scarica allegato

Transcript

scarica allegato
Comune di Castel Viscardo
Quaderni Monaldeschi
ambiente, storia, costume
3 - 2015
1-2014
La collana intende promuovere la conoscenza del territorio del Comune
di Castel Viscardo e delle sue frazioni attraverso la pubblicazione di studi
divulgativi che parlino di ambiente, storia e costume, senza però tralasciare
scientificità e rigore. Un’espressione della territorialità, un “leggere il tempo
nello spazio” attraverso le molteplici voci e significati che abitano questa
comunità.
Domitato
irettoredi
di R
Cedazione
ollana :
C
Christian
Nardella
Maria Luigia Borri, Maria Luisa
Faraoni
Quaranta, Luca Giuliani, Daniele
Longaroni, Simone Moretti Giani, Christian Nardella, Jacopo Teodori
Comitato di Redazione
Maria Luigia Borri, Maria Luisa Faraoni Quaranta, Luca Giuliani,
SegReteRia
di Redazione
:
Maria Mattioli, Simone
Moretti
Giani, Lorenzo
Sterpa,
Elena
Stefanini
Chiara
Tiraccorendo
Segreteria di Redazione
Elena Stefanini
Opera realizzata con il patrocinio della
Regione Umbria - Assessorato per i Beni e le Attività culturali
“Al sacrificio iNDiCE
dei nostri eroi”
Studi e approfondimenti
in Bizzarri,
commemorazione
Claudio
David B. George del Centenario
monteRubiagliodella
e il Sito G
aRCheologiCo
CoRiglia
rande Gdi
uerra
Luca Giuliani
il SS.mo CRoCifiSSo di CaStel ViSCaRdo:
una ChieSa RuRale di pia deVozione
37
Simone Moretti Giani
gli Stati delle anime e StoRia dell’uRbaniStiCa
del boRgo di monteRubiaglio tRa il 1600 e il 1800
71
Claudio Urbani
il baCino del fiume paglia
dall’emeRgenza alla pReVenzione e allo SViluppo
teStimonianze StoRiChe e pRopoSte
Umbria
© 2015 Comune di Castel Viscardo
ISSN 2421-0439
Tutti i diritti sono riservati
In copertina: rielaborazione grafica dello stemma della famiglia Monaldeschi, Archivio
dell’Opera del Duomo, Stemmario Cartari.
7
L’iniziativa rientra nel Programma
ufficiale delle commemorazioni
del Centenario della prima Guerra
mondiale a cura della Presidenza
del Consiglio dei Ministri Struttura di Missione per gli
anniversari di interesse nazionale.
105
INDICE
Luca Giuliani
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
15
Luca Giuliani
...facendo voti che possano tutti ritornare
29
Francesco Pittaluga
Storia del piroscafo “Siena”
61
Disegni di: Fiorella Santi e Norberto Seccafieno.
Chiara Tiracorrendo
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
73
I documenti dell’Archivio Vescovile di Orvieto e le fotoriproduzioni di alcuni
testi della Biblioteca “Angelo Mai del Seminario Vescovile” di Orvieto sono riprodotti per gentile concessione, n. 21/2015 del 4 giugno 2015.
Fiorella Santi
Viceno: povertà e grande guerra
85
Per il materiale fotografico messo a disposizione si ringrazia: la Biblioteca
Comunale “Leopoldo Sandri” di Castel Viscardo e l’associazione A.D.A. (Anche il Dilettante è Artista), Adelina Frosoni, Augusto Ambrogi, Dina Ceccarelli,
Giovanni Alberto Borri, Maria Dominici, Mauro Ercolani, Annunziata Tiracorrendo, Massimo Umberto Giuliani, Luciana Giuliani, Vera Giuliani, Nando Brizi,
Nicolina Mattioli, Giuseppe Rotili, Rossana Giuliani, Umberto Giuliani, Paolo
Mancinetti, Mauro Mancinetti, Annunziata Giuliani, Franco Pasqualetti, Gianna
Vitali, Grazia Pistucchia, Mario Arlechino, Patrizia Pioli, Walter Tantini, Simone
Moretti Giani, Giuseppa Lolli.
Andrea Ricci101
I ragazzi del ‘99
Christian Nardella
Intervista a Giuseppa “Peppa” Lolli
115
Franco Pasqualetti
Un ritrovamento inaspettato sul fronte di guerra 120
Mauro Mancinetti
I caduti del Comune di Castel Viscardo
123
Luca Giuliani
Tracce dei nostri morti dallo stato civile
141
Aldo Lo Presti
Le decorazioni al valore e al merito
147
Prefazione
Con molta soddisfazione dedichiamo un numero della nostra rivista alla commemorazione del Centenario della Grande Guerra, un appuntamento straordinariamente
importante, se pure gli avvenimenti non toccarono direttamente le nostre terre, entrando, comunque, nel vivo più caro delle nostre famiglie e dei loro affetti personali.
Quanto leggerete fa parte di un progetto generale di manifestazioni che dallo scorso
2014 hanno toccato e toccheranno varie zone del nostro territorio; un progetto
che si organizza, prende forma e vita in collaborazione con il vicino Comune di
Allerona, con il quale abbiamo anche partecipato con incontri, interventi e ricerche
all’iniziativa della Sezione di Archivio di Stato di Orvieto, un lavoro convogliato in
una giornata di studio dal titolo: Orvieto e la Grande Guerra, organizzata lo scorso 13
marzo 2015, i cui atti saranno prossimamente pubblicati.
Le nostre celebrazioni erano iniziate il 15 novembre 2014 con una tavola rotonda dal titolo: Lettere dal fronte… storie di soldati alleronesi (presso la sala polivalente di
Allerona Scalo-Pianlungo), con interventi di Simona Mingardi e Claudio Urbani,
reading di Gianluigi Curto e Chiara Tiracorrendo, il tutto intervallato dalle canzoni
patriottiche legate all’evento e interpretate dal coro polifonico Canto Libero. A Viceno, lo scorso 2 giugno 2015, in collaborazione con l’associazione Insieme per Viceno,
abbiamo intitolato una via alla “Grande Guerra (1915-1918)” con relativa benedizione della targa. A seguire, una commemorazione dei caduti presso il monumento
di piazza XX settembre e, quindi, alla piazzetta del Castello è stato ricordato l’avvenimento attraverso l’intervento di Aldo Lo Presti.
Corposo il programma ancora da realizzare, sempre in collaborazione con il Comune di Allerona, a partire dalla presentazione del numero 3 dei “Quaderni Monaldeschi”, “gemellato”, per così dire, con il corrispettivo dei “Quaderni Alleronesi”.
Nel nostro intento c’è anche la volontà di mettere in piedi un’iniziativa a Monterubiaglio e di approfondire la tematica con le scuole, raggiungendo gli alunni nel
periodo nel quale si trovano a studiare la Grande Guerra, il tutto per sensibilizzare
attraverso la conoscenza della storia locale. Infine, nel novembre 2015, è prevista
nei due capoluoghi comunali la posa di una lapide congiunta e commemorativa del
centenario, a ricordo dei nostri caduti, dei superstiti e di quanto organizzato insieme
per l’occasione, perché unendo le forze si testimonia come i due territori siano divisi
solo dal punto di vista amministrativo, ma hanno storia, tradizioni, usi e costumi
“Comuni”.
Il Sindaco
Daniele Longaroni
Editoriale
Se vuoi la vita, commemora i morti.
Il presente volume nasce con l’intento di ricordare il nostro territorio all’interno
di un più ampio e drammatico evento come quello della Prima Guerra Mondiale,
in modo da far proficuamente interagire “grande” e “piccola” storia e consentire
ai nostri concittadini di riflettere sulla propria identità del presente.
Gli articoli scelti hanno avuto lo scopo di rintracciare fatti, testimonianze e
soprattutto ricordi ed emozioni riguardanti il nostro Comune e i suoi abitanti che
hanno partecipato in diverso modo a questo conflitto.
Luca Giuliani ci introduce al tema con la sua dettagliata analisi della situazione
del nostro Comune durante la guerra; Francesco Pittaluga ci narra la vicenda
relativa all’affondamento del piroscafo Siena nel quale trovava la morte una
nostra concittadina, Maria Armida Ercolani, e lo fa attraverso un’attenta ricerca
storica coadiuvato dal contributo di Mauro Ercolani. Seguono nel testo il lavoro
di Chiara Tiracorrendo, che ci racconta l’emozione provata attraversando i
luoghi di guerra a cento anni dalla fine del conflitto, e quello di Fiorella Santi,
che condivide con noi le sue memorie su Viceno, frazione del nostro Comune.
Il volume prosegue con un’originale idea di Andrea Ricci che, con il suo “fare
romanziere”, si è immedesimato in un giovane del ’99 che scrive le sue paure ed
emozioni in due lettere dal fronte.
Segue l’intervista da me realizzata alla centenaria Giuseppa Lolli, nostra
concittadina, che ci riporta al passato di quegli anni con la sua commovente
testimonianza sulla morte del padre al fronte.
Un’immagine sacra è al centro del ricordo di Annunziata Giuliani e Franco
Pasqualetti del loro nonno materno, soldato che, nel gesto di salvare un quadretto
ritrovato casualmente durante il conflitto, ci rammenta quelle “pratiche sospese
a metà tra la dimensione religiosa e quella superstiziosa, tra quella devozionale
e quella folkloristica”, così come ce le ha descritte Colonnelli nel suo testo
“Religione e politica tra le due guerre” (2012).
Mauro Mancinetti ha contribuito alla memoria dei nostri eroi scomparsi
elencandoci i caduti del Comune di Castel Viscardo, l’articolo è stato corredato
da foto e materiali di Paolo Mancinetti. Luca Giuliani ha poi completato l’elenco
attraverso le tracce dei nostri morti dallo stato civile. Simone Moretti Giani ci
ha fornito ulteriore documentazione inerente la classe ’99. Chiude il volume
l’articolo di Aldo Lo Presti con un suo interessante approfondimento sulle
onorificenze di guerra.
«Oggi la guerra è veramente spaventevole […]. Incute spavento il lancio delle
granate, e il loro scoppio produce sull’animo (anche dell’uomo più forte) scosse
tali che difficilmente sono riparabili anche in tempo lungo […]». Così Agostino
Gemelli, medico al fronte, ci descrive le emozioni e sensazioni degli uomini che
hanno vissuto in prima persona la Grande Guerra.
La paura della guerra non era, però, una condizione costante unicamente dei
soldati che la vivevano ogni giorno, ma anche dei parenti a casa, che in ogni
istante temevano il peggio per i loro cari.
Viene da chiedersi, allora: quanti discendenti di coloro che avevano perduto
un familiare durante la guerra del 1914-18 sarebbero stati effettivamente “altri”
senza il lungo dolore del lutto?
Come disse Georges Clemenceau, capo del governo francese, nel suo discorso
rivolto al presidente americano Wilson durante le discussioni di pace (1919), «La
guerra non può essere dimenticata […]. Le prove che tutti abbiamo subito hanno
creato nel paese un sentimento profondo delle riparazioni che ci sono dovute. E
non si tratta solo di riparazioni materiali: il bisogno di riparazioni morali è ancora
più grande».
Il Direttore della Collana
Christian Nardella
...si torna a casa dalla guerra dove ti aspetta,
una chiesa, una donna, un pargolo e un cane:
“dall’alto di un cielo diamante”.
D. Lombrassa, G. Vecchietti, Combattere: Antologia della Guerra della Rivoluzione e
dell’Impero (1915 – 1936), pp. 31-32.
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
Spigolando tra la bibliografia presente in una antica e poco conosciuta Biblioteca di Orvieto*
di Luca Giuliani
Che ove speme di gloria agli animosi
Intelletti rifulga ed all’Italia,
Quindi trarrem gli auspici.
Ugo Foscolo – I sepolcri
“Per l’Italia degli Italiani”: di tale forza e impeto era impregnato il discorso pronunciato da Gabriele D’Annunzio dalla ringhiera di palazzo
Marino la notte del 3 agosto 1922; di tale veemenza e rinvigorita forza
battevano le recriminazioni per il vano sacrificio dei nostri:
dopo l’ansia, dopo l’angoscia, dopo la disperazione, dopo l’onta, dopo
la gloria di Fiume, dopo quel lungo e crudo sacrificio che a noi valse il
confine giulio1.
*
G. D’Annunzio, Per l’Italia degli italiani..., frontespizio del 1923.
La biblioteca in questione è la “Angelo Mai del Seminario Vescovile di Orvieto”, sita in via
dei Lattanzi e che conserva, nei suoi attuali tre Fondi per un totale di circa 22.000 volumi, anche una buonissima sezione storica con testi novecenteschi quasi contemporanei ai fatti della
Grande Guerra e alle recriminazioni e riflessioni immediatamente successive. In particolare,
da notare come la maggior parte dei volumi richiamati, letti qua e là o ripresi in alcuni dei loro
brani più significativi in questa sede, siano “marchiati” con un ex libris di tale Giovanni Pezzi,
un tenente colonnello della 55° Fanteria, del quale si trovano riferimenti a Modena nel 1914
e, quindi, presso il Comando militare permanente della stazione ferroviaria di Bolsena. Alcuni
dei suoi testi, oltre all’ex libris timbrato riportante il nome e cognome maiuscoli o autografo,
hanno un proprio numero di collocazione su etichetta quadrata e a matita blu.
16
Luca Giuliani
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
Nelle parole del vate il ricordo di quanto era stato dal principio, da
quando la guerra era dichiarata in quel maggio del 1915:
Soldati di terra e di mare! L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali
è suonata! Soldati, a Voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui
termini sacri che natura pose a confine della Patria nostra; a Voi la
gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai
nostri Padri! 2.
Una guerra che aveva introdotto il giovane Regno in una delle sue catastrofi maggiori, pur nella vittoria, in quella che alcuni contemporanei
non lesinarono di definire: «pseudo-pace del 1919»3. Chiamati al sacrificio, i nostri, a quanto ammesso anche dagli avversari, combatterono con
eroismo, si batterono e vissero i problemi della quotidianità, fatti di mera
sussistenza in luoghi lontani, destando l’ammirazione del mondo intero:
E gli italiani? Giù il cappello! Gli italiani vengono all’assalto in masse
compatte… si fanno macellare in massa, ma pure continuano sino a che
pochi uomini rimangono in piedi4.
E il popolo italiano si formò, finalmente, in quei tremendi anni? Tali
avvenimenti furono capaci di istaurare nelle generazioni successive una
sorta di fulgore teso al riconoscimento di una Nazione composta da un
agglomerato tutt’altro che omogeneo?:
[…] È un immagine, è un emblema, è un mito. È un ammonimento, è
un comandamento. Eccoci rivolti alla forza della stirpe, al cómpito della
1
G. D’Annunzio, Per l’Italia degli italiani: Discorso pronunziato in Milano dalla ringhiera del
Palazzo Marino la notte del 3 agosto 1922 con aggiunti il Comento inedito il messaggio del convalescenze
agli uomini di pena, Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti e Sette documenti d’amore, Milano 1923,
p. 113.
2
Sull’ara della gloria, (a cura di G. Nisini, P. Porsia), 2.a ed, Santa Maria degli Angeli –
Assisi 1952, p. 20.
3
G. Valori, Problemi militari della nuova Italia, (Quaderni Imperia, 2), Milano 1923, p. 18.
4
Sull’ara della gloria, cit., p. 20.
17
stirpe. Ecco che in mezzo al popolo creatore si leva un culmine dell’energia creatrice. Ecco che il popolo sente, in realtà attuale e profonda, come
il suo destino sia di là da che si consuma si dissolve e muore. La mèta del
suo destino è “ciò che non muore”5.
Lo stesso Mussolini su tale accadimento non esitava a riconoscere: «Dal
maggio del 1915 ha inizio la rivoluzione italiana»:
Tutta la storia italiana del ventesimo secolo si svilupperà su linee fatali
da quel maggio 1915 che fu testimonianza, un prodigio e la conquista
del popolo su sé stesso6.
Un popolo che vedeva la sua nuova patria come «incatenata» tanto
che, come ritenuto da molti, in Italia si sentiva già da tempo, da prima
del conflitto, un sentimento che contraddistingueva l’Austria quale «nemica irreducibile»7, un avversario che: «dovette la sua perdita all’errore
di non aver stimato al giusto suo valore l’esercito italiano»8.
La stessa incertezza che, a guerra conclusa, animava anche l’azione
governativa, incertezza sul programma politico, incertezza nel vedersi
riconoscere quello che era stato, tanto che da più parti e nell’immediato
periodo successivo si palesavano a livello culturale domande circa la
possibilità di una nuova e imminente riaccensione delle tensioni che
avevano già portato al conflitto. Si respirava uno stato d’animo pessimistico quasi che, come era successo nel 1914, una mancata posizione
netta avesse potuto convogliare il malcontento verso una nuova guerra
che non aspettava altro che trascinare al suo interno tutti gli animi,
coinvolgendo la massa maggiore degli interessi correnti, rispetto a chi
era uscito sconfitto e anche a chi doveva (come Francia e Inghilterra):
G. D’Annunzio, Per l’Italia degli italiani…, cit., p. 116.
D. Lombrassa, G. Vecchietti, Combattere: Antologia della Guerra della Rivoluzione e
dell’Impero (1915 – 1936), Firenze 1937, p. V.
7
I. Reggio, Storia della Grande Guerra d’Italia: L’Italia Incatenata (33 anni di Triplice
Alleanza), vol. 2, Milano s.d, p. 11.
8
Sull’ara della gloria, cit., p. 21.
5
6
Luca Giuliani
18
«difendere il lauto bottino accumulato con la recente vittoria a spese sì del
nemico che degli alleati»9.
Riguardo alla bibliografia in oggetto, deve essere analizzato come si tratti
di “materiale” nella maggior parte dei casi prodotto nell’immediato seguito o
poco dopo il termine del conflitto, quando vigeva nell’animo quella sorta di
afflizione e di sentimento di vano sacrificio, come se si sarebbe potuto e non
si era osato, il tutto nel martirio richiesto ai nostri uomini, una generazione
alla quale era stato negato il futuro in nome di un risultato che, alla resa dei
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
19
e costretti non a volare ma a camminare, a veder gli orizzonti terrestri
e non a fissare le sfere divine10.
Un sacrificio che, peraltro, in virtù di quanto si otteneva ai tavoli di pace,
stentava ad essere compreso dalla popolazione che si vedeva privata della
sua migliore gioventù in virtù di terre lontane, di un irredentismo risorgimentale che richiamava a concetti per la maggior parte non intesi dalla
povera gente il cui interesse, è bene ricordarlo, ancora cento anni fa era
non altro che la mera sussistenza. Di converso, emergeva in alcuni dibattiti
come gli interessi fossero manipolati e pilotati da pochi, rispetto alla maggioranza che sembrava basarsi sullo: «stadio capitalistico di produzione
e di distribuzione», dove albergavano ancora residui dell’anteriore, come
il feudalesimo (all’epoca ancora esistente a Castel Viscardo in una sorta
di pseudo vassallaggio nei confronti della famiglia dominante da secoli),
ma che vedeva il capitalismo imperante con conseguente controllo della
società e del sistema dei governi, quello che da alcuni era già al tempo definito il «dramma mondiale odierno»11. Nel discorso di Milano, D’Annunzio
affrontava vari passaggi più o meno edificanti e retorici, richiamando alla
vittoria mutilata, al valore di certe imprese, come le sei battaglie dell’Isonzo (definite «consacrazioni») e del monte San Michele, che sembravano
essersi perse sino a che:
la settima sarà data dall’Italia finalmente consapevole del suo destino,
alzata nell’orgoglio delle sue origini e delle sue sorti, armata non tanto
delle sue armi quanto delle sue opere, con nella palma della mano la sua
Vittoria intera […]12.
I. Reggio, Storia della Grande Guerra d’Italia, frontespizio del secondo volume.
conti, non si era riusciti a difendere, al contrario della caparbietà da loro
dimostrata: ragazzi, figli, padri, fratelli ai quali erano state “spezzate le
ali”:
Importante un passo del proclama, quello nel quale il poeta enfatizzava
una sua spassionata difesa del sacrificio di tanti giovani, esaltandone il
valore e l’importanza:
Tutta la gioventù del suo tempo attraversava una crisi, era soffocata da
una tristezza di esilio, quella di un popolo di angeli mutilati nelle ali
Un giorno, laggiù, nel mio eremo di pace senza pace, uno dei miei famigliari mi disse d’avere udito un lavoratore della terra nell’osteria torbida
9
G. Valori, Problemi militari…, cit., pp. 17-19.
G. Castellini, Lettere: 1915-1918, Milano 1921, introduzione di Raffaele Calzini, p. I.
G.D. Herron, La più grande guerra, Bologna 1919, pp. 25-33.
12
G. D’Annunzio, Per l’Italia degli italiani, cit., p. 115.
10
11
20
Luca Giuliani
vociare contro la nostra santa guerra e contro me malvagio istigatore che
non avevo temuto di cacciare nel buio tante vite floride.
Andai a cercare il contadino nel campo, mentre vangava. Mi avvicinai a
lui con quella pacata fermezza che disarma l’avversario, e allontana la
paura o il sospetto.
Gli dissi: - So quel che hai mormorato contro di me; so quel che hai mormorato contro un sacrificio che varrà ai tuoi figli, e ai figli dei tuoi figli
dei tuoi figli e a tutta la nostra gente in eterno. La terra, che tu ferisci con
il tuo ferro, ti rende tanto più bene quanto più profondamente la rompi.
Tu m’hai offeso; e io non posso darti se non una parola d’uomo a uomo,
una parola di fratello a fratello. Ma credimi: l’acqua d’aprile non giova
al tuo campo come il sangue puro dei devoti giova alla Patria. E la tua
acqua d’aprile è passeggera, mentre il sangue degli eroi è inesausto. I figli
dei tuoi figli se ne ricorderanno, i figli dei tuoi figli lo benediranno. Là,
nel piccolo cimitero dove forse hai qualcuno che ti fu caro, c’è una pietra
che porta incisa una sola parola: “ Resurgo”. È una parola latina, del
nostro più alto linguaggio materno. Significa: “Risorgo”. Non c’è monumento funebre, non c’è mausoleo, non c’è obelisco, non c’è piramide che
valga quella lapide rozza con quell’unica parola. È l’unica parola che
doveva essere incisa sul sepolcro del soldato ignoto: “Risorgo”: perché i
nostri morti, i nostri sacrificati, i nostri martiri risorgono in ogni ora, risorgono in ogni attimo. Non soltanto vivono, ma vivono e si manifestano
nel perpetuo splendore della risurrezione. Comprendi? –
Egli forse non comprendeva, ma sentiva. Pareva che il sentimento non
gli fosse infuso dalla mia voce ma gli salisse dalla terra fenduta, dalla
zolla smossa.
Però egli era ancora troppo opaco perché io potessi vedere in lui rilucere
la mia verità.
Ero in quello stato di grazia che mette nelle comunioni umane tanta misteriosa dolcezza, come se veramente ci avvenisse di svolgere per miracolo
quel filo della fraternità rimasto attorcigliato alle braccia della Croce.
Parlai, parlai; e in un punto mi parve che la parola gli toccasse la cima
del cuore.
Allora m’interruppi. E poi soggiunsi: - Non pretendo che tu mi risponda sùbito. Siediti all’ombra di quell’ulivo; e ripòsati; e ripensa a quel che
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
21
t’ho detto. Intanto io lavorerò per te. –
Non volle. Il suo viso era tuttora chiuso come per serrare nelle sue rughe
un cruccio che gli sfuggisse. Si rimise a vangare, in silenzio. Allora io
presi una zappa che era lì presso; e, poiché son valido e sono paziente, mi
misi a lavorare con lui, poco da lui discosto, in silenzio.
Ma sentivo che il suo cuore si gonfiava, come avrei sentito scaturire dal
sasso la polla. Cercatore di sorgenti, avevo esplorato la sorgente, trovato
la sorgente umana.
Egli cessò di stringere le labbra; e ruppe in un pianto subitaneo, lasciando cadere l’arnese e volgendo verso di me un viso trafugato, che parve mi
s’imprimesse nel mezzo del petto.
Sul petto mi s’inchinò, sul petto mi pianse, su questo petto fedele, che
sempre restò fedele alla sua fede, che rimarrà sempre fedele alla Patria del
mio sogno e della mia passione, alla Patria della mia fatica e della mia
ansia, alla Patria della mia umiltà e del mio sacrificio; fedele all’Italia
bella, sino alla morte, oltre la morte13.
Nonostante i proclami nazionalistici e di sensazione, la realtà fu ben più
cruda, quello a cui si andò incontro, al sacrificio dei chiamati, era molto
più profondo di un appello e delle buone (passate e future) intenzioni.
La realtà, rappresentata da tante testimonianze di chi quella situazione si
trovò a viverla, riaffiorava nell’angoscia più terribile fornendone dimostrazione ai parenti e congiunti:
Cara amica. Da dodici giorni sono ancora nella guerra e come! Immagini
il posto d’Italia nel mondo, dove cadono più valanghe; immagini i più
desolati casolari di un fondo valle naturalmente disabitato; immagini
l’inverno più crudele […] con tre metri di neve qui e dieci sulle creste;
immagini quest’angolo nel cuore del più impervio Trentino conquistato,
toccato ogni tanto da qualche slitta, con i giornali che vengono or sì or no,
e la posta che non arriva […]14.
13
14
Ibid., pp. 119-122.
G. Castellini, Lettere: 1915-1918, cit., p. 193.
Luca Giuliani
22
Una sorta di introduzione sulla Grande Guerra
Il lungo orrore, rileggendone sommessamente i passi, adeguando il battito ai coevi di cotanta disgrazia, non si ritenne sufficiente già all’epoca,
tanto che pure nei suoi contemporanei (1919), in discorsi pubblici e di
fronte a studenti universitari, non si lesinava ad affermare:
La grande guerra, attraverso la quale siamo appena passati – pur così
orrenda nei suoi effetti da superare ogni calcolo umano – non è che il
preludio di una più grande lotta che si va avvicinando15.
15
G.D. Herron, La più grande guerra, cit., pp. 25-26.
G. D’Annunzio, Per l’Italia degli italiani..., pp. 7-8.
23
Ermenegildo Tiraccorendo (classe 1886) a Creta nel 1914.
Domenico Ambrogi con la sua “67a batteria di montagna”. Tornò a casa sano e salvo, ma terrorizzato
dalla neve, tanto che quando la vedeva si ritirava in camera in silenzio.
Cartolina di Domenico Ambrogi (classe 1896) al fratello Romeo (classe 1889) anche lui in guerra,
parimenti al terzo fratello Lamberto (Umberto detto “Lampo”) (classe 1893).
Reparto in alta montagna.
Soldati accampati sul fronte di guerra.
Una rivista dell’epoca uscita il 14 aprile 1918.
…facendo voti che possano tutti ritornare
Il Comune di Castel Viscardo e la “Grande Guerra”
di Luca Giuliani
QUI SPIRA, GIUNTA DA OGNI DOVE
SULL’ALE DELL’ESTREMO SOSPIRO,
LA FRAGRANZA DELLA VOSTRA GIOVINEZZA ; IL MARMO PALPITA DI CARE
SEMBIANZE.
(dall’iscrizione posta sul
“Monumento ai caduti” di Castel Viscardo)
Introduzione
Affrontare a livello locale un tema delicato, come può essere quello di
una guerra, la “Grande Guerra”, della quale ricorre la commemorazione centenaria dall’inizio delle ostilità e dall’ingresso dell’Italia, potrebbe
sembrare in prima istanza alquanto limitante, specie se si considerano le
conseguenze e le varie sfaccettature che ebbe l’importante avvenimento
sul vivere quotidiano, pur non toccando direttamente le nostre terre. Di
certo, nell’insieme delle gloriose imprese compiute e delle storiche figure
di riferimento, tale avvenimento può essere connotato quale primo passo
per la formazione della “Nazione Italia”. Quello in cui le aspirazioni risorgimentali videro la loro naturale conclusione, il fine ultimo degli sforzi
ottocenteschi di radunare “sotto un unico cielo” tutta la popolazione, già
unita territorialmente e dal «fondamento reale dell’unità della stirpe, della
pur naturale delimitazione geografica della sua sede storica, della comunanza di lingua religione e cultura, dell’affinità del costume e delle isti-
Luca Giuliani
30
...Facendo voti che possano tutti ritornare
31
mero di cinque sono stati chiamati alle armi facendo voti che possano tutti
ritornare dopo aver compiuto il loro dovere per le sorti della patria». Tali
uomini di ogni luogo del Comune, quelli che avevano abbandonato le loro
mansioni, anche amministrative di certo, ma soprattutto di occupazione,
erano al momento tali: Leandro Ceccarelli, Samuale Socciarelli, Luigi Tiracorrendo, Paolo Papini e Serafino Pistucchia3. Essi rappresentavano,
nell’importante ruolo lasciato e nel nuovo assunto, la consapevolezza di
quanto la nazione si aspettasse da tutti i suoi componenti: chi partiva per
il fronte e chi, rimasto a casa, era e sarà costretto ad importanti sacrifici:
«perché questa è l’ora solenne in cui tutti i cittadini debbono imporsi qualche sacrificio per il bene della loro Patria»4.
tuzioni civiche [...]»1, tanto che questi fattori possono considerarsi quali
ispiratori di straordinarie gesta e memorie che traslarono negli italiani il
sentimento di patria come «plurale di padre»2. A livello locale si diceva, già
perché pur essendo il conflitto dislocato al confine nord-est con l’Austria,
tale scontro presupponeva strascichi in tutte le realtà, fino alle zone più
piccole della penisola che pagarono il prezzo in tante vite di giovani o nella
povertà di chi rimase ad attenderli. Dal punto di vista deliberativo il primo riferimento a quanto in corso si aveva solo l’8 settembre del 1916, un
anno dopo l’ingresso, quando il sindaco Agostino Lucattelli introducendo
i lavori inviava: «un saluto ed un augurio ai Colleghi Consiglieri che in nu-
S. Lener, Processo storico giuridico di formazione dell’Unità d’Italia, in «La Civiltà Cattolica»,
CXII/8 (1961), pp. 119-120.
2
Dalla lettera testamento del patriota Nazario Sauro al figlio Nino prima della sua
esecuzione del 10 agosto 1916 in quel di Pola.
1
La situazione in tempo di guerra: risvolti sulla prassi durante «il
grave momento»
La segnalazione tardiva di quanto stava succedendo non era specchio
della situazione locale tanto che, già dall’agosto del 1914, il vescovo Salvatore Fratocchi (conosciuto poi per i suoi «ben noti sentimenti patriottici»)
inviava ai parroci una particolare preghiera da recitarsi per auspicare la
fine del conflitto e, dal febbraio successivo, poneva spesso l’accento sulle
questioni in gioco, ricordando ai suoi diocesani le preci ingiunte dal Santo
Padre per implorare la pace, richiamando alla sapienza e alla «orribile desolazione» che aveva invaso il mondo5. Che di devastazione, distruzione,
abbandono si dovesse parlare, lo testimoniano un insieme di atti volti al
richiamo alla comune religione, come le esortazioni del pontefice e dello
stesso presule diocesano, intenti a rassicurare i fedeli, soprattutto quelli
Castel Viscardo, Archivio storico comunale (d’ora in avanti ACCV), Delibere del
Consiglio Comunale, 8, cc. 64v-65r.
4
Ibid., Copie delle delibere del Consiglio e della Giunta, 2bis/6.
5
Orvieto, Archivio Vescovile (d’ora in avanti AVO), Bandi ed editti del vescovo Fratocchi,
Lettere pastorali, A3. Sulle pagine del «Bollettino della Diocesi di Orvieto» l’ordinario
richiamava alla preghiera composta da Sua Santità «per la funzione pro pace», da sostituirsi
alla detta e già prescritta nell’agosto del 1914, allo scopo di «impenetrare dal Signore
la cessazione dell’orrendo flagello della guerra ed il ritorno alla pace». L’allusione alle
inclinazioni patriottiche del vescovo è estratta da una comunicazione del sottoprefetto
del 25 luglio 1918 circa la lotta alla propaganda disfattista che stava prendendo piede
anche con forme superstiziose nel contado. Si veda Carteggio vescovile, Orvieto, 1918 lug.
25, [Reale Sottoprefettura di Orvieto] «Propaganda disfattista».
3
32
Luca Giuliani
...Facendo voti che possano tutti ritornare
33
che contavano parenti o figli inviati sul fronte. Nel giugno del 1915, il
vescovo di Orvieto ordinava un «Triduo per la guerra» in cattedrale, richiamando alla condizione imposta «dalla civiltà e dalla salvezza della nostra
cara patria» e al bisogno costante dell’eroismo dei soldati, ma anche del
solidale concorso per sovvenire le povere famiglie dei richiamati alle armi,
attraverso la mobilitazione della vita religiosa di coloro che erano rimasti:
«Preghiamo in questi giorni di ansie e di trepidazioni per noi: preghiamo
per i nostri soldati, affinchè Iddio gli avvalori e li ricopra con lo scudo della
sua protezione: preghiamo per la nostra Italia, che Dio benedica facendola
uscire dalla prova presente più grande, più forte, e quello che soprattutto,
più religiosa: preghiamo per tutta l’Europa, sulla quale Iddio riconduca al
più presto la pace, la pace ispirata al culto della giustizia ed alla solennità
del diritto»6.
In questo panorama diocesano, Castel Viscardo partecipava con quelle
che erano le proprie forze, come un piccolo Comune, peraltro composto
da diverse frazioni oltre il capoluogo, una delle quali aggregata solo nel
6
Ibid., Bandi ed editti del vescovo Fratocchi, Notificazioni e avvisi, C2.
Luca Giuliani
34
1879 (Monterubiaglio, soppresso «poichè non poteva reggersi colle sue
risorse») e un’altra in via di costruzione (poi denominata Borgata Ferrovieri e oggi Pianlungo) nei pressi dell’appena realizzata stazione ferroviaria
di Allerona. Nonostante la povertà della popolazione, la cui economia
gravitava prevalentemente sull’agricoltura e sulla produzione artigianale
dei laterizi (definita proprio nel 1915 la «principale industria del paese»)7,
astretta dalla scarsa possidenza singola, dalla penuria di abitazioni e da
ingenti opere di sistemazione e risanamento, già dal 1914 partecipava comunque al clima festeggiando con un banchetto i reduci dalla guerra di
Libia, occasione nella quale furono offerti dall’amministrazione quattro
bottiglie di «vino Wisner», pagati otto lire al produttore Adamo Ambrogi8.
Un Comune che in quegli anni si trovava in grave dissesto finanziario,
con una popolazione che si aggirava intorno alle tremila unità (nel 1917 risultavano 2.795, per 518 famiglie), incamminatosi dal 1913 nella costruzione di un nuovo edificio scolastico e di uffici comunali nel capoluogo e uno
parimenti destinato all’istruzione in quel di Monterubiaglio, desideroso di
Castel Viscardo (via Principe Spada) poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.
ACCV, Delibere del Consiglio comunale, 8, c. 56rv. Su questo tema si veda anche L.
Giuliani, Castel Viscardo e le sue fornaci: Storia, giurisdizione e commerci di una microsignoria
nell’orvietano, Citta della Pieve (Pg) 2014, p. 136.
8
ACCV, Copie delle delibere del Consiglio e della Giunta, 2/5.
...Facendo voti che possano tutti ritornare
35
dotare i due detti centri anche di un proprio acquedotto e dell’impianto
della luce elettrica. Tutto questo nonostante le gravi problematiche dettate
dalla suddivisione della popolazione in tre frazioni («il che costituisce un
maggior disagio di fronte ad altri Comuni riuniti in solo Centro»), fattore
che si accresceva pesantemente con l’ingresso in guerra, venendo meno
una parte della tassazione percepita. Nel 1918 l’amministrazione arrivava
formalmente a non potersi permettere nessuna «spesa per beneficenza ed
altro che abbia anche lontanamente carattere facoltativo», con i detti lavori
sospesi (le «conseguenze dello stato di guerra hanno fatto rimanere lettera
morta gli ideati progetti») e trovandosi nella necessità di non eseguire nessun riadattamento alle strade o di eliminare quasi totalmente la pubblica
illuminazioni e altri servizi. Nonostante questo, soprattutto per le opere di
igiene legate agli acquedotti, si faceva voto al Governo affinché, visto che:
«la sorte delle armi va presentandosi oltremodo soddisfacente in modo
da trarne lieti auspici per l’avvenire della nostra Patria», si concedesse un
mutuo per saldare tutte le passività e, nello stesso tempo, si partecipasse al
pareggio del bilancio contribuendo anche ai necessari lavori sopraelencati,
inviando: «un deferente e grato saluto al glorioso esercito Italiano ed a
quelli degli alleati, facendo auguri perchè i loro sacrifici e le loro eroiche
gesta siano coronati da quel successo che la situazione del momento fa
prevedere non lontano»9.
Le conseguenze della guerra che si stava svolgendo, anche se in territori
così lontani, inficiavano quindi anche la politica locale, portando effetti
pure sul piano meramente amministrativo come, per esempio, il necessario aumento della tassazione sul bestiame del 1918, onde sovvenire un
esercizio finanziario già in precarie condizioni e in quel momento aggravato maggiormente dallo stato di guerra10. Tali furono le ragioni per le quali
il Comune di Castel Viscardo si trovava in quegli anni nel pieno di attività a
dir poco insicure, le cui conseguenze, o meglio la mancata applicazione di
disposti, si ripercuotevano sul vivere quotidiano delle povere popolazioni.
Gli stessi atti del vescovo di Orvieto, già dal 1915, si configuravano con
la realtà che si stava vivendo, in un insieme di notificazioni, decreti, avvisi
sacri e circolari tesi a “combattere” la situazione creatasi cercando soluzio-
7
Ibid., 2bis/6. Il riferimento statistico è estratto da una delibera consiliare del 25
settembre 1917.
10
Ibid., delibera del 27 gennaio 1918.
9
Luca Giuliani
36
ni nella preghiera. Il 26 gennaio 1915 era indetto un «Giorno di penitenza
per la cessazione della guerra»; il 2 febbraio successivo, il vescovo Fratocchi diramava un invito sacro denominato «Preghiere per la pace indette
da S. S. Benedetto XV» con la quale rendeva pubblica una giornata di devozione ed espiazione (stabilita per il successivo 7), allo scopo di ottenere
auspici per la cessazione «dell’orribile flagello della guerra ed il ritorno alla
pace», ordinando l’esposizione e la pubblica adorazione del SS.mo Sacramento con la concessione di una indulgenza plenaria11.
Nel frattempo, le autorità civili si informavano presso le locali sulla presenza nei territori comunali di profughi o rimpatriati dall’Austria o dalla
Germania, esortando a venire loro in aiuto, o sulla eventuale presenza
di stranieri sul suolo italiano, richiedendo il ritiro della dichiarazione di
soggiorno al momento del loro allontanamento (per terra o per mare) dal
Regno. Sull’eventuale arrivo di profughi nello stesso mese era telegrafato
dal sottoprefetto, il tutto a norma del regio decreto 634 del 2 maggio 1915
che stabiliva severe disposizioni circa il possesso del relativo passaporto e
11
AVO, Bandi ed editti del vescovo Fratocchi, Avvisi sacri, D2.
...Facendo voti che possano tutti ritornare
37
la comunicazione della propria presenza alle autorità, estendendosi anche
ai già presenti (sancendo il termine di cinque giorni per esibire la dichiarazione). Lo scopo era «proporre provvedimenti atti a venire loro in aiuto»,
richiesta alla quale si rispondeva negativamente (la medesima era ribadita
anche nei mesi successivi). Nello stesso tempo, visto l’arrivo a Orvieto nel
giugno del 1915 di ben 117 profughi provenienti dalle zone di guerra, si
interpellavano tutti i sindaci del comprensorio circa la possibilità di ospitarne alcuni, col precetto che dovesse essere a cura delle amministrazioni
dichiaratesi disposte: «provveduti ricovero e assistenza di cui possono avere bisogno ed avviati lavoro onde sopperire possibilmente con proventi di
esso loro esigenze», anche se, per la maggior parte, si trattava di famiglie
composte da donne e bambini12.
Tali situazioni portarono anche una sorta di confusione dettata dalla
morte dei reciproci prigionieri, in una mancata comunicazione che teneva
per un tempo, mai troppo eseguito, in ambasce le famiglie dei catturati.
Queste, vinte dalla disperazione, si appellavano alle autorità civili e re-
12
ACCV, Carteggio amministrativo, 3/6.
Luca Giuliani
38
ligiose per poter venire quanto meno a conoscenza della sorte dei loro
congiunti. Il tutto per poter ottenere il certificato dell’effettivo decesso,
l’identificazione del luogo di sepoltura ove porre provvisoriamente una
croce con il solo nome del defunto e farvi erigere poi, «finita la guerra»,
un monumento degno del passaggio in vita dell’estinto, fotografando per
il momento il luogo di sepoltura, come se attraverso tale mezzo ci si potesse sentire più vicini a chi, di qualsiasi nazione, aveva lasciato questa vita in
nome di una guerra tra popoli della stessa specie13.
Di converso, anche numerosi abitanti di Castel Viscardo partiti per il
fronte non ne fecero più ritorno, morendo sul campo di battaglia in seguito
a varie ferite riportate, sotto valanghe, come prigionieri o per malattie contratte, in luoghi lontani dove solitamente erano subito inumati, sottolineando come non di solo piombo o armi da fuoco era possibile far venir meno
esistenze il tremendo conflitto. Tra gli atti dello Stato Civile, in apposita
partizione separata (la seconda), visto anche il ritardo con il quale tali decessi
erano comunicati, ritroviamo alcuni dei morti e loro seppellimenti in luoghi
il più delle volte sconosciuti ai nostri poveri antenati come: Schio (Vicenza);
Romans d’Isonzo, Gradisca d’Isonzo o Cormons (tutti in provincia di Gorizia); Mesola (Ferrara); Oppacchiesella (Slovenia); campi di prigionia come:
Josefstad (oggi Josefov in Repubblica Ceca)14, Mauthausen o Altengrabow
(in Germania); varie alture, quali il monte Pertica, nel Costone di Franza,
Col Caneva, monte Lemerle, la seconda cima del monte Colbricon, monte
Precink, monte Cucco, il Carso; in sanatori più o meno dislocati: nell’ospedale da campo 085 di Cittadella (Padova), nel 74° ospedale da campo di Valona, nell’ospedale da campo 167 a Prilep (Serbia), nell’ospedale da campo
Si veda, a tal proposito, il caso emblematico riscontrato tra il carteggio non
protocollato del vescovo di Orvieto inerente un soldato boemo di 25 anni prigioniero di
guerra e morto sulla rupe il 13 gennaio 1916 per cause legate alla contrazione del «tifo»,
in AVO, Carteggio vescovile, Jičíněves (Repubblica Ceca), 1916 feb. 24, Il sacerdote don Celso
Inama, cappellano dei profughi trentini in Boemia, richiede certificato di morte di Giorgio Gebauer,
prigioniero di guerra a Orvieto, a nome del di lui fratello. Sui prigionieri in quel di Orvieto si veda
nello stesso Archivio Vescovile, alla serie Protocollo generale, il fasc. 1916/6: Disposizioni
riguardanti i prigionieri Austro-Ungarici in Orvieto.
14
Nel cimitero militare di Josefov è sepolto Giuseppe Borri («Bori» nell’elenco dei
defunti ritrovato) morto il 1° gennaio 1918, il cui corpo era inumato nel settore C
VII, tomba n. 770, da: Elenco soldati italiani sepolti nel cimitero militare di Josefov - (Josefstadt)
(Repubblica Ceca), p. 5.
13
...Facendo voti che possano tutti ritornare
39
100 a Castelfranco Veneto (Villa di Lorenzi), nell’ospedale militare di Riserva di Forlì, nell’ospedale da campo n. 70 di Brùneck (Tirolo), nell’ospedale
da campo 0153 in Comune di Mirandola, nell’ospedale militare di Riserva di
Porta Furba (Roma) o nei non specificati come l’ospedale da campo n. 207,
nell’infermeria dell’84° Reparto Sanità, sul posto di medicazione del 133°
Reparto Sanità15.
In tali realtà di morte, di dispersione e di tristezza, si connaturavano le prime avvisaglie di alcune disposizioni messe in campo, soprattutto dal 1917,
nell’istante in cui si palesava il definito «grave momento» e si cercavano forme di comunicazione tra i primi cittadini volte al connubio riguardo la cosiddetta resistenza interna e la partecipazione dei mezzi comuni per il soccorso
ai profughi, esortati tutti «all’Unione Sacra della Patria»16.
La prospettiva era quella di avvalorare e sostenere la «resistenza della
popolazione civile, per l’immediato riflesso che ne deriva sullo spirito
dell’Esercito, chiamato ora ai supremi cimenti»; il ministro di Grazia e
Giustizia e de’ Culti richiedeva l’intensificazione dell’azione del clero,
specialmente quando le vicissitudini arrivavano anche nei piccoli comuni di campagna («rurali»), rispetto ai funerali per i caduti o, anche, nelle
cerimonie e funzioni religiose di ringraziamento per i risultati ottenuti o
per propiziare qualche vittoria sul campo. Si richiedeva ai sacerdoti una
costante presenza presso le povere famiglie dei soldati: «per fortificarne
lo spirito di resistenza e di sacrificio e diffondere il convincimento che
dall’esito felice della nostra guerra nazionale dipendono la salvezza e la
fortuna della Patria cui è indissolubilmente legato il benessere morale e
materiale dei singoli cittadini»17. Nel contempo, si condannavano apertamente tutti quei militari che, ritornati presso le proprie famiglie per
breve licenza, si erano «indugiati» più del previsto, non ripresentandosi
alle armi e divenendo per questo disertori; questi andavano, anche per
mezzo dei parroci e dei sindaci, riavviati al fronte quanto prima, nei
pressi della località a loro designata18.
ACCV, Stato Civile, Atti di morte, aa. 1911-1915 e aa. 1916-1920, cc. s.n.
AVO, Carteggio vescovile, Orvieto, 1917 nov. 29, [Reale Sottoprefettura di Orvieto] «Invito ad
adunanza» [sull’organizzazione della resistenza interna e sui mezzi per soccorrere i profughi].
17
Ibid., Roma, 1918 apr. 8, Circolare del ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti circa
l’operato del clero presso le famiglie dei soldati onde «fortificare lo spirito di resistenza e di sacrificio».
18
Ibid., Roma/Orvieto, 1917 nov. 13 - 24, «Disertori».
15
16
Luca Giuliani
40
Documentazione correlata: profughi, stranieri, la chiamata e l’ordine pubblico
Dal punto di vista amministrativo, nonostante le numerose lacune riscontrabili nel complesso archivistico del Comune di Castel Viscardo,
l’anno 1915 risulta quello nel quale si concentrava la maggiore presenza di
atti documentari inerenti le prime fasi della guerra, dalle dette disposizioni
circa i profughi e gli stranieri (per i quali doveva essere rilasciata «dichiarazione di soggiorno», sottolineando «siano scritte modo leggibili»), sino a
quelle inerenti gli abiti militari da realizzarsi o particolari ordinamenti tesi
al sequestro dei beni privati per la ragion di Stato19.
Le conseguenze di tali disposti non erano repentine, si pensi anche alla
lontananza materiale dalle zone di guerra: un conflitto che in un primo
momento sembrava coinvolgere i locali solamente attraverso la preghiera
e assistenza a quanti contavano partiti per il fronte in famiglia. Per quanto
riguardava, invece, i profughi o stranieri, da registrare come nel 1916 da
Castel Viscardo si dava nota della presenza sul territorio di tale Caterina
Tuffan, presentatasi negli uffici comunali il 22 luglio 1915, originaria di Gorizia e per questo ancora «suddita Austriaca». La donna era unita a un oriundo castellese, Riccardo Bartoccini, e richiedeva di potersi stabilire nel Comune, parimenti alla figlia Maddalena (di cinque anni) «fino a che le vicende
della guerra le avessero permesso di ricongiungersi al marito internato in
Austria». Il 20 agosto successivo, la sottoprefettura di Orvieto autorizzava
il Comune a venire in soccorso della donna conferendole un sussidio «sino
a quando non fosse possibile provvedere al suo rimpatrio», sostegno che fu
elargito almeno sino al novembre successivo, quando la donna si trasferiva,
con le dovute autorizzazioni, ad Ascoli Piceno20.
Lo stesso anno, si rispondeva anche riguardo la presenza di forestieri
sul territorio inviando la scheda definita «Soggiorno degli stranieri»; in
essa si dava informazione di tal Giacomo Brumat, nato a Zara («Austria»), di professione bracciante e dimorante a Castel Viscardo nei pressi del podere detto «Casino». Questi dichiarava di essere in Italia quale
«profugo del teatro della guerra Italo-Austriaca» e di volersi trattenere
sino a che non gli sarebbe stato concesso il rimpatrio; le ragioni del soggiorno dovevano essere chiaramente specificate con repentina comuni-
19
20
ACCV, Carteggio amministrativo, 3/6.
Ibid., Copie delle delibere del Consiglio e della Giunta, 2bis/6.
...Facendo voti che possano tutti ritornare
41
42
Luca Giuliani
...Facendo voti che possano tutti ritornare
43
cazione, a norma di quanto stabilito dal ministero dell’Interno21.
Pur dandone partecipazione tempestiva per quanto richiesto e per quanto attinente al piccolo Comune, per altre informazioni le domande rimanevano inevase. Da un lato le autorità cercavano di venire incontro ai bisogni
di coloro che stavano lavorando fuori dei confini nazionali, trovando accordi con compagnie sulle quali pendeva il pagamento di salari verso italiani
costretti al repentino rimpatrio o, ancora, individuando manodopera per il
taglio di boschi ovvero cercando informazioni nei Comuni nei quali credevano vi fosse in più alta percentuale la presenza di operai atti all’uopo, onde
soddisfare la necessità dell’esercito e del paese. Per altro verso, si lasciava
un primo esonero (temporaneo di un mese) ai soli richiamati nelle milizie
di terra se occupanti il ruolo di direttori tecnici o operai specializzati, nei
casi fosse riconosciuta l’insostituibilità, tanto che il «loro allontanamento
causerebbe cessazioni lavoro» nelle aziende nei quali erano impiegati22.
Altri argomenti di interesse, rispetto alla corrispondenza del 1915, erano
le pratiche agricole e la ricerca inerente la confezione dei vestiti da realizzarsi per la campagna militare. Circa il primo punto, già dal mese di giugno
21
22
Ibid., Carteggio amministrativo, 3/6.
Ibidem.
44
Luca Giuliani
giungevano telegrammi volti a scongiurare la notizia divulgatasi sulla paventata volontà del competente ministro inerente il divieto o la limitazione
dell’esportazione della seta grezza o di altri tessuti e si comunicava la concessione da parte della Direzione generale delle Ferrovie dello Stato di accordare tariffe speciali ai mietitori semplici che avrebbero dovuto spostarsi per
eseguire il proprio lavoro in gruppi di almeno cinque persone tutte dirette
nella stessa località o da ivi ritornare nel periodo 15 giugno – 15 agosto (con
un «viaggio terza classe tariffa militare»); nel contempo, si inoltrava anche
copia del decreto di Tommaso di Savoia (luogotenente generale di sua maestà) che stabiliva l’obbligo per i «proprietari, enfiteuti, conduttori di fondi,
coloni e lavoratori del terreno» di mettere a disposizione («col diritto a congruo compenso») i propri animali e macchine, nonché il relativo personale,
allo scopo di garantire il regolare e tempestivo raccolto dei cereali nei fondi
del territorio comunale, demandando ai sindaci le varie richieste di prestazioni e gli accordi economici opportuni. Nell’ottobre dello stesso anno, il
sottoprefetto si interessava anche dell’avvenuta organizzazione dei cosiddetti «comitati di lavoro», atti alla manifattura di indumenti militari, richiedendo
se nei vari comuni del comprensorio fossero stati organizzati e esistessero
persone o enti che avessero fatto domanda e siano stati riconosciuti in merito. Allo scopo si inviava una relativa nota inerente le richieste dei formati
comitati volte a ottenere autorizzazioni per «acquistare lana per confezioni
maglierie militari». In merito, si specificava come, stante la libertà di procurarsela liberamente, a norma delle disposizioni della Commissione provinciale, per quella da «distribuirsi gratuitamente per la confezione di maglierie
a pagamento», bisognava rifarsi solo a quanto provveduto dalla competente
autorità, lasciando comunque ai comitati locali la possibilità, qualora fossero
a conoscenza di partite «ottime per qualità, a prezzi convenienti è in qualità
sufficiente», di inviarne un campione accompagnato dall’offerta della ditta
produttrice. Rispetto all’argomento, una volta ottemperate le analisi del caso
e aspettato il tempo necessario alla consona verifica, da Castel Viscardo (anche a nome del sindaco del vicino Castel Giorgio) si comunicava come nella
zona non erano pervenute domande, né tantomeno era stati riconosciuti
dalla Prefettura, da parte di persone o enti volti alla organizzazione di questi
comitati per la produzione di indumenti militari23.
Ma oltre le conseguenze indirette, la guerra stava per farsi sentire negli
23
Ibidem.
...Facendo voti che possano tutti ritornare
45
affetti più cari prendendo con sé i giovani del luogo e trascinandoli per
valli, gole e montagne lontane a difendere quella patria risorgimentale già
messa in pericolo da un conflitto di confine che minacciava, oltre a un
continuo irredentismo, anche gli acquisiti e deboli confini. Il 22 maggio
arriva in Comune, all’attenzione del sindaco, un telegramma del prefetto
Pericoli che estendeva ai rappresentanti locali, con «precedenza assoluta»,
la decretazione da parte del «Gabinetto di Sua Maestà il Re» della mobilitazione generale dell’esercito e della marina, con conseguente requisizione dei quadrupedi e veicoli a partire dal giorno seguente (23 maggio).
Informazione peraltro presagita, con lo stesso mezzo, dal comandante del
Distretto Petri, il quale già dalla mezzanotte del giorno 19 maggio aveva
disposto l’organizzazione dei trasporti per coloro che erano stati mobilitati. Questi erano esentati dal relativo pagamento dai Comuni o dai centri
di presentazione, sia utilizzando le Ferrovie dello Stato che i mezzi della
«società Veneta», specificando come: «drappelli e individui isolati non devono essere forniti di richieste […] ma saranno ammessi nei treni dietro
semplice presentazione foglio di viaggio»; il tutto con esplicita richiesta al
46
Luca Giuliani
sindaco riguardante la conferma della avvenuta ricezione della detta disposizione.
Nel giorno della comunicazione ufficiale della mobilitazione era redatto
dal Comando del Distretto Militare di Orvieto il manifesto per la chiamata
alle armi dei militari di «3a categoria non istruiti», a partire dal 1° giugno
successivo e per le classi 1888-1895. Rispetto poi ad alcuni dubbi e incomprensioni sorte, sul finire dello stesso mese si dichiarava drasticamente
come tutti i militari di terza categoria «istruita» delle classi 1876-1895 dovessero immediatamente (telegramma protocollato il 29 maggio) presentarsi alle armi. I giovani interessati erano obbligati a recarsi al distretto se
residenti a Orvieto o, al contrario, dai sindaci dei loro Comuni di residenza, per ricevere i documenti di viaggio e le eventuali anticipazioni per il
trasporto tramite ferrovia, tramvia o anche piroscafo, oltre alla indennità
di trasferta. Tra l’altro, in aggiunta alle specifiche per chi aveva già ricevuto
il congedo o ancora fosse in qualche modo dispensato dal rispondere alla
chiamata, due erano le osservazioni più importanti da analizzare sul bando
rivolto agli uomini di quelle che si consideravano le classi meno abbienti.
In primo luogo, il compenso adeguato previsto per coloro che si presentavano con calze, camicie, «corregge» da pantaloni, farsetti, fazzoletti e
mutande propri e in buono stato d’uso, dei quali sarebbero stati autorizzati a servirsene «in sostituzione degli oggetti militari corrispondenti»; lo
stesso valeva per le calzature, qualora non avessero forma molto dissimile
da quelle definite di ordinanza. In seconda istanza, il bando si chiudeva
con una precisa avvertenza volta alle famiglie bisognose dei militari in
partenza, autorizzate a fare richiesta, verbale o scritta, per ottenere un
«soccorso giornaliero, pagato dal sindaco il lunedì di ogni settimana» e
conferibile alle mogli, ai figli legittimi o legittimati di età inferiore ai dodici
anni o inabili al lavoro, a un genitore di età superiore ai sessanta anni e non
lavorativo, a entrambi i genitori ultrasessantenni, ai fratelli o sorelle orfani
e di età inferiore ai dodici anni o inabili al lavoro. Alle dette prerogative, la
cui corrisposta economica era variabile tra i Comuni più importanti e gli
altri, era necessaria la dimostrazione che il soccorso dovesse essere conferito ai congiunti in presenza di un effettivo bisogno perché a totale carico
del partente o privi di quei mezzi di sussistenza derivanti dall’assenza del
militare.
Il 31 maggio il prefetto inoltrava il manifesto per la chiamata alle armi
del «Corpo Reali Equipaggi in congedo» esortandone la repentina affissione; nel contempo, il 22 precedente era datato il «Manifesto di chiamata
...Facendo voti che possano tutti ritornare
47
48
Luca Giuliani
...Facendo voti che possano tutti ritornare
49
Luca Giuliani
50
alle armi» dei militari dell’esercito in congedo illimitato (compresi anche
quelli della Marina): caporali maggiori, caporali, appuntati e soldati di prima e seconda categoria, con convocazione a partire dalle prime ore del
giorno successivo, suddivisi anche secondo l’anno di nascita e l’appartenenza all’esercito permanente e alla milizia mobile o territoriale. Il 23
erano convocati gli alpini, l’artiglieria da costa o da fortezza e i finanzieri;
il 24 i carabinieri, i granatieri, la fanteria di linea, gli alpini, i bersaglieri, la
cavalleria (suddivisa in artiglieria e genio), gli aviatori, il «Treno di artiglieria e del Genio» e coloro che si sarebbero occupati di sanità e sussistenza.
Il 25 era la volta dei fanti (comprensivi dei provenienti dai granatieri o dai
bersaglieri) e il 1° giugno di tutti i militari di prima e seconda categoria in
congedo illimitato provvisorio, coloro che non avevano ancora prestato
per essere stati ammessi al ritardo del servizio e i volontari di un anno.
Per questa ultima categoria, le specifiche erano rese con apposita comunicazione del 24 maggio, tramite la quale si intendeva andare a disciplinare
gli arruolamenti nell’esercito permanente, da considerarsi valevoli sino alla
durata della guerra e per l’ammissione dei militari di terza categoria in
congedo, fatto salvo il riconoscimento delle qualità richieste ed escluse le
compagnie di sanità e sussistenza. Il bando riguardava i cittadini italiani di
una età compresa tra il 18 e i 20 anni che non avevano ancora concorso
alla leva, coloro che erano stati dichiarati rivedibili o anche riformati che
avessero acquisito l’idoneità richiesta in tempo di guerra, coloro che, pur
non avendo più nessun obbligo, fossero giudicati fisicamente abili a sopportate le fatiche e i disagi dell’imminente campagna. Nell’agosto successivo si procedeva alla richiamata di tutti i militari in congedo illimitato per
le classi dal 1884 al 188624.
Tali richieste erano oggetto anche di forte contrasto rispetto all’andamento della gestione corrente degli stessi Comuni i quali, in alcuni casi,
si vedevano sottratti i loro impiegati. Da tali amministrazioni era giunta
la richiesta di ottemperare ad alcune dispense in modo da non fermare o
quanto meno rallentare la macchina locale e gestionale. Richieste alle quali
si rispondeva con un secco diniego già nell’ottobre del 1915 da parte del
sottoprefetto, con la raccomandazione che: «gli Uffici Comunali anche in
caso di richiamo di altre classi continuino a funzionare regolarmente perchè a prescindere dall’assunzione in servizio provvisorio di altro personale
...Facendo voti che possano tutti ritornare
per sostituire gli impiegati che restano negli Uffici, aumentando la loro attività ed il loro zelo, provvederanno al regolare andamento del servizio»25.
Sta di fatto che la chiamata era forte e si faceva sentire anche nei piccoli centri, dove numerosi ragazzi erano strappati nella maggior parte dei
casi dalle loro terre per andare, lontanissimi nel tempo e nello spazio, a
difendere un dato confine, oltre il quale il nemico di sempre, lontano e
irraggiungibile, si palesava ormai sotto diverse spoglie: dal distacco, alla
paura, al trasporto del corpo e dei sentimenti in luoghi mai conosciuti e
per alcuni neanche mai pensati, verso lo «orrendo flagello» già ampiamente temuto dal vescovo Fratocchi nel marzo 191526.
I ruoli matricolari conservati nel nostro Archivio Storico Comunale,
nella loro limitatezza e lacune cronologiche (mancano alcune classi e anni
di nascita), riportano una situazione provvisoria di come il fenomeno investiva gli equilibri già precari, fatti di sussistenza e mera sopravvivenza
in una realtà fortemente ancorata alla produttività locale, registri dai quali
emergevano anche alcune situazioni di diserzione legate all’emigrazione
che aveva investito i nostri paesi all’inizio del XX secolo. Questi ragazzi, lontani con le loro famiglie (soprattutto in
Brasile, nello stato di San Paolo o nella
città di Alfenas) si guardarono bene
dal ritornare in patria, probabilmente
non più sentita neanche propria, dal
riprendere quell’oceano che li separava dalla terra natia, terra che, abbandonata in tenera età perché madre non
fertile, erano ora chiamati a difendere.
A partire dalla documentazione presente si registrarono alcuni di questi
casi, anche emblematici, situazioni che
si accomunavano in tabelle insieme a
coloro che per difetti fisici vari erano
stati riformati (per la cataratta o per il
«piede equino») o che, in salute, parti-
25
24
Ibidem.
51
26
Ibidem.
Atti dell’ordinario, in «Bollettino della Diocesi di Orvieto», 1/1 (1915), p. 10.
Luca Giuliani
52
rono per il fronte senza più farvi ritorno. Della classe 1889, per esempio,
si possono vedere gli esempi di chi era stato riformato nel 1918, ancora
in tempo di guerra, e di chi partito per la «America» nel 1902 o 1903, alla
chiamata alla leva nel 1909 si era mostrato renitente, reiterando anche
nel successivo 1920. Situazioni che facevano da contraltare con chi, come
Giovanni Battista Pietroni di Monterubiaglio, tanto per fare un esempio,
per quei luoghi dovette partire come fante, lasciandovi la sua giovane vita
(il 26 marzo 1917, a 28 anni). Altri ancora si “salvarono” prestando il loro
servizio in altre forze, scelta che era bastata a dispensarli, in quanto già
appartenenti, per esempio, al corpo degli agenti di custodia27.
Per non parlare poi di quella che si può definire come una delle pagine
più gloriose della resistenza italiana, alla quale contribuiva anche il nostro
Comune, ossia la partenza e la partecipazione alle ostilità dei giovani soldati appartenenti alla eroica classe del ’99, ragazzi che lasciarono la loro vita
poco più che diciottenni. Dei 52 nati in quell’anno e dei 40 sopravvissuti
ai primi anni di vita o rimasti in paese, alcuni nel 1918 era scaraventati nel
conflitto e ivi perirono per diverse cause, come i soldati castellesi Antonio Sugaroni, figlio di Francesco e di professione fornaciaio, deceduto nei
pressi di Cittadella per una meningite, e Quirino Pasqualetti, un calzolaio
figlio del fabbro ferraio Fortunato, deceduto nei pressi di un ospedale di
Riserva a Forlì, o il vicenese Sergio Stella di Silvestro che svolgeva insieme
al padre, nell’arco della sua breve vita, l’occupazione di «campagnolo»,
deceduto nell’ospedale militare di Riserva di Porta Furba (Roma)28.
Tale dispiegamento di forze presupponeva anche un impiego di risorse
di difficile reperimento nel breve e medio periodo, mostrando alcune difficoltà che sfociavano nelle nuove iniziative tese al reperimento di fondi
attraverso dei prestiti nazionali. Se l’anno 1915 si era aperto con la comunicazione della possibilità di sottoscrizione per i Comuni, nel giugno successivo l’Agenzia delle Imposte Dirette e del Catasto esortava all’affissione
di due nuovi avvisi con il medesimo oggetto «nei luoghi più frequentati, e
ciò da subito», seguendo peraltro quanto già comunicato dal prefetto con
telegramma del 19 giugno circa la sottoscrizione del prestito nazionale, la
cui organizzazione doveva essere ampiamente partecipata a responsabilità
del sindaco per la durata di quindici giorni e senza nessuna spesa aggiuntiva.
27
28
ACCV, Anagrafe, Leva, 5.
ACCV, Anagrafe, Liste di leva e altro, 2, e Stato Civile, Atti di morte, aa. 1916-1920, cc. s.n.
...Facendo voti che possano tutti ritornare
53
Frattanto, già dal mese di ottobre, arrivavano le prime circolari inerenti le
iniziative volte ad alleviare le disgrazie degli orfani dei primi morti in guerra
o a favore dei combattenti rimasti ciechi o mutilati. Il 9 ottobre su tale tema
il sindaco di Castel Viscardo rispondeva come le iniziative richieste erano
svolte dal locale Comitato di mobilitazione Civile, come uno dei suoi scopi,
sottolineando: «Purtroppo però i mezzi raccolti e che si potranno raccogliere non sono molto rilevanti, ma si spera che ove sventuratamente avesse a
presentarsi qualcuno dei casi sopradetti la Carità Cittadina cui il Comitato
rivolgerà energico appello verrà in ausilio per raggiungere lo scopo nel miglior modo possibile»29.
Nel giugno del 1915 uscivano delle precise normative inerenti l’ordine
pubblico, volgenti alla partecipazione delle disposizioni del Regno sulla diffusione di notizie non controllate. Il sottoprefetto Vico, cautelandosi, avvertiva gli amministratori locali contro una certa campagna diffamatoria
rispetto alle risultanze delle disposizioni governative, informando di come,
in base al decreto del 20 del detto mese, sarebbe stato colpevole chi avesse
partecipato più o meno direttamente alla diffusione di notizie che andassero
in controtendenza con quanto stabilito e punendo: «chiunque comunicando con più persone o anche separate da sulla difesa dello stato e operazioni militari notizie diverse da quelle pubblicate da Governo e comandi
esercito e armata».
Il tutto era volto alla volontà di non allarmare e turbare la tranquillità
pubblica, tanto che si prevedeva anche la carcerazione di chi fosse stato
colto in flagranza di reato. In allegato, era fornita copia del decreto luogotenenziale (20 giugno 1915, 885): «che punisce la diffusione di indebite
notizie durante la guerra», oramai realtà anche per le truppe italiane e, di
converso, per le famiglie dei giovani partiti e richiamati, rispetto alle quali
era cercata, attraverso la normativa, una certa cautela con la limitazione
della circolazione di notizie diverse dalla linea ufficiale, notizie che non
dovevano discostarsi da quanto il Governo aveva deciso come linea ufficiale in materia di guerra, economia o altri fatti di pubblico interesse30. Si
trattava di quella che tre anni dopo si trasformava in una vera e propria
propaganda disfattista, rispetto alla quale si cercava continuo rimedio nella
gestione quotidiana. Nel 1918 si parlava apertamente, da parte della sot-
29
30
Ibid., Carteggio amministrativo, 3/6.
Ibidem.
54
Luca Giuliani
...Facendo voti che possano tutti ritornare
55
toprefettura, di una azione volta «a giovarsi anche dei sentimenti religiosi
della popolazione» che prendeva forma attiva attraverso la diffusione di
scritti, immagini sacre o preghiere «pro pace» da far circolare con sistema
a catena («otto copie a otto persone») la cui rottura si diceva portatrice di
gravi sventure verso chi se ne rendeva colpevole31.
Del resto nelle campagne, oltre alla assenza soggettiva e al blocco di alcune attività, peraltro neanche così dinamiche, le vere conseguenze dovettero registrarsi nell’assenza di braccianti, coloni e salariati, le cui mancanze
crearono il venir meno, nel giro di qualche tempo, delle risorse disponibili
tanto che già dal 1916 circolavano direttive circa la limitazione dei consumi e nel 1917 si palesava il cosiddetto censimento dei cereali, allo scopo
di accertare le effettive disponibilità onde evitare: «gli artificiosi maneggiamenti di speculatori» e assicurare nel miglior modo possibile gli approvvigionamenti alla popolazione. Si suggeriva, allo scopo di non cadere
nella trappola di personaggi dalla dubbia moralità, una certa disciplina da
imporre per una migliore utilizzazione delle derrate disponibili, evitando
così ogni sperpero e garantendo l’utilizzo minimo mirato alla stretta necessità32. Provvedimenti questi che, se prima erano stati preavvisati solo
alle autorità civili e religiose, come strumento di mero controllo, sul finire
dello stesso anno giungevano a disposizioni reali sul razionamento dei
generi di prima necessità, richiamando ancora allo spirito di nazione e
all’interesse generale. Il tutto adottato dal Consiglio di Castel Viscardo
con delibera del 25 settembre 1917, per quanto riguardava il razionamento
del grano, della farina e del pane, provvedimento che, si specificava, non
doveva generare apprensione, in quanto: «come è chiaramente dimostrato
[…] il grano non mancherà certamente alla popolazione, ma bisognerà
convincersi che deve adottarsi per indurre la popolazione stessa a quelle
norme di economia che sono appunto necessarie perché il genere di primissima necessità basti per tutti fino al nuovo raccolto». Tuttavia, stante la
grave siccità riscontrata in quell’anno che aveva causato lo scarso raccolto
dei legumi, con i quali si poteva ovviare al consumo eccessivo di cereali,
AVO, Carteggio vescovile, Orvieto, 1918 lug. 25, [Reale Sottoprefettura di Orvieto]
«Propaganda disfattista».
32
Ibid., Perugia, 1917 mag. 13, [Regia Prefettura della Provincia dell’Umbria] «Censimento dei
cereali». Si veda anche nel Protocollo Generale, fasc. 1918/7, una raccolta di varie informative
inerenti gli anni di guerra tra cui quelle relative alla requisizione dei cereali.
31
56
Luca Giuliani
...Facendo voti che possano tutti ritornare
57
si stabilivano delle distribuzioni una o due volte al mese, con precise regolamentazioni che dovevano interessare anche i venditori al minuto di
farina e pane, i quali: «non potranno consegnare tali generi se non a quei
cittadini che si presenteranno muniti di tessera rilasciata dall’ufficio municipale, nella quale tessera dovrà essere determinato il quantitativo di farina e pane occorrente settimanalmente o giornalmente per la famiglia del
titolare della tessera stessa». Tale ammontare era poi regolamentato dalla
Giunta il 31 ottobre successivo, con tanto di tabella stabilente le quantità
assegnate per settimana ad ogni persona, generi (grano, granoturco, pasta
e riso) suddivisi in determinate categorie che garantivano una maggiore o
minore pretesa secondo l’età (più o meno 12 anni) e le mansioni svolte.
Così gli abitanti erano distribuiti in classi: lavoratori produttori o non produttori, non lavoratori benestanti e piccoli impiegati o professionisti, con
una tabella molto esplicativa che privilegiava alcune razioni per i lavoratori
(più grano, ma niente pasta), differenziandoli da chi, invece, non spendeva
le proprie energie manualmente, ma organizzava i propri beni o lavorava
in ambiti di concetto. Il tutto predisposto, nella distribuzione prevalentemente quindicinale, attraverso una apposita commissione nominata dalla
Giunta e con a capo il sindaco, coadiuvato da un ufficiale sanitario e dai
rappresentanti delle varie categorie individuate con: Antonio Tomassi per
i «lavoratori di Campagna», Odoardo Borri per quelli «di città», Adamo
Ambrogi per la «Categoria piccoli impiegati» e Leandro Ceccarelli per i
«commercianti»33.
Conclusioni
Da quanto è possibile ricostruire dalla documentazione dell’Archivio
Comunale di Castel Viscardo, si hanno solo dei brevi accenni rispetto alla
definizione degli anni teatro della Grande Guerra, provvedimenti, a volte,
anche cautelativi rispetto ai quali la limitata azione di gestione risultava
incanalata nella conservazione dell’ordinario. Ma il contributo dato alla
causa da parte della piccola realtà era tutt’altro che minimo e anche di una
certa rilevanza, se si tiene presente che i nativi del luogo che persero la vita
33
ACCV, Copie delle delibere del Consiglio e della Giunta, 2bis/6. L’anno successivo, la
Giunta andava a regolamentare il prezzo della farina, pane e pasta, tenuto delle varie
proporzioni, le modalità di realizzazione e anche, nel caso della pasta, del trasporto
necessario da Orvieto (delibera del 24 agosto 1918).
Luca Giuliani
58
...Facendo voti che possano tutti ritornare
59
direttamente nel conflitto, da quanto risulta dalle iscrizioni del monumento ai
caduti, furono ben 61, mentre gli atti di morte registrati erano solo 36, almeno per quanto è stato riscontrato tra gli anni 1915 e 1920. Al computo totale,
ne dovrebbero essere poi aggiunti altri, come risulta dalle epigrafi poste nelle
frazioni di Viceno e di Monterubiaglio, nominativi non presenti a Castel Viscardo, dove il monumento, composto di quattro facciate di nomi di soldati
e dei loro ruoli, periti in battaglia, ne vede occupate due (la metà) per la sola
Prima Guerra Mondiale. A questi uomini devono essere aggiunti quanti nei
medesimi anni del conflitto o successivamente perdettero la vita a causa di
conseguenze più o meno dirette e imputabili allo stesso, quali la febbre spagnola o l’assenza dei deputati al fabbisogno particolare delle varie famiglie.
Tra gli altri casi da segnalare di decessi legati allo scoppio del conflitto, si
riporta quello di Maria Armida Ercolani, una infermiera di Castel Viscardo
nata il 18 dicembre 1878, figlia di Arcangelo e Adelinda Lucattelli. La donna
era di servizio a bordo del piroscafo «Siena» affondato il 4 agosto 1916 a largo del porto di Marsiglia da un sommergibile tedesco. Nel 1919, il sindaco
ne ratificava la morte registrando la notizia giunta dal pretore di Orvieto, per
la quale, a seguito dell’attacco subito dalla nave italiana e del successivo affondamento, Maria Armida era scomparsa in mare e non avendosene avuto
più notizie si poteva oramai ritenere deceduta34.
Tra tanti soldati (in maggior parte), artiglieri, fanti, scaricatori, mitragliatori, caporal maggiori, sergenti (come la medaglia d’argento al valor militare
Atto di morte.
Lapide commemorativa e di intitolazione della via al sergente Zanetti, posta nel cinquantenario
della sua morte.
34
Ibid., Stato Civile, Atti di morte, aa. 1916-1920, cc. s.n.
Carlo Zanetti), carabinieri o bersaglieri, la storia di questa giovane donna,
strappata al suo servizio dalla nascosta mano di un sommerso siluro, emerge
quale grido di richiamo ad un presente che stenta a comprendere il valore dell’eroico servizio portato da tanti giovani. Le loro esistenze, strappate
a una dura realtà di sopravvivenza, andarono a cozzare dinanzi al “muro
nemico”, furono per sempre soppresse o stravolte, nel caso di chi vi fece
ritorno, in nome di una inutile ricerca di sopraffazione che non insegnò,
nonostante l’immane tragedia, niente di nuovo a quanti si trovarono a ordinare conflitti nei decenni successivi, a quanti ancora cercano solo materie
di scontro, magari sulla pelle di qualcun altro, non mettendosi, peraltro, mai
in gioco.
Storia del piroscafo “Siena”
e del suo affondamento
di Francesco Pittaluga
Maria Armida Ercolani di Arcangelo e Adelinda Lucattelli nata a Castel Viscardo il 18 dicembre 1878.
Il piroscafo “Siena” di circa 4.500 tonnellate venne costruito a Genova
nel 1905 per la “Italia-Società di Navigazione a Vapore” fondata a Genova
nel 1899 da vari imprenditori liguri del settore marittimo fra cui Luigi ed
Emanuele Accame; Nicolò Odero proprietario degli omonimi cantieri
navali di Genova-Foce dai cui scali scenderanno in mare le prime unità
della compagnia; Federico e Paolo Scerni; Edoardo Canali ed altri e da
non confondere con la più recente e conosciuta “Società Italia” del 1932.
L’unità venne varata a Sestri Ponente assieme al gemello “Bologna” e fu
subito immessa in servizio per gli scali del Brasile e Plata al comando del
Capitano Pietro De Negri. Ad un solo fumaiolo, due alberi e doppia elica,
disponeva di una settantina di posti di prima classe in comode cabine
e di 1290 cuccette in cameroni per il lucroso trasporto degli emigranti.
Dalle linee moderne e filanti, era il tipico “liner” di medie dimensioni
analogo a tante altre unità italiane antecedenti l’introduzione in servizio
dei grandi transatlantici che arriveranno col decennio successivo per
poi affermarsi negli anni Venti e Trenta del Novecento. Nel maggio del
1913 le due navi gemelle vennero cedute dalla “Italia” a “La Veloce”,
importante compagnia erede delle marinerie ottocentesche dei Fratelli
Lavarello, Cerruti e Bruzzo, fondata a Genova nel 1884 e leader dei
collegamenti con le Americhe. Al momento della cessione entrambe
le società facevano parte da alcuni anni del grande gruppo armatoriale
che gravitava intorno alla “Navigazione Generale Italiana”, frutto della
fusione ottocentesca delle flotte del genovese Raffaele Rubattino e dei
siciliani Vincenzo ed Ignazio Florio. Questa cessione sarà solo il prologo
del totale assorbimento da parte della “Navigazione Generale” stessa sia
dell’ “Italia” che de “La Veloce”, che avverrà di lì a pochi anni. Sotto
le insegne gialle con stella rossa sulla ciminiera proprie dei bastimenti
de “La Veloce”, le due unità vennero spostate in linea centroamericana
col progetto di prolungarla sino a Valparaiso una volta completato il
canale di Panama: ciò avrebbe permesso di raggiungere agevolmente
gli scali di Perù e Cile evitando la lunga e perigliosa circumnavigazione
62
Francesco Pittaluga
Il piroscafo Siena.
del Continente Sudamericano nella prospettiva di servire una linea
commerciale allora molto trafficata sia per il trasporto degli emigranti
che per i periodici spostamenti da e per la madrepatria delle popolose
e fiorenti comunità italiane e liguri in particolare che ormai da decenni
popolavano quelle nazioni contribuendo in maniera più che notevole
al loro sviluppo. Tale impiego verrà riservato al “Bologna” che, anzi,
al termine del primo conflitto mondiale sarà la prima nave passeggeri
italiana ad attraversare la nuova importante via d’acqua. Il destino
non concesse ciò al gemello “Siena” che, al comando di Giuseppe M.
Minetti, il 28 dicembre 1915, causa fitta nebbia, andò ad investire ad
ovest dell’Isla Plana nei pressi di Alicante. Disincagliato a fatica dopo
un lungo lavoro, il 7 gennaio riprese servizio. Questo incidente fu solo il
prologo della tragedia che attendeva il piroscafo di lì a poco. Infatti, il 4
agosto del 1916, mentre stava rientrando a Genova da Colòn e dagli altri
scali centroamericani del suo itinerario, venne affondato a cannonate
senza preavviso dal sommergibile tedesco U-Boote U-35, al comando
di Lothar Von Arnauld, in pieno Golfo del Leone al largo dell’isola di
Planier dove era presente un faro che indicava ai naviganti la rotta verso
il porto di Marsiglia. Nell’affondamento perirono 18 passeggeri e 28
membri dell’equipaggio fra cui l’infermiera di bordo Signorina Maria
Armida Ercolani che vogliamo oggi ricordare assieme ai suoi sfortunati
Storia del piroscafo “Siena”
63
compagni. Fu la perdita più grave de “La Veloce” durante la guerra. A
ricordo del disastro e a onore di quanti persero la vita nell’affondamento
verrà poi apposta una lapide nella sede della “Navigazione Generale
Italiana” in Piazza De’ Ferrari a Genova. Tale monumento ricordava
tutte le vittime civili e militari delle varie unità del gruppo “N.G.I.” e, in
generale, della Marina Mercantile perdute per cause belliche durante il
Primo Conflitto Mondiale: fra di esse ricordiamo il “Principe Umberto”
con ben 1926 perdite umane, il “Duca di Genova”, lo “Stampalia”, il
“Caprera”, l’“Ausonia” e il “Carignano” tanto per citare solo alcuni
dei settanta e più piroscafi affondati dal nemico. Quando nel 1932 la
“Navigazione Generale Italiana” verrà raggruppata assieme a “Lloyd
Sabaudo” e “Linea Cosulich” nel nuovo consorzio nazionale “ItaliaFlotte Riunite” poi “ Società Italia di Navigazione”, la sede della nuova
grande Compagnia resterà la stessa e la lapide rimarrà al suo posto fino
alla metà degli anni Ottanta del Novecento quando, a seguito della
ristrutturazione della Flotta di Stato, verrà traslocata presso gli uffici di
una ormai ridimensionata “Italia di Navigazione” dedita al solo traffico
merci al “W.T.C.” di Sampierdarena-San Benigno fino alla liquidazione
della Società stessa, assorbita prima dalla “D’Amico Lines” e poi da
interessi stranieri alla fine degli anni Novanta. Oggi sopravvive con
sede a Trieste una nuova “Italia Marittima S.p.A.” che dovrebbe essere
l’erede della “Società Italia” e del “Lloyd Triestino” messe assieme: in
verità, operando nell’ambito del colosso internazionale “Evergreen
Co.”, poco ha a che vedere con le gloriose compagnie cui idealmente
64
Francesco Pittaluga
dovrebbe rifarsi e la cui storia, tornando indietro nel tempo, fra le tante
unità grandi e piccole degne di nota ci fa risalire al piroscafo “Siena”
ed al suo tragico destino. Con un unico doveroso pensiero di rispetto e
di perenne ricordo per quanti trovarono a bordo di quella nave il loro
sacrario in fondo al mare. Dove ci deve confortare il pensiero che essi
riposino in pace, morti ma vivi nel ricordo di quanti ne onorano ancora
oggi la memoria. Fra queste persone da non dimenticare, Maria Armida
Ercolani, la giovane infermiera di bordo che, alla domanda dei suoi
famigliari se non avesse paura di viaggiare e prestare la propria opera su
di una nave in un periodo così pericoloso rispondeva: “ Avrei una tomba
così bella…”
Un ritratto di Maria Armida Ercolani: “di condizione infermiera di bordo”.
67
Zelindo Dominici (classe 1894).
Evaristo Caprasecca (classe 1888).
Erminio Bernasconi (classe 1898).
Giuseppe Frosoni (1892).
Luigi Serranti (classe 1894): brevetto per il conferimento delle «tre stellette sul distintivo delle fatiche
di guerra».
Piazza 4 Novembre, inaugurazione del Monumento ai Caduti (foto tratta da Castel Viscardo: la
sua storia, le sue tradizioni).
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino (TN)
(diario di una famiglia in trekking tra natura e storia)
di Chiara Tiracorrendo
Domenico Ambrogi (classe 1896).
Vincenzo Ercolani (classe 1884).
Quando usciamo dalla funivia che collega il Passo San Pellegrino (1.919
mt s.l.m.) sul culmine del Col Margherita (2.545 mt s.l.m.) ci accoglie un
paesaggio lunare, senza vegetazione e sferzato da un vento freddo - e dire
che eravamo in agosto! -.
Da qui parte l’Alta Via Mariota, una dorsale panoramica tra il Col
Margherita e la Forcella Juribrutto; un sentiero turistico con uno dei
Biagio Frosoni (classe 1891).
74
Chiara Tiracorrendo
panorami più belli che possano offrire le Dolomiti trentine: di fronte,
aldilà del Passo, la Cima Uomo e la Marmolada; alle spalle, il gruppo delle
Pale di San Martino e verso sud ovest la catena del Lagorai...
Se non fosse che proprio in quell’Alta Via dolmitica cento anni fa
correva il fronte italiano durante la Prima Guerra Mondiale.
Un linea di strenua difesa, dove i soldati italiani hanno combattuto – e
sono morti – per più di un inverno e assieme a mio marito e ai miei figli non
ci capacitiamo di come tanta meraviglia del creato sia stata muta testimone
di orrore, morte e distruzione. Tanto è il contrasto tra ciò che la Storia ci
racconta e quello che pieni di gioioso stupore i nostri occhi ammirano, che
non riusciamo neanche a parlare tra noi.
In silenzio, quindi, ci incamminiamo sulla prima parte dell’Alta Via
Mariota.
Ad un certo punto il cuore di noi adulti si sofferma un attimo di fronte
a quei sassi disposti ad angolo, che chiaramente sono i resti di una trincea
o di un ricovero per soldati o munizioni, ma la mente è già andata avanti
grazie alla “ridefinizione” operata dal banalissimo gioco di arrampicarsi
dei nostri ragazzi... e così rifletto: un posto di odio e di morte dopo cento
anni è diventato un improvviso parco giochi... ma perchè noi uomini non
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
75
impariamo mai dai bambini, dalla loro immediatezza, dalla loro semplicità
e ci complichiamo così tanto la vita da arrivare a distruggerci a vicenda...
tra uomo e donna, tra colleghi, tra popoli...???
Facciamo una nuova foto in questo monumento naturale ai caduti della
Prima Guerra Mondiale, che oggi grazie a i miei figli è diventato per un
attimo simbolo di Pace e Vita.
76
Chiara Tiracorrendo
Il giorno seguente abbiamo ancora tutti voglia di ascendere di nuovo
oltre i 2000 metri, è la vacanza che ci piace, da sempre: camminare per
sette-otto ore al giorno, arrivare in cima al mondo e respirare un po’ di
infinito, lassù al limite tra cielo e terra.
Cento anni fa, ragazzi poco più grandi di Lele marciavano con scarpe
inadatte e abiti militari, anche per dieci ore al giorno, caricati di un peso che
andava oltre la loro comprensione... e il paradosso più grande scritto tra i
nostri monti è che spesso quei ragazzi italiani per nascita, ma “stranieri”
per confini politici, si trovavano a combattere lungo il fronte austroungarico, contro i loro stessi conterranei... ma non ancora connazionali.
Esattamente di questo è testimone il Passo San Pellegrino: da una parte
il Col Margherita, con la linea di confine italiana e proprio di fronte ad
essa, separate dal Passo, l’allora terra-di-nessuno, si ergono le Creste del
Costabella, lungo le quali correva il confine austriaco.
Dal Passo (1.919. mt s.l.m.), passando per le Creste del Costabella si
risale un sentiero di ciottoloni e muschi fino a raggiungere il Passo delle
Selle (2.528 mt s.l.m.), fino all’omonimo rifugio.
Da lì partono una serie di camminamenti lungo la linea di quello che
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
77
cento anni fa era il confine autriaco, spesso veri e propri tunnel scavati
dall’esercito austro-ungarico all’interno delle rocce, oggi indicati come
l’Alta Via Bepi Zac.
Il Rifugio Selle ci accoglie mostrando già da sotto la sua mirabile
posizione strategica, affacciato com’è sulla valle del passo sottostante.
Il monumento al sacrificio umano tributato dai soldati della Prima
Guerra Mondiale è fatto di ciottoli, filo spinato, baionette arrugginite e
assemblate a formare un croce, molto simbolicamente lo troviamo proprio
sul limitare del confine austriaco. I morti sono morti, non importa di che
sesso, razza o nazionalità e di fronte al massacro di massa dei giovani
soldati nelle trincee, spesso più per il freddo e gli stenti patiti a queste
altitudini che per i combattimenti veri e propri: di nuovo il rispetto e il
silenzio colgono inermi noi adulti.
Ed anche qui, come il giorno precendente sull’altro fronte, il cammino
procede per un po’ nell’osservazione silenziosa e meditativa di quelle
tracce di distruzione e morte.
Per fortuna ci pensano anche oggi i nostri ragazzi a confondere passato
e presente e a farci intravedere, nonostante tutto un futuro di speranza.
78
Chiara Tiracorrendo
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
79
La sensazione è quella di camminare “dentro” un pezzo di Storia, resa
ancora più forte perchè non la stiamo osservando da dietro a una teca di
un museo, ma siamo camminando proprio lì, su quei luoghi dove la Storia
(certo la sua parte più feroce e crudele) ci è passata davvero.
Questi inconfondibili ammassi di ciottoli a costruire luoghi di
distruzione, oggi si stagliano a toccare il cielo, dall’ultimo brandello della
cima del monte e stanno lì a testimoniare cosa sono stati e quello che non
dovrebbero mai più essere...
...grandi e piccoli proseguiamo la nostra vacanza, attraverso quei
monti che amiamo e che ogni anno torniano a scalare, ma con i quali
ora condividiamo “qualcosa” in più: un pezzo fondamentale della nostra
anima, che si è fusa per sempre, ancora di più, con queste montagne e
con la Storia che per qui è passata cento anni fa e che ci ha permesso di
chiamarci e farci chiamare “italiani”.
Lungo la postazione di fucileria austriaca improvvisano un nuovo gioco
e interrompono il meditare serio e muto di noi genitori, che sorridendo,
svalichiamo e riprendiamo il cammino verso il Rifugio Taramelli.
Lungo la via, ci accompagnano ancora per un po’ i resti di magazzini per
le derrate alimentari, le armerie e le vere e proprie trincee di appostamento...
80
Chiara Tiracorrendo
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
81
82
Chiara Tiracorrendo
Tra passato e presente sul Passo San Pellegrino
83
“Tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell’elmetto, tutti
portavano l’insegna del supplizio nella croce della baionetta e nelle tasche il
pane dell’ultima cena e nella gola il pianto dell’ultimo addio”.
Viceno: povertà e grande guerra
di Fiorella Santi
Viceno, estate 1953
Povero paese, disteso pigramente su una collina, a pochi chilometri da
Orvieto ai piedi di un castello, povero anch’esso: non ha nulla di bello da
mostrare, se non un panorama mozzafiato, perché più che un vero castello
si tratta di un fortilizio sorto, nel punto più alto del colle, a difesa dei vari
signori che si sono succeduti nell’orvietano.
Povere case, senza acqua corrente, in compenso spesso acqua e neve
entrano dai tetti sgangherati; ogni casa al piano terra ha la sua stalla che
durante l’inverno si usa come servizio igienico, mentre d’estate si va nei
campi.
La grande piazza e le strade, naturalmente non asfaltate, sono polverose, piene di sassi e di escrementi di animali, perché continuamente percorse da buoi, maiali, “somare”, pecore, muli e in mezzo a tutto ciò bambini
schiamazzanti, scalzi e seminudi, incuranti della sporcizia e della miseria,
perché troppo presi dai loro giochi.
Anch’io faccio parte di questo stuolo: poveri, ma felici, perché ci sentiamo parte integrante di quell’ambiente, come le numerose rondini che
girano veloci attorno al campanile, garrendo rumorosamente.
Ma un giorno arriva a Castel Viscardo un’automobile nera (all’epoca
nessuno possedeva un’automobile): viene a prendere la mia famiglia e proprio me, bimbetta di otto anni, magrissima, con due grandi occhi sconcertati, per portarci alla stazione, perché mio padre ha trovato lavoro a
Bologna e dobbiamo partire.
Mi sento persa, come inghiottita nel ventre di una balena; dovrei essere
contenta, perché andrò ad abitare in città, in una casa con l’acqua corrente,
con il bagno, forse si vedrà qualche soldo, ma mi stanno strappando dal
mio mondo.
86
Fiorella Santi
Mi appiccico con il naso al finestrino per non far vedere ai miei genitori
le grosse lacrime che non riesco a trattenere, mentre fuori vedo allontanarsi i volti dei miei amici e il mio amato paese.
Questo sono i Vicenesi, forse sempre pronti a criticare perché il paese
non offre niente di bello (pure oggi, anno 2015, c’è un solo bar che funge
anche da piccolo supermercato, dove però si può trovare “Dio tutto un
po’”, come dice l’insegna), ma fortemente innamorati della loro terra e
orgogliosi di appartenervi.
Gente ospitale e generosa: anche quando la miseria più nera era l’unica
compagna di vita, non mancava mai sul tavolo la “panatella” col buon
vino di Viceno da offrire al viandante e i più fortunati dividevano pane e
companatico con quelli che ne avevano meno di loro.
Io ricordo con gratitudine l’Argisa, che abitava di fronte a me e che aveva un branco di pecore: quando ero piccola mi regalava sempre una tazza
di latte cagliato, dove io affondavo una fragrante fetta di pane bruscato e
il “cricco”, una specie di primosale, profumato e saporito, a forma di palletta, che arrotolava stringendolo fra le mani.
Tuttavia i miei compaesani, discendenti degli antichi guerrieri che difendevano il castello, hanno anche ereditato da loro la forza e il coraggio
e sono pronti a combattere per difendere il proprio paesello quando se ne
presenta l’occasione.
A questo proposito, nei suoi libri scritti su Viceno, Benito Leoni ci racconta alcuni episodi, come quello storico di Carlo VIII che nella sua discesa verso Napoli non riuscì ad espugnare il nostro colle e fu costretto ad
abbandonare il campo con grandissime perdite.
Così scrive Benito: «Contro l’indomito valore dei prodi Vicenesi, le preponderanti forze del re francese nulla poterono. Il Verde colle si tinse di
rosso durante i tre giorni in cui gli scontri si susseguirono violenti e micidiali. Fu al calare del terzo giorno che, visto inutile ogni tentativo contro il
leonino coraggio dei Vicenesi, i cugini francesi decisero di abbandonare la
preda, ripiegando verso Orvieto».
Ci sono poi episodi più recenti, come quando agli inizi del 1900, alcuni
vicenesi, spinti dal bisogno, dissodarono senza permesso alcuni terreni dei
principi Spada, ricoperti di rovi e sterpaglie e difesero questa loro conquista fin quando non furono arrestati e portati in carcere.
E poi ci fu la guerra dei vent’anni con Benano, sembra causata dal furto
sacrilego della reliquia di S. Nicola da parte di un Benanese, ma anche per
la gelosia nei confronti delle proprie donne.
Viceno: povertà e grande guerra
87
Sempre Benito Leoni così scrive: «La feroce rivalità, iniziata quasi per
gioco, si sviluppò per circa vent’anni, con rappresaglie, incidenti, appostamenti, contusi, feriti e liti e a non finire… L’ultima “battaglia” fu combattuta il lunedì di Pasqua del 1914, quando Peppe de Bulino fu colpito da
una violenta sassata che lo tenne a letto per una decina di giorni e ai Vicenesi costò ben quarantadue feriti e contusi. Lo scoppio della guerra, quella
vera del 1915-18, mise fine a questo misero gioco riportando finalmente
tra i due paesi il senso del buon vicinato».
E qui lo scenario cambia: ora è la grande Patria che chiama e ancora una
volta i Vicenesi dimostrano il loro coraggio, non si tirano indietro e danno
il loro valoroso contributo.
Giovani spose salutano con angoscia il marito, con l’ultimo nato in
braccio, forse attaccato al seno, mentre i più grandicelli, numerosi, perché
i figli erano braccia per il lavoro dei campi, sporchi e laceri, attaccati alle
loro gonne, vedono allontanarsi quel padre dal quale forse non hanno
avuto neanche una carezza, perché in tutta quella miseria non c’era tempo
per certe delicatezze.
Madri straziate abbracciano i loro figli, poco più che ragazzi e non riescono a staccarsi da loro, non possono lasciarli andare pensando che qualcuno ha già imbracciato il fucile che potrebbe ucciderli e nessun dolore è
paragonabile a quello di una madre, perché un figlio è parte di te, è carne
della tua carne e se ti tolgono un figlio è come se ti troncassero un braccio,
se ti strappassero il cuore, ti manca il respiro e la tua vita finisce con lui.
Anche i Vicenesi, forse a fianco di quei Benanesi con i quali fino a poco
prima hanno combattuto battaglie paesane, partono, insieme a tanti altri
giovani provenienti da tutte le regioni, su lunghi treni fumanti verso quel
confine dove li attendono battaglie violente.
Forse non riescono neanche a comunicare bene tra di loro, si parla il
dialetto e pochi sanno esprimersi in italiano. Estraggono dalla tasca la foto
della mamma, della moglie, della fidanzata o il santo patrono del paese che
una mano affettuosa e preoccupata ha unito alle altre cose, perché li protegga, perché faccia loro da scudo per non farli trafiggere dai colpi nemici
e il loro pensiero vola lontano.
Dopo un tratto di strada si fa sentire la fame e allora ecco uscire un pezzo di pane cotto nel forno comune, che le donne scaldavano con le fascine
facendo chiacchiere e pettegolezzi, e un pezzo di formaggio; ne aspirano
il profumo, ne assaporano ogni boccone e già sognano di ritornare a casa,
ma ben altro li aspetta.
Giovanni Leoni (detto Brenna).
Carlo D’Orazio, Giovanni Violini, Ulisse Pioli.
Serafino Pistucchia, partì per la Grande Guerra
mentre era consigliere comunale.
90
Fiorella Santi
Riccardo Maccheroni.
Viceno: povertà e grande guerra
91
Una guerra lunga e crudele è il loro destino, ma i Vicenesi sono coraggiosi e anche al fronte non viene meno il loro valore. Le lunghe e faticose
marce su per le montagne, con i piedi affondati nella neve, congelati, perché gli scarponi spesso sono rotti; le estenuanti attese nelle trincee al caldo
o al freddo intenso, con poca acqua e poco cibo in attesa dell’ordine di
attaccare e sogni il volto di tua madre e vorresti tornare bambino, con lei
che ti culla e ti attacca al suo seno per scaldarti e saziare la tua fame.
Ma arriva l’ordine del comandante e allora devi saltare su, baionetta in
pugno, pronto a colpire il tuo nemico.
Ma il tuo nemico è un ragazzo come te, con gli occhi azzurri e i capelli
biondi. Ti guarda terrorizzato, come tu guardi terrorizzato lui, è un attimo,
ma uno dei due deve soccombere e allora capisci, magari chiudendo gli
occhi per non vedere quel viso che chiede salvezza.
Raccontava Settimio Arlechino, anche lui partito poco più che diciottenne, al figlio Mario che i corpi, colpiti dalle baionette, volavano in aria
come le “gregne” (fasci di grano), quando col forcone venivano gettate
sopra la trebbia, per poi ricadere giù rantolanti in una pozza di sangue.
E allora guardi piangendo quel nemico, che non è più un tuo nemico, è
un povero ragazzo come te, che hanno mandato al macello, strappandolo
dalle braccia di sua madre.
Ma finalmente arriva il 1918, l’Italia è vittoriosa, si torna a casa, ma
anche tra i Vicenesi qualcuno non fa ritorno come ricorda l’antica lapide
murata alla parete della casa di quel Settimio Arlechino, di cui abbiamo
parlato precedentemente e che ha lasciato sul campo di battaglia il fratello
Adorno.
E sono madri straziate, e sono giovani vedove, e sono orfani, ed è pianto, ed è miseria ancora più nera di quando quegli uomini sono partiti, ma
i Vicenesi, che non si lasciano vincere dalle difficoltà, col vino e col canto
cercano di ritrovare l’allegria.
Ricorda ancora Benito Leoni nel suo libro: Il mondo perduto delle osterie:
«Nel 1918 fu il Dopolavoro dell’Associazione Combattenti di Viceno ad
aprire un’altra osteria, al numero due di via Piave. La gestione fu affidata
alla signora Genoveffa Tantini, vedova del valoroso combattente Agrippino caduto proprio nella battaglia del Piave. Il locale prevedeva solo la mescita del vino e non aveva licenza di cucina: era frequentato maggiormente
dai reduci del conflitto bellico che la sera si riunivano per dare sfogo alla
gioia di essere ritornati dopo quattro lunghi anni d’inferno e, soprattutto,
per rinnovare l’orgoglio di essere tornati vincitori. Ogni sera, quindi, ri-
Lamberto Pistucchia.
94
Fiorella Santi
Viceno: povertà e grande guerra
95
suonavano i canti di guerra iniziando dall’Inno del Piave, per continuare
con le canzoni Monte Grappa, la Montanara e Addio mia bella addio».
Tra i caduti c’era anche Ugo Borri, fratello della mia nonna paterna
Teresa (per tutti Teta), carabiniere della legione di Firenze, morto a venti
anni il 30 novembre 1918 in seguito a broncopolmonite bilaterale nell’Ospedale da campo n. 70 e sepolto a Brunico (Tirolo). Mentre tra i reduci
c’era il mio nonno materno Amedeo Pioli.
Mia madre mi raccontava che era stato ferito alla testa (fatale era stato il
momento in cui si provava ad uscire dalla trincea); trasportato all’ospedale
da campo, fu operato e gli fu messa, così diceva lei, una calotta d’argento.
E lì uno spettacolo straziante: teste fasciate, gambe e braccia amputate
e sangue, sangue; gronda da quei giovani corpi offesi e neanche le bianche
bende riescono ad arrestarlo.
Unico conforto le dolci crocerossine, angeli bianchi che cercano di
sopperire alla lontananza di
quelle mamme, quelle spose,
quelle fidanzate che non tutti
riusciranno a rivedere.
Carabiniere Ugo Borri (classe 1898).
96
Fiorella Santi
Mio nonno fu fortunato e bravi furono i dottori che lo operarono,
così poté rivedere il suo verde colle e riabbracciare moglie e figli. Però,
vista la delicatezza dell’operazione, avrebbe dovuto condurre una vita
regolare, senza fatiche, senza troppi sacrifici, ma non c’era niente da
mettere sotto i denti, pertanto dopo poco tempo morì, anche lui vittima
di quella guerra crudele, quando mia madre, la più piccola, aveva solo
quattro anni.
Mi raccontava sempre che i figli furono riconosciuti come orfani di
guerra e avrebbero potuto studiare a spese dello Stato. Lei, che era una
persona molto intelligente, terminata la terza elementare (all’epoca massimo grado di studio previsto per le donne), chiese di andare nel collegio che
lo Stato metteva a disposizione per gli orfani, ma la madre, nella miseria
più nera, aveva già deciso di mandarla “per serva”. Lei tuttavia, carattere
molto forte, non si arrese e riuscì a trascinare lo zio Ulisse, fratello del padre, fino alla stazione e a farlo salire in treno verso quel collegio che le era
negato, perché voleva almeno vederlo e perché sperava, durante il tragitto,
di convincere lo zio a sostenere la sua causa presso la madre. Ma fu tutto
Viceno: povertà e grande guerra
97
inutile, il suo destino era segnato: la madre, sicuramente con la morte nel
cuore, aveva deciso e a soli nove anni si trovò “servetta”, come la sorella
Irma; il fratello Adelmo fu assegnato allo zio Nicola che non aveva figli
e l’altro fratello, Rinaldo, imparò il mestiere del padre e fece il falegname.
Ma quante altre vedove, quanti altri orfani, quanti mutilati fece quella
“Grande Guerra”, come tutte le guerre.
L’Italia fu vittoriosa e noi oggi dobbiamo ringraziare quegli eroi (non
sono eroi solo quelli scritti sui libri di storia), che hanno dato anni della
loro giovane vita e spesso la vita stessa, affinché noi oggi potessimo vivere
in pace in questa bella Patria, che dovremmo tutti amare un po’ di più: le
sue bianche montagne, i suoi verdi colli, il suo mare azzurro, le sue meravigliose città, ricche di arte e di storia, ma anche i piccoli borghi, dalle
Alpi alla Sicilia, senza escludere nessuno, perché troppi uomini sono morti
perché noi potessimo vivere uniti e sentirci orgogliosi di essere Italiani.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che nelle guerre non ci sono né
vinti, né vincitori, ma solo sconfitti, perché la guerra è una sconfitta: è la
sconfitta della ragione, è la sconfitta dell’amore fraterno, è la sconfitta del
rispetto dell’altro e della capacità di confrontarsi per trovare un accordo, è
la sconfitta dell’uomo e la vittoria della sua bestialità.
I ragazzi del ’99
di Andrea Ricci
Idea ardita (e peraltro condivisa) quella di pensare come un classe ’99, di poter entrare nel suo
essere, nel suo vivere, nel suo presentarsi scaraventato in un teatro lontano, fuori dagli schemi
dell’odierno e del conosciuto. Ringraziamo Andrea Ricci per averlo fatto, per aver provato (con
un linguaggio anche moderno) a volersi immedesimare nelle sensazioni di un giovane alla guerra. Quello che ne consegue sono due lettere a un fantomatico futuro, un amico che non risponde,
ma per il quale il nostro resiste e corre nella speranza di abbracciarlo.
24 ottobre 1917
Caro futuro,
Un ragazzo della classe ‘99: Luigi Mancinetti.
scrivo da “qua”, sono un ragazzo del ’99.
Non sono del vostro secolo, ma per intenderci degli sgoccioli del diciannovesimo di secolo.
Il mio “qua” è difficile da spiegare, impossibile da dimenticare.
È un posto che non ha confini, con mille padroni, ma io obbedisco solo
a me stesso o alla fame e alla sete.
Non sono maggiorenne, ma abile alla guerra, dicono loro.
Non ho avuto nemmeno il tempo di fare l’amore per la prima volta, mi
hanno lanciato così velocemente in questo “qua”, senza preavviso, senza
chiedere, senza la minima possibilità di scelta. Che ad averlo saputo prima,
magari avrei chiesto a Lei di fare l’amore, senza passare per i baci. Non
tanto per mancanza di rispetto, ma per amore.
Siamo tanti, tantissimi. Non ricordo i nomi di nessuno, alcuni nemmeno li capisco.
Quest’Italia di cui tutti parlano è così diversa, nei modi, nei dialetti, nei
luoghi.
102
Andrea Ricci
Chi aveva mai visto le montagne? Chi mi aveva mai parlato di un fiume
di nome Isonzo?
Abituato alla terra, ora mi sento così impacciato con questi “cosi”: armi.
Alcuni, i più fortunati, hanno una Lewis, una mitragliatrice di dodici chili,
io avevo una Beretta M15. Troppo leggera per chi come me era abituato ad
una zappa ed una terra asciutta. Ogni colpo un fremito di fatica, poi diviene
terrore. Premo il grilletto con gli occhi chiusi e le orecchie sorde, senza pensare e senza capire per chi o contro di chi sparo.
La terra lo sapevo che era in parte per me e quando mi domandavo quanto
sarebbe durato, mi tornavano in mente le parole di mio padre: “Ergastulum”.
Fissava la terra con la zappa in mano e diceva “ergastulum” ogni volta che
gli chiedevo quanto ancora avremmo dovuto zappare.
Solo un giorno mi spiegò cosa intendeva. Era un lavoro nei campi; forzato. Nella Roma antica era destinato a chi veniva punito, la loro condanna era
di lavorare a vita senza possibilità di uscirne.
Anche “qua” potrebbe essere un ergastulum. E ogni volta che mi domandavo quando sarebbe finito, mi tornavano ancora in mente le parole di mio
padre: “L’ergastulum non scade, più vivi, più ci resti!”.
Siamo vestiti di paura e armature di fortuna, le orecchie tremano come le
foglie d’autunno e io non posso non pensare di morire senza fare l’amore.
Avevo sempre creduto che fossi veloce come il vento, ma non avevo mai
conosciuto un proiettile. Spero di non doverlo sfidare mai.
Mangiamo pane e tempesta e nei momenti in cui parliamo e riusciamo a
capirci sogniamo che tutto finisca il prima possibile, anche perché questo
tutto ancora non è ben chiaro. Chi ci comanda dice che è necessario, che
dobbiamo essere orgogliosi, che dobbiamo farlo per l’Italia, ancora questo
nome più astratto che reale. Ma si vede che anche lui ha paura e se non fosse
per quelle stelle sulle spalle e qualche anno in più, starebbe qua con noi. Poi
nemmeno so dove si trova l’Austria e che me ne importa del suo erede al
trono e dei serbi. Perché non capiscono che a me, di “qua” e di tutto questo
non importa nulla?
Ho scritto decine di lettere ai miei genitori senza sapere se siano arrivate,
solo mia madre sa leggere, è lei che mi ha insegnato a farlo insieme a scrivere. Tra le cose che scrivo, la ringrazio proprio per questo, perché scrivere, mi
fa dimenticare la fame e perché mi fa sentire più vicino a casa.
Io credo che per il momento stiamo perdendo. Sto smettendo di scrivere
e comincio ad avere fame e sete.
I ragazzi del ‘99
103
Due ragazzi della classe ‘99 in licenza posano al “Pinaro”: Luigi Mancinetti e un commilitone morto
subito dopo la guerra.
104
Andrea Ricci
I ragazzi del ‘99
5 novembre 1918
Carissimo futuro,
sono sempre “qua”, ho un anno in più e i miei occhi hanno visto più di
quanto sanno contenere. Avevo perduto fogli e penna, avevo ceduto alla
fame e alla sete.
Ho imparato a maneggiare la parole guerra, armi e ricordi.
Oggi è un grande giorno. Abbiamo ricacciato lo straniero, il fiume Piave, nostro alleato mormorava a nostro favore. Almeno così ci sembrava.
Abbiamo fame e sete, ma la gioia di essere eroi non ce la fa sentire.
Ho imparato a maneggiare anche questa parola: eroe.
Fino a quel momento non mi era servita, non ne avevo sentito la necessità. Ora invece me la coccolo in gola e la stringo fra le mani.
Chissà se mia madre avrà letto le mie lettere prima a se stessa e poi agli
altri della famiglia, magari cambiando la verità. Nessuna madre dice che
il proprio figlio sta male e la loro forza è anche questa, considerarti eroe
ancor prima che ti ci senti e senza nemmeno conoscere la parola.
Anche la parola Italia comincia a sembrare qualcosa di concreto, ora
conosco un sacco di fiumi, di monti, di uomini.
I più ottimisti tra noi dicono che è quasi finita ed io penso che se tornerò dovrò dire a mio padre che l’ergastulum può finire, ma la paura, quella,
non vuole andarsene.
Ne ho conosciuti molti che ora non conosco più, sono rimasti nei miei
occhi, alcuni tra le mie braccia. Erano padri, alcuni figli, altri entrambi.
Molti non avevano mai fatto l’amore. Anche per questo non so quanto sia
giusto ridere ed essere felice, mi sono così abituato a tutto questo che non
riconosco più il momento di essere felice o essere grato.
Il pensiero vola per forza di cose a casa, come sarò quando tornerò, se
tornerò.
Riuscirò a riconoscere la felicità?
Riuscirò a dormire senza preoccuparmi o sentirmi in pericolo?
Alcuni miei compagni mi chiedono di scrivere al posto loro e lo faccio
volentieri. Non solo scrivo, elaboro i loro pensieri e li riporto a modo mio,
tanto non sanno leggere. Poi, quando chiedo loro di mettere l’indirizzo
rimane tutto sospeso, un silenzio che sa di casa. Alcuni non lo ricordano e
allora le affidiamo al fiume, quel fiume che mormora e che tanto ci è stato
vicino. Magari lui sa, di sicuro sa più di noi. E allora lanciamo fogli sbiaditi
105
sussurrando i nomi dei nostri cari, affidandogli i nostri pensieri.
Mangiamo sempre poco, spesso riusciamo a trovare qualche bottiglia di
vino che insieme al fuoco fa la guardia con noi.
Siamo uomini di vent’anni, eroi mutilati e cani senza gloria.
Non so dire se ne sia valsa la pena, se sia servito a qualcosa, non so
nemmeno bene il perché. So solo quello che è: merda!
Merda calpestata, da calpestare e gettarla lontano.
Caro futuro, non farlo più. Caro futuro, aspettami. Caro futuro, usa la
storia per ricordare e non ricadere in questo errore.
Io credo che per il momento stiamo vincendo. Ma che vuol dire vincere
ad un gioco senza regole, logica e terrore?
Sto smettendo di scrivere e corro verso casa, senza fame e senza sete.
Crocerossine castellesi: Valentina Mancinetti e Angelina Sisti.
Commemorazioni di guerra.
Documenti della “carriera militare” di Attilio Giani.
Attilio Giani e la leva della classe 1899 di Orvieto (datata febbraio 1917).
Intervista a Giuseppa “Peppa” Lolli,
nata il 2 febbraio 1913
di Christian Nardella
La mia vita è stata burrascosa,
però con l’aiuto del Signore so’ ita sempre avanti
Peppa Lolli
Christian – La ringrazio per questa intervista e le chiedo, innanzitutto, chi
le ha parlato della Prima Guerra Mondiale in famiglia, oltre al fatto che lei,
sebbene piccolissima, l’ha vissuta.
“Peppa” – Il mi’ nonno, il babbo del mi’ babbo… eh… poretto, vivevano
insieme, poi lui [mio padre] è partito per la guerra, ed il nonno è rimasto
con la nonna e la moglie sua [mia madre], e quello dopo un anno e mezzo
che è partito è morto.
C – Questo suo padre. E come si chiamava?
P – Gervasio.
C – E quanti anni aveva quando è partito per la guerra?
P – Era giovane, perché quando è partito la mi’ mamma aveva 31 anni…
dunque lui ne aveva 33. Era giovane, la guerra ha portato via la migliore
gioventù. Mio padre poi non era graduato, non era preparato o istruito per
niente per andare in guerra, era pure stato male, c’aveva avuto qualcosa ai
polmoni l’anno avanti, ma non gliel’hanno riconosciuto… no, no, la guerra non ammette malattie!
C – Lei di che anno è?
P – Del ‘13.
C – Allora lei aveva 2 anni quando è cominciata la guerra.
P – E 4 quando sono rimasta orfana.
Gervasio Lolli (classe 1882).
116
Christian Nardella
C – Si ricorda qualcosa di quei giorni?
P – No, del mi’ babbo no. Ricordo che la mi’ mamma piangeva tanto. S’era
saputo che era morto un amico, il marito di un’amica della mi’ mamma, invece era morto anche il babbo.
C – Come gliel’hanno detto?
P – Non mi ricordo… però loro l’hanno saputo dopo un po’, che era morto
il 24 maggio del ‘17. Giusto qualche giorno fa era l’anniversario: 98 anni fa.
C – Quindi lei non ha ricordi personali?
P – Sono stata col mi’ nonno che m’ha fatto da babbo. È stato tanto bravo.
Mi ha voluto tanto tanto bene… così la mi’ mamma è stata vedova per cinque anni e poi si è risposata, perché c’avevano la campagna e non poteva fa’
da sola… poretta.
C – Oltre a suo padre, qualche altro parente è andato in guerra?
P – Sì, uno zio, ma lui, per grazia di Dio, è ritornato. Zio Giovanni.
C – E zio Giovanni le ha raccontato qualcosa della sua esperienza?
P – Niente, niente. So solo che nel 1985 me ne sono andata al sacrario militare di Redipuglia, e ho visto il cimitero e ho pensato “qui avrà camminato
il mi’ babbo, qui sarà morto”, insomma, ho anche pianto tanto, ma, in un
certo senso, mi è stato anche di grande soddisfazione vedere dove era stato.
Però, scendendo tutti gli scalini, dalla A alla Z, e vedendo tutti i fornetti,
quello di Lolli Gervasio non l’ho trovato. Lolli Antonio, Lolli Luigi… ma
Lolli Gervasio no. Se è morto non l’hanno riconosciuto e l’hanno messo
nell’ossaia. I sogni saranno sogni, ma una volta a casa mia dovevo uscire
fuori per andare a prendere la legna per accendere il fuoco e lì c’era un
uomo, che mi tiene il braccio forte, era un mostro, mi ha messo tanta paura e
io gli ho detto “O Dio, chi siete?” e lui mi dice nomi di altri e io gli rispondo
“Io i nomi di questi non li conosco, voi, ditemi, chi siete?”. Fintanto m’ha
stretto forte e mi ha detto “So’ il tu’ babbo!”. Allora io l’ho raccontato a
mia madre e anche lei l’aveva sognato e gli chiedeva come era morto e lui le
aveva risposto “Con una granata nella faccia” ... sono sogni ma certe volte…
insomma se veramente era stato preso da una granata allora era irriconoscibile e si spiega perché l’hanno messo nell’ossaia.
C – Ha avuto paura anche durante la seconda guerra mondiale?
P – Oh mamma mia! Certo! Il mio Amedeo, mio marito, anche lui è stato
chiamato. È stato in guerra per 18 mesi, un anno e mezzo paro paro…
Intervista a Giuseppa “Peppa” Lolli
117
e quando è andato via quello che non ho fatto… quanto ho pianto e ho
pensato “sarà come per la mi’ mamma”, una volta si viveva solo con la campagna, non c’erano altri mestieri, e la campagna, poi, dà da fare, è faticosa,
e allora, quando è partito… eravamo tutte donne, avevo due figlie piccole,
una di 4 anni e una di 7 e una cognata di 16 anni. Poi c’erano la suocera di
47 e io di 29.
C – Tornando alla prima guerra mondiale, voi la sentivate qui nel vostro
territorio oppure era “distante”?
P – Di questo non ricordo nulla… ero troppo piccola.
C – E in generale, sempre sulla guerra, qual è stata la cosa più brutta in assoluto che le ha dato pensiero?
P – La solitudine no… era il “da fare” che mi preoccupava perché chi c’ha
la campagna, quando si rimane soli, non lo può raccontare… quando manca
un uomo manca tutto! Quando ero piccola non soffrivo perché non capivo,
ma con l’altra [di guerra] sono calata 10 kg in pochi giorni. Anzi ho pianto
anche per la prima, perché non avevo più il mi’ babbo, ho pianto quando
la mamma s’è risposata. C’avevo 9 anni e un non so che di gelosia m’è nato
dentro, perché prima io dormivo con lei e poi m’ha mandato nel mio lettino,
nella camera coi nonni.
C – Durante la guerra ci si aiutava tra le famiglie?
P – Una volta ci si aiutava, mica si chiudeva la porta a chiave! Le case erano
tutte aperte e noi eravamo “porette” allo stesso livello. Allora c’era più…
fratellanza, ecco, senza nessun complimento, perché tutti avevamo bisogno
l’uno dell’altro. C’era più umanità e la povertà tante volte rende anche più
buoni.
C – Le chiedo una riflessione sulla guerra.
P – Eh, che posso dire… che Dio illumini le persone che comandano, che
Dio ce guardi a fa’ ammazza tutta ‘sta gente, e fa’ distrugge i paesi, le città… io sono tanto religiosa e non ammetto certe cose.
C – La religione l’ha aiutata in quei momenti?
P – Tanto, sennò sarei morta di crepacuore.
C – Cosa faceva? Il rosario? Andava in chiesa?
P – Il rosario sì, e andavo in chiesa e anche se stavo sempre al campo, la
chiesa non l’ho abbandonata mai. Ora sono 6 o 7 anni che non esco ma
per fortuna il prete ogni tanto mi viene a portare la santa comunione.
118
Christian Nardella
C – Ha figli?
P – Ne ho due. Sono vecchie pure loro ormai… una, che sta a Orvieto, ha
finito 80 anni, l’altra sta a Capalbio e ne ha 77. Con le mie figlie abbiamo
sofferto insieme la seconda guerra perché c’era tanta povertà.
C – Un esempio di “povertà”. Cosa vi mancava, da mangiare o i soldi?
P – Da mangiare non ci mancava; i soldi sì, non avevamo niente, mica
c’era la pensione!
C – Quindi tutto ciò che avevate era prodotto da voi?
P – Sì, dal campo: patate, fagioli e si vendeva il vino, che era la nostra
principale produzione, e qualche quintale di grano. C’era la povertà perché
non c’era veramente un soldo da spende’. Adesso la gioventù non può
arrivare a capire cosa è stato il mondo di prima, nessuno lo potrà capire,
quelli che sono nati nell’abbondanza. Da un pezzo che so’ nata e le cose
le ho provate tutte, al tempo mio non c’era la luce, non c’era l’acqua, non
c’era niente, neanche la televisione… quella è arrivata dopo. Mio suocero
andava al “dopolavoro” dove c’era la radio per sentire le notizie della guerra, quella in Etiopia, e poi ce le riportava, ecco le notizie del mondo! Qui
a Castello in tutto c’era solo quella radio.
C – Quindi voi non sapevate altro?
P – Niente!
C – E come si viveva senza sapere?
P – Male, ma eravamo abituati, non avevamo conosciuto niente di meglio
di quello. Ora poi, con i telefonini - chi l’ha inventati Dio gli dia del bene
– in qualunque posto vi trovate, se avete bisogno, chiedete aiuto.
Quando c’era il mio Amedeo in guerra non sapevo nulla, ci scrivevamo ma
chissà quando arrivavano le lettere.
C – Anche suo padre, durante la prima guerra, scriveva a sua madre?
P – Qualche cartolina. E quando arrivavano si provavano insieme gioia e
tristezza perché prima di tutto bisognava vedere la data, già quanti giorni
erano passati da quando l’aveva scritta perché nel frattempo poteva essere
capitato qualcosa. Mi ricordo che la mi’ mamma mi diceva che il babbo
scriveva “ tenghimela conto la mi’ cara Peppina”. A me mi doveva tenere
da conto, perché la mi’ mamma c’aveva pure un’altra figlia del ‘10. Ma è
morta a sei anni e la mamma ha sofferto per la figlia e per il marito. La vita
era dura, la fatica del campo e basta c’era.
Intervista a Giuseppa “Peppa” Lolli
119
C – Cosa ha fatto quando ha compiuto 100 anni?
P – Sono stata in chiesa, hanno fatto una bella messa, cantata, poi so’ ita a
pranzo alla Pergoletta con tutti i parenti.
C – Certo in 100 anni deve averne viste di cose…
P – Tante: carestia, miseria (tanta), terremoti, la guerra… la guerra, maledetto chi la fa. Sarebbe bella la pace, non costa niente e sarebbe tanto
di valore. Poi uno perde i genitori, i parenti… so’ sincera io ho sofferto
parecchio per la morte del mi’ babbo! C’era una vicina, una ragazza, che
mi diceva sempre “tu sei tutta il tu’ babbo in persona!”…
C – Un’ultima curiosità. Quando era piccola, diciamo circa 4, 5 anni, quali
giochi faceva?
P – Ma io li giochi… ero una ragazzetta tanto timida. Più che altro facevo
i “servizietti” alle persone, andavo a prendergli la roba alla bottega, la pasta o la conserva, tanto non c’era il pericolo a quei tempi che ti prendesse
sotto una macchina o una bicicletta.
C – Come era Castel Viscardo a quei tempi?
P – C’era tanta gente, parecchia. Ora, invece, Castello è vuoto! C’erano le
famiglie con tanti figli. Tutti c’avevano almeno sei figli… e oggi i figli non
si fanno più. Sposa’ non ce se sposa, stanno tutti accoppiati e se si sposano
i figli pare un peccato a farli! Il mondo così però finisce! Certo una volta i
giovani non studiavano…
C – Lei ha studiato un po’?
P – Io ho fatto la quarta elementare e nel ‘22 ho finito. Però ero una fija
brava, intelligente, io e un certo Ettore Catalucci, c’avevamo un banchetto
e ci mettevamo sempre in prima fila, io e lui… anche se ero fija certe cose
rimangono incise. E poi a me la scuola piaceva, una volta la maestra venne
dal mi’ nonno a casa e gli disse “Fate studiare la Lolli, fatela studiare che
merita”. Solamente che per studiare bisognava andare a Torino, lontano e
io lì non avevo parenti. Una di qui che ha studiato c’è stata, ma lei c’aveva
uno zio a Torino. E poi il mi’ nonno per quanto mi voleva bene non si voleva separare. Veramente due volte è venuta la maestra giù a casa… e poi
a me piaceva più di tutto la matematica, c’ho un quaderno pieno pieno…
tutti 10!
Un ritrovamento inaspettato sul fronte di guerra
di Franco Pasqualetti
Durante la ritirata di Caporetto, mio nonno materno Secondo Bartoccini, nel marasma e nella confusione generata dal difficile momento, trovò
per caso un quadretto nel mezzo di una strada.
Lo raccolse e lo custodì gelosamente fino alla fine della guerra. Esso
rappresentava un conforto in quel difficile momento anche perché “diceva” di contenere un: Fleurs de Béthanie posées sur le Saint-Sépulcre (Fiori di
Betania deposti sul Santo Sepolcro).
Preservarlo alleggerì il peso di quanto aveva vissuto, di quanto avrebbe
voluto e non aveva potuto fare, del ricordo di una sua figlia scomparsa
mentre lui era al fronte, una bambina alla quale, vista la distanza da casa,
non aveva dato neanche l’ultimo saluto.
Una volta ritornato a Castel Viscardo lo regalò alla figlia Negrina che, a
sua volta, lo conservò per tutta la sua vita. Quando questa morì, lo prese
la figlia Annunziata Giuliani che ancora lo mantiene, seppur con il vetro
rotto, come una reliquia.
I caduti del Comune di Castel Viscardo
Analisi di una ricerca
di Mauro Mancinetti
Nazzareno Tomassi (classe 1883).
Nonostante sia da anni assente dal mio paese natio, Castel Viscardo, vi
devo confidare che con la testa e con il cuore spesso mi capita di tornare
ai luoghi della mia infanzia, lasciati per inseguire un’opportunità professionale ben 43 anni fa, senza pensare, all’epoca, che mi sarei definitivamente
stabilito a oltre 400 chilometri di distanza da Castello.
Così, forse mosso da una sana nostalgia, negli ultimi anni ho cercato di
mantenermi aggiornato sulle pubblicazioni e sulle manifestazioni di Castello, chiedendo sempre copia di quanto fruibile al cugino Paolo, che nel
paese dimora durante una parte del periodo estivo.
In particolar modo quest’anno, ricorrendo il 24 maggio il centenario
dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, ho chiesto se,
anche per questa importante commemorazione, fossero previste iniziative
di qualche tipo a Castel Viscardo. Devo dire che abitando nella “Marca
Trevigiana” da 35 anni, vicino ai luoghi teatro delle battaglie della Grande
Guerra, ho notato già a partire dal 2014 la necessità di celebrare, ma ancor
prima di ricordare, i nostri caduti, da parte di diverse associazioni locali,
con la pubblicazione di libri, l’allestimento di mostre, l’organizzazione di
convegni e la proposta di conferenze, filmati e testimonianze.
Purtroppo, non giungendomi conferme immediate di eventi “castellesi”
a riguardo, ma mosso dalla volontà di rendere onore ai caduti della mia
terra di origine, ho iniziato una ricerca di notizie per puro interesse personale, iniziando proprio dai caduti elencati nel monumento sito in paese
ed in quelli di Viceno e Monterubiaglio, consultando poi l’Albo d’Oro dei
caduti della Prima Guerra mondiale ho trovato le notizie per la consultazione della banca dati del Ministero dei luoghi di sepoltura.
La ricerca è continuata consultando gli archivi dell’Istituto Nastro Az-
124
Mauro Mancinetti
zurro per rintracciare i decorati al valor militare e le relative motivazioni.
Sono seguiti poi, approfondimenti presso associazioni storico culturali ed
archivi privati nell’intento di trovare e poi visitare personalmente gli ossari,
i cimiteri militari ed i sacrari costruiti nelle zone teatro delle battaglie e così
è stato per la zona del Piave con il Sacrario militare di Fagarè della Battaglia e il Sacrario del Montello, l’Ossario Italiano del Monte Grappa, l’Altopiano di Asiago, il Carso ed il Sacrario di Redipuglia oltre alle dolomiti
Venete e Trentine. Per quanto riguarda i caduti all’estero, ho rintracciato le
località dei cimiteri, la posizione della tomba riferita alla zona del cimitero,
la fila ed il numero. Sono riuscito ad elaborare un elenco delle strutture
sanitarie con la loro ubicazione ed i riassunti storici dei corpi militari che
hanno combattuto negli anni della Grande Guerra, riferendo gli avvenimenti alle date di morte.
Con l’incedere delle notizie trovate, la ricerca ha acquisito un significato
particolare: trasformare tutto il materiale trovato in un evento storico da
ricordare (come infatti riportato in uno dei manifesti dell’Associazione
Nazionale del Fante, si legge NON DIMENTICATECI!).
Quanto appreso nel corso delle ricerche non ha nessun’altra finalità se
non ricordarci e ricordare alle generazioni future quanto accaduto, perché
non si possa mai più ripetere, cercando di raccontarlo nella maniera più
obiettiva possibile, lungi dal voler commentare, riscrivere o valutare fatti,
pensieri e decisioni storiche più o meno assurde.
Per pura casualità ho avuto il privilegio di poter condividere con Voi tutti
le mie ricerche, quello che avevo preso come un serio passatempo, grazie
all’intereresse del dott. Giuliani, prende una forma più definita e completa.
Permettetemi, in conclusione, un pensiero al mio papà Antonio ed allo
zio Luigi, “ragazzo del ‘99”, protagonisti loro malgrado delle due guerre
mondiali. Volutamente non ricordavano mai quanto vissuto, se non pochi
piccoli momenti lieti di vita comunitaria. In cuor loro sono sicuro non
volessero il ripetersi di una guerra, ma in questi giorni sto comprendendo
come mai la loro memoria si rifiutasse di ricordare, o meglio si rifiutasse di
verbalizzare i ricordi. Prendo, con riconoscenza il testimone. Ora, più che
mai, ritengo spetti a noi onorare, rispettare e ricordare i caduti.
Concludo citando quanto riportato, a lettere cubitali, al Sacrario di
Fagarè della Battaglia, con l’auspicio che negli anni, questo sia sempre il
nostro atteggiamento verso chi ha dato tutta la propria vita per ideali di
libertà: “IL TEMPO NON CANCELLERÀ, RICONOSCENZA E MEMORIA NEI CUORI”.
I caduti del Comune di Castel Viscardo
125
ARLECCHINO Adorno di Mariano. Soldato 149° reggimento fanteria,
nato il 14 settembre 1894 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 16 giugno 1916 sull’altopiano di Asiago per ferite riportate in
combattimento.
BARTOLINI Nazzareno di Domenico. Soldato 144° reggimento fanteria, nato
il 17 maggio 1889 a Castel Giorgio, distretto militare di Orvieto, morto il 23
novembre 1918 nell’ospedale da campo n. 0153 per malattia.
BARBABELLA Giovanni. Soldato 92° reggimento fanteria , nato il 12
gennaio 1890 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 2
aprile 1916 sul monte Cristallo per ferite riportate in combattimento.
BASILI Domenico di Nicola. Soldato 1° reggimento genio, nato il 22 maggio 1882 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 9 dicembre 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
BERTOLINI Enrico di Nazzareno. Caporale 206° reggimento fanteria,
nato il 21 dicembre 1887 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 10 giugno 1916 nell’ospedale da campo n. 004 per ferite riportate
in combattimento. Sepolto nel Sacraio Militare di Asiago.
BONANNI Luigi di Giuseppe. Soldato 196° battaglione M.T., nato il 7
marzo 1878 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 23
dicembre 1918 a Sorano per malattia.
BORRI Aroldo di Cesare. Soldato 97° reggimento fanteria, nato il 23 settembre 1897 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 26
marzo 1918 in prigionia per malattia.
BORRI Artemo di Cesare. Caporale maggiore 650° compagnia mitraglieri,
nato il 21 gennaio 1895 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
disperso nell’ottobre 1917 in combattimento nel ripiegamento al Piave.
BORRI Giovanni di Odoardo. Caporale 60° reggimento fanteria, nato il 2
luglio 1893 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il 2
agosto 1915 sul monte Col di Lana in combattimento.
BORRI Giuseppe di Nazzareno. Soldato 4° reggimento bersaglieri, nato il
28 dicembre 1883 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
1° gennaio 1918 in prigionia per malattia.
BORRI Ugo di Frigene. Carabiniere legione CC.RR. di Firenze, nato il 12
126
Mauro Mancinetti
aprile 1898 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 30
novembre 1918 nell’ospedaletto da campo n.70 per malattia.
BRACACCIA Pasquale di Ermemegildo. Soldato 130° reggimento fanteria,
nato il 7 gennaio 1890 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 27 novembre 1915 sul monte San Michele per ferite riportate in
combattimento.
I caduti del Comune di Castel Viscardo
127
CECCARINI Adelio di Alessandro. Soldato 60° reggimento fanteria,
nato il 20 aprile 1891 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
disperso il 23 ottobre 1915 sul monte Col di Lana in combattimento.
CECCARINI Giovanni di Alessandro. Soldato battaglione tracomatosi,
nato il 17 luglio 1889 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 5 ottobre 1918 a Roma per malattia.
BRACHINO Orlindo di Francesco. Soldato 138° reggimento fanteria, nato
il 18 gennaio 1896 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto
il 19 novembre 1918 in Albania per malattia.
CECCARINI Paolo di Tommaso. Soldato 60° reggimento fanteria, nato
a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il 10 novembre
1915 sul monte Col di Lana in combattimento.
BRACHINO Raffaele di Francesco. Soldato 630° compagnia mitraglieri,
nato il 22 novembre 1882 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
disperso il 4 settembre 1917 sul Carso in combattimento.
CECCARINI Quinto di Tommaso. Soldato 87° reggimento fanteria, nato
il 1° maggio 1895 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il 24 ottobre 1917 nella conca di Plezzo in combattimento.
BURIONE Enrico di Gioacchino. Soldato 214° reggimento fanteria, nato
il 21 settembre 1893 ad Orvieto, distretto militare di Orvieto, morto l’11
giugno 1917 sul monte Forno per ferite riportate in combattimento.
CECCHITELLI Felice di Filippo. Sergente 20° reggimento fanteria, nato
il 7 maggio 1885 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
16 settembre 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
CALANDRELLI Mario di Eugenio. Caporale 3° reggimento bersaglieri,
nato il 18 febbraio 1890 a Castel
Viscardo, distretto militare di
Orvieto, morto il 9 ottobre 1916
sul monte Colbricon per ferite
riportate in combattimento.
CHIASSO Nazzareno di Giuseppe. Soldato 87° reggimento fanteria, nato
il 26 febbraio 1887 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 10 settembre 1916 a Torrita per malattia.
CALANDRELLI Ottavio di
Giuseppe. Soldato 6° reggimento bersaglieri, nato il 22 gennaio
1898 a Castel Viscardo, distretto
militare di Orvieto, morto il 13
settembre 1918 in prigionia per
malattia.
CAPORALINI Giuseppe di Giovanni. Soldato 7° reggimento
artiglieria da fortezza, nato il 13
settembre 1891 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto l’11 luglio 1918 in prigionia per malattia.
COPPETTA Antonio di Alessandro. Soldato 21° reggimento bersaglieri,
nato il 23 febbraio 1885 ad Orvieto, distretto militare di Orvieto, morto
il 7 luglio 1917 nella 84° sezione di sanità per ferite riportate in combattimento.
CRUDELINI Francesco di Luigi. Soldato 59° reggimento fanteria, nato
il 13 marzo 1889 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, scomparso in prigionia.
FARAONI Ferruccio di Luigi. Soldato 213° reggimento fanteria, nato il 3
dicembre 1895 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso
sull’altipiano di Asiago in combattimento.
FEMMINELLI Giuseppe di Leonardo. Soldato 129° reggimento fanteria,
nato il 17 febbraio 1887 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 25 maggio 1917 nell’ospedale da campo n. 219 per ferite riportate in combattimento.
FOGLIA Giuseppe di Giovanni. Decorato di Medaglia di Bronzo al
128
Mauro Mancinetti
I caduti del Comune di Castel Viscardo
129
V.M.- 1919- Tenente di complemento 60° reggimento fanteria, nato il 22
dicembre 1897 a Stoppiana, distretto militare di Vercelli, morto il 15 giugno 1918 sul Monte Grappa per ferite riportate in combattimento.
LUCATTELLI Olinto di Oreste. Soldato 13° reggimento fanteria, nato il
13 ottobre 1890 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
23 novembre 1917 sul Piave per ferite riportate in combattimento
FRITTELLI Giovanni. Soldato 92° reggimento fanteria, nato il 12 gennaio 1890 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 2 aprile
1916 su quota 1934 (Col Caneva) per ferite riportate in combattimento.
MAGISTRATI Nazzareno di Rinaldo. Soldato 33° reggimento artiglieria
da campagna, nato il 13 febbraio 1895 ad Orvieto, distretto miltare di
Orvieto, morto il 7 giugno 1917 sul monte Col di Lana per infortunio per
fatto di guerra.
FROSONI Crispino di Lamberto. Soldato 126° reggimento fanteria, nato il
28 dicembre 1892 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
1° novembre 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
GIULIANI Felice di Ernesto. Soldato 207° battaglione M.T. , nato il 4 settembre 1880 a Castel Viscardo, distretti militare di Orvieto, morto il 16
novembre 1915 a Schio per malattia.
GIULIANI Vittorio di Ermenegildo. Soldato 207° battaglione M.T., nato il
3 giugno 1878 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 9
ottobre 1918 nell’ospedaletto da campo n. 74 per infortunio per fatto di
guerra.
LEONI Egisto di Antonio. Soldato 3 reggimento bersaglieri, nato il 13 dicembre 1897 a Castel Viscardo , distretto militare di Orvieto, morto l’11
luglio 1917 sul monte Colbricon per ferite riportate in combattimento.
LEONI Gino di Alessandro. Soldato 147° reggimento fanteria , nato il 12
maggio 1893 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 24
agosto 1915 nella 30° sezione di sanità per ferite riportate in combattimento.
LIVI Settimio di Luigi. Soldato 226° reggimento fanteria, nato il 13 aprile
1894 a Castel Viscardo , distretto militare di Orvieto, disperso il 4 settembre 1917 sul Carso in combattimento.
LOLLI Gervasio di Ruggero. Soldato 1° reggimento genio, nato il 19 maggio
1882 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 24 maggio
1917 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
LOLLI Luigi di Antonio. Decorato di Croce di guerra al V.M. – 1923 Soldato 21° reggimento fanteria, nato il 29 aprile 1887 a Castel Viscardo,
distretto militare di Orvieto, morto il 4 luglio 1918 in prigionia per malattia.
MANCINI Martino di Giuseppe. Soldato XXIX reparto d’assalto, nato il 30
novembre 1886 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il
23 marzo 1918 in Val Lagarina in combattimento.
MONTANELLI Felice di Pietro. Soldato 32° reggimento fanteria, nato il
23 luglio 1884 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il
16 maggio 1917 sul monte Vodice in combattimento.
MORETTI Luigi di Domenico. Soldato 259° reggimento fanteria, nato il
19 maggio 1887 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
31 dicembre 1917 sul treno attrezzato n. 4 per ferite riportate in combattimento.
MUZI Antonio di Venanzio. Soldato 3° reggimento bersaglieri, nato il 26
gennaio 1885 ad Orvieto, distretto militare di Orvieto, morto il 10 ottobre
1916 sul monte Colbricon per ferite riportate in combattimento.
PAPINI Enrico di Evaristo. Decorato di Medaglia di Bronzo al V.M.
– 1913 - Caporale maggiore 80° compagnia presidiaria, nato il 26 aprile
1890 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 17 novembre 1918 nell’ospedaletto da campo n. 74 per malattia.
PASQUALETTI Quirino di Fortunato. Soldato 40° reggimento fanteria,
nato il 30 aprile 1899 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 15 dicembre 1918 a Forlì per malattia.
PATRIZI Giacomo di Baldassarre. Soldato 69° reggimento fanteria, nato il
10 settembre 1882 a Cstel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso
il 20 ottobre 1916 in Vallarsa in combattimento.
PICCHIO Amedeo di Vincenzo. Soldato 213° reggimento fanteria, nato il
6 aprile 1892 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il 27
giugno 1916 sull’altopiano di Asiago in combattimento.
130
Mauro Mancinetti
PICCHIO Sabatino di Francesco. Soldato 3° reggimento bersaglieri, nato il
12 febbraio 1883 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto
il 13 dicembre 1916 sul monte Marmolada in seguito a caduta di valanga.
PIETRONI Giovanni Battista di Oreste. Soldato 10° reggimento fanteria,
nato il 22 gennaio 1889 a Castel Viscardo, distretti militare di Orvieto,
disperso il 26 marzo 1917 sul Carso in combattimento.
PISTUCCHIA Silvio di David. Soldato 125° reggimento fanteria, nato il
20 novembre 1893 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto
il 16 giugno 1915 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento.
I caduti del Comune di Castel Viscardo
131
to il 15 giugno 1918 sul Piave per ferite riportate in combattimento.
TANTINI Agrippino. Soldato 117° reggimento fanteria, nato il 17 giugno
1885 a Monte Gabbione, distretto militare di Orvieto, morto il 21 agosto
1917 nella 33ª sezione di sanità per ferite riportate in combattimento.
TASCINI Giorgio di Sante. Soldato 263° reggimento fanteria, nato il 16
maggio 1897 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 19
ottobre 1918 nell’ospedale da campo n. 100 per malattia.
POLVERINI Nazzareno di Pancrazio. Soldato 18° reggimento fanteria,
nato il 20 maggio 1884 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 29 settembre 1916 sul campo per ferite riportate in combattimento.
RAFFAELLI Anastasio di Francesco. Soldato 3° reggimento bersaglieri,
nato il 21 aprile 1896 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 13 dicembre 1916 sul monte Colbricon in seguito a caduta di valanga.
ROSELLI Nazzareno di Angelo. Soldato 35° colonna carreggio e salmerie,
nato il 25 novembre 1889 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto,
morto il 24 ottobre 1918 nell’ospedale da campo n. 167 per malattia.
SANTI Melchiorre di Luigi. Soldato 3° reggimento bersaglieri, nato il 26
aprile 1889 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 27
dicembre 1917 in prigionia.
STELLA Sergio di Silvestro. Soldato 88° reggimento fanteria, nato il 29
aprile 1899 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 21
gennaio 1919 a Roma per malattia.
STERPA Paolo di Giuseppe. Soldato 51° reggimento fanteria, nato il 28 luglio 1893 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 3 giugno
1916 sul monte Col di Lana per ferite riportate in combattimento.
SUGARONI Antonio di Francesco. Soldato 119° reggimento fanteria, nato
il 27 agosto 1899 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il
19 gennaio 1918 nell’ospedale da campo n. 085 per malattia.
SUGARONI Lorenzo di Domenico. Soldato 201° reggimento fanteria, nato
il 26 novembre 1898 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, mor-
TASCINI Luigi di Teodoro. Soldato 1° reggimento genio, nato il 30 giugno
1897 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 24 maggio
1917 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento.
TIRACORRENDO Crispino di Fulgenzio. Soldato 76° reggimento fanteria, nato il 2 novembre 1887 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 17 settembre 1916 nell’ambulanza chirurgica d’armata n. 4 per
ferite riportate in combattimento.
VIOLINI Giulio di Sabatino. Soldato 213° reggimento fanteria, nato il 1°
febbraio 1896 a Castel Viscardo, distretto militare di Orvieto, disperso il
27 giugno 1916 sull’altopiano di Asiago in combattimento.
132
Mauro Mancinetti
I caduti del Comune di Castel Viscardo
133
ZANETTI Carlo di Amedeo. Decorato di Medaglia d’Argento al V.M.1919- Sergente 263° reggimento fanteria, nato il 9 marzo 1892 a Castel
Viscardo, distretto militare di Orvieto, morto il 22 novembre 1917 sul
monte Grappa per ferite riportate in combattimento.
OSSARIO ITALIANO DEL MONTE GRAPPA
Vi sono custoditi i resti mortali di 12.615 caduti italiani, di cui 10.332 ignoti. I loculi sono distribuiti
in cinque gironi concentrici, degradanti a tronco di cono, dell’altezza ciascuno di 4 metri. I soldati noti
sono in urne singole, distribuite in ordine alfabetico, coperte da una lastra di bronzo con il nome e le
decorazioni. I caduti ignoti sono in urne comuni più grandi, che si alternano alle piccole urne singole. Tra
il 4° e 5° anello si trova la tomba del Maresciallo d’Italia Gaetano Giardino, che prima di morire, nel
1935, aveva espresso il desiderio di essere seppellito tra i suoi soldati della “Armata del Grappa”. Una
grande scalinata composta da cinque rampe di scalini, porta sulla cima del monte e del sacrario, dove si
erge il santuario della Madonnina del Grappa.
Rispetto a quanto ritrovato c’è anche da aggiungere come Giuseppe
Frosoni, Silvano Tiracorrendo e Antonio Tomassini (pur comparendo nei
vari monumenti eretti nel Comune) non sono tra gli inseriti nell’Albo d’Oro - Umbria (vol. XXV); al contrario Antonio Coppetta, Giovanni Frittelli,
Nazzareno Magistrati, Antonio Muzi, Enrico Burioni e Agrippino Tantini
non sono tra gli elencati nel monumento ai caduti del capoluogo.
134
Mauro Mancinetti
I caduti del Comune di Castel Viscardo
135
Medagliati e motivazioni
(dalla sezione Anagrafica dell’Istituto Nastro Azzurro)
FOGLIA Giuseppe, da Stroppiana (Novara), tenente complemento 60 reggimento fanteria. – Ricevuto l’ordine dal proprio comandante di battaglione di aiutare un reparto contiguo per la riconquista di una postazione
fortemente difesa dal nemico, si slanciava all’attacco alla testa del proprio
plotone, mettendo piede tra i primi nella trincea riconquistata: costante
esempio ai dipendenti per ardire, e sprezzo del pericolo – Monte Tomba,
22 novembre 1917.
LOLLI Luigi, da Castel Viscardo (Perugia), soldato 21 reggimento fanteria, n. 10919 matricola. – Per l’esempio di calma e di coraggio dato ai compagni, rimanendo fermo al posto di combattimento, noncurante del fuoco
e dell’avvicinarsi di reparti nemici. – Camporovere, 18-19 giugno 1917.
PAPINI Enrico, da Castel Viscardo (Perugia), caporale maggiore, n. 21670
69 matricola. – Rimasto senza comandante di plotone, di fronte ad una
casa dove eransi trincerati degli arabi, trascinò la sua squadra all’attacco,
impossessandosi della casa. – Sciara Zauia, 26 ottobre 1911.
TASCINI Domenico, da Castel Viscardo (Perugia), soldato 33 reggimento
artiglieria campagna, n. 367 matricola. – Trovandosi a riposo per dolorose
contusioni riportate precedentemente in combattimento, si offriva spontaneamente per prendere parte all’azione di fuoco della sua batteria. Mercè
indomita forza di volontà e un cosciente spirito di abnegazione, seppe
sopportare il dolore e rimanere al suo posto costantemente, assolvendo il
suo compito con serena e sicura precisione. – Monte Oro, 2 luglio 1918.
(Medaglia di Bronzo al Valor Militare – 1920)
SACRARIO MILITARE DEL MONTELLO
È situato sul Colesel delle Zorle a circa due chilometri dall’abitato di Nervesa della Battaglia. All’interno del Sacrario riposano i resti di 9.325 soldati, di cui 3.226 ignoti riuniti in grandi loculi collettivi su
cui sono scolpiti epigrafi di Gabriele D’Annunzio e del poeta trevigiano Carlo Moretti.
TOMMASI Arcangelo, da Castel Viscardo (Perugia), carabiniere sezione
carabinieri reali, n. 19716 matricola. Ardito e sprezzante del pericolo, concorreva a condurre squadre di portaferiti in una zona fortemente battuta
dal fuoco avversario. L’indomani, si offriva ad accompagnare un ufficiale
dinanzi alla trincea nemica per invitarne i difensori alla resa, e alcuni giorni
dopo accorreva tra i primi in un luogo colpito per salvare i superstiti, mentre l’artiglieria avversaria seguitava a battere intensamente la stessa zona.
– Peuma, 6-18 agosto 1916. (Medaglia di Bronzo – 1917)
Mauro Mancinetti
136
TOMMASI Arcangelo, da Castel Viscardo (Perugia), carabiniere addetto comando reggimento fanteria, n. 19716 matricola. – Volontariamente
portatosi, sotto un intenso e violento bombardamento nemico, a liberare
militari rimasti sepolti per lo scoppio di una granata avversaria, da solo
riusciva a disseppellire alcuni ufficiali e soldati, continuando nell’opera
pietosa, finché venne colpito egli stesso. Fattosi medicare al posto di medicazione, ritornava prontamente a prestar servizio. – Vertojbica, 10-13
ottobre 1916 (Medaglia di Argento – 1917)1.
TOMMASI Arcangelo, da Castel Viscardo (Perugia), vice brigadiere II sezione mobilitata carabinieri reali, n. 19716 matricola. – Durante quattro
giorni di combattimento attraversava più volte zone violentemente battute
dalle artiglierie avversarie per comunicare ordini ed assumere informazioni sulla situazione dei reparti, essendo di valido aiuto al comando della
brigata cui era addetto. Col suo energico intervento ristabiliva, in un momento della lotta, la calma fra i soldati resi titubanti dalla perdita dei propri
ufficiali. – Basso Piave, 15-19 giugno 1918. (Medaglia di Bronzo – 1919)
ZANETTI Carlo, da Castel Viscardo (Perugia), sergente 263 reggimento
fanteria (M.M.), n. 25321 matricola. – Durante tutti gli attacchi sferrati dal
battaglione per la conquista di una posizione, fu di esempio alla compagnia, trascinandola con mirabile slancio all’assalto. Raggiunte per primo
le posizioni nemiche, vi cadeva colpito a morte. – Monte Pertica, 22-23
novembre 1917.
A. Lo Presti, Il tempo realizzato: 2 giugno 2015: Viceno e l’intitolazione della via alla Grande
Guerra (1915-2015), (Miscellanea Orvietana 14), Orvieto 2015, p. 15.
1
I caduti del Comune di Castel Viscardo
137
Statistiche dei Caduti del Comune di Castel Viscardo nella Grande
Guerra (1915-1918)
Il caduto più giovane : SUGARONI Antonio di Francesco a. 18
Il caduto più vecchio : BONANNI Luigi di Giuseppe a. 40
Il primo caduto: PISTUCCHIA Silvio di David m. 16 giugno 1915
L’ultimo caduto: STELLA Sergio di Silvestro m. 21 gennaio 1919
ARMA DI APPARTENENZA
FANTERIA: n. 42
GENIO: n. 3
BERSAGLIERI: n. 8
BATTAGLIONE M.T. (Milizia Territoriale): n. 3
COMPAGNIA MITRAGLIERI: n. 2
CARABINIERI: n. 1
ARTIGLIERIA: n. 1
ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA: n. 1
BATTAGLIONE TRACOMATOSI: n. 1
REPARTI D’ASSALTO: n. 1
COMPAGNIA PRESIDIARIA: n. 1
COLONNA CARARREGI E SALMERIA: n. 1
REPARTI
FANTERIA Brigata e Reggimento : TARANTO 144° - TRAPANI 149° BASILICATA 92° - LAMBRO 206° - GENOVA 97° - CALABRIA 59° - 60°
PERUGIA 129° - 130° - BARLETTA 138° - ARNO 213° - 214° - FRIULI
87° - 88° - BRESCIA 20° - SPEZIA 125° - 126° - CALTANISSETTA 147°
- AREZZO 226° - CREMONA 21° - PINEROLO 13° - SIENA 32° - MURGE 259° - BOLOGNA 40° - ANCONA 69° - REGINA 10° - ACQUI 18°
- ALPI 51° - EMILIA 119° - SESIA 201° - PADOVA 117° - GAETA 263°
- NAPOLI 76°
GENIO: 1° Reggimento
BERSAGLIERI: 3° - 4° - 6° - 21° Reggimento
BATTAGLIONE M.T. (Milizia Territoriale): n. 196° - 207°.
COMPAGNIA MITRAGLIERI: n. 650° - 630°.
CARABINIERI: Legione CC.RR. di Firenze.
ARTIGLIERIA: 7° Reggimento
ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA: 33° Reggimento
138
Mauro Mancinetti
REPARTO D’ASSALTO: n. XXIX
COMPAGNIA PRESIDIARIA: 80ª
COLONNA CARARREGI E SALMERIA: 35ª
CAUSE DI MORTE
Ferite riportate in combattimento: n. 27
Ospedale da campo n. 0153 –167 – 085 – 100 per malattia: n. 4
Ospedale da campo n. 004 –219 per ferite riportate in combattimento: n. 2
Sezione di sanità 84ª - 30ª - 33ª per ferite riportate in combattimento: n. 3
Ospedaletto da campo n. 74 – 70 per infortunio per fatto di guerra e malattia: n. 3
Ambulanza chirurgica d’armata n. 4 per ferite riportate in combattimento. N. 1
Treno attrezzato n. 4 per ferite riportate in combattimento: n. 1
Malattia: n. 6
Prigionia per malattia: n. 5
Prigionia scomparso: n. 1
Prigionia: n. 1
All’estero per malattia: n. 1
Infortunio per fatto di guerra: n. 1
Disperso in combattimento: n. 7
Per caduta di valanghe: n. 2
Valerio Greci.
Erminio Bernasconi (classe 1898).
Valentino Frosoni (detto Valente) (classe 1896).
Colombo Rotili (classe 1897).
Tracce...
Cittadini di Castel Viscardo morti in guerra e segnalati nei registri
dei decessi dello Stato Civile (Seconda parte)
di Luca Giuliani
Soldato Arcangelo BIONDI del fu Nicodemo e di Rosa Purgatorio, nato e
residente a Monterubiaglio morto all’età di 23 anni all’Ospedale di Orvieto
il 9 agosto 1915.
(Registrato col n. 5 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Felice GIULIANI del fu Ernesto e Clorinda Belli, coniugato con Elvira Tascini, morto all’età di 35 anni all’Ospedale di Schio il 16 novembre 1915.
(Registrato col n. 8 nel Registro degli atti di morte del 1915).
Soldato Pasquale BRACACCIA, di Castel Viscardo, figlio di Ermenegildo
e di Giuditta Passeri, di anni 25, morto nell’Ospedale da campo n. 207, in
seguito a ferite per fatto di guerra il 27 novembre 1915
(Registrato col n. 3 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Gino LEONI, di Castel Viscardo, figlio di Alessandro e di Giacinta
Focarelli, di anni 22, morto nel paese di Romans, in seguito a ferite per fatto
di guerra il 24 agosto 1915
(Registrato col n. 4 nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Giovanni FRITTELLI, di Castel Viscardo, figlio di ignoti, di anni
26, morto sul Col Caneva, in seguito a ferite per fatto di guerra il 2 aprile
1916.
(Registrato col n. 1 nel Registro degli atti di morte del 1916).
142
Luca Giuliani
Soldato Paolo STERPA, di Castel Viscardo, figlio di Giuseppe e di fu Caterina Bartolini, di anni 22, morto sul Monte Mesola, in seguito a ferite per
fatto di guerra il 3 giugno 1916.
(Registrato col n. 2 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Adorno ARLECCHINO, di Castel Viscardo, figlio del fu Mariano e di Geltrude Maccheroni, di anni 22, morto sul monte Lemerle, in
seguito a ferite per fatto di guerra il 16 giugno 1916.
(Registrato col n. 4 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Crispino TIRACORRENDO, di Castel Viscardo, figlio di Fulgenzio e di Natalina Soldini, di anni 29, morto nel Comune di Gradisca
d’Isonzo, in seguito a ferite per fatto di guerra il 17 settembre 1916.
(Registrato col n. 5 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Mario CALANDRELLI, di Castel Viscardo, figlio del fu Eugenio
e della fu Dodda Sterpa, di anni 26, morto sulla seconda cima del monte
Colbriccon, in seguito a ferite per fatto di guerra il 9 ottobre 1916.
(Registrato col n. 6 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Felice CECCHITELLI, di Castel Viscardo, figlio del fu Filippo
e della fu Ersilia Mandini, coniugato con Sira Angelina Pietroni, di anni
31, morto ad Oppacchiesella, in seguito a ferite per fatto di guerra il 16
settembre 1916.
(Registrato col n. 7 nel Registro degli atti di morte del 1916).
Soldato Crispino FROSONI, di Castel Viscardo, figlio di Lamberto e di fu
Oliva Tiracorrendo, di anni 24, morto sul monte Preciuk, in seguito a ferite per fatto di guerra il 1 novembre 1916 (Registrato col n. 1 nel Registro
degli atti di morte del 1917).
Soldato Sabatino PICCHIO, di Castel Viscardo, figlio del fu Francesco e
di Maria Leoni, coniugato, di anni 33, morto nel Pian di Stronzon (Mesola), in seguito ad asfissia sotto una valanga il 13 dicembre 1916 (Registrato
col n. 2 nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Enrico BERTOLINI, di Castel Viscardo, figlio di Nazzareno e di
Tracce dei nostri morti dallo stato civile
143
Olimpia Patrizi, di anni 29, morto a Villa Braganza, in seguito a ferite per
fatto di guerra il 10 giugno 1916 (Registrato col n. 3 nel Registro degli atti
di morte del 1917).
Soldato Nazzareno POLVERINI, di Castel Viscardo, figlio del fu Pancrazio e di Maria Taramelli, di anni 32, coniugato, morto ad Oppacchiesella, in seguito a ferite per fatto di guerra il 29 settembre 1916 (Registrato col n. 8 nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Egisto LEONI, figlio di Antonio e Annunziata Maccheroni, di
anni 20, celibe, morto nella 2.a Cima del Colbriccon in seguito e ferite
riportate in guerra l’11 luglio 1917 (Registrato col n. 9 nel Registro degli
atti di morte del 1917).
Soldato Luigi TASCINI, di Castel Viscardo, figlio di Teodoro e di Veronica Fabretti, di anni 20, morto in località Monte Cucco, in seguito a ferite per fatto di guerra il 24 maggio 1917 (Registrato col n. 5 nel Registro
degli atti di morte del 1917).
Soldato Gervasio LOLLI, di Castel Viscardo, figlio di Ruggero e di Cristina Forbicioni, di anni 35, coniugato, morto sul Carso (Hudi Log), in
seguito a ferite per fatto di guerra il 24 maggio 1917 (Registrato col n. 6
nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Giuseppe FEMMINELLI, di Castel Viscardo, figlio del fu Leonardo e di Lucia Cecio, di anni 30, coniugato, morto a Carmons, in
seguito a ferite per fatto di guerra il 25 maggio 1917 (Registrato col n. 7
nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Antonio COPPETTA, nato a Orvieto e residente a Castel Viscardo, figlio del fu Alessandro e di fu Maria Grazia Pierini, coniugato, di
anni 32, morto nell’infermeria dell’84° Reparto Sanità in Cambresco, in
seguito a ferite per fatto di guerra il 7 luglio 1917 (Registrato col n. 10 nel
Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Agrippino TANTINI, di ignoti, nato a Montegabbione e domiciliato a Castel Viscardo, coniugato, di anni 31, morto sul posto di medicazione del 133° Reparto Sanità, in seguito a ferite per fatto di guerra il 21
144
Luca Giuliani
agosto 1917 (Registrato col n. 11 nel Registro degli atti di morte del 1917).
Soldato Olinto LUCATTELLI, della 1ª Compagnia, nativo di Castel Viscardo, figlio di Oreste e di fu Giacinta Marricchi, di anni 27, coniugato
con Sterpa Elisa, morto in seguito ad una granata nemica a Case Sernagiotto sul Piave il 23 novembre 1917 e sepolto a Zenson (o Zeuson) di
Piave. (Registrato col n. 2 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Sergente Carlo ZANETTI, della 9ª Compagnia, nativo di Castel Viscardo,
figlio di Amedeo e di Clarice Lucattelli, di anni 25, morto in seguito a ferita
per fatto di guerra sul Monte Pertica il 22 novembre 1917. (Registrato col
n. 4 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Soldato Nazzareno MAGISTRATI, della 608ª Batteria del 33° Reggimento Artiglieria di Campagna, nativo di Orvieto, figlio di Rinaldo e di Caterina Biancalana, di anni 22, morto il 7 giugno 1917 in seguito a ferite per
fatto di guerra nel Costone di Franza e sepolto nel cimitero di Cudraz.
(Registrato col n. 5 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Soldato Antonio SUGARONI, del 119° Reggimento Fanteria, 8ª Compagnia, nativo di Castel Viscardo, figlio di Francesco e di Adelaide Sonni, di
anni 19, morto il 19 gennaio 1918 in seguito a meningite pneumo coccica
nell’ospedale da campo 085 di Cittadella (Padova) e sepolto in quel cimitero.
(Registrato col n. 3 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Soldato Vittorio GIULIANI, della 309ª Compagnia Scaricatori, nativo di
Castel Viscardo, figlio di fu Ermenegildo e di fu Brigida Battistelli, di anni
40, coniugato con Tascini Esterina, morto il 9 ottobre 1918 per emorragia cerebrale e polmonare in seguito a caduta nel 74° ospedale da campo,
sepolto a Valona, zona Fontana Platano.
(Registrato col n. 7 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Soldato Nazzareno ROSELLI, del 2° Reparto Salmeria, 35ª Divisione, nativo di Castel Viscardo, figlio di Angelo e di Geltrude Palombini, di anni
29, morto il 24 ottobre 1918, in seguito a influenza gravissima con complicazioni polmonari nell’ospedale da campo 167 e sepolto a Prilep (Serbia).
(Registrato col n. 8 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Tracce dei nostri morti dallo stato civile
145
Soldato Giorgio TASCINI, del 263° Reggimento Fanteria, 7ª Compagnia,
nativo di Castel Viscardo, figlio di Sante e di Annunziata Perna, di anni
21, morto il 19 ottobre 1918, in seguito a bronco polmonite nell’ospedale
da campo 100 in Castelfranco Veneto (Villa di Lorenzi) e sepolto in quel
cimitero.
(Registrato col n. 9 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Soldato Quirino PASQUALETTI, nativo di Castel Viscardo, figlio di Fortunato e di Vincenza Elvira Persi, di anni 19, morto il 15 dicembre 1918
nell’Ospedale Militare di Riserva di Forli in via Piero Maroncelli,7.
(Registrato col n. 10 nel Registro degli atti di morte del 1918).
Soldato Luigi LOLLI, del 21° Reggimento Fanteria, Sezione Mitragliatrici, nativo di Castel Viscardo, figlio di Antonio, di anni 30 e un mese,
coniugato con Marina Lolli, morto il 4 luglio 1918 per catarro acuto intestinale e polmonare nel Campo dei prigionieri di truppa in Altengrabow
nella baracca degli ammalati n. 11. (Registrato col n. 2 nel Registro degli
atti di morte del 1919).
Caporal Maggiore Enrico PAPINI, della Compagnia Presidiaria 80c, nativo di Castel Viscardo, figlio del fu Giuseppe e di Vittoria Pietroni, di anni
28, morto il 17 novembre 1918 in seguito a broncopolmonite bilaterale
grippale nel 74° Ospedale da campo e sepolto a Valona, zona Fontana
Platano. (Registrato col n. 3 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Carabiniere Ugo BORRI, della 76ª Sezione R.R. Carabinieri, 55ª Divisione, Distretto 69, nativo di Castel Viscardo, figlio di Origene e di Rosa Serafino, di anni 20, morto il 30 novembre 1918 in seguito a broncopolmonite
bilaterale nell’Ospedale da campo n. 70 e sepolto a Brùneck (Tirolo)
(Registrato col n. 4 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Soldato Nazzareno BARTOLINI, ex prigioniero di guerra, nato a Castel
Giorgio da fu Domenico e da Rosa Giuliani, residente in Castel Viscardo,
ammogliato con Tascini Elvira, di anni 29, morto il 23 novembre 1918
nell’Ospedale da campo 0153 in Comune di Mirandola. (Registrato col n.
6 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Soldato Lorenzo SUGARONI del 201° Reggimento Fanteria, 1ª Compa-
146
Luca Giuliani
gnia, nativo di Castel Viscardo, figlio di Domenico e di Maria Dominici, di
anni 19, morto il 15 giugno 1918 in seguito a una ferita alla testa causata
da una scheggia per fatto di guerra a Valtino – Case Pasqualin (Piano).
(Registrato col n. 7 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Soldato Giuseppe BORRI del 4° Reggimento Fanteria Bersaglieri, prigioniero di guerra, nativo di Castel Viscardo, figlio di Nazzareno e di Caterina
Bartoccini, coniugato con Olimpia Ceccarelli, di anni 35, morto il 1 gennaio 1918 in seguito a polmonite a Josefstad in Boemia. (Registrato col n.
8 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Soldato Aroldo BORRI, di Cesare, nato a Monterubiaglio nel 1897, prigioniero di guerra, di anni 21, morto il 26 marzo 1918 in seguito a polmonite
a Mauttausen. (Registrato col n. 2 nel Registro degli atti di morte del 1920).
Soldato Sergio STELLA, nativo di Viceno di Castel Viscardo, figlio del
fu Silvestro e di Agnese Focarelli, di anni 19, morto il 22 gennaio 1919
nell’Ospedale Militare di Riserva di Porta Furba (Roma).
(Registrato col n. 1 nel Registro degli atti di morte del 1919).
Le decorazioni al Valore e al Merito
di Aldo Lo Presti
«Create per sottolineare un atto di coraggio sia da parte di militari che
nella vita civile, le decorazioni al valore e al merito sono attentamente
collezionate da molti appassionati. Si tratta tuttavia di una raccolta
difficile, in quanto la maggior parte di queste medaglie sono “nominative”,
cioè sono state assegnate a un individuo per suoi meriti particolari. Di
conseguenza è difficile che il decorato se ne separi e le medaglie finiscono
in una collezione solo per caso...»1.
Se tutto ciò poteva valere senz’altro ancora negli anni settanta del secolo
scorso, oggi basta navigare nei siti specializzati per accorgersi che le medaglie e le decorazioni sono sempre più a portata di …tasca, a segno che
il Tempo le ha trasformate in semplice ‘merce’, perdendo, di fatto, ogni
aurea epico/familiare. Ad ogni modo le decorazioni si possono distinguere in tre grandi famiglie, le “commemorative” (medaglie coniate appositamente per celebrare un fatto d’arme, l’appartenenza a un certo reparto,
un avvenimento o una ricorrenza e così via), le medaglie, croci o stelle al
valore e “al merito” (attribuite quindi, come anticipato, nominativamente
a chi si è distinto sul campo di battaglia –valor militare– o in occasione di
determinati avvenimenti quali alluvioni, salvataggi, ecc. –valor civile–), e di
“benemerenza” in bronzo («Per militari che non hanno avuto l’opportunità –o il coraggio– di segnalarsi con atti eroici di tale portata da meritare
una segnalazione da parte del loro comando» ma che, ad ogni modo, «...
hanno rischiato la propria vita in guerra»). Naturalmente, sia per le prime
che per le ultime, chi le ha avute «...non sempre ha dovuto distinguersi tra
i commilitoni o i compagni per meritarsele»2. Le seconde, essendo nomina-
1
2
s.v. Decorazioni, in Collezionismo italiano, 35 (1979), p. 1089.
s.v. Omaggio all’eroismo (Un), in Collezionismo italiano, 35 (1979), pp. 1090, 1116-1117.
Aldo Lo Presti
148
Le decorazioni al valore e al merito
tive, sono attribuite sempre con un atto formale delle autorità competenti
«...e tale atto prevedeva che la medaglia fosse assegnata a un determinato individuo e a nessun altro. Per questo alcuni collezionisti ritengono necessario,
al completamento della raccolta in questo specifico settore, il possesso del
diploma d’onore consegnato all’avente diritto insieme con la medaglia, sul
quale in genere è riportata la motivazione precisa dell’attribuzione, insieme
col nome del decorato. Naturalmente questi stessi collezionisti […] ritengono indispensabile che la medaglia abbia il nastrino regolamentare, con i colori previsti al momento in cui è stata istituita»3. Si ricorda, inoltre, che tutte
le medaglie d’oro e d’argento, sono la diretta discendenza di quelle istituite
nel Regno dei Savoia nel 1833, mentre quelle in bronzo al valor militare furono istituite un cinquantennio dopo, esattamente nel 1887 «...al tempo dei
primi disastrosi tentativi di penetrazione coloniale in Africa» mentre quella
al valor civile risale all’anno successivo; la croce di guerra al valor militare
risale invece al 19224.
Croce di Carlo
Decorazione-medaglia istituita il 13 dicembre 1916 dall’Imperatore Carlo
I d’Austria-Ungheria. La croce è stata assegnata fino alla fine della prima
guerra mondiale ai soldati dell’esercito austro-ungarico, indipendentemente
dal rango, che erano stati con una unità combattente per almeno dodici
settimane, e che aveva effettivamente servito al fronte.
Diritto
3
4
Ibid., pp. 1091-92.
Ibid., pp. 1092, 1094.
149
La medaglia è di zinco e si compone di una Croce Patente che poggia su
una corona di alloro.
Dritto: in latino: “GRATI PRINCEPS et patria, CAROLVS IMP.ET
REX”, (Un principe e patria riconoscente, Karl, imperatore e re).
La croce patente è a braccia trapezoidali riunite da una corona di alloro e
con fondo granulato e bordato
Rovescio: corone imperiali austriache e ungheresi sopra la lettera “C”
(per Carolus) con la scritta “VITAM ET SANGVINEM”, (con la vita e il
sangue) e la data MDCCCCXVI, (1916).
Il progetto è basato sul disegno della Croce Army of 1813-1814
(comunemente noto come ‘Cannon Cross’ - ‘Kanonenkreuz’).
La croce è stata portata sul petto a sinistra da un nastro rosso con alterne
strisce laterali rosso-bianche verso ciascun bordo.
Furono conferiti 651.000 esemplari di questa croce.
Croce dell’Ordine di Vittorio Veneto
Medaglia commemorativa coniata nel 1968
Dritto: elmetto su foglia di alloro
Rovescio: sui bracci, foglie di quercia; nella medaglia centrale, ai lati di
stella a cinque punte: “Ordine di Vittorio Veneto”
Contorno: a cornice
Metallo: bronzo
Medaglia a croce greca, detta Croce dell’Ordine di Vittorio Veneto,
Rovescio
Diritto
Rovescio
Aldo Lo Presti
150
Le decorazioni al valore e al merito
istituita con la L. 18 marzo 1968, n. 263 per gratitudine della nazione nei
confronti dei soldati impegnati nella prima guerra mondiale ed insigniti
della Croce al Merito di Guerra (passim).
L’ordine è in stato quiescente dal 26 ottobre del 2008 a seguito della morte
dell’ultimo Cavaliere ed è stato abolito il 15 marzo del 2010.
Croce al Merito di Guerra
Dritto: monogramma di Vittorio Emanuele III coronato (istituita nel 1922)5
al centro: “Merito di Guerra”6
sotto: spada (gladio romano7) e ramo d’alloro
Rovescio: stella raggiante
Metallo: rame
Croce commemorativa distribuita con nastrino per meriti di guerra
conseguiti durante la prima guerra mondiale.
50° Anniversario della Vittoria
Dritto: elmetto su foglie d’oro e quercia sormontato da una stella raggiante
in basso: L. Mancinelli
Rovescio: nel campo, su foglie d’alloro, “50° / Anniversario / Della Vittoria
/ 1918/1968
tra le foglie: Bartoli
Diritto
Diritto
Rovescio
s.v. Omaggio all’eroismo (Un), in Collezionismo italiano, 35 (1979), p. 1094.
Il nastro era azzurro, con due strisce bianche centrali separate. Alla seconda
concessione della medaglia, il nastrino poteva essere completato con una corona reale
di bronzo. Dalla terza concessione in poi, il nastrino poteva essere completato con due
corone reali di bronzo. Secondo il regolamento originario, la Croce al merito di guerra
poteva essere conferita al massimo per tre volte, con ogni conferimento successivo al
primo indicato con l’apposizione di una piccola corona bronzata sul nastro di una unica
croce (o sul relativo nastrino). Successivamente questa limitazione venne revocata e
venne indossata una decorazione per ciascun conferimento (regio decreto 19 gennaio
1918, n. 205). V. Wikipedia
7
Ibidem.
5
6
151
Rovescio
Contorno: liscio
Metallo: Oro
Peso: oscillante tra 5,2-5,3 g.
Destinata ai militari della guerra 1915-18 è la medaglia d’oro istituita dalla
Repubblica con legge 18 marzo 1968 n. 263 in occasione del cinquantesimo
anniversario della vittoriosa conclusione del conflitto: «La medaglia è stata
concessa a tutti coloro (non moltissimi, in verità, visto che gli ex ragazzi del
1899, la più giovane classe chiamata in linea, nel 1968 sfioravano la settantina
d’anni d’età) che hanno prestato servizio militare per almeno sei mesi nelle
forze armate italiane durante la guerra 1914-18 o durante le guerre precedenti
(evidentemente quella italo-turca per la conquista della Libia, conclusasi nel
1912»8.
8
s.v. Omaggio all’eroismo (Un), in Collezionismo italiano, 35 (1979), p. 1118.
Aldo Lo Presti
152
Le decorazioni al valore e al merito
Medaglia Guerra per Unità d’Italia
Dritto: “GUERRA (alloro) PER • L’UNITÀ (alloro) D’ITALIA” “1915
(alloro) 1918”
busto elmato voltato a sinistra
sotto: M. Nelli Inc.
153
Ai Combattenti delle Nazioni Alleate ed Associate
Dritto: “GRANDE . GUERRA. PER . LA . CIVILTÁ”, braciere ardente
sormontato da colombre in volo recanti rami d’ulivo; ai lati MCXV –
MCXVIII
a destra, sopra la linea dell’esergo: G. Villa Inc (anche senza firma)
in esergo: “AI COMBATTENTI DELLE NAZIONI ALLEATE ED
ASSOCIATE”
Verso: figura allegorica della Vittoria alata reggi-fiaccola su carro quadriga
trainato da leoni
in esergo: a) firma: F. M. Lorioli & Castelli – Milano b) al dritto firma
G. Villa Inc e al rovescio Sacchini-Milano c) al dritto idem e al rovescio
S.(tefano) Johnson-Milano
contorno senza cornice (liscio)
metallo: bronzo
diametro 31mm
Diritto
Rovescio
Rovescio: “CONIATA NEL BRONZO NEMICO”, figura alata allegorica
della Vittoria di fronte su scudi sorretti da militari elmati
Sostanzialmente analoga alla precedente, fusa col metallo dei cannoni tolti
al nemico, istituita sempre nel 1920. Fu un riconoscimento concesso a
spese dello Stato a tutti i militari, militarizzati e assimilati che avessero
prestato servizio per almeno quattro mesi in zona di operazioni10. Si
trattò di una medaglia commemorativa emessa congiuntamente da tutte
Medaglia-decorazione distribuita con nastrino ai militari che avevano
prestato servizio per almeno un anno durante la prima guerra mondiale.
Si tratta di una medaglia a metà strada tra la ‘commemorativa’ e di
‘benemerenza’ istituita dal Re d’Italia nel 1920 e concessa ai militari,
militarizzati e assimilati, nonchè al personale di corpi e reparti ausiliari
(come Croce Rossa, Sovrano Ordine Militare di Malta, ecc.)9.
Contorno a cornice
Metallo: bronzo
32 mm
9
s.v. Omaggio all’eroismo (Un), in Collezionismo italiano, 35 (1979), p. 1118.
Diritto
10
Ibidem.
Rovescio
Aldo Lo Presti
154
le nazioni che scesero in campo nella grande guerra contro la Germania e
l’Austria-Ungheria.11
Terza Armata – Sacrario Redipuglia
Dritto: “GLORIA AI CENTOMILA EROI”
Croce coronata
sui bracci: TERZA ARMATA
ai lati: 1915-1918
al di sotto: gruppo di figure evocative della Pietà
a destra: Tre Croci (Calvario)
a sinistra: bandiera del Regno
sotto: LABOA
Rovescio: prospetto anteriore della scalinata del Sacrario
in esergo: SACRARIO DI REDIPUGLIA
Diritto
Rovescio
Medaglia commemorativa realizzata presumibilmente il 19 settembre 1938
per ricordare la realizzazione del Sacrario
Contorno: cornice
Metallo: bronzo
Diametro: 30 mm
Sitografia di riferimento: http://numismatica-italiana.lamoneta.it
11
s.v. Decorazioni, in Collezionismo italiano, 35 (1979), p. 1125.
Finito di stampare
nel mese di giugno 2015
da PRESS UP