo è quello di mettere al centro del percorso l’adolescente nella sua interezza psico-fisica, superando i “vecchi” programmi centrati sulle malattie e sulle situazioni a rischio, orientando maggiormente la prevenzione verso il sostegno ai bisogni naturali di crescita, piuttosto che alla sola riduzione dei fattori di rischio e sulle ricadute sociali dei propri comportamenti (5, 6). Per raggiungere tale scopo è fondamentale una diversa formazione degli operatori che dovrebbero essere in grado di fornire “motivazioni reali per indurre i giovani a modificare i comportamenti individuali”, aiutandoli nella loro crescita umana e sociale e rivolgendo particolare attenzione ai soggetti che sembrano a maggior rischio psico-sociale. Un’adeguata formazione in medicina dell’adolescenza secondo queste nuove modalità stenta a però a realizzarsi nell’ambito della formazione curriculare del medico (Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Pediatria o Corso di formazione per medici di medicina generale). Dal punto di vista assistenziale la situazione non è migliore. Dati epidemiologici indicano che oltre l’85% degli adolescenti italiani con età maggiore di 14 anni viene ricoverato in reparti non idonei per i soggetti in fase di crescita, cioè in quelli per adulti. Quelli ricoverati in Area Pediatrica, sono assistiti insieme ai bambini piccoli, quindi in spazi non adeguati per i loro bisogni di privacy e crescita. A livello territoriale, i circa 7400 pediatri di famiglia assistono meno del 50% degli adolescenti con età tra gli 11 e i 14 anni e solo pochissimi oltre questa età; i rimanenti sono in carico ai medici di medicina generale o, spesso, solo ai servizi di emergenza/urgenza (pronto soccorso, medici della continuità assistenziale, che non possono ovviamente garantire attività di presa in carico e prevenzione (5). I ragazzi con patologia cronica hanno un’assistenza frammentata tra centri specialistici e territoriali, spesso senza alcun collegamento tra i vari servizi. La medicina scolastica è stata abolita nella maggioranza del paese e la pediatria di comunità è una realtà molto carente (5, 6). dolescenza possono quindi avere ripercussioni negative non solo in questa età ma per tutta la vita. Utilizzando i limiti indicati in Italia, cioè 11-18 anni (Tabella 1), al 1° gennaio 2005 vivevano nel nostro Paese circa 4.863.935 di adolescenti, pari a circa l’8,3% della popolazione (dati ISTAT) (23). Merita di essere sottolineato che di questi circa il 9% risulta affetto da almeno una malattia cronica, percentuale che sale a circa il 12% se si considera la fascia 14-19 anni. Si deve, inoltre, osservare un fenomeno del tutto nuovo rappresentato dal fatto che già a questa età il 2% degli adolescenti risulta affetto da due o più malattie croniche, anche come conseguenza del miglioramento delle possibilità di cura per patologie fino a poco tempo fa precocemente fatali. Un altro fenomeno del tutto emergente è rappresentato dalla mutietnicità dell’attuale popolazione adolescenziale, che ha risvolti ed implicazioni assistenziali e psicoeducative importanti, anche come sfida all’integrazione di culture e tradizioni diverse (4, 5). I dati sulla “Situazione sanitaria del Paese” (Ministero della Salute, 2006 e 2008) dimostrano, inoltre, una situazione preoccupante per quanto riguarda i comportamenti sessuali a rischio, le malattie sessualmente trasmesse, l’abuso di alcolici, tabacco e droghe, per le quali è stato messo in evidenza, oltre ad una maggiore propensione al consumo tra i giovani, anche una più precoce età di inizio, suggerendo che i programmi di prevenzione fino ad oggi utilizzati non hanno dato i risultati sperati (4). È inoltre evidente nella cronaca quotidiana il problema sempre più diffuso del bullismo che sfocia, ormai troppo spesso, in atti di vera e propria criminalità minorile. Insita nel concetto di “promozione alla salute” è la necessità di intervenire per limitare il diffondersi di avvenimenti dannosi, avversi, attraverso l’azione preventiva. Dunque, è proprio nell’ambito dell’adolescentologia che il pediatra deve riscoprire e valorizzare il proprio ruolo di “medico dello sviluppo e dell’educazione”, termine con il quale è stato indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ciò si dovrebbe realizzare con la presa in carico del ragazzo (care), anche educandolo a condurre la propria vita in modo da saper riconoscere ed evitare le principali situazioni a rischio capaci di comprometterne Tabella 1. Limiti cronologici dell’adolescenza. Ente Paese Anno Limiti, aa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - 1975 10 – 20 Società Italiana di Pediatria (SIP) Italia 1995 11 – 18 Accademia Americana di Pediatria (AAP) USA 1995 11 – 21 Società di Medicina dell’Adolescenza (SAM) USA 1995 10 – 251 Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) Italia 2007 10 – 182 1. inizio adolescenza = inizio sviluppo puberale; 2. fine adolescenza = acquisizione status adulto (sociale/economico) 1. inizio fin da 8-9 anni (se pubertà precoce/anticipata); 2. estensione fino alla III-IV decade di vita nel caso di individui con patologie croniche (Italian Journal of Pediatrics, 2007; Acta Paediatrica, 2008) 1 2 91 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Trovare soluzioni a queste carenze non è semplice né è realizzabile in tempi brevi, ma è ormai indispensabile affrontare in maniera organica e collegiale il problema dei sistemi assistenziali e tracciare una chiara e comune linea programmatica che possa concretizzarsi in programmi di prevenzione e modelli di presa in carico dell’adolescente (2-9). Devono essere istituite modalità programmate di passaggio assistenziale (transizione) tra i servizi pediatrici e i servizi dell’adulto. Questa fase di transizione (tra pediatra di famiglia e medico di medicina generale) dovrà essere gestita attraverso protocolli, riconosciuti in ambito di contrattazione nazionale, che consentano al nuovo curante, oltre che la presa in cura dell’adolescente, anche l’acquisizione di informazioni certe non solo sul suo stato sanitario ma anche sugli aspetti di tipo sociale e relazionale più rilevanti. Il secondo livello assistenziale dovrà provvedere alla transizione degli adolescenti affetti da patologie croniche complesse, che necessitano di essere presi in carico dai centri specialistici dell’adulto, secondo percorsi accreditati anche sulla base di esperienze nazionali ed internazionali (12). Il Progetto SIMA La Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) propone che: Dal punto di vista formativo, per colmare le lacune esistenti e assicurare competenze omogenee in questo settore su tutto il territorio nazionale, l’adolescentologia medica abbia un ruolo preminente nei programmi di Educazione Medica Continua (ECM), sia per pediatri che per gli altri professionisti ed operatori sanitari che si occupano di adolescenti; nella programmazione e realizzazione di tali programmi è fondamentale l’apporto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per il background culturale e l’esperienza acquisita in tale ambito in circa 15 anni di attività. Dal punto di vista assistenziale, si propone un modello organizzativo articolato in 2 livelli: 1. Primo livello, identificabile con i Medici delle Cure Primarie e i Servizi territoriali, con compiti di educazione sanitaria, prevenzione, filtro e, quando possibile, trattamento delle condizioni più comuni nella età adolescenziale sia in ambito individuale che collettivo, con particolare attenzione al mondo della scuola. A livello delle cure primarie, inoltre, dovrebbe essere sviluppato un “Progetto Salute Adolescente”, che preveda l’esecuzione di bilanci di salute dedicati ad età filtro, anche attraverso modalità di chiamata attiva. Tali bilanci dovrebbero sostituire pregresse forme di intercettazione delle patologie adolescenziali, oggi non più presenti, usualmente tardivi, o dedicati solo a parte della popolazione (es. visita di leva). Per svolgere queste funzioni, gli operatori coinvolti (pediatri di famiglia, medici di medicina generale, pediatri di comunità, infermieri pediatrici, etc.) dovranno possedere specifiche conoscenze e competenze di adolescentologia, accreditate da percorsi ECM, certificati dalla SIMA di concerto con le Istituzioni sanitarie nazionali (10). 2. Secondo livello: questo viene identificato in strutture multidisciplinari localizzate all’interno dell’Area Pediatrica, che dovranno attivare, oltre a servizi ambulatoriali e day hospital, un numero adeguato di posti letto per adolescenti in aree di degenza specifiche, programmate in base a dati epidemiologici regionali. Tali strutture dovranno essere dirette da un pediatra con riconosciuta competenza in medicina dell’adolescenza, anche sulla base di un percorso di accreditamento individuato dalla SIMA e validato dalle istituzioni sanitarie (9, 11). Il secondo livello ha anche compiti di produrre cultura e di collaborare con le strutture di I livello che si occupano di adolescenti in un modello integrato a rete (8). I presupposti per un cammino verso la qualità in medicina dell’adolescenza La complessità “dell’adolescente”, nel suo insieme sanitario e sociale, impone il suo inserimento in un percorso qualità che consenta la tracciabilità di tutti gli interventi sanitari e psicosociali effettuati; il percorso assistenziale dovrà quindi essere rivisto in un’ottica di “Total Quality Management” (13). Diviene fondamentale il ruolo manageriale dei medici nella promozione della Qualità al fine di esaminare efficacia ed efficienza dei percorsi e processi sanitari offerti all’adolescente. Per poter misurare e giudicare il percorso di qualità implementato nell’ambito dell’adolescenza è necessario definire gli aspetti che possono essere misurati e confrontati. Sono almeno sette gli aspetti o “dimensioni” della qualità - efficacia attesa, efficacia pratica, competenza tecnica, accettabilità, efficienza, adeguatezza, accessibilità e appropriatezza - che possono essere racchiusi nello schema riportato in Tabella 2 (14). Un percorso di qualità per l’adolescente, anche ai fini del sostegno delle conoscenze di base e di tutto quanto possa intervenire in un programma di total quality, presuppone che: a. il personale venga adeguatamente formato a valutare e migliorare l’organizzazione sanitaria e la performance del lavoro sull’adolescente; b. il personale debba obbligatoriamente partecipare a sistematici programmi di aggiornamento atti al miglioramento della qualità; c. le organizzazioni sanitarie forniscano al personale dati accurati, completi e tempestivi mediante i quali le prestazioni cliniche e l’organizzazione dei percorsi assistenziali per adolescente possano essere efficacemente ed effettivamente misurate; d. l’accessibilità alle informazioni sul percorso di salute dell’adolescente sia garantita a tutto il personale medico e sanitario dell’ospedale e del territorio secondo standard atti a garantire le misure concrete e valutabili per il miglioramento della qualità. 92 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Il progetto della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) per la salute dell’adolescente. Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Un percorso di qualità inserito in un percorso sanitario assistenziale dedicato Tabella 2. Aspetti o “dimensioni” della qualità e relative definizioni. Indicatore Definizione Azione Efficacia attesa Capacità potenziale di un certo intervento di modificare in modo favorevole le condizioni di salute delle persone cui è rivolta, quando esso venga applicato in condizioni ottimali. Fare ciò che è utile Efficacia Pratica Risultati ottenuti dall’ applicazione di routine dell’intervento. Nel modo migliore Competenza tecnica Livello di applicazione delle conoscenze scientifiche, delle abilità professionali e delle tecnologie disponibili. Da chi eroga cure Accettabilità Grado di apprezzamento del servizio da parte dell’utente. Per chi le riceve Efficienza Capacità di raggiungere i risultati attesi con il minor costo possibile. Al minor costo Adeguatezza e Accessibilità Capacità di assicurare le cure appropriate a tutti coloro che ne hanno effettivamente bisogno. A chi ne ha bisogno. Appropriatezza Grado di utilità della prestazione rispetto al problema clinico e allo stato delle conoscenze E soltanto a loro stenza sanitaria. A tale proposito, è opportuno necessario partire dai seguenti due assiomi di base: La qualità non è principio unico ed universale, ma conta moltissimo “l’osservatorio” dal quale si esprime la valutazione. La qualità è un fenomeno multidimensionale, dinamico e dipendente da numerosi fattori, tra loro correlati; può essere valutato sotto il profilo professionale, umanistico ed organizzativo. Il seme del cambiamento nella valutazione della qualità è dentro ogni attore del servizio sanitario ed è un seme di miglioramento continuo della qualità in tutti i suoi aspetti e con tutte i naturali limiti, che necessitano di trovare un suolo personale e professionale - ma anche organizzativo e sociale - fertile. In medicina dell’adolescenza, è oramai imprescindibile l’esigenza di adottare processi di miglioramento continuo della qualità che condurranno alla crescita della dimensione “oggettiva” delle prestazioni ma anche degli elementi “soggettivi”, difficilmente misurabili ma abbondantemente richiesti da istanze di umanizzazione e personalizzazione dei servizi. Il benessere globale (fisico, psicologico e sociale) dell’adolescente appartiene al mandato connaturale delle figure mediche e sanitarie, nonostante vi possano essere diversità di opinione (17-18). Se da un lato i medici e gli infermieri e tutti gli attori del servizio sanitario sono chiamati ad instaurare una relazione di aiuto efficace, mettendo l’adolescente in condizioni di esprimere i propri bisogni, curandone l’accoglienza, educandolo al corretto uso della struttura e a recepire quelle che sono le aspettative, dall’altra gli stessi adolescenti sono chiamati a contribuire al miglioramento della qualità delle cure partecipando attivamente alla valutazione della qualità delle cure e degli interventi sanitari. Un concetto d’acquisire e che la ricerca della qualità non è un mandato irrealizzabile. Un altro presupposto per il successo dei programmi per la Qualità in campo adolescenziale è la formazione che sviluppa, alimenta ed avvalora il ruolo delle scienze comportamentali piuttosto che delle soluzioni tecniche. La cultura, gli atteggiamenti, la formazione ed il management delle risorse umane sono essenziali. I Piani sanitari spesso ne fanno menzione, ma senza identificare o finanziare i soggetti a cui è preposta la responsabilità della loro implementazione. Per operare nel percorso qualità, gli operatori devono acquisire le informazioni sull’approccio medico, quindi analizzarle alla luce dei suddetti standard, definendo il migliore percorso qualità. Conclusioni ….se venisse eliminata la Qualità, soltanto la razionalità rimarrebbe immutata. Strano. Come mai?? Fedro non lo sapeva, ma sapeva che eliminando la Qualità dalla descrizione del mondo così come lo conosciamo aveva messo in luce l’importanza di questa nozione che diventava fondamentale in un modo che lui non aveva neanche sospettato. Il mondo può funzionare senza di essa, ma la vita sarebbe così insulsa che non varrebbe neanche la pena di essere vissuta. Robert M. Pirsig Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (15) Questo lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo nella trattazione del complesso tema sulla qualità nell’assistenza all’adolescente, ma vuole far emergere come e quanto possa essere pregnante l’utilizzo di standard di qualità (16) nel mondo dell’assi- 93 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Cambiare in meglio si può, è però indispensabile impegno, doveroso interesse e tenace motivazione. L’elaborazione di supporto informativo ed informatico al processo assistenziale (Cartella Clinica adolescenziale Integrata-Umanizzata) è di fondamento al percorso fin qui descritto di definizione della qualità (19). In estrema sintesi, per raggiungere gli obiettivi indicati sono fondamentali le seguenti condizioni: 1. adeguata competenza adolescentologica; 2. formazione continua degli operatori; 3. ascolto, servizi in rete, anche mediante la strutturazione di una nuova medicina scolastica, da sviluppare sul modello delle “school clinics” sperimentate con successo in altri paesi. Inoltre i programmi di prevenzione dovrebbero basarsi sul concetto che la crescita di una coscienza collettiva e individuale presuppone una maturazione culturale che può essere raggiunta solo attraverso l’attivo coinvolgimento in ambito familiare, scolastico e sociale (5-6); 4. sviluppo di processi di Total Quality Management. Il lavorare quotidianamente con gli adolescenti ci ha insegnato e ci insegna che i ragazzi sono molto attenti ai problemi medici e sociali che li riguardano, con una grande sensibilità che va analizzata, indirizzata e valorizzata in modo che questa non venga dispersa dalla mancanza d’informazione e dalla inadeguata formazione. In effetti, i giovani stessi sono una risorsa preziosa che può e deve contribuire positivamente alla risoluzione di molti problemi; per tale motivo è indispensabile che essi vengano coinvolti in prima persona in tutte le attività di prevenzione a essi destinate (20-21). Per la realizzazione delle varie iniziative la SIMA si propone come soggetto scientifico di riferimento, potendo svolgere un ruolo attivo di rilievo in tutte le iniziative future sui progetti di salute per l’adolescente. per migliorare la qualità: il ruolo dell’ospedale. Minerva Pediatr 2004; 56 (Suppl. 1 al n. 2):20-24. 8. De Sanctis V, Bertelloni S, Marinello R, Pintor C, Raiola G. Medicina della Adolescenza. Quaderni Pediatria 2006; 1:57-58. 9. Saggese G, Bertelloni S. Politiche sanitarie a favore degli adolescenti. Riv Ital Pediatr (IJP) 2000; 26:704-707. 10. Marinello R. L’adolescente ed il pediatra di famiglia. Doctor Pediatria 1996; 6:21-26. 11. Aicardi G, Benso L, Bergamo F, De Sanctis V et al. L’assistenza agli adolescenti: problemi medico-giuridici, bisogni, aree di intervento, ipotesi organizzative di strutture sul territorio. Riv Ital Pediatr (IJP) 1983; 9:221-228. 12. Bertelloni S, Chiavetta S, Volta C, Garofalo P, Strambi M, Dati E, Bernasconi S. Novità in medicina dell’adolescenza. Prospettive in Pediatria, 2008 (in stampa). 13. Agazzi E., Cultura scientifica e interdisciplinarietà, Brescia, 1994. 14. Beccastrini S, Gardini A, Tonelli S. Piccolo Dizionario della Qualità. Centro Scientifico Editore, Torino 2001. 15. Pirsig R.M. Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta: Adelphi, Milano 1988. 16. Bonaldi A., Focarile F., Torreggiani A. Curare la Qualità. Manuale per valutare e migliorare l’assistenza sanitaria, Milano 1994. 17. Hamer S., Collison G., Evidence Based Practice – Assistenza Basata su prove di efficacia, Mc Graw Hill, Milano 2002. 18. Ranci Ortigosa E., La valutazione di qualità nei servizi sanitari, Franco Angeli, Milano 2000. 19. Pasini E Ravizza PF. La Cartella Clinica come documento di qualità. Italian Heart J 5(Suppl.): 2004. 20. Kleinert S. Adolescent health: an opportunity non to be missed. Lancet 2007; 369:1057-1058. 21. Bertelloni S, De Sanctis V, Ercan O, Raiola G; Italian Society for Adolescent Medicine (SIMA); Adolescent Health Society Turkey; Mediterranean and Middle East Action Group on Adolescent Medicine (MAGAM). Promoting adolescent health: the need for a European perspective. Acta Paediatr. 2008; 97:262-263. Bibliografia 1. OMS. Rapport technique n. 308. Les problèmes de santé de l’adolescence. Genève 1965. 2. Perletti L, Lispi L. L’organizzazione dell’assistenza per l’adolescente: l’ospedale. X Congresso Nazionale, Società Italiana di Medicina della Adolescenza. Scripta Manent Ed., Cagliari: 22-24 ottobre 2003, 11-17. 3. http://demo.istat.it 4. Burgio GR, Bertelloni S, Corsello G. Il bambino non è un adulto in miniatura. In: Burgio GR, Bertelloni S “Una pediatria per la società che cambia”, Tecniche Nuove, Milano; 2007: 39-52. 5. Bertelloni S, Raiola G. Frontiere pediatriche della adolescentologia. In: Burgio GR, Bertelloni S “Una pediatria per la società che cambia”, Tecniche Nuove, Milano; 2007:163-178. 6. Raiola G, Dati E, De Sanctis V, Galati MC, Bertelloni S. Comportamenti a rischio in età adolescenziale: aspetti medici. Prospettive in Pediatria, 2008 (in stampa). 7. De Sanctis V. Assistenza all’adolescente. Strategie di intervento Corrispondenza: Dott. Giuseppe Raiola U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza U.O.C. di Pediatria, A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro Tel. - Fax: 0961/883118 e-mail: [email protected] 94 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV Gianni Bona Clinica Pediatrica di Novara, Dipartimento di Scienze Mediche Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro” Riassunto L’infezione da papillomavirus umano è la più comune infezione sessualmente trasmessa nel mondo. Essa si risolve spontaneamente nella grande maggioranza dei casi. Talora può però dar origine ad infezione cronica che, nel caso di genotipi virali ad alto rischio, può associarsi allo sviluppo del tumore del collo uterino. In particolare, l’HPV 16 e 18 sono responsabili del 70% dei tumori della cervice e, in proporzioni variabili, di tumori della vagina, della vulva, dell’ano, del pene e dell’orofaringe. Genotipi a basso rischio, come l’HPV 6 e 11, causano invece i condilomi acuminati. Utilizzando particelle simil virali (VLP) di una proteina capsidica (L1) sono stati preparati due vaccini verso HPV 16 e 18, approvati dalla FDA, EMEA ed AIFA per l’uso in femmine dai 9 ai 26 anni. Uno di questi, contenente anche VLP di HPV 6 e 11. Studi su larga scala hanno mostrato che tali vaccini sono sicuri, ben tollerati, inducono alti livelli di anticorpi neutralizzanti e prevengono le lesioni cervicali (e i conditomi acuminati) dovuti ai tipi di HPV in essi contenuti. Per essere efficaci i vaccini devono essere somministrati prima dell’inizio dell’attività sessuale. In Italia, la scelta è di offrirlo a tutte le ragazze nel dodicesimo anno di vita. Due Consensus Conferences in area pediatrica su tali vaccini si sono tenute in Italia nel 2007 e nell’anno in corso e vengono qui riassunti i dati essenziali relativi all’infezione da HPV, alla sua associazione con il tumore cervicale nonché i risultati emersi dall’impiego profilattico dei vaccini ed il ruolo primario del pediatra per l’adozione ottimale di questa nuova strategia preventiva. Parole chiave: vaccinazione anti-HPV, condilomi, carcinoma collo dell'utero, malattie sessualmente trasmesse. When recommend the vaccine against HPV Summary Genital human papillomavirus (HPV) infection is the most common sexually transmitted infection worldwide. Spontaneous clearance of HPV infection occurs in most cases, but chronic infection with high risk genotypes is associated with the development of cervical cancer. In particular, HPV 16 and 18 are responsible for 70% of cancers of the cervix and, in variable proportions, for cancers of the vagina, vulva, anus, penis and oropharinx. Low risk HPV genotypes, such as HPV 6 and 11, cause genital warts. Two prophylactic vaccines using virus like particles (VLPs) of L1 capside protein of HPV 16 and 18 have been developed and recently they have been approved by FDA, EMEA and AIFA for use in 9-26 year-old females. Of these, one also containing VLPs of HPV 6 and 11. Large scale studies have shown that these vaccines are safe, tolerated well, elicits high levels of neutralizing antibodies, prevents chronic HPV infections due to genotypes present in the vaccine, and associated cervical lesions (and genital wars for the quadrivalent vaccine). To be effective the vaccines should be given prior to sexual debut. In Italy, the vaccination will be offered to 12 year-old girls. This article is the result of two targeted Consensus Conference by a panel of experts, which reviews the cornerstones of HPV infection, its association with cervical cancer, the advances in prophylactic vaccines, and the primary role of the paediatrician for the optimal adoption of this new preventive strategy. Key words: HPV infection, vaccination, sexually transmitted infections. Il tumore della cervice uterina è la seconda causa di morte per cancro nelle donne in tutto il mondo, dopo il cancro del seno (1). La peculiarità di questa neoplasia è di avere come elemento indispensabile per il suo sviluppo l’infezione, acquisita prevalente- mente per via sessuale, da uno dei sottotipi oncogeni di papillomavirus umano (Human Papilloma Virus, HPV) (2), che è considerato il cancerogeno biologico più potente della specie umana. Ne deriva la possibilità di impedire la comparsa del tumore attra- 95 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) hanno evidenziato significativi effetti collaterali. Anche gli studi in fase III non hanno evidenziato particolari effetti collaterali della vaccinazione. I più comuni effetti collaterali sono stati quelli locali e la febbre. Non si sono infine notati eventi avversi in seguito a vaccinazione di donne già infettate da tipi di HPV contenuti nei vaccini. Dopo l’immissione in commercio, i dati di farmacovigilanza statunitensi (VAERS), riguardanti oltre 5 milioni di dosi distribuite, non hanno ad oggi mostrato segnali di allarme. La maggioranza degli effetti collaterali ha riguardato reazioni nella sede di iniezione. Per quanto attiene le reazioni sistemiche sono stati segnalati 13 casi di Sindrome di Guillain Barrè. La misurazione degli anticorpi anti-L1 VLP è stato il principale parametro per valutare le risposte immuni indotte dai vaccini negli studi clinici (9). Gli anticorpi sono tipo-specifici, anche se esistono omologie fra alcuni HPV che condividono uno o più epitopi (ad es. HPV 6/11, 31/33, 18/45 e 16/31). I vari studi documentano, invece, sieroconversione verso tutti i tipi di HPV contenuti nel vaccino in più del 98% dei casi. Inoltre, i soggetti immunizzati presentano risposte anticorpali sostanzialmente maggiori di quelle riscontrate in seguito a infezione naturale. In generale, i titoli anticorpali si riducono di 10 volte nei primi 2 anni e si stabilizzano a 3-5 anni, mantenendosi a livelli di oltre 10 volte superiori a quelli indotti dall’infezione (10). Poiché è eccezionale che il cancro del collo dell’utero compaia in donne in età inferiore ai 30 anni, sarebbero necessari almeno 15-20 anni per quantificare gli effetti favorevoli della vaccinazione anti-HPV sullo sviluppo della(e) neoplasia(e). La verifica dell’efficacia dei vaccini si è pertanto basata sul confronto della comparsa di lesioni pre-cancerose nei vaccinati e nei controlli. L’efficacia tipo specifica è risultata del 100%; la protezione verso i condilomi del 99%. Nelle donne precedentemente infettate da altri tipi di HPV, il vaccino quadrivalente si è dimostrato efficace nel prevenire lesioni precancerose del collo dell’utero dovute ai tipi di HPV in esso contenuti (11). Efficacia sovrapponibile per la prevenzione di displasie del collo dell’utero è emersa in studi di fase III anche con il vaccino bivalente (12). Da sottolineare che l’ottima efficacia dei vaccini emerge quando vengono valutate solo le donne risultate negative per i tipi di HPV contenuti nel vaccino (naive) sia all’inizio dello studio che dopo le tre dosi, somministrate senza violazioni significative del protocollo. Nel caso del vaccino quadrivalente è stata condotta anche un’analisi intention to treat, in cui sono state considerate tutte le donne arruolate, purché avessero ricevuto almeno una dose di vaccino o placebo, indipendentemente quindi dall’aderenza o meno al protocollo e soprattutto dal fatto che fossero inizialmente già infette con i tipi di HPV contenuti nel vaccino. Con questo tipo di analisi l’efficacia vaccinale verso le lesioni pre-neoplastiche ovviamente si riduce e gli intervalli di confidenza al 95% scendono frequentemente sotto lo zero, risultando quindi non significativi verso la prevenzione primaria dell’infezione tramite vaccini. La sperimentazione nell’uomo ha recentemente portato allo sviluppo di vaccini dimostratisi ben tollerati, altamente immunogeni ed efficaci nel prevenire le infezioni persistenti e le lesioni intraepiteliali causate da virus appartenenti ai tipi in essi contenuti. Poiché la popolazione a cui primariamente sono destinati i vaccini contro il papillomavirus è rappresentata da bambine prepuberi o adolescenti non ancora contagiate, ossia che non abbiano ancora avuto rapporti sessuali, i pediatri si troveranno spesso ad essere consultati e ad esprimere un’opinione in proposito o ad effettuare la vaccinazione. L’HPV è un virus a DNA in grado di infettare la cute e le mucose e di raggiungere le cellule basali degli strati più profondi dell’epitelio ove inizia a replicarsi; giunto agli strati superficiali, ove avviene l’assemblaggio, si espande attivamente e, in seguito allo sfaldamento dell’epitelio, si diffonde nell’ambiente contagiando per contatto diretto altre persone. Alcuni genotipi virali, HPV 16 e HPV 18 sono quelli più importanti per la carcinogenesi cervicale, poiché identificati nel 70% dei tumori squamosi. L’HPV è di solito trasmesso in seguito a rapporti sessuali E’ ritenuta l’infezione a trasmissione sessuale più frequente al mondo. Circa la metà delle infezioni avviene fra i 15 e 25 anni (2) e l’80% delle donne sessualmente attive è contagiato entro i 50 anni. L’incidenza annuale di nuovi casi di cancro della cervice nel mondo è stimata in 493.000 nuovi casi, con 274.000 morti. Essendo colpite donne relativamente giovani, il cancro della cervice costituisce un’importante causa di perdita di anni di vita, specie nei paesi in via di sviluppo ove è il più comune dei tumori fra le donne. In Europa e negli USA muoiono comunque ancor oggi circa 35.000 donne ogni anno per cancro della cervice. La forma prevalente, in Italia come in tutti gli altri Paesi, è quella a cellule squamose. La finalità principale della vaccinazione verso HPV è quella di prevenire il tumore del collo uterino e le relative lesioni precancerose, in seconda istanza di ridurre l’incidenza di altri tumori associati al virus ed, infine, le lesioni benigne causate dallo stesso, come i condilomi acuminati. Utilizzando particelle simil virali (VLP) di una proteina capsidica (L1), sono stati sviluppati due vaccini in grado di prevenire l’infezione da HPV e le lesioni precancerose associate con effetti persistenti per più anni (3-8): Il vaccino quadrivalente (Gardasil, Sanofi Pasteur MSD) Contiene antigeni che proteggono nei confronti dei sierotipi HPV 16, 18, 6 e 11 (83). I protocolli impiegati si basano su tre somministrazioni (a 0, 2 e 6 mesi) (84). (approvato dai 9 ai 26 anni). Il vaccino bivalente (Cervarix, GlaxoSmithKline) Contiene antigeni contro HPV 16 e 18. Anche per questo vaccino il protocollo utilizzato prevede tre somministrazioni (a 0, 1 e 6 mesi) (approvato dai 10 ai 25 anni). Entrambe i vaccini sono disponibili in Italia. Durante gli studi randomizzati di fase II entrambi i vaccini non 96 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Quando consigliare la vaccinazione anti-HPV Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Fra i quesiti ancora aperti relativi ai vaccini anti-HPV uno dei più rilevanti riguarda la durata dell’effetto protettivo. Una protezione transitoria necessiterebbe, infatti, di richiamo(i) e ciò verrebbe ad incidere sul rapporto costo/beneficio. La maggioranza dei dati disponibili sull’efficacia dei vaccini si riferisce ad un follow-up medio di pochi anni con un massimo di cinque dal termine del ciclo vaccinale. Non è pertanto possibile prevedere se sarà necessaria, a distanza di anni, una dose di richiamo. Al momento i risultati documentano una risposta elevata e prolungata. E’ stata inoltre dimostrata una pronta risposta anamnestica dopo somministrazione di una dose di vaccino quadrivalente a distanza di 5 anni dal ciclo vaccinale, inclusi soggetti nel frattempo sieronegativizzatisi, ad indicare la persistenza di memoria immunologica . L’infezione da HPV viene acquisita nel tempo dopo l’inizio dell’attività sessuale. Gli attuali vaccini non sono in grado di far regredire le lesioni in atto. Ne deriva che per ottimizzarne l’efficacia dovrebbero essere vaccinate le ragazze pre-puberi o nel primo periodo adolescenziale, così come le donne che non abbiano ancora avuto rapporti sessuali (da ricordare che la trasmissione avviene anche per rapporti non completi). L’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) raccomanda l’uso routinario del vaccino in ragazze di 11-12 anni (età minima 9 anni) e catch-up vaccination nelle donne di 13-26 anni, indipendentemente dal fatto che siano sessualmente attive. Inoltre, viene indicata la possibilità di vaccinare, a discrezione del medico curante, bambine di 9-10 anni sulla base del contesto sociale in cui vivono (3). In Italia è prevista la vaccinazione attiva e gratuita della coorte di ragazze dodicenni (ossia dopo il compimento degli 11 anni) e il vaccino rientra fra i livelli essenziali di assistenza (LEA), mentre l’organizzazione pratica della vaccinazione attraverso le strutture del sistema sanitario compete alle singole Regioni. A maggio 2008 tutte le Regioni risultano aver stabilito i calendari per la somministrazione dei vaccini verso i virus HPV. In alcune regioni, il programma di intervento prevede che i vaccini vengano messi a disposizione attivamente non solo per le ragazze nel corso del dodicesimo anno di vita, ma anche per altre coorti. Va segnalato che nel nostro paese al compimento del 12° anno il 96,8% delle bambine ha già manifestato i primi segni di sviluppo puberale e che l’età media del menarca è di 12,4 anni (13). . Inoltre un’indagine recente segnala che l’1% dei ragazzi ha rapporti sessuali entro i 12 anni ed un terzo entro i 17 anni. Alcuni adolescenti tendono ha iniziare precocemente l’attività sessuale (14): in questi soggetti, come in certi gruppi di immigrati le cui tradizioni culturali potrebbero favorire rapporti sessuali precoci, dovrà quindi essere valutata l’opportunità di una vaccinazione anticipata. Perché la vaccinazione verso HPV abbia successo sono necessari più fattori: un’adeguata informazione della popolazione e degli operatori sanitari, una chiara volontà politica, le risorse ed una strategia per la sua implementazione (incluse l’identificazio- ne e la distribuzione del vaccino ai servizi) e una precisa programmazione dell’intervento in maniera sequenziale. Infine, è necessaria un’alta copertura con sorveglianza nel tempo. L’adesione alla vaccinazione passa necessariamente attraverso una corretta informazione degli operatori (15,16). Onde uniformare il più possibile il loro comportamento e integrarsi nelle specifiche competenze, questi potranno avvalersi delle raccomandazioni emanate dalle Società Scientifiche delle professionalità coinvolte, rafforzando in tal modo la campagna di informazione programmata dalle Regioni e dal Ministero. Per quanto riguarda i pediatri, un’indagine condotta in Italia (17) ha confermato l’utilità che la campagna vaccinale sia preceduta da un loro aggiornamento sull’argomento. In particolare, sebbene i pediatri coinvolti nello studio abbiano in generale dimostrato una propensione a consigliare la vaccinazione ai propri assistiti, è emersa la mancanza di alcune conoscenze mirate sull’infezione da HPV e la sua prevenzione, oltre alla necessità di ampliare e approfondire ulteriormente la discussione sulle tematiche sessuali. Nella realtà assistenziale italiana, che prevede la figura del pediatra di famiglia da cui vengono assistite oltre l’80% delle dodicenni, il pediatra è scelto sulla base di un rapporto di fiducia che decorre spesso fin dalla nascita ed i genitori attribuiscono grande importanza alla sua opinione per l’esecuzione di qualsiasi tipo di vaccinazione. Quella verso HPV ha indubbiamente aspetti più complessi ed articolati rispetto ad altre. La continuità del rapporto di fiducia del Pediatra con la famiglia e la ragazza gli consente di affrontare adeguatamente nel corso degli anni i temi legati a corretti stili di vita, evidenze propedeutiche alla tutela della salute anche in età adulta, ed in questo ambito si inseriscono l’informazione riguardante il vaccino anti-HPV e le problematiche sessuali connesse. Le visite programmate (bilanci di salute) prevedono un controllo proprio in età pre-adolescenziale. In tale occasione il Pediatra avrà modo di promuovere e rafforzare l’invito alla vaccinazione fatto dal centro di Sanità Pubblica. Ove sussistano le condizioni potrà egli stesso procedere a vaccinare attivamente, contribuendo così in modo sostanziale al raggiungimento dell’auspicata copertura vaccinale (18). Bibliografia 97 1. Pagliusi S. World Health Organization. Human papillomavirus infection and cervical cancer. http://www.who.int/vaccine/_research/diseases/hpv/env/. Accessed October 26, 2006. 2. Bosch FX, Manos MM, Munoz N, et al. Prevalence of human papillomavirus in cervical cancer: a worldwide perspective. International biological study on cervical cancer (IBSCC) Study Group. J Natl Cancer Inst 1995; 87:796-802. 3. ACIP. Quadrivalent human papillomavirus vaccine. Recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP). MMWR 2007; 56(RR2):1-24. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 4. 11. Kahn J, Burk R. 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Gianni Bona Clinica Pediatrica Corso Mazzini ,18 - 28100 Novara e-mail: [email protected] 98 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza I noduli tiroidei: follow-up e terapia Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) I noduli tiroidei: follow-up e terapia Graziano Cesaretti UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Riassunto L’importanza di un corretto inquadramento diagnostico dei noduli tiroidei deriva principalmente dalla necessità di ottenere informazioni precise e dettagliate per una precoce individuazione delle formazioni indicative o a rischio di carcinoma tiroideo, ai fini di poter selezionare accuratamente i soggetti da sottoporre al trattamento chirurgico. I noduli tiroidei costituiscono la patologia endocrina di più frequente riscontro nella pratica medica. La loro frequenza varia in relazione all’area geografica considerata, in particolare all’apporto iodico e, soprattutto, in rapporto al criterio impiegato per la loro individuazione, in quanto l’uso sempre più diffuso della diagnostica strumentale ha permesso di evidenziare, talora in modo inatteso, la presenza di reperti nodulari che il semplice esame clinico non consentiva di rilevare. La diagnosi differenziale del nodulo tiroideo è fondamentalmente tra formazione benigna e carcinoma tiroideo. Si avvale di un insieme di dati clinici, strumentali e di laboratorio, solo la cui valutazione complessiva è in grado di fornire le informazioni atte a stabilire il comportamento diagnostico più adatto e, conseguentemente, la strategia terapeutica più appropriata. Parole chiave: nodulo tiroideo, ecografia tiroidea, carcinoma tiroideo, terapia medica e chirurgica. L’importanza di un corretto inquadramento diagnostico dei noduli tiroidei deriva principalmente dalla necessità di ottenere informazioni precise e dettagliate per una precoce individuazione delle formazioni indicative o a rischio di carcinoma tiroideo, ai fini di poter selezionare accuratamente i soggetti da sottoporre al trattamento chirurgico. In soggetti senza tireopatia; In soggetti con tireopatia di varia natura. B. Sede: Intratiroidea: nel contesto del parenchima ghiandolare; Peritiroidea: in contiguità alla ghiandola; Extratiroidea: nella regione cervicale, non in diretto contatto con il tessuto tiroideo. C. Origine: Da tessuto tiroideo: - In sede intratiroidea; - In sede peri o extratiroidea, trattandosi di noduli di tessuto tiroideo ectopico. Di natura non tiroidea: - Da tessuto embriologicamente correlato alla tiroide; - Da tessuto embriologicamente extratiroideo. D. Numero: Solitari o singoli o isolati, quando è presente un solo nodulo; Multipli, quando i noduli sono almeno due; da rilevare che, nell’ambito di una plurinodularità, si definisce dominante, il nodulo che ha caratteristiche particolari che lo differenziano dagli altri, sia cliniche (maggiori dimensioni e/o consistenza, rapido accrescimento), sia ecografiche (dimensioni, ecogenicità, ecostruttura). E. Dimensioni o volume: All’ispezione e soprattutto alla palpazione è possibile rilevarne le dimensioni, le cui misure esatte possono essere ottenute con Definizione Si definisce nodulo tiroideo una formazione di aspetto e dimensioni variabili situata nel contesto della ghiandola tiroide con peculiarità strutturali diverse nei confronti del restante parenchima, oppure con caratteristiche simili, ma parzialmente o totalmente distinte dal tessuto circostante. Da rilevare che esistono anche noduli di natura “embriologica” tiroidea che sono situati nella regione cervicale, in posizione “ectopica”, al di fuori della tiroide e che, al contrario, nel contesto della ghiandola si possono identificare dei noduli “embriologicamente” non tiroidei. Classificazione Possono essere distinti in base a diversi criteri. A. “Status” tiroideo: 99 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) precisione con l’indagine ecografica. Possono essere distinti anche in: Modificanti significativamente le dimensioni tiroidee (nodulo gozzigeno, ossia gozzo nodulare); Non modificanti significativamente le dimensioni tiroidee (nodulo non gozzigeno). F. Forma: Regolare: rotondeggianti o ovoidali; Irregolari. G. Consistenza/Contenuto: Possono essere percepiti alla palpazione come duri, elastici, o molli, cui può corrispondere, dal punto di vista della ecostruttura, un contenuto: Anecogeni (liquidi); Ipoecogeni o normoecogeni o iperecogeni (solidi); Misti. H. Rapporto con i tessuti circostanti: I noduli può essere aderente alla cute sovrastante o ai tessuti molli sottostanti o alle strutture muscolari limitrofe. La appartenenza di una formazione nodulare alla tiroide è determinata dalla consensualità del suo spostamento con l’atto della deglutizione. I. Funzione: Eumetabolici (normofunzionanti); Tossici (iperfunzionanti). J. Rilievo scintigrafico: Freddi; Tiepidi (“warm”); Caldi (“hot”). K. Caratteristiche biologiche Citologiche: benigni, maligni, dubbi o non diagnostici; Istologiche: iperplastici, neoplastici, colloidi, cistici o tiroiditici. Da rilevare che la percentuale di malignità è più elevata (20-40%) nel nodulo isolato e si riduce nettamente, all’1% nel gozzo multinodulare. In età pediatrica, il nodulo isolato possiede, di per sé, circa il 10-40% di possibilità di essere un carcinoma, nei confronti del 10% della popolazione adulta; tale eventualità è più elevata, a parità di tutte le altre condizioni, nel sesso maschile. interferenti sulla funzione tiroidea, oppure la sensazione soggettiva di variazione delle dimensioni del nodulo stesso. Esame clinico locale Un adeguato esame clinico costituisce la base essenziale per un corretto inquadramento diagnostico, consentendo di individuare con buona probabilità il numero e le caratteristiche essenziali dei noduli tiroidei. L’ispezione mira a valutare la tumefazione nella regione del collo ed osservarne le caratteristiche, quali quelle riguardanti la cute sovrastante (entità della tumefazione, arrossamento o retrazione cicatriziale), le dimensioni, la simmetria, l’eventuale deviazione della trachea, la mobilità con la deglutizione, in quanto la risalita consensuale è indice della natura tiroidea della tumefazione, a meno che non si siano già instaurate aderenze alle regioni circostanti (carcinoma o tiroidite cronica invasiva). Deve anche essere anche ricercata l’eventuale presenza di circolo iperdinamico (“danza” delle carotidi) o di un turgore delle vene del collo. Alla palpazione, devono essere ricercati: il numero delle formazioni nodulari; la eventuale dolorabilità; le dimensioni, che possono essere espresse attraverso una comparazione o con una valutazione centimetrica approssimativa; le consistenza, ossia le caratteristiche della superficie: liscia e regolare, oppure irregolare o bozzoluta; le eventuali aderenze con i tessuti limitrofi: cute sovrastante, tessuti sottostanti, muscoli circostanti; la presenza di eventuali linfoadenomegalia latero cervicali che dovranno essere attentamente valutate, descrivendone le caratteristiche semeiologiche (sede, numero, dimensioni, consistenza, aderenze ai tessuti circostanti, mobilità). Da rilevare che il riscontro di tumefazioni linfonodali costituisce spesso il primo segno di carcinoma tiroideo nell’infanzia. Completa l’esame obiettivo la auscultazione che mira alla ricerca di un eventuale soffio sistolico, come indice di eventuale nodulo iperfunzionante o di una tireotossicosi, condizione che comunque non esclude di per sé la presenza di noduli. L’esame clinico dovrà essere integrato, soprattutto nel caso di un nodulo di notevoli dimensioni, dalla ricerca dei segni di compressione del nervo ricorrente, quali disfonia, dispnea, disfagia, tosse e stridore. Diagnosi clinica Anamnesi Familiare: mira ad individuare i soggetti con familiarità per neoplasie o per patologie tiroidee in genere, soprattutto su base autoimmunitaria. Da rilevare che le forme ereditarie di carcinoma midollare della tiroide (il 25-40% del totale sono forme familiari o all’interno della MEN-2) sono trasmesse come carattere autosomico dominante e che esistono anche rari casi di carcinoma familiare papillare tiroideo (3%). Personale: deve essere rivolta a rilevare la residenza attuale o precedente in zone a carenza iodica, una eventuale pregressa esposizione a radiazioni ionizzanti o a mezzi diagnostici Diagnosi strumentale Ecografia tiroidea Si tratta di un esame strumentale che ricopre un ruolo fondamentale e che ha sostanzialmente modificato l’iter diagnostico dei noduli tiroidei, consentendo di stabilire con esattezza l’appartenenza alla tiroide di una formazione nodulare della regione del collo e di definirne le varie caratteristiche. In mani esperte, di 100 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza I noduli tiroidei: follow-up e terapia Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) coloro che hanno esperienza specifica di ecografia pediatrica, si rivela uno strumento essenziale. Dimostra una sensibilità superiore a quella del semplice esame obiettivo, in quanto è possibile individuare anche noduli che hanno dimensioni di pochi millimetri, altrimenti non rivelabili clinicamente: infatti, con una sonda ecografia real-time ad alta risoluzione (7,5 o 10 MHz), si possono identificare formazioni nodulari di dimensioni fino a 1 mm se di natura cistica, fino a 3 mm se di natura solida. Nello specifico, l’ecografia ci precisa: Il numero, consentendo di identificare anche quelli non palpabili (generalmente con un diametro maggiore inferiore a 1 cm) e di definire quello dominante, ossia il nodulo con caratteristiche più sospette. Le dimensioni, permettendo di calcolare il volume della formazione attraverso la formula dell’ellissoide di rotazione [(lunghezza x spessore x larghezza x π/6 (0,52)]; l’indagine consente inoltre di valutare nel tempo con esattezza le eventuali variazioni di volume, considerando significative quelle maggiori del 30%. La forma: regolare, irregolare, rotondeggiante, allungata. La prevalenza del diametro ventro-dorsale rispetto al trasversale (“more tall than wide”) potrebbe essere un indice di malignità. La sede esatta: è possibile convenzionalmente dividere il lobo tiroideo in tre parti per ciascuna delle tre dimensioni, che sono, nell’ordine, la trasversale, la ventro-dorsale e la craniocaudale, derivandone la individuazione di 27 settori in cui collocare il nodulo. Si definiscono come settori 1-9 quelli craniali, nell’ordine ventrali (1-3; in senso medio-laterale), mediani (4-6) e dorsali (79) e con le stesse modalità i settori 10-18 quelli mediani (in senso cranio-caudale) e i settori 19-27 quelli caudali. Naturalmente, a seconda delle dimensioni il nodulo potrà occupare prevalentemente un settore o anche più settori. Il contenuto: 1) interamente solido, ossia parenchimatoso e quindi ecogeno; 2) interamente liquido, ossia cistico e quindi anecogeno a contenuto sieroso, o colloide (con finissimi echi non strutturati), o necrotico-emorragico (con pareti irregolari, setti e corpuscoli ecoriflettenti); 3) misto (solido e liquido). La ecogenicità: il nodulo può apparire, rispetto al parenchima circostante, in parte o totalmente: 1) iporiflettente (ipoecogeno), motivo di sospetta lesione neoplastica; 2) normoreflettente (ipoecogeno); 3) iperriflettente (iperecogeno), indicativo di benignità nel 99% dei casi. La ecostruttura: può essere ad aspetto omogeneo, oppure finemente o grossolanamente disomogeneo, oppure concamerato o cribroso, con eventuale vegetazione interna, caratterizzata da un gettone di tessuto solido in continuità con la parete. Le caratteristiche dei margini che possono essere: 1) regolari, lisci e ben presenti (“capsula” o “orletto periferico” o “vallo di benignità” o “halo-sign”); 2) assenti, in parte o totalmente senza soluzione di continuo col tessuto circostante, irregolari o frastagliati, con infiltrazione del parenchima tiroideo limitrofo; all’immagine color-Doppler l’alone corrisponde alla rete vascolare perinodulare. Le eventuali calcificazioni, che possono essere: 1) grossolane, con distribuzione a guscio d’uovo, che hanno generalmente carattere di benignità; 2) a spruzzo (finemente punteggiate), rilevate soprattutto come microcalcificazioni, identificabili come spot iperecogeni, del diametro inferiore a 2 mm che orientano verso una patologia maligna, essendo tipiche del carcinoma papillare e rappresentando l’equivalente delle calcificazioni dei corpi psammomatosi. La vascolarizzazione, valutabile con le tecniche del colorDoppler, o del power-Doppler, anche con l’ausilio di mezzi di contrasto ecografici, può fornire le informazioni aggiuntive sulla natura del flusso nodulare ed, in particolare, indicare se è di tipo periferico (sostanzialmente “benigno”) o se risulta presente anche all’interno del nodulo (potenzialmente “maligno”). Le caratteristiche dei linfonodi latero-cervicali, che costituiscono un dato essenziale per stabilire la natura della linfoadenomegalia. In particolare, appare importante valutare gli elementi ecografici indicativi di lesione sospetta: i margini non ben definiti, la scomparsa o l’asimmetria dell’ilo, il rapporto tra asse maggiore e asse minore (segno di malignità: < 1,5) con profilo rotondeggiante, la corticale ispessita o eccentrica, la presenza di calcificazioni punteggiate all’interno, la ecostruttura disomogenea con aree simil-parenchimali e la vascolarizzazione all’interno aumentata e non uniforme. Da rilevare che talora possono essere scambiati per noduli degli accumuli di sostanza colloide (lumps) che si caratterizzano per lesioni anecogene, con diametro inferiore a 10 mm, non circondante da una capsula ben definita e che hanno probabilmente caratteristiche dinamiche. Agobiopsia con ago sottile L’eventuale indagine successiva è costituita dall’agoaspirato tiroideo che nella esecuzione eco-guidata fornisce una attendibilità diagnostica elevata (accuratezza diagnostica dell’80-90%). È infatti un esame di esecuzione relativamente facile, ben accettato anche in età pediatrica, essenziale nell’iter diagnostico di un nodulo tiroideo, essendo considerato oggi il gold standard diagnostico. Può essere eseguito anche a livello del tessuto linfonodale laterocervicale e consente di eseguire, oltre all’indagine citologica classica, anche altre indagini sul materiale prelevato o sul liquido di lavaggio. È possibile effettuare tale accertamento normalmente su noduli di dimensioni superiori a 1 cm, ma può essere eseguito da persone esperte anche per dimensioni fino a 5 mm. Le indicazioni all’impiego dell’agobiopsia tiroidea sono date dal riscontro di: 101 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) nodulo unico isolato, solido o cistico con diametro superiore a 1 cm; nodulo dominante in un gozzo multinodulare; lesioni nodulari nel contesto della malattia di malattia di Basedow o di tiroidite cronica autoimmune; nodulo di qualsiasi dimensioni, se con crescita rapida e/o con linfonodi regionali sospetti; aree sfumate di parenchima tiroideo nell’ambito di tiroiditi subacute o croniche di dubbia interpretazione. La tecnica di esecuzione può essere quella “a mano libera”, tenendo con una mano la sonda ecografica e con l’altra la siringa, aspirando, quando sotto controllo ecografico, si rileva che l’ago (ecoriflettente) è giunto nella posizione desiderata ed eseguendo alcuni movimenti di oscillazione; il prelievo può essere effettuato su più punti dello stesso nodulo, a seconda delle sue caratteristiche o anche, naturalmente, su più noduli. Tale modalità di esecuzione si può avvalere di tecniche di marcatura della cute sovrastante al fine di ottimizzare il punto di inserimento dell’ago. L’altra tecnica di effettuazione è quella che utilizza delle sonde “dedicate” con la guida dell’ago incorporata, richiedendosi uno strumento di puntamento e di aspirazione che migliora la qualità dell’accertamento, anche se potrebbe renderlo più indaginoso. Si fissa una guida alla sonda ecografica, cui corrisponde una immagine di puntamento sullo schermo, per cui inserendo l’agocannula (di tipo spinale) nella apposita guida, si segue un percorso ben definito ecovisibile; quando l’ago è arrivato nel punto desiderato, si estrae il mandrino, si collega ad un sistema di aspirazione (pistola Cameco®) e si aspira, eseguendo anche in questo caso dei movimenti di oscillazione e ripetendo eventualmente anche più volte la manovra. gne (adenoma follicolare, nodulo iperplastico) dalle forme maligne (carcinoma follicolare, variante follicolare del carcinoma papillare). Per tale motivo, si consiglia generalmente l’asportazione chirurgica per una diagnosi definitiva istologica. Sul materiale allestito su vetrino è possibile effettuare altre indagini: immunocitochimica, per il riconoscimento di marcatori tumorali, quali, ad esempio, la galectina-3 umana, soprattutto nelle lesioni follicolari, e l’Human Bone Marrow Endothelial Cell-1 (HBME1); videocitometria (image analysis): studio del contenuto del DNA cellulare per la valutazione della ploidia; ricerca di marcatori, mediante tecniche di biologia molecolare, come, ad esempio, le mutazioni del proto-oncogene RET/PTC, o nell’esone 4 del gene oncosoppressore p53; Sul liquido di lavaggio dell’ago è possibile: dosare marcatori quali la tireoglobulina, la calcitonina ed il paratormone; ricercare mutazioni genetiche caratteristiche del tumore tiroideo. Scintigrafia tiroidea È di impiego assai meno frequente rispetto a qualche anno fa, in quanto la diffusione e, soprattutto, la migliore tecnica ecografica, consentono spesso di inquadrare correttamente la patologia nodulare senza dover ricorrere all’impiego di isotopi radioattivi, anche se i problemi legati alla dosimetria nel bambino sono risolti con l’impiego degli attuali traccianti. Da rilevare in ogni caso che la capacità di risoluzione dell’indagine non è superiore a 8-10 mm. La scintigrafia tiroidea, eseguita con tecnezio-99m pertecnetato (99mTc) o 131Iodio o, se disponibile con 123Iodio, che ha una breve Ricerca su agoaspirato tiroideo L’esame citologico convenzionale riveste una importanza fondamentale nel corretto inquadramento diagnostico di un nodulo tiroideo, consentendo di definire le caratteristiche delle cellule esaminate e di fornire quindi indicazioni sufficientemente precise sulle caratteristiche biologiche del nodulo. Deve essere eseguito da persone esperte che hanno una specifica esperienza nel settore. Si ritiene che, per definire adeguato un prelievo citologico di un nodulo tiroideo, sia necessario identificare almeno due vetrini con almeno sei cluster cellulari formato ciascuno da 10-20 cellule follicolari ben conservate. Rimane comunque piuttosto difficoltosa la definizione biologica delle neoformazioni follicolari (6-10% di tutti i prelievi citologici), dal momento che la lettura non consente di discriminare adeguatamente le forme beni- Figura 1. 102 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza I noduli tiroidei: follow-up e terapia Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Conclusioni emivita e proprietà fisiche e dosimetriche ottimali in campo pediatrico, consente di: attribuire il nodulo individuato alla tiroide; fornire un’immagine di funzione della ghiandola e del nodulo (zone di captazione assente, ridotta, normale o aumentata); deve essere ben tenuto presente che, anche se la malignità è più elevata nel nodulo freddo, sia i noduli tiepidi, sia quelli caldi posseggono percentuali di malignità del 4-9%, per cui la presenza di captazione non esclude un carcinoma; riconoscere eventuali formazioni tiroidee ectopiche; evidenziare anche le zone retrosternali. La diagnosi differenziale del nodulo tiroideo è fondamentalmente quindi tra formazione benigna e carcinoma tiroideo. Si avvale quindi di un insieme di dati clinici, strumentali e di laboratorio, solo la cui valutazione complessiva è in grado di fornire le informazioni atte a stabilire il comportamento diagnostico più adatto e, conseguentemente, la strategia terapeutica più appropriata. Nella Figura 1 è riportata una flow-chart di comportamento diagnostico-differenziale da osservare di fronte ad un nodulo tiroideo in età pediatrica. Esami di funzione tiroidea Bibliografia Ricoprono il ruolo di chiarire la caratteristica funzionale del nodulo e quindi di evidenziare una condizione di ipotiroidismo, ma soprattutto una eventuale autonomia funzionale, che si dimostra con FT4 e FT3 aumentate in presenza di un TSH ridotto o soppresso (ipertiroidismo franco, ad esempio da adenoma “tossico”) o con la sola riduzione dei livelli di TSH in presenza di valori di FT4 e di FT3 non aumentati (ipertiroidismo subclinico, ad esempio da adenoma “pretossico”). Utile anche il dosaggio sierico di anticorpi anti-tireoperossidasi e anti-tireoglobulina ed eventualmente anti-tireorecettore, che indicheranno la presenza di una tiroidite autoimmune o di una tireotossicosi, anche se il loro riscontro, di per sé, non esclude una patologia neoplastica. La valutazione della calcitonina deve essere eseguita nel sospetto di un nodulo da attribuire ad un carcinoma midollare. Alcuni hanno raccomandato il suo dosaggio di routine in tutti i soggetti con nodulo tiroideo come screening del carcinoma midollare e della iperplasia delle cellule C, ma tale eventualità rappresenterebbe, secondo altri, un aggravio eccessivo di costi, soprattutto per il frequente verificarsi di risposte di dubbia interpretazione che richiederebbero ulteriori accertamenti. Nel caso in cui la calcitonina risulti elevata con negatività delle corrispondenti indagini molecolari (proto-oncogene RET/PTC), deve essere ripetuto l’accertamento dopo stimolo con pentagastrina, al fine di valutare la migliore opzione chirurgica. Al contrario, l’antigene carcino-embrionale (CEA) si positivizza solo nel caso di recidiva e può risultare utile quindi solo nel follow-up. Utile la valutazione della tireoglobulina circolante, un cui incremento deve essere sempre valutato con sospetto, anche se è da tenere presente che il livello sierico può essere aumentata anche in condizioni di iperfunzione o di flogosi tiroidea aspecifica. Andreoli M, Sciacchitano S. The thyroid nodule: cytomorphofunctional profile-therapeutic approach. Recenti Progr Med 2005; 96:32-53. Cesaretti G, Saggese G. Il gozzo: un problema sempre più frequente da sapere affrontare nella pratica quotidiana. Ospedale e Territorio 2004; Cesaretti G, Saggese G: Accurate ultrasonographic evaluation in autoimmune juvenile thyroiditis with subclinical hypothyroidism: a useful tool to establish the treatment. A retrospective study. Horm Res 2003; 60 (s. 2): 107. Corrias A, Einaudi S, Chiorboli E, et al: Accuracy of fine needle aspiration biopsy (FNAB) of thyroid nodules in detecting malignancy in childhood: comparison with conventional clinical laboratory and imaging approach. 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Reggio Emilia, Arcispedale Santa Maria Nuova, 2003. Corrispondenza: Dott. Graziano Cesaretti UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Via Roma, 67 - 56126 Pisa Tel 050/992101 - Fax 050 /993044 e-mail: [email protected] 103 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente Maria Piccione, Giovanni Corsello U.O Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale Dipartimento Materno-Infantile Università degli Studi di Palermo Riassunto Le sindromi genetiche sono spesso caratterizzate da un fenotipo variabile secondo le diverse età. L’adolescenza, momento di intensi e profondi mutamenti, è un’epoca particolare per l’evidenziarsi di una serie di segni e sintomi che possono permettere l’identificazione di patologie genetiche il cui fenotipo è stato sfumato o poco orientativo nell’età precedenti. Tra le malattie genetiche che si possono evidenziare in età adolescenziale: le patologie legate ad alterazione dello sviluppo sessuale (ad esempio le sindromi da anomalie dei cromosomi sessuali), quelle con anomalie della crescita associate ad alterazione scheletrica (ad esempio la sindrome di Marfan, la discondrosteosi di Leri-Weill, la sindrome trico-rino-falangea tipo 1/3) o quelle in cui al ritardo mentale si associano tratti fenotipici peculiari dell’età adolescenziale prima e adulta poi, che ne permettono un corretto inquadramento diagnostico (ad esempio la sindrome dell’X fragile). Parole chiave: adolescenza, sindromi genetiche, fenotipo. When you should think of a genetic syndrome in adolescents Summary Genetic syndromes are often characterized by variable phenotype according to different ages. Adolescence, a period of intense and deep changes is certainly a particular period when a series of signs and symptoms become evident and allow the identification of genetic pathologies whose phenotype has been unclear and not indicative in preceding ages. Among the genetic diseases that can become evident in adolescence: the pathologies linked to alterations in sexual development (e.g. syndromes caused by anomalies in the sexual chromosomes), those with growth anomalies associated with alterations in the skeleton (e.g. Marfan syndrome, Leri-Weill dyschondrosteosis, type1/3 tricho-rhino-phalangeal syndrome) or those in which mental retardation is associated with particular phenotypical traits of adolescence first and adulthood later, that allow a correct diagnosis (e.g. X fragile syndrome). Key words: adolescence, genetic syndromes, phenotype. Introduzione L’adolescenza viene convenzionalmente indicata come l’età compresa tra i 10 e i 18-20 anni (1). E’ un periodo di intensa e rapida crescita, di cambiamenti somatici e proprio per tale motivo, nel corso dei bilanci di salute, andranno valutati tutti i segni e sintomi che possono permettere di sospettare una patologia genetica. L’espressività clinica, infatti, delle patologie genetiche varia in funzione anche dell’età, ed è proprio l’adolescenza l’epoca in cui si possono evidenziare tratti fenotipici e/o problematiche cliniche che permettono un corretto inquadramento diagnostico. Nell’adolescenza si determinano, infatti, tutti quei fenomeni che porteranno alla maturazione sessuale, si raggiungerà la statura definita attraverso un periodo di rapida crescita staturo-ponderale, ed infine si evidenzieranno tutte quelle modifiche fenotipiche che porteranno all’aspetto adulto. Tra le patologie genetiche che si possono sospettare in età adolescenziale emergono quelle che possono determinare: alterazioni dello sviluppo sessuale (es. sindromi da anomalie dei cromosomi sessuali) anomalie della crescita associate ad alterazioni scheletriche (es. sindrome di Marfan, discondrosteosi di Ler-Weill, sindrome tricorinofalangea I/III) evoluzione del fenotipo in soggetti con ritardo mentale (es. sindrome dell’X fragile). 104 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Sindromi da anomalie dei cromosomi sessuali rio, di patologia autoimmune (LES, artrite reumatoide, sindrome di Sjogren etc.) e di osteoporosi (11). La sindrome di Turner Sindromi da anomalie scheletriche e della crescita La sindrome di Turner ha una prevalenza alla nascita di 1/2.500 nati vivi di sesso femminile, è determinata da monosomia X, mosaicismi cellulari ed anomalie strutturali del cromosoma X. Nel 35% dei casi la diagnosi è prenatale per il riscontro di igroma cistico del collo e ritardo di crescita intruterino. In epoca neonatale i segni clinici più caratteristici sono il ritardo di crescita, il linfedema del dorso delle mani e dei piedi, la cardiopatia congenita (17-45% dei casi) (aorta bicuspide, coartazione aortica, insufficienza aortica etc.) (2,3) e le malformazioni renali (30-40% dei casi) (rene a ferro di cavallo, bacinetto renale bifido, stenosi del giunto pielo-ureterale etc.). Nel periodo scolare si rendono più evidenti lo pterigium colli, il torace slargato, la teletelia, la bassa statura disarmonica (rapporto tronco/arti a favore del tronco), la ridotta velocità di crescita e diverse anomalie scheletriche (cubito valgo, brachimetacarpia del 4 e 5 metacarpo, anomalia di Madelung, ipoplasia delle vertebre cervicali). Possono, inoltre, manifestarsi difficoltà di attenzione e deficit di memoria. In fase puberale il mancato scatto puberale nella crescita e l’assente o ridotto sviluppo dei caratteri sessuali secondari sono i segni clinici peculiari, cui può associarsi uno stato d’ansia e una scarsa stima di sé (4). La sterilità sarà il segno principale dell’età adulta. Oltre all’ ipertensione arteriosa che può essere essenziale o secondaria a difetti cardiaci e/o renali, di recente, è stato segnalato anche un aumentato rischio di dilatazione aortica (5). Frequenti sono le patologie autoimmuni (tiroidite, celiachia, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn, epatiti croniche) (6,2,7,8), le otiti ricorrenti (6) e l’osteoporosi in giovane età (9). La terapia con l’ormone della crescita già dall’età infantile e quella estro-progestinica hanno radicalmente cambiato la prognosi dei soggetti affetti. La sindrome di Marfan La sindrome di Marfan è una patologia del tessuto connettivo a trasmissione autosomica dominante, la cui prevalenza viene stimata 1/5.000 persone. E’ legata, nel 66-90% dei casi, ad una alterazione della fibrillina1 (FBN1). Il gene che codifica per tale proteina è localizzato sul cromosoma 15, nella regione 15q21, più recentemente sono stati segnalati casi associati a mutazioni nei geni TGFBR1 e 2 localizzati rispettivamente sul cromosoma 9 (9q33-q34) e sul cromosoma 3 (3p22), (12,13). Il fenotipo clinico è caratterizzato da un interessamento multiorgano: sistema muscolo-scheletrico, oculare, cutaneo ed apparto cardiovascolare. Il sospetto diagnostico può insorgere in adolescenti o giovani adulti con alta statura disarmonica (rapporto tronco/arti a favore di questi ultimi), aracnodattilia, scoliosi, deformità toracica. I criteri diagnostici stabiliti a Berlino nel 1986 sono stati rivalutati da de Paepe et al. nel 1996 (14). Vengono distinti criteri maggiori e minori di specificità diagnostica (criteri di Grent). La diagnosi di sindrome di Marfan richiede la presenza di un criterio maggiore in 2 sistemi ed il coinvolgimento di un terzo sistema. E’ di fondamentale importanza individuare precocemente i soggetti affetti perché il trattamento in fase iniziale delle alterazioni cardiovascolari prolunga notevolmente la via dei pazienti (15). La discondrosteosi di Leri-Weill La discondrosteosi o sindrome di Leri-Weill, displasia scheletrica caratterizzata da bassa statura disarmonica con brevità mesomelica degli arti ed anomalia di Madelung, è causata da mutazione o delezione del gene SHOX, localizzato nella regione pseudoautosomica (PAR1) dei cromosomi sessuali (Xpter-p22.32; Ypter-p11.2), (16). Non si riscontrano tratti dismorfici che possano orientare la diagnosi, ma le anomalie scheletriche associate, che ne permettono l’inquadramento diagnostico, evolvono nel tempo. Più evidenti in età puberale sono le anomalie delle ossa carpali (anomalia di Madelung: carpo ad ogiva, polso a dorso di forchetta), l’incurvamento dell’avambraccio (incurvamento del radio con aumentata distanza interossea tra radio ed ulna), la deformità delle articolazioni coxo-femorali (coxa valga), la tibia vara e la presenza di un esostosi della regione metafisaria della tibia (17). La patologia va, quindi, sospettata in tutti i casi di bassa statura disarmonica con brevità mesomelica degli arti. L’incidenza è ancora oggi fortemente sottostimata. La diagnosi, oltre che una presa in carico precoce dei soggetti affetti per una prevenzione secondaria delle patologie correlate, permette anche la consulenza genetica familiare, in considerazione dell’elevato rischio di ricorrenza (50%). La sindrome di Klinefelter La sindrome di Klinefelter, la più comune anomalia cromosomica (prevalenza 1/500 nati maschi), è caratterizzata dalla presenza in soggetti di sesso maschile di un cromosoma X sovrannumerarrio. L’espressività clinica è variabile e spesso i segni sono sfumati o assenti fino all’età adolescenziale, epoca in cui si può evidenziare ginecomastia, scarsa peluria, distribuzione ginoide dell’adipe, masse muscolari ipotrofiche ed ipogenitalismo (ipogonadismo ipergonadotropo). L’accrescimento si presenta regolare fino all’età di 5-8 anni, epoca in cui si assiste ad un aumento di velocità di crescita con una statura finale elevata rispetto al potenziale genetico. Sospetto diagnostico può insorgere se in età puberale i testicoli hanno un volume <2ml, con normale sviluppo del pene. La terapia in epoca puberale con testosterone favorisce una normalizzazione delle proporzioni corporee e dei caratteri sessuali secondari. Possono essere associati ritardo del linguaggio e turbe comportamentali (10). Nella storia naturale della patologia vi è un aumentato rischio di carcinoma mamma- 105 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) La sindrome trico-rino-falangea tipo I/III e sporgenti,, macrorchidismo, prolasso della valvola mitralica, QI circa 40. E’ stata proposta una checklist per identificare tra i soggetti con ritardo mentale quali sottoporre a diagnosi molecolare del DNA per sindrome dell’X fragile (24). Particolare attenzione merita il possibile riscontro di menopausa precoce (premature ovarian failure, POF) in donne con premutazione FMR1 e quindi a rischio di prole affetta. La permutazione, inoltre, espone ad un aumentato rischio per la sindrome tremori/atassia associati all’X fragile (FXTAS) (25). Non esiste una terapia specifica per la sindrome dell’X fragile, vanno consigliati trattamento riabilitativo e terapia comportamentale. Vengono descritte tre varianti cliniche della sindrome trico-rinofalangea, tutte ad ereditarietà autosomica dominante, caratterizzate da un’estrema variabilità fenotipica (18,19). Le forme I e III vengono considerate varianti cliniche di un unico spettro fenotipico e sono causate da mutazioni del gene TRPS 1 (mappato sul cromosoma 8, regione 8q23.39). La sindrome tricorinofalangea tipo I rappresenta la forma lieve, mentre la sindrome tricorinofalangea tipo III, la forma grave (severa brevità di tutte le falangi e dei metacarpi associata a grave bassa statura). La forma II presenta tutti segni tipici della forma III a cui si associano ritardo mentale ed esostosi cartilaginee multiple ed è legata a mutazioni dei geni TRPS1 e EXT1 (mappati sul braccio lungo del cromosoma 8). I segni clinici delle varianti I-III si rendono più evidenti con l’avanzare dell’età: bassa statura, capelli radi e sottili, naso a “pera”, filtro nasale lungo, labbro superiore sottile, anomalie della mano (brachidattilia con dite deviate ulnalmente ed articolazioni interfalangee prossimali ingrossate, epifisi a cono). L’andamento dell’età ossea è caratteristico: ritardata fino alla pubertà, con precoce saldatura delle cartilagini di accrescimento alla pubertà e statura definitiva bassa. Progressive sono, inoltre, le anomalie delle articolazioni coxofemorali tipo Perthes: coxa magna, coxa plana e vara. La diagnosi permette un follow-up mirato con valutazioni clinico-radiologiche periodiche per un’ efficace prevenzione secondaria delle patologie associate. Conclusioni Una delle caratteristiche di molte sindromi genetiche è il fenotipo più evidente nel tempo. Solo l’osservazione costante può, quindi, consentire di rilevare i segni clinici necessari per un corretto inquadramento diagnostico. Bibliografia 1. De Luca G. In: Adolescentologia Essenziale per la pediatria del territorio. ed. Centro Studi Auxologici, 2005, p.23. 2. Elsheikh M, . Dunger DB, Conway GS, Wass JAH Turner’s syndrome in adulthood. Endcr Rev 2002; 23:120-40. 3. Gotzsche CO, Krag-Olsen B, Nielsen J, Sorensen KE, Kristensen BO. Prevalence of cardiovascular malformations and association with karyotypes in Turner’s syndrome. Arch Dis Child 1994; 71:433-46. 4. Saenger P, Wikland KA, Conway GS, et al. Recommendations for the diagnosis and management of Turner’s syndrome. J Clin Endocrinol Metab 201; 86:3061-9. 5. Lopez L., Arheart KL, Colan SD et al. Turner syndrome is an independent risk factor for aortic dilation in the young Pediatrics 121; 6;2008, pp. e1622-e1627. 6. Conway GS. 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Nella regione 5’ non tradotta del primo esone del gene FMR1 è presente una sequenza di triplette CGG il cui numero varia nei soggetti normali all’incirca da 5 a 49. La sindrome dell’X fragile è una tipica patologia da amplificazione genica legata all’espansione delle triplette CGG che si ripetono tra 50 e 199 volte nella permutazione ed oltre le 200 volte nella mutazione completa (21). Il superamento della soglia delle 200 triplette comporta una metilazione delle citosine e quindi un blocco della trascrizione del gene e della produzione della proteina FMRP (fragile X mental retardation protein). La FMRP si associa ad RNA codificanti importanti proteine neuronali e ne regola il trasporto e la traduzione prevalentemente a livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale (22,23). Il fenotipo non è orientativo né alla nascita né nella prima infanzia (macrocrania, ipotonia muscolare, iperlassità legamentosa, ritardo psicomotorio, tratti artistici), mentre diventa più espresso nella adolescenza: alta statura, viso allungato, ipotelorismo, mandibola prominte, ipoplasia della regione zigomatica, padiglioni auricolari ampi 10. Visootsak j, Aylstock M, Graham JM Klinefelter syndrome and its variants: an update and review for the primary paediatrician Clin Pediatr 2001,40:639-651. 11. Seo JT, Lee JS, Oh TH, Joo KJ .The clinical significance of bone mineral density and testosterone levels in Korean men with non-mosaic Klinefelter's syndrome. BJU Int 2007; 99(1):141-6. 12. Mizuguchi T, Collod-Beroud G,et al. Heterozygous TGFBR2 mutations in Marfan syndrome. Nat Genet 2004; 36:855-860 106 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Quando pensare a una sindrome genetica in un adolescente Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 13. Sakai H, Visser R et al. 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Active participation is crucial for patients and their families in order to retrieve cognitive and emotional capacity to obtain the best quality of life. Key words: adolescent development, chronic disease, communication La comunicazione medico-paziente sottende una serie di azioni, di comportamenti e di parole, dette e non dette, che intercorrono tra un medico ed un paziente: essa investe senz’altro ambiti diversi: sociologico, psicologico, etico, medico-legale, ma attinge profondamente anche alla sfera più intima della sensibilità del medico e del paziente. C’è accordo unanime nel ritenere la comunicazione medico-paziente come uno degli aspetti più significativi della professione e della professionalità medica. A differenza di quanto accade per il medico dell’adulto, il professionista che si occupa di bambini e adolescenti deve sperimentare modelli di comunicazione diversi, in relazione alle modificazioni cronologiche e psicocognitive del proprio paziente (1). Nel passaggio da bambino ad adolescente si realizza una progressiva acquisizione di capacità astrattive, relazionali, emotive, che costituiscono di fatto la “ competenza” di un adolescente (2-4); si organizza una più consapevole immagine di sé, in altri termini si riconoscono all’adolescente la possibilità ed il diritto ad essere coinvolto attivamente nelle questioni che riguardano la sua salute (5). Una “cattiva” malattia, qualunque essa sia, ha insite in sé alcune categorie di pensiero e prospettive , razionali ed emozionali: Esito infausto/ morte Cronicità Disabilità Diversità Incertezza del futuro. Queste caratteristiche hanno di per sé e nell’insieme un impatto enorme sullo sviluppo dell’adolescente e viceversa (6, 7). La malattia infatti agisce sull’adolescente influenzandone, in modo diverso a seconda delle caratteristiche cliniche, l’accrescimento, lo sviluppo puberale, l’evoluzione psicologica, l’adattamento sociale, le capacità cognitive, l’immagine di sé, le relazioni familiari e con i pari, l’inserimento ed il profitto scolastico; a sua volta anche l’età adolescenziale agisce sull’andamento della malattia attraverso l’in- cremento della richiesta calorica, che può agire negativamente sulle malattie metaboliche, attraverso la maggiore autonomia e la migliore capacità cognitiva, che possono penalizzare l’aderenza ai programmi terapeutici, o determinarne il rifiuto, attraverso l’identificazione con “modelli” generazionali, che possono essere inconciliabili con le esigenze della malattia, e infine attraverso la possibile adozione di comportamenti a rischio (alcol, fumo, attività sessuale non protetta,….) (Tabella 1). La reazione umana di fronte ad una malattia grave, secondo Elizabeth Kubler Ross, si esprime “per fasi”, non necessariamente successive ed in ordine, ma presenti nel corso del tempo e con diversa intensità, ed in relazione all’età ed alle caratteristiche emozionali della persona colpita (8): Negazione e rifiuto Rabbia Patteggiamento Depressione Accettazione. In questo vissuto il medico, con la propria professionalità e la propria sensibilità, può avere uno spazio prezioso per accompagnare l’adolescente e la sua famiglia; la comunicazione dovrebbe essere fornita fin dall’inizio ad entrambi con chiarezza, in modo esaustivo, con onestà, e cercando di porsi in un atteggiamento di ascolto e di condivisione. È essenziale, per una comunicazione efficace e gratificante, che si stabiliscano relazione e fiducia da parte di entrambe le parti, medico ed adolescente-famiglia, allo scopo di poter ricevere e poter offrire la massima collaborazione per il percorso successivo. In relazione alla sua “competenza” l’adolescente dovrebbe essere aiutato ed incoraggiato a fare domande, garantendogli, se richiesto, uno spazio ed un tempo “privati” e confidenziali, indipendentemente dai suoi familiari, e dovrebbe essere invitato ad esprimere la sua opinione sui programmi terapeutici (9). Alcune “regole” generali di comunicazione con l’adolescente sono riportate nella Tabella 2. 108 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Come comunicare una cattiva diagnosi Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 1. Alcuni possibili effetti reciproci della malattia grave /disabilità sullo sviluppo adolescenziale e viceversa (modificata da J.C. Suris, Arch Dis Child, 2004) Malattia e sviluppo adolescenziale Adolescenza e malattia Effetti biologici Ritardo puberale Bassa statura Ridotta massa ossea Aumento richiesta calorica per l’accrescimento Ormoni e metabolismo Effetti psicologici Identificazione con la malattia Riduzione delle funzioni cognitive Scarsa compliance alle terapie Rifiuto della malattia Effetti sociali Isolamento Ridotta autonomia Cattive relazioni con i pari Comportamenti a rischio Bibliografia 1. 7. Gualtieri L. La comunicazione della diagnosi in adolescenza. Quaderni ACP 2005; 12(2): 87-91. P.A. Michaud, J.C. Suris. The adolescent with a chronic condition. Healthcare provision Arch.Dis.Child 2004; 89:943-949. 8. E. Kubler-Ross. La morte e il morire - Cittadella Editore, 1990. 9. American Academy of Pediatrics. Committee on Pediatric Aids. Disclosure of illness status to children and adolescents with HIV infection. Paediatrics 1999; 103(1):164-165. 2. Christie D., Viner R. Adolescent development. 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(Euteach, aprile 2008) Da fare Da evitare Annotati le cose importanti prima di vedere il paziente Vai nella sala d’attesa ad accogliere il paziente Presentati con il tuo nome Nell’ambulatorio spiega chi sei e cosa fai Assicura confidenzialità Chiarisci il significato dei termini che usi Lascia che il paziente racconti la sua storia senza interrompere Usa domande aperte per chiarificare Cerca di essere professionale Ascolta in atteggiamento non giudicante Fai domande in modo non inquisitorio Sottolinea gli aspetti positivi Cerca di avere una buona ragione per ciascuna domanda Riassumi e sintetizza la conversazione 109 Gergo medico Domande si/no Evita di apparire uno del gruppo; I pazienti osservano la tua professionalità Evita di fare un interrogatorio Evita di chiedere cose non necessarie Evita di scrivere sulla cartella clinica durante il colloqui Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Fisiopatologia della spermatogenesi Vincenzo De Sanctis, Luigina Urso1, Giuseppe Raiola2 2 U.O.C. di Pediatria ed Adolescentologia – Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara 1 U.O. di Pediatria, Arzignano (Vicenza) U.O. di Pediatra – U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza - A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro Anatomia dell’apparato riproduttivo Nel testicolo si distinguono una componente ghiandolare tubulare esocrina, sede della spermatogenesi, e una componente ghiandolare endocrina che produce gli androgeni. Il testicolo è suddiviso in circa 250 lobuli, da setti fibrosi incompleti che si irradiano da tutta la superficie interna della tonaca albuginea e che convergono posteriormente nel mediastino, un ammasso connettivale dove penetrano e si dipartono, per poi decorrere i setti, i vasi sanguigni, i linfatici e le fibre nervose. I lobuli contengono i tubuli seminiferi, canicoli tortuosi di lunghezza variabile tra 30 e 70 cm e il cui diametro nell’adulto varia da 150 a 250 Ìm. In ogni testicolo ci sono da 500 a 1000 tubuli seminiferi. L’epitelio che riveste i tubuli seminiferi è pluristratificato ed è formato da due tipi di cellule: le cellule germinali e le cellule di Sertoli. Nell’interstizio tra i tubuli si trovano le cellule di Leydig. I tubuli seminiferi contorti iniziano a fondo cieco presso l’albuginea e convergono verso il mediastino, in prossimità del quale sboccano nei tubuli retti (uno per lobulo) che, dopo un breve percorso rettilineo, fanno capo alla rete testis, una vera e propria rete di ampie lacune e di sottili canali, situata nella regione mediastinica. Il prodotto della spermatogenesi viene convogliato, attraverso i dotti efferenti, nella testa dell’epididimo costituita da 10-12 lobuli ciascuno composto da un dotto efferente e dal connettivo circostante. I dotti efferenti, dopo molte circonvoluzioni, fanno capo ad un condotto comune: il canale dell’epididimo che si continua con il dotto deferente in corrispondenza del polo inferiore del testicolo. Il dotto deferente, della lunghezza di circa 40-45 cm, risale lungo il margine posteriore del testicolo, perviene nel funicolo spermatico dove è accompagnato dall’arteria deferenziale e contornato dalle vene del plesso pampiniforme e, dopo aver attraversato il canale inguinale, entra nella pelvi. Il deferente volge quindi in basso e indietro nel piccolo bacino e raggiunge la faccia laterale della vescica. I due dotti deferenti convergono verso il centro e, dopo aver incrociato il rispettivo uretere, prendono stretto rapporto con il fondo vescicale e ciascuno termina nell’ampolla del deferente, un’ampolla dilatata in cui si aprono i condotti escretori delle vescicole seminali. L’ampolla del deferente si continua nei brevi dotti eiaculatori che attraversano la prostata e si aprono nell’uretra prostatica. Controllo della spermatogenesi Il testicolo adulto attraverso le sue quattro componenti fondamentali - le cellule di Sertoli, le cellule di Leydig, le cellule germinali e peritubulari - svolge due funzioni: la secrezioni di androgeni e la spermatogenesi, entrambe sono sotto il controllo di azioni autocrine, paracrine ed endocrine (1). Le influenze endocrine sono esercitate dagli ormoni ipotalamici e dall’ipofisi che, a loro volta, risentono di un feed-back negativo da parte degli ormoni prodotti dal testicolo (2). L’ormone stimolante la secrezione di gonadotropine (GnRH) è sintetizzato da neuroni neurosecretori dell’ipotalamo e viene rilasciato episodicamente nel circolo portale ipofisario. Il GnRH stimola la sintesi e la secrezione pulsatile, da parte dell’adenoipofisi, delle due gonadotropine: l’ormone luteinizzante (LH) e l’ormone follicolo-stimolante (FSH) (3). L’LH, legandosi a specifici recettori di membrana delle cellule di Leydig, stimola la biosintesi degli androgeni. Le cellule di Leydig vanno incontro a due fasi di sviluppo: la prima durante la vita fetale e la seconda durante la pubertà. Iniziano a svilupparsi durante l’VIII settimana di gestazione e alla fine della XIV rappresentano il 50% della massa testicolare (nell’adulto costituiscono il 10% della massa totale del testicolo). Le cellule di Leydig fetali secernono testosterone che raggiunge alla XIV-XVIII settimana un valore corrispondente a quello dell’adulto. Nella seconda parte della vita fetale il numero di cellule di Leydig diminuisce progressivamente; a 6 mesi di vita postnatale queste cellule non sono più riconoscibili. Durante la pubertà, sotto l’azione dell’LH, si differenziano a partire dai fibroblasti. Le cellule di Leydig rappresentano il principale bersaglio 110 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fisiopatologia della spermatogenesi Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Maturazione degli spermatozoi dell’LH. Il legame tra la gonadotropina e i recettori della cellula interstiziale stimola l’adenil-ciclasi con conversione dell’ATP (adenosin-trifosfato) in AMPc (adenosin-monofosfato ciclico) e la conseguente formazione del testosterone a partire dall’acetato e colesterolo. Le cellule di Leydig secernono anche altre sostanze: l’ossitocina, che si ritiene causi la contrazione delle cellule mioidi peritubulari e la pro-opio-melano-cortina che sembra agire da regolatore paracrino della funzione delle cellule di Sertoli (4). La produzione di testosterone da parte del testicolo adulto, è compresa tra 3 e 10 mg/die. Il testosterone circola nel plasma legato ad una globulina di trasporto (SHBG) per il 60%, all’albumina per il 38% e libero per il 2% (frazione biologicamente attiva). L’azione degli androgeni è mediata da un legame con i recettori specifici a sede intranucleare che si traduce in un aumento della trascrizione, nelle cellule bersaglio, di geni specifici sensibili agli androgeni. Le cellule di Sertoli proliferano solo durante la vita fetale e perinatale, si allineano lungo la membrana peritubulare e si estendono verso il lume del tubulo. Queste cellule svolgono un ruolo di supporto e nutrizionale per i tubuli ed, inoltre, controllano la spermatogenesi che ha luogo nelle pieghe del loro citoplasma. La cellula di Sertoli è la principale cellula bersaglio dell’FSH. Questa gonadotropina si lega a specifici recettori presenti sulla membrana plasmatica e attiva l’adenilatociclasi con aumento dell’AMPc a cui consegue la sintesi di acido ribonucleico e di proteine. Le cellule di Sertoli producono una varietà di macromolecole(4), in particolare: ABP (Androgen Binding Protein) - Una proteina molto simile all’SHBG la cui funzione sembra essere quella di trasportare il testosterone e il diidrotestosterone nei tubuli seminiferi e forse nell’epididimo. Inibina - Eterodimero composto da due subunità alfa e beta, capace di bloccare specificatamente in vivo e in vitro la secrezione dell’FSH ipofisario senza influenzare quella dell’LH. Transferrina - Leggermente diversa nella struttura dalla transferrina circolante, sembra avere la funzione di trasportare il ferro alle cellule germinali. Attivatore del plasminogeno - Nel tubulo seminifero è un fattore essenziale per la spermiazione, cioè per il distacco dello spermatozoo dalle cellule di Sertoli. Esercita inoltre funzioni importanti nell’apertura delle “gap junction”, permettendo alle cellule germinali che si trovano nel compartimento basale, di portarsi in quello luminale. E’ presente in grande quantità nel plasma seminale umano ed è prodotto prevalentemente dalla prostata. IGF-1 - E’ un fattore di crescita ubiquitario. Recettori per l’IGF-1 sono presenti negli spermatociti di primo, di secondo ordine, negli spermatidi e nelle cellule di Sertoli. Le cellule mioidi contrattili che circondano i tubuli seminiferi contengono recettori per gli androgeni e l’ossitocina, secernono varie proteine per mezzo delle quali modulano, per via paracrina, l’azione sia delle cellule di Sertoli che delle cellule di Leydig. La produzione dello sperma ha luogo nelle centinaia di tubuli seminiferi che costituiscono più del 90% del volume del testicolo adulto. Le cellule germinali vanno incontro ad un processo di sviluppo e di differenziazione dalla vita fetale fino alla pubertà. Durante la vita intrauterina le cellule germinali primordiali si trasformano in gonociti da cui prendono origine gli spermatogoni fetali. Dal terzo al quinto mese di vita postnatale gli spermatogoni fetali si trasformano in spermatogoni di tipo A mediante divisione mitotica (1). Si distinguono due tipi di spermatogoni di tipo A: spermatogoni di riserva - tipo scuro A - che costituiscono una riserva di cellule germinali staminali; spermatogoni che si rinnovano - tipo pallido A - che gradualmente si differenziano attraverso 4 divisioni mitotiche dando origine agli spermatogoni di tipo B. Da questi ultimi, dopo un a divisione mitotica, originano gli spermatociti primari. Gli spermatogoni di tipo B compaiono per la prima volta verso i 4 anni di età e la spermatogenesi si arresta allo stadio dello spermatocita primario fino alla pubertà. Il processo che produce spermatozoi maturi e mobili può essere diviso in tre fasi: la prima fase viene definita “ spermatogenesi”, la seconda “spermiogenesi” e la terza “fase di maturazione”. Dalla pubertà con il termine “spermatogenesi” si intende il ripetersi regolare e continuo di cicli di cito-differenziazione mediante i quali gruppi di cellule germinali diploidi indifferenziate (spermatogoni) si moltiplicano e si trasformano in cellule germinali maschili aploidi (spermatidi). Il processo di differenziazione delle cellule germinali è centripeto, per cui le cellule più mature si trovano verso il centro del tubulo seminifero. Gli spermatogoni di tipo pallido A, nel maschio adulto, iniziano la spermatogenesi ad intervalli fissi di 16 giorni. Gli spermatogoni di tipo B si differenziano negli spermatociti primari (divisione mitotica) e questi vanno incontro a divisione meiotica dando origine agli spermatociti secondari provvisti di un corredo aploide di cromosomi. Dagli spermatociti secondari, dopo una seconda divisione meiotica, derivano gli spermatidi, che si differenziano in spermatozoi, senza altre divisioni, mediante il processo denominato spermiogenesi. La spermiogenesi è una complessa metamorfosi che trasforma lo spermatide amorfo, rotondo, nello spermatozoo morfologicamente differenziato. La maturazione nemaspermica post-testicolare comprende una complessa combinazione di cambiamenti fisiologici, morfologici, biochimici, biofisici e metabolici (4). In particolare: a) dal punto di vista fisiologico, lo spermatozoo diviene mobile ed acquisisce le capacità di fecondare b) dal punto di vista morfologico, perde il residuo citoplasmatico c) dal punto di vista biochmico, diviene più attivo e mostra un’aumentata fruttolisi 111 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Circa la metà degli spermatozoi, prodotti dal testicolo, muoiono e vengono distrutti all’interno dell’epididimo e riassorbiti dall’epitelio epididimario. I rimanenti spermatozoi maturi vengono immagazzinati nella coda dell’epididimo (circa il 70% di tutti gli spermatozoi presenti nel tratto genitale maschile). I vasi deferenti contengono solo il 2% circa degli spermatozoi totali. La produzione di spermatozoi richiede un periodo costante di 70 ± 4 giorni dalla fase di spermatogonio tipo A a spermatide maturo. Il rilascio degli spermatozoi testicolari (spermiazione) ed il loro passaggio attraverso i dotti afferenti del testicolo e dell’epididimo, si ritiene richieda altri 3-21 giorni. Al momento dell’eiaculazione gli spermatozoi vengono trasferiti dai depositi nella coda dell’epididimo e mescolati con le secrezioni delle ghiandole accessorie, dapprima quella prostatica e successivamente vescicolare, ed emessi all’esterno attraverso l’uretra peniena preparata precedentemente dalla secrezione delle ghiandole bulbo-uretrali. Subito dopo l’eiaculazione, si assiste ad una coagulazione spontanea dell’eiaculato dovuta a sostanze di derivazione vescicolare. La liquefazione successiva è dovuta a fattori di origine prostatica (4). Uno spermatozoo maturo possiede una testa (di forma ovalare, a contorni regolari, della lunghezza di 3-5 µm) con una regione anteriore più chiara (acrosoma) ed una posteriore più scura. Subito dietro la testa è presente un tratto intermedio, ispessito con una lunghezza di 7-8 µm e con una larghezza di 1 µm. La coda spermatica è inserita in maniera simmetrica in una lieve depressione della base della testa e misura circa 50 Ìm. La regolazione ormonale della spermatogenesi è esercitata dall’FSH e dal testosterone. I livelli di testosterone intratesticolare si mantengono normalmente, nell’adulto, 100 volte più elevati che nella circolazione periferica, presumibilmente per fornire un supporto appropriato alla spermatogenesi (1). La presenza di FSH è necessaria anche per la sintesi di androgeni, sia attraverso un aumento della produzione di recettori per l’LH (4), sia mediante la stimolazione della produzione, da parte delle cellule di Sertoli, di ABP (Androgen Binding Protein). Questa proteina, prodotta nei testicoli, lega specificamente il testosterone e si pensa, quindi, fornisca l’ormone alle cellule androgenosensibili all’interno dell’epitelio seminifero. seminali, della prostata, delle ghiandole bulbouretrali (ghiandole di Cowper) e delle ghiandole uretrali (ghiandole di Littré) (5). La porzione dell’eiaculato che origina dal testicolo e dall’epididimo costituisce il 5% del volume totale dell’eiaculato. Il rimanente volume deriva dalla prostata (25%), dalle vescicole seminali (65%) e dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali (2-5%) (5). Il liquido seminale contiene: 1. spermatozoi e testosterone legato all’ABP (prodotti del testicolo) 2. carnitina (fonte di energia per gli spermatozoi), inositolo, lipidi e fosfolipidi (prodotti dall’epididimo) 3. fruttosio e prostaglandina (prodotti dalle vescichette seminali) 4. enzimi, fosfatasi acida, zinco e calcio (prodotti dalla prostata) 5. mucoproteine (prodotte dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali). Lo spermarca, cioè l’inizio del rilascio degli spermatozoi nelle urine, è stato valutato da vari Autori(6-9). Una spermaturia è stata osservata nel 68.69% dei ragazzi di età superiore ai 13 anni. Secondo Pedersen et al. (8) la presenza di spermaturia nei ragazzi non ancora virilizzati, potrebbe essere dovuta ad un passaggio spontaneo e continuo di spermatozoi nell’uretra. La prima eiaculazione cosciente, secondo Janczewski e Bablok(9), avviene nei 12 mesi dopo l’inizio della pubertà e, secondo Laron, si verifica con il raggiungimento di un’età ossea di 13 anni e mezzo (range 12.5-15.6 anni) (6). Non sono state osservate correlazioni significative tra l’età della prima eiaculazione, il volume testicolare, la peluria pubica e lo sviluppo del pene. Normali parametri seminali vengono raggiunti 12-14 mesi dopo la prima eiaculazione, mentre una normale motilità degli spermatozoi si osserva 1 anno più tardi. Analisi del liquido seminale Per liquido seminale si intende una sospensione di spermatozoi nel plasma seminale. Quest’ultimo è formato dalle secrezioni degli epididimi, dei deferenti, delle ampolle, delle vescicole seminali, della prostata, delle ghiandole bulbouretrali (ghiandole di Cowper) e delle ghiandole uretrali (ghiandole di Littré). La porzione dell’eiaculato che origina dal testicolo e dall’epididimo costituisce il 5% del volume totale dell’eiaculato. Il rimanente volume deriva dalla prostata (25%), dalle vescicole seminali (65%) e dalle ghiandole uretrali e bulbouretrali (2-5%). Spermatogenesi, liquido seminale e spermarca Con il termine spermatogenesi viene indicata la continua e regolare differenziazione mitotica e meiotica delle cellule germinali che attraverso diversi stadi portano alla formazione della cellula germinale maschile: lo spermatozoo. Per liquido seminale si intende una sospensione di spermatozoi nel plasma seminale. Quest’ultimo è formato dalle secrezioni degli epididimi, dei deferenti, delle ampolle, delle vescicole 1) Informazioni per il paziente il liquido seminale dovrà essere raccolto per masturbazione, dopo 3-5 giorni di astinenza. Un periodo di astinenza prolungato può condurre ad un aumento del volume dell’eiaculato ed eventualmente della concentrazione di spermatozoi a cui può associarsi una diminuzione della motilità nema- 112 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fisiopatologia della spermatogenesi Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) spermica. Un periodo ridotto determina una riduzione del volume e della concentrazione degli spermatozoi; il campione va completamente raccolto. Raccolte incomplete non dovrebbero essere esaminate poiché la prima parte dell’eiaculato è ricca di spermatozoi; lo sperma dovrebbe essere raccolto possibilmente in laboratorio. Se il paziente per motivi psicologici preferisce effettuare la raccolta a casa, dovrà consegnare il campione entro un’ora. Il contenitore dovrà essere mantenuto a temperatura non inferiore a 20°C e non superiore a 36°C. vescicole seminali, mentre un’eccessiva alcalinità (> 8) corrisponde ad una riduzione della secrezione prostatica. c) volume dell’eiaculato: è generalmente compreso tra 1 e 5 ml. Con il termine aspermia viene indicata la mancanza di eiaculato, con ipospermia un volume di eiaculato inferiore a 0.5 ml ed iperspermia un volume superiore a 6 ml. d) esame a fresco: la conta degli spermatozoi viene effettuata al microscopio ottico mediante camera di Thoma-Zeiss, di Neubauer o dopo aver diluito (1:20) il seme in una soluzione immobilizzante gli spermatozoi. La conta nella microcamera di Makler offre il vantaggio di non dover ricorrere alla diluizione del campione. La valutazione quantitativa e qualitativa della motilità degli spermatozoi viene, generalmente, effettuata mediante osservazione diretta al microscopio ottico. La morfologia viene valutata su strisci colorati (Papanicolau, May-Grunwald-Gimsa). La lettura ed il conteggio devono essere effettuati al microscopio con obiettivo ad immersione (x100). La nomenclatura per la definizione dei parametri seminali viene riportata nella Tabella 1. Altri componenti cellulari che dovranno essere differenziati nei campioni seminali sono le cellule rotonde (leucociti, elementi immaturi della linea geminale e residui citoplasmatici), le cellule epiteliali e gli eritrociti, generalmente presenti in basso numero. Batteri e protozoi non sono normalmente presenti nel liquido seminale e la loro presenza in quantità rilevante è probabilmente associata ad una infezione del tratto genitale. 2) Esame standard Un’analisi del liquido seminale deve essere iniziata un’ora dopo l’eiaculazione. E’ raccomandabile una incubazione a temperatura ambiente o a 37° C affinché si compia la fluidificazione (entro 20-30 minuti). L’iperviscosità è responsabile di una diminuita mobilità degli spermatozoi. Prima di iniziare qualsiasi tipo di analisi il campione di liquido seminale dovrà essere mescolato per 20-30 secondi. a) aspetto: il liquido seminale ha un aspetto lattescente od opalescente. In condizioni di grave oligospermia o di azoospermia può assumere un aspetto acquoso. b) pH: è compreso tra 7.2 ed 8.2. Il pH tende ad aumentare con il passare del tempo dopo l’eiaculazione. I valori leggermente alcalini consentono la sopravvivenza degli spermatozoi a livello dell’ambiente acido vaginale. Uno sperma acido (< 7) indica una diminuzione della componente proveniente dalle Tabella 1. Nomenclatura seminale. A) Dati generali Normospermia: Dispermia: Aspermia: Oligopsia: Polipsia: eiaculato normale in tutti si suoi caratteri eiaculato anomalo in qualcuno dei suoi caratteri assenza di eiaculato quantità di eiaculato inferiore ad 1 ml quantità di eiaculato superiore a 6 ml. B) Concentrazione Normospermia: Oligospermia: Azoospermia: normale concentrazione degli spermatozoi nell’eiaculato riduzione della concentrazione degli spermatozoi completa assenza degli spermatozoi nell’eiaculato C) Motilità Normocinesi: Astenospermia: Discinesia: Acinesia: normale percentuale di motilità e normale qualità di movimento degli spermatozoi alterazione quantitativa della percentuale di spermatozoi mobili alterazione qualitativa del movimento degli spermatozoi per ridotta velocità, progressione o linearità assenza completa di motilità D) Morfologia Teratospermia: aumentata percentuale di atipie della morfologia spermatica. 113 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Tabella 2. Valori di normalità dei parametri seminali nell’adulto. Volume: la quantità dell’eiaculato è normalmente compresa tra i 2 e i 6 ml Fluidificazione: deve avvenire entro 30-60’ dall’eiaculazione pH: normalmente varia tra 7,2 e 8,0 Concentrazione: superiore a 20x106/ml Motilità: superiore al 50%, di cui almeno la metà rapida Morfologia: utilizzando tecniche di citologia specialistiche, fino al 70% degli spermatozoi possono essere atipici; si tratta sempre di atipie miste essendo le monomorfe su base genetica Leucociti: sono normalmente presenti in concentrazione < 1x106/ml Tabella 3. Cause di alterata fertilità nell’adulto. (da F. Dondero, A. Lenzi: Fisiopatologia e clinica dell’apparato riproduttivo maschile. Pensiero Scientifico Editore, cap. 32, pag. 359, 2000, modificata) Idiopatiche 25-30% Varicocele 25-30% Infettive 8-10% Danno testicolare (orchiti, traumi, torsione) 10% Varie 9% Malformazioni (CBAVD, criptorchidismo) 1-2% Endocrine 8% Disfunzioni eiaculatorie Immunologiche Non si sa esattamente quando l’adolescente raggiunge una completa spermatogenesi, per questo motivo bisognerà essere cauti prima di esprimere un giudizio definitivo sulle potenzialità spermatogenetiche del soggetto in esame. I valori di normalità dei parametri seminali vengono riportati nella Tabella 2. D) Funzione dello spermatozoo eiaculato (da cause immunologiche, alterazioni morfofunzionali del gamete). L’incidenza delle varie patologie che comportano una alterazione della fertilità nell’adulto viene riportata nella Tabella 3. Valutazione delle alterazioni della spermatogenesi Aspetti patogenetici Come in ogni condizione patologica, la valutazione delle alterazioni della spermatogenesi deve cominciare con un’anamnesi dettagliata ed un attento esame fisico a cui andranno associati un dosaggio dell’inibina, gonadotropine e del testosterone (Tabella 4) ed in casi selezionati un analisi del cariotipo ed una RMN cerebrale. Le alterazioni della spermatogenesi possono essere di 4 tipi (10): A) Pre-testicolari, secondarie ad alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi (deficit di gonadotropine) B) Testicolari (arresto maturativo associato a patologie cromosomiche o a delezioni geniche, a cause tossiche, a patologie traumatiche, a varicocele, a criptorchidismo) C) Post-testicolari, secondarie ad ostruzione del sistema canalicolare che permette agli spermatozoi di abbandonare i tubuli seminiferi per passare nell’eiaculato (ostruzione bilaterale dei dotti deferenti nella fibrosi cistica od a patologie acquisite, ad es. flogosi) Quando richiedere l’esame del liquido seminale nell’adolescente Non esistono criteri ben definiti. Un esame del liquido seminale potrà essere proposto agli adolescenti “maturi” che hanno rag- 114 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fisiopatologia della spermatogenesi Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Patologie che più frequentemente causano una alterazione della fertilità giunto una completa fase di maturazione puberale e con storia anamnestica e/o clinica di: criptorchidismo bilaterale varicocele di III grado varicocele di II grado con ipoplasia della gonade (meno del 25% rispetto alla gonade controlaterale) patologia cronica (talassemia, drepanocitosi, morbo di Crohn) ipoplasia testicolare con aumento dell’FSH durante il trattamento di induzione della spermatogenesi con gonadotropine. Nota bene: è opportuno eseguire un esame del liquido seminale nei pazienti affetti da patologie che richiedono un trattamento radiante o chemioterapico (11) o su richiesta dell’adolescente. Varicocele Il varicocele è una condizione di ectasia delle vene del sistema testicolo-epididimo-funicolo spermatico, con prevalente localizzazione a sinistra, secondaria alla stasi venosa. La frequenza del varicocele appare essere età-dipendente: 4.5% in età prepuberale, 15-20% nell’età adolescenziale (12). Nel 90% dei casi è presente a sinistra e si accompagna, nell’adulto, ad alterazioni della spermatogenesi (65% dei soggetti affetti). Il varicocele, in età puberale, molto spesso si accompagna ad una riduzione volumetrica della gonade. La riduzione del volume testicolare sembra progredire con l’età del paziente e l’entità del varicocele e, poiché i tubuli seminiferi costituiscono più del 90% della massa testicolare, si può ritenere che l’ipotrofia del testicolo sia espressione di una compromissione più o meno grave della fertilità. L’ipotrofia della gonade frequentemente si associa a lesioni istologiche dei tubuli seminiferi e dell’interstizio, sovrapponibile a quelle descritte negli adulti (13). Le indicazioni al trattamento chirurgico, in età adolescenziale, sono rappresentate dall’ipotrofia testicolare (20-25% rispetto al controlaterale) e dal varicocele di grado elevato (III grado). Il recupero della fertilità, nei maschi adulti, dopo trattamento del varicocele è del 50%-60% con pregnancy rate del 26%-41% (15). Misura dei parametri endocrini Una valutazione endocrina di base è in grado di fornire importanti informazioni diagnostiche. Basse concentrazioni di FSH-LH e testosterone indirizzano verso una patologia ipotalamo-ipofisaria (ipogonadismo-ipogonadotropo). Alti livelli di gonadotropine e basse concentrazioni di testosterone indicano una patologia testicolare (ipogonadismo-ipergonadotropo). Un aumento dei livelli di FSH indica un danno dell’epitelio seminifero, se si associa ad un aumento dell’LH e ad un valore normale-basso di testosterone si deve pensare ad un associato deficit parziale delle cellule del Leydig. Un incremento combinato dell’ LH e del testosterone è riferibile a condizioni di androgeno-resistenza. La presenza di una azoospermia con livelli ormonali nella norma deve far sospettare un ostacolo delle vie seminali. Livelli elevati di prolattina possono essere il sintomo di un’incapacità ipotalamica di secernere il fattore inibente la prolattina (PIF) o possono essere un segno di adenoma ipofisario. Criptorchidismo Il criptorchidismo rappresenta l’anomalia più frequente dell’apparato uro-genitale in età pediatrica con importanti sequele che possono condizionare lo stato di fertilità dell’individuo. I pazienti criptorchidi, anche se monolaterali e anche se corretti in età adeguata, presentano fertilità ridotta rispetto alla popola- Tabella 4. Valori plasmatici di LH, FSH e testosterone nelle patologie con oligoazoospermia. Patologia LH Livelli ormonali FSH testosterone Azoospermia: assenza congenita dei dotti deferenti ostruzione acquisita dei dotti deferenti sindrome di Klinefelter ipogonadismo ipogonadotropo N N ↑ ↓ N N ↑↑ ↓ N N N↓ ↓ Azoospermia-olioazoospermia: varicocele criptorchidismo bilaterale parziale resistenza agli androgeni pregressa chemioterapia N N↑ ↑ N↑ N↑ N↑ N↑ ↑↑ N N↓ ↑ N↓ 115 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) zione normale, e il testicolo ritenuto, lasciato in sede criptorchide, presenta scarsissime possibilità di sviluppare spermatogenesi. Recenti studi dimostrerebbero che è possibile la prevenzione parziale del danno testicolare se si segue una diagnosi precoce in età neonatale e si riposiziona il testicolo in sede scrotale entro il primo anno di vita (16,17). dei pazienti adulti che avevano avuto l’orchite parotitica. A livello testicolare è presente una fibrosi localizzata dei tubuli seminiferi che può progredire per anni, ma che di solito si autolimita (1). Chemioterapia e radioterapia Gli effetti della chemioterapia sul sistema riproduttivo sono ben noti. I fattori che influenzano l’entità del danno gonadico sono rappresentati dall’età, sesso, fase puberale, malattia di base, regime chemioterapico utilizzato (dose, durata). I bambini prepuberi sembrano essere relativamente più resistenti al danno da farmaci citotossici rispetto ai soggetti puberi (20). L’irradiazione testicolare con dosi comprese tra 1.4-3 Gy causa azoospermia, che può essere solo temporanea, mentre una sterilità irreversibile è provocata da una irradiazione superiore a 7 Gy. In molti casi sia la chemioterapia che la radioterapia determinano una persistente, compensata disfunzione subclinica delle cellule di Leydig. La crioconservazione del seme è consigliata prima di iniziare il trattamento chemio o radioterapico. Azoospermia ostruttiva Il 97-98% dei pazienti con fibrosi cistica (FC) presentano una azoospermia ostruttiva secondaria ad aplasia congenita dei vasi deferenti (CBAVD). L’ostruzione è causata dalla presenza di secrezioni abnormi che si verificano in fasi precoci di spermatogenesi (13-14a settimana di età gestazionale). La patogenesi di questa alterazione sarebbe da ricondurre ad un assente o cattivo funzionamento della CFTR (cystic fibrosis transmembrane factor) a livello delle strutture epidimo-differenziali, con conseguente difettoso trasporto di elettroliti e d’acqua nelle membrane apicali delle cellule epiteliali delle strutture genitali (18). L’eiaculato ha un volume ridotto, il pH è basso (< 7), il fruttosio e le prostaglandine sono assenti, l’acido citrico è aumentato. I valori delle gonadotropine e del testosterone sono nella norma. Tecniche di fertilizzazione in vitro, dopo prelievo microchirurgico di spermatozoi dalla rete testis, sono state utilizzate in alcuni pazienti non sempre con successo (19). Prospettive più incoraggianti sembrano aprirsi con l’uso della iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI). In tutti i casi, prima di procedere ad un intervento terapeutico per l’infertilità, è necessario cercare nella partner la presenza di una delle mutazioni più frequenti della FC (18). Ipogonadismo-ipogonadotropo La terapia medica è in grado di indurre fertilità nel 50-60% dei pazienti con ipogonadismo-ipogonadotropo; l’incidenza si riduce quando questa patologia si associa a criptorchidismo. L’approccio terapeutico prevede l’uso di gonadotropina crionica (hCG) associato alla gonadotropina della menopausa (hMG) o l’impiego pulsatile del releasing ormone delle gonadotropine (Gn-RH) per via sottocutanea (20). Nei pazienti con ipogonadismo-ipogonadotropo parziale, la spermatogenesi può essere indotta con la sola hCG; il mantenimento della spermatogenesi, in alcuni casi, può essere raggiunto con LH-RH per via nasale. Nei soggetti adulti in trattamento con gonadotropine, la somministrazione di GH sembra migliorare la produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig (21) e la risposta spermatogenetica (22). L’IGF-1 aumenta la produzione di testosterone hCG-indotta determinando sia un aumento del numero dei recettori di membrana per l’hCG/LH e del loro accoppiamento ai recettori intracellulari, sia un aumento dell’attività di alcuni enzimi della stereidogenesi (21). Sindrome di Klinefelter La sindrome di Klinefelter è secondaria ad un’anomalia cromosomica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X soprannumerario (20). La frequenza di questa condizione è di 1:600-1000. I pazienti presentano vari gradi di sviluppo eunucoide: scarsa crescita della barba, distribuzione femminile del pelo corporeo, alterate proporzioni dello scheletro, ginecomastia e sviluppo inferiore al normale dello scroto e del pene. I testicoli sono piccoli (volume inferiore a 6 ml) e presentano istologicamente ialinizzazione dei tubuli con fibrosi e iperplasia delle cellule di Leydig (20). Può essere presente un ritardo mentale (lieve-moderato). Le indagini di laboratorio dimostrano una severa oligoastenospermia o azoospermia, elevati tassi di FSH e LH e livelli di testosterone plasmatico normali o nel range basso della normalità (20). L’estrazione testicolare di spermatozoi associata alla ICSI ha permesso ad alcuni pazienti di diventare padri (20). Difetto dei recettori per gli androgeni Una oligospermia è stata riportata in soggetti con normale fenotipo maschile e ridotti livelli dei recettori per gli androgeni. I livelli di testosterone ed LH sono usualmente elevati, in qualche caso normali (23). Orchite parotitica Patologie croniche Compare 4-7 giorni dopo l’esordio della parotite nel 15-20% dei soggetti dopo la pubertà ed è più rara durante l’infanzia. Raramente l’interessamento dei testicoli è bilaterale. Oligospermia o azoospermia sono state osservate in circa il 30% Per malattie croniche si intendono patologie permanenti che comportano una invalidità completa o parziale e richiedono, per tutta la vita, un trattamento medico e/o riabilitativo. Recenti studi 116 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Fisiopatologia della spermatogenesi Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) adolescenti che hanno raggiunto una completa maturazione puberale. Questi aspetti dovranno essere illustrati all’adolescente ed ai genitori allo scopo di garantire una corretta informazione e conoscenza delle tecniche che vengono utilizzate per la fertilizzazione assistita.. condotti negli Stati Uniti riportano una prevalenza di malattia cronica nel 6% dei soggetti in età adolescenziale. Diverse sono le patologie croniche che possono determinare alterazioni della spermatogenesi (24). Nella beta-talassemia i tests funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi indicano un ipogonadismo ipogonadotropo, quasi sempre permanente (25). Nei ragazzi con malattia drepanocitica omozigote è presente, dal punto di vista istologico, un’immaturità dei tubuli seminiferi e negli adulti si osserva l’assenza o l’arresto della spermatogenesi (26). La malattia celiaca può associarsi ad una infertilità. L’analisi del liquido seminale mostra talvolta le seguenti anomalie: lieve oligospermia, ridotta motilità ed anomalie morfologiche. Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino si associano a ipospermatogenesi. I meccanismi eziopatogenetici restano in gran parte sconosciuti, anche se la persistenza della febbre, lo scadente stato nutrizionale e l’uso prolungato di farmaci quali la salazopirina possono concorrere a determinare le alterazioni del liquido seminale (27). Un’oligospermia secondaria ad ipospermatogenesi o ad un arresto parziale della spermatogenesi è stata riportata in adolescenti con diabete insulino-dipendente, ipotiroidismo primario e sindrome surreno-genitale (28-30). Ringraziamenti Gli Autori desiderano esprimere il più vivo ringraziamento alla segretaria della Divisione Pediatrica, sig.ra Gianna Vaccari, per l’efficiente collaborazione e disponibilità, e alla Edizioni Minerva Medica per aver permesso di riportare nel testo una parte dei lavori (bibliografia 1 e 3) già pubblicati su Minerva Pediatrica. Bibliografia Conclusioni Negli ultimi venti anni le conoscenze nel campo della andrologia e fisiopatologia della riproduzione hanno subito un forte impulso. Il ruolo del pediatra, in passato, era principalmente legato alla diagnosi e terapia delle patologie del contenuto scrotale (criptorchidismo, orchiti, torsione testicolare, tumori). In tempi più recenti ha dovuto acquisire conoscenze in vari campi della andrologia (genetica, endocrinologia, fisiopatologia della riproduzione). Grazie al miglioramento delle cure prestate molti soggetti affetti da patologie croniche, a differenza di quanto avveniva in passato, raggiungono l’età adulta e di conseguenza chiedono di poter avere una vita affettiva e riproduttiva del tutto corrispondente a quella dei coetanei. In considerazione di ciò, il pediatra molto spesso si troverà a dover affrontare problematiche molto complesse, in particolare la prevenzione e la terapia delle alterazioni della spermatogenesi e della steroidogenesi testicolare. Una compromissione gonadica è stata ben documentata in diverse patologie: emoglobinopatie, malattie gastrointestinali (celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali), endocrinopatie e tumori. Nei pazienti trattati con chemio-radioterapia per patologia tumorale o sottoposti a trapianto di midollo l’entità del danno testicolare e, quindi, della spermatogenesi è in relazione all’età del paziente, allo stadio puberale ed alla terapia utilizzata (dose, durata, tipo di associazione). La crioconservazione del seme è, quindi, consigliabile in tutti gli 1. Urso L, De Sanctis V. Fisiopatologia della spermatogenesi nell’adolescente. Minerva Pediatr 1998; 50:71. 2. Lunefeld B, Insler V, Glezerman M. Diagnosis and treatment of functional infertility. 3rd Edition. Oxford: Blackwell Scient Pubbl. 1993. 3. De Sanctis V, Scialpi V, Urso L. Nozioni di spermatogenesi nell’età evolutiva. Minerva Pediatr 1998; 50: 269. 4. Mortimer H. Laboratorio pratico di andrologia. CIC Ed. Internazionali (Edizione Italiana a cura di G. Bonanni) Roma 1998. 5. Fabbrini A, Magnanti M. Valutazione clinica dei disordini testicolari. In: Foresta C, Scandellari C Eds. Infertilità maschile: approccio terapeutico razionale. Padova, Cleup; 1995:65. 6. Laron Z, Arad J, GurewitzR et al. Age at first conscious ejaculation: a milestone in male puberty. Helv Pediatr Acta 1980; 35:13. 7. Thoger-Nielsen C, Skakkebaek NE, RichardsonDW et al. Onset of the release of spermatozoa (spermarche) in boys in relation to age, testicular growth, pubic hair and growth. J Clin Endocrinol Metab 1986; 62:532. 8. Pedersen JL, Nysom K, Jogensen M et al. Spermaturia and childhood. Arch Dis Child 1993; 69:384. 9. Janczewski Z, Bablok L. Semen characteristics in puberal boys. Semen quality after first ejaculation. Arch Androl 1985; 15:199. 10. Martin-du Pan RC, Campana A. Physiopathology of spermatogenic arrest. Fertil Steril 1993; 60:937. 11. Ferlin A, Bordon P, Rossato M, Varotto A, Gottardello F, Galeazzi C et al. Alterazioni citologiche testicolari nel varicocele. In: Foresta C, Scandellari C Eds. Infertilità maschile: approccio terapeutico razionale. Padova, Cleup; 1995:177. 12. Pozza D, D’Ottavio G, Masci P. Left varicocele at puberty. Urology 1983; 22:271. 13. Hadziselimovic F, Herzog B, Jenny P. The change for fertility in adolescent boys after corrective surgery for varicocele. J Urol 1995; 154:731. 14. De Sanctis V, Ficarra V, Mazzoni G, Fiscina B, Raiola G, Castellano G. Varicocele in the adolescent. Pediatr Endocrinol Rev 2007; 5:468. 15. Dubin L, Amelar RD. Varicelectomy: 986 cases in a 12-year study. Urology 1977; 10:446. 117 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 16. Turchi P, Rossi P, Simi S, Todeschini G, Menchini Fabris. In: Mirone V, Prezioso D. Eds. Focus sul criptorchidismo. Milano, SpringerVerlag Italia. 1996:37. 24. De Sanctis V, Urso L, Sprocati M, Govoni MR, Vullo C. La spermatogenesi nell’adolescente con malattia cronica. Riv Ital Pediatr 1996; 22:687. 17. De Sanctis C, Lala R, Canavese F. Il criptorchidismo. Roma: Mediprint 1996; 15. 25. De Sanctis V, Pintor C, Gamberini MR. Multicentre study on prevalence of endocrine complications in thalassaemia major. Clin Endocrinol 1995; 42:581. 18. Sawyer SM. Reproductive health in young people with cystic fibrosis. Current Opinion Pediatr 1995; 7:376. 26. Modebe O, Ezeh UO. Effect of age on testicular function in adult males with sickle cell anaemia. Fertil Steril 1995; 63: 907 19. Silber SJ, Balmaceda TOJ, Patrizio P. Congenital absence of the vas deferens. N Engl J Med 1990; 323:1788. 27. Farthing MJC, Dawson AM. Impaired semen quality in Crohn’s disease-drugs, ill health or under-nutrition. Scand J Gastroenterol 1983; 18:57. 20. Wilkstrom AM, Dunkel L. Testicular function in Klinefelter syndrome. Hormone Res 2008; 69:317. 28. Padron RS, Dambay A, Suarez R, Mas J. Semen analyses in adolescent diabetic patients. Acta Diabetol Lat 1984; 21:115. 21. Balducci R. Effetto del trattamento con ormone della crescita (GH) sulla funzionalità testicolare in soggetti con deficit associato di gonadotropine e GH. Rivista Medico Pratico 1992; (suppl. 415): 8. 29. Jaya B, Khurana ML, Ammini AC, Karmarkar MG. Reproductive endocrine functions in men with primary hypothyroidism: effect of thyroxine replacement. Horm Res 1990; 34:215. 22. Jacobs HS, Bouchard P, Conway GS, Homburg R. Role of growth hormone in infertility. Horm Res 1991; (suppl. 61):36. 30. Zachmann M, Prader A, Illig R. Testicular maturation in congenital adrenal hyperplasia due to 21-hydroxylase deficiency. In: Cacciari E, Prader A, Eds. Pathophysiology of puberty. London-New York. Academic Press 1980: 213. 23. Migeon CJ, Brown TR, Lanes R, Palacios A, Amrhein JA, Shoen EJ. A clinical syndrome of mild androgen insensitivity. J Clin Endocrinol Metab 1984; 59:672. Corrispondenza: Dott. Vincenzo De Sanctis U.O. di Pediatria ed Adolescentologia Azienda Ospedaliera Universitaria Arcispedale S. Anna Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara Tel.: 0532/236934 e-mail: [email protected] 118 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Abstract La rivelazione ai genitori del proprio orientamento degli adolescenti omosessuali viceversa una buona accettazione e sostegno genitoriale. È importante che i Medici che si occupano di adolescenti sappiano riconoscere e sostenere le famiglie in cui una diversità del ragazzo rappresenta un fattore di rischio e vulnerabilità. C. Alfaro, G. Apreda, C. Tregrossi, M. D’Aniello, L. Imperato, M.A. Cascone, L. Tarallo U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5. Castellammare di Stabia (NA) Una crisi emicranica con aura in una tredicenne Per i giovani omosessuali è considerato benefico, dal punto di vista psicologico, rivelare il proprio orientamento sessuale e vivere alla luce del sole. I genitori, però, tendono a reagire con emozioni violente, incredulità, rifiuto, delusione e vergogna quando vengono a sapere dell'orientamento omosessuale del figlio o della figlia. La rivelazione spesso provoca una dolorosa crisi che, se non superata perché cristallizzata in una comunicazione combattiva, può generare la disgregazione del nucleo familiare, fino all'allontanamento di alcuni membri della famiglia (il ragazzo o meno spesso uno dei genitori). I disaccordi che fisiologicamente conseguono alla rivelazione dovrebbero essere gestiti dai membri della famiglia in modo razionale con il fine di maturare reciprocamente in un’ottica empatica e raggiungere dei compromessi senza permettere alle emozioni di avere la meglio. Sarebbe importante sostenere l'indipendenza di ogni persona mantenendo contemporaneamente i legami familiari come fondamentale risorsa e difesa. La persona immersa nell'emotività mostra invece difficoltà a separare il pensiero dalle emozioni. Gli sforzi per raggiungere autonomia e intimità spesso sono inefficaci. Il rischio è che colui che decide di allontanarsi, nel caso specifico il figlio o figlia omosessuale, tronchi i legami familiari considerando l'allontanamento come affermazione di autonomia. In questi casi non si raggiunge una reale indipendenza e genitori e figli rimangono psicologicamente fermi al momento dell'ultimo contatto. Non è un caso che depressione e suicidio siano tre volte più frequenti tra gli adolescenti omosessuali, che proprio dalla famiglia avrebbero bisogno di sostegno e protezione anziché rifiuto e ostracismo. I genitori hanno bisogno di essere “educati” circa lo stile di vita omosessuale per abbattere l'influenza negativa di vecchie informazioni e pregiudizi. Più un genitore è informato sul tema omosessualità, più si adatta alla rivelazione che un figlio o figlia sono omosessuali. Per esempio i genitori devono assolutamente sapere che l'omosessualità non è più classificata come una malattia mentale. Abbiamo chiesto a 10 giovani omosessuali, 8 M e 2 F, età 17-22 anni (mediana 19aa), come abbiano gestito la comunicazione del proprio orientamento sessuale ai genitori: 3 (2 M e 1F) non l’hanno mai confessato, con la conseguenza di rapporti insinceri, ambigui o distaccati; 4 (3 M, 1F) a seguito della rivelazione hanno conseguito rapporti difficili, conflittuali e aspri con, in 3 casi, allontanamento fisico del ragazzo; 3(M) hanno dichiarato C. Alfaro, C. Tregrossi, M. Borrelli, L. Tarallo U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5. Castellammare di Stabia (NA) Riportiamo il caso di una ragazza di 13aa1m che ha manifestato, in pieno benessere, crisi cefalalgica preceduta da disturbi del visus e seguita da vomito ed agitazione. Condotta al più vicino PO (sprovvisto di Pediatra), è stata posta diagnosi di crisi isterica in anoressica, sulla scorta della notevole magrezza (peso=42 kg, altezza=164 cm), del disturbo del visus oer cui non distingueva la fisionomia dei familiari, e dello stato di agitazione, ulteriormente accentuato dalla vista e dall’approccio dei sanitari. È stata praticatata terapia ev con prometazina 50mg e levosulpride 50mg a scopo di sedazione. La paziente ha poi manifestato irrequietezza, confusione, disartria, torpore ed è stata trasferita immediatamente nella nostra UOC. Nell’anamnesi familiare presenza di cefalea (madre), negativa la a. personale remota. All’E.O. all’ingresso: discrete condizioni generali, parametri vitali nella norma, apiressia, non segni di flogosi meningea, stato di torpore (solo se stimolata con insistenza accenna a svegliarsi e poi subito si riaddormenta), nella norma esame dei nervi cranici, tono, trofismo e forza muscolare, riflessi osteotendinei, sensibilità superficiale e profonda, fondo oculare. Risultano nella norma: emocromo, indici infiammatori, glicemia, elettroliti, indici di funzionalità epatica e renale, LDH, CPK, PT, PTT, fibrinogeno, Ddimeri, TAC cranio senza mdc. EEG: su ritmo di fondo instabile inserite sequenze di onde lente delta ad alto voltaggio sulle derivazioni occipitali soprattutto a sn. Trattamento con desametasone 4 mg ev ogni 12 ore per 2 gg e mannitolo 100cc ev ogni 12 ore per 1 giorno. Il giorno dopo, la ragazza appare sveglia, orientata, con amnesia retrograda, buone condizioni cliniche, non deficit neurologici a focolaio, prove vestibolari nella norma. Nella norma: screening per celiachia, tireopatia, infezione da EBV e Mycoplasma pneumoniae. L’EEG in seconda giornata mostra miglioramento del tracciato con instabilità dell’AEK e persistenza di residuo lento posteriore, e risulterà completamente negativo dopo 1 mese. La ragazza viene dimessa in terza giornata in equilibrio clinico e affidata alla Neurologia nel caso di nuove crisi emicraniche. Questo caso sottolinea come, benché negli adole- 119 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Obesità e asma: indagine conoscitiva in una popolazione pediatrica scenti siano comuni i sintomi psicosomatici, non bisogna mai tralasciare un rigoroso approccio diagnostico di fronte a presentazioni cliniche di dubbia interpretazione. E. Anastasio, M. Aloe, M.G. Magnolia, M. Baserga Cattedra di Pediatria, Università “Magna Græcia” di Catanzaro Strategie per prevenire le stragi del sabato sera in Costiera sorrentina Background. Obesità e asma sono condizioni che colpiscono milioni di persone nel mondo. Negli ultimi 20 anni si è verificato un rapido aumento della prevalenza di entrambe e molti studi epidemiologici concordano per un’associazione tra le due patologie. L’obesità può interferire sul fenotipo asmatico attraverso fattori meccanici, immunologici, genetici, endocrinologici ed ambientali (1). Scopo dello studio Valutare l’effetto dell’obesità sulla funzionalità respiratoria e sul controllo della malattia asmatica in una coorte di bambini giunti presso la nostra Unità Operativa negli anni 2006-2007. Materiali e Metodi. Sono stati reclutati 86 bambini, 59 M e 27 F, con range di età pari ad 8 anni ± 3 ed età media pari a 7 anni e 2/12. Sono stati effettuati: anamnesi immuno-allergologica familiare e personale; prick test e dosaggio IgE totali e specifiche; prove di funzionalità respiratoria; assetto nutrizionale e profilo lipidico; controllo cardiologico. È stato valutato: accrescimento staturo-ponderale; pressione arteriosa e frequenza cardiaca; eventuali complicanze dell’obesità (epatomegalia, scoliosi, valgismo del ginocchio). Una volta calcolato il body mass index (BMI), sono stati definiti due gruppi di studio: 31 M (53%) e 14 F (55%) sovrappeso/obesi (> 85° pc), 28 M (47%) e 13 F (45%) normopeso (<85° pc). Infine, per valutare il controllo dell’asma e la percezione dei sintomi nei bambini, è stato somministrato il questionario “Asthma Control Test” (ACT) , come affidabile ausilio per il monitoraggio e l’impostazione del trattamento terapeutico (2-3) . Risultati. Il 20 % di questi bambini presentava all’esordio un’asma di tipo intermittente, il 66% un’asma persistente lieve, il restante 14% un’asma persistente di grado moderato (classificazione di gravità, G.I.N.A.). All’esame clinico, l’11% (5 M) mostrava epatomegalia, il 29% (10 M e 3 F) atteggiamento scoliotico, il 16% (4 M e 3 F) valgismo del ginocchio, il 33% (9 M e 6 F) piattismo del piede. In nessuno dei pazienti esaminati sono stati riscontrati reperti patologici di frequenza cardiaca e pressione arteriosa. Assenti anomalie della conduzione cardiaca all'ECG e alterazioni di tipo strutturale all'esame ecocardiografico. Assetto nutrizionale e profilo lipidico nella norma. I prick test per i comuni allergeni sono risultati positivi nel 48% dei pazienti, mentre le IgE specifiche nel 19%. Le prove di funzionalità respiratoria hanno evidenziato una lieve riduzione dei livelli di FEV1% nei bambini sovrappeso/obesi di entrambi i sessi, con valori pari a 95,32 nel gruppo M normopeso, 80,06 nei M sovrappeso/obesi, 91,23 nelle F normopeso e 80,28 nelle F sovrappeso/obese. Per l'analisi statistica si è fatto ricorso al test T di Student per dati appaiati che ha riportato: per i M valori di t di 11.58, pari a un valore di p < 0,005 e per le F valori di t di 7,46, pari a un valore di p < 0,005. Dallo stesso test, eseguito per il confronto dei valori di FEV C. Alfaro, C. Tregrossi, M. D’Aniello, M.A. Cascone, L. Tarallo U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo - ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA) Gli incidenti stradali rappresentano il 40% delle cause di morte in adolescenti e giovani adulti, e il 30% almeno è causato da conducenti che hanno assunto alcool o droghe. In una nostra indagine svolta nelle discoteche su 124 ragazzi di 18-24 anni della Penisola sorrentina (64 Femmine e 60 Maschi, età mediana 20 aa) in un sabato sera tipico il 21% dei giovani ha dichiarato di non bere (20%M), il 41% di consumare in media 1-2 dosi di alcolici (20% M); il 25% 3-5 dosi (66% M) e il 13 % oltre 6 bicchieri (100% M). La prevenzione degli incidenti tra i giovanissimi si dovrebbe basare soprattutto sulla informazione e sensibilizzazione. La campagna nazionale“Guida con Prudenza” promossa da numerosi anni dalla Fondazione ANIA per la sicurezza stradale, è partita a Sorrento il 18 luglio, simultaneamente ad altre località turistiche in tutta Italia. All’ingresso dei locali che aderiscono all’iniziativa, i ragazzi sono invitati a “dare a Bob le chiavi dell’auto”: Bob rappresenta il “Guidatore designato”, che si impegna a non bere per accompagnare a casa i suoi amici senza rischi. All’uscita dalla discoteca, se ha mantenuto fede al suo impegno, “Bob” riceverà un premio. Il progetto dell’ANIA prevede anche l’allestimento all’esterno dei locali di corner della sicurezza stradale, dove i ragazzi possono sottoporsi volontariamente ad un semplice test alcoolemico monouso( test del palloncino, risposta in 2 minuti: se si oltrepassa il limite di 0.25 mg di alcool per litro di aria, pari a 0.5 g di alcool per litro di sangue, si sconsiglia la guida, perché il rischio di incidente aumenta di 3 volte). Nei camper dell’ANIA, i giovani possono inoltre cimentarsi con un simulatore di guida, che permette loro di verificare l’attuazione di un percorso virtuale di guida in condizioni normali e in stato di ebbrezza. Un progetto provinciale, chiamato”A casa tranquilli”, è stato varato a inizio luglio a Castellammare di Stabia: si tratta di un tir attrezzato con tre cabine che i giovani devono attraversare in sequenza, con una permanenza di tre minuti in ognuna, per la valutazione della propria percezione uditiva, visiva e olfattiva al termine della serata in discoteca, in modo da verificare direttamente se sono in condizioni di lucidità ottimali per mettersi alla guida. Questi progetti puntano sulla responsabilizzazione e autodeterminazione del giovane che, più dei metodi coercitivi e dei controlli, dovrebbero produrre benefici a lungo termine. Benché siano piuttosto scarsi in Italia i dati di valutazione di efficacia di questo tipo di programmi di prevenzione, è importante coordinare e ottimizzare gli interventi, e monitorizzare costantemente i risultati, come auspicato dalle istituzioni europee. 120 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Risultati. Maschi: Frequentazione palestra: 58 % / no sport; Rendimento scolastico: 17% distinto, 58 % buono, 25 % sufficiente; Tempo libero: 61 % naviga in internet , 25 % guarda la tv, 14 % gioca con i videogames. Femmine: Frequentazione palestra: 88 % / no sport; Rendimento scolastico: 40% ottimo, 18 % distinto, 30 % buono, 12% sufficiente; Tempo libero: 64 % guarda la tv, il 20% ascolta la radio, il 16 % legge i libri. Conclusione. Dai dati in nostro possesso è emerso che nessuno dei nostri pazienti esercita sport, la maggior parte frequenta la palestra, con una media, in entrambi i sessi, di 2-3 volte a settimana. Lo svolgimento di attività fisica in tali soggetti, si è dimostrato incidere in maniera molto positiva sul rendimento scolastico, che risulta buono in entrambi i sessi, anche se con profitto migliore nelle femmine rispetto ai maschi. Inoltre, né allergia, né celiachia, risultano incidere in maniera negativa sullo svolgimento di attività motoria non essendo malattie invalidanti da un punto di vista fisico, se si segue una terapia corretta e rigorosa. I nostri dati concordano con quelli già presenti in letteratura, che confermano quanto gli adolescenti preferiscano passare la maggior parte del proprio tempo libero in attività sedentarie, come guardare la tv o utilizzare il computer, dedicando sempre meno spazio all’attività fisica. 1% tra M e F sovrappeso/obesi, non è emerso alcun dato statisticamente significativo per attribuire la differenza tra i due gruppi al sesso. L’analisi dei dati del questionario ACT ha mostrato una correlazione significativa tra i valori del FEV1% e il punteggio dell’ACT: solo il 22% dei bambini sovrappeso/obesi (23% M e 21% F) aveva totalizzato un punteggio ACT >20, pari ad un livello di controllo ottimale della malattia, mentre tale punteggio veniva raggiunto nel 78% dei bambini normopeso (79 % M e 77% F). Conclusioni. In età pediatrica l’obesità ha un ruolo importante nell’indurre modificazioni della funzionalità respiratoria, in particolare in termini di riduzione dei volumi polmonari ed aumento delle resistenze delle vie aeree. La prevenzione e la tempestiva diagnosi rimangono i cardini dell’intervento sia per l’asma che per l’obesità. Tali patologie, insieme e/o entrambe, rappresentano due evenienze invalidanti che interferiscono sulla qualità di vita del bambino. Bibliografia 1. Perino A, Galimberti M, Cadario G, Miniero R. Obesità ed asma nella popolazione infantile. Not Allergol 2004; 23: 51-56. 2. Nathan RA, Sorkness CA, Kosinski M et al. Development of the asthma control test a survey for assessing asthma control J Allergy Clin Immunol 2004; 113: 59-65. 3. LeNoir M, Williamson A, Stanford RH, Stempel DA. Assessment of asthma control in a general population of asthmatics. Curr Med Res Opin 2006; 22:17-22. Bibliografia 1. M. Tucci. “Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani” (Rapporto Indagine 2006-2007 Società Italiana di Pediatria). 2. Amedola. “Giovani e abitudini di vita: i risultati di un indagine (progetto strategico di invecchiamento); (CNR-ISS); Dipartimento di Scienze Demografiche- Università di Roma- La Sapienza. 3. Gambelunghe c. et al.“Lo sport e la salute. Indagine conoscitiva sulle abitudini e tendenze giovanili” (Argomenti di Medicina Sociale; 01/02/2000). Adolescenti con patologia cronica: scuola, sport e tempo libero. Dati preliminari E. Anastasio, L. Giancotti, E. De Marco, M. Rubino, F. Graziano, E. Bonanno, E. Madarena, M. Baserga Cattedra di Pediatria - “Università degli Studi Magna Graecia” di Catanzaro Introduzione. Patologie croniche possono essere associate a difficoltà nello sviluppo emotivo, e indurre conseguenze rilevanti nei processi psicologici. Celiachia ed allergia, in quanto malattie croniche ad inizio infantile, possono produrre reazioni di adattamento emozionale e di personalità, in modo più accentuato rispetto a malattie che insorgono invece, in età adulta, soprattutto in coincidenza dell’inserimento scolastico, momento in cui tutti i bambini iniziano a socializzare. Obiettivi. Abbiamo valutato la performance scolastica, l’attività motoria/sport e il tempo libero di un gruppo di adolescenti con allergia e celiachia al fine di rilevare quanto queste incidano sulle abitudini della vita. Materiali e metodi. Abbiamo somministrato previo consenso informato, ad un campione di 29 pazienti 17 F (età media 14 anni; range 10 - 17 anni) e 12 M (età media 13.5 anni; range 11 – 17 anni) afferiti al nostro ambulatorio, un questionario di autovalutazione strutturato in 19 domande che indagano sul rendimento scolastico, l’attività motoria/sport e il tempo libero. Intervento sul consumo giornaliero di frutta o verdura in un gruppo di adolescenti con eccesso ponderale V. Bianchi, F. De Cesaris, A. Petracchi, G. Massai, S. Nastasio, G. Saggese Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana Introduzione. È ormai noto come il consumo di frutta e verdura sia uno degli elementi essenziali di un’alimentazione sana ed equilibrata. Obiettivi. Questo studio ha lo scopo di dimostrare la relazione esistente tra il consumo di 4-5 porzioni giornaliere di frutta o verdura e la riduzione dei valori di BMI in un gruppo di adolescenti italiani con eccesso ponderale. Metodi. Sono stati esaminati 88 adolescenti di età compresa tra 11 e 16 anni (BMI medio 27.2 kg/m2 ± 4.2 DS), di cui 39 obesi e 121 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) 2006), di età compresa tra gli 11 ed i 18 anni (età media 13 anni e 2 mesi ± 1.5 DS), seguiti presso il Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008. A ciascun paziente, dopo un inquadramento auxologico, è stato consigliato di seguire una dieta normocalorica equilibrata, adeguata all’età e suddivisa in 5 pasti giornalieri (colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena), costituita per un 15% da proteine, un 25% da lipidi e per un 60% da carboidrati, con un consumo quotidiano di almeno 5 porzioni tra frutta e verdura. È stata inoltre suggerita la pratica costante di un qualsiasi tipo di attività fisica. I pazienti sono stati nuovamente rivalutati dal punto di vista auxologico 6 mesi dopo la consegna della dieta. Risultati. il BMI medio al momento della prima visita era di 28.9 kg/mÇ ± 4.9 DS e 2.7 SDS ± 1.6 DS; dopo 6 mesi abbiamo osservato un BMI medio di 27.2 kg/m2 ± 4.1 DS e 2.1 SDS ± 1.3 DS, con una riduzione statisticamente significativa di tale valore, espresso sia in kg/m2 (p<0.02) che in SDS (p<0.02), nel 97% dei pazienti esaminati. Conclusioni. dal nostro studio è emerso come un’ alimentazione normocalorica equilibrata adeguata all’età, associata ad attività fisica, sia in grado di determinare una riduzione di BMI negli adolescenti sovrappeso ed obesi. Pertanto, anche in tali soggetti è importante evitare regimi dietetici di tipo restrittivo, difficili da seguire e soprattutto dannosi per lo stato di salute di un individuo in crescita. 49 sovrappeso, seguiti presso il Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008. Ad ogni paziente, dopo un’accurata valutazione auxologica, è stato chiesto di compilare un diario alimentare, specificando il consumo di frutta e verdura nella giornata. I soggetti sono stati classificati come obesi o sovrappeso in base ai valori di cut-off di BMI secondo Cacciari (2006). Sono stati effettuati incontri mensili con tutti i pazienti e le loro famiglie mirati a sottolineare il valore nutrizionale della frutta e della verdura e l’importanza di un’alimentazione sana ed equilibrata. A tutti gli adolescenti è stato consigliato un consumo giornaliero di almeno 5 porzioni di frutta o verdura. Risultati. durante il primo incontro abbiamo riscontrato uno scarso o assente consumo di frutta e verdura nell’87% degli adolescenti esaminati. Dopo 1 anno il 76% degli adolescenti consumavano abitualmente tra 4 e 5 porzioni di frutta o verdura al giorno. In tutti i pazienti abbiamo riscontrato una riduzione del peso corporeo, e quindi del BMI, significativa: valore di BMI medio di 23.4 kg/m2 ± 2.5 DS. Inoltre il BMI di coloro che avevano seguito abitualmente i consigli nutrizionali era significativamente inferiore (p<0.05) rispetto a quello di coloro che avevano modificato solo parzialmente le proprie abitudini alimentari. Conclusioni. Molti adolescenti italiani, soprattutto quelli con eccesso ponderale, consumano quotidianamente ridotte quantità di frutta e verdura. Questi alimenti hanno un elevato valore nutrizionale e sono fondamentali per un’alimentazione sana ed equilibrata. Il consumo abituale di 4-5 porzioni di frutta o verdura al giorno è correlato positivamente (p<0.05) con la riduzione del valore del BMI negli adolescenti sovrappeso ed obesi. Diabete ibrido: un caso in una giovane adolescente A. Blasetti, C. Di Giulio, A.M. Tocco, M.F. Matronola, F. Chiarelli Efficacia di un’ alimentazione normocalorica equilibrata, associata ad attività fisica, sulla riduzione del BMI in un gruppo di adolescenti PO SS Annunziata - Università di Chieti Il “doppio diabete” o diabete ibrido è una forma di diabete di recente acquisizione che insorge in età pediatrica, con segni di autoimmunità, tipici del diabete di tipo 1 (T1D) e che si caratterizza per la presenza di sovrappeso/obesità e insulino resistenza, tipici del diabete di tipo 2 (T2D). Descriviamo il caso di una giovane adolescente che aveva presentato all’esordito sintomi tipici di T1D e successivamente sviluppava caratteristiche del T2D. Clarissa, una ragazza italiana di 13 anni e 11 mesi giunge alla nostra osservazione per riscontro di iperglicemia, chetonuria e di sintomatologia caratterizzata da poliuria, polidipsia e perdita di peso nei due mesi precedenti il ricovero. All’anamnesi remota nessun elemento degno di nota, ad eccezione del riscontro di un episodio di iperglicemia occasionale circa quattro mesi prima (Glicemia capillare pari a 118 mg/dl a digiuno). Familiarità per T2D. All’ingresso presso la nostra Clinica: statura: 170 cm (97° C); peso: 70 kg (97° C ); BMI: 28; glicemia capillare: 269 mg/dl; HbA1c: 9.2%, Chetonuria: ++++; pH 7.38. Gli esami ematici eseguiti durante la degenza avevano documentato: C Peptide V. Bianchi, F. De Cesaris, S. Nastasio, A. Petracchi, G. Massai, G. Saggese Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana Introduzione. l’adolescenza è una fase molto delicata dello sviluppo dell’individuo; per garantire una normale crescita durante questo periodo, è necessario fornire all’organismo quantità adeguate dei principali nutrienti. Pertanto risulta fondamentale che anche gli adolescenti in eccesso ponderale seguano un’ alimentazione equilibrata normocalorica. Scopo. nel nostro studio abbiamo voluto dimostrare l’efficacia di una dieta normocalorica equilibrata, associata alla pratica costante di attività fisica, sulla riduzione dei valori di BMI in un gruppo di adolescenti sovrappeso ed obesi. pazienti e metodi: abbiamo esaminato 108 adolescenti, 54 sovrappeso e 54 obesi (valori di cut-off di BMI secondo Cacciari, 122 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) ridotto (pari a 0.80 ng/ml); positivi gli anti glutammato-deidrogenasi, (ANTI GAD:4.20U/ml); negativi gli anticorpi anti-insula (ICA); funzionalità tiroidea (TSH; FT3, FT4) nella norma; negativi gli anticorpi anti-perossidasi tiroidea ed anti-tireoglobulina; negativa la sieorologia per malattia celiaca (anti-transglutaminasi ed anti-endomisio). La tipizzazione per alleli HLA di classe seconda evidenziava la presenza di alleli considerati neutri per quanto riguarda il rischio di T1DM: DQA1*0102-DQB1*0601/ DQA1*0103-DQB1*0604. DR 13;15. La ragazza è stata dimessa con diagnosi di diabete di tipo 1 all’esordio, e terapia insulinica sottocute ottimizzata, secondo lo schema basal/bolus: Analogo lento (Glargine) + Analogo rapido (Lispro), ai pasti ( fabbisogno insulinico alla dimissione:1U/kg/die). Nei mesi successivi alla diagnosi il fabbisogno insulinico della paziente si è progressivamente ridotto (circa 0.29-0.13 U/kg/die), parallelamente alla riduzione degli anticorpi anti glutammato-deidrogenasi, (ANTI GAD:1.40-1.10 U/ml), ed all’aumento del C Peptide: (1.86-1.30 ng/ml). La HbA1c è risultata, in occasione delle visite di follow-up di 5.8- 5.3- 5.3%. Attualmente Clarissa non effettua terapia insulinica, ma soltanto terapia dietetica, con un alimentazione che privilegia l’assunzione di carboidrati a basso indice glicemico, ed ha incrementato inoltre le ore settimanali di attività fisica. Il caso da noi riportato evidenzia che, a fronte di una omogeneità di presentazione clinica all’esordio (iperglicemia, chetosi), esiste una eterogeneità patogenetica e immunologia che rende attualmente la diagnosi di Diabete più complessa. È, a nostro parere, degno di nota il riscontro del parallelismo fra la diminuzione del titolo degli anticorpi Anti GAD, ed il miglioramento del controllo metabolico e della secrezione insulinica. È infatti noto che la iperglicemia può indurre l’espressione dell’autoantigene glutammato deidrogenasi sulla superficie β-cellulare, stimolando in tal modo la risposta autoimmune. Il caso da noi segnalato vuole sottolineare come la diagnosi di una condizione di iperglicemia esordita o meno con chetoacidosi in un bambino o adolescente, possa diventare problematica per la possibile coesistenza delle due forme di diabete. ci e aumento dell’attività fisica sono alla base delle strategie di prevenzione delle patologie cardiovascolari. Scopo del lavoro. Valutare il profilo lipidico in una popolazione di adolescenti affetti da DMT1, prima e dopo training dietetico-nutrizionale basato sui principi della dieta Mediterranea. Materiali e metodi. Sono stati reclutati gli adolescenti afferenti all’ambulatorio di Diabetologia della Clinica Pediatrica di Novara dal 1 ottobre 2006 al 31 maggio 2007. Sono stati esclusi i pazienti con storia di chetoacidosi nell’ultimo anno, con ipercolesterolemia o iperlipidemia combinata e con tireotossicosi. I pazienti sono stati sottoposti a visita auxologica e a valutazione del profilo lipidico a tempo 0 e a 6 mesi dall’intervento dietetico. L’alimentazione è stata valutata utilizzando il programma WinFood 1.5 (Medimatica; Martinsicuro-TE, Italia). L’analisi statistica è stata effettuata mediante SPSS per Windows versione 11.0 (SPSS; Chicago, IL). Sono stati utilizzati il test Wilcoxon, il test Mann-Whitney U e l’ANOVA; la significatività statistica è stata posta per p<0.05. Risultati. Abbiamo reclutato 52 pazienti (28 maschi, 24 femmine, età media 15.6 ± 2,7). I maschi consumavano mediamente un maggior quantitativo di proteine rispetto alla popolazione diabetica femminile (p<0.05). Il colesterolo totale a T0 correlava negativamente con la quantità di carboidrati e di proteine assunte (p<0.01, R2 = 0.26), mentre il colesterolo HDL correlava negativamente con i carboidrati, le proteine, i lipidi della dieta abituale e più in generale con l’introito calorico giornaliero (p<0.04, R2 = 0.172). Il colesterolo LDL correlava positivamente con le calorie giornaliere assunte, con i lipidi, le proteine e i carboidrati (p<0,03, R2 = 0.162). I trigliceridi correlavano positivamente con calorie e carboidrati nella dieta (p<0.05, R2 = 0.143). L’emoglobina glicata non correlava con il quadro lipidico. Dopo l’intervento dietetico si è osservata una riduzione dell’introduzione dei grassi animali ed un aumento dell’introduzione delle fibre e delle proteine (p<0.05), con una riduzione significativa di colesterolo totale ed LDL (rispettivamente p<0.006 e p<0.0001). Non si sono invece osservate variazioni significative nei livelli di trigliceridi e colesterolo HDL. Confrontando maschi e femmine, nei maschi si è osservata una maggiore riduzione del colesterolo totale (p<0.01) e del colesterolo LDL (p<0.01), in assenza di variazioni significative in termini di BMI e BMI-SDS tra i due gruppi. Conclusioni. Successivamente al training dietetico si è osservato un aumento dell’assunzione delle fibre e una riduzione dei grassi saturi e dei carboidrati semplici e complessi introdotti con l’alimentazione associati ad un miglioramento del quadro lipidico in particolare ad una riduzione dei livelli di colesterolo potenzialmente più aterogeni. La mancata modificazione dei livelli di trigliceridi può essere conseguente al fisiologico stretto legame esistente tra massa grassa e secrezione di ormoni sessuali tipica della pubertà. L’intervento nutrizionale ha determinato a 6 mesi un’ulteriore miglioramento della dieta giornaliera determinando una riduzione dell’introito di carboidrati sia semplici sia complessi ed aumentando l’introito di fibra e di proteine vegetali. Efficacia di un training dietetico sul profilo lipidico in una popolazione diabetica in età pediatrica I.M. Bonsignori, E.C. Grassino, F. De Rienzo, F. Prodam, F. Cadario, S. Bellone, A. Petri, G. Bona Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte Orientale, Novara Introduzione. Tra i molti fattori di rischio che concorrono alla patogenesi dell’aterosclerosi la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa e il diabete mellito rivestono un ruolo importante. Tali fattori possono esser già presenti nell’infanzia e devono pertanto esser monitorati e quanto più possibile corretti. Interventi dieteti- 123 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Maternità e paternità in adolescenza: nostra esperienza di un anno Rigidità di parete vascolare e spessore medio-intimale carotideo in soggetti in età pediatrica affetti da ipercolesterolemia familiare e da ipercolesterolemia primaria A. Cervo1, C. Alfaro, G. Apreda, D. Coppola, D. Scafato, L. Carpinelli, L. Tarallo U.O.C. di Pediatria. P.O. S. Leonardo- ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA) *Pediatra di famiglia ASL SA 1 N. Camarda1, M. Valenzise1, S. Riggio2, R. Iudicello2, G. Zerbi-Cama2, E. Imbalzano2, A. Saitta2, F. De Luca1, T. Arrigo1 La crisi adolescenziale parte dal cambiamento corporeo che genera disagio, ambivalenza, conflitto. Il corpo diventa il luogo per eccellenza in cui si vivono i conflitti e rappresenta il mezzo di comunicazione e relazione più immediato. L’adolescente vive il rapporto erotico come confronto, cercando di misurare le proprie competenze, ma anche la sua incerta identità e i suoi dubbi. Oltre alla gestione delle proprie pulsioni sessuali gli adolescenti devono imparare ad improntare una relazione affettiva e paritaria con l’altro. Spesso la sessualità non è vissuta in armonia con l’affettività e la relazione può essere insoddisfacente. L’atteggiamento poi degli adolescenti rispetto alla prevenzione gravidanza non è sempre lineare: rispetto al passato esiste maggiore informazione, ma non sempre le conoscenze teoriche sono applicate, soprattutto quando l’esperienza è carica di emotività, inibizioni ed aspettative. Il 30% delle adolescenti italiane non adopera alcuna precauzione; il ricorso al contraccettivo d'emergenza, è cresciuto del 60% in 7 anni, in particolare tra le adolescenti (1). Gravidanza indesiderata è un’espressione spesso inadeguata all’immaginario dell’adolescente gravida, in quanto queste gravidanze sono in realtà desiderate inconsciamente, ma non volute. Diversamente, molti ragazzi dinanzi alla gravidanza della partner si assumono le responsabilità in termini legali ma non psicologici e rinunciano al legame con il figlio che poi, in molti casi, tenteranno di recuperare in età più matura. Nell’ultimo anno abbiamo seguito n.24 madri adolescenti (età 13-17 anni, mediana 16 anni). L’età dei padri era 15-32 anni, mediana 19 anni. Nel 71% dei casi non era stato utilizzato alcun metodo contraccettivo, nel restante il coito interrotto. Il 64% delle coppie è rimasta insieme, nel restante numero di casi il padre si è defilato. Nell’86% la famiglia di origine ha fornito un sostanziale supporto alla ragazza e al nascituro. Una buona relazione madre-bambino è stata trovata nel 70% dei casi. Nell’analisi dei casi va considerata la funzione relazionale della gravidanza rispetto alla famiglia di origine. Le gravidanze in adolescenza potrebbero rappresentare un tentativo di svincolo dalle proprie famiglie. ma si tratta in realtà di una trappola perché questa condizione li rende ancora più dipendenti dalle figure genitoriali dal punto di vista emotivo, relazionale ed anche economico Capire il significato relazionale della gravidanza e della nascita di un figlio in giovane età è importante in quanto nascere genitore e mettere al mondo un bimbo sono due eventi con temporalità diverse: prendersi cura della nascita significa prendersi innanzitutto cura dei genitori, accogliendoli e sostenendoli nel nuovo ruolo. Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche , Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica2. Università di Messina 1 Background. Lo stiffness arterioso è considerato un predittore indipendente di mortalità per eventi cardio e cerebro vascolari in soggetti affetti da ipertensione arteriosa. Esistono risultati contrastanti circa il ruolo dell’ipercolesterolemia sui parametri di rigidità vascolare, sia in lavori eseguiti nella popolazione adulta che in quella pediatrica. Tuttavia l’ipercolesterolemia è uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari e lo stiffness arterioso è noto essere marker di aterosclerosi ancora più precoce dell’IMT. Scopo dello studio. a) valutare la rigidità di parete (arterial stiffness) e lo spessore medio-intimale carotideo (IMT) in una popolazione pediatrica affetta da ipercolesterolemia familiare (FH) e ipercolesterolemia primaria (HC) , b) valutare se l’ipercolesterolemia è associata ad un aumento dell’arterial stiffness sistemico (AI%) in età pediatrica. Soggetti e metodi. Sono stati reclutati 35 soggetti (13M/22F) ipercolesterolemici in età pediatrica (anni 9,9 ± 3,4) di nuova diagnosi; 16 affetti da ipercolesterolemia familiare eterozigote (FH) e 19 da ipercolesterolemia primaria (HC), e 15 soggetti (6M/9F) controllo paragonabili per sesso, età e valori pressori. In tutti i soggetti sono stati valutati Peso, Altezza, BMI, Pressione arteriosa sistolica (PAS), diastolica (PAD), Pulse Pressure (PP), Assetto lipidico: CT,TG, HDL, LDL e Glicemia. È stato misurato lo spessore medio intimale carotideo (IMT) delle carotidi comuni bilateralmente mediante Ecocolordoppler TSA; e con Echo-Tracking software (Aloka, Japan) sono stati ottenuti i cinque parametri di rigidità vascolare considerati: β-stiffness, Young Elastic modulus (Ep), Arterial Compliance (AC), Pulse Wave Velocity (PWV) e Augmentation index (AIx). Risultati. nei gruppi FH e HC ß-stiffness, Ep, PWV e AIx risultavano incrementati e AC ridotta rispetto al gruppo controllo. I soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare presentavano valori di ß-stiffness, Ep, PWV e AIx aumentati e valori di AC ridotti rispetto al gruppo di HC. Nessuna differenza è stata trovata per i valori dell’IMT tra i gruppi di FH e HC rispetto al gruppo controllo. CT, HDL e LDL non risultavano correlati con alcuno degli indici di stiffness considerati; e non rientravano, come determinanti di rigidità vascolare, nell’analisi di regressione multipla. Conclusioni. In bambini con ipercolesterolemia è presente un danno meccanico vascolare precoce (ß-stiffness, Ep, aortic PWV, Augmentation index) ancor prima della comparsa di modificazioni strutturali valutabili mediante misura dell’IMT. Tale danno, probabilmente legato alla disfunzione endoteliale indotta dall’ipercolesterolemia, risulta più marcato in relazione alla durata di malattia e ai valori della colesterolemia. Bibliografia 1. X Congresso Società Europea della Contraccezione, Praga, 2 maggio 2008. 124 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Trattamento con analoghi del gnrh per pubertà precoce centrale (PPC) e composizione corporea in adolescenza nazione e la differenziazione sessuale. Poiché condizioni differenti possono manifestarsi clinicamente con fenotipi simili, ogni soggetto affetto da DSD necessita di accurate indagini cliniche, strumentali, endocrinologiche e genetiche al fine di individuare l’esatta forma clinica. Una precisa diagnosi ha ripercus-sioni sull’assegnazione del sesso, le indicazioni alla gonadectomia e lo stato di salute in età adulta. Obiettivo dello studio. Rivalutare la correttezza della diagnosi di sin-drome da insensibilità agli androgeni. Pazienti e Metodi. Sono state esaminate 29 pazienti con fenotipo femminile, gonadi e cariotipo maschile (46, XY); sulla base solamente di tali dati era precedentemente stata posta diagnosi di “Sindrome di Morris”. Per ogni paziente, sono stati valutati: anamnesi personale e familiare, analisi molecolare per i geni recettore androgeni (AR), 5α-reduttasi, 17β-idrossisteroidodeidrogenasi, recettore LH. Sono stati inoltre esaminate precedenti cartelle cliniche alla ricerca di descrizione fenotipica alla nascita, dati ormonali pre-gonadectomia (quando effettuate), referti ecografici e anatomo-istologici. Risultati. Delle 29 pazienti diagnosticate come affette da “Sindrome di Morris”, 21 (75%) avevano in effetti una mutazione nel gene (AR) compatibile con una insensibilità completa agli androgeni (AIS). Le restanti pazienti (25%) non avevano mutazioni del gene AR, ma le ulteriori indagini di biologia molecolare hanno permesso di identificare un deficit di 5α-reduttasi in 3 pazienti (10.3%), un deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi in 2 pazienti (6.9%), ipoplasia delle cellule di Leydig in 1 paziente (3.4%). In 2 pazienti non è stato ancora possibile effettuare una diagnosi di certezza. Conclusioni. Una consistente percentuale di pazienti con diagnosi presun-tiva di “Sindrome di Morris” risulta affetta da altre patologie. Una esatta diagnosi molecolare dovrebbe guidare l’assegnazione del sesso e l’eventuale interevento di gonadectomia, anche ai fini di promuovere un migliore stato di salute psicosociale in età adulta. E. Chiocca1, E. Dati1, S. Ghione1, A. Petracchi1, P. Erba2, G. Mariani2, G.I. Baroncelli1, S. Bertelloni1 1 2 Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile; Medicina Nucleare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa Premessa. Il trattamento della PPC si basa sulla soppressione dell’asse gonadi-ipofisi indotta con gli analoghi del GnRH. Scopo dello studio è stato quello di valutare l’effetto del trattamento a lungo termine con tali farmaci sul BMI e sulla composizione corporea. Pazienti e metodi. Sono state esaminate 17 adolescenti (14.4±1.2 anni, media ± SD) precedentemente trattate con triptorelina depot per PPC (3.75 mg/28 gg) da 8.1±0.8 anni fino a 11.5±0.8 anni. Sono stati valutati: peso, altezza e BMI (kg/m2). Lo studio della composizione corporea è stato eseguito mediante metodica DEXA total body (DEXA, Lunar Prodigy). Risultati. Tutte le pazienti hanno raggiunto la statura finale (156.9±6.0 cm), che è risultata all’interno del loro bersaglio genetico e non differente rispetto a quella della popolazione di riferimento (p = NS vs 0). Il BMI non si è modificato significativamente dall’inizio della terapia con anologhi del GnRH (0.4±1.1 SDS) all’età adulta (0.1±0.9 SDS), ed è risultato non significativamente diverso da quello della popolazione di riferimento. All’altezza finale, la massa grassa (FM) è risultata significativamente aumentata (1.3±0.8 SDS, p < 0.001) e la massa magra (FFM) significativamente diminuita (-1.6±0.9 SDS, p < 0.001). Conclusioni. La terapia con analoghi del GnRH determina il raggiungimento della statura adulta finale all’interno del target genetico e all’ambito dei valori di normalità della popolazione generale. Non sono stati rilevati effetti a lungo termine del trattamento sul BMI, mentre è stato riscontrato un aumento dei valori di massa grassa e una diminuzione di quelli massa magra. Tale rilievo suggerisce la necessità di un attento follow-up ,fino all’età adulta, della composizione corporea e il monitoraggio del rischio cardio-vascolare. Sindrome dell’ovaio policistico: fenotipi clinici in adolescenza E. Dati1, S. Ghione1, A. Petracchi1, E. Chiocca1, F. Fruzzetti2, D. Parrini2, S. Bertelloni1 Rivalutazione della diagnosi di insensibilità agli androgeni: aspetti genetico-molecolari Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2Ginecologia Endocrina, UO Ginecologia e Ostetricia 1, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa 1 E. Dati1, S. Ghione1, E. Chiocca1, F. Baldinotti2, A. Fogli2, M.E. Conidi2, A. Michelucci2, P. Simi2, O. Hiort3, A. Richter Unruh4, S. Bertelloni1 Premessa. La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) rappresenta un’entità clinica eterogenea; pertanto nella pratica clinica, risulta di difficile diagnosi, soprattutto nelle adolescenti. Infatti, i criteri diagnostici a disposizione, stabiliti in tre consensus internazionali (NIH, 1990; E-SHRE/ASRM, 2003, AES, 2006), riguardano solo le donne adulte. Questo studio si pone l’obiettivo di valutare criticamente la diagnosi di PCOs, con i vari criteri in un gruppo di adolescenti. 1 Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2UO Citogenetica e Biologia Molecolare, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa; 3 Pädiatrische Endokrinologie und Diabetologie, Universitätsklinikum SchleswigHolstein, Lübeck; 4Pädiatrische Endokrino-login und –Diabetologin, Bochum Premessa. Il termine “disordini della differenziazione sessuale” (DSD) indica diverse condizioni cliniche, riguardanti la determi- 125 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Pazienti e metodi. Sono state valutate 27 ragazze con irregolarità mestruale e/o iperandrogenismo clinico (età 15.4+2.2 anni, età al menarca 11.7+1.4 anni). I parametri esaminati sono stati il calendario mestruale, il BMI (kg/m2), le dimensioni e le caratteristiche ovariche all’ecografia pelvica (trans-addominale nella maggior parte dei casi per motivi etici e pratici), la tolleranza glucidica, l’insulino resistenza (con un test da carico orale di glucosio, OGTT), la funzione gonadica e surrenalica. Risultati. Tutte le adolescenti hanno presentato iperandrogenismo clinico e/o di laboratorio. Sovrappeso ed obesità sono stati rilevati rispettivamen-te in 4 (15%) e 8 (30%) pazienti. All’ecografia pelvica 5 ragazze (18.5%) hanno presentato il tipico aspetto morfologico-policistico delle ovaie. Per quanto riguarda l’insulino-resistenza, l’alterazione dei parametri HOMA-IR e WBISI è risultata presente rispettivamente nel 100% e nel 61% delle ragazze indipendentemente dal loro BMI. Un’alterata tolleranza glucidica è stata rilevata nel 17% dei casi. La diagnosi di PCOs, in accordo con i criteri internazionali, è stata possibile in 23/27 (85%) adolescenti, ma l’applicazione delle differenti definizioni individua un numero differente di fenotipi clinici. Conclusioni. Le adolescenti presentano alcune specificità etàcorrelate (cicli anovulatori fisiologici e/o irregolarità mestruali nei primi anni gineco-logici), che complicano la diagnosi di PCOs. In questo studio, le principali caratteristiche fenotipiche delle adolescenti esaminate sono risultate l’iperandrogenismo - clinico e/o di laboratorio - e l’insulino-resistenza, che è risultata indipendente dai valori di BMI (normale o aumentato). primi mesi di vita. In particolare abbiamo chiesto di indicare se il ragazzo fosse stato allattato al seno, specificandone la durata in mesi, o con latte formulato. Utilizzando i valori di cut-off di BMI secondo Cacciari 2006, abbiamo suddiviso i pazienti in normopeso (n. 28), sovrappeso (n. 54) ed obesi (n.56). Risultati. Dalla valutazione dei questionari è emerso che tutti i pazienti normopeso erano stati allattati al seno per almeno 1 mese; tra i sovrappeso tale percentuale scendeva al 70% e tra gli obesi addirittura al 50%, con una differenza statisticamente significativa (p<0,0001) tra il gruppo dei ragazzi con eccesso ponderale (sovrappeso ed obesi) e quello dei normopeso. Inoltre abbiamo osservato la presenza di una correlazione negativa tra la durata dell’allattamento materno, espressa in mesi, e i valori del BMI, espressi sia in kg/m2 (r = -0.44 e p<0.001) che in SDS (r = -0.43 e p < 0.001). Conclusioni. L’allattamento al seno è senza dubbio un fattore positivo per lo sviluppo dell’interazione tra madre e figlio. Il nostro studio ha evidenziato l’esistenza di una correlazione negativa non solo tra il grado di eccesso ponderale e la presenza di allattamento materno, ma anche tra la durata di quest’ultimo e il valore del BMI in un gruppo di adolescenti italiani. L’allattamento al seno e, in particolar modo la sua durata, sembrerebbero dunque svolgere un effetto protettivo nei confronti dello sviluppo di eccesso ponderale in età evolutiva, in accordo con la maggioranza dei dati presenti in letteratura su tale argomento. Effetti dell’allattamento al seno sullo sviluppo di eccesso ponderale in età adolescenziale Valutazione dell’attività sedentaria in un gruppo di adolescenti con eccesso ponderale F. De Cesaris, V. Bianchi, S. Nastasio, G. Massai, A. Petracchi, G. Saggese F. De Cesaris, V. Bianchi, G. Massai, S. Nastasio, A. Petracchi, G. Saggese Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera - Universitaria Pisana. Introduzione. Il ruolo dell’allattamento al seno nei confronti dello sviluppo di eccesso ponderale in età evolutiva è un tema molto dibattuto negli ultimi anni. Molti studiosi sono però concordi nel sottolineare il ruolo protettivo dell’allattamento materno sullo sviluppo di obesità in età giovanile. Scopo. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare la correlazione esistente tra la presenza di allattamento al seno e la sua durata ed il grado di eccesso ponderale in un gruppo di adolescenti italiani normopeso, obesi e sovrappeso. pazienti e metodi: abbiamo esaminato 138 adolescenti italiani, con un’età media di 13 anni e 6 mesi (± 1.7 DS), giunti presso il Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008. Dopo aver sottoposto ciascun paziente ad un inquadramento auxologico, abbiamo chiesto ai genitori di compilare un questionario volto a valutare il tipo di alimentazione fornita al ragazzo nei Introduzione. Negli ultimi anni, sull’onda del grande sviluppo e diffusione dei media, dell’informatica e dell’elettronica, abbiamo assistito ad un progressivo aumento dell’utilizzo di televisione, computer e videogiochi da parte dei nostri adolescenti. Contemporaneamente all’incremento dell’attività sedentaria dei giovani si è verificata anche un’epidemia di sovrappeso ed obesità in età evolutiva. Scopo. L’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare la correlazione esistente tra il numero giornaliero di ore di attività sedentaria ed il grado di eccesso ponderale in un gruppo di adolescenti italiani. Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 138 adolescenti (BMI medio 28.9 kg/m2 ± 4.9 DS) di cui 56 obesi, 54 sovrappeso e 28 normopeso, (valori di cut-off di BMI secondo Cacciari, 2006), di età compresa tra gli 11 ed i 18 anni (età media 13 anni e 6 mesi ± 1.7 DS), seguiti presso il 126 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Centro per l’obesità infantile della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 2005 ed il 2008. Ciascun paziente è stato sottoposto ad una accurata valutazione auxologica e ad un colloquio volto ad evidenziare il numero di ore giornaliere trascorse di fronte a TV, computer e videogiochi. Risultati. Dal nostro studio è emerso come la metà dei pazienti con eccesso ponderale, da noi esaminati, dedicava quotidianamente circa 2 ore ad attività di tipo sedentario, ben il 33% circa 4 ore, il 2% addirittura più di 6 ore e solo il 15% meno di un’ora. Tra i soggetti normopeso, invece, il 65% trascorreva meno di un’ora della giornata guardando la TV o giocando al computer o con i videogiochi, il 30% circa 2 ore, solo il 5% circa 4 ore e nessuno più di 6 ore. Abbiamo poi osservato una correlazione positiva e fortemente significativa tra il numero giornaliero di ore trascorse in attività di tipo sedentario e il valore di BMI, espresso sia in kg/m2 (r =0.31 e p<0.0001) che in SDS (r =0.31 e p = 0.001). Conclusioni. I nostri adolescenti trascorrono gran parte della giornata guardando la TV, navigando su Internet o giocando con i videogiochi. Questo determina un costante aumento delle attività di tipo sedentario ed una conseguente riduzione del tempo trascorso all’aria aperta o dedicato allo svolgimento di attività fisica. Secondo il nostro studio sembra che tale fenomeno sia strettamente associato all’allarmante incremento del grado di eccesso ponderale in età evolutiva verificatosi negli ultimi anni, in accordo con la maggioranza degli studi presenti in letteratura. facilitare un’adeguata modalità di relazione all’interno della propria famiglia. Tali progetti si basano sull’utilizzo di percorsi esperenziali che permettono un’acquisizione dei contenuti non legata alle diverse realtà culturali ed ai diversi livelli di scolarizzazione. Un esempio di tali percorsi è rappresentato dai “giochi psicologici” che hanno lo scopo di: far sperimentare ai partecipanti una particolare forma di apprendimento; attuare percorsi che consentono di prendere consapevolezza di dimensioni psichiche e relazionali; facilitare l’acquisizione di nuovi modi di pensare, sentire, relazionarsi. Attraverso tali percorsi, la famiglia diventa un’entità funzionale; attenta ai rapporti relazionali tra i diversi componenti, creatrice di identità di appartenenza e di trasformazione, capace di generare salute. La famiglia nello studio del pediatra (I Bilanci di salute alla Famiglia) G. De Luca, R. Pellicani, G. Schiavone, A. D’adamo, A. De Pasquale Gruppo di studio Promozione alla Salute SIMA Un numero sempre più crescente di bambini-adolescenti soffrono di disturbi psicosomatici, comportamentali e/o emozionali che spesso non trovano una causa definita. Su tali disturbi, il pediatra, non riesce a fornire alcun consiglio ai genitori ed assume, in genere, una condotta attendista, riservandosi di inviare allo specialista neuropsichiatra infantile solo le problematiche che gli sembrano più gravi. Dovrebbe, invece, imparare ad effettuare una valutazione “globale” della famiglia (Bilancio di salute alla Famiglia (BSF)), per evidenziare eventuali disturbi relazionali tra i singoli componenti, allo scopo di stabilire quanto questi fattori incidano sul determinismo della sintomatologia espressa dal bambino. Sappiamo, infatti, che l’azione della famiglia come sistema è essenziale per assicurare uno sviluppo armonico della persona, sia in senso psicofisico che comportamentale e sappiamo pure che i componenti del nucleo familiare si influenzano reciprocamente e risentono dei rapporti con la famiglia d’origine e con l’ambiente in cui l’unità funzionale vive. Il pediatra può individuare i fattori di rischio che influenzano negativamente lo sviluppo psicofisico del bambino attraverso l’esame delle relazioni familiari ( Bilancio di salute alla Famiglia) che possono presentare caratteristiche interattive patologiche presenti singolarmente o in maniera combinata tra loro. Tali caratteristiche interattive sono: 1) L’invischiamento: i membri della famiglia sono ipercoinvolti nelle attività, gli uni degli altri, con scarsa autonomia, per cui c’è una confusione dei ruoli. 2) Iperprotettività: tale atteggiamento non aiuta il bambino a sviluppare relazioni axtrafamiliari e l’interesse per il bambino è tale da coprire i conflitti in seno alla fami- Percorsi di valorizzazione delle risorse della famiglia in ambito pedagogico ed educativo-sanitario G. De Luca, G. Schiavone, R. Pellicani, A. D’Adamo, C. Cafaro, C. Tangorra Gruppo di studio Promozione Alla Salute della SIMA La famiglia gioca un ruolo decisivo nell’assicurare uno sviluppo armonico del bambino che acquisisce le prime competenze cognitive, emotive e motorie proprio nell’ambito familiare. Il pediatra di famiglia con competenze sistemico relazionali può elaborare dei progetti rivolti alla famiglia che servono ad individuare risorse che la famiglia non si accorge di avere. Tali progetti sono di più facile realizzazione se il pediatra lavora in gruppo o in associazione e se instaura dei rapporti di collaborazione con psicologi e psicoterapeuti. I progetti elaborati hanno i seguenti obiettivi: fornire ai genitori una visione sul funzionamento della famiglia in generale e della loro in particolare; stimolare una comunicazione efficace tra genitori e figli, partendo da un’analisi del “vissuto” personale dei genitori; favorire e sostenere nei genitori una lettura attenta dei comportamenti propri in relazione ai figli; 127 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) glia stessa, anche se i membri della famiglia mostrano un alto livello d’interesse reciproco. 3) Rigidità: la famiglia nell’insieme sembra non avere alcun altro problema che la malattia del bambino; nega, pertanto, le altre realtà interattive e difende i propri modelli relazionali. 4) Intolleranza ai conflitti: qualunque relazione che porta ad una diversa opinione genera conflitti; per cui viene evitato qualsiasi confronto con il bambino sintomatico che diventa attore principale per evitare i conflitti. 5) Coinvolgimento del bambino nel conflitto genitoriale: i genitori sono completamente assorbiti dai sintomi del bambino in maniera tale da reprimere i conflitti che rimangono nascosti. Attraverso l’esecuzione dei Bilanci di Salute alla Famiglia (BSF), il pediatra sarà in grado di valutare, in maniera più appropriata, il grado di coinvolgimento della famiglia nelle problematiche presenti nel bambino-adolescente e potrà selezionare con maggiore appropriatezza le famiglie che necessitano di un eventuale trattamento psicoterapeutico. prevedono: il gruppo dei pari, isomorfo con il sistema intrapsichico motorio-istintuale, la famiglia, in rapporto isomorfico con il sistema emotivo, il gruppo degli adulti, isomorfo con il sistema cognitivo. Tali sistemi devono essere in equilibrio ed in armonia tra loro, collegati in maniera sincrona, per garantire una sana crescita ed un “armonico” sviluppo dell’individuo. Da una prima analisi, su circa 50 adolescenti esaminati con il questionario, e con la visita-colloquio del bilancio di salute dei 12 e dei 14 anni, si può affermare che nel 30% circa dei soggetti sono stati riscontrati degli elementi che consigliano un ulteriore approfondimento diagnostico specialistico. Sono attualmente in corso delle nostre valutazioni per evidenziare i più importanti elementi da considerare, nell’ambito della visita filtro, come dei veri e propri “fattori di rischio disfunzionali”. Attraverso tale valutazione, quindi, il bilancio di salute all’adolescente, si arricchisce di ulteriori elementi indirizzati a prevenire eventuali patologie psico-comportamentali presenti in età adolescenziale o che potranno diventare tali in età adulta. Indagine preliminare sull’individuazione di fattori di rischiodisfunzionali nell’adolescente nel corso del bilancio di salute Bibliografia 1. Baldascini L “Vita da adolescenti” Franco Angeli Editore (2° edizione) 1996 Milano. L’educazione alla salute nella scuola: esperienze relazionali in uno spazio d’ascolto G. De Luca, G. Panza A. D’Adamo, R. Pellicani, G. Schiamone, C. Mastrangelo Gruppo di Studio Promozione alla salute della SIMA G. De Luca, M. Fattibene, R. Pellicani, G. Schiavone, A. D’Adamo, L. Mortato L’adolescenza costituisce un periodo di transizione in cui alla maturazione fisica segue una variazione comportamentale. L’adolescente, acquisendo una maggiore coscienza di Sé, è portato a modificare i rapporti di relazione prima di tutto con se stesso, poi con la famiglia, con la scuola, con gli adulti e con gli amici. Per meglio valutare questa nuova dimensione psichica, si è pensato di elaborare un questionario da somministrare, nello studio del pediatra, ai ragazzi di 12-14 anni. La compilazione del questionario, (che consta di 30 domande, di cui 20 con risposte multiple e chiuse e 10 con risposte aperte), deve avvenire in una sala d’attesa appositamente attrezzata per gli adolescenti, in occasione del bilancio di salute previsto per questa età. La stanza d’attesa dedicata all’adolescente è caratterizzata dalla presenza di un impianto di filodiffusione, di poster adeguati all’età e riviste specializzate. L’obiettivo è quello di far compilare il questionario in un ambiente adeguato, in cui l’adolescente si senta a proprio agio, in grado di esprimere liberamente le proprie opinioni e sensazioni. A tale compilazione scritta seguirà un colloquio-visita in cui il pediatra dovrà entrare in empatia con l’adolescente e cercare di capire le modalità espressive del ragazzo (motorio, cognitivo, emotivo) ed interpretare le sue dinamiche relazionali nei confronti degli altri (famiglia, pari, adulti). Nel modello formulato dalla scuola di Baldascini, i sistemi intrapsichici (motorio, cognitivo, emotivo) sono infatti collegati isomorficamente ai sistemi interpersonali (famiglia, pari, adulti), i quali Gruppo di Studio Promozione alla Salute SIMA Ogni scuola, nell’ambito della propria autonomia, deve prevedere un serio progetto di educazione alla salute pluriennale da inserire nel proprio programma d’Istituto, nell’ambito dei POF ( Piano dell’Offerta Formativa). In un ambito più generale rientrano gli appropriati stili di vita, le esperienze emozionali, il confronto e la relazione con l’altro. In questo lavoro vengono riportate le esperienze di un’ attività pluriennale di uno spazio di ascolto, in ambito scolastico, attraverso l’utilizzo di laboratori rivolti ai ragazzi, ai genitori, ai docenti. La metodologia è quella di mettere il giovane al centro dell’iniziativa, garantendogli la possibilità delle scelte ma anche la possibilità di far emergere le proprie problematiche basandosi sul vissuto del soggetto. Con questo lavoro ci si propone di: a) diffondere la cultura educativa “ho bisogno..mi rivolgo..”, che mira a esplorare il mondo dei ragazzi, a considerare il vissuto emozionale, a valutare le dinamiche relazionali; b) promuovere l’incontro ed il confronto sulle tematiche giovanili, favorendo l’informazione e la formazione degli adulti educatori; c) promuovere un’integrazione progettuale con i servizi del territorio. L’interesse suscitato nei ragazzi dal progetto proposto, soprattutto riferito al primo punto dei proponimenti, è stato valutato con la somministrazione di un questionario a 200 ragazzi della 3ª 128 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) classe di una scuola media di Bari. I ragazzi hanno risposto di aver avuto l’opportunità di: a) esplorare il mondo emozionale, che per il 41% di era sconosciuto; b) conoscere e quindi affrontare meglio le situazioni della propria vita e di conoscere le relazioni con sé stessi e con il gruppo dei pari (78% dei ragazzi). Con una parte del questionario sono state anche valutate le relazioni interpersonali relative alle emozioni. I sistemi relazionali, in cui i ragazzi sentono di potere esplorare il mondo delle emozioni sono: il gruppo dei pari (46%), la famiglia (26%), la scuola (25%) e altro (3%). Le valutazioni sono state, dunque, molto positive, in quanto i ragazzi hanno potuto esprimere le loro emozioni e sensazioni come raramente accade purtroppo nella scuola, nell’ambito delle comuni attività, mentre la scuola dovrebbe proprio svolgere tale funzione pedagogica, cercando di far emergere nel ragazzo le spesso nascoste potenzialità. Nell’ultimo biennio (2005-2006), il TG è stato 2,10 (4 M+F): TG 3,28 (3 M); TG 1,01 (1 F): TG 1,09 (3 M+F) per incidenti stradali: TG 2,18 (2 M) e TG 1,01 (1 F); TG 1,09 (1 M) per patologia neurodegenarativa. Gli incidenti stradali (TG 0,69) e le patologie oncologiche (TG 0,43) sono risultate le prime 2 cause di morte a Catanzaro, dato confermato dalle statistiche regionali (TG 0,85 per incidenti stradali; TG 0,84 per patologie oncologiche) e nazionali (TG 0,81 per incidenti stradali; TG 0,40 per patologie oncologiche). Il sesso più colpito è risultato quello maschile in entrambe le cause di morte in Italia come in Calabria, mentre a Catanzaro risulta più colpito il sesso maschile per gli incidenti stradali, quello femminile per le patologie oncologiche. In entrambi i sessi sia la fascia d’età più colpita era 15-19 anni. Conclusioni. Lo studio condotto ha permesso di dimostrare a Catanzaro come in Calabria ed in Italia un trend di mortalità in accentuata diminuizione, con spostamento della mortalità dalla fascia adolescenziale verso quella giovane-adulta per quanto riguarda le patologie oncologiche, segno del miglioramento delle attuali tecniche diagnostico-terapeutiche, a fronte di un grosso aumento della mortalità dovuta ad incidenti stradali che continua ad essere caratterizzata da un elevato numero di decessi annui, segno questo di una non ancora ben consolidata coscienza verso importanti problemi quali educazione e sicurezza stradale fra gli adolescenti. Mortalità in etàadolescenziale (10-19 aa) nel comune di catanzaro (1995-2006). Dati preliminari E. De Marco1, L. D’Aiutolo1, P.C. Rizzi2, M. Baserga1 Cattedra di Pediatria - “Università Magna Graecia di Catanzaro “ 2 Medicina Legale-ASP di Catanzaro - 1“Registro di Mortalità per Tumore della Città di Catanzaro” Studio delle mutazioni di fattori trascrizionali coinvolti in difetti combinati di ormoni ipofisari Scopo. Valutazione della mortalità a Catanzaro, nel periodo 1995-2006 in età adolescenziale e confronto con i dati della Regione Calabria e dell’Italia. Materiali e Metodologia. I dati dei residenti a Catanzaro sono stati ricavati dalle schede ISTAT di morte fornite dalla Medicina Legale-ASP di Catanzaro e suddivisi nei seguenti periodi: 199599; 2000-04; 2005-06. I Tassi Grezzi (TG) sono riferiti a 100.000 abitanti. I dati relativi a Calabria e Italia sono stati ricavati dalle tavole di mortalità ISTAT, pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità fino al 2002. Risultati. Nel periodo considerato il numero totale dei decessi a Catanzaro è stato di 6.719 Maschi + Femmine (M+F) (TG 582,59): TG 624,42 (3.486 M) e TG 543,34 (3.233 F); quello relativo all’età adolescenziale, è stato 1,73 (20 M+F): TG 2,50 (14 M) e TG 1,00 (6 F): Nel primo quinquennio (1995-1999), il TG è stato 1,44 (7 M+F ): TG 1,70 (4 M) ; TG 1,20 (3 F): TG 0,42 (1 M) per incidente stradale; TG 0,82 (4 M+F) per patologie oncologiche: TG 0,85 (2 M), tumori cerebrale ed osseo, TG 0,80 (2 F), tumori vaginale ed ematologico; TG 0,40 (1 F) per patologia cardiovascolare; TG 0,42 (1 M) per suicidio. Nel secondo quinquennio (2000-2004), il TG è stato 1,87 (9 M+F): TG 3,02 (7 M); TG 0,80 (2 F): TG 1,72 (4 M) per incidenti stradali; TG 0,40 (1 F) per tumore intestinale; TG 0,40 (1 F) per meningoencefalite virale; TG 0,86 (2 M) per patologie vascolari; TG 0,43 (1 M) per suicidio. F. De Rienzo, E. Grassino, I.M. Bonsignori, M. Giordano, G. Corneli, F. Prodam, S. Bellone, A. Petri, G. Bona Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte Orientale, Novara I difetti combinati degli ormoni ipofisari (CPHD) sono definiti come disordini endocrini e/o neuroanatomici che comportano un deficit di almeno 2 tra i seguenti ormoni: GH, TSH, ACTH, prolattina, FSH, LH ed ADH. Si tratta di una condizione rara, nella maggior parte dei casi sporadica e dovuta a lesioni organiche. In una minoranza di casi l’eziologia è da ricondurre a difetti genetici, in particolare a livello dei geni per i fattori di trascrizione ipofisari PIT1, PROP1, HESX1, LHX3, LHX4. Scopo del lavoro. Identificazione delle basi molecolari dei difetti ipofisari su un’ampia casistica di soggetti con CPHD ad eziopatogenesi verosimilmente non organica reclutati in 26 centri italiani ed in un centro turco Casistica. La casistica comprende 133 soggetti con diversa età alla diagnosi, da neonatale ad adulta, italiani e stranieri, sporadici e familiari. 129 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Ganglioneuroma con localizzazione al mediastino posteriore e retroperitoneale: un tumore raro e spesso asintomatico. descrizione di un caso Materiali e metodi. Lo studio genetico è stato effettuato su campioni di DNA provenienti da tali pazienti e sono state ricercate mutazioni causali nei geni candidati. I soggetti sono stati sottoposti a test di stimolo per valutare la funzione ipofisaria basale e dopo stimolo. Risultati. Analisi clinica La maggioranza dei soggetti studiati è costituita da bambini italiani sporadici e si osserva un eccesso di maschi. La quasi totalità dei soggetti CPHD inclusi nello studio presenta un deficit di GH associato ad uno o più degli altri ormoni secreti dall’adenoipofisi. Per quanto riguarda lo studio morfologico mediante RMN, il quadro più frequentemente riscontrato era l’ipoplasia ipofisaria. Analisi genetica PROP1 è stato analizzato in 115 pazienti e sono stati identificati 3 polimorfismi, 2 microdelezioni in omozigosi già note e 2 mutazioni missense in eterozigosi composta verosimilmente causali. PIT1 è stato analizzato in 69 soggetti e sono state evidenziate numerose variazioni di sequenza con significato di polimorfismo e 1 nuova mutazione verosimilmente causale in omozigosi. HESX1 è stato studiato in tutti i soggetti della casistica e sono state trovate 3 variazioni in eterozigosi. LHX4 è stato analizzato in tutti i soggetti e non sono state trovate mutazioni causali. Discussione. Lo studio molecolare dei geni coinvolti nei difetti ipofisari condotto su un’ampia casistica di CPHD ha permesso l’identificazione di mutazioni causali solo in rari casi, prevalentemente familiari. La percentuale delle mutazioni riscontrate a livello di PROP1 è pari a 2,17% nei soggetti sporadici e 17% in quelli familiari, mentre per PIT1 e HESX1 sono state trovate mutazioni solo in soggetti sporadici e la percentuale è pari rispettivamente a 1,69% e 0,83%. I dati riscontrati sono in accordo con quelli riportati in letteratura tranne che per PROP1; ciò può essere spiegato da differenze nei campioni di pazienti selezionati. La storia naturale dei deficit ormonali in soggetti con mutazioni a livello di PROP1 suggerisce un progressivo declino della funzionalità ipofisaria anteriore con comparsa di deficit progressivi, pertanto il riscontro di mutazioni a questo livello nei soggetti studiati ha avuto grande valore prognostico e di programmazione del follow-up endocrinologico. I pazienti con mutazioni a livello di HESX1 spesso presentano caratteristiche dismorfiche, in particolare anomalie della linea mediana. Dunque un difetto nello sviluppo faciale o cranico in associazione a bassa statura, deve indurre il clinico a richiedere un’analisi genetica per HESX1. La notevole variabilità fenotipica riscontrata in soggetti portatori della stessa mutazione è un fenomeno già descritto da altri autori e apre la strada a numerose ipotesi da comprovare, compresa la possibilità che altri fattori genetici o ambientali possano influenzare l’espressione fenotipica. Stabilire il genotipo resta in ogni caso un passaggio importante per la gestione del singolo paziente affetto da CPHD, per la possibilità di fornire un counselling genetico e per favorire la diagnosi precoce. A. Dello Russo, E. Galea, R. Mandaglio, M.C. Galati, C. Consarino U.O. Ematologia ed Oncologia Pediatrica Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” - Presidio “De Lellis” - Catanzaro Il ganglioneuroma è un raro tumore benigno che origina dalle cellule della cresta neurale. Caratterizzato da una crescita lenta e, per questo asintomatico, viene diagnosticato quando ha raggiunto notevoli dimensioni. Esso rappresenta la controparte più differenziata e matura dei tumori neurobastici periferici. Descriviamo un caso di tumore neurogangliare a localizzazione mediastinica posteriore e retroperitoneale. Paziente D.G. di anni 12 giunge alla nostra osservazione per dolori addominali ricorrenti prevalentemente post-prandiali. L’ecografia addome mostra formazione solida in corrispondenza della flessura colica sinistra (153 mm per 118 mm per 87 mm). La TAC e la RMN total Body con mdc evidenziano massa mediastinica posteriore (33 mm per 60 mm) in contiguità con aorta ascendente e tronco polmonare e massa retroperitoneale sinistra (121 mm per 84 mm), in rapporti di contiguità con aorta, vena cava inferiore e muscolo psoas. I test di laboratorio (Latticodeidrogenasi, Acido vanil-mandelico ed Enolasi neuronale specifica) risultano essere negativi; myc: non amplificato. L’esame istologico su biopsia rivela: “stroma schwannico con elementi gangliari maturi o “ganglion-like” senza evidenza di tessuto neuroblastomatoso”. In considerazione dell’estensione della massa retroperitoneale, dei suoi rapporti di contiguità con i grossi vasi e l’ilo renale sinistro, si sottopone il paziente ad exeresi chirurgica riduttiva in previsione di severe complicanze d’organo. Il ganglioneuroma è un tumore benigno. La chemioterapia adiuvante e la radioterapia locale non sono pertanto indicati. La resezione chirurgica rappresenta la sola via di scelta sia diagnostica che terapeutica. Il tumore resta silente per parecchi anni, è necessario un periodico follow-up se presente malattia residua dopo exeresi chirurgica. Nel nostro caso la persistenza di massa mediastinica e retroperitoneale lentamente evolutiva, impone la necessità di verificare a distanza il rischio di complicanze d’organo e/o la trasformazione maligna. Morbillo: nuova epidemia in adolescenza? L. Galli, F. Vierucci, I. Sammartino, A. Nicolosi1, S. Nastasio, G. Cesaretti, G. Baroncelli U.O. Pediatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa; 1Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico”, Catania 130 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Il morbillo è una malattia infettiva causata da un virus appartenente alla famiglia dei paramixovirus la cui incidenza nei paesi industrializzati è diminuita negli ultimi anni in seguito alla somministrazione del vaccino (raccomandato dal Ministero della Sanità dal 2004), mentre rimane una importante causa di mortalità nei paesi in via di sviluppo. Tale situazione epidemiologica rende difficoltosa la diagnosi della malattia. Casistica. Nel mese di Maggio 2008 sono stati osservati presso il Pronto Soccorso della Clinica Pediatrica 8 pazienti di età compresa tra 14 e 17 anni, 6 maschi e 2 femmine, per rapido scadimento delle condizioni generali, febbre elevata e tosse intensa, preceduti da rinite e congiuntivite. In 4 pazienti era inoltre presente un interessamento bronco-polmonare (confermato mediante RX) e in un caso intensa faringodinia con angina “rouge”. Questi 5 pazienti sono stati trattati con terapia antibiotica e sono stati osservati in regime di ricovero ordinario per alcuni giorni. Durante il ricovero tutti i pazienti hanno mostrato la comparsa di un esantema maculopapuloso (in un caso con componente emorragica), a comparsa cranio-caudale, che si associava ad un progressivo miglioramento della sintomatologia clinica. Gli altri 3 casi, che presentavano una minore compromissione dello stato generale e l’assenza di lesioni polmonari sono stati osservati in regime ambulatoriale. Gli esami ematochimici erano indicativi di una patologia di probabile etiologia virale; le indagini virologiche permettevano di porre diagnosi di morbillo (IgM positive, IgG negative) in tutti e 8 i pazienti. Dal punto di vista anamnestico è emerso che tutti i pazienti (n = 8) frequentavano lo stesso Istituto di Scuola Media Superiore. Sei pazienti non avevano eseguito la vaccinazione antimorbillosa mentre due avevano praticato solamente la I dose del vaccino ma non il richiamo. Nessun paziente ha presentato complicanze importanti, in particolare dal punto di vista neurologico. Commenti. Il morbillo non può essere considerata una malattia scomparsa nel nostro paese; infatti sporadici focolai di malattia sono ancora presenti. I dati in nostro possesso e i casi di riportati anche da altri colleghi nello stesso periodo di tempo suggeriscono che probabilmente l’evento a cui abbiamo assistito non è riconducibile ad una vera e propria epidemia di morbillo. Tuttavia, le ulteriori segnalazioni della malattia nei mesi successivi, in particolare in alcune comunità di etnia ROM, hanno evidenziato la necessità di raggiungere una ottimale copertura vaccinale anche nelle fasce di popolazione più disagiate che potrebbero rappresentare un serbatoio della malattia. È pertanto, compito del Pediatra promuovere la vaccinazione completa nei propri assistiti e contribuire alla realizzazione del progetto europeo dell’OMS 2005-2010 per eradicare la malattia. Caso clinico. E.K., di etnia albanese, 15 anni. All’età di 7 anni (11/01) K.E. giunge in Italia per accertamenti endocrinologici. All’esame obiettivo si rilevano esoftalmo, gozzo multinodulare, ipertelorismo e microcrania (<3° percentile); statura al 25° percentile e peso al 25° percentile in base all’età staturale. Gli esami di funzionalità tiroidea mostravano la presenza di un quadro di tireotossicosi (FT4 27,4 pg/ml, FT3 16,90 pg/ml, TSH <0,01 µU/ml, tireoglobulina 109,9 ng/ml), con conseguente diagnosi di ipertiroidismo primitivo TRAB-negativo da probabile mutazione del recettore per il TSH, per cui veniva intrapresa terapia con metimazolo alla dose di 2,5 mg per due volte al giorno per 3 mesi con soppressione della funzione tiroidea (FT3 2,07 pg/ml; FT4 0,95 pg/ml; TSH 0,95 µU/ml). Per la necessità di alte dosi di tiouracilici e per l’imponente gozzo che determinava deformazione della linea del collo e compressione delle trachea con un reperto ecografico di fibrosi e strie iperecogene, veniva deciso l’intervento chirurgico di tiroidectomia che, dato il quadro anatomico, poteva essere eseguita solo in maniera subtotale, residuando inoltre una compromissione della motilità delle corde vocali. Il successivo esame istologico, dopo inclusione, metteva in evidenza, a differenza dell’accertamento estemporaneo, la presenza di un carcinoma papillare di 1 cm, variante follicolare, capsulato (T1, Nx, Mx stadio 1). Per tale motivo veniva sottoposto a trattamento radiometabolico con 11 mCi (0,407 GBq) di I131 e proseguita terapia con metimazolo (5 mg una volta al giorno) per 4 mesi. La scintigrafia eseguita successivamente con 216 µCi di I131 evidenziava la presenza di captazione di Iodio in regione tiroidea (3a ora 40%; 24a ora 23%), per cui veniva nuovamente effettuato trattamento radiometabolico con 21 mCi (0.777 GBq) di I131. La scintigrafia total-body post-dose terapeutica successiva evidenziava la presenza di un’area di iodiofissazione in regione tiroidea compatibile con i residui ghiandolari post-chirurgici e veniva continuata terapia con levo-tiroxina sodica a dosi soppressive. All’età di 14 anni il ragazzo iniziava a presentare cefalea ingravescente, rachialgie, artralgie e disfagia. La RM dell’encefalo evidenziava la presenza di una Sindrome di Arnold-Chiari di tipo I e di idromielia/siringomielia. Pertanto l’anno successivo veniva sottoposto ad intervento di derivazione ventricolo-peritoneale sinistra. Gli esami di funzionalità tiroidea evidenziavano un valore di tireoglobulina di 14,90 ng/ml: per tale motivo veniva sottoposto al test al Thyrogen® (0,9 mg rTSH im) che evidenzia la presenza di cellule tireoglobulina produttrici (con un TSH di 110 µU/ml, una tireoglobulina 20,40 ng/ml dopo la 2a somministrazione); pertanto veniva nuovamente sottoposto a trattamento radiometabolico con 100 mCi (3,7 GBq) di I131. Attualmente il ragazzo è in buone condizioni generali e sta eseguendo terapia soppressiva con levotiroxina sodica (125 µg/die). Il caso risulta particolarmente interessante in quanto mette in evidenza come una tireotossicosi precoce (tra l’altro associata a carcinoma tiroideo) non sottoposta ad adeguato trattamento possa determinare un quadro clinico di craniostenosi e di successiva idromielia tale da rendere necessario l’intervento neurochirurgico. Tireotossicosi ad esordio precoce con craniostenosi e idromielia secondaria L. Galli, S. Lunardi, V. Madrigali, G. Cesaretti UO Pediatria II, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero - Universitaria Pisana 131 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Bassa statura: non solo ormoni La Federazione Internazionale Diabete (IDF) ha definito i criteri per la diagnosi della sindrome metabolica nel bambino; la circonferenza addominale, come nell’adulto, sembra essere un fattore predittivo indipendente di insulino resistenza, alterati livelli lipidici e pressione arteriosa. Scopo del lavoro. Valutare i fattori di rischio metabolico e il ruolo predittore della circonferenza vita in un gruppo di bambini obesi. Materiale e metodi. I bambini obesi prepuberi afferenti presso la nostra Clinica da Novembre 2007 ad Aprile 2008 sono stati sottoposti a visita auxologica comprensiva di misurazione di circonferenza vita, rilevazione di pressione arteriosa e valutazione del metabolismo basale. In un sottogruppo è stato eseguito carico orale di glucosio (OGTT). Risultati. La coorte era costituita da 149 bambini (72 maschi e 77 femmine, età media ± SD 10,1 ± 3,0 anni). In 46 pazienti è stato eseguito OGTT: due mostravano glicemia basale alterata (IFG), uno presentava glicemia diagnostica per diabete mellito tipo 2 dopo OGTT e due alterata tolleranza al glucosio (IGT). Sono stati riscontrati alterati livelli glicemici nel 3,4% dei pazienti, livelli di trigliceridi >150 mg/dl nel 2,0%, livelli di HDL <40 mg/dl nel 19,5%, PAOS >130 mmHg nel 14,1% , PAOD >85 mmHg nel 18,1%. Si è osservata una circonferenza vita di 83,3 ± 12,7 cm (media ± SD) in assenza di variazioni significative legate al sesso. La circonferenza vita correlava positivamente con BMI, PAOS e PAOD, indice HOMA, QUICKI, trigliceridi, insulina (IRI) a digiuno , a 60 e a 120 minuti durante OGTT. Quando pesata per BMI e BMI ed età, la circonferenza vita correlava significativamente con IRI T0 (Pearson=0.533; p<0.004), IRI T60 (0.376; p<0.005), IRI T120 (0.425; p<0.002), HOMA (0.578; p<0.002), mentre non risultavano significative le correlazioni con PAOS, PAOD, QUICKI, ISI. Nella regressione multipla il miglior predittore della circonferenza vita è stato l’HOMA (r2=0.317; p<0.001). Conclusioni. Già in età prepubere l’obesità si associa a sindrome metabolica. La circonferenza vita risulta essere un buon predittore per riconoscere i bambini con alto rischio metabolico. S. Ghione1, E. Dati1, S. Bertelloni1, F. Baldinotti2, A. Fogli2, M.E. Conidi2, A. Michelucci2, P. Simi2, G. Federico1, G. Saggese1 1 Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, 2UO Citogenetica e Biologia Molecolare, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa M. giunge alla nostra osservazione per bassa statura. Nato da gravidanza decorsa regolarmente fino alla 35° settimana di gestazione; peso alla nascita kg 2.370 (> 10° centile); lunghezza cm 47.0 (> 50° centile); indice Apgar 8/9; periodo perinatale: ndn. Bersaglio staturale cm 164.3 (-1.6 SDS). Allattamento al seno fino ad 1 anno; scarso accrescimento staturo-ponderale fin dai primi mesi di vita. Alla prima visita (età 3 anni, 7/12): altezza 88.5 cm (-2.3 SDS; età staturale 2 anni, 4/12); peso 12.1 kg (25° centile per età staturale); velocità di crescita 7.2 cm/anno (45° centile). All’esame obiettivo si rileva un aspetto proporzionato. Non presenza di segni di discondrosteosi (deformità di Madelung, cubito valgo, palato ogivale, ipertrofia muscolare) o di altre displasie ossee. Testicoli ad ascensore bilateralmente. Le indagini effettuate per identificare la causa della bassa statura [valutazione di: funzione tiroidea, screening per morbo celiaco, IGF-I (Insulin Growth Factor I) e IGFBP-3 (Insulin Growth Factor Binding Protein 3), test di stimolo per GH (L-DOPA, Arginina)] danno ripetutamente esito negativo. Si prospetta quindi una diagnosi di bassa statura idiopatica. All’età di 6 anni si rileva: statura cm 102.0 (-2.5 SDS), apertura alare cm 104 e altezza da seduto cm 55.5: la curva di crescita si è mantenuta parallela, ma inferiore, al 3° centile. L’analisi molecolare del gene SHOX (Short Stature Homeobox) in un campione di DNA mette in evidenza un’alterazione in eterozigosi: esone 2 sostituzione di una Adenina in posizione 100 con una Timina (c100A>T), con conseguente sostituzione amminoacidica della Treonina in posizione 34 con una Serina (pT34S). È ipotizzabile che la modificazione della catena proteica condizioni la struttura e la funzione del gene SHOX, alterando la sua capacità funzionale. I nostri risultati confermano che mutazioni geniche del gene SHOX possono essere alla base di un alterato pattern di crescita staturale in assenza di altri importanti segni clinici. Tale rilievo è riportato in circa il 2% dei bambini con bassa statura idiopatica. Una precisa diagnosi eziologica della causa di bassa statura ha una rilevante importanza per il consiglio genetico, per un corretto inquadramento clinico e anche per il trattamento in considerazione del fatto che i bambini con mutazioni del gene SHOX migliorano il loro pattern accrescitivo con la terapia con ormone della crescita. Bibliografia Lee S, Bacha F, Arslanian SA. Waist circumference, blood pressure, and lipidcomponents of the metabolic syndrome. J Pediatr 2006; 149:809-16. Il benesso-metro: la costruzione del benessere nell’età adolescenziale in ambito psicoeducativo A. Improta1, A. Improta2, C. Capasso3, A. Iaccarino3, L.G. Liguori3, R. Caiazzo3, P.M. Fiumani4 Ruolo predittore della circonferenza vita nell’obesità in età pediatrica 1 Pedagogista, Psicologa, Docente e coordinatrice Progetto di Educazione alla Salute presso la S.S.I. Macedonio Melloni di Portici (NA) e collaboratrice presso la Seconda Università degli Studi di Napoli (S.U.N) - 2Pediatra di famiglia in convenzione ASL NA 1- Vice Segretario Nazionale C.I.Pe. - 3Psicologa, frequentatrice scientifica della S.U.N, Esperta esterna S.S.I. Macedonio Melloni di Portici (NA) - 4Psicologa e Psicoterapeuta – I Livello Dirigente Dipartimento di Pediatria S.U.N. e coordinatrice scientifica attivi)tà di Educazione alla salute presso la S.S.I. Macedonio Melloni di Portici (NA) E.C. Grassino, I.M. Bonsignori, F. De Rienzo, A. Petri, G. Corneli, S. Bellone, F. Prodam, G. Bona Endocrinologia Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte Orientale, Novara, Italia 132 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Negli ultimi anni un’attenzione sempre crescente da parte dei mass-media è data all’alimentazione, sia volta all’acquisizione di corrette modalità alimentari, sia in relazione ai Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.). Se da un lato questo ha garantito una maggiore sensibilità intorno al problema, d’altra parte, senza un fondamento psicologico e pedagogico, ha aumentato il disorientamento e la disinformazione. Spesso, infatti, quello che viene proposto dai mezzi di comunicazione di massa è un modello semplicistico, che porta l’immaginario collettivo della magrezza e della bellezza come cause fondamentali dei D.C.A., misconoscendo la complessità di un fenomeno che ha radici più articolate. I diversi orientamenti teorici, infatti, sottolineano la complessità e la multifattorialità di un fenomeno che pone le sue origini anche nella primissima infanzia. Tra le figure preposte alla prevenzione dei D.C.A. il pediatra, seguendo il bambino per tutto l’arco evolutivo, non può non porre attenzione all’aspetto alimentare, finalizzando l’intervento alla prevenzione dei D.C.A. sensibilizzando i genitori non solo sull’aspetto nutrizionale in sé ma come quest’ultimo può essere una prima e fondamentale opportunità di prendersi cura in maniera globale del bambino, stabilendo un contatto fisico in cui sono coinvolti i bisogni affettivo – emotivi. In ambito preventivo anche la scuola ha un ruolo centrale e attraversando un periodo di crisi e di trasformazioni, dovute ai cambiamenti veloci di una “società che corre”. Questa sorta di sisma socioculturale ha portato con sé anche una maggiore difficoltà nella formazione di relazioni emotivamente significative che ha come conseguenza la comparsa di disagi nella fascia adolescenziale. In questo quadro complesso si pone la nostra proposta: un intervento che integri la dimensione cognitiva con quella affettiva, che coinvolga anche la famiglia (spesso in difficoltà nell’ascoltare i bisogni dei propri figli) in un ambito educativo e non curativo. Nasce in quest’ottica il progetto in progress di “Educazione alla salute” inteso non solo come prevenzione sanitaria ma come promozione del benessere psicosociale della persona, considerando il comportamento come espressione del proprio benessere ma anche del proprio disagio. Tale lavoro è basato sull’ipotesi che l’impostazione di un intervento “preventivo” in un ambito educativo e non curativo (la scuola) permetta di inquadrare precocemente i molteplici fattori, costituzionali, socio-ambientali, educativi, psicologici che sono alla base dell’eziopatogenesi dei D.C.A. Nel Poster verrà presentato un quadro sintetico del lavoro svolto negli ultimi dieci anni dalle coordinatrici presso una Scuola Secondaria Inferiore, con percorsi differenziati per le tre classi della scuola media. Punto di forza dell’intervento è rappresentato dal coinvolgimento indiretto dei genitori e dal coinvolgimento attivo degli attori sociali adolescenti: è questa la chiave di volta che può far scattare la curiosità prima e la consapevolezza poi, per ragazzi/e che spesso si oppongono agli stili di vita vissuti come imposizione del mondo adulto e appaiono disorientati anche di fronte alla scelta degli stili alimentari da adottare. Nell’impostazione del lavoro siamo infatti partiti da un approccio che coinvolgesse i soggetti in prima persona, tenendo conto delle loro abitudini alimentari e dei loro “vissuti personali ”. Abbiamo ritenuto che questa potesse essere una strategia utile per migliorare il rapporto con il cibo come strumento di comunicazione. Su questi sono i presupposti per le attività delle classi terze è stato costruito un innovativo questionario che abbiamo denominato “Benesso-metro”, uno strumento ludico ed educativo volto ad acquisire la consapevolezza della relazione esistente tra percezione di sé e abitudini alimentari. È organizzato in due aree: Area A: Abitudini alimentari - Area B: Io e gli altri. Il questionario, di rapida somministrazione, si presta anche all’autosomministrazione collettiva con la guida di un operatore esperto. Esso ha il pregio di far visualizzare ai ragazzi immediatamente il proprio “stato di benessere” in ciascuna delle due aree, infatti è stata individuata la modalità del “Semaforo” per rendere più immediata la lettura. Nel Poster verrà presentato operativamente lo strumento che ha il vantaggio di essere utile in età adolescenziale sia per attività clinica individuale (come tecnica di supporto al colloquio) sia per attività preventiva collettiva. Va precisato, che è in via di realizzazione una versione più approfondita dello strumento, in collaborazione con la Dott.ssa Loredana La Barbera (Psicologa- Collaboratrice cattedra Psicologia dello Sviluppo della Facoltà di Psicologia dell’Università di Cagliari) - Dott. Paolo Zandara (Pediatra di Famiglia in convenzione con ASL N°7 di Carbonia – Cagliari, Vice Segretario Nazionale C.I.Pe). Predisposizione a disturbi del comportamento alimentare in adolescenti con dmt1 D. Lo Presti, A.L.Saggio, C. Latina, C. Ingegnosi, M. Andaloro, M. Caruso-Nicoletti Dipartimento di Pediatria - A.O.U. P. “G. Rodolico”, Catania Introduzione. È noto che il diabete mellito tipo 1 (DMT1) rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare (DCA) sia per un certo rigore in tema di alimentazione che per la peculiarità della terapia insulinica che può prestarsi a manipolazioni. Nelle adolescenti affette da DMT1 si calcola un’incidenza doppia sia dei DCA classici (Anoressia (AN) Bulimia (BN)) che dei disturbi definiti “sottosoglia” o NAS (non altrimenti specificati) che hanno un’incidenza media nelle varie casistiche intorno al 10-14%. Il trattamento dei DCA è inevitabilmente complesso e tanto più efficace quanto più tempestivamente il problema viene individuato e trattato. Scopo del lavoro. Scopo del presente lavoro è stato screenare la predisposizione a DCA in una popolazione di adolescenti affetti da DMT1 utilizzando uno strumento semplice e rapido (questionario autosomministrabile). 133 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Caso clinico. E.P., maschio, 11 anni. Da circa 2 anni presenta cervico-algie e torcicollo: per tale motivo è stato sottoposto a varie indagini radiologiche, consulenza ortopedica per scoliosi e fisiochinesi-terapia. Due mesi prima della nostra osservazione, il ragazzo presenta deficit di forza e di sensibilità a livello dell’emilato dx con compromissione soprattutto dell’arto superiore (braccio e polso). Una RM encefalo risulta nella norma, mentre RM del rachide cervicale unita a angio-RM dei vasi collo mette in evidenza una voluminosa lesione espansiva extramidollare e verosimilmente extradurale, estesa dal processo odontoide di C2 allo spazio intersomatico C3-C4. La lesione occupa gran parte dello spazio vertebrale e all’altezza di C2-C3 determina una marcata compressione midollare. La lesione occupa lo spazio anteriore e laterale dello spazio vertebrale ed il midollo spinale è compresso e dislocato in regione postero-laterale sx (Figura 1). Viene eseguito un primo intervento neuro-chirurgico di decompressione del midollo spinale ed asportazione della lesione per via posteriore. L’esame bioptico permette la diagnosi di cordoma. Successivamente, una RM dimostra la presenza di un residuo tumorale nella parte anteriore e laterale dx del midollo spinale cervicale. Una seconda RM rileva un residuo neoplastico extradurale a livello di C2-C4 a sviluppo anteriore e antero-laterale dx di volume immodificato, grave cifosi per crollo vertebrale di C2-C4. Un secondo intervento permette un’asportazione subtotale della lesione per via antero-laterale dx e la RM di controllo dimostra una completa risoluzione della cifosi cervicale con buona distensione del rachide. Permane un residuo Materiali e metodi. Sono stati selezionati 136 soggetti di età compresa fra 11 e 18 anni (84 M e 52 F) e con durata di malattia > 1 anno, cui è stato chiesto di compilare il questionario EDE Q modificato con l’introduzione di una domanda sulla omissione, occasionale o meno, della terapia insulinica. L’EDE Q è uno strumento di autovalutazione, che può essere compilato a partire dagli 11 anni in circa 20’, che indaga il rapporto col cibo e il grado di soddisfazione per il proprio corpo. Risultati. In base al punteggio “cutoff” di 1 utilizzato per la valutazione delle risposte all’EDE Q sono risultati sospetti per DCA 25 soggetti (8 M e 17 F). I ragazzi sono stati indirizzati ad un approfondimento diagnostico tramite intervista semistrutturata da cui è stato possibile individuare 6 casi di DCA sottosoglia (bulimia NAS), 2 casi in cui il disturbo dell’alimentazione si manifesta nell’ambito di un disturbo di personalità in corso di approfondimento e 1 caso in cui è stata posta diagnosi di binge eating.In tutti i pazienti è stato iniziato un percorso di “riabilitazione psiconutrizionale” che vede impegnati in prima linea psicologo e dietista. Conclusioni. Nella nostra casistica è stato possibile individuare un 6,6% di DCA NAS e nessun caso di DCA classico. Tutti i soggetti risultati positivi all’approfondimento clinico sono di sesso femminile fatta eccezione per il caso di binge eating. La relativamente bassa incidenza di DCA NAS nella nostra popolazione sembra confermare la validità dell’approccio dietetico “non prescrittivo” ormai utilizzato da un decennio presso il nostro Centro di Diabetologia Pediatrica e corroborato da una reale “interdisciplinarietà” del team diabetologico per cui le singole figure professionali, pur mantenendo la specificità di ruolo, definiscono insieme obiettivi e programmi. Dolore cervicale e torcicollo in un adolescente D. Lombardi1, E. Dati2, S. Bertelloni2 Pediatra, Neuropsichiatria Infantile, Pietrasanta (Lucca); Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa 1 2 Figura 1 I tumori spinali sono un’evenienza rara (10% delle neoplasie del sistema nervoso centrale e 1% delle neoplasie maligne). Questo tipo di tumore è inoltre relativamente meno frequente nell’infanzia, con un rapporto variabile da 1-5 a 20 rispetto a quelli intracranici, e risulta più frequente nel sesso maschile tra 3-5 anni. Ciascuno dei tratti midollari, cervicali, toracico e lombare, da origine al 30% dei tumori, mentre il restante 10% origina dalla regione sacrale. A seconda della sede, i tumori spinali vengono poi distinti in extramidollari, intramidollari, intradurali e extradurali. Tra questi ultimi, il cordoma rappresenta una ancora più rara neoplasia, che trae origine da residui della notocorda e che si localizza nel 90% dei casi a livello della base dello sfenoide o in regione sacrococcigea; solo il 10% si ritrova a in altre sedi della colonna vertebrale, di solito a localizzazione inizialmente extradurale. 134 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) della componente anteriore del tumore; si applica sistema ortesico tipo Minerva con Diadema, che viene rimosso dopo 1 mese con successivo inizio del trattamento radiante. Commento. I cordomi sono tumori rari, che di solito proliferano come masse gelatinose, molli e grigiastre, lentamente invasive. Rare sono le metastasi. I quadri istologici riproducono i vari stadi dello sviluppo embrionale della notocorda. In tutte le forme è presente muco sia in sede intra- che extra-cellulare, soprattutto abbondanti nei casi di tipo epiteliale. Il muco extra-cellulare può essere cosi abbondante da creare laghi secretori in cui nuotano liberamente le cellule neoplastiche. I cordomi, sebbene istologicamente benigni, presentano una cattiva prognosi perché invasivi, producendo dapprima lesioni dei nervi cranici, particolarmente dei nervi motori oculari, e poi segni di sofferenza del tronco cerebrale (localizzazione endocranica) o segni di compressione midollare (localizzazione spinale). Terapia. Si presciveva pertanto terapia diuretica con Acetazolamide (alla dose di 250 mg BID) e dieta ipocalorica-iposodica. Follow-Up. Dopo 15 giorni di terapia si assisteva a notevole riduzione della congestione vasale peripapillare e scomparsa della cefalea e dopo 5 mesi a risoluzione del quadro oftalmologico, riduzione del peso corporeo (circa 5 Kg) e negatività dell'obiettività neurologica. Conclusioni. Suggestivo, a nostro giudizio, il caso clinico riportato per l'evenienza di una complicanza rara ma possibile dell'obesità severa, peraltro, nel caso specifico, già gravata da altre complicanze quali la resistenza insulinica, la policistosi ovarica e l'ipertensione arteriosa su cui inoltre, si è aggiunto, verosimilmente, l'effetto di ritenzione idrica dell'uso prolungato di estro-progestinici. Metabolismo periferico del cortisolo in adolescenti obesi: valutazione in vivo dell’attività dell’enzima β-idrossisteroidodeidrogenasi 11β β-hsd1) mediante tipo 1 (11β croma-tografia/spettrometria di massa tandem. Dati preliminari Una rara, ma possibile complicanza dell'obesità A. Nicolosi, V. Panebianco, M. Crapanzano, R.Nicolosi, M.Caruso-Nicoletti Dipartimento di Pediatria - A.O.U. P. “G. Rodolico” Catania Presentazione del caso. Descriviamo il caso clinico di una ragazza di 16 anni giunta alla nostra osservazione per cefalea fronto-parietale sinistra, cervico-dorso-rachialgia, vomito, strabismo convergente dell'occhio sinistro e diplopia. All'anamnesi personale, riferita, terapia con estro-progestinici per circa due anni, per policistosi ovarica, interrotta da 20 giorni. Incremento ponderale progressivo (30 kg in 3 aa circa). All'esame obiettivo Peso 90 Kg, BMI 35,4 (+6.0 SDS), altezza 159,5 cm (-0,44 SDS 33°centile), circonferenza vita 87 cm (......°c). Acanthosis nigricans alle pieghe del collo e ai cavi ascellari, strie rubre ai fianchi, irsutismo e ipertricosi. Sviluppo puberale completato. Sensorio integro, strabismo convergente e deficit di abduzione dell'occhio sinistro, riferita diplopia nella deviazione laterale sinistra. Ipertensione arteriosa (PA 145/85 mmHg). Esami di laboratorio. Nella norma gli esami di routine, batteriologici e i marckers tumorali. Ridotta tolleranza glucidica e resistenza insulinica al carico orale di glucosio. Alla RM encefalo venosa: dilatazione delle guaine periottiche, bulging delle papille ottiche,ampliamento delle cisterne della base. Alla visita oculistica marcato edema bilaterale della papilla, congestione vasale peripapillare e paralisi del muscolo retto esterno. Riduzione della motilità attiva dell'os. Alla rachicentesi prelievo di circa 20 ml di liquor limpido ad elevata pressione liquorale, negativo l'esame cito-chimicofisico e batteriologico, assenti acidi nucleici virali PCR. Diagnosi. Il quadro clinico deponeva per ipertensione endocranica, pertanto escluse le principali cause e osservato il miglioramento clinico dopo puntura lombare evacuativa, ci si orientava verso una forma di Pseudotumor Cerebri, patologia con incidenza rara e prevalenza nel sesso femminile(più colpite le giovani donne obese). A. Petracchi1, A. Saba2, E. Dati1, S. Ghione1, E. Chiocca1, A. Raffaelli3, S. Bertelloni1, G. Saggese1 1 Medicina dell’Adolescenza, UO Pediatria 2, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, 2Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, 3CNR-ICCOM, Pisa Premessa. L’enzima 11β-HSD1 regola il metabolismo periferico (prere-cettoriale) dei glucorticoidi. Alcuni lavori hanno prospettato che un’alterata attività dell’enzima 11β-HSD1 possa contribuire all’insorgenza della sindrome metabolica nei soggetti adulti affetti da obesità essenziale. Obiettivo. Valutare l’attività dell’enzima 11β-HSD1 in adolescenti con normopeso o con eccesso di peso corporeo. Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 20 adolescenti (età 11.9-18.2 anni). In rapporto al peso corporeo, i soggetti dello studio sono stati suddivisi, utilizzando le curve di Cacciari et al. (JEI 2006), in obesi [n = 6: BMI 3.25+0.53 SDS], sovrappeso (n = 6: BMI 1.89+0.52 SDS) e controlli (n = 8: BMI 0.17+0.50 SDS). In tutti i soggetti sono stati determinati i valori sierici (prelievo ore 8.00) di cortisolo (F) e cortisone (E) mediante cromatografia associata alla spettrometria di massa tandem. Il rapporto tra F ed E è stato considerato come un metodo per stimare in vivo l’attività dell’enzima 11β-HSD1. Risultati. Il rapporto F/E ha mostrato un andamento inversamente proporzionale a quello del BMI (SDS) (r = -415). Gli adolescenti obesi hanno presentato valori di rapporto F/E significativamente minori rispetto al gruppo normopeso (3.71 + 0.42 vs 6.06 + 1.98; p < 0.01). Nel gruppo dei pazienti con sovrappeso sono stati rilevati valori intermedi di tale rapporto (F/E 4.94 + 1.88). 135 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) te in 36 soggetti, mentre gli altri 30 ragazzi hanno evidenziato solo polimorfismi o nessuna mutazione. I soggetti con FH, pur nell’ambito di una variabile espressione fenotipica, presentavano valori di LDL significativamente più elevati di quelli con ipercolesterolemia poligenica (238.5 ± 38.8 vs 181.7 ± 49.9 mg/dl; p< 0.01). Il valore medio di FMD riscontrato negli adolescenti con FH non è risultato significativamente diverso né dai soggetti con ipercolesterolemia poligenica, né da quello dei soggetti di controllo (12.1 ± 17.6%; 10.0 ± 12.1%; 12.5 ± 2.7%, rispettivamente). Considerando come valore limite della normalità il più basso di quelli ottenuti nel gruppo di soggetti d controllo (7%), abbiamo però evidenziato come un’alterazione dei valori di FMD sia già presente nel 46.4% degli adolescenti con FH rispetto al 16.5% dei soggetti con ipercolesterolemia poligenica (p<0.05). Non è stata evidenziata nessuna correlazione tra FMD e profilo lipidico, mentre è risultato che i maschi presentano valori di FMD significativamente inferiori rispetto alle femmine. I nostri dati evidenziano come pazienti con fenotipo lipidico sostanzialmente sovrapponibile possano presentare un genotipo differente e suggeriscono come nei pazienti con indagine genetica negativa per alterazioni del gene LDL-R debbano essere indagate anche altre possibili mutazioni che coinvolgano Apo B100 ed Apo E. Inoltre i nostri risultati dimostrano che i soggetti con FH hanno una peggiore funzione vascolare sia rispetto ai coetanei con ipercolesterolemia poligenica sia ai coetanei sani, non apparentemente correlata al profilo lipidico. Dato che i soggetti con FH sono a maggior rischio di sviluppare precocemente malattie cardiovascolari, la valutazione della FMD può essere uno strumento utile per la stratificazione del rischio in pazienti adolescenti con FH, soprattutto per decidere circa l’inizio della terapia farmacologica già a partire dalla seconda decade di vita. Conclusioni. I nostri dati suggeriscono un’alterazione dello steady state tra F e E progressivamente ingravescente con l’incremento del peso corporeo. Tale rilievo potrebbe essere correlabile ad una disregolazione dell’attività dell’enzima 11β-HSD1 negli adolescenti con eccesso massa grassa. Diagnosi genetica e valutazione della funzione endoteliale in adolescenti affetti da ipercolesterolemia familiare (FH) B. Predieri1, R. Rossi2, P. Bruzzi1, A. Nuzzo2, G. Vellani1, V. Patianna3, D. Iaccarino2, E. Mazzali1, F. Balli1, S. Calandra4, M.G. Modena2, L. Iughetti1 Clinica Pediatrica1, U.O. di Cardiologia2, Dipartimenti Materno-Infantile1, Emergenza-Urgenza2 e Scienze Biomediche4, Corso di Laurea in Medicina e Chirugia3, Università di Modena & Reggio Emilia1-4, Modena L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria autosomica dominante del metabolismo delle lipoproteine causata dalla mutazione del gene codificante per il recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDL-R), clinicamente caratterizzata da elevati livelli di colesterolo e da xantomi ai tendini estensori delle mani, dei piedi e del tendine achilleo, che possono comparire già dalla seconda decade di vita. Anche in soggetti con mutazioni del gene per il recettore delle LDL esiste comunque un’ampia variabilità inter-individuale dei livelli di LDL, in relazione al tipo di mutazione ed al suo effetto sull’attività del LDL-R. Gli elevati livelli di LDL predispongono allo sviluppo della malattia aterosclerotica, determinando in questi pazienti una precoce morbidità e mortalità cardiovascolare secondaria a fenomeni ischemici miocardici. La diagnosi di FH, la cui conferma definitiva si ottiene mediante l’analisi genetica, in epoca adolescenziale si basa innanzi tutto sull’anamnesi familiare e sui dati di laboratorio essendo la clinica in genere non ancora presente. La disfunzione endoteliale rappresenta uno stadio precoce e reversibile dello sviluppo di aterosclerosi e può essere valutata, prima che compaiano cambiamenti morfologici, tramite la misurazione ecografica della dilatazione endotelio-mediata (FMD). Scopo del nostro studio è stato quello di individuare adolescenti affetti da FH e di valutare la presenza in questi ragazzi di segni subclinici di alterazione della funzionalità endoteliale Abbiamo selezionato 66 adolescenti (26 femmine) con anamnesi familiare e dati di laboratorio suggestivi per FH ed abbiamo eseguito il sequenziamento del promotore prossimale delle giunzioni esone/introne e dei 18 esoni del gene LDL-R per individuare i pazienti con difetto genetico. In tutti i soggetti è stata eseguita inoltre la valutazione della funzionalità endoteliale mediante misurazione ecografica della FMD. I dati ottenuti sono stati comparati a quelli determinati in un gruppo di controllo composto da 20 soggetti comparabili per sesso ed età. Mutazioni esoniche e mutazioni del promoter sono state riscontra- Total quality management: metodologia di valutazione della qualità assistenziale G. Romano1, G. Raiola2, M.C. Galati3 1 U.O.C. Servizio Informativo A.S. Provinciale di Catanzaro; 2U.O.S di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza – U.O.C. di Pediatria; 3 U.O.C. di Ematoncologia Pediatrica A.O. “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro Al giorno d’oggi si sente parlare di Qualità, a vario titolo ed a vari livelli; i dipendenti del SSN avvertono profondamente la naturale propensione alla Qualità, ma anche l’esigenza di compartecipare al processo di riorganizzazione dell’intero sistema sanitario. Quali responsabilità e quali opportunità per rivedere il percorso assistenziale in un’ottica di Total Quality Management? Il senso ed il motivo di questo lavoro, perciò, sta nella ricerca e nell’indagine della Qualità, nei suoi aspetti generali, soprattutto nei principi e fondamenti che animano tutta la prassi sanitaria, all’interno del nostro SSN, e nel definire una base comune di informazioni e definizioni che sostengono la qualità. La crescita della tecnologia e dell’informazione, la richiesta di trasparenza e di affidabilità pubblica ed i 136 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) limiti delle risorse umane e finanziarie obbligano ogni Stato membro dell’Unione Europea a descrivere e riformare il proprio sistema sanitario sulla base di standards (4), riconosciuti a livello internazionale, di struttura, processo, prestazione e risultati. Nel misurare la Qualità si incontrano delle difficoltà, in quanto dobbiamo trasformare “aggettivi di tipo soggettivo” in unità di misura che siano confrontabili e verificabili. A dispetto di queste difficoltà, è oramai tempo che gli Operatori del sistema sanitario riscoprano le motivazioni per il perseguimento della Qualità, soprattutto in ragione della competitività del mercato. Ecco l’importanza del ruolo manageriale nella promozione della Qualità al fine di esaminare efficacia ed efficienza dei percorsi e processi sanitari offerti all’Utente. Nell’ambito della complessità crescente delle organizzazioni sanitarie, i vari attori del sistema devono definire e sviluppare il proprio contributo in termini di Qualità all’interno delle equipe, in modo da orientare il proprio specifico professionale, considerandone la centralità, verso la persona. Questa è un’ipotesi di Know How basato su: competenza, autonomia ed organizzazione ed orientato a fornire l’input al cambiamento e alla realizzazione di un percorso organizzativofunzionale nella pratica clinica, volto al miglioramento continuo della Qualità (1). La qualità è un fenomeno multidimensionale, dinamico e dipendente da numerosi fattori correlati più o meno tra loro: la modalità con cui la prestazione viene erogata; il tipo di prestazione offerta; i risultati che ha prodotto; i costi che sono stati sostenuti per erogarla. Inoltre, la qualità dipende anche dalle preferenze e dalle aspirazioni delle persone cui si chiede di esprimere un giudizio. Di conseguenza, la qualità può essere considerata come risultante dalla combinazione di numerosi fattori, in parte oggettivi e in parte soggettivi, non sempre perfettamente concretizzabili, ciascuno dei quali partecipa, in misura diversa, a qualificare le prestazioni sanitarie. Tali fattori sono giudicati più o meno importanti in funzione dei punti di vista, dei gusti personali e delle circostanze in cui sono valutati. Il percorso di management della qualità nell’ambiente della salute, sebbene di recente diffusione, costituisce la strada per il successo nel miglioramento continuo della Qualità, perché consente un adeguato controllo in particolare degli errori medici fatali, sempre molto pubblicizzati (2). Alcune organizzazioni per la Qualità, insieme ad esperti della qualità provenienti dall’industria, hanno dato il via all’introduzione, in via sperimentale nel mondo della salute, del Management della Qualità. Questa sperimentazione è stata un successo ed ha dimostrato che il Management della Qualità può sortire gli stessi benefici del mondo industriale. Nonostante sia noto come l’adozione del Management della Qualità possa ridurre i costi e migliorare la Qualità prestazionale, pochissime organizzazioni sanitarie hanno la capacità di adottare questo sistema per ottenere un significativo vantaggio strategico. Infatti, soltanto il corpo di conoscenze che il Management della Qualità possiede può portare ad impostare una corretta equazione: Costi/Qualità/ Valore. Inoltre è necessaria la presenza di una Leadership forte, che sia in grado di traghettare l’organizzazione sanitaria verso il Management della Qualità. Affinché una transizione sia di successo, occorre che essa possegga almeno tre requisiti fondamentali: 1. Mantenere i valori della Medicina. Sebbene le pratiche dell’apprendimento scientifico classico siano oramai obsolete, esistono degli imperativi etici che debbono essere mantenuti assolutamente in vita anche nell’approccio scientifico al miglioramento della Qualità. 2. Creare ed implementare una cultura organizzativa adatta alla Qualità. È necessario che le organizzazioni sanitarie si impegnino per studiare strategie efficaci in grado di mantenere i valori storici della cultura della salute e, al tempo stesso, per creare nuove soluzioni che realizzino l’integrazione clinica richiesta per il miglioramento della Qualità. 3. Sviluppare concetti e pratiche per una nuova Leadership. Non ci si deve sorprendere se relativamente pochi Leaders hanno la capacità di comprendere e sperimentare il moderno Management della Qualità nei processi di cura. La letteratura che si ispira ad un vecchio stile di Leadership, basato sulla gerarchia e sul passaggio delle conoscenze top-down, non ha nessuno spazio nella rivoluzione in corso. Negli Stati Uniti, i rappresentanti della JCAHO visitano gli ospedali su richiesta e ogni tre anni per verificare se i requisiti proposti dalla JCI (Joint Commission International) siano stati raggiunti e mantenuti. In questo modo l’ospedale può essere accreditato parzialmente o totalmente (3). Attraverso programmi internazionali di sviluppo della Qualità dell’assistenza e servizi connessi all’accreditamento, la JCI persegue la qualità come fondamentale obiettivo della propria metodologia di accreditamento, anche attraverso i programmi di Continuos Quality Improvement, gestiti in forma sistematica e con una visione che tenga conto sempre della complessità aziendale e di tutte le sue componenti culturali e professionali. Non è immaginabile alcun percorso di miglioramento continuo della Qualità senza il coinvolgimento congiunto dei Responsabili clinici, infermieristici e gestionali dell’Azienda. L’approccio globale alla gestione e al miglioramento continuo della Qualità prevede cinque fasi: pianificazione strategica della Qualità aziendale; progettazione dei processi clinici e manageriali; monitoraggio del livello di funzionamento dei processi attraverso la raccolta di indicatori; analisi dei dati; implementazione e sostegno dei cambiamenti che generano miglioramento. Ciascuna di queste fasi prevede il coinvolgimento di alcuni Settori aziendali: la Pianificazione spetta al Management aziendale; la Progettazione deve essere guidata da esperti del settore; il Monitoraggio può avvenire soltanto attraverso “raccoglitori” opportunamente istruiti; l’Analisi (4) deve essere condotta da “lettori” competenti; lo sviluppo di programmi di miglioramento ritorna ai progettisti del sistema che ne riferiscono al Management aziendale. Queste differenti attività, nel loro ripetersi ed alternarsi, danno luogo ad un vero e proprio circolo della Qualità. I circoli di qualità costituiscono uno dei metodi maggiormente riconosciuti di applicazione della Qualità totale, come superamento dei difetti nei processi di lavoro in precisi contesti organizzativi, attraverso la partecipazione di tutti i componenti della organizzazione. Il circolo della Qualità vede riunirsi periodicamente un piccolo Gruppo di professionisti volontari che individua sistematicamente i problemi, li discute, li 137 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) insulinoresistenza in base all’indice HOMA-r. La prevalenza dei soggetti con insulinoresistenza risulta differente a seconda del criterio utilizzato: HOMA-r 4 n. 31 casi (43.6%) vs HOMA-r 95° percentile n. 49 casi (69%). La popolazione studiata è stata inoltre distribuita in classi arbitrarie di elevazione dell’ HOMA: < 3 n. 27; 3-5 n. 24; 5-8 n. 12; 8-11 n. 4; › 11 n. 4. Tali classi di distribuzioni dell’HOMA sono state messe anche in relazione con il BMI dei soggetti. analizza e trova soluzioni appropriate. Le soluzioni vanno presentate alla Direzione, che rappresenta il livello di governo che utilizza tali valutazioni. ≥ Bibliografia 1. Hamer S., Collison G., Evidence Based Practice - Assistenza Basata su prove di efficacia, Mc Graw Hill, Milano 2002. 2. Ranci Ortigosa E., La valutazione di qualità nei servizi sanitari, Franco Angeli, Milano 2000. 3. AMERICAN SOCIETY FOR QUALITY www.asq.org/healthcare/1102_meetings/past_present_and_future.pdf, Merry D. Martin, Crago G. Micheal, The present and future of health care quality in phycician executive, Settembe - Ottobre 2001 4. Pellegrini L. L’accreditamento delle strutture e dei servizi sanitari, in Monitor Elementi di analisi e osservazione dei sistemi salute. Rivista bimestrale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, n. 2/2002) www.assr.it La stipsi negli adolescenti (dati preliminari di un’indagine sulle caratteristiche dell’alvo e la prevalenza del fenomeno) L. Tarallo, M.A. Cascone, C. Alfaro, M. Borrelli U.O.C. di Pediatria. P.O.S. Leonardo- ASL NA5, Castellammare di Stabia (NA) Da una nostra indagine svolta somministrando un questionario a risposta multipla a 3932 adolescenti, 1676 femmine e 2256 maschi, età 13-20aa (media=16.1aa, mediana=15.9aa), reclutati in 10 scuole superiori dell’area fra Castellammare di Stabia e Sorrento(Napoli), risulta che il 6.9% h soffre al momento attuale di stipsi e il 6.30% di alvo alterno (in totale 13.2% ha problemi). Abbiamo cercato di individuare le differenze tra i soggetti con stipsi (gruppo A), quelli con alvo alterno(gruppo B) e quelli non stitici(gruppo C). Problemi urinari e dolori addominali sono presenti rispettivamente nel 12% e nel 47% del groppo A, nel 4.4% e nel 38% del B, vs il 2.4% ed il 4.8% del gruppo C. Storia di diarrea nel 37% del gruppo A, 33.3% del B, vs 15.8% del gruppo C. Il 7.4% del gruppo A ha riscontrato spesso sangue nelle feci, il 13.7% a volte, l’1.8% sempre, mentre nel gruppo B il 6% ha riscontrato a volte sangue nelle feci, e nessuno spesso; nel gruppo C, solo il 2.2% a volte e lo 0.2% spesso. Il 51.5% del gruppo A, il 64% del gruppo B,e il 34% del gruppo C considera cattive le condizioni dei servizi igienici della scuola e il 45% del gruppo A, il 49% del gruppo B, il 26% del gruppo C quelle della palestra (e il 47% del gruppo A , il 45% del gruppo B e il 21% del gruppo C se ne servirebbe di più se fossero migliori). Riguardo alla introduzione di acqua, nel gruppo A il 23% ammette di bere poco, e il 18% meno che in famiglia; nel gruppo B, il 7% dichiara di bere poco, e il 9.6% meno che in famiglia; nel gruppo C, solo il 6% berrebbe poco e l’11% meno dei familiari. Per quanto riguarda il consumo di frutta e verdura, nel gruppo A il 10% confessa di consumarne poca, e il 27% meno di quanto se ne consumi in famiglia; nel gruppo B, il 12% ammette di consumarne poca, e il 16% meno di quanto se ne consumi in casa; nel gruppo C, solo il 9% ne consumerebbe poca e il 20% meno dei familiari. Il 63% degli stitici e il 97% del gruppo ad alvo alterno non avrebbe trovato accoglienza medica al proprio problema, nonostante il 35% dei primi e il 16% dei secondi considerino la stipsi un problema che influenza la loro vita. Riteniamo importante proseguire l’approfondimento dei fattori che si associano alla stipsi negli adolescenti, dato l’impatto non trascurabile di questo problema sulla loro qualità di vita. Prevalenza di diabete mellito e altre alterazioni del metabolismo glucidico in adolescenti afferenti, negli ultimi 4 anni, al D.H. pediatrico dell’U.O. di pediatria del P.O. di Paola ASP di Cosenza A. Santelli1, G. Santoro1, G. De Martino1, B. Russo1, F. De Berardinis2, F. Imbroinise3, M. D’Andrea4 1 Dirigente Medico U.O. di Pediatria – P.O. di Paola – ASP di Cosenza; 2Dirigente Medico Servizio di Diabetologia – P.O. di Paola; 3Psicologa-Psicoterapeuta U.O. di Pediatria – P.O. di Paola; 4Assistente sociale U.O. di Pediatria – P.O. di Paola Sono state esaminate la tipologia e la frequenza delle varie forme di Diabete Mellito (DM) e di alterazioni del metabolismo glucidico in una popolazione non selezionata di adolescenti afferenti al Day Hospital della nostra U.O. negli ultimi 4 anni (gennaio 2005 luglio 2008), nell’ambito dell’attività di screening e inquadramento diagnostico dell’obesità e dell’iperglicemia occasionale e di terapia e follow-up delle suddette condizioni e del DM conclamato. Sono stati osservati: n. 35 pazienti con DM tipo 1, di cui n. 6 neodiagnosticati nel periodo indicato; n. 1 paziente con S. di Bardet-Biedl che ha sviluppato un diabete dalle caratteristiche metaboliche simili al DM tipo 2; n. 1 paziente insulinodipendente affetta da S. di Wolfram (DIDMOAD). Recenti studi dimostrano che la sensibilità insulinica, valutata mediante OGTT e calcolata con vari indici (Quiki, Hanson, Matsuda) e l’insulinoresistenza mediante HOMA, correlano in modo statisticamente significativo con il BMI e risultano essere significativamente più alterati nei soggetti con obesità grave. Pertanto sono stati elaborati i dati di 71 soggetti sottoposti a OGTT e sono stati individuati: n. 1 paziente con ridotta tolleranza glucidica (IGT) da sospetto MODY; n. 2 pazienti con DM tipo 2 (2.8%); n. 2 casi di IGT (2.8%); n. 3 casi di alterata glicemia a digiuno (IFG) glicemia 100 e 125 mg/dl (4.2%) ; un numero considerevole di soggetti con ≥ ≥ ≤ 138 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Abstract Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) Carcinoma papillare della tiroide in una paziente con sindrome di Turner e tiroidite di Hashimoto ra ad organizzazione follicolare. In corso gli studi di immunoistichimica. Conclusioni. La nostra esperienza, sebbene basata sull’analisi di un solo caso clinico, sottolinea ancora una volta che a) l’associazione fra tiroidite di Hashimoto ed isocromosoma della X non è casuale; b) un nodulo tiroideo in una paziente con ST è da guardare sempre con sospetto, in particolare quando coesista un altro fattore di rischio, quale l’Hashimoto; c) l’aumento di dimensioni dei noduli tiroidei sotto terapia tiroxinemica potrebbe costituire un ulteriore fattore di rischio; d) l’eventuale riscontro, anche in questo caso, di recettori per il GH da parte della neoplasia potrebbe confermare, dopo completamento degli studi di immunoistochimica, un ruolo dell’asse GH-IGF nella sua patogenesi. M. Valenzise, M.F. Messina, L. Calbo, T. Arrigo, S. Iannelli, G. Zirilli, F. De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche Medico-Chirurgiche, AOU Messina UOC Chirurgia Generale e Mininvasiva La sindrome di Turner (ST), una delle più comuni anomalie citogenetiche, è caratterizzata dalla completa o parziale monosomia del cromosoma X. L’incidenza è pari a 1:2000-2.500 soggetti di sesso femminile. Il rischio di cancro nelle pazienti con ST non è stato ancora chiaramente definito. Una recente revisione della letteratura (Lancet Oncol 2008; 9(3): 239-46) evidenzia un aumentato rischio di gonadoblastoma, meningioma, tumori cerebrali infantili, cancro alla vescica, melanoma, carcinoma uterino, ma di contro un diminuito rischio di cancro al seno. Il motivo di tale rischio potrebbe risiedere in fattori genetici e ormonali o negli effetti dei trattamenti ormonali praticati dalle pazienti. Il carcinoma papillare della tiroide è riportato in letteratura solo in pochissime pazienti con ST che erano state sottoposte a trattamento con ormone della crescita, e l’espressione di recettori per il GH da parte della neoplasia sembrerebbe sottolineare una possibile relazione tra l’asse GH-IGF e la patogenesi del tumore. L’incidenza di questa neoplasia in età pediatrica è pari a 0.020.3/100000 pazienti con età inferiore ai 16 anni e secondo i dati di una recentissima revisione del gruppo di studio della SIEDP la sua prevalenza nella popolazione pediatrica affetta da tiroide di Hashimoto sembra essere pari al 3%. Riportiamo il caso di una paziente affetta da ST, seguita presso il centro di Endocrinologia Pediatrica, che ha sviluppato nel corso del follow-up un carcinoma papillare della tiroide. La paziente è giunta per la prima volta alla nostra osservazione all’età di 11 anni per bassa statura ed ipertransaminasemia. La presenza di note fenotipiche fortemente indicative di ST (cubito valgo, pterigium colli, attaccatura a tridente dei capelli, numerosi nei cutanei) ci ha indotti ad eseguire un cariotipo che ha confermato la diagnosi 46 di Xi (Xq). Nel tentativo di migliorare la prognosi staturale, altrimenti pessima, la paziente veniva sottoposta a trattamento ormonale con ormone della crescita per 5 anni. All’età di 14 anni, a seguito del riscontro di una elevata positività degli anticorpi antitiroide e di una diffusa disomogeneità ecografica della ghiandola tiroidea, veniva posta diagnosi di tiroidite di Hashimoto ed avviata terapia con Ltiroxima sulla scorta di esami della funzionalità tiroidea compatibili con un quadro di ipotiroidismo. Il monitoraggio ecografico della ghiandola, dopo circa 10 anni dall’esordio della tiroidite, evidenziava la comparsa di formazioni nodulari che da pochi mm diventavano rispettivamente di 0.5 cm e di 1 cm. L’agoaspirato non ci forniva elementi sufficienti per differenziare un eventuale adenoma da un carcinoma follicolare. La paziente veniva pertanto sottoposta a tiroidectomia totale e l’esame istologico confermava la diagnosi di un carcinoma papillare pluricentrico, talo- Trattamento cronico con pamidronato in adolescenti con osteoporosi: effetti sullo stato minerale osseo e sulla prevalenza di fratture F. Vierucci, L. Galli, S. Ghione, G.I. Baroncelli, G. Saggese U.O. Pediatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa L’osteoporosi è una condizione che colpisce non solo l’adulto ma anche il bambino e l’adolescente. L’esperienza clinica ed il suo trattamento sono ancora molto limitati. Il trattamento con bisfosfonati sembra essere molto promettente. Nel presente studio sono stati valutati gli effetti del trattamento con pamidronato sullo stato minerale osseo e la prevalenza di fratture in pazienti affetti da varie forme di osteoporosi. Pazienti e metodi. Sono stati esaminati 12 pazienti (9 M e 3 F; età 12.4±4.2 aa) affetti da osteoporosi idiopatica giovanile (n=3) o forme secondarie (tetraparesi spastica da paralisi cerebrale infantile, n=4; m. di Menkes, n=1; sindrome polimalformativa, n=2; m. di Gaucher, n=1, artrite idiopatica giovanile in terapia corticosteroidea, n=1). All’ingresso dello studio 10/12 pazienti (83%) avevano presentato almeno una frattura (totale fratture n=28, media 2.3±2.1). I pazienti sono stati sottoposti a trattamento con pamidronato e.v. (Aredia) ogni 4-6 mesi (0.5-1 mg/kg per 3 gg) e Ca gluconato 10% e.v. (0.5-1 ml/kg). Lo stato minerale osseo è stato misurato a livello delle falangi prossimali della mano mediante ultrasonografia quantitativa (QUS; DBM Sonic BP, IGEA) e a livello delle vertebre lombari e del collo femorale mediante densitometria ossea a doppio raggio-X (DXA, Lunar-GE, Prodigy). I valori dei parametri densitometrici sono stati espressi come Z-score rispetto ai valori di riferimento per l'età ed il sesso. Risultati. all’ingresso dello studio tutti i pazienti avevano un ridotto stato minerale osseo (-3.5±1.1 Z-score). La terapia (4.3±1.1aa) determinava un miglioramento dello stato minerale osseo anche se i valori densitometrici rimanevano ridotti (verte- 139 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 6, n. 2, 2008 (Suppl. 1) secondario mai trattato, che si è presentato al nostro Centro a causa di G bilaterale e dolente. I dati anamnestici erano negativi per assunzione di farmaci che possono indurre G. L’esame obiettivo confermava la presenza di G ed ipogonadismo: assenza di segni di androgenizzazione periferica e ridotto volume testicolare (4 cc) senza palpabili alterazioni strutturali. Il quadro ormonale era compatibile con HH e confermava un ridotto rapporto T / E2. L’ecografia testicolare metteva in evidenza una massa solida ed eterogenea nel contesto del testicolo sn e la microlitiasi testicolare in entrambi testicoli. Il paziente è stato sottoposto ad orchiectomia sn con conferma istologica di Leydigoma ben capsulato. Dopo l’intervento nel paziente è stata avviata la terapia sostitutiva con T enanthate con successiva normalizzazione del rapporto T / E2 e riduzione significativa della G. In questo paziente la G dolente era un sintomo chiave per la diagnosi preclinica del Leydigoma in soggetto con aumento rischio di tumore testicolare da azospermia. Questo caso dimostra anche l’importanza e l’utilità della ecografia testicolare in caso di G, soprattutto quando l’esame obiettivo della regione inguinoscrotale non è rilevante. bre lombari: BMDarea -1.7±1.1, p<0.001; BMDvolume 1.2±1.2, p<0.02; falangi della mano: AD-SoS -1.3±1.1, p<0.01; BTT -1.3±1.0, p<0.001). I valori a livello del collo femorale non subivano variazioni. La prevalenza di fratture diminuiva durante il follow-up (totale fratture n=8, media 0.7±0.7, p<0.03 vs valori all’ingresso). Non era evidente alcuna correlazione tra dose totale, dose per kg, durata della terapia e parametri densitometrici o prevalenza delle fratture durante il follow-up. In 10 pazienti (83%) si è presentata febbre associata ad una sindrome simil-influenzale durante il primo ciclo di terapia; in 3 pazienti tale sintomatologia è comparsa anche durante il secondo ciclo di terapia. Un paziente ha presentato tetania durante il primo ciclo di terapia, in prima giornata, prima dell’infusione del calcio gluconato, e discinesie transitorie facciali e a carico degli arti superiori. Nessun paziente ha mostrato episodi di tetania a domicilio. Due pazienti hanno lamentato artralgie agli arti e alla colonna cervicale della durata di 3-5 gg, trattate con ibuprofene. Durante il follow-up non sono state rilevate alterazioni ematologiche, epatiche, renali o oculari, né alterazioni della crescita staturale. Nessun paziente ha presentato lesioni del tessuto dentario e/o del parodonto o osteonecrosi delle ossa mascellari. Commenti. Il trattamento cronico con pamidronato è in grado di ridurre la prevalenza di fratture in adolescenti affetti da varie forme di osteoporosi con un parziale recupero dello stato minerale osseo, senza determinare l’insorgenza di effetti indesiderati importanti. Tuttavia, la terapia con bisfosfonati deve essere riservata a casi selezionati ed effettuata in centri specialistici. Inoltre, tutti i pazienti trattati con bisfosfonati devono essere sottoposti ad un accurato e prolungato follow-up per l’individuazione di potenziali effetti indesiderati a lungo termine. Uso non convenzionale della metformina in un adolescente non obeso con acanthosis nigricans diffusa e isolata M. Wasniewska, F. Lombardo, G. Salzano, T. Aversa, S. Iannelli, F. De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche , Università di Messina Oggetto di questa presentazione è un ragazzo giunto per la prima volta alla nostra osservazione all’età di 11.5 anni per eccesso di peso del 60% che si associava al quadro di acanthosis nigricans (AN) diffusa. Con il trattamento dietetico appropriato si è risolto l’eccesso ponderale persistendo, tuttavia, la condizione di AN diffusa. L’OGTT ha confermato la presenza di iperinsulinismo con normale tolleranza glucidica. Sono state escluse altre possibili cause di AN. All’età di 14.3 anni, alla luce del grave disagio psicologico causato dall’AN, è avvato un trattamento sperimentale con Metformina (dose 1000 mg/die) allo scopo di ridurre l’iperinsulinismo e di conseguenza l’AN. Durante il suddetto trattamento è stato osservato un notevole, progressivo miglioramento della melanodermia e delle altre alterazioni dermatologiche, con totale regressione dell’AN dopo 8 anni di terapia. Il quadro metabolico ha dimostrato una sensibile riduzione nel tempo dell’indice di resistenza periferica insulinica (da 4.5 a 0.5), con concomitante aumento significativo dell’indice di insulino-sensibilità (da 2.6 a 4.7). Questo caso dimostra che la Metformina può rendere possibile la risoluzione totale dell’AN diffusa e isolata. Questo tipo di uso non convenzionale di Metformina, in casi selezionati, necessita di un stretto follow-up del metabolismo glucidico. Ginecomastia di origine incerta: sintomo chiave del tumore testicolare M. Wasniewska, G. Raiola1, T. Arrigo, M.C. Galati2, F. Lombardo, G. Birilli, G. Ascenti, F. De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina 1 Unità di Auxoendocrinologia, Ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro 2 Unità di Ematologia Pediatrica, Ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro La ginecomastia (G) è una condizione la cui prevalenza è stata valutata intorno a 60-90% in epoca neonatale, 50-60% in epoca puberale e più del 70% in età senile. Il principale responsabile di questa patologia è uno squilibrio nel metabolismo di testosterone ed estrogeni con riduzione del rapporto testosterone (T) / estradiolo (E2). Nella maggior parte dei casi la G è una condizione benigna parafisiologica o indotta dai farmaci. Ma può essere anche una “spia” di diverse patologie come tumore testicolare (si riscontra in 3 % dei pazienti con G). Presentiamo il caso di un giovane adulto (35 anni) con βThalassemia intermedia ed ipogonadismo ipogonadotropo (HH) 140 ORGANO UFFICIALE DIRETTORE SCIENTIFICO Vincenzo De Sanctis (Ferrara) COMITATO DI REDAZIONE Silvano Bertelloni Giampaolo De Luca Bernadette Fiscina Giuseppe Raiola Tito Livio Schwarzenberg COMITATO EDITORIALE Antonietta Cervo Salvatore Chiavetta Michele De Simone Teresa De Toni Piernicola Garofalo Maria Rita Govoni Carlo Pintor Luigi Ranieri Giuseppe Saggese Calogero Vullo INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD Magdy Omar Abdou Mujgan Alikasifoglu Hala Al Rimawi Thaana Amer Mike Angastiniotis German Castellano Barca Yardena Danziger Oya Ercan Helena Fonseca Daniel Hardoff Christos Kattamis Nogah Kerem Karaman Pagava Praveen C. 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