Numero 2 - Caritas Italiana
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Numero 2 - Caritas Italiana
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 2 - WWW.CARITASITALIANA.IT POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA marzo 2006 Italia Caritas CAMBIA IL SERVIZIO CIVILE. SENZA SCORDARE LA PACE I GIOVANI CHE SERVONO ENCICLICA BENEDETTO XVI E L’AMORE CHE CAMBIA IL MONDO IRAQ VIAGGIO TRA I CRISTIANI IN FUGA DA UN PAESE STREMATO BALCANI LUTTI, DIVISIONI E TRATTATIVE: DOVE VA IL KOSOVO? sommario ANNO XXXIX NUMERO 2 Mensile della Caritas Italiana Organismo Pastorale della Cei viale F. Baldelli, 41 00146 Roma www.caritasitaliana.it email: [email protected] IN COPERTINA Una giovane in servizio civile con un ragazzo utente di un centro socio-educativo. La nuova stagione del servizio è ancora quasi per intero al femminile. Ma non “arruola” solo studentesse foto Elena Gagliardi Italia Caritas direttore Don Vittorio Nozza direttore responsabile Ferruccio Ferrante coordinatore di redazione editoriale di Vittorio Nozza FREQUENTARE LA STORIA, AMARE IL PROSSIMO SENZA LIMITI Paolo Brivio in redazione editoriale di Vittorio Nozza FREQUENTARE LA STORIA, AMARE IL PROSSIMO SENZA LIMITI parola e parole di Giovanni Nicolini I MERCANTI SCACCIATI DALLA MALATTIA DELL’AMORE paese caritas di Renzo Gradara I MIRACOLI ATTORNO A NIMAL E I BENEFICI DEL COLLABORARE verso verona di Giancarlo Cursi IL SERVIZIO AI FRATELLI? DEVE ESSERE AMOREVOLE Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Giuseppe Dardes, Marco lazzolino, Renato Marinaro, Francesco Marsico, Francesco Meloni, Giancarlo Perego, Domenico Rosati 3 5 progetto grafico e impaginazione Francesco Camagna ([email protected]) Simona Corvaia ([email protected]) 6 stampa Omnimedia via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm) Tel. 06/7989111 - Fax 06/798911408 7 nazionale ROBA DA STUDENTESSE? NO, IMPEGNO CHE MATURA di Fabrizio Cavalletti e Pietro Gava dall’altro mondo di Chiara Mellina DIRITTI UMANI, SULLA CARTA NON BASTANO di Paolo Pezzana, Cinzia Neglia e Oliviero Forti database di Walter Nanni contrappunto di Domenico Rosati sede legale viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma tel. 06 541921 (centralino) 06 54192226-7-77 (redazione) 8 offerte 12 13 Paola Bandini ([email protected]) tel. 06 54192205 inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie arretrate 17 18 Marina Olimpieri ([email protected]) tel. 06 54192202 spedizione speciale enciclica in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) art.1 comma 2 DCB - Roma Autorizzazione numero 12478 dell’8/2/1969 Tribunale di Roma 19 testi di Salvatore Ferdinandi e Giovanni Perini panoramacaritas SAN MASSIMILIANO, “MICRO”, GEORGIA progetti SOSTEGNO AI MISSIONARI 23 24 Chiuso in redazione il 17/2/2006 AVVISO AI LETTORI internazionale INSICURI E IMPOVERITI: IRAQ, DEMOCRAZIA STREMATA di Silvio Tessari e Pietro Boni guerre alla finestra di Diego Cipriani ORFANO E LACERATO, DOVE VA IL KOSOVO? testi e foto di Francesco Gradari casa comune di Gianni Borsa “EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ, USIAMO MEGLIO LE FONTI” di Stefano Lampertico contrappunto di Alberto Bobbio agenda territori villaggio globale 26 Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas. 30 31 La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può trattenere fino al massimo del 5% sulle offerte per coprire i costi di organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione. Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite: 35 36 ● Versamento su c/c postale n. 347013 ● Bonifico una tantum o permanente a: - Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 conto corrente 11113 Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 Bic: CCRTIT2T84A - Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 conto corrente 10080707 Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 Bic: BCITITMM700 ● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 541921 (orario d’ufficio) Cartasì anche on line, sul sito www.caritasitaliana.it (Come contribuire) 39 40 44 ritratto d’autore di Jerzy Kluger LOLEK E JUREK PROMOSSI: «SIAMO FIGLI DELLO STESSO DIO» 47 io è amore. Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Così l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera. E così Benedetto XVI comincia la sua prima enciclica, Deus caritas est. Non può sfuggire a nessuno l’estrema attualità di questo testo teologico. Il richiamo del papa alla centralità dell’amore, alla passione per l’amore, all’identificazione tra amore e caritas, alla sua forza e alla sua mitezza. Da Dio alle sue creature e da una creatura a un’altra, l’amore segue due a collocarci, attraverso la contemplazione del volto di Cristo, nei crocevia delle contraddizioni e delle fragilità di ogni uomo. Frequentare e abitare la vita, il territorio e la storia: ma accanto alla risposta di solidarietà immediata, giocata forse più sull’onda di un’emozione che sul sentiero ordinario della carità, c’è un tessuto comunitario ancora fragile, una conflittualità che continuamente riemerge. La carità chiede di dipercorsi di luce: un percorso che ventare esperienza quotidiana di rescende e risale da Dio e verso Dio; un La prima enciclica lazione, compagnia, condivisione, altro, circolare, che avvolge in un abdi papa Benedetto presa in carico. Un annuncio del braccio comunitario l’umanità, tutti richiama la centralità vangelo che non tocca, non giudica e ciascuno, senza distinzione di razza dell’amore, forza che lega e non interpella la vita è sfasato e e fede. Perché viene prima della fede. Dio all’uomo e gli uomini dissociato dalla realtà. Benedetto XVI non usa un linin un abbraccio “Avevo fame... avevo sete... Ogni guaggio allusivo. Entra nell’attualità comunitario.Ne consegue volta che avete fatto questo al più di questi giorni e quasi di queste ore. un invito a operare, piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a Dentro “un mondo in cui al nome di che abbia per orizzonte me”. Occorre fermare l’attenzione su Dio viene collegata la vendetta e perun ordine mondiale quell’avverbio temporale: ogni volfino il dovere dell’odio e della violenta. Questi passaggi del Signore viciza”. L’amore cristiano non è solidano a noi sono momenti-occasioni di rietà generica, tanto meno semplice elemosina, ma nuovo modo di essere, senso profondo del vita scomodi, disturbanti il nostro quieto vivere. Se inconostro essere impastati di amore e gratuità, stile di vita, do- minciamo ogni volta a dire sì, la nostra vita cambia, dino di amore nella reciprocità, per incidere sul costume e venta linguaggio visibile e testimonianza, parla anche al sulla vita personale, comunitaria e sociale. L’amore è pros- cuore e alla vita degli altri. Solo attraverso questa solidasimità, nel senso più ampio e comprensivo della fraternità rietà di base è possibile segnare l’intera nostra esistenza umana. Frutto della comune paternità divina, per cui dav- di carità e quindi renderla linguaggio visibile e vivo per vero “ogni uomo è mio fratello”. Al suo diritto di essere trat- gli altri, che coniuga necessità di intervento e volontà di tato come tale, corrisponde il mio dovere di non sottrargli animazione, in alcuni fondamentali impegni, attraverso nulla della sua dignità, in una circolarità di gratuita reci- i quali la persona e la comunità dice se stessa al territoprocità che non può conoscere limiti, perché al cristiano è rio. È un traguardo di chiesa faticoso, che chiede di aiuchiesto di amare l’altro comunque, senza precisazioni di tare la comunità cristiana a recepire la testimonianza di simpatia o inimicizia. È la ragione per cui il precetto della carità come parte integrante dell’unica missione di carità risulta incomprensibile, persino innaturale. evangelizzazione; per riflesso, garantisce alle attività ca*** ritative realizzate ufficialmente dalla chiesa la dignità di Il vangelo della carità ci invita a incontrare volti e storie, attività pastorali. “D I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 3 editoriale parola e parole di Giovanni Nicolini Collaborare “sulle cose buone” La coscienza cristiana è chiamata a confrontarsi con le sfide del tempo presente, avendo come riferimento essenziale il dovere di amare il prossimo. Se umanizzare e amare la vita è il compito della comunità cristiana, ne consegue la necessità di un discernimento a proposito di dottrine e atti. È il discorso giovanneo della collaborazione “sulle cose buone”. L’incontro con gli uomini e le donne di buona volontà va perseguito senza confusioni, ma con grande fiducia. Per quanto i percorsi siano e restino differenti, non si può negare che esistono intrecci positivi di valori e di intenzioni, che possono far crescere la coscienza della fraternità. Il confine, allora, passa tra chi si fa carico del destino dell'uomo e chi ad esso rimane indifferente. Cambieranno i termini. Si parlerà di solidarietà o di coesione sociale, ma la diversità delle parole non ostacola il tragitto da fare insieme. Sapendo, con Teilhard De Chardin, che “quanti guardano all’uomo finiranno con l’incontrarsi”. *** Il comandamento “amerai il prossimo tuo come te stesso” non ha limiti di applicazione. La figura che il samaritano incontra sulla via di Gerico non corrisponde soltanto alla gente delle aree della miseria e della fame, ma anche agli uomini, alle donne, alle famiglie dei paesi più ricchi, quando essi si chiudono in un egoismo che non comprende i loro doveri mondiali. Per corrispondere a tale obbligo di carità è necessario costruire tra tutti gli uomini di buona volontà, e in un contesto di dialogo permanente, comuni codici d'impegno: la persona umana è inviolabile, la libertà dell'uomo non si compra e non si vende, tutte le persone umane sono uguali per dignità, tra tutti deve stabilirsi una reciproca solidarietà. Se a tali principi ci si richiama in modo coerente, ne consegue un debito operativo molto vasto che – nonostante il senso di impotenza – conduce a non aver paura di muoversi nell’orizzonte di un ordine e di un governo mondiali. Sul piano sociale si tratta di incidere sulle strutture da cui derivano fame, indigenza, guerre, disoccupazione di massa e di lavorare per un mondo in cui i diritti umani non siano offesi. Sul piano culturale si tratta di mettere a frutto i valori delle culture e delle tradizioni, non per proclamare identità esclusive, ma per stabilire un pluralismo orientato alla cooperazione. Sul piano internazionale si tratta di rimettere all’ordine del giorno l’idea di una vera comunità dei popoli, non solo come garante ma come promotrice di una pace durevole, nella quale l’uso della forza sia sottratto alla sovranità dei singoli stati e conferito a un’autorità imparziale e legittima, da costruire attorno alle Nazioni Unite come autentica espressione dei popoli e non solo degli stati. Sul piano economico si tratta di ottenere il massimo risultato e la miglior distribuzione della ricchezza, senza sfruttamento del lavoro e nella salvaguardia della natura, che va sottratta al saccheggio degli interessi individuali. Allora grazie, papa Benedetto, che ci hai ricordato con gioia che Deus caritas est. ‘‘ Il confine passa tra chi si fa carico del destino dell’uomo e chi vi rimane indifferente. Cambiano le parole, ma “quanti guardano all’uomo finiranno con l’incontrarsi” ’’ 4 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 I MERCANTI SCACCIATI DALLA MALATTIA DELL’AMORE Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio (…). I discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divora”. (Giovanni 2, 13-17) ella singolare cronologia del Vangelo secondo Giovanni, l’incontro di Gesù con i mercanti del Tempio è la prima memoria della presenza del Signore alla Pasqua ebraica a Gerusalemme. Noi ascoltiamo queste parole nella terza domenica di Quaresima. Una tradizione che a me sembra enfatica attribuisce alla “cacciata dei mercanti del tempio” una specie di concessione del Cristo alla violenza. Questa lettura, in ogni caso da ridimensionare, è del tutto deviata quanto al testo di Giovanni. Ci troviamo davanti a un episodio “violento”, ma il contenuto N dote. La profezia ha vegliato nei secoli sul Tempio, affinché il sacrificio delle primizie e degli agnelli non si annullasse in un gesto formale privo di partecipazione interiore. Un bene da morire L’antico Salmo recitava: “Tu non hai voluto sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... allora ho detto: io vengo”. Ecco dunque, nella dirompente del gesto di Gesù si colpienezza del tempo, il Signore che loca a livelli ben più profondi. viene. Questo diventa la sorgente delGesù si scaglia contro È meglio considerare il gesto del la nostra nuova vita: non adempichi profana il Tempio. Signore quasi come una liturgia di menti esteriori che assolvano il noMa il significato straordinaria portata storica e spiristro dovere religioso, ma comunioneprofondo non sta tuale. Nel testo di Giovanni, anzitutpartecipazione al sacrificio del Figlio. nella violenza dell’atto, to, manca la citazione che qualifica Liturgia nuova e mirabile, promossa bensì nello “zelo” come “ladri” i venditori di buoi, pedall’invito di Gesù: “Amatevi come io per la casa del Padre: core e colombe; si fa invece memoria vi ho amati”. Liturgia pasquale, che il vero sacrificio del versetto del Salmo 69: “Lo zelo per genera e sostiene la grande liturgia per la salvezza la tua casa mi divora”. Che cosa è avdella vita di ogni discepolo di Gesù. dell’umanità lo compie venuto quel giorno all’ingresso del Ammonizione preziosa per la nostra il Figlio nel suo Corpo quotidiana diaconìa verso i fratelli più Tempio? Il cambiamento radicale del piccoli: emerge l’esigenza radicale rapporto con Dio, in piena adesione alle promesse e alle profezie di Israele. La fine di ogni ipo- che ogni segno di carità esprima la nostra comunione con tesi di offerta e sacrificio dell’uomo a Dio, e la piena rive- Colui che ha dato se stesso per noi, facendo anche del più lazione del vero sacrificio per la salvezza dell’umanità: il piccolo gesto una celebrazione della nostra vita offerta. sacrificio d’amore che il Figlio di Dio celebra nel suo corQuaresima diventa allora tempo prezioso di converpo come principio di vita divina per tutta l’umanità. sione all’Amore. Se la Croce fosse solo dolore non sarebbe “Dio è Amore”, ricorda il papa nella sua prima encicli- salvezza. La Croce è prima di tutto amore. Un’espressione ca. Quello che la storia dei padri ebrei ha preparato deve popolaresca dice: “Ti voglio un bene da morire”. Gesù ci ora essere compiuto. Devono scomparire i segni degli an- ama appassionatamente: fino alla Passione! Perchè, come tichi sacrifici e dev’essere manifestato l’Amore di Dio nel- la donna del Cantico dei Cantici, è “malato d’amore”! la Croce del Figlio. “Lo zelo per la tua casa mi divora”, e il Questa malattia è contagiosa e pericolosa: d’amore si Figlio si consuma nell’Amore per l’intera umanità. Il nuo- muore. Per fortuna, o per Grazia, il Signore Gesù ce l’ha atvo Tempio è il suo Corpo, insieme altare, vittima e sacer- taccata. Con Lui moriamo, e con Lui risorgeremo. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 5 paese caritas verso verona di Renzo Gradara direttore Caritas Rimini di Giancarlo Cursi I MIRACOLI ATTORNO A NIMAL E I BENEFICI DEL COLLABORARE imal è un cingalese arrivato in Italia da più di vent’anni. Passato in molte città, si è stabilito a Rimini. All’inizio ha trovato lavoro con facilità, per la giovane età e la conoscenza delle lingue. Poi un’abbiente signora, attempata e separata, si è invaghita di lui e lo ha portato a casa sua, come “tuttofare”. Dopo alcuni mesi, però, lo ha trasferito al piano terra, in una camera vicino al garage; poi lo ha messo fuori casa. Nimal ha cominciato a darsi all’alcol e a dormire sulle panchine del parco, alla stazione, in qualche casa abbandonata. N sull’onda della solidarietà. Liberate dall’oppressione In questi ultimi anni, sotto l’impulso del Gruppo di lavoro diocesano, si sono costituite alcune Caritas interparrocchiali, una dozzina, che mettono insieme operatori delle Caritas parrocchiali di un territorio omogeneo, a volte di uno stesso comune o di una medesima zona pastorale. Se Quando beveva diventava violento. è vero che le parrocchie “devono acOrmai tutti i preti e le Caritas parquisire la consapevolezza che è finiUn immigrato cingalese rocchiali della città lo conoscevano. to il tempo della parrocchia autosuffinisce sulle panchine Il centro di ascolto della Caritas ficiente”, le Caritas interparrocchiali del parco, ma poi decide diocesana ha iniziato a prospettarcostituiscono un’efficace palestra di di tornare a casa. gli la possibilità di tornare a casa. collaborazione pastorale. PermettoPer aiutarlo le Caritas Quando ragionava era d’accordo, no, inoltre, di potenziare il centro parrocchiali cominciano ma il giorno dopo, nei fumi dell’ald’ascolto, che qualifica una Caritas e a collaborare. rende più efficienti i servizi. col, inveiva contro gli operatori, i Una lezione: La presenza di operatori pastorali quali, tuttavia, hanno costruito una la dimensione di più parrocchie fa diventare le Carirete con i parroci e le Caritas della interparrocchiale tas interparrocchiali “strutture nuove città per un comportamento comupuò dare ottimi frutti per la missione e condivisione dei cane, finalizzato a convincere Nimal. rismi”, rendendo più facile seguire la È stata l’occasione per conoscersi, scambiarsi informazioni sullo Sri Lanka e sulla comu- formazione spirituale e “professionale” degli operatori nità cingalese a Rimini, iniziare una raccolta per il bi- stessi, curando la “formazione del cuore”. Le Caritas interglietto, coinvolgendo persone e associazioni cittadine. parrocchiali offrono inoltre la possibilità di conoscere meLo tsunami ha definitivamente convinto Nimal a tor- glio i problemi di un territorio ampio, diventando interlonare a Colombo. Dopo alcuni mesi mi ha scritto che, cutrici autorevoli delle istituzioni. La rete di collegamento rientrato a casa, ha smesso di bere. Pare sia vero, non ci fra Caritas interparrocchiali permette all’osservatorio delresta che pregare “santa dura”. Ha fatto due richieste: la Caritas diocesana di essere l’unica realtà in grado di ofduemila euro per comprare un Ape a tre ruote per fare il frire dati reali sull’emigrazione e la presenza irregolare taxista e alcune grandi immagini di Padre Pio. La rete del- nella provincia. Le Caritas parrocchiali, infine, liberate le Caritas parrocchiali della città si è attivata per il taxi. In- dall’oppressione della distribuzione di vestiario e alimenvieremo anche le riproduzioni sacre, se il cappuccino di ti, sono più disponibili a seguire le famiglie in difficoltà del Pietrelcina, santo dal miracolo facile, non ha già provve- territorio e soprattutto a svolgere bene il compito di eduduto da solo. Intanto una manciata di fatti miracolosi so- care la comunità alla carità. no avvenuti: Nimal non beve più, è nato in lui l’interesse Insomma, la solidarietà cambia la vita. E può rinnoreligioso e alcune parrocchie hanno collaborato tra loro vare le nostre parrocchie. 6 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 IL SERVIZIO AI FRATELLI? DEVE ESSERE AMOREVOLE «Q uesta sua creatura gli è cara, perché appunto da Lui stesso è stata voluta, da Lui “fatta”. (...) Questo Dio ama l’uomo». Papa Benedetto, nella sua enciclica, ci conduce alla scoperta della gioiosa realtà che fa di ogni persona, che la sperimenta nella propria vita, un naturale e fervente testimone per tutti fratelli che incontra. «L’eros di Dio per l’uomo (…) è insieme totalmente agape – scrive ancora il pontefice –. Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci. (...) Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo modo di amare facendo percepire all’altro di essere amato: nell’ascolto paziente, nell’accompagnamento premuroso, nel conforto e nell’incoraggiamento. Profonda revisione Alle affettività tradite e alle disattenzioni al bisogno di affetto che, a partire dai disagi delle famiglie, si riversano impietosamente su chi soffre, è fesuscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci rito, oppresso o disperato, soprattutfa vedere e sperimentare il suo amore to nelle attuali condizioni di vita e di L’affettività è luogo e, da questo “prima” di Dio, può colavoro della società, la testimonianza cruciale per incontrare, me risposta spuntare l’amore anche della carità da parte della chiesa può oltre ai giovani, molti in noi. (...) Allora imparo a guardare portare un dono fondamentale: un adulti feriti nelle loro quest’altra persona non più soltanto servizio amorevole, anche nei suoi relazioni e vicende con i miei occhi e con i miei sentiaspetti più contenitivi o correttivi, famigliari.La Chiesa menti, ma secondo la prospettiva di quando l’altro resiste o si ribella a ciò italiana ci riflette. Gesù Cristo. Il suo amico è mio amiche può aiutarlo a crescere e a riscatco. Al di là dell’apparenza esteriore tarsi dal male. Con una certezza:il dell’altro, scorgo la sua interiore atteUna profonda revisione di molti fratello non solo va amato, sa di un gesto di amore, di attenzione; servizi promossi dalle nostre comuma deve sentirsi amato nità e dello stile con cui sono espressi lo vedo con gli occhi di Cristo e posso dagli operatori ci chiede di dare spadare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di zio e concretezza a un amore che, come specifica San Paoamore di cui egli ha bisogno». lo, «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Davanti al disagio del fratello, alle sue povertà, spesso La dimensione affettiva, via maestra per incontrare i estreme, non possiamo accontentarci di esprimere un giovani e i bambini, ma anche gli adulti feriti nelle vicende servizio, sia pure attento, operoso e promozionale: la sua familiari, nelle relazioni sul posto di lavoro o nel rifiuto e sete più profonda è sete di acqua viva. È sete di affetto, e nello stigma sociale, offre ai testimoni della carità un’opproprio sull’affettività la Chiesa italiana si appresta a in- portunità speciale di incontro e condivisione che, di riflesterrogarsi (è uno degli ambiti di riflessioni codificati dal so, può allargare la misura del loro cuore. A ogni fedele, porcammino preparatorio) in vista del Convegno ecclesiale, tatore di vangelo nella quotidianità e nel territorio, si rivolin programma a ottobre a Verona. Ogni fratello ha bisogno ge ancora la riflessione del papa: «Devono essere quindi di “sentirsi” amato, di un amore fedele, personale, vivifi- persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cante. Di scoprire, attraverso l’incontro con noi, che un cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risveglianPadre Dio si impegna per la sua felicità e piena realizza- dovi l’amore per il prossimo. Il criterio ispiratore del loro zione. Ha bisogno di ricevere amore nella dimensione del- agire dovrebbe essere l’affermazione presente nella seconl’amorevolezza, che già per San Francesco di Sales era il da lettera ai Corinzi: “L”amore del Cristo ci spinge”». I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 7 nazionale servizio civile Il nuovo ruolo delle regioni: perplessità sul doppio binario ROBA DA STUDENTESSE? NO, IMPEGNO CHE MATURA di Fabrizio Cavalletti foto di Elena Gagliardi no sport da signorine (coraggiose)? In un certo senso. Ma non perché a occuparsene I SOLDI CONTANO debbano essere solo ragazze con tanta buona volontà e molto tempo da regalare. Il NON Una giovane nuovo servizio civile nazionale assume una fisionomia sempre più precisa. Anche e so- in servizio prattutto quello svolto in Caritas da migliaia di giovani italiane, che ne hanno messo a a Milano in un centro fuoco le potenzialità oblative, formative e di “addestramento civico”, mentre resta da per minori. Molte ragazze rafforzare la connessione con i valori universali della pace e del ripudio della violenza. scelto Caritas Italiana ha organizzato, il 9 e 10 febbraio scorsi, un Forum sul servizio civile, nel corso avrebbero il servizio del quale sono stati presentati i risultati di un lavoro di ricerca sul servizio civile in Caritas. La ricer- anche in assenza ca prova a tracciare un profilo generale dei giovani e delle giovani che hanno svolto il nuovo servi- di compenso zio nelle Caritas diocesane italiane tra dicembre 2001 e febbraio 2005. Si tratta quasi esclusivamente di donne, per due terzi provenienti dal sud Italia e dalle isole, età media 23,3 anni, disoccupate o, in misura un po’ inferiore, studentesse universitarie. Mentre si lavora a un rafforzamento dell’ancora residuale presenza maschile, il nuovo servizio civile non ap- Presentata una ricerca sulla pare come un’esperienza “solo per studentesse universitarie”, come molti prevedevano al momento della riforma fisionomia del nuovo servizio civile della leva. Le fasce sociali coinvolte sono diverse: accanto in Caritas. È ancora un’esperienza a chi studia, vi è un numero ancora più grande di diplomate non occupate, in fasce di età anche piuttosto alte, quasi esclusivamente femminile. che optano per il servizio civile non solo per mancanza di Ma coinvolge diverse fasce sociali. lavoro (il 68% delle non occupate dichiara che avrebbe E non resta un’isola, nel percorso scelto il servizio civile anche in assenza di un compenso economico, così pure il 76% delle studentesse). Vi è anche personale di crescita una quota di laureate, che nel corso del servizio cresce in modo significativo. Poche sono le giovani occupate: il fortemente impegnate. Da questo punto di vista, il servizio nuovo servizio civile sembra precluso a questa fascia di civile non rappresenta una sorta di “isola della solidarietà”, persone, in assenza di un sistema di incentivi che ne favo- ma forse un’opportunità di impegno diversa dalle consuerisca l’accesso. te quanto a retribuzione, tipo di servizio, situazione degli utenti. Il servizio svolto viene comunque valutato in geneUtili nel disagio re in modo molto positivo; per il 70% l’esperienza è stata I motivi principali che hanno condotto alla scelta del ser- molto significativa, al termine di essa il 66% delle ragazze vizio sono “vivere nuove esperienze e relazioni umane si- pensa di rimanere in contatto con la Caritas e l’81% con il gnificative” (71%) ed “essere utili a chi vive nel disagio” centro operativo nel quale ha prestato servizio. (52%): il servizio civile appare come una scelta non immeNella seconda parte della ricerca emerge un’ampia didiatamente legata a interessi professionali. Conta, però, versificazione della tipologia dei centri, sia per quanto nel tempo lasciato libero dal servizio, il fatto di poter pro- concerne l’ambito di attività sia per quanto concerne la tiseguire gli studi e i propri impegni di volontariato e lavoro. pologia di rete in cui è inserito. Gli ambiti di impiego preI dati descrivono le ragazze in servizio come persone valenti sono il disagio adulto (la rete dei centri di ascolto) e U 8 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 i minori, seguono anziani e disabili, quindi altre categorie (tossicodipendenti, malati di Aids, malati psichici, detenuti, donne vittime di violenza e ragazze di strada, osservatori delle povertà, botteghe del mondo). Emerge inoltre che per circa un terzo si tratta di centri che non hanno avuto obiettori di coscienza, confermando l’ipotesi che il servizio civile nazionale non è stato la mera continuazione del servizio civile degli obiettori, ma che grazie ad esso si sono attivati anche nuovi centri operativi. Il servizio civile nazionale ha indotto le Caritas a promuovere nuove alleanze e aprire a nuovi attori, permettendo lo sviluppo di nuovi centri. Si configura, insomma, un servizio civile ricco e pluridimensionale, che coinvolge soggetti e bisogni nuovi rispetto alla stagione dell’obiezione di coscienza. La Finanziaria 2006 ha sforbiciato i fondi destinati dal bilancio dello stato al nuovo servizio civile nazionale, portandoli a poco meno di 208 milioni di euro, dieci in meno di quelli previsti dalla programmazione triennale (che già comportava una riduzione, rispetto ai 224 stanziati per il 2005). In servizio, quest’anno, ci potranno entrare solo 35 mila giovani: pochini, rispetto ai 108 mila posti richiesti dagli enti e alle 80 mila richieste avanzate dai giovani all’ultimo bando. In futuro i vincoli finanziari riproporranno, verosimilmente, situazioni simili: il servizio civile dovrà cercare strade parallele per potenziare la sua offerta. Una di queste è già consentita dalle normative sul servizio civile volontario, però è ancora poco sfruttata. Ogni regione può infatti decidere di istituire un servizio civile regionale. Le regioni, nell’acquisire poteri di organizzazione e attuazione del servizio civile nazionale, diventano punti di riferimento per l’accreditamento degli enti che svolgono la propria attività in ambito esclusivamente regionale e provinciale. Enti regionali sono considerati quelli che conducono progetti in non più di tre regioni oltre a quella dove hanno la sede legale. Anche le attività di formazione possono essere gestite dalle regioni o da enti convenzionati con esse. Soprattutto, però, le regioni possono approvare leggi che regolino, allo stesso tempo, l’attuazione della normativa statale e l’istituzione del servizio civile regionale, o che istituiscano un servizio civile regionale distinto da quello nazionale. Nella seconda ipotesi, possono individuare settori di impiego diversi da quelli previsti dallo stato, aprire il servizio a cittadini stranieri e cambiare i requisiti di ammissione, cioè “reclutare” anche anziani, adulti, disoccupati e minori di 18 anni, oltre ai giovani dai 18 ai 28 anni. In forme differenti, il servizio civile regionale è stato istituito da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Marche. «Quelle consentite alle regioni sono strade non alternative – spiega Ivan Nissoli, responsabile del servizio civile di Caritas Ambrosiana, che ha approfondito il problema all’interno del coordinamento nazionale Caritas –, ma la coesistenza di questi due strumenti desta qualche perplessità sul piano organizzativo, oltre che da un punto di vista giuridico». I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 9 nazionale servizio civile Ancora San Massimiliano? L’eredità dell’obiezione resta viva Il 12 marzo si ricorda il martirio del primo obiettore di coscienza. Festa attuale? Il nuovo servizio civile deve molto alla vecchia stagione... na vita che non serve non serve alla vita”: con una frase di don Tonino Bello si apre, il 12 marzo, giorno in cui si fa memoria di San Massimiliano, martire per obiezione di coscienza al servizio militare, l’incontro nazionale dei giovani in servizio civile in Caritas. Quest’anno all’incontro, previsto a Trani, per la prima volta ci saranno solo i giovani del servizio civile nazionale, non gli obiettori si coscienza, che con il 2005 hanno terminato il loro servizio civile. E allora, perché san Massimiliano? Perché, come insegnava proprio don Bello, nella “Chiesa del grembiule” o, parafrasando, nel “grembiule della Chiesa” sta la sostanza della pace, nei gesti quotidiani di amore verso il prossimo e soprattutto verso i poveri sta la costruzione della giustizia. Il servizio civile volontario affonda le sue radici nell’obiezione di coscienza, proprio perché nei suoi gesti quotidiani si oppone a ogni violenza e costruisce la pace. Questa eredità ideale dell’obie- “U zione di coscienza ha assunto significati più ampi e più ricchi, che riguardano la missione stessa della Caritas. Attraverso il servizio civile, essa ha infatti rafforzato il legame con i giovani e il territorio, ha sviluppato nuovi servizi e ha potenziato gli esistenti, ha avvicinato i giovani e i loro mondi di provenienza ai disagi del territorio. Il servizio civile non è stata solo un’esperienza educativa per i giovani o un mezzo per potenziare i servizi, ma ha rappresentato uno strumento attraverso cui la Caritas ha adempiuto la sua missione di educazione della comunità. Attenti al prima e al dopo A partire da questa riflessione sull’eredità sostanziale che l’obiezione di coscienza lascia al nuovo servizio, a Roma il 9 e 10 febbraio Caritas Italiana e le Caritas diocesane hanno fatto sintesi del percorso avviato per costruire nuovi elementi fondativi del servizio civile in Caritas. Considerando l’esperienza dal 2001 a oggi, emerge una rappresen- Mattia ha scelto pace e servizio: prima obiettore, poi casco bianco Un giovane a cavallo tra vecchio e nuovo: dopo l’impegno in un centro di accoglienza a Modena, il lavoro con i minori “sotto vendetta” in Albania nuove forme di servizio, che la stagione successiva alla leva obbligatoria propone. di Pietro Gava l decreto legge del 30 giugno 2005 ha concluso in modo definitivo la storia dell’obiezione di coscienza nel nostro paese. Il patrimonio culturale cresciuto in 33 anni, dal 1972 al 2005, continua però a dare frutti e a svilupparsi nelle esperienze di servizio civile in Italia e all’estero. Mattia Bellei, 28 anni, uno tra gli ultimi obiettori di coscienza, è oggi un casco bianco: impegnato in Albania, ha tratto dalla scelta per la nonviolenza e la pace le motivazioni per affrontare una delle I 10 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 Mattia, quando hai scelto di diventare obiettore di coscienza? È stato un percorso cominciato tramite alcune letture, maturato attraverso incontri ma soprattutto dopo alcuni viaggi in Africa. Toccare con mano alcune situazioni è stata una tappa fondamentale nella mia crescita. Poi, due anni fa, ho svolto il mio servizio da obiettore a Modena, al centro di accoglienza Porta Aperta, in una struttura desti- tazione dello stesso come “bene comune”, che riguarda diversi soggetti: varie categorie di giovani, con motivazioni plurali e provenienti da contesti sociali differenti; varie realtà sociali del territorio; centri operativi di varia natura. Questo dato rappresenta un primo tratto fondativo del servizio civile nazionale, che introduce il secondo elemento, l’attenzione alle situazioni di marginalità. Come dire che al centro del nuovo servizio civile, oltre che i giovani devono esserci i territori e i loro disagi. Un terzo elemento è l’aspetto formativo: attraverso il contatto con i problemi sociali del territorio e un accompagnamento formativo costante i giovani sperimentano un’occasione di crescita umana importante. Un quarto punto è la dimensione comunitaria, ossia la possibilità di sperimentare un’esperienza di relazione, nel servizio e nei momenti formativi, attraverso il lavoro di équipe con gli altri volontari e con gli operatori dei centri. Un ultimo elemento è l’attenzione e la cura del prima e del dopo servizio. Le Caritas sono chiamate a interagire con gli interessi e le prospettive dei giovani e i loro mondi di provenienza, al fine di ampliare i canali che orientano alla scelta del servizio civile, e a individuare percorsi che li aiuti- no a valorizzare l’esperienza, una volta terminata. Questa attenzione implica anche un nuovo modo di vedere il servizio civile nella chiesa: non più un’esperienza solo di alcuni enti ecclesiali, ma di tutta la comunità. Diventa allora fondamentale costruire luoghi diocesani, in cui i vari attori (Caritas, altri uffici pastorali e Azione Cattolica) pensino e promuovano insieme il nuovo servizio. Infine, tenendo conto anche delle restrizioni in termini numerici causati dai ridotti stanziamenti governativi, occorre vedere il servizio civile all’interno di progettualità pastorali più ampie, finalizzate all’educazione dei giovani al servizio, alla cittadinanza e alla pace, dove accanto al servizio civile vengono formulate altre proposte (anche più flessibili). EREDITÀ DI PACE Giovani volontari in Etiopia. Oggi il nuovo servizio civile deve trovare una continuità coi valori dell’obiezione nata ai minori stranieri. Un operatore mi aveva segnalato il bisogno di “manodopera”. È stata un’esperienza dura, ho dovuto imparare a rapportarmi con ragazzi di un’estrazione sociale bassa, con una cultura diversa dalla mia. Come hai conosciuto l’esperienza dei caschi bianchi? Concluso il servizio civile Paolo Roboni, operatore della Caritas modenese, mi parlò della possibilità di svolgere un’esperienza di volontariato all’estero. Mi sarebbe piaciuto partire per l’Africa, non solo per il fascino del continente nero, ma perché da cinque anni mi reco in Burkina Faso e Benin con altri amici; nel corso del tempo si è costituito un gruppo informale, che sostiene la costruzione di strutture sanitarie e civili. Caritas Italiana mi ha però proposto di andare in Albania e non mi sono tirato indietro. Spero che questo servizio sia un trampolino per lavorare nel mondo della cooperazione. Quali sono i tuoi compiti in Albania? Sono impegnato nell’associazione albanese “Ambasciatori di pace”. Mi occupo di promuovere il servizio alternativo rispetto a quello militare. C’è una legge sul servizio civile in Albania, ma è misconosciuta. Poi, con una camionetta, accompagno nei villaggi le maestre dai “bambini sotto vendetta”, potenziali vittime di faide familiari, che vivono chiusi in casa per timore di essere uccisi. L'associazione si batte per la loro alfabetizzazione e per far riconoscere i loro percorsi di istruzione al governo albanese. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 11 nazionale nazionale dall’altro mondo rapporto sull’italia DIRITTI UMANI, SULLA CARTA NON BASTANO DONNE DA TUTTO IL MONDO: ATTIVE, ISTRUITE, SOTTOIMPIEGATE di Chiara Mellina di Paolo Pezzana immigrazione femminile, fenomeno ancora scarsamente studiato, non rappresenta una novità nel panorama internazionale. A livello mondiale, fin dal 1960, l’incidenza femminile sulla popolazione migrante si è mantenuta su valori superiori al 46,6%. Valori prossimi al 50% non indicano però necessariamente un equilibrio di genere in tutte le comunità migranti: secondo i dati registrati dalle Nazioni Unite nel 2004, le donne migranti risultano il 48,8% della popolazione migrante mondiale, ma per alcune comunità nazionali la presenza femminile raggiunge anche incidenze del 70-80%. congiungimenti familiari, alcune comunità superano notevolmente l’incidenza media nazionale (39.1%): sia Pakistan che Bangladesh facevano registrare valori superiori al 92%, mentre Egitto, Macedonia, Cuba e Tunisia oscillavano tra l’81% e l’89%. Nel 2004, sul totale dei migranti assunti, le donne rappresentavano il 41% delle assunzioni a tempo determinato e il 36% assunzioni a tempo In Italia il rapporto tra uomini e indeterminato. L’inserimento avviedonne migranti risulta pressoché ne in prevalenza nel settore della colRappresentano paritario. Negli ultimi 13 anni la laborazione familiare (collaboratrici circa la metà presenza femminile è aumentata domestiche e assistenti domiciliari). dei migranti mondiali. del 6,4%, dal 42% del 1991 al 48,4% Le donne migranti figurano come Anche in Italia, del 2004. Anche in questo caso, per un segmento dinamico e attivo del in quindici anni, una lettura più approfondita, il damercato del lavoro, sono molto sono passate dal 42% to va disaggregato (per paese di istruite, sottoimpiegate e ricoprono al 48,4%.Metà di loro provenienza, classi d’età, durata del una fascia d’età medio-giovane. È ha un permesso soggiorno, titolo di studio, tipologia un’immigrazione che non può essere di soggiorno per motivi di soggiorno) e soprattutto conteconsiderata appendice di quella madi lavoro.Ma continuano stualizzato nel momento storico, schile, ma risorsa per i paesi di accoa subire discriminazioni culturale, sociale ed economico in glienza e vettore di sviluppo per le cui avviene la migrazione. aree di provenienza, soprattutto grazie al contributo economico delle rimesse. Molte dall’Europa dell’est Nei confronti delle donne, tuttavia, persistono comNel 2004 le migranti regolarmente soggiornanti in Italia portamenti discriminatori (lavoro nero, retribuzioni rierano 1.350.000; il 50,2% aveva un permesso di soggiorno dotte, assegni di maternità negati, ecc.). Anche loro, come per motivi di lavoro e il 39,1% per ricongiungimento fa- del resto tutti i migranti presenti in Italia, subiscono le remiliare. Le comunità più rappresentate erano quelle dei strizioni di una normativa deficitaria, in cui i diritti sono paesi dell’est europeo: Romania (119.228), Ucraina subordinati al possesso di un permesso di soggiorno, una (95.407) e Albania (89.625); seguono le donne marocchi- “permanenza a tempo determinato”. Gli esiti delle politine (70.153), polacche (49.182), filippine (46.906) e cinesi che migratorie applicate in nazioni di antica tradizione (44.719). Quanto ai motivi di soggiorno, le prime tre co- immigratoria suggeriscono di proporre politiche inclusive munità per il lavoro subordinato erano Ucraina, Romania (salute, casa, partecipazione politica, ricongiungimento e Filippine; per il lavoro autonomo Cina, Romania e Ma- familiare), perché quelle non inclusive sono destinate a rocco; per motivi di famiglia Albania, Marocco e Roma- fallire. La tutela dei diritti di ogni individuo risponde infatnia; per motivi di studio Albania, Usa e Giappone; per mo- ti a un’esigenza di solidarietà umana e, contemporaneativi religiosi India, Spagna e Filippine. Nell’ambito dei ri- mente, a una logica di tutela della salute della società. L’ 12 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 algrado il livello in genere elevato di protezione dei diritti umani offerto dalla sua legislazione, l’Italia contribuisce tuttavia notevolmente a determinare il sovraccarico di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo. È infatti il quinto stato per il numero di ricorsi dinanzi alla Corte ed è il primo in termini di condanne. Inoltre, è il paese che registra il numero maggiore di mancata esecuzione delle sentenze”. Questa impietosa considerazione apre il Rapporto di Alvaro Gil-Robles, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, pubblicato a metà dicembre e relativo alla sua visita in Italia, tenutasi dal 10 al 17 giugno 2005, di cui restituisce una sintesi alIl Consiglio d’Europa ha reso noto il suo Rapporto larmante e un’istantanea molto chiara. Il nostro paese conosce bene, e in molsullo stato di applicazione dei diritti umani ti ambiti, la contraddizione tra ottime leginei paesi del continente.In Italia le note dolenti slazioni e prassi discutibili, tipica del “preriguardano soprattutto psichiatria, immigrazione, dicare bene e razzolare male”. Il campo dei diritti umani, almeno a stare al Rapporto carceri:leggi positive, ma applicate male Gil-Robles, non sembra fare eccezione. Il tema è grave e ha profonda rilevanza civiINCAPACI DI le e sociale; siamo europei, aderiamo (da ACCOGLIERE Sbarchi di promotori) alla Convenzione europea dei stranieri sulle coste siciliane diritti dell’uomo (Cedu), non è lecito sottovalutare le questioni sollevate dal rapporto né liquidarle come fastidiose intromissioni di Bruxelles nei nostri affari interni. Il Commissario europeo, grazie anche alla collaborazione prestata dalle istituzioni italiane, pur valutando positivamente l’impegno dell’Italia in molti campi, solleva importanti temi sociali e politici, di cui evidenzia gli aspetti sotto il profilo della tutela dei diritti umani: lentezza della giustizia, gravi carenze dei sistemi carcerario e psichiatrico, mancanza di una disciplina sul diritto d’asilo, difficoltà di inserimento sociale poste agli immigrati e alla comunità rom, situazione drammatica del Cpt di Lampedusa, mancanza di un’istituzione nazionale per i diritti dell’uomo, mancanza di una pluralità effettiva nel controllo dei mezzi di comunicazione. Sono questioni conosciute e più volte denunciate anche da Caritas, specie nelle materie di sua competenza. ELENA MARIONI “M Cultura dell’accoglienza Gil-Robles avanza, a conclusione del rapporto, un’ampia serie di raccomandazioni specifiche all’Italia, affinché riI TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 13 nazionale rapporto sull’italia muova gli ostacoli che la rendono inadempiente rispetto alla Cedu e alla sua stessa Costituzione. Il governo italiano ha fornito a Bruxelles ampie e motivate argomentazioni sulla bontà della nostra legislazione e sugli sforzi in atto, ma esse di fatto confermano quanto rilevato dal Commissario. Resta l’urgenza di provvedere, e servono misure che in larga parte rientrano fra quelle politiche sociali delle quali si avverte da più parti la carenza. L’esigenza fondamentale è restituire piena centralità alla persona nell’ordinamento e “dare gambe” a una vera cultura dell’accoglienza dell’altro, della relazione come arricchimento reciproco, che vince la paura, supera le barriere, accende la solidarietà, spinge all’integrazione. Si tratta di uno sforzo prima di tutto culturale, che va supportato non solo dallo stato centrale, ma anche dalla società civile e dai singoli cittadini, con particolare attenzione al ruolo che nella formazione della loro opinione giocano i mezzi di informazione pubblica. In questo senso ha ragione il governo quando, nel replicare alle osservazioni di Gil-Robles, scrive che “l’Italia ritiene che il vecchio modello per cui lo stato è l’unico guardiano dei diritti dei suoi cittadini è or- mai superato”; tale compito spetta a tutti, ognuno deve fare responsabilmente la sua parte. Purché questo non significhi, come troppe volte si è già visto in Italia, che su queste questioni in fondo si possono anche chiudere gli occhi, perché tanto qualcuno prima o poi ci penserà. Un diritto sospeso è un diritto di carta, e le persone in difficoltà dei diritti di carta non sanno proprio cosa farsene. INTERNATI, PIÙ CHE CURATI Psichiatria: pochi centri diurni, ospedali giudiziari senza uscita Il Rapporto del Consiglio d’Europa e le repliche del governo italiano sono reperibili on line all’indirizzo internet ww.coe.int/T/E/Commissioner_H.R /Communication_Unit/Documents /By_country/Italy/index.asp Le norme italiane in tema sono le più avanzate al mondo. Ma in molti territori mancano strutture residenziali. E i sei Opg fanno detenzione, più che cura di Cinzia Neglia L 14 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 e la loro organizzazione. Lo stesso Rapporto Gil-Robles sembra dare per scontata la presenza di un numero sufficiente di Centri di salute mentale e la loro apertura almeno dodici ore al giorno per sei giorni a settimana. Ma l’esperienza insegna che così non accade; non sempre si può usufruire di un Csm con quella disponibilità di tempo; d’altro canto i Centri diurni, previsti nel Pon e primo gradino per la reinclusione nella società, sono inesistenti in alcuni territori, e addirittura in alcuni casi non sono previsti tra i servizi del Dipartimento di salute mentale (Dsm). Prevenire il trattamento Una riflessione appare doverosa anche in riferimento a un altro nodo, il trattamento sanitario obbligatorio (Tso), previsto dagli articoli 33-34-35 della legge 833/78 (che istituisce il sistema sanitario nazionale). Nelle situazioni in cui la cura, il rapporto tra servizi e paziente e le attività di prevenzione sono realmente attuati, si verifica un’incidenza marginale di Tso. Quando vi si ricorre, sovente uno dei due medici chiamati in causa nel proporre o convalidare il trattamento è uno psichiatra, anche se la legge non lo richiede espressamente. Si tratta di una buona prassi, che però non deve far dimenticare la necessità, spesso disattesa nel nostro paese, di impegnarsi a prevenire i Tso. Ben più complessa e tragica è un’altra realtà, ampiamente affrontata da Gil–Robles: quella degli ospedali psichiatrici giudiziari, ai quali nel Rapporto è dedicato ampio spazio, con osservazioni generalizzate a partire dalla ti tra malato e famiglia, difficoltà a individuare strutture residenziali in cui inserire la persona internata. Sostenere le famiglie ALBERTO MINOIA o scarto tra un’ottima legislazione e la mancanza della sua applicazione è certamente una caratteristica dell’Italia e l’ambito della psichiatria non rappresenta un’eccezione. La legislazione italiana in tema di salute mentale è considerata all’avanguardia in Europa e nel mondo; l’Italia è il primo paese ad aver abolito gli ospedali psichiatrici, la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) considera le nostre leggi un modello di riferimento. Si potrebbe dunque supporre l’esistenza di una diffusa ed efficace attenzione alle persone malate di mente, ma così non è. Il Rapporto Gil-Robles evidenzia alcuni nodi esistenti nella prassi di applicazione delle leggi; altri sono noti a quanti (operatori, familiari, pazienti, volontari) ogni giorno li affrontano nella propria esperienza di disagio o di lavoro. Parlare di salute mentale e di diritti porta a fare riferimento alla legge 180 e a tutti i tentativi di revisione. Il dibattito è così spostato, di frequente, su un piano ideologico, che poco favorisce la garanzia dei diritti dei malati, primo fra tutti il diritto alla cura e, in essa, all’accoglienza, al reinserimento sociale e alla restituzione della dignità personale. Ma il nodo non è la regola, bensì la sua applicazione. Il riferimento normativo, a questo proposito, è il Decreto del presidente della repubblica del novembre 1999, meglio noto come Progetto obiettivo “Tutela salute mentale” (Pon), al cui interno sono definiti con precisione i servizi chiamati a prendere in carico e curare il malato di mente visita a uno dei sei Opg attualmente operanti in Italia. Il testo del commissario europeo esprime preoccupazione, già nelle osservazioni generali, sulle condizioni e sui criteri di detenzione negli Opg. Inoltre ricostruisce l’iter che conduce all’internamento ed evidenzia il sovraffollamento delle strutture e le difficoltà ad abbandonare quelle strutture, assimiliate con chiarezza alla detenzione e non alla cura. Un’indagine del Dipartimento amministrazione penitenziaria aveva evidenziato, in passato, che reato commesso, sua pericolosità e diagnosi del caso non sono correlate con la durata dell’internamento negli Opg, la quale è piuttosto un effetto della difficoltà di reinserimento della persona nel territorio di appartenenza. Questa difficoltà scaturisce da differenti fattori: il Dipartimento di salute mentale di appartenenza oppone resistenza alla presa in carico di un soggetto che si considera turbolento, interruzione dei legami burocratici (e non) con la realtà di origine, assenza di fatto dei familiari o di contat- Una residenza diversa dalla propria casa d’origine sarebbe in effetti a volte indispensabile per permettere alla famiglia di superare le proprie difficoltà nel riaccogliere il congiunto ricoverato-detenuto in un Opg. Emerge qui, come in altri ambiti della psichiatria, la necessità di sostenere non solo i malati, ma anche le famiglie, senza strumentalizzarle come troppo spesso avviene. In ogni caso appare pericoloso affermare che gli Opg in Italia sono poco numerosi, attribuendo a questo fatto le difficoltà di reinserimento sociale, che in quest’ottica sarebbero causate dalla lontananza del malato dal territorio di appartenenza. E ingiustificata appare anche la scarsa enfasi attribuita dal Rapporto alla sentenza 253/2003 della Corte costituzionale, la quale, di fatto, invita i giudici a non internare i malati negli Opg, ma a individuare soluzioni alternative. Quale deve essere dunque l’impegno da assumere per garantire la tutela dei diritti dei malati? Riguardo alla specifica realtà degli Opg, occorre anzitutto rendere note a giudici e avvocati sentenze come quella emessa dalla Corte costituzionale e aiutarli a individuare soluzioni alternative di alloggio e cura. In generale occorre poi renI TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 15 nazionale nazionale esclusione politiche database sociale sociali rapporto sull’italia dere disponibili risorse umane e finanziarie, affinché le possibilità di cura per i malati siano reali e rese fruibili da tutti, applicando leggi a cui tutto il mondo guarda con interesse: a cominciare dalla realizzazione di centri diurni (alla cui realizzazione sono chiamati tutti, sistema sanita- rio, enti locali, privato profit e non profit) e di strutture residenziali (previste dal Pon) che garantiscono nel medio e lungo periodo assistenza e riabilitazione, e che restituiscano al malato la dignità che è di ogni persona, accompagnandolo alla maggiore autonomia possibile. Cpt con garanzie inadeguate, asilo senza una legge organica Nell’ambito dell’immigrazione, il rapporto europeo evidenzia lacune risapute. Unica nota positiva: la legislazione contro la tratta di esseri umani di Oliviero Forti on posso immaginare quali debbano essere state le condizioni di promiscuità e di sovraffollamento al momento di questi arrivi massicci”. Sono queste le parole del commissario Gil Robles in seguito alla sua visita a Lampedusa al Centro di permanenza temporanea e di accoglienza. La situazione che ha osservato è apparsa desolante e costituisce uno degli argomenti più delicati dell’ampio quadro descritto dal Commissario per i diritti umani relativamente al delicato e controverso tema dell’immigrazione e dell’asilo. Dalla lettura del rapporto non emergono grandi novità. Quantomeno, non si apprende nulla più di quanto già non si sapesse o di quanto la Caritas avesse denunciato in altre occasioni. È vicenda nota, d’altronde, quella delle tristi condizioni in cui si versano i Cpt, incapaci di contenere e gestire i frequenti flussi di immigrati irregolari. In alcuni casi, la totale mancanza di garanzie per i cittadini stranieri soggetti a misure restrittive è stata evidenziata come elemento di grave preoccupazione, rispetto al quale si chiedono maggiori tutele, soprattutto sul fronte legislativo. Non va meglio per quanto riguarda il tema dell’asilo. “L’Italia è uno dei rari stati membri del Consiglio d’Europa a non disporre di una legge organica sull’asilo”, sentenzia il Rapporto Gil-Robles. I nodi da sciogliere sono ancora molti: tra essi la necessità di ridurre al minimo il trattenimento dei richiedenti asilo (e solo nei casi strettamente necessari); la necessità di prevedere un secondo grado di giudizio durante la procedura ordinaria di esame della richiesta d’asilo, che abbia effetti sospensivi sull’al- “N 16 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 lontanamento; la necessità di garantire l’esame di ogni singolo caso, per permettere allo straniero giunto in Italia di avanzare richiesta d’asilo. Politica di incontro e mediazione Più in generale, il commissario Robles si è detto soddisfatto della politica italiana in materia di ingresso dei lavoratori stranieri, pur evidenziando l’opportunità di un sistema di quote che “corrisponda pienamente ai reali fabbisogni dei datori di lavoro”. Rimangono, invece, serie perplessità circa le procedure per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, che in molti casi vengono realizzate in tempi eccessivamente lunghi. Una nota positiva che il Rapporto mette in luce riguarda invece il fenomeno della tratta di esseri umani da avviare alla prostituzione, alla pedofilia, ad altre attività criminose. Rispetto a questo tema, Gil-Robles evidenzia che “l’Italia dispone di un corpus legislativo adatto a tutelare le vittime e perseguire i membri delle reti della tratta, per molti aspetti superiore alle esigenze minime previste dalle norme europee”. In definitiva il Rapporto scatta una fotografia tutto sommato veritiera della situazione italiana, rispetto alla quale Caritas si sente di aggiungere un ulteriore elemento di riflessione. L’Italia – porta d'ingresso all’Europa per molte persone provenienti da Africa e Asia – deve rafforzare una politica di incontro e di mediazione con i paesi da cui provengono gli immigrati, in particolare quelli dell’Africa maghrebina, che oltre a essere un serbatoio di lavoratori immigrati sono anche importanti aree di transito verso la sponda nord del Mediterraneo. ITALIANI A RISCHIO ALFABETICO, MOLTI ADULTI A BASSA SCOLARITÀ di Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana Il quadro dell’analfabetismo in Italia rimane problematico, come mostrano i dati relativi al possesso dei titoli: la maggioranza assoluta della popolazione in piena età adulta (3059 anni) versa in condizioni di bassa scolarità. A livello nazionale, il 34,6% della popolazione in età superiore a quella dell’obbligo scolastico (più di 15 anni), si trova in una situazione di analfabetismo o di scarsa competenassieme a Cile, Slovenia, Polonia e za alfabetica. Tra i giovanissimi (15-19 Portogallo. In Germania, Danimarca, anni) si rileva un 4% di esclusi, che non Nel nostro paese vivono Olanda, Norvegia e Svezia la quota di hanno neppure raggiunto il titolo delcirca due milioni adulti nel primo livello di rischio alfal’obbligo; tra i giovani adulti (20-29 andi persone “analfabete betico non supera invece il 18%, con ni) oltre un terzo non va oltre il titolo di funzionali”. E la media punte molto basse in Svezia (11%). licenza media; tra gli adulti veri e prodei soggetti che Dal rapporto Isfol 2005 e dall’inpri (30-59 anni) si constata la presenza rischiano dagine Ials-Sials 2000, risulta che vi di quasi il 20% di soggetti con, al più, la l’analfabetismo sono in Italia circa due milioni di perlicenza elementare. è superiore a quella sone analfabete funzionali. L’analfaIl livello più basso di competendei paesi avanzati. betismo funzionale, o illetteratismo za alfabetica (incapacità o gravi difAnche i giovani non sono di base, riguarda persone che, pur ficoltà nel leggere testi in prosa: artiesenti dal fenomeno avendo avuto una formazione scolacoli di giornale, annunci, lettere, stica di base, non sono in grado di racconti, ecc.) coinvolge il 15,4% dei leggere e scrivere compiutamente, in quanto tali attività 16-25enni; il 21,9% dei 26-35enni; il 32,2% dei 46-45ensono del tutto assenti nella pratica della vita quotidiana. ni; il 46,9% dei 46-55enni; il 63,5% dei 56-65enni. Oppure perché, per il tipo di lavoro svolto, tali persone L’esistenza di quasi un terzo di popolazione in piena età non hanno mai avuto bisogno di leggere o scrivere. adulta (26-45 anni) a rischio alfabetico e di un’area pari al 50% di giovani con un livello di competenze alfabetiche Formazione compromessa elementari (appena sufficienti ad escludere l’analfabetiGli analfabeti funzionali italiani hanno un’età media tra smo) indica l’urgenza di iniziative di recupero della capai 16 e i 65 anni e corrispondono al 5,4% della popolazio- cità linguistica e suscita dubbi sulla capacità del sistema ne di tale classe di età: sono oltre 2 milioni di persone. scolastico italiano di garantire standard qualitativi accettaEnormi ritardi nell’istruzione primaria sono presenti bili. La possibilità di successo delle iniziative di formazione soprattutto nelle generazioni vissute prima del 1964: se ed educazione per gli adulti è compromessa dallo scarso liinfatti fra gli italiani di età compresa tra i 16 e i 45 anni il vello informativo sulle stesse iniziative: dalle ricerche Isfol tasso di analfabetismo funzionale rientra nella media si apprende che il 56% degli italiani non sa indicare orgaeuropea, per la fascia 46-65 il disagio giunge a coinvol- nizzazioni pubbliche o private che forniscono informaziogere 1.400.000 persone. ni o orientano a percorsi formativi per adulti. analfabetismo e il rischio alfabetico non sono fenomeni del passato. Ancora oggi, nei paesi occidentali e industrializzati, la popolazione ad alto rischio alfabetico (primo livello di rischio) è compresa fra un ottavo e un quarto del totale; se aggiungiamo anche un “medio” rischio alfabetico (secondo livello), si raggiunge e si supera il 50% della popolazione adulta. L’Italia rientra tra i paesi industrializzati in cui la presenza di persone nel primo e secondo livello di rischio alfabetico è molto superiore alla media, L’ I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 17 nazionale deus caritas est POLITICA SOTTRATTA AGLI AFFARI, LA “GRANDE OPERA” DEL DOMANI di Domenico Rosati on mi è mai piaciuta la par condicio del malaffare. Me ne sono ricordato in questo inizio del 2006, segnato da vibranti polemiche sulla “questione morale” e sulla superiorità etica, vera o presunta, di una parte politica sull’altra. Con un corollario equivoco: quello che recita che siccome tutti “prendono”, ci si deve accomodare allo stato delle cose. In effetti le storie – al plurale – della corruzione in Italia si perdono nella notte delle contese tra Giolitti e Crispi, alla fine dell’800, attorno alle responsabilità per il dissesto della Banca Romana. E in tempi più recenti, ben vive nella memoria di chi scrive sono le espressioni di commiserazione con cui, nel parlamento degli anni Ottanta, segno interessante di rifiuto della rassegnazione. L’ho letto nell’esplicita reazione delle periferie del centrosinistra, in particolare dei Ds. Reazione verso gli “errori” dei dirigenti (o le imprudenze, comunque le colpe di mancata vigilanza) in presenza di un’operazione finanziaria dai contorni incerti. Mi è parso un indice di sensibilità: la domanda di coerenza e rigore si rivolge in modo esigente verso coloro che si prevenivano accolte le denunce del sentano come tutori delle istanze diffondersi del sistema delle tangendegli strati popolari. Ad essi, più che “Tutti prendono”: ti, dei fondi all’estero, delle società di ad altri, giustamente si chiede non una litania comodo. Tra le spiegazioni che ricesolo di rispettare le leggi, ma anche ci accompagna vevo, una soprattutto mi colpiva: sicdi osservare con rigore le regole di da decenni. Ma i recenti come anche dall’altra parte (allora il un’etica pubblica, di cui la legge è intrecci tra finanza Pci) si trafficava, era inevitabile che si l’espressione minima. e politica hanno generato seguisse una certa strada. Mi venne Può scorgersi qui il varco in cui far incoraggianti forme spontaneo, allora, parlare di “omertà transitare, ben oltre le stazioni elettodi reazione. Anche in da schieramento”. rali, i valori decisivi di una democraquesto campo i cristiani Quando esplose tangentopoli, zia che contrasta l’“imperialismo del devono contrastare parve che un vento di bonifica spazdenaro” e si traduce in comportail “relativismo etico” zasse via figure e metodi del malcomenti verificabili dei suoi attori. È la stume. Ma non fino al punto da estirvera “grande opera” dei prossimi anpare le radici del male. Anzi, proprio in quei frangenti ven- ni. E non ha costi monetari. Basta che vi sia nei cittadini la ne compiuta la più esplicita teorizzazione del carattere volontà di tenere sotto controllo assiduo coloro ai quali endemico del fenomeno, con accenti, nella nota apologia sarà data fiducia per il governo del paese: vanno impiegadi Craxi in parlamento, spinti al culmine del coraggio (nel- ti, o inventati, modi e strumenti per chiamarli a rendere l’assunzione delle responsabilità) e della sfrontatezza (nel conto non solo dei traguardi conseguiti (o mancati), ma reclamare una sanatoria generale). Tangentopoli fu anche dei mezzi impiegati per raggiungerli. un’opportunità provvidenziale per un ravvedimento siL’impresa non è agevole, specie in un contesto nel gnificativo. Che però non c’è stato, se è vero che anche og- quale la politica appare sempre più soggetta all’econogi, in presenza dell’insorgere di nuovi fattori di inquina- mia, o da essa condizionata. Ma anche questo, dopotutmento, non si riesce ad andare oltre il rimpallo delle accu- to, è un campo in cui contrastare il “relativismo etico”, fase, con esiti letali di disaffezione e disimpegno. tica alla quale vengono assiduamente chiamati i cristiani. Più che sulla ricerca di nuovi (o rinnovati) utensili di Imperialismo del denaro presenza, è su un tale terreno che si misura la qualità di Eppure, a guardar bene, nelle ultime vicende c’è stato un un’autentica “pratica cristiana della politica”. N 18 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 I COMMENTI Papa Benedetto XVI ha pubblicato a fine gennaio la sua prima enciclica, Deus caritas est. Il testo interpella in profondità chi si dedica, nella comunità ecclesiale e umana, al servizio caritativo. Proponiamo due riflessioni, ispirate alla quotidiana esperienza di lavoro in Caritas PRIMA ENCICLICA Benedetto XVI firma “Deus caritas est”, dedicata al tema dell’amore ROMANO SICILIANI contrappunto L’amore a due dimensioni che può cambiare il mondo di Salvatore Ferdinandi responsabile Servizio promozione Caritas Italiana enedetto XVI ha pubblicato la sua prima enciclica con il dichiarato intento di “suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino”. L’osservazione che immediatamente s’impone riguarda il contenuto del documento, totalmente centrato sull’amore, definito dal papa stesso “messaggio di grande attualità e di significato molto concreto”. Si tratta di un documento programmatico per la chiesa del terzo millennio, nel quale le espressioni utilizzate fin dall’inizio (“centro della fede cristiana”, “avvenimento che dà alla vita un nuovo orizzonte”), riferite all’amore, fanno riecheggiare in modo singolare il tema che negli an- B ni Ottanta il teologo René Coste si proponeva di porre all’attenzione di un “vasto pubblico”, ma soprattutto dei cristiani, con la pubblicazione L’amore che cambia il mondo. La scelta del papa teologo – riportare l’attenzione sull’amore come “questione fondamentale per la vita” – è di particolare interesse: senza prescindere dal significato che questa parola possiede nelle varie culture e nel linguaggio odierno, ne recupera il significato originario, con la singolare capacità di rendere accessibili concetti di carattere speculativo (prima parte); inoltre il concetto dell’amore viene collocato sul piano concreto, trattando dell’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo (seconda parte). I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 19 deus caritas est Ascendente e discendente Dopo aver parlato dell’eros, termine che indica l’amore “mondano”, liberandolo dalle incrostazioni sedimentatesi nel tempo, e dell’agape che denota, nella novità del cristianesimo, l’amore fondato sulla fede e da esso plasmato, il papa afferma che “in realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere”. Una prima conseguenza pastorale di questo ragionamento va nella direzione di una maggiore valorizzazione dell’amore umano, perché c’è sempre una connessione inscindibile tra l’eros che cerca Dio e l’agape che trasmette il dono ricevuto. Anzi, l’“amore” è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si staccano completamente l’una dall’altra si profila una caricatura, in ogni caso una forma riduttiva dell’amore. Sempre nella prima parte dell’enciclica viene fatto dal papa un secondo passaggio significativo. Si richiama l’attenzione sul Logos incarnato che, facendoci partecipi del suo corpo e del suo sangue, ci coinvolge nella dinamica della sua donazione e ci porta, attraverso la “mistica” del sacramento dell’Eucaristia che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi, a quella comunione con Dio stesso che l’uomo non avrebbe mai potuto realizzare. Nel contempo però, viene fatto notare che la “mistica” del sacramento ha anche un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale veniamo uniti al Signore e con tutti gli altri comunicanti, come dice Paolo: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”. Ne consegue che amore per Dio e amore per il prossimo sono pienamente uniti, in quanto il Dio incarnato ci attrae tutti a sé e, contemporaneamente, diventiamo “un solo corpo”, un’unica esistenza con i nostri fratelli che non possono più rimanerci estranei. Questo fa capire come il termine agape, diventato un nome dell’Eucaristia, ha in sé una particolare pregnanza sia nel rapporto di comunione con Dio sia nel rapporto di relazione e coinvolgimento con i fratelli, portandoci a superare ogni separazione. Una seconda conseguenza pastorale, a questo riguardo, è il papa stesso a indicarla. “Fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un’unica realtà. (…) La 20 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel culto stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente partecipato è in se stessa frammentata. Reciprocamente il comandamento dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato”. Umanizzare la giustizia A seguito delle riflessioni svolte nella prima parte, parlando dell’esercizio dell’amore da parte della chiesa nella seconda parte dell’enciclica, vengono evidenziati tre dati essenziali che hanno un chiaro risvolto pastorale. Anzitutto, il fatto che la carità appartiene all’essenza stessa della chiesa. “L’intima natura della chiesa si esprime nel triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerigma-martyria), celebrazione dei sacramenti (liturgia), servizio della carità (diakonia)”. Si tratta di compiti che non possono essere separati l’uno dall’altro; per quanto concerne la carità, si aggiunge che “non è per la chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”. Ancora: “È perciò molto importante che l’attività caritativa della chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale”. Se la carità ha questa centralità, tale fatto mette fortemente in discussione una pastorale ancora prevalentemente centrata sulle altre due dimensioni e impone di non considerare la carità come impegno occasionale caratterizzato come assistenza sociale, ma di renderla parte integrante della progettazione pastorale, ambito che impegna l’intera comunità a diventare soggetto di carità, che testimonia l’amore di Dio per ogni persona in difficoltà. In secondo luogo, si evidenzia che la Chiesa, famiglia di Dio, vive una carità-agápe senza frontiere. In famiglia non deve esserci infatti nessuno che soffra per mancanza del necessario. Anzi, lo spirito di famiglia porta a dare maggiore attenzione e cura a chi ha più bisogno. Contemporaneamente, secondo il criterio di misura dato dalla parabola del buon samaritano, è necessario vivere l’universalità dell’amore che travalica le frontiere della chiesa e si rivolge al bisognoso, chiunque egli sia. La carità, così connotata, richiede un’esplicitazione pastorale nell’educazione alla mondialità, al servizio a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, in modo da “vivere l’amore e così far entrare la luce di Dio nel mondo”. In terzo luogo, si sottolinea la carità come umanizzazione della giustizia. Il papa afferma che la chiesa non può e non deve assumere la battaglia politica per realizzare una società più giustizia, ma non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. Deve dunque offrire un contributo specifico per la “purificazione della ragione”, per il risveglio delle forze morali, affinché le esigenze della giustizia siano riconosciute e realizzate; deve anche assicurare il servizio dell’amore, sempre necessario per umanizzare anche la società più giusta, dove ci sarà sempre sofferenza che necessita di amorevole dedizione personale. Parlando poi dei “collaboratori” che svolgono il servizio della carità nella chiesa, il papa fornisce una serie di indicazioni prettamente pastorali. Afferma che, oltre alla competenza professionale, hanno bisogno di umanità, formazione e attenzione del cuore, perché a un mondo migliore si contribuisce facendo il bene in prima persona, con un cuore che vede dove c’è bisogno di amore e agisce in un modo conseguente. L’amore che si offre è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi; il criterio ispiratore dell’agire dovrebbe essere l’amore del Cristo, facendosi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante. “La consapevolezza che in Lui Dio stesso si è donato per noi fino alla morte, deve indurci a non vivere più per noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri”. Questi “collaboratori” devono essere consapevoli di essere strumenti nelle mani del Signore, chiamati a prestare il servizio senza la pretesa di trovare la soluzione a ogni problema, né rimanere nell’inerzia della rassegnazione. Ancorati alla preghiera per non cadere nell’attivismo e nell’incombente secolarismo, è necessario che muovano dalla visone della carità che il papa vede bene interpretata dai santi di ieri e di oggi. Che “rimangono modelli significativi di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà”. La nostra identità profonda, donarci a Dio e agli altri Il testo del papa, diviso in una parte speculativa e in una concreta, delinea una triplice fisionomia: illumina i tratti caratterizzanti di Dio, dell’uomo e della chiesa di Giovanni Perini direttore Caritas Cuneo significativo che Benedetto XVI abbia voluto segnare l’inizio del suo pontificato con un’enciclica sull´amore, intitolata Deus caritas est. Solo l’amore, infatti, è in grado di dire e di esprimere in modo analogicamente forte e adeguato “l’immagine di Dio e la conseguente immagine dell’uomo”, per delineare poi la stessa immagine della chiesa. Il papa divide la sua lettera enciclica in due grandi parti, la prima (2-18) “più speculativa”, la seconda (19-32) “più concreta”, racchiuse tra un’introduzione e una conclusio- È ne. Nella prima parte chiarifica il termine amore, che nell’uso quotidiano ha assunto una vastità contradditoria di significati. Il papa si chiede se bisogna arrendersi a questa dispersione oppure se è possibile trovare una radice unificante. Per poter rispondere è necessario affrontare subito la prima opposizione corrente nella nostra cultura: quella che separa eros da ágape. Attraverso il confronto con la cultura greca, la Bibbia e i Padri della chiesa, il papa conclude che in fondo “l’amore è un’unica realtà, seppure con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente”. In modo particolare l’enciclica approfondisce il messaggio biblico, che presenta senza equivoci un Dio che ama: “Egli (Dio) ama e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche totalmente ágape”. Così si può giungere alla conclusione che “l’eros di Dio per l’uomo è insieme totalmente ágape”. Anche il Nuovo Testamento presenta e radicaliza la stessa immagine, concentrandola nella novità della persona di Gesù, che nelle sue parabole, e soprattutto nella sua morte e resurrezione, anticipata simbolicamente nell’eucaristia, offre il significato più alto dell’amore come dono di sé. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 21 deus caritas est Compito della chiesa A questo punto può sorgere un’altra contrapposizione, che riguarda l’impossibilità di amare un Dio invisibile, pur nell’indissolubilità tra amore di Dio e amore dell’uomo. Benedetto XVI affronta questi due temi affermando che “Dio non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile”. Dio ci ha amati per primo, dice la lettera di Giovanni, e questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli “ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui”. Riguardo poi al legame tra amore di Dio e del prossimo, il papa scrive: “Entrambi si richiamano così strettamente che l’affermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna, se l’uomo si chiude al prossimo o addiruttura lo odia. Il versetto giovanneo si deve interpretare piuttosto nel senso che l’amore del prossimo è una strada per incontrare anche Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio”. Nella seconda parte, dopo aver fondato l’agape nella realtà di Dio, si passa a considerare la carità come compito della Chiesa: “L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale”. Ribadendo ancora che la Chiesa si realizza ed esprime la sua identità nei tre ambiti dell’annuncio della Parola, dell´amministrazione dei sacramenti e della pratica dell´amore, il papa conclude: “Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro”. Benedetto XVI sostiene queste affermazioni scorrendo brevemente la storia della chiesa, che sembra chiaramente indicare come luogo teologico, chiarendo un’altra opposizione sostenuta soprattutto dalla filosofia marxista, quella tra giustizia e carità. Qui entrano in gioco anche i rapporti tra chiesa e stato, di cui chiarifica la differenza e la specificitàdegli interventi: “(La chiesa) non puo´e non deve mettersi al posto dello stato. (...) La società giusta non può essere opera della chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell´intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente”. Nel passare in rassegna il profilo specifico dell’attività caritativa della chiesa, il papa ricorda la Caritas con il suo servizio alla persona, per svolgere il quale ci vogliono competenza professionale e attenzione del cuore, indicando poi le caratteristiche che deve avere il servizio svolto: indipendenza da partiti e ideologie, lontananza da ogni forma di proselitismo. Indicando i responsabili dell’azione carita- 22 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 tiva nomina inoltre Cor Unum (organismo della Santa Sede) e in particolare la figura del vescovo, richiamando ciò che il rito dell’ordinazione chiede: “di essere, nel nome del Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso tutti i bisognosi di conforto e di aiuto”. Passa poi a elencare le qualità dell’operatore della carità: capace di dono di sé, umile, radicato nella preghiera, di cui ribadisce la necessità per la stessa qualità cristiana della carità. Nella conclusione, infine, riprende l’esempio luminoso di alcuni santi e di Maria, una donna che ama e a cui vengono affidate la chiesa e la sua missione. Linea antropologica Leggendo questa enciclica si ha la motivata impressione che il papa abbia voluto testimoniare la sua fede all’inizio del pontificato, evidenziando ciò che per lui è fondamentale e indispensabile: il volto amoroso del Dio ebraico-cristiano come vero e unico volto che il credente può contemplare e da cui sentirsi accolto, amato e perdonato. Anche quando le situazioni esistenziali (e possono essere numerose e sconcertanti) negassero l’evidenza del Dio amoroso e spingessero al grido e alla ribellione, mai il cristiano può “pensare che Egli sia impotente, oppure che stia dormendo. Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in Croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà”. L’enciclica traccia anche una linea antropologica, vale a dire una comprensione e interpretazione dell’uomo che, nella sua unitarietà, quando scende nel profondo di se stesso, scopre di essere fatto per l’amore e di realizzarsi pienamente solo con il dono di sè. Questa identità gli è rivelata dalla persona di Gesù, che nell’assumere pienamente in sé l’umanità, soprattutto quella sofferente e peccatrice, ha svelato che l’amore ricevuto e condiviso (di cui il rapporto di coppia risulta essere un modello) costituisce la sua più intima vocazione. L´uomo è uomo se e quando impara, uscendo da sé, ad amare gratuitamente Dio e il prossimo. Infine l’enciclica delinea anche la fisionomia della chiesa. Essa fin dai primordi ha visto nella diaconia, intesa come forma di servizio organizzato e comunitario, la struttura fondamentale della propria organizzazione. Lontano dal ridursi a gesto o ad azione isolata e insignificante, l’attività caritativa della chiesa svela, apertamente o implicitamente, lo stesso amore trinitario. Il servizio caritativo della comunità cristiana testimonia a tutti, grazie alla sua capacità di risultare significativo ancge in ambiti non ecclesiali, che la natura e l’identità della chiesa possono essere limpidamente offerte dal suo amore. panoramacaritas VERSO VERONA SVILUPPO Dopo Milano incontro a Fiuggi per i direttori “Micro” Caritas, l’anno scorso 459 in 47 paesi Si intensifica il cammino delle Caritas verso il Convegno ecclesiale nazionale, che si svolgerà a Verona ad ottobre. Dopo il convegno “In cammino, tra memoria e speranza”, rivolto agli operatori diocesani e svoltosi a Milano dal 17 al 19 febbraio su iniziativa di Caritas Italiana (con Cnca, Federazione servizi civili e sociali Salesiani, Jesuit social network, Missionari Comboniani e riviste Aggiornamenti sociali, Il Regno e Jesus), l’appuntamento è ora per i direttori delle Caritas diocesane. Dal 6 all’8 marzo si troveranno a Fiuggi per il seminario “Le Caritas diocesane verso il Convegno ecclesiale nazionale”: affronteranno il tema della testimonianza, in riferimento ai cinque ambiti individuati dalla “Traccia di preparazione al Convegno”, secondo le prospettive della spiritualità e della missionarietà. Ampio spazio sarà dedicato al lavoro nei laboratori per costruire, valorizzando il confronto con le Caritas diocesane, il contributo delle Caritas diocesane e quello di Caritas Italiana all’appuntamento veronese. Lo sviluppo non è fatto solo di grandi opere e grandi infrastrutture. Da anni Caritas Italiana contribuisce alla promozione umana e sociale delle popolazioni dei paesi poveri anche sostenendo piccole comunità nella realizzazione di opere di modesto impegno, per favorire un loro graduale auto-sviluppo. I microprogetti presentano obiettivi limitati ma di effetto immediato, che contribuiscono a trasformare a poco a poco il livello di vita delle persone e delle comunità beneficiarie e a estendere progressivamente il processo di sviluppo nelle zone circostanti. Nel 2005 Caritas Italiana ha finanziato 459 microprogetti in 47 paesi, per un importo complessivo di oltre 1.683.000 euro: 168 interventi sono stati effettuati in Africa (22 paesi), 66 in America Latina (12 paesi), 219 in Asia (11 paesi) e 6 in Europa (2 paesi). Quanto agli ambiti di intervento, i microprogetti sono stati dedicati al reperimento acqua per uso domestico, irrigazione, allevamento (35%), avvio attività lavorative, cooperative, gruppi di lavoro (23%), promozione rurale e allevamento, cooperative, gruppi familiari (23%), programmi educativi (10%), programmi sanitari (3%), promozione sociale, ovvero ponti-strade, progetti comunitari, ecc (6%). INFO: 06.54.19.22.28 GEORGIA Morti per freddo, appello per generatori e stufe Molte persone morte, migliaia ricoverate con sintomi di assideramento. Un’ondata di gelo polare ha investito investito a inizio febbraio, per la seconda volta quest’inverno, i paesi dell’ex Unione Sovietica. In Georgia le morti sono state causate non solo dal gelo, ma anche dai tagli alle forniture di gas da parte della Russia, dalle quali la Georgia dipende interamente e il cui prezzo è aumentato decisamente da gennaio per decisione univoca di Mosca. Le relazioni tra Georgia e Russia si sono degradate dopo la conquista del potere a Tbilisi, nel gennaio 2004, da parte del giovane presidente filo-occidentale Mikhaïl Saakashvili. Così la crisi energetica d quest’anno ha indotto il presidente di Caritas Georgia, monsignor Giuseppe Pasotto, e il direttore, padre Witold Szulczynski, a segnalare situazioni molto gravi, in particolare nelle campagne, dove la temperatura è scesa fino a –25° e la gente si è trovata priva di gas ed elettricità. Anche strutture Caritas hanno avuto gravi difficoltà, dal poliambulatorio di Tbilisi, che accoglie in media 40 pazienti anziani al giorno, al servizio di assistenza sociale e medica a domicilio per circa 150 infermi (bloccati a letto nei propri appartamenti non riscaldati e senza luce), alla mensa umanitaria che serve al giorno circa 750 pasti caldi ad anziani poveri, bambini di strada, giovani di famiglie emarginate, pazienti del servizio a domicilio. Anche la casa delle Sorelle di Madre Teresa di Calcutta, che ospita circa 50 senza dimora, è rimasta per giorni senza riscaldamento, così come il centro giovanile e il poliambulatorio di Kutaisi. Per questa situazione, Caritas Georgia ha lanciato un appello per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di generatori e gasolio, oltre che di stufe e cherosene. Caritas Italiana ha risposto stanziando 10 mila euro. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 23 internazionale progetti > sostegno ai missionari a cura dell’Area internazionale Il 22 marzo, nell’anniversario dell’uccisione di monsignor Romero, la chiesa celebra la Giornata dei martiri missionari.Ventisei missionari cattolici, tra vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, sono stati uccisi nel 2005 (agenzia vaticana Fides), quasi il doppio del 2004. Tra i continenti, al primo posto per il numero di martiri è l’America Latina (morti 8 sacerdoti, 2 religiose e 2 religiosi). La lunga lista dei tanti “militi ignoti della fede” non scoraggia l’impegno di molti altri missionari in ogni angolo del pianeta. Caritas Italiana interviene a sostegno delle attività missionarie, finanziando numerosi microprogetti che intervengono sui bisogni umanitari e sociali, ma pongono le basi anche per un’azione pastorale e spirituale. [ ] PER LE MODALITÀ DELLE OFFERTE, SI VEDA A PAGINA 2 PER LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.54.19.22.28 24 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 ALBANIA PALESTINA Il centro sociale aiuta le famiglie immigrate Riprendere la vita quotidiana lavorando il legno Le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno in programma lo scavo di un pozzo d’acqua potabile per il centro sociale di Tale Bregdeti, situato nella zona periferica di Tirana, dove sono presenti 2.500 famiglie, giunte dai villaggi montani. Il nuovo centro desidera sostenere, formare e coinvolgere queste famiglie, in particolare bambini e giovani donne. Il pozzo non verrà utilizzato esclusivamente dal centro, ma anche per le necessità di base della popolazione circostante, in quanto la zona non è ancora urbanizzata e manca dei servizi essenziali. > Durata 4 mesi > Costo 4.192 euro > Causale MP 1/06 Albania La vita quotidiana, nei territori palestinesi, è una continua lotta per la sopravvivenza. I Focolarini attivi nell’area di Betlemme (con il supporto del Patriarcato di Gerusalemme) intendono realizzare una fornitura di piccole attrezzature di falegnameria e di una levigatrice usata a una piccola impresa interfamiliare di Betlemme, affinché possa continuare a fabbricare oggetti di artigianato locale, in particolare con legno di ulivo. La finalità è incrementare piccole attività artigianali e commerciali: molti abitanti della zona sono interessati a questo tipo di iniziative, per poter tornare a condurre attività produttive, dopo i seri danni subiti negli ultimi anni a causa di guerre e terrorismo. > Durata 4 mesi > Costo 5.500 euro > Causale MP 29/06 Palestina COLOMBIA REP. DEMOCRATICA DEL CONGO INDIA Agli sfollati di Maria La Baja serve una fattoria attrezzata I ragazzi di strada aspettano canale, grondaia e tubazioni Pozzo d’acqua potabile per gli orfani (e non solo) I missionari della Consolata hanno in programma, nella zona di Maria La Baja, di attrezzare una fattoria. Il microprogetto prevede la elaborazione di mangimi per animali e fa parte di un programma più ampio di trasformazione dei prodotti agricoli e di allevamento locali, cominciato a dicembre 2004 con gruppi di giovani e di persone sfollate (desplazados) a causa della violenza che imperversa nel paese. Questi gruppi si radunano in una piccola fattoria, chiamata “La Consolata”, che è diventata il centro di numerose attività formative ed è utilizzata sia per la produzione che per la trasformazione dei prodotti. Il programma, già sperimentato con successo in altre zone, prevede la fornitura di un mulino, un motore e un miscelatore. > Durata 4 mesi > Costo 4.900 euro > Causale MP 15/06 Colombia La situazione dei ragazzi di strada e dei bambini orfani è particolarmente dura in molti paesi dell’Africa australe. La congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione sta avviando un progetto per il reperimento di acqua potabile per 30 bambini orfani e ragazze di strada nella periferia di Kinshasa, accolti dal Foyer Monti di Mont-Ngafula. Il programma prevede la costruzione di un canale di 250 metri per la raccolta dell’acqua piovana e l’installazione di grondaie e tubazioni. Attualmente l’acqua dev’essere acquistata. Un’autocisterna di 20 metri cubi costa 150 euro e dura non più di due settimane. > Durata 5 mesi > Costo 5.652 euro > Causale MP 3/06 Congo R.D. La congregazione dei Franciscan Missionary Brothers ha messo a punto un programma per il reperimento di acqua potabile, attraverso lo scavo di un pozzo, nel centro per bambini orfani di Vegavaram. Beneficiari diretti dell’iniziativa saranno 40 bambini e giovani, ma l’acqua potabile verrà utilizzata anche da oltre 1.500 persone che vivono nelle aree limitrofe. > Durata 5 mesi > Costo 1.664 euro > Causale MP 24/06 India I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 25 internazionale ALBERTO MINOIA medio oriente Tre anni fa l’inizio della guerra. Che ha spodestato un tiranno, ma ha provocato decine di migliaia di vittime civili. Le violenze dominano la vita quotidiana. Il 65% della popolazione riceve viveri dalle agenzie umanitarie SEMPRE PIÙ FRAGILI Mamme e bambini assistiti nei centri nutrizionali di Caritas Iraq INSICURI E IMPOVERITI: IRAQ, DEMOCRAZIA STREMATA di Silvio Tessari arzo 2003: comincia l’attacco all’Iraq della “coalizione dei volonterosi”. Un mese dopo le truppe Usa entrano a Bagdad, meno di due mesi dopo il presidente George Bush dichiara al mondo: “Missione compiuta”. Però la cronaca si è incaricata di smentire, giorno dopo giorno, quell’impeto di ottimismo. Ai ripetuti turni elettorali fa da contraltare uno stillicidio di stragi, attentati e rapimenti che alimenta l’insicurezza e gonfia il numero delle vittime. Lo stesso Bush ha dovuto ammettere, a dicembre, che 30 mila civili iracheni erano stati uccisi dall’inizio della guerra. Altre fonti stimano un costo di sangue ancora maggiore. E la contabilità dei soldati stranieri (anzitutto america- M 26 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 ni) uccisi ha ormai raggiunto le 2.500 vittime. Dove sta andando l’Iraq? Anche le analisi sulle condizioni umanitarie e sociali sono frammentarie. Visitare il paese per farsene un’idea è praticamente impossibile. Caritas Iraq conferma il persistere di un livello “terrificante” di violenza e insicurezza, e una corrispondente precarizzazione delle condizioni di vita della popolazione. La sicurezza non è garantita nemmeno agli operatori umanitari: secondo una stima dell’Ncci, il comitato di coordinamento delle ong in Iraq, riferita da Caritas Iraq, almeno 50 operatori umanitari sono stati uccisi negli ultimi due anni e mezzo. «È il più alto numero di operatori umanitari uccisi in un solo paese negli ultimi dieci anni – ha affermato Ka- srah Mofarah, coordinatore Ncci –. Ma la situazione è così caotica che nessun tribunale prende in considerazione cause che interessano operatori umanitari». Il terrore di matrice qaedista o saddamista è pane quotidiano in Iraq. Ma pesanti violazioni dei diritti umani si segnalano anche sul fronte opposto: la tortura è procedura frequente. E la stessa organizzazione dei partiti politici lungo linee etniche o religiose alimenta l’insicurezza: le diverse formazioni sono pronte a prendere le armi, e talvolta passano dalle minacce ai fatti. «Le elezioni possono ridurre il livello della violenza, ma è solo una possibilità – ha osservato Paul Starobin, analista americano –: la democrazia non è un antidoto alla guerra civile, perchè le elezioni in una società fragile polarizzano spesso le posizioni e sono frequentemente contestate». Quartieri omogenei La polarizzazione, da militare e politica, si fa anche demografica, delineando nuove geografie territoriali su base religiosa: in molte città, soprattutto nella regione di Bagdad, sunniti e sciiti, un tempo mescolati, tendono a raggrup- Sanità, igiene, maternità: l’opera Caritas in sette azioni Il lavoro 2005-2006 di Caritas Iraq: ■ Well Baby Programme. Cura la malnutrizione acuta di bambini e donne che allattano o incinte. ■ Viveri e assistenza sociale. Aiuti ai gruppi vulnerabili, in linea con le indicazioni del Well Baby Programme. ■ Assistenza sanitaria. Aiuto a pazienti bisognosi nei centri Caritas di Bagdad e Qaraqosh; distribuzione di medicine a ospedali in carenza di stock. ■ Sanità. Riabilitazione di centri sanitari in zone rurali. ■ Assistenza disabili. A singoli individui e, fornendo attrezzature sanitarie, a centri per disabili. ■ Infrastrutture idriche. Attivazione di unità di potabilizzazione dell’acqua e piccoli progetti idrici a beneficio di comunità rurali, centri sanitari e scuole. ■ Formazione volontari. Primi passi per sviluppare una rete di volontari, anche nelle parrocchie del paese. Caritas Italiana nel 2005 ha finanziato i primi tre programmi, per 575 mila euro (all’inizio del 2006 si sta valutando il rifinanziamento). Un working group composto da alcune Caritas nazionali, coordinate da Caritas Internationalis, segue lo strutturarsi di Caritas Iraq. parsi in quartieri omogenei. E la minoranza cristiana irachena, 800 mila persone, è interessata da crescenti livelli di emigrazione forzata, una vera e propria fuga. Risulta così praticamente impossibile definire in maniera attendibile il quadro dei bisogni sociali della popolazione. Ma qualche dato circola e dà la misura del dramma umanitario in cui vivono gli iracheni: la distribuzione di viveri da parte degli organismi umanitari interessa ormai il 65% della popolazione, oltre 13 milioni di persone. E qualche esempio, tratto dall’esperienza quotidiana di assistenza, aiuta a capire. Caritas Iraq aveva concentrato molti dei suoi sforzi, sin da prima della guerra, ai tempi dell’embargo internazionale, sul “Well baby programme”, intervento di integrazione alimentare per bambini malnutriti e mamme in gravidanza o che allattano. Nel quadro di un paese che quindici anni fa vantava condizioni sanitarie da stato mediamente sviluppato (mentre oggi presenta standard epidemiologici e di assistenza da nazione sottosviluppata), l’attuale conflitto ha peggiorato la situazione alimentare di mamme e figli, soprattutto nelle zone rurali. Grazie al “Well baby programme”, nel 2005 nei 13 cenI TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 27 internazionale medio oriente tri Caritas (7 a Bagdad) e nei 6 della Mezzaluna Rossa coinvolti sono stati curati 22.053 bambini, ma mentre a gennaio erano 8.310 i minori in cura (il ciclo di interventi dura sei mesi) a fine anno erano 10.421: un peggioramento del 25%. Nelle zone rurali impressiona invece l’aumento (da 798 a 2.217) delle mamme in gravidanza bisognose di cure. Questi dati si spiegano solo in parte con l’aumento del numero di centri aderenti all’iniziativa: altrettanto importante è l’aggravarsi della situazione alimentare nelle campagne, dove l’insicurezza rende precaria la produzione agricola. E mina l’efficacia degli interventi assistenziali: 2.131 bambini hanno dovuto abbandonare il “Well baby programme” prima del tempo. Anche questo è un costo nascosto della guerra: non si saprà mai quanti di loro sono morti, quanti subiranno conseguenze irreversibili, quanti non hanno avuto la possibilità di avvicinarsi ai centri di cura. La democrazia delle urne e delle aule parlamentari si esercita in un paese sempre più stremato. Istanbul, limbo degli esuli sospesi tra paura e passività In Turchia e Medio Oriente vivono centinaia di migliaia di iracheni in fuga. Moltissimi sono cristiani. Chiedono asilo, ma trovano soprattutto indifferenza… di Pietro Boni Ultime briciole di speranza stanbul, migliaia di chilometri da Bagdad. Nella si perché il flusso tornasse nella norma. La migrazione formetropoli turca vivono almeno 500 famiglie di ira- zata degli iracheni, cominciata con la guerra del Golfo del cheni, quasi tutte cristiane. Scappano da un paese ’91, non si è mai arrestata. Ora restano da misurare le coninvivibile, soprattutto per loro. E aspettano di an- seguenze dell’attentato di gennaio: un’altra fuga in massa? darsene ancora più lontano. L’ultimo attacco a chiese cristiane in Iraq (sei esplosio- Il visto che non arriva mai ni a Baghdad e Kirkuk, che hanno colpiOltre agli attentati che conquistano la rito templi di diversi riti, uccidendo tre balta mediatica planetaria e sotto la colpersone e ferendone almeno una ventitre di apparente controllo del territorio na) si è svolto a gennaio. L’episodio più da parte delle forze internazionali, afgrave risale all’agosto 2004 e fece 15 vittifiancate dalla polizia irachena, in Iraq me: anche allora le bombe erano chiaraaccadono ogni giorno minuti atti di viomente dirette contro la popolazione crilenza e ingiustizie diffuse. Se non sono le stiana, che ha radici antichissime in radio o le tv a parlarne, lo fanno gli iraquelle terre. Le bombe falciano persone, cheni fuggiti dal paese. edifici e cose, ma fanno a pezzi sopratQuantificare esuli e migranti è difficitutto la trama sociale e le comunità locale. Ad aprile 2005 alcune Caritas nazioli. Mirate ora contro un gruppo ora connali del Medio Oriente hanno cercato di tro un altro, sembrano dirette a rompere analizzare la portata del fenomeno. Siria, i legami tra persone, a creare rancori e Libano e Giordania ospitano ciascuno pregiudizi persino tra amici di lunga daalmeno centomila iracheni richiedenti GENERAZIONE SPAESATA ta, ma appartenenti a famiglie, etnie, reasilo; in Turchia la cifra è molto più riIn questa pagina e nella precedente: bambini, rifugiati ligioni diverse. dotta, nell’ordine di alcune migliaia. In dall’Iraq, a scuola a Istanbul Dopo l’attentato del 2004 si era regirealtà, mancando una collaborazione strata un’impennata del numero di iracheni, non solo cri- degli apparati governativi con le ong locali, si può fare ristiani, in fuga verso paesi esteri. Caritas Turchia, che ne ferimento solo ai dati raccolti da Caritas e altri soggetti. aiuta molti, nell’autunno 2004 ha visto crescere di tre- Nei paesi citati la situazione degli iracheni espatriati prequattro volte il numero dei nuovi arrivi; ci sono voluti me- senta diversi punti in comune: nessun riconoscimento A Istanbul la maggior parte delle famiglie irachene ha ormai superato l’anno di residenza. Non potendo chiedere asilo politico allo stato turco, lo fanno all’Unhcr. Tuttavia, dalla caduta di Saddam a oggi, l’agenzia Onu ha preso qualche decisione solo per alcuni casi gravi, lasciando centinaia di famiglie nel limbo della burocrazia. Anche le ambasciate australiana e canadese, le sole ancora aperte per le richieste degli iracheni, concedono visti con molta lentezza e secondo quote stabilite di anno in anno (in genere, circa un decimo delle richieste). Il numero dei rifugiati iracheni presenti a Istanbul va quindi crescendo, e con esso le necessità di aiuto. Caritas Turchia si occupa dei richiedenti asilo, fornendo un supporto alle famiglie più povere per le cure mediche, l’educazione dei minori, il rapporto con le ambasciate e le autorità locali. Nonostante questi sforzi, molti minorenni sono costretti a lavorare, naturalmente in nero, in condizioni precarie e sottopagati, per mantenere la famiglia. Pochi sono gli ammalati che possono godere di cure dignitose, mentre cresce il numero delle famiglie costrette a muoversi verso appartamenti sempre più economici, e spesso malsani, nelle zone povere della città. Senza un intervento alla radice del problema, che coinvolga chi tira le fila in Iraq e dintorni, la situazione difficilmente cambiarà. I rifugiati stanno consumando le ultime briciole di speranza. Il loro esodo è cresciuto negli ultimi due anni ben più delle esportazioni di petrolio dai giacimenti di Mesopotamia. E li consola poco ascoltare che, in cambio, il paese importa democrazia… ALBERTO MINOIA I 28 dello status di rifugiati, divieto a lavorare, scarsi o nulli aiuti economici, sanitari e scolastici da parte dei governi, pochissime iniziative di aiuto anche da parte dell’Unhcr, l’organismo Onu per i rifugiati. Tutte queste persone vivono nell’attesa: chi di poter tornare in patria quando i rischi diminuiranno, chi di poter raggiungere un'altra nazione, dove ricominciare tutto da zero. La vita di questi esuli si fa sempre più difficile, materialmente e psicologicamente. Tutti riconoscono di godere di maggiore sicurezza, ma l’attesa li trascina in uno stato di transizione passiva e inconcludente. In Turchia, per esempio, vi sono persone che aspettano anche da dieci anni un visto per Australia o Canada: per un decennio hanno vissuto in case da viaggiatori, arrangiate alla meglio, con la valigia sempre pronta, lavorando alla giornata, fuggendo ai controlli e alla polizia, i bambini cresciuti senza poter frequentare la scuola. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 Le mani sporche di Samem, che sogna un paradiso lontano Frank, il giovane interprete iracheno, ripete che non è giornata. È riuscito a contattare solo due famiglie e la pioggia ha già reso le strade torrenti limosi. Quando bussiamo alla casa in periferia ad accoglierci è la madre, vestita di nero, in braccio la figlia più piccola, una bambina di poco più di un anno. Presto arrivano le altre due figlie, 11 e 15 anni, poi il figlio maggiore. Samem ha 17 anni, un aspetto ancora adolescente, cappellino e maglietta da rocchettaro ribelle, le mani agili da studente sporche di grasso: un cambiamento improvviso lo ha spinto a prendersi la famiglia sulle spalle, come accade spesso ai minorenni iracheni in Turchia. Samem è rimasto l’unico uomo in casa, in un paese ostile. Per prima cosa chiede come aggiustare le domande per emigrare in Australia, paradiso terrestre molto ambito dagli iracheni sfollati in riva al Bosforo. Poi si informa circa la possibilità di trovare a Istanbul un’abitazione migliore, cioè più economica. Ma nel frattempo la madre ha cominciato a raccontare: giunti in Turchia, per sfuggire alle continue minacce di violenza e di morte, dopo tre mesi sono stati raggiunti dalla notizia del rapimento dello zio a Mosul. Dopo lunghe discussioni, Bahnam, il marito, ha deciso di tornare in Iraq per cercare il fratello e pattuire un riscatto inferiore a quanto richiesto dai rapitori (100 mila dollari). Era l’inizio del luglio scorso e la famiglia è riuscita a tenere i contatti tramite un vecchio amico, ex socio di lui, musulmano. Dopo quindici giorni però, è arrivata la tragica notizia: Banham è stato assassinato e gettato per strada; le stesse persone che avevano minacciato la famiglia, bruciando perfino il locale che Bahnam gestiva insieme al fratello rapito, non hanno esitato a mettere in pratica le intimidazioni. Oggi la famiglia vive nel terrore di essere raggiunta fino a Istanbul. Isolata e impoverita. Solo Samem esce di casa per andare a lavorare come garzone di meccanico. Guadagna una manciata di soldi e ha dovuto lasciare la scuola: la speranza, per sé e i suoi cari, la vede molto lontana. In un paradiso all’altro capo del mondo… I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 29 internazionale internazionale guerre alla finestra BANCHE ARMATE, PASSI AVANTI E NUOVE SFIDE di Diego Cipriani on si possono non registrare con rammarico i dati di un aumento preoccupante delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi. (…) Quale avvenire di pace sarà mai possibile, se si continua a investire nella produzione di armi e nella ricerca applicata a svilupparne di nuove?” Le parole di Benedetto XVI a proposito della produzione e del commercio bellici, contenute nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2006, parlano chiaro e interpellano fortemente tutti i paesi, non solo i “consumatori” di armi (quelli in guerra, insomma), ma anche quanti, negli ultimi anni, “N questo loro coinvolgimento. Il commercio delle armi, beninteso, è legale e autorizzato, ma non per questo “neutro”: se commerciare carriarmati non è lo stesso che vendere sacchi di farina, altrettanto si può dire per le banche che, da tali commerci, ricevono compensi. Rotta invertita Dal suo varo, la campagna sembra in nome magari della “lotta al terroaver raggiunto alcuni obiettivi che si rismo”, danno manforte alla produera prefissi, se è vero che negli ultimi Un commercio legale. zione e al commercio di armamenti. anni è cambiata la geografia delle Ma non “neutro”. Un aspetto spesso sottaciuto del banche italiane presenti nella lista La campagna che problema è il ruolo (per nulla seconprevista dalla legge. Secondo i dati osserva i comportamenti dario o accessorio) che le banche ri2004 (la relazione sul 2005 verrà resa degli istituti di credito vestono nell’import-export di armi: nota entro fine marzo), almeno tre impegnati nel commercio un ruolo determinante, perché senza grandi gruppi bancari hanno invertigli istituti di credito non si potrebbero to la rotta, decidendo di uscire comdi armi ha centrato effettuare le transazioni relative alle pletamente dal commercio delle arsignificativi successi. armi che fanno girare un fiume di solmi. Unicredit era al vertice della clasMa all’orizzonte ci sono di, se è vero che la spesa militare sifica nel 1999, ma già l’anno dopo si altre questioni mondiale equivale a circa 1.000 miera impegnata a rinunciare a nuovi liardi di dollari. Anche il nostro paese contratti. Anche Banca Intesa, al seè interessato a questo tema e se da qualche anno se ne par- condo posto nel 1999, ha seguito la stessa strada, mentre la un po’ più apertamente è anche grazie alla campagna il gruppo Monte dei Paschi Siena è uscito definitivamen“Banche armate”, iniziativa promossa da due riviste mis- te dall’elenco. Anche Capitalia (la più “armata” delle bansionarie, Missione Oggi, dei Saveriani, e Nigrizia, dei Com- che italiane) ha recentemente dichiarato di aver ridotto nel 2005 le intermediazioni del 70% rispetto al 2004. boniani, e dal periodico Mosaico di Pace (di Pax Christi). È inutile dire che i promotori della campagna sono Lanciata sei anni fa, la campagna nasceva dall’esigenza di fare chiarezza sul legame tra l’import-export di soddisfatti, anche se all’orizzonte intravedono nuovi armi in Italia e le banche che appoggiano, favoriscono e aspetti del problema, ad esempio l’assottigliarsi del rendono possibile tale commercio. Il tutto grazie alla confine civile-militare di alcune tecnologie, il peso crelegge 195 del 1990, che regolamenta il settore e che im- scente delle banche estere e di altri gruppi finanziari pone al governo di presentare ogni anno al parlamento non censiti. Insomma, c’è ancora molto da fare per chi una relazione indicando, tra l’altro, anche le notizie det- è convinto che il commercio delle armi non può essere tagliate sulle transazioni bancarie. Di qui l’elenco delle regolamentato dalle mere leggi del mercato, della dobanche cosiddette “armate” e l’invito ai correntisti a fa- manda e dell’offerta. E che si deve continuare a distinre pressione su di esse e a sollevare gli aspetti etici di guere l’etico dal non-etico. 30 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 balcani ORFANO E LACERATO, DOVE VA IL KOSOVO? testi e foto di Francesco Gradari l 26 gennaio il Kosovo si è fermato per rendere omaggio al suo presidente. Cinque giorni prima, Ibrahim Rugova si era spento nella sua casa di Pristina, al termine di una malattia che in cinque mesi ha privato il Kosovo della sua figura politica di maggior spessore, un leader indiscusso in patria e riconosciuto all’estero, titolare di una fama guadagnata in oltre quindici anni di lotte per il riconoscimento dei diritti degli albanesi del Kosovo. La scelta nonvio- IN MEMORIA lenta aveva condotto Rugova a fondare, nel 1989, il primo partito politico della provincia, la Lega DI UN LEADER democratica del Kosovo (Ldk). Ma era stata frantumata dall’apparizione dei gruppi di liberazione Albanesi del Kosovo sfilano in una armati albanesi e dall’intervento Nato della primavera 1999 contro la Serbia. Risorto politicamen- manifestazione te nel dopoguerra, Rugova era stato eletto presidente del Kosovo nel 2002 e nel 2004. Da allora per commemorativa di Ibrahim Rugova, la comunità albanese era (e sarà sempre) il simbolo indiscusso della lotta per l’indipendenza. il presidente Il 26 gennaio una folla immensa e silenziosa ha sfidato i dodici gradi sottozero di Pristina e si è della provincia accalcata lungo le strade per l’ultimo saluto al presidente. Tutto il Kosovo era lì, o quasi. Tanta gen- morto a gennaio te che per un giorno ha abbandonato la casa, i campi, i caffé, le scuole, la strada, la lotta quotidiana per la soprav- A inizio anno la provincia balcanica vivenza, per esprimere la sua gratitudine all’uomo che inha vissuto la morte del presidente Rugova carnava il sogno dell’indipendenza. Con loro politici di tutto il mondo: l’intera classe politica kosovara, delegazio- e l’apertura delle trattative sullo status ni straniere, il rappresentante dell’Unmik (l’amministra- definitivo. Le incertezze sul futuro zione Onu in Kosovo, cui la risoluzione 1244 del 1999 ha si sprecano: la divisione tra le comunità affidato “provvisoriamente” l’amministrazione della provincia), il comandante della Kfor (la forza di pace Nato che resta forte, la povertà diffusa ha il compito di garantire la sicurezza) e l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Martti Ahtisaari, scelto come mediatore tra serbi e albanesi per i negoziati, rinviati di una manciata di giorni proprio per la morte di Rugova e ormai in svolgimento a Vienna. Il loro obiettivo è decidere lo status futuro del Kosovo, ovvero trovare un compromesso tra la posizione albanese, che vede nell’indipendenza dalla Serbia l’unica soluzione possibile, e quella serba, disposta a concedere al Kosovo qualcosa in più dell’autonomia, mai e poi mai l’indipendenza. I La legge del più forte Le trattative sullo status futuro della provincia sono avviate. Ma a sette anni dalla fine del conflitto armato le parti non si parlano. Quando lo fanno, urlano e litigano. Cosa che non avviene solo tra politici, nelle occasioni ufficiali o davanti ai microfoni. Si prenda, ad esempio, la città di MiI TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 31 internazionale balcani La radio di Bajram e Vladan così vicini, così separati Novo Brdo è un centro di montagna del Kosovo centro-orientale. Tre uffici, 28 piccoli villaggi sparsi sulle montagne, una fortezza medioevale diroccata, qualche bar, quattromila abitanti, disoccupazione al 70%. Un angolo sperduto dei Balcani, una delle municipalità più povere del Kosovo. La popolazione era mista da sempre. E lo è ancora oggi. I serbi erano il 54%, dopo la guerra in molti hanno deciso di andarsene. Così gli albanesi sono oggi il 57%. A Novo Brdo sono nati e cresciuti Vladan, 25 anni, serbo, e Bajram, 26 anni, albanese. Amano la musica e sono cresciuti inseguendo un sogno (aprire una radio) che è diventato realtà la scorsa estate. Con alcuni amici, e con il supporto di Caritas Italiana, hanno dato vita a Radio Youth Voice (Voce dei giovani). La radio è piccola: sei persone, tre serbi e tre albanesi. «Trasmettiamo musica e programmi in entrambe le lingue. E abbiamo uno spazio settimanale per la musica rom – spiega Bajram –. Vogliamo che tutti possano ascoltarci. Siamo una radio multietnica». Ma fuori la vita è un’altra cosa. «Io e Bajram abitiamo a pochi chilometri di distanza e lavoriamo insieme – riepiloga Vladan –, ma la gente fatica a capirci. Se ci incontriamo per strada nel suo villaggio, Bajram non può salutarmi. Rischia di avere seri problemi con i suoi parenti e conoscenti». La distanza tra case serbe e albanesi è scarsa, quella tra la gente è ancora enorme. Vladan si sfoga: «Tutti gli stranieri che vengono qui dicono che Novo Brdo è un posto bellissimo: montagne, verde, tranquillità… Certo, se ci stai un giorno e poi vai via è tutto perfetto. Ma se ci vivi da sempre la pensi diversamente. Io sono serbo, qui non ho futuro. Ci pensi? A 25 anni non mi posso muovere liberamente. E adesso ci hanno tolto pure l’elettricità e la linea di autobus… Se si mette male, finirà che andrò in Serbia, lì i miei genitori hanno comprato una casa. Ma parliamo della radio, è più importante...». 32 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 trovica. Un’unica città sulla carta, due de facto. La parte sud abitata da albanesi, quella nord da serbi. A dividerle un fiume, che si attraversa grazie a due ponti. Ma sono pochi quelli che corrono il rischio di andare “dall’altra parte”. Mitrovica: una città, due lingue, due alfabeti, due religioni, due amministrazioni, due sistemi scolastici, due monete, due linee di autobus, due targhe automobilistiche, due compagnie telefoniche, due campionati di calcio… In realtà Mitrovica, e il Kosovo in generale, non significano solo divisione tra una minoranza serba ortodossa (affievolitasi dopo la guerra, a causa delle persecuzioni e delle violenze da parte albanese) e una maggioranza albanese musulmana (circa il 90% della popolazione). Il Kosovo è molto di più. Come spesso accade nei Balcani, è un ingarbugliato miscuglio di etnie, religioni e nazionalità che faticano a trovare il giusto equilibrio. Turchi, croati, bosgnacchi, rom, ashkali, cattolici: le presenze sono storicamente molteplici ma il “diverso” da sé fa paura, è deriso, difficilmente è accettato e trova spazio. Nella società kosovara vige la legge della maggioranza e del più forte. I muri creati dal conflitto non danno segno di cedimento. dettamente efficaci: occupazione di case, distruzione dei luoghi di culto, mancanza di libertà di movimento e di sicurezza personale. Il fuoco è stato spento, ma le braci ardono ancora. All’indomani dei funerali di Rugova, uno dei più autorevoli giornali kosovari ha titolato: “Il Pacifista sepolto dai militari”. Speriamo non si tratti di una premonizione. CORDOGLIO PERVASIVO Immagini di Ibrahim Rugova sui manifesti di Pristina; a destra, la folla in visita al feretro del leader Economia grigia Intanto la gente sta sempre peggio. La vita è ogni giorno più cara e il lavoro sempre più raro. Mancano dati ufficiali (l’ultimo censimento è del 1991), ma la disoccupazione riguarda di gran lunga più del 50% della popolazione. Mediamente, su una famiglia di otto persone, una sola ha un lavoro fisso. Gli altri vivono nella precarietà e grazie alle rimesse dei parenti emigrati (meglio, scappati) in Italia, Svizzera e Germania. Dal Kosovo, infatti, si fugge. Soprattutto i giovani. Perché il Kosovo non da garanzie, non produce quasi nulla: i grandi impianti industriali e minerari dell’epoca jugoslava non sono stati riconvertiti o lavorano ai minimi termini. E nessuno viene a produrre nella provincia, il cui ambiguo status politico allontana gli investitori stranieri. In Kosovo non c’è economia; se c’è, è grigia: una grandissima corruzione e molti traffici illeciti ne fanno un buco nero dei Balcani, in cui pochissimi ricchi sono sempre più ricchi e tanti poveri faticano a sopravvivere. La guerra in Kosovo è formalmente finita da quasi sette anni. Ma se la pace è “convivialità delle differenze” e non semplice assenza di conflitto armato, il Kosovo ha ancora tanta strada da fare. Oggi nella “terra dei merli” ci sono più differenze che convivialità. E la pulizia etnica può continuare per altre vie, meno vistose delle deportazioni o delle uccisioni di massa, ma ugualmente terribili e male- Un anno di sfide per la Chiesa: «Minoranza che vuole dialogare» l 2006 sarà un anno denso di sfide anche per la chiesa cattolica kosovara. La morte improvvisa di monsignor Mark Sopi, dieci giorni prima di quella del presidente Rugova, ha privato la comunità cattolica del suo pastore. Monsignor Sopi era stato amministratore apostolico del Kosovo per dieci anni. «Era stimato da tutti – ricorda don Albert Krista, direttore di Caritas Kosovo –. Per noi cattolici è stato una guida, ma ha fatto tanto per la società kosovara in generale. Il messaggio più importante che ci ha lasciato? Che la vita deve essere rispettata. Sempre. Qui in Kosovo non è cosa scontata». Questo spiega la straordinaria presenza di persone al suo funerale: uomini di chiesa, tanti fedeli, ma anche molti non cattolici. Ora la guida della diocesi è stata affidata a monsignor Zef Gashi, già arcivescovo di Bar (Montenegro), fino alla nomina del nuovo pastore. Dovrà traghetterà la chiesa della provincia (23 parrocchie, 36 sacerdoti, circa 60 mila fedeli, il 3% della popolazione) nell’anno dei negoziati sullo status finale. «La chiesa del Kosovo è giova- I ne, viva e attiva – sottolinea don Krista –. Abbiamo molte vocazioni, la partecipazione alle celebrazioni è elevata, c’è attenzione a sacramenti e liturgia. Non abbiamo strutture di potere, ma una grande struttura umana». Chiesa minoritaria, i cattolici del Kosovo vivono una condizione peculiare: condividono con la maggioranza albanese lingua, cultura e tradizioni, ma sono cristiani, così come la minoranza serba ortodossa. «Siamo rispettati da tutti – tranquillizza il direttore Caritas –. Ma il nostro ruolo è delicato. Abbiamo buone relazioni con due parti che non hanno buone relazioni tra loro. Siamo una chiesa piccola con una grande responsabilità. Ci sono grandi attese su di noi». Incontro dal basso I rapporti tra le tre confessioni religiose del Kosovo sono piuttosto limitati. «Il dialogo a livello ufficiale è impraticabile – osserva don Krista –. Solo dal basso, a livello umano, è possibile. Io, ad esempio, ho rapporti personali sia con I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 33 internazionale internazionale casa comune balcani Povertà, integrazione, auto-aiuto: l’impegno di Caritas Italiana A oltre cinque anni dalla fine della guerra, Caritas Italiana mantiene un significativo coinvolgimento in Kosovo, strutturatosi attraverso un’attenta collaborazione con le realtà locali. L’accompagnamento offerto a Caritas Kosovo si è concretizzato quest’anno nella terza edizione del progetto socio-pastorale: tra gli obiettivi, la produzione di sussidi per i momenti forti dell’anno liturgico e il supporto alle Caritas parrocchiali per aiutarle a sviluppare capacità di ascolto, osservazione e discernimento. Di particolare rilievo è anche lo sforzo per creare centri di ascolto parrocchiali che siano punto di riferimento e di orientamento, prima che di diretto sostegno, per chi vive in condizioni di difficoltà economica e sociale. Lo sforzo per una convivenza pacifica e l’integrazione interetnica caratterizza un altro filone di intervento. In collaborazione con la delegazione Caritas della Toscana e grazie a un finanziamento della regione Toscana, si sostiene un’associazione giovanile interetnica che a Novo Brdo ha dato vita a una radio locale. Tra molte difficoltà, la radio ha cominciato le trasmissioni a giugno. Continua inoltre il sostegno all’asilo infantile delle Suore Angeliche di San Paolo, a Prizren. Anche in questo caso il supporto è sia finanziario, in collaborazione con la delegazione Caritas della Sicilia, che pedagogico, grazie al supporto dell’associazione Reggio Terzo Mondo. Dalla collaborazione con alcune associazioni locali è nata invece l’idea di dar vita a un Centro kossovaro per l’auto-aiuto: l’obiettivo è dare continuità al lavoro avviato con alcuni gruppi di familiari di scomparsi ed ex detenuti politici e di diffondere questa metodologia in tutta l’area, allargando il sostegno ad altre forme di disagio. Caritas Italiana finanzia il centro e affianca nella formazione lo staff locale, insieme all’associazione Ama di Trento, una tra le più autorevoli in Italia nel settore dell’auto-aiuto. Al momento sono diciotto i gruppi attivi. [Luigi Biondi] 34 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 UN ANNO DIRIMENTE PER RITROVARE L’ANIMA EUROPEA di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles iconoscere lo stato di crisi, reale e profondo; analizzarne cause ed effetti; valorizzare gli insegnamenti della storia, che indicano, alternativamente, passi falsi e ritrovati slanci in avanti. L’integrazione dei paesi europei è ormai considerata una “via obbligata” per lo sviluppo e la pace nell’era globalizzata, entro e fuori i confini del continente. Appare sempre meno in discussione il “perché” della “casa comune”; il vero punto interrogativo riguarda semmai il “come” edificarla. Dopo i successi e gli entusiasmi del 2004 (allargamento, firma della mune (l’Agenda di Lisbona per un’economia competitiva e sostenibile, il partenariato mediterraneo, il rafforzamento della cooperazione internazionale, una strategia unitaria per combattere il terrorismo…). Ciò che è mancato in questi anni, invece, è stato un eguale sforzo, teso a definire i cardini dell’edificio comunitario non tanto dal punto di vista istituzionale (riforme), quanto sotto il Costituzione), il 2005 ha portato profilo identitario (valori, cultura, molte nubi sull’Unione europea: il grandi obiettivi). Mentre l’Ue cresceDopo gli entusiasmi “no” di francesi e olandesi al Trattato va nel corpo, avrebbe dovuto raffordel 2004, sull’Unione costituzionale; la sofferta apertura zare la propria “anima”, meglio, le nel 2005 si sono delle trattative con la Turchia per anime che la costituiscono, scomaddensate fosche nubi. una futura adesione; il lungo braccio mettendo sulla “unità nella diversità”. Caduto il Muro, l’Europa di ferro sulle Prospettive finanziarie In questo senso l’Unione ha perso ha rafforzato 2007-2013, ovvero il budget plurienper strada i cittadini, cui è parso semle istituzioni, non la nale dei 25 (più Romania e Bulgaria, pre meno nitido il progetto comunipropria identità. Bisogna il cui ingresso è previsto per il prostario. Sono aumentate le distanze tra ripartire dai cittadini e simo 1° gennaio). Il 2006 sarà duni popoli e le istituzioni di Bruxelles e dalla loro partecipazione que un passaggio delicato: l’anno Strasburgo; la costituzione è stata avdemocratica della chiarezza, per il futuro dell’Euvertita come una forzatura giuridica; ropa comunitaria? l’apertura delle frontiere all’Oriente ha fatto balenare il rischio della perdita di identità in una Unità nella diversità comunità troppo vasta; la lunga recessione economica ha La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aveva fatto com- peggiorato la situazione, prospettando la perdita delle prendere che il vecchio continente si estendeva ben oltre certezze legate al “modello sociale europeo”. la ex cortina di ferro e che – secondo la “profezia” di GioIn questo senso i prossimi dodici mesi potrebbero esvanni Paolo II – sarebbe tornato a respirare con i “due pol- sere dirimenti. Occorrerà: ritrovare lo slancio e le motivamoni” dell’est e dell’ovest. Gli anni Novanta hanno quin- zioni “alte” delle origini; riscoprire l’insegnamento dei di preparato la strada al consolidamento della Comunità “padri nobili” dell’integrazione; valorizzare il principio di e all’apertura delle frontiere (Trattati di Maastricht, Am- solidarietà, che è stato la vera chiave di volta di ogni reasterdam, Nizza) agli ex paesi comunisti: una più vasta area lizzazione comunitaria. E dovranno essere messi al primo di democrazia, diritti ed economia di mercato avrebbe posto i cittadini e la partecipazione democratica. giovato a tutti. Un’Europa che si costruisce “con” e “per” i cittadini ha Con il nuovo millennio sono giunti ulteriori successi: chance di riuscita. Altrimenti resterà, come qualcuno si la moneta unica; lo stesso allargamento; il Trattato costi- augura, soltanto un’area di libero scambio, fragile perché tuzionale; la definizione di nuovi ambiti di impegno co- priva di radici e di mete condivise. R ESTREMA E MEDIA Un pastore in una città del Kosovo. Nella provincia molti vivono condizioni di indigenza acuta, ma il disagio è una situazione diffusa religiosi musulmani che ortodossi». Proprio questo incontro dal basso è una delle linee guida di Caritas Kosovo. Il suo staff è composto da serbi (ortodossi), musulmani e cattolici. Con il supporto di alcune Caritas del network internazionale, conduce progetti che hanno come fine ultimo la riconciliazione tra serbi e albanesi e l’integrazione delle minoranze, soprattutto i rom. Caritas Kosovo è attiva anche nel sostegno alle fasce deboli. «I bisogni sono tanti e le risorse a disposizione scarse – precisa don Krista –. Non pochi sperimentano una povertà estrema, la gran parte della popolazione vive una povertà “media”: hanno di che mangiare, sopravvivono, ma se qualcosa va storto in famiglia la situazione si fa dura. Vi è poi una povertà generale, che coinvolge tutti. Mancano infrastrutture, luce, servizi… Abbiamo tanti ristoranti e benzinai, non ancora un servizio postale». Non servono dati ufficiali del governo o dell’Unmik per confermare queste parole. Basta osservare le decine di persone che ogni giorno si recano nella sede principale di Caritas Kosovo, a Ferizaj, alla disperata ricerca di cibo, vestiti, farmaci. «Esiste infine – conclude don Krista – una “povertà del Vangelo”: molti kosovari non hanno mai avuto la possibilità di esprimere la loro identità religiosa, rimasta sempre nascosta. Ad ogni modo, la dimensione della carità si è radicata stabilmente nella nostra chiesa. Nelle parrocchie sono stati accesi piccoli focolai di carità, gruppi capaci di leggere i bisogni, materiali e spirituali, e abbozzare risposte. Il segno più tangibile di questa presenza sono i giovani. La Caritas li ha stimolati, e loro tra mille difficoltà provano oggi ad animare le comunità». I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 35 internazionale terra futura so gratuito della natura e delle sue risorse. Appare quindi evidente il fatto che, quando si espande un modello già obsoleto, le conseguenze, per tutti, saranno negative. SPAZIO NON INFINITO Le fonti rinnovabili, come l’energia solare, sono ancora sottoutilizzate. Ma le risorse fossili rischiano di essere esaurite di Stefano Lampertico Intervista a Wolfgang Sachs, esperto di fama mondiale dei temi ambientali. «L’uso eccessivo delle risorse energetiche non rinnovabili ha pesanti effetti sociali, non solo sull’ecologia. Il nucleare non è una risposta» 36 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 ltre a essere una persona gentile, brillante, che parla un italiano segnato dall’accento tedesco ma preciso e fluente, Wolfgang Sachs, direttore del Wuppertal Institute, è uno dei massimi esponenti mondiali del pensiero ecologico. È tra i membri del comitato di garanzia di Terra Futura, la mostra-convegno delle buone pratiche di sostenibilità che si terrà a Firenze a fine marzo. È un interlocutore accreditato per parlare degli effetti sociali degli scenari energetici in un’epoca di globalizzazione, tema che sarà al centro del dibattito anche nel capoluogo toscano. O Professore, quale aspetto della globalizzazione incide maggiormente sull’ambiente? La globalizzazione, in qualche modo, non è altro che l’espansione di un modello eeconomico storicamente già obsoleto. Ovvero il modello economico che si basa sull’u- ROMANO SICILIANI «EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ, USIAMO MEGLIO LE FONTI» È possibile dare una corretta valutazione economica dell’impatto ambientale sul pianeta delle nuove modalità di produzione e della mobilità diffusa di uomini e merci? In tante parti del pianeta il capitale naturale viene eroso sempre più. Per esempio si è accelerato a dismisura il ciclo dell’estrazione delle risorse, come rame, petrolio, soia, e dall’altro lato non si è controllata l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. E quindi sia sul versante dell’estrazione, sia per quanto riguarda l’emissione, è aumentato l’impatto ambientale su un pianeta non più in grado di sopportarlo. È evidente che questi mancati controlli hanno un peso anche economico. sta cambiando e dall’oligopolio dell’ovest stiamo andando verso una situazione in cui lo spazio di consumo viene occupato anche dai nuovi paesi industrializzati, come Cina, India, Messico. Quella che non cambia però è la modalità di accesso alle risorse: molti paesi del mondo sono tagliati fuori, nel senso che hanno un consumo molto contenuto di gas e petrolio. Ma non si può risolvere il problema della disuguaglianza pensando di portare questi paesi allo stesso livello di consumo energetico dell’occidente. Equità in questo caso significa definire un livello sostenibile, più basso per tutti, così da raggiungere una partecipazione meno diseguale, e nel contempo commisurata al patrimonio energetico del mondo. In questi ultimi mesi i temi energetici (costi e consumi del petrolio, gestione delle reti di diffusione del gas naturale, uso del nucleare) hanno conquistato con sempre maggior frequenza le prime pagine dei giornali. Dobbiamo aspettarci una politica internazionale sempre più influenzata dalle mire sulle fonti di energia? Certamente. E si torna al rapporto tra energia ed equità. Solo ritirandoci da un uso eccessivo delle fonti possiamo dare più spazio agli altri. E un abbassamento della domanda porterebbe anche benefici per tutti: il primo sarebbe il contenimento dei prezzi delle risorse. Lei sostiene che “un nuovo equilibrio tra Nord e Sud deve essere trovato, dato che una pianificazione razionale della terra non potrà essere raggiunta senza la cooperazione di molti soggetti politici”. Quale ruolo possono giocare le politiche ambientali messe in atto dall’Unione europea e dalle comunità locali? L’Unione europea avrebbe la possibilità di posizionarsi in alternativa al potere globale unico, PENSIERO quello degli Stati Uniti, proponendo un model- ECOLOGICO L’uso intelligente delle fonti energetiche è anWolfgang Sachs, lo di ordine mondiale basato sulla cooperazio- direttore che un modo per prevenire i conflitti? Wuppertal ne, sul multilateralismo, su un patto fra Nord e del Non ci sono dubbi. Come non ci sono dubbi su Institut Sud del mondo, su una prevenzione politica dei altri possibili benefici: ogni stato, per esempio, rischi. L’Unione europea ha grandi potenzialità e qualche avrebbe una minore dipendenza da fonti energetiche che segnale positivo si intravede, anche se molto sfumato, per possiedono altri paesi. Saremmo così meglio preparati ad esempio in relazione all’applicazione del protocollo di affrontare momenti di grande scarsità; nei prossimi ventiKyoto. Diverso è il discorso per le istituzioni locali: negli ul- trent’anni finirà certamente il petrolio a basso costo. E in timi vent’anni sono aumentati la coscienza ecologica, l’in- un mondo in cui c’è una disuguaglianza così diffusa, ci savestimento sulla formazione e sull’informazione, e ciò ha ranno anche altri paesi che avranno la necessità di attinportato a progetti tangibili in materia ambientale. gere a una parte di queste risorse. Energia e giustizia sociale. Come contribuiscono le politiche energetiche globali a determinare il solco tra mondo ricco e mondo povero? Qui si intrecciano le dimensioni dell’equità e dell’ecologia. Il petrolio, ma anche il gas, sono risorse limitate: siamo davanti a uno spazio ambientale che non è infinito. D’altro canto è evidente che questo patrimonio energetico è distribuito in modo ineguale, anche se la situazione Come interpreta il tentativo di alcuni stati, anche europei, di rendersi autonomi nella produzione di energia con l’utilizzo del nucleare? I nuclearisti trovano una nuova speranza in relazione alla crisi del petrolio e al clima. Ma ci sono alcune considerazioni da fare. Da un lato conosciamo bene i rischi del nucleare, legati alla sua sicurezza e ai suoi rifiuti, problema irrisolto in ogni parte del il mondo. Ma sono ancora più imI TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 37 internazionale internazionale contrappunto terra futura “Terra Futura”, vetrina di pratiche che garantiscono i “beni comuni” Tre giornate per far conoscere progetti ed esperienze che sperimentano modelli di sostenibilità sul fronte economico, sociale e ambientale. Da venerdì 31 marzo a domenica 2 aprile la Fortezza da Basso, a Firenze, ospiterà per il terzo anno consecutivo “Terra Futura”, la mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità, attuabili e già attuate nei diversi ambiti dell’abitare, produrre, coltivare, agire e governare. La manifestazione è promossa dalla Fondazione culturale Responsabilità Etica per conto del sistema Banca Etica e da Adescoop Agenzia dell’economia sociale. A “Terra Futura” si manifestano in esempi concreti i temi cari a chi desidera percorrere strade capaci di assicurare un futuro al nostro pianeta: consumo critico, commercio equo, finanza etica, responsabilità sociale d’impresa, turismo responsabile, rispetto e tutela dell’ambiente, energie alternative e rinnovabili, bioagricoltura, bioedilizia, medicine non convenzionali, mobilità sostenibile, pace, diritti umani, cooperazione internazionale… Queste proposte avvengono nell’ampia area espositiva (dove trovano spazio associazioni, realtà non profit, istituzioni, enti locali, imprese), in un intenso calendario di convegni e dibattiti e nei numerosi spazi-laboratorio, in cui i visitatori possono sperimentare direttamente buone pratiche quotidiane di sostenibilità e nuovi stili di vita. Visitata l’anno scorso da 48.500 persone, che hanno affollato i 100 appuntamenti culturali con 500 relatori e i 300 stand proposti da oltre duemila realtà, “Terra Futura” prosegue quest’anno la riflessione sul tema sul tema dei “beni comuni”, come base di partenza per costruire un’altra economia, che si preoccupi del loro mantenimento e della loro rigenerazione. Il percorso culturale verrà proposto, quest’anno, insieme ad alcune grandi sigle dell’associazionismo italiano (Arci, Cisl, Fiera delle utopie concrete, Legambiente), a cui si unisce Caritas Italiana. Intitolato “La nostra terra futura: oltre il petrolio, oltre l’ingiustizia”, tale programma si articolerà in tre spazi: la Piazza, dove relatori, esperti e responsabili istituzionali condivideranno le loro conoscenze; l’Arena, dove verranno presentate azioni concrete per il cambiamento; il Circolo, dove si svolgeranno conversazioni con personalità di grande spessore culturale, portatrici del nuovo pensiero. “Abbiamo capito – scrivono le realtà promotrici del programma culturale – che le questioni sociali, ambientali ed economiche sono inscindibili, che l’impegno a fianco degli ultimi deve accompagnare l’impegno per la tutela delle risorse naturali, che l’azione per la finanza etica deve puntare a un nuovo sistema economico, che la lotta in difesa dei lavoratori deve rafforzare quella per i diritti degli altri popoli. Questa consapevolezza è alla base del nostro stare insieme a Terra Futura e al centro del momento culturale che promuoviamo”. Numerosi gli invitati di spicco del mondo accademico, politico, sindacale, economico: il programma completo è sul sito www.terrafutura.it. portanti altre riflessioni. Per far funzionare un impianto nucleare servono dieci-dodici anni. I capitali spesi per queste centrali possono essere facilmente destinati a progetti che non richiedono la costruzione di impianti e che porterebbero benefici immediati: l’efficienza energetica, l’uso intelligente delle fonti rinnovabili. Inoltre quando si parla di nucleare bisognerebbe aggiungere una riflessione sul circuito plutonico, pensare cioè a un nucleare che implichi il riprocessamento del combustibile, perché anche l’uranio è una risorsa limitata. Sarebbe folle costruire un sistema energetico su una risorsa limitata. Ma la strategia del riprocessamento del combustibile oggi non può esse38 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 re separata dal nucleare militare. Pensate al recente dibattito internazionale con l’Iran su questi temi. Imboccare questa strada porta a una militarizzazione potenziale del nucleare. Sarebbe una follia per il mondo intero. Qual è la sua idea di progresso? Essere capaci di vivere con le risorse che abbiamo disponibili. Negli ultimi 150 anni ci si è basati sulle risorse fossili che venivano estratte dalla cresta della terra e sui tesori delle colonie. Oggi i fossili sono limitati, le colonie non ci sono più e il mondo diventa sempre più piccolo: è un imperativo assoluto imparare a vivere bene con i propri mezzi. ACCESSO, NON SOLO COSTO: L’ENERGIA SPOSTA POTERI E PAURE di Alberto Bobbio rmai il prezzo non conta più. Il petrolio gira attorno ai 70 dollari al barile e nessuno si stupirebbe se arrivasse a 100 dollari. Il problema è un altro e si chiama “accesso strategico”. Vale per tutti, ma soprattutto per chi ne consuma quantità pazzesche. L’America e la sua economia, ha ammesso il presidente Bush nel discorso sullo stato dell’Unione, sono “avvelenate dal petrolio”. Ma è la Cina a stare in testa alla classifica: l’anno scorso l’Asia ha superato per la prima volta America del nord ed Europa, trascinata dal vortice dei consumi cinesi e indiani, che stanno provocando un’impennata nella richiesta di energia. Più che il denaro, si diceva però, conta la geopolitica dell’accesso, ma dei flussi e della distribuzione che viene dall’Asia centrale. E qui le logiche sono politiche, prima che economiche. La Russia torna sulla scena, pronta a competere forte di un’arma formidabile, l’energia, intrecciando risultato economico e aumento della sfera di influenza geopolitica. La Cina ha scelto di fare da sponda a Mosca. Gli investimenti russi in Asia centrale sono aumentati di quasi 150 volte negli ultimi cinque anni, correggendo la politica centrifuga per garantire sicurezza nella svilupaffermatasi con i predecessori di PuI consumi asiatici di po. È un problema che non hanno tin. Si assiste da qualche tempo a un petrolio hanno superato solo Pechino e le altre capitali asiatiritorno alla centralizzazione del penquelli nordamericani che, ma anche l’Europa, dopo il bridolo russo nei confronti delle repubed europei. La Cina vido che ha provato a causa del gas bliche ex sovietiche. L’Organizzaziofa acquisti e intreccia russo. La strategia della Cina è abbane di cooperazione centroasiatica si rapporti con arabi stanza chiara: intende comperare e è fusa nell’Eurasec, la Comunità ecoe russi. Putin usa il gas va a fare la spesa in Sudan, Angola, nomica euroasiatica, dove la diffecome leva strategica. Nigeria, Medioriente, Venezuela. Si renza la fa Mosca. Alla base ci sono L’occidente controlla cautela e intanto ridisegna scenari importanti accordi energetici nel sempre meno politici. Il re saudita ha passato tre campo petrolifero e del gas naturale, la globalizzazione giorni a Pechino, sicuramente non nei quali i cinesi hanno una parte risolo per ammirare le bellezze della levante. Si tratta di società pubbliCittà Proibita. Sinopec, la prima compagnia petrolifera che, che il Cremlino ha riportato sotto controllo stretto, cinese, ha moltiplicato i suoi investimenti in Arabia; lo dopo anni di privatizzazioni selvagge e distruzioni, per sceicco del Kuwait è il principale azionista nel colossale ricostruire la sua potenza mondiale. affare della prima privatizzazione cinese, quella della InÈ l’energia, insomma, usata come leva strategica dagli dustrial and Commercial Bank of China. ex agenti del Kgb che comandano a Mosca. L’obiettivo finale è controllare l’intera rete dei gasdotti europei (e non Il gioco del trasporto soltanto), aprendo o chiudendo i decrepiti rubinetti sibeLa Cina ha fretta di sostituire il carbone, che fa seimila riani, ma anche acquistando partecipazioni economiche morti l’anno nelle miniere. Così l’asse delle politiche nelle società dei tubi europei. E non serve cullarsi nella energetiche si sposta. E non balla solo sul petrolio, bensì convinzione che la Russia non sia più comunista. Né conanche sul gas naturale, di cui l’Europa ha bisogno vitale. viene ritenere l’attrazione per il capitalismo di Mosca e PeNon c’è infatti solo la questione dei giacimenti: oggi a chino il sistema automatico di regolazione delle paure del preoccupare è il grande gioco del trasporto, nel quale la mondo. La globalizzazione cambia anche la percezione Russia di Putin ha un ruolo centrale, controllando il siste- dei rischi. E l’Occidente classico la guida sempre meno. O I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 39 agenda territori parrocchia e mondialità TREVISO UMBRIA Aperto un locale di accoglienza per i famigliari dei detenuti Impegni per le diocesi: Progetto Kosovo, accoglienza a Foligno È stato inaugurato nella seconda metà di gennaio un locale di accoglienza per famiglie in visita ai detenuti, allestito da Caritas Treviso. Si tratta di un nuovo impegno nell’ambito del carcere: dopo la struttura di accoglienza per 12 ex detenuti e altre iniziative (le “Adozioni a vicinanza” e un laboratorio di falegnameria) è partito il progetto denominato “Oggi visite”, rivolto alle famiglie dei detenuti della casa circondariale veneta. Esso prevede l’accoglienza di donne e bambini che la mattina vengono a trovare i familiari detenuti: davanti all’ingresso del carcere è stato sistemato un prefabbricato (nella foto, l’inaugurazione) per ospitare coloro che dovrebbero fermarsi ad attendere, pressoché senza riparo, il loro turno di entrata. Inaugurata dal vescovo, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, alla presenza del direttore del carcere e di autorità cittadine, parroci, operatori e volontari Caritas, la struttura non servirà solo ad alleviare un evidente disagio, ma anche come spazio per le relazioni con i familiari e l’animazione dei bambini, grazie alla presenza regolare di due operatori. Il progetto è condiviso dalla direzione dell’istituto di pena e dai responsabili dell’area educativa del carcere: circa un terzo dei detenuti a Treviso, soprattutto italiani, hanno una famiglia con cui mantengono i contatti. BOLZANO-BRESSANONE Dal Servizio Hospice appello per una vita “fino all’ultimo istante” “Non solo morire in pace, ma vivere fino all’ultimo istante”: è questo l’appello lanciato dalla Caritas diocesana l’11 febbraio, in occasione della Giornata del malato. In Alto Adige, 114 volontari formati accompagnano e assistono persone gravemente ammalate o morenti nelle abitazioni, nelle case di riposo e negli ospedali. Il Servizio Hospice della Caritas diocesana, con i tre uffici di Bolzano, Brunico e Merano, è a disposizione di uomini e donne gravemente ammalati, dei loro parenti 40 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 e amici, ma anche di chi ha intenzione di impegnarsi come volontario nel servizio. «Oltre a una buona assistenza medica, queste persone hanno bisogno di attenzione e sensibilità, oggi purtroppo merce rara», spiega Rainer Feichter, responsabile del servizio. Nel 2005, esso è stato molto richiesto dagli altoatesini: quasi 4 mila interventi e 13.700 ore di assistenza, il 20% in più rispetto all’anno precedente. Una buona formazione dei volontari è cruciale: per questo il Servizio Hospice offre specifici corsi di formazione. Ma il compito del servizio è anche informare e sensibilizzare l’opinione pubblica: oltre all’appello per la Giornata del malato, durante l’anno il Servizio incontrerà gruppi e associazioni per presentare idee e proposte di attività. La delegazione regionale Caritas ha presentato i suoi progetti per il 2006, che coinvolgono le otto Caritas diocesane dell’Umbria. Anzitutto verrà dato ulteriore sviluppo al progetto “Kosovo”, attivo da settembre 1999 con l’animazione del campo Caritas di Radulac, condotto da una coppia di giovani umbri che, grazie all’aiuto di centinaia di volontari, presenti a turno, si prendono cura di 19 bambini senza famiglia e aiutano un centinaio di famiglie in situazione di bisogno. Il progetto ha risvolti anche sul fronte dell’assistenza sanitaria e della riconciliazione dopo il conflitto: per il 2006 l’obiettivo è acquistare i campi affidati alla cooperativa (fondata nel 2003 dagli operatori del campo) dove lavorano tanti giovani kosovari, in un’area a forte disoccupazione. In Umbria, invece, i progetti comuni riguardano il proseguimento dell’opera della casa di accoglienza “Germoglio meraviglioso” di Foligno, in cui vengono accolte persone in difficoltà provenienti dalle otto diocesi. In cantiere c’è un intervento edilizio, per costruire un’ala nuova della struttura. Infine, si proseguirà nell’aiuto mirato a singoli e famiglie, attraverso l’opera quotidiana dei centri d’ascolto diocesani. SENIGALLIA Volontari in festa per i dieci anni del Centro solidarietà A fine gennaio la Caritas diocesana ha festeggiato, con il vescovo, i sacerdoti, gli operatori e i volontari, i dieci anni di di Matteo Gandini Due personaggi alla ricerca del fuoco, fiabe a scuola per insegnare il valore delle differenze MOHAMED E RASHIDA Due momenti delle fiabe animate proposte dal gruppo mondialità della Caritas diocesana di Reggio Emilia ai bambini delle scuole e delle parrocchie Lavorando nelle parrocchie della diocesi di Reggio Emilia con il gruppo di educazione alla mondialità della Caritas diocesana, incontriamo spesso tanti bambini nei gruppi parrocchiali, in quelli scout o addirittura negli asili parrocchiali. In uno di questi abbiamo messo in scena una fiaba animata dal titolo “La ricerca del fuoco”. I bambini si sono seduti sul tappeto magico su cui la fata “acchiappastorie” ha narrato loro la leggenda di due personaggi alla ricerca del fuoco: il cattivo Mohamed e la buona Rashida. I bambini, dopo aver ascoltato la fiaba, si sono alzati e, magicamente, nella stanza attigua, i luoghi e i personaggi della storia si sono materializzati. Alcuni di noi hanno impersonificato Mohamed, Rashida e il re Molungo. La leggenda narra che solo Rashida riuscirà a ottenere il fuoco da Molungo. La ragione di questa vittoria sta nell’aver accettato i popoli che incontrava lungo il suo cammino, con tutte le loro caratteristiche e stranezze. Al termine di questa fiaba animata si è avvicinato a noi un bambino, aveva 5 anni e due occhioni neri che occupavano buona parte del volto. Mi ha tirato un lembo della veste imperiale di Molungo e mi ha chiesto di abbassarmi perché voleva dirmi qualcosa. Così ho fatto, mi sono chinato e lui ha detto qualcosa che rimarrà per sempre nel mio cuore: “Non è che riuscite a venire a raccontare anche a casa mia, ai miei genitori, questa fiaba? Ne abbiamo tanto bisogno…”. Mondialità e stili di vita Ho capito subito che, pur nell’abbondanza economica e nell’agio materiale, quel bimbo viveva dolori immensi, comparabili forse con quelli che si vivono in zone di guerra. Nella sua innocenza aveva capito perfettamente il contenuto pedagogico che sottostava alla fiaba: le differenze non sono vincoli ma risorse su cui scommettere; la misura non è la giustizia ma la carità (o amore, perdono, ecc.). Quel bimbo ha capito perfettamente che in casa sua i suoi genitori non riuscivano a vedere le proprie differenze come risorse; quel bimbo ha capito che tale situazione non era fecondatrice di gioia e amore, ma di dolore. Aveva capito che per lenire questo o altri dolori ci si rifugia in mille distrazioni diverse. Aveva capito che aveva bisogno di una Rashida che potesse accogliere e rispettare la sua differenza di bambino, di un re Molungo che provasse a far dialogare i suoi genitori, di un fuoco che lo potesse riscaldare dentro (lo stesso effetto dell’acqua che Gesù offre alla Samaritana). Ho terribilmente toccato con mano la mia impotenza, vestito da re ho cercato di fare la mia bella figura nell’accarezzare quel bimbo dagli occhioni bellissimi, gli ho detto che lui stesso poteva raccontare tutto quello che aveva visto e sperimentato quel giorno ai suoi genitori. Questo episodio ci ha fatto riflettere e abbiamo capito che l’educazione alla mondialità ha un filo rosso che la collega con gli stili di vita. Quanto più gli stili di vita delle nostre comunità parrocchiali e dei singoli sono conformi allo stile di Gesù (amore), tanto più si potrà attuare un’educazione alla mondialità. Il bimbo di cui abbiamo parlato forse faticherà ad affrontare, in futuro, la questione dell’immigrazione mondiale, perché la sua mente e il suo cuore sono occupati da un dolore molto più grande e profondo. Noi, con la nostra fiaba, speriamo di aver contribuito a fargli superare quegli ostacoli. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 41 agenda territori bacheca Immigrazione e comunicazione, tra destini personali e laicità dei dati “I giornalisti italiani non sono xenofobi”. Ma per loro “è difficile non farsi imprigionare da schemi, limiti” e pregiudizi, che condizionano il loro modo di rapportarsi al fenomeno dell’immigrazione e di conseguenza il loro modo di raccontarla. Si era aperto con queste considerazioni, nello scorso autunno, un seminario svoltosi nella sede di Caritas Italiana e riservato agli operatori dell’informazione. Ad approfondire questi problemi, e il ruolo che le Caritas e i loro strumenti di comunicazione possono rivestire in proposito, è stato invece dedicato il seminario “Comunicare l’immigrazione”, che ha visto riuniti a Roma a inizio febbraio una cinquantina di operatori del Coordinamento comunicazione Caritas. Nelle due intense giornate di confronto (foto) sono stati messi a fuoco i limiti di un’informazione «che guarda prevalentemente all’immigrazione come problema e come fonte di precarietà, piuttosto che come risorsa. Tale informazione è costruita sempre in termini generalisti: è ancora incapace di guardare ai milioni di destini personali» che stanno dentro l’articolata presenza di migranti in Italia, come ha sottolineato Giorgio Paolucci, giornalista di Avvenire. D’altronde, gli ha fatto eco Luigi Gaffuri, docente all’università dell’Aquila, «chi parla di immigrati lo fa solitamente non sulla base di un’esperienza personale ma in riferimento all’evanescenza di un’immagine creata dal lavoro dei media. Così l’immaginario collettivo in buona parte interpreta l’immigrazione come una minaccia, ma ciò è smentito dai dati», alla cui «laicità» il professore ha invocato che si possa far ricorso per inquadrare la questione in termini di maggior obiettività all’interno del dibattito pubblico. Il giornalista non pigro Questo, in fondo, è anche il compito del Dossier statistico immigrazione, giunto nell’ottobre 2005 alla 15ª edizione e giudicato da Corrado Giustiniani, giornalista del Messaggero, una fonte attendibile e preziosa di numeri e informazioni che possono ispirare il lavoro del giornalista “non pigro”, interessato alla complessità dei fatti. La testimonianza di Ribka Shibatu (eritrea, mediatrice del Forum romano per l’intercultura) ha arricchito le giornate, evidenziando quanto l’immagine dell’immigrazione costruita dai media possa incidere nella esperienza personale di milioni di migranti. Molto ricca, infine, la presentazione delle iniziative editoriali createsi attorno al Dossier statistico immigrazione, ad opera della sua redazione. 42 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 sussidi a cura dell’Ufficio comunicazione attività del Centro di solidarietà di prima accoglienza “Don Luigi Palazzolo”. Nel solo 2005 esso ha realizzato 5.855 pernottamenti, 7.155 pasti, 1.460 docce e ha fornito 4.654 beni materiali, tra cui 825 pacchi viveri. Nel 1995 il centro aveva 40 volontari, oggi sono 400; gli obiettori in servizio civile sono stati 140 in un decennio, le ragazze (tra anno di volontariato sociale e servizio civile) 25. Durante gli anni il centro ha sviluppato un progetto di seconda accoglienza (sei miniappartamenti) e un ambulatorio dentistico ora divenuto ambulatorio medico. Importanti anche i progetti di solidarietà internazionale, dedicati ai Saharawi e all’Argentina. VITERBO Povertà in provincia: primi dati in vista del rapporto La Camera di commercio ha ospitato a gennaio un convegno sul primo rapporto sulle povertà nella provincia di Viterbo, che uscirà nella sua veste definitiva a giugno. Il progetto è promosso dall’associazione “Viterbo con amore”: «Vogliamo proporre un’indagine seria, che serva da strumento per le politiche sociali nel territorio», hanno dichiarato i responsabili. Tra i primi dati, emerge che oltre un quinto dei circa 300mila abitanti del viterbese sono anziani ultra65enni; tra il 2002 e il 2003 sono più che raddoppiati i tossicodipendenti, da 329 a 706, rivoltisi alle strutture pubbliche o private del territorio. Dai dati Inps si ricava che nel 2003 i titolari di pensioni di invalidità erano circa 10.100 (34 ogni mille abitanti). Dal 1997 al 2003 i minori denunciati sono aumentati del 53,5% (da 71 a 109): anche in questo caso una delle più alte incidenze del Lazio. a cura dell’Ufficio comunicazione PORTO - SANTA RUFINA Ricerca su Casalotti, quartiere accogliente nonostante i problemi Il “grido delle folle”in Quaresima, spunti per avvicinarsi alla Pasqua Il quartiere di Casalotti, periferia romana, è un’area metropolitana dove intensa è stata, nei tempi recenti, la trasformazione urbanistica e socio-economica. Al tradizionale borgo periferico si sono affiancate nuove edificazioni, da poco inserite in un progetto urbanistico. E le aree limitrofe, tradizionalmente rurali, hanno conosciuto nell’ultimo decennio una crescente urbanizzazione. Così oggi Casalotti, emblema di tante periferie italiane, è un quartiere residenziale. Sulle complesse dinamiche del disagio sociale e relazionale che vi si sono sviluppate si concentra una ricerca (condotta dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse della diocesi suburbicaria di Porto Santa Rufina e dalla facoltà di Scienze della formazione dell’università Lumsa), basata su 49 interviste a residenti, un’analisi degli indicatori socioeconomici e un’analisi dei documenti di programmazione sociosanitaria. Il quadro che ne emerge è complesso: lungi dall’essere un quartiere omogeneo, Casalotti risente di una scarsità delle risorse comunitarie e dell’insufficienza delle agenzie di prevenzione e supporto agli individui più deboli. I punti critici non sembrano comunque compromettere un radicato senso di attaccamento al territorio: Casalotti risulta un quartiere problematico ma accogliente. Una realtà che, come tante periferie italiane, presenta valori di relazione, sui quali la politica e le istituzioni dovrebbero investire con maggiore convinzione. “La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia”. Comincia con queste parole il messaggio che papa Benedetto XVI ha inviato ai cattolici di tutto il mondo in vista della Quaresima. Ispirato al versetto evangelico “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt. 9,36), il messaggio è una profonda riflessione sul “grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore”, che ancora oggi si leva da molte parti del mondo, e sul contributo della Chiesa nei confronti del “pieno sviluppo” dell’uomo, che deve sostanziarsi “non (…) in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo”. Il papa prosegue ricordando la necessità di “una strada per guidare (…) il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo e così conduca alla pace autentica. Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo”. A cominciare dalla libertà religiosa, intesa anche come possibilità di “contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità”. Portate a tutti la gioia del Risorto Per accompagnare fedeli, famiglie e comunità nel cammino quaresimale, Caritas Italiana e Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei hanno predisposto, come di consueto, una articolata serie di sussidi. Il tema unificante è l’appello “Portate a tutti la gioia del Risorto!”: a dargli concretezza contribuiscono le immagini dell’artista Cinzia Ratto, mentre i contenuti sono affidati all’opuscolo per le famiglie, a un album per i bambini, al poster da affiggere nelle chiese, al salvadanaio per chi intende accompagnare il cammino quaresimale con un gesto concreto di solidarietà, infine a una scheda per l’animazione pastorale. Tutti i sussidi sono studiati per essere accessibili anche a chi è meno abituato al linguaggio liturgico, per proporre un cammino a chi si riaffaccia alla fede o desidera iniziare una riflessione su se stesso e su Dio. INFO www.caritasitaliana.it I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 43 villaggio globale a tu per tu MUSICA PERIODICI “Oratorium”, un cd firmato Elio per parlare ai giovani “Stadium”, lo sport dei valori: cent’anni di vita, una nuova veste Un cd musicale singolare e divertente: Oratorium, scritto e cantato dal gruppo Elio e le storie tese, è stato presentato al convegno nazionale di pastorale giovanile tenutosi in febbraio a Lignano Sabbiadoro. È una delle iniziative, che si affida ai ritmi, all’ironia e allo spiccato estro musicale di Elio & c., che il Forum oratori italiani (Foi) adotta nel suo percorso verso il Convegno ecclesiale di Verona, nel tentativo di parlare, con il loro linguaggio, al mondo dei giovani. Altre iniziative nel campo della comunicazione: la pubblicazione della “collana Oratori” con l’editrice Edb, il rinnovamento dei sitit internet www.giovani.org e www.oratori.org, la sperimentazione di un progetto (“OraTv - tv dai ragazzi”) che intende far sperimentare agli adolescenti l’uso delle nuove tecnologie audiovisive. TELEVISIONE La Rai promette: presto una sede “coprirà” l’Africa Una buona notizia (ancora da concretizzare) per chi ha a cuore la varietà dei flussi di notizie. Alfredo Mocci, direttore generale Rai, incontrando a fine gennaio i rappresentanti del sindacato Usigrai, della Tavola della pace, del coordinamento nazionale Enti locali per la pace e delle riviste 44 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 Maria Grazia l’ambasciattrice: «Un film a più mani per dare speranza ai bambini invisibili di tutto il mondo» Tagliare il traguardo dei cent’anni e scoprirsi nuovi. Stadium, il mensile del Centro sportivo italiano (Csi), dall’inizio dell’anno è profondamente rinnovato: edito ora dal gruppo Periodici San Paolo, ripropone la sua gloriosa storia (nato nel 1906, ha visto interrotte le sue pubblicazioni nel periodo fascista, per riprenderle nel 1944 come organo dell’associazionismo sportivo di ispirazione cristiana) parlando ai giovani con un linguaggio moderno delle 72 discipline sportive che gli atleti tesserati Csi (quasi 900 mila) praticano in tutta Italia. Il giornale vuole raccontare storie di sport pulito, presentare l’esperienza di sportivi noti e meno noti, diffondere valori che contribuiscano a combattere patologie sociali che minano il mondo giovanile. Per ora può essere ricevuto in abbonamento, in futuro sarà anche in edicola. missionarie, ha assicurato che la Rai intende aprire presto una propria sede in Africa (potrebbe essere a Nairobi). «Ci stiamo già lavorando», ha dichiarato Mocci ai suoi interlocutori, secondo quanto riportato dall’agenzia Redattore sociale. L’apertura della nuova sede, ripetutamente chiesta dai soggetti della cooperazione, della pace e dalle riviste missionarie nel recente passato, colmerebbe una lacuna gravissima nella geografia del servizio pubblico radiotelevisivo: pur dovendo “coprire” un intero continente, la sede alla cui preparazione sta lavorando l’inviato Enzo Nucci avrebbe la funzione di offrire a Tg, programmi e palinsesti materiali e notizie che finora la Rai attinge (quando lo fa) ai circuiti delle grandi agenzie internazionali. Intanto il canale satellitare RaiUtile ha lanciato La Rosa di Jericho, programma che va in onda ogni mercoledì alle 15 e interamente dedicato al mondo della cooperazione internazionale, con approfondimenti, dibattiti e notizie di attualità. INTERNET Portale interattivo per far comunicare chi vive la disabilità Il web offre un nuovo spazio ai soggetti (individui, ma anche volontari, associazioni, istituzioni e imprese) che ogni giorno si misurano con l’esperienza della disabilità Il nuovo portale interattivo www.sociale.it si propone come spazio di incontro e punto di raccordo tra varie esperienze, mettendo a disposizione informazioni e promuovendo lo scambio di comunicazioni ed esperienze. Le sue sezioni offrono l’opportunità di reperire aggiornamenti, ottenere consulenze, ma anche entrare in rapporto diretto, “chattando” con altre persone disabili o che vivono ogni giorno con i disabili. di Danilo Angelelli Ambasciattrice. Il termine si adatta come un abito su misura a Maria Grazia Cucinotta. Che si muove in parallelo tra due ruoli. Quello di attrice, che l’ha imposta all’attenzione internazionale con la lieve poesia del Postino, passo d’addio di Massimo Troisi. E quello che è tutta un’altra poesia: l’impegno come ambasciatrice di Unicef e World Food Programme. Fa sul serio, Maria Grazia. E per mettere insieme i due ruoli se ne è ritagliato addirittura un terzo. È infatti tra i produttori di All the invisibile children, il film in questi giorni nelle sale. Sette episodi sull’infanzia ignorata, firmati da otto registi di alto livello, tra cui Emir Kusturica, Spike Lee, Ridley Scott, John Woo. Otto grandi talenti creativi, per raccontare i “bambini invisibili” di tutto il mondo. In un episodio recita anche lei… Sì, nell’episodio Ciro, diretto da Stefano Veneruso – già aiuto-regista in The Passion –, spaccato di vita dei bambini della periferia di Napoli. Il mio è un piccolo ruolo in un grande film, che nasce dalla consapevolezza dell’esistenza di milioni di bambini senza diritti per sfruttamento e guerre, di 300 milioni di minori che soffrono la fame, di 100 milioni che non hanno accesso all’istruzione. La Cooperazione italiana allo sviluppo del ministero degli esteri, le agenzie Onu World Food Programme e Unicef sostengono questa iniziativa per far ascoltare la voce e le speranze dei “bambini invisibili” e per dar vita a un progetto per l’infanzia in Africa. Un film multiculturale, che avvicina registi di radici diverse. Un regalo che il cinema si è fatto? PRODUTTRICE INTERPRETE Maria Grazia Cucinotta nella scena che la vede impegnata in All the invisibile children, film di cui è anche co-produttrice. Sotto, altre scene della pellicola, girata da otto registi, tra cui alcuni di fama mondiale Senz’altro. Ma anche un regalo che noi produttori ci siamo fatti, perché di questo film siamo fieri più di qualsiasi altro lavoro. È la cosa che ci ha fatto stare meglio e ci carica tutte le volte che il film viene proiettato. L’ho seguito in diversi festival, sempre ho visto la gente commossa applaudire per minuti. Quale episodio preferisce? Mi piacciono tutti. È impossibile sceglierne uno. Anche se si tratta di storie tra loro indipendenti, creano un insieme inscindibile. In particolare credo che non si dimentichi facilmente la bambina dell’episodio di Spike Lee. Ogni volta che la sento gridare «Io non voglio morire», non riesco a non piangere. C’è qualcosa che la avvicina particolarmente ai bambini ritratti nel film? Io vengo da una realtà molto simile alla loro. Il fatto di essere riuscita a diventare visibile mi lega a loro ancora di più. Ho vissuto in prima persona anche il problema dell’immigrazione, quindi il non essere accettata due volte. La mia condizione sociale era aggravata dal fatto di provenire da una terra considerata di serie B, che non ho mai rinnegato perché la amo. È stato un enorme sacrificio lasciare la mia casa per andare a migliorarmi, subendo ulteriori discriminazioni. C’è però una nota positiva in tutto questo: chi vive simili esperienze trova una carica, una forza di riuscire che gli altri non hanno. Cosa porterà di questa esperienza nel suo futuro umano e professionale? Il percorso che ha accompagnato il film è una grande lezione di vita. Acquista sempre più forza, dentro di me, la spinta a lavorare con ancora maggior impegno per l’Unicef e il World Food Programme e aiutare così i bambini del sud del mondo. Non posso davvero più tirarmi indietro. I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 45 ritratto d’autore villaggio globale pagine altre pagine di Francesco Meloni SEGNALAZIONI Il principio speranza, forza radicata nell’amore che può cambiare il mondo «Fede, speranza e carità vanno insieme. (…) Gesù sulla croce suscita l’amore ed è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre un mondo buio e ci dà il coraggio di amare, vivere e agire (…). Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo». Con queste parole papa Benedetto XVI riassume (al numero 38-39) “l’invito” e il senso della sua lettera enciclica Deus caritas est (Libreria Editrice Vaticana 2006, pagine 96), legando inscindibilmente la speranza cristiana all’amore vissuto da coloro che si reputano seguaci di Cristo. Il credente adulto, di conseguenza, non rimane inerte a contemplare le cose del mondo, bensì opera all’interno di esso a favore della propria e dell’altrui vita: “Nel cuore della intollerabile storia di sofferenze del mondo – scrive Jürgen Moltmann in Teologia della speranza (Queriniana) – egli scopre la storia della sofferenza riconciliatrice di Cristo. E ciò gli dà la forza di sperare là dove non c’è più nulla da sperare, e di amare là dove ci si odia”. Lo sperare cristiano, dunque, è interamente radicato nella fede, nella consapevolezza di “esser legati” all’altro, e si esprime nella forma della perseveranza, nell’essere fedeli sino alla fine, in ogni momento del tempo. Certezza e perseveranza, tenacia, umiltà e fedeltà che hanno segnato tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, come si evidenzia in Varcare la soglia della speranza (Vittorio Messori, Mondatori 2004, pagine 257). Esiste una condizione del cuore o dello spirito che si chiama speranza ma che con la speranza comune ha poco a che fare. Lo sosteneva il filosofo Ernst Bloch in Il principio speranza (Garzanti 2005, seconda edizione, 3 volumi pagine 1.628), di cui è lontano figlio il recentissimo Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo (Fandango Edizioni 2005, pagine 144) di Rebecca Solnit; nonché per altri versi L’attesa e la speranza di Eugenio Borgna (Feltrinelli 2006, pagine 216). Da un punto di vista pastorale si segnala Futuro dell’uomo e speranza cristiana. Strumenti di riflessione e di lavoro (Edizioni Ldc). Interessanti anche alcuni libri delle Edizioni Monti: La terra e la gente. La speranza in cui credo di Giancarlo Bregantini, vescovo di Locri-Gerace (2006, pagine 224); La speranza che è in noi di Rocco Talucci, vescovo di Brindisi-Ostuni (2006, pagine 126); La speranza creativa di Ettore Masina (2006, pagine 72). 46 I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 Chiesa e cultura dopo il Concilio, un lessico di libertà Proponiamo ai lettori libri e audiovisivi che meritano attenzione. Ulteriori suggerimenti su www.caritasitaliana.it Cei - Servizio nazionale progetto culturale (a cura di), A quarant'anni dal Concilio. VI Forum del progetto culturale (Dehoniane, Bologna, 2005, pagine 374). Una riflessione sul rapporto tra Chiesa e cultura, a partire dalla costituzione conciliare Gaudium et spes, con 60 interventi in vista del Convegno di Verona. Ulrich Duchrow, Alternative al capitalismo globale. Dalla storia biblica all’azione politica (Emi, Bologna, 2004, pagine 443). La povertà e il degrado ambientale innescati dal capitalismo neoliberista: le strutture di peccato dell’attuale ordine economico mondiale possono e devono essere cambiate secondo principi di giustizia sociale e di integrità del creato. Autori vari, Lessico della libertà. Percorso tra 15 parole chiave (Paoline, Milano, 2005, pagine 162). Piccola mappa del concetto di libertà, intesa non come regno dell’individuo narcisista, ma come sollecitudine per la libertà di tutti. Suddiviso per gruppi di voci (“triadi”) che interagiscono fra loro. R. Pizzini – P. Dal Ponte, L’altra guancia. Educare alla nonviolenza (Editrice Monti 2005, pagine 109). Non un trattato “dell’educazione”, ma un distillato di vissuto quotidiano, tratto esperienze umane e professionali personali. A. Paoli – F. Comina, Qui la mèta è partire (La Meridiana 2005, pagine 108). Le riflessioni e la schietta testimonianza di Arturo Paoli, 93enne maestro e indomito messaggero di vangelo, vissuto a fianco dei poveri dell’America Latina. di Jerzy Kluger ingegnere, amico d’infanzia di papa Wojtyla LOLEK E JUREK PROMOSSI: «SIAMO FIGLI DELLO STESSO DIO» on il pensiero e con il cuore torno alla scuola elementare, qui al Rynek (piazza del Mercato) e al ginnasio di Wadowice, intitolato a Marcin Wadowita”. Così Karol Wojtyla disse tornando nel 1979 da papa nella sua città natale, al sud della Polonia. E anch’io – a quasi un anno dalla sua scomparsa – torno in quei luoghi con la memoria e con l’anima. Al fiume Skawa, alle catene dei Beskidy, agli episodi della fanciullezza, ai tanti momenti condivisi con Karol. Con affetto io lo chiamavo Lolek e lui mi chiamava Jurek. Era il 1930. Noi avevamo allora dieci anni. A conclusione della quarta elementare sostenemmo un piccolo esame per proseguire gli studi e passare al ginnasio. Era di sabato. La mattina della domenica andai a vedere, più per scaramanzia che per altro, chi era stato ammesso. Noi eravamo molto amici e abitavamo vicini, lui veniva spesso a casa mia e viceversa. Nel pomeriggio avremmo dovuto trovarci come al solito per giocare una partita di pallone: lui in porta, io mezzala sinistra. Sugli elenchi della scuola vidi con gioia prima il mio nome e poi quello di Karol: tutti e due avevamo superato le prove di esame. Allora andai a casa sua per dargli la bella notizia. Non c’era. Pensai subito che fosse in chiesa, perché sapevo che faceva il chierichetto. Dopo una piccola perplessità iniziale – perché non ero mai entrato in una chiesa – mi convinsi che non c’era niente di male e andai verso la parrocchia. Entrai e lo vidi, vestito di bianco, accanto al parroco di Wadowice, grande amico di mia nonna. Karol mi fece segno di non fare chiasso e di aspettare Polonia meridionale, la fine della celebrazione. 1930. Due bambini, Nel frattempo mi si avvicinò una donna anziana; quasi infastidita compagni di classe dalla mia presenza, mi disse in modo brusco: «Ma tu non sei il figlio e di giochi. Una giornata del dottor Kluger, il capo della comunità ebraica?». Io dissi di sì e lei, di primavera, una bella sbuffando, aggiunse: «Non capisco perché sei venuto qui e che ci fai qui notizia sui tabelloni dentro!». Non risposi, anche perché Lolek mi aveva detto di star zitto. della scuola. Finita la messa, Lolek si avvicinò a me e io, tutto felice, gli comunicai Poi la corsa verso l’esito positivo dell’esame. Quasi non ci fece caso e invece con la chiesa e la domanda preoccupazione mi domandò: «Jurek, ma che voleva da te quella poco cordiale beghina?». Gli dissi ciò che era accaduto e gli risposi che quella donna di una beghina… si era stupita e non si spiegava perché io, un bambino ebreo, fossi entrato in chiesa. Allora Lolek, alzando la voce esclamò: «Possibile che alcune persone proprio non riescono a capire che siamo tutti figli dello stesso Dio?». Una frase che mi è rimasta dentro e che tante volte ripeto tra me e me. Erano le semplici, ma intense parole di un bambino di dieci anni che poi sarebbe diventato arcivescovo di Cracovia e, nel 1978, l’amatissimo papa Giovanni Paolo II. Parole che conservo nel mio cuore, insieme a tante altre. Segni di un’amicizia profonda, nata sui banchi di scuola e consolidata nei decenni, oltre ogni ostacolo, difficoltà, separazione. Grazie ancora, Lolek. “C I TA L I A C A R I TA S | MARZO 2006 47 Italia Caritas + Valori È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana. Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro + Per aderire: • versamento su c/c postale n. 28027324 intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano • bonifico bancario: c/c n. 108836 intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica presso Banca Popolare Etica Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A Indicare la causale “Valori + Italia Caritas” e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91 Leggo doppio Leggo solidale Novità 2006 per i lettori: Italia Caritas a casa vostra, insieme a un altro periodico, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà. Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente. Italia Caritas + Mondo e Missione È il mensile del Pime: una rivista missionaria dinamica e attenta all’attualità internazionale ed ecclesiale. Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro + Per aderire: • versamento su c/c postale n. 39208202 intestato a Associazione PimEdit Onlus, via Mosè Bianchi 94, 20149 Milano indicare la causale “Mondo e Missione + Italia Caritas” • carta di credito Visa - MasterCard - CartaSì, tel. 02.43.82.23.62/3 • bonifico bancario: c/c 05733 intestato a PimEdit Onlus presso Credito Artigiano - Abi 03512 - Cab 01601 (inviare copia dell’avvenuto bonifico, fax 02.46.95.193) I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it