La legge Balduzzi sulla responsabilità sanitaria è
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La legge Balduzzi sulla responsabilità sanitaria è
www.lucabenci.it articolo del 2 maggio 2013 La legge Balduzzi sulla responsabilità sanitaria è costituzionale? Analisi e commento dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 21 febbraio 2013 Le recenti innovazioni apportate al sistema della responsabilità professionale sanitaria con il D.L. 13 settembre 2012, n. 158 “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” convertito con la legge 8 novembre2012, n. 189 su cui si sono manifestate, sin dall’inizio, in dottrina perplessità in merito all’aderenza ai principi costituzionali. Riportiamo, per esteso, il primo comma dell’articolo 1 del decreto Balduzzi Art. 3, comma 1 1. L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo. Come è noto il sopraindicato articolo pone una esenzione di responsabilità penale per colpa lieve per gli esercenti le professioni sanitarie fondano il proprio agire professionale su linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Inoltre si prevedono modulazioni sulla risarcibilità del danno e non chiari passaggi dalla responsabilità contrattuale e quella – eventualmente – extracontrattuale. Il Tribunale di Milano con l’ordinanza del 21 marzo 2013 ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di illegittimità costituzionale relativa a numerosi articoli della Costituzione. Procediamo secondo i punti contestati dal giudice milanese. 1. L’esercente la professione sanitaria “non risponde penalmente” In primo luogo si contesta proprio l’esenzione della responsabilità con la formula relativa all’esercente la professione sanitaria che “non risponde penalmente”. Il Tribunale di Milano in effetti colpisce nel segno delle contraddizioni della legge che riconosce l’esimente penalistica, ma non anche la irresponsabilità civilistica. In poche parole – secondo una interpretazione letterale – se l’operatore sanitario si attiene a linee guida e buone pratiche non verserebbe mai in colpa lieve ma il fatto è contraddetto - da un punto di vista del diritto civile – dal richiamo all’articolo 2043 del cc. Diversamente, secondo altra interpretazione, la colpa dell’esercente la professione sanitaria è comunque sussistente ma non è punibile. Trattasi quindi – secondo il Tribunale di Milano – di “una formula criticamente equivoca” che “evidenzia un dato normativo impreciso, indeterminato e quindi in attrito con il principio di ragionevolezza e di tassatività, sub specie del principio di legalità ex artt. 3 e 25 comma 2 costituzione”. Inoltre l’impossibilità di punire chi ha cagionato un reato con colpa fa venire meno il principio della rieducazione del condannato ex art. 27 sempre della carta costituzionale. 2. La definizione di colpa lieve il Tribunale di Milano è impietoso sul richiamo alla colpa lieve del decreto Balduzzi e ha buon gioco a definirlo il “punto più debole della normativa in parola”. Nel nostro ordinamento penalistico, la colpa lieve non solo non viene definita, ma è solo un “grado della colpa da valutare obbligatoriamente per la quantificazione della pena”: nel decreto Balduzzi, invece, la colpa assume valore esimente. Subordinare al concetto di colpa lieve tutti i reati colposi “commessi da una ampia categoria di soggetti” comporta la necessità di tassativi, determinati, precisi parametri normativi, primari o subprimari, idonei a delimitare il discrimen della puni- –1– www.lucabenci.it articolo del 2 maggio 2013 bilità”. La violazione del principio di tassatività, ex art. 25 comma 2 costituzione appare rilevante, conclude il giudice milanese. 3. Il riferimento alle linee guida Il riferimento all’agire professionale secondo linee guida ha comportato un riferimento basato su concetti non chiarissimi e talvolta addirittura evanescenti. Si pensi infatti che il mondo professionale ha da decenni parlato di linee guida e le definizioni si sono moltiplicate e non sempre sono, tra di loro, coincidenti. Il concetto di buona pratica è ancora più complicato. Eravamo già intervenuti sul punto ( vedi il mio articolo del 9 marzo 2013 su http://www.lucabenci.it/2013/03/la-responsabilita-professionale-dopo-la-riforma-balduzzi-il-concetto-di-linee-guida-e-buone-pratiche-2/) e in questa sede non possiamo non rilevare che la confusione permane e, soprattutto, non è del tutto chiara la riconducibilità alle linee guida e alle buone pratiche di tutta un’altra serie di documenti professionali quali le raccomandazioni, le job descriptions, i protocolli e le procedure. Si pensi, ad esempio, che uno degli obiettivi nazionali della Commissione ECM dell’AGENAS è proprio relativo all’analisi di “linee guida, protocolli e procedure” mentre di buone pratiche non vi è traccia”. Il Tribunale di Milano collega, giustamente, il richiamo alle linee guida alla necessità per il legislatore di combattere la c.d. “medicina difensiva” che viene definita come quell’insieme di pratiche che vengono poste in essere motivate dal timore di azioni legali e non dalla necessità di perseguire il best interest del paziente. Il giudice di Milano scrive testualmente: Se la ratio legis consiste nel superamento della cosiddetta medicina difensiva, il legislatore ha tradito questa stessa funzione, perché, in effetti, con un intervento così formulato, produce un risultato che rischia di burocratizzare le scelte del medico e quindi di avvilire il progresso scientifico. Il rischio di un agire professionale burocratizzato è evidente per i giudici milanesi in quanto “l’area della non punibilità è ingiustificatamente premiale per coloro che manifestano acritica e rassicurante adesione alle linee guida o alle buone prassi ed è altrettanto ingiustifi- catamente avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con una pari dignità scientifica”. Il rischio di produrre o aderire a tali strumenti, solo ed esclusivamente perché questo nuovo sistema premia, attraverso l’esimente, il professionista sanitario che li segua, “blocca l’evoluzione del pensiero scientifico e la sperimentazione clinica” secondo l’ordinanza milanese viola gli articoli 3 e 33 della costituzione. Non solo il riferimento alle linee guida contrasta anche contro il principio di tassatività in quanto, secondo il Tribunale di Milano “trattasi di mere raccomandazioni per le quali la legge non offre alcun criterio di individuazione e determinazione”. In questo caso il giudice confonde linee guida e buone pratiche – “trattasi di mere raccomandazioni” può essere riferito solo alle linee guida ma non anche alle buone pratiche – ma coglie nel segno sui criteri di individuazione e determinazione. Diversamente da quanto accade nella sicurezza del lavoro infatti continua l’ordinanza milanese non vengono specificate le fonti delle linee guida, quali siano le autorità titolate a produrle, quali siano le procedure di raccolta di dati statistici e scientifici, di valutazione delle esperienze professionali, quali siano i metodi di verifica scientifica e, infine quale sia la pubblicità delle stesse per diffonderle e per renderle conoscibili agli stessi sanitarie; così come per le prassi non viene specificato il metodo di raccolta, come possa individuarsi la “comunità scientifica” e se l’accreditamento debba provenire dalla “comunità scientifica” locale, regionale, nazionale, europea o internazionale. Una notazione potremmo aggiungerla noi: il recepimento delle buone prassi in particolare in atti normativi. Vengono talvolta riportate addirittura in Gazzetta Ufficiale e nei Bollettini delle varie regioni. Talvolta anche vedono una validazione della direzione sanitaria aziendale che, non si capisce, a quale titolo, operi il processo di validazione. Secondo il Tribunale di Milano bisogna dedurne l’assoluta imprecisione e non determinabilità dei confini dell’area della non punibilità”. 4. L’estensione a tutti gli operatori sanitari della non punibilità per qualsiasi reato colposo –2– www.lucabenci.it articolo del 2 maggio 2013 Il primo comma dell’articolo 3 della legge Balduzzi parla di “esercente la professione sanitaria” concetto che, come è noto, è decisamente ampio e ricomprende una serie di professioni che vanno dal medico, all’odontoiatra, al farmacista, alle ventidue professioni “profilate” (infermieri, ostetriche, fisioterapisti, tecnici ecc.) ecc. Il Tribunale di Milano su questo punto non dimostra una conoscenza approfondita della questione e include anche figure che non sono da considerarsi “esercenti una professione sanitaria”, come gli operatori socio sanitari o non meglio specificati “operatori di assistenza sanitaria”. Osserva il Tribunale milanese che l’esenzione dalla responsabilità penale si applica anche a coloro che sono “privi del compito di adottare scelte terapeutiche e/o diagnostiche” e quindi estranei alla medicina difensiva. In realtà, a un approfondito esame, non sfuggono alla medicina difensiva la quasi totalità di professionisti sanitari che, ciascuno secondo le proprie competenze, possono influire su comportamenti di medicina difensiva: si pensi, a titolo di esempio, all’attività di accanimento terapeutico che può mettere in atto un infermiere con un’insistita, quanto inutile manovra rianimatoria in assenza (o in presenza) del medico, a un’ostetrica che procede a una inutile episiotomia (che per disposto normativo può praticare) ecc. Il Tribunale di Milano porta gli esempi delle medicina di laboratorio, della medicina iperbarica, e della medicina radiologica che possano provocare, con comportamenti colposi, un “incendio o un disastro”. Il riferimento alle medicina iperbarica è verosimilmente dovuto alla tragedia milanese del Galeazzi dove però i profili di responsabilità si erano incentrati sulle problematiche dolose e non colpose del personale sanitario. Al di là di queste note critiche non vi sono dubbi sul fatto che comunque il decreto Balduzzi poteva circoscrivere l’esenzione dalla responsabilità per le attività relative a danni alla persona e eseguiti sulle persone e non genericamente a tutte le attività che può porre in essere in assoluto. Questo ampliamento di esenzione viene comunque eccessivamente criticato nell’ordinanza come “aberrante” e comunque in contrato con l’articolo 3 della Costituzione. 5. La responsabilità del professionista sanitario nel caso di violazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro Il punto in questione sembra – a una prima lettura sovrabbondante rispetto alle tematiche trattate. Si richiamano le qualifiche di datore di lavoro, dirigente e preposto della normativa antinfortunistica e si richiama la posizione di garanzia che assume l’esercente la professione sanitaria nei luoghi di lavoro durante la “sua attività”. Osserva acutamente il Tribunale di Milano – considerazione trascurata fino a questo momento dalla dottrina che si è occupata della questione – che un esercente la professione sanitaria deve “anche osservare le norme poste a tutela della sicurezza del lavoro” tra le quali vi sono anche le linee guida e le buone prassi lungamente richiamate dal D. Lgs 81/2008. L’estensione di responsabilità penale anche per queste incombenze configura la legge Balduzzi come una sorta di legge “ad professionem” violando apertamente i profili di ragionevolezza e di uguaglianza costituzionalmente tutelati. Osserva il tribunale milanese che non “è sufficiente considerare le linee guida e le buone prassi” riferite solo a protocolli diagnostico terapeutici ma anche “a strumenti, procedure, materiali, uso di attrezzature, sostanze, prodotti” che concernono la sicurezza del paziente, la sicurezza delle persone e delle strutture” che non possono andare incontro a esenzione da responsabilità. Anche in questo caso il contrasto con l’articolo 3 della Costituzione è evidente. 6. La tutela della persona offesa La tutela della persona offesa viene messa in discussione – secondo i giudici milanesi – dalla non possibilità di avere tutela penalistica ma soltanto civilistica. Argomenta l’ordinanza che la tutela penale e quella civile “non possono certo considerarsi fungibili” in quanto nel procedimento penale la parte lesa “può avvalersi dell’azione pubblica, accodarsi all’acquisizione probatoria del pubblico ministero e quindi fruire di un’attività investigativa che altrimenti non potrebbe sostenere con una mera azione civile”. Il giudizio diventa durissimo laddove si arriva si specifica che questa norma “evidenzia sul piano sostanziale l’ingiustizia e l’ingiustificabilità della depenalizzazione della colpa lieve per gli operatori sanitari”. Conclusioni In conclusione il giudice milanese passa la parola alla Corte cotituzionale criticando – spesso con ragione – l’impianto efficacemente definito ad professionem della legge Balduzzi e poco rispettoso dei diritti dei pazienti lesi. Da parte nostra non possiamo non notare che questo modo di legiferare occasionale, emotivo e poco meditato – un articolo contenuto in un decreto legge – non può che comportare risultati mediocri. –3–