Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia

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Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia
Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
Raccolta Corte dei Conti
di Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di:
Federica Caponi.
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Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
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Piemonte, del. n. 5 – Le società consortili rientrano nella razionalizzazione delle
partecipazioni
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di poter acquisire una
partecipazione nell’ambito di una società consortile a responsabilità limitata, il cui
scopo sociale è quello di promuovere lo sviluppo sociale ed economico del territorio e
che stante la produzione di servizi di natura generale a carattere non industriale o
commerciale, priva di rilevanza economica in senso tecnico
I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 5/2016, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 3 febbraio, hanno evidenziato che l’attuale
quadro normativo pone dei limiti alla costituzione degli organismi partecipati, sino a
disporne l’alienazione, lo scioglimento o la razionalizzazione e/o ristrutturazione.
Nello specifico, la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) impone alle
amministrazioni pubbliche, tra cui in particolare gli enti locali, di procedere ad una
complessiva revisione e riduzione delle partecipazioni nelle società, mediante
l’approvazione di un piano di razionalizzazione delle partecipazioni.
Come evidenziato dai magistrati contabili, anche le società consortili rientrano nella
razionalizzazione delle partecipazioni (a differenza del consorzio tra enti locali
costituito ex art. 31 del d.lgs. 267/2000, come chiarito dalla sezione Veneto nella
deliberazione n. 205/2015).
La razionalizzazione delle partecipazioni deve avvenire innanzitutto mediante
l’eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione.
Tale previsione non costituisce una novità assoluta, atteso che riprende la disciplina
posta dall’articolo 3, commi 27-28, della legge n. 244/2007, che vieta alle p.a. di
costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non
strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero
assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
Mentre la norma del 2007 si riferisce alle partecipazioni dirette, la disciplina della legge
190/2014 coinvolge sia le partecipazioni dirette che quelle indirette.
Pertanto, fermo restando il divieto di mantenere società non coerenti con le proprie
finalità istituzionali (principio della funzionalizzazione), il legislatore ha imposto alle
p.a. la dismissione di quelle società che, pur coerenti con i fini istituzionali dell’ente,
non sono indispensabili al loro perseguimento.
E’ quindi evidente che la prima valutazione che un ente deve compiere è quella
attinente la coerenza della partecipazione detenuta: solo dopo aver effettuato questa
valutazione l’Ente dovrà procederà a verificare l’indispensabilità della partecipazione
per il conseguimento di quei fini.
La normativa del 2014 si riferisce espressamente al mantenimento delle partecipazioni
di cui è già titolare l’ente.
Come evidenziato dai magistrati contabili, nonostante l’acquisizione di nuove
partecipazioni non sia in assoluto vietata, è evidente come una tale scelta “si ponga
quale fenomeno evidentemente derogatorio di quello che dovrebbe essere la linea d’azione
generale delle pubbliche amministrazioni secondo le intenzioni del legislatore”.
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Piemonte, del. n. 2 – Riduzione numero componenti cda partecipate
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4,
comma 5, del d.l. 95/2012, in particolare se l’obbligo di riduzione del numero dei
componenti dei consigli di amministrazione, nonché i limiti complessivi di spesa per i
compensi, siano applicabili alle società a capitale interamente pubblico, che gestiscono
servizi pubblici locali.
I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 2/2016, pubblicata sul sito
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della sezione regionale di controllo il 25 gennaio, hanno ricordato che l’articolo 4,
comma 4, del d.l. 95/2012, nell’ambito di un più generale processo di revisione,
contenimento e riduzione della spesa pubblica, impone la riduzione del numero dei
componenti dei consigli di amministrazione (ferma restando la facoltà di nomina di un
amministratore unico) “delle società controllate direttamente o indirettamente dalle
amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001
n. 165 e successive modificazioni, che abbiano conseguito un fatturato da prestazione di servizi a
favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento dell’intero fatturato”, e pone
ulteriori limiti complessivi di spesa per i compensi di detti amministratori.
Il successivo comma 5 prevede che “fermo restando quanto diversamente previsto da
specifiche disposizioni di legge e fatta salva la facoltà di nomina di amministratore unico, i
consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta od
indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della
complessità delle attività svolte. A tali società si applica quanto previsto dal secondo e dal terzo
periodo del comma 4” (appunto, gli ulteriori limiti di spesa per compensi agli
amministratori).
Mentre il comma 4 ha come ambito soggettivo di applicazione le società “controllate
direttamente o indirettamente” da una pubblica amministrazione, il comma 5 è
espressamente riferito alle società a totale partecipazione pubblica.
Come evidenziato dai magistrati contabili una società a totale partecipazione pubblica
può non rientrare di per sé nella definizione codicistica di società controllata (articolo
2359 c.c.), ben potendo il capitale sociale essere frazionato in capo ad una molteplicità
di enti pubblici, nessuno dei quali titolare della maggioranza dei voti esercitabili in
assemblea, ovvero dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante
nell’assemblea o in virtù di vincoli contrattuali
Con la conseguenza che a tutte le società a totale partecipazione pubblica si applica il
comma 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012, che prevede:
 numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione (cinque
ovvero tre), a seconda della rilevanza e della complessità delle attività svolte
(fatta salva la facoltà di nomina di un amministratore unico);
 limitazioni in materia di costi per compensi degli amministratori: limite
dell’80% della spesa sostenuta, a tale titolo, nell’anno 2013 e l’obbligo di
riversamento alle amministrazioni o alle società di appartenenza (in virtù del
principio dell’onnicomprensività della retribuzione) del compenso percepito da
amministratori che siano dipendenti dell’amministrazione titolare della
partecipazione o, in caso di partecipazione indiretta o del titolare di poteri di
indirizzo e coordinamento, della società controllante.
Nel caso in cui la società a partecipazione pubblica rientri nella qualificazione di società
controllata (direttamente o indirettamente) ex art. 2359 c.c. e, in quest’ultimo caso, si
verifichino i presupposti di cui al comma 4 dell’articolo 4 del citato d.l. 95/2012
(conseguimento nell’anno 2011 di un fatturato da prestazione di servizi in favore di
amministrazioni pubbliche superiore al 90%), troverà applicazione anche la disciplina
speciale dell’art. 4, comma 4 (numero massimo di componenti del consiglio di
amministrazione pari a 3 membri)
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Lombardia, del. n. 426 – Nota informativa debiti/crediti intercorrenti con società
partecipate
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 426/2015, pubblicata sul
sito della sezione regionale di controllo il 18 novembre, hanno sollevato una questione
di massima circa la corretta interpretazione dell’articolo l’articolo 6, comma 4, del d.l.
95/2012 imponente l’obbligo di allegare al rendiconto degli enti locali un prospetto
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attestante l’attendibilità dei rapporti debitori e creditori intercorrenti con le società
partecipate e gli enti strumentali.
Tale norma, abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2015, si applica ai fini della
rendicontazione dell’esercizio 2014 (l’adempimento risulta imposto sia agli enti locali
che alle regioni, anche nel nuovo regime della contabilità armonizzata, in vigore
dall’esercizio 2015).
La verifica della conciliazione delle posizioni debitorie e creditorie costituisce uno degli
elementi alla base dell’attività di controllo sulle società partecipate.
A tal fine l’ente deve organizzare un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare,
da un lato, i rapporti finanziari con le società (che, a fine esercizio, determinano i crediti
ed i debiti reciprocamente iscritti nelle rispettive contabilità) e, dall’altro, il rispetto
delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
Una corretta conciliazione tra i reciproci appostamenti contabili di debiti e crediti,
inoltre, ha una valenza preparatoria rispetto alle prossime operazioni di
consolidamento dei bilanci (da effettuare dall’esercizio 2016, in virtù dell’art. 11-bis del
d.lgs. 118/2011), in quanto è funzionale all’operazione di elisione dei rapporti
infragruppo.
A parere della Sezione tale nota informativa deve essere asseverata dall’organo di
revisione dell’ente locale ma anche dall’organo di revisione dell’organismo partecipato.
Nelle società a responsabilità limitata, per le quali l’articolo 2477 c.c. non impone la
nomina di un collegio sindacale e di un revisore legale dei conti, ma rimette tale
valutazione allo statuto, sarebbe necessario che l’ente o gli enti soci, in sede di
disciplina del sistema dei controlli interni (art. 147 d.lgs. n. 267 del 2000),
individuassero l’organo chiamato, in nome e per conto della società a responsabilità
limitata o dell’ente strumentale, ad asseverare la nota informativa attestante i reciproci
rapporti debitori e creditori esistenti con l’ente locale.
Tenuto conto della rilevanza della questione, i magistrati contabili hanno rimesso la
questione di massima alla Sezione Autonomie, in particolare chiedendo se tale nota
informativa debba essere asseverata dal solo organo di revisione dell’ente locale socio o
anche dall’organo di revisione (collegio sindacale o revisore contabile) della società
partecipata ovvero, in assenza di quest’ultimo, da altro competente organo,
preventivamente individuato dall’ente locale socio, della società o dell’ente
strumentale.
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Lombardia, del. n. 387 – Società partecipata e gestione di attività
commerciale/artigianale
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità per la società pubblica che
gestisce la Farmacia comunale di partecipare ad una gara per la gestione di un’attività
commerciale/artigianale per la produzione e la vendita di gelati artigianali.
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione n. 387/2015, pubblicata sul
sito della sezione regionale di controllo il 18 novembre, hanno ribadito che gli enti
locali possono ricorrere allo strumento societario solo per l’organizzazione e lo
svolgimento di attività di competenza dell’ente medesimo.
In particolare, le iniziative economiche di tipo pubblicistico non devono impingere con
la libera esplicazione del mercato concorrenziale rimesso all’iniziativa economica
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privata e, nel contempo, devono essere circoscritte ad effettive necessità istituzionali
degli enti territoriali, strettamente connesse con la caratterizzazione degli enti locali
quali enti a fini generali, ma ad ambito territoriale circoscritto alla comunità degli
amministrati.
L’articolo 3, comma 27, della legge 244/2007 prevede che le amministrazioni pubbliche
non possano procedere alla costituzione di nuove società che abbiano “per oggetto la
produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie
finalità istituzionali”, con la precisazione che è sempre ammessa “la costituzione di società
che producono servizi di interesse generale”.
Inoltre, come evidenziato dai magistrati contabili, “appare oltremodo arduo far coesistere
nell’ambito della medesima società, due attività aventi finalità del tutto divergenti; l’una,
recante i tratti pubblicistici della distribuzione di farmaci (farmacia comunale) l’altra, avente
esclusivamente rilievo imprenditoriale (gelateria artigianale)”.
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Umbria, del. n. 123 – Transazione con la società partecipata
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla riconducibilità della transazione
all’alveo delle fattispecie di riconoscimento di debito fuori bilancio disciplinate
dall’articolo 194 del Tuel.
L’ente ha premesso di vantare un credito verso una società partecipata, in dipendenza
del servizio pubblico dalla stessa svolto, e che l’amministrazione intenderebbe
procedere con una transazione, riconoscendo una parte del credito vantato, al fine di
risolvere in via bonaria il possibile contenzioso.
I magistrati contabili dell’Umbria, con la deliberazione 123/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 3 novembre, hanno ribadito che la fattispecie
degli accordi transattivi non può essere ricondotta al concetto di debito fuori bilancio.
Gli accordi transattivi presuppongono, infatti, la decisione dell’ente di pervenire ad un
accordo con la controparte, per cui è possibile prevedere, da parte del comune, tanto il
sorgere dell’obbligazione quanto i tempi per l’adempimento.
Ne discende che l’Amministrazione in tali casi si trova nelle condizioni (ed ha
l’obbligo) di attivare le normali procedure contabili di spesa (stanziamento, impegno,
liquidazione e pagamento) previste dall’articolo 191 del Tuel e di rapportare ad esse
l’assunzione delle obbligazioni derivanti dagli accordi transattivi.
Come evidenziato dai magistrati contabili, la materia delle transazioni è riconducibile
di regola alla competenza dirigenziale, potendo la stessa rientrare nell’ambito di
attribuzione della Giunta o del Consiglio solo in situazioni particolari e cioè qualora la
transazione involga atti di disposizione che implicano valutazioni esulanti dalla mera
gestione (Sezione Liguria, del. 5/2014).
Nel caso di specie non può essere messa in dubbio la competenza a provvedere in capo
al Consiglio comunale, trattandosi di una ipotesi di transazione in relazione alla quale
l’Ente intende finanziare la presumibile spesa “in modo rateizzato, mediante imputazione
delle singole rate annuali nei bilanci di previsione dei prossimi dieci anni”.
Come evidenziato da i magistrati contabili, gli Enti pubblici possono di norma
transigere le controversie delle quali siano parte ex art 1965 c.c., a condizione che:
 la scelta discrezionale di addivenire alla transazione risponda a criteri di
razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l’azione
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amministrativa. Uno degli elementi che l’Ente deve considerare è sicuramente la
convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del
giudizio, intesa quest’ultima in senso relativo, da valutarsi in relazione alla
natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e ad eventuali
orientamenti giurisprudenziali;
 esista una controversia giuridica (e non un semplice conflitto economico), che
sussiste o può sorgere quando si contrappongono pretese confliggenti di cui
non sia possibile a priori stabilire quale sia giuridicamente fondata. Di
conseguenza il contrasto tra l’affermazione di due posizioni giuridiche è la base
della transazione in quanto serve per individuare le reciproche concessioni,
elemento collegato alla contrapposizione delle pretese che ciascuna parte ha in
relazione all’oggetto della controversia. Si tratta di un elemento che caratterizza
la transazione rispetto ad altri modi di definizione della lite;
 la transazione abbia ad oggetto diritti disponibili (art 1966, co 2 c.c.) e cioè,
secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, quando le parti hanno il
potere di estinguere il diritto in forma negoziale. E’ nulla, infatti, la transazione
nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite siano sottratti alla
disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione di legge;
 sussista un rapporto che, oltre a presentare, almeno nell'opinione delle parti,
carattere di incertezza, è contrassegnato dalla reciprocità delle concessioni.
Oggetto della transazione, quindi, non è il rapporto o la situazione giuridica cui
si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo
o possa dar luogo e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche
concessioni.
 quanto ai termini (soggetto e oggetto) del contratto di transazione: i soggetti
devono essere dotati non solo di capacità giuridica ma devono avere anche la
legittimazione intesa come potere di agire in ordine ai rapporti sui quali incide
la transazione. Per gli Enti territoriali non è previsto un particolare iter
procedimentale per gli atti di transazione, ma, ove il medesimo sia dotato di
una propria avvocatura, sarebbe opportuno che questa fosse investita della
questione in analogia a quanto prevede per le Amministrazioni dello Stato l’art.
14 del R.D. n. 2440/1923 (legge di contabilità generale).
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Liguria, del. n. 71 – Rilascio di garanzie a favore di una società partecipata in
liquidazione
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di sottoscrivere, in qualità di
socio, una fideiussione a favore di una società in liquidazione che ha registrato perdite
negli ultimi tre esercizi.
I magistrati contabili della Liguria, con la deliberazione 71/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 26 ottobre, hanno chiarito che anche nella
fattispecie di società in liquidazione, l’eventuale concessione di una garanzia personale
da parte del Comune socio nella ricorrenza dei tre esercizi consecutivi in perdita
costituisce violazione del divieto di soccorso finanziario posto dall’articolo 6, comma
19, del d.l. 78/2010.
Se non è ammissibile, nell’ottica di una sana gestione finanziaria, effettuare salvataggi
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nei confronti di una società in protratta perdita d’esercizio, ma ancora presente sul
mercato, risulta difficile ritenere economicamente razionale un soccorso finanziario
all’esito di una procedura di liquidazione.
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Umbria, del. n. 96 – Acquisto beni mobili società partecipata in liquidazione
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità per l’ente di effettuare
l’operazione di acquisto di beni immobili (impianti e allestimenti) appartenenti ad una
società partecipata, in fase di liquidazione, in quanto idonei e conformi a rendere
interamente fruibile l’immobile di proprietà comunale garantendone la piena e
immediata funzionalità come Centro congressi.
I magistrati contabili dell’Umbria, con la deliberazione 96/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 27 agosto, pur dichiarando inammissibile il
quesito posto, hanno ricordato all’ente che:
 le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del d.lgs. 165/2001, e quindi
anche i Comuni, hanno l’obbligo di fare ricorso, per gli acquisti di beni e servizi
di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, al mercato elettronico
della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai
sensi dell’art. 328 del d.p.r. 207/2010, ovvero al sistema telematico messo a
disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure. Procedure autonome sono consentite solo nel caso di
assenza di disponibilità sul mercato elettronico del bene o del servizio da
acquisire e nel caso di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze
dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali;
 l’articolo 1, comma 141, della legge 228/2012 prevede il divieto di effettuare
spese di ammontare superiore al 20% della corrispondente spesa sostenuta in
media negli anni 2010 e 2011 per l’acquisto di mobili e arredi. La norma
consente di derogare al limite qualora “l’acquisto sia funzionale alla riduzione delle
spese connesse alla conduzione degli immobili” (Corte dei conti, sez. Toscana, del. n.
277/2013);
 l’articolo 6, comma 19, del d.l. 78/2010 ha imposto l’abbandono della logica del
salvataggio a tutti i costi di società pubbliche partecipate alla pubblica
amministrazione che versano in situazioni di irrimediabile dissesto, ovvero
l’ammissibilità d’interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie
a fondo perduto.
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Lombardia, del. n. 246 – Reinternalizzazione personale società in house
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di reinternalizzare i servizi e
il relativo personale a suo tempo ceduto alla società in house, utilizzando i budget
assunzionali 2015 e 2016.
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 246/2015, pubblicata sul
sito della sezione regionale di controllo il 29 luglio, hanno richiamato l’orientamento
restrittivo espresso dalla Sezione Autonomie nella deliberazione 19/2015 che ha
escluso la possibilità di derogare alla previsione contenuta nel comma 424, dell’articolo
1, della legge 190/2014 in quanto la priorità del legislatore è quella della ricollocazione
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del personale soprannumerario degli enti destinatari del riordino ex legge n. 56/2014.
Pertanto, l’ente potrà procedere a reinternalizzare il personale della società in house
solo nel caso in cui il posto in organico da ricoprire necessiti di una specifica
professionalità non reperibile tra le unità soprannumerarie da ricollocare (sempre che,
ovviamente, sussistano tutti i presupposti che ne consentano la reinternalizzazione
quali, ad esempio, l’assunzione a suo tempo del personale mediante selezione
pubblica).
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Trentino Alto Adige, del. n. 16 – Armonizzazione: garanzie a favore di società in
house
Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta applicazione della disciplina
sull’armonizzazione contabile, in particolare dell’articolo 75 del d.lgs. 118/2011,
rubricato “Adeguamento della definizione di indebitamento”, nonché dell’articolo 62
del medesimo provvedimento legislativo, rubricato “Mutui ed altre forme di
indebitamento”.
Nello specifico, l’ente ha chiesto se tra i soggetti a favore dei quali è possibile rilasciare
delle garanzia possano essere ricomprese anche le società in house.
I magistrati contabili del Trentino Alto Adige, con la deliberazione 16/2015, pubblicata
sul sito della sezione regionale di controllo il 28 luglio, hanno ricordato che l’articolo 75
del d.lgs. 118/2011, come modificato dal d.lgs. 126/2014, disciplina e limita il rilascio
delle garanzie da parte degli enti locali e territoriali solo a favore di determinati
“soggetti”, fra cui gli enti e organismi appartenenti al settore delle pubbliche
amministrazioni.
La definizione di “soggetto pubblico” o di “pubblica amministrazione” non è univoca
ed immutabile.
Nel corso degli ultimi anni sono state date varie letture a tale nozione.
Spesso la giurisprudenza ha riconosciuto, dando rilievo a dati sostanziali e funzionali,
natura pubblicistica a soggetti formalmente privati, al fine di sottoporli in tutto o in
parte ad un regime di diritto amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2660/2015).
Tuttavia, secondo i magistrati contabili, la definizione di soggetto beneficiario delle
garanzie pubbliche deve essere ricollegata al perimetro degli organismi inclusi
nell’elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
approvato annualmente dell’Istat ai sensi dell’art. 1, c. 3, della Legge n. 196/2009,
utilizzando i criteri di matrice europea (SEC 2010).
Pertanto, le società in house potrebbero essere incluse tra i soggetti beneficiari delle
garanzie rilasciate dall’ente territoriale solo laddove tali organismi fossero
effettivamente inclusi nell’elenco delle pubbliche amministrazioni redatto dall’Istat e
comunque rientrassero nel conto consolidato dell’ente (a condizione che sussista una
legge che legittimi il rilascio delle garanzie medesime in applicazione del principio di
legalità dell’azione amministrativa).
Tenuto conto della rilevanza della questione, i magistrati contabili hanno rimesso la
questione di massima alla Sezione Autonomie.
Allo stesso modo è stata rimessa all’attenzione della Sezione Autonomie la questione
sulla corretta determinazione del limite quantitativo dell’indebitamento stabilito
dall’articolo 62 del D.lgs. 118/2011 in base al quale “Concorrono al limite di indebitamento
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le rate sulle garanzie prestate dalla regione a favore di enti e di altri soggetti ai sensi delle leggi
vigenti, salvo quelle per le quali la regione ha accantonato l'intero importo del debito garantito”.
In particolare, la sezione Autonomie dovrà chiarire se tale norma possa essere
interpretata in modo estensivo, riconoscendo la possibilità di adottare ulteriori e
differenti meccanismi contabili, diversi dall’accantonamento in bilancio dell’intero
importo del debito garantito, al fine di escludere dalla determinazione del limite
quantitativo dell’indebitamento regionale le rate sulle garanzie prestate dalla Regione a
favore di enti e di altri soggetti ai sensi delle leggi vigenti.
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Sardegna, del. n. 50 – Cda partecipate: compenso fisso e variabile
Un sindaco ha chiesto se la parte del compenso variabile legato al raggiungimento di
determinati obiettivi (e di produzione di utili) erogabile ai membri del consiglio di
amministrazione delle società partecipate dal Comune possa essere attribuita in più
rispetto all’80% del compenso erogato nel 2013.
I magistrati contabili della Sardegna, con la deliberazione 50/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 14 luglio, hanno ribadito che il limite dell’80% del
costo complessivamente sostenuto nel 2013 si applica al trattamento economico
complessivo 2015, comprensivo del compenso fisso e dell’eventuale indennità da
corrispondere sulla base degli utili realizzati.
Pertanto, l’indennità di risultato può essere riconosciuta, nei limiti di cui all’articolo 1,
comma 725 della legge 296/2006, solo se l’onere complessivo, così determinato, non
superi l’80% di quello sostenuto nel 2013 (in tal senso corte dei conti, sez. Lombardia,
del. 88/2015).
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Emilia, del. n. 119 – Compensi amministratori società pubbliche
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4,
comma 4, del d.l. 95/2012 secondo cui, a decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale
sostenuto per i compensi degli amministratori delle società controllate dalle
amministrazioni pubbliche, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da
prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90%
dell’intero fatturato, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto
nell’anno 2013.
L’ente ha premesso di non aver corrisposto, nell’anno di riferimento per il computo del
tetto di spesa, ovvero nell’anno 2013, alcun compenso, avendo attribuito la carica a
consiglieri comunali.
I magistrati contabili dell’Emilia, con la deliberazione 119/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 13 luglio, hanno ribadito che tale vincolo deve
essere interpretato come tassativo, tale da non consentire eccezioni derivanti da
situazioni contingenti.
Ciò, inoltre, senza poter tenere conto delle competenze professionali concretamente
richieste per la gestione dell’incarico (in tal senso, corte dei conti, sez. Piemonte n.
107/2015 e sez. Lombardia n. 88/2015).
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Piemonte, del. n. 107 – Compensi amministratori di società partecipate
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4,
comma 4, della legge 135/2012, come modificato dal d.l. 90/2014, secondo cui “A
decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di
tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può
superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013”.
In particolare l’ente ha chiesto quale sia il significato da attribuire alla locuzione “costo
complessivamente sostenuto nell’anno 2013” qualora il C.d.A. sia formato da consiglieri
privi di compenso, perché amministratori di enti locali, e da consiglieri pagati.
I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 107/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 10 luglio, hanno ricordato che la norma fa
riferimento ai “consigli di amministrazione delle società controllate direttamente o
indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, che abbiano conseguito nell'anno
2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90
per cento dell'intero fatturato”, i cui componenti non possono essere in misura superiore
a 3.
Per tali consigli si applica la logica dei tagli lineari, prendendo a riferimento il
parametro offerto dal costo sostenuto nell’anno 2013.
Il concetto di “costo sostenuto” impone di includere nella base di calcolo i soli membri
del consiglio di amministrazione aventi diritto ad un compenso, rispetto ai quali possa
configurarsi un “costo sostenuto”.
Non è possibile, pertanto, propendere per un’interpretazione diretta a computare nella
base di calcolo anche i compensi figurativi (cioè quelli astrattamente spettanti ai
consiglieri in realtà non aventi diritto).
Tale soluzione risulta in linea con l’intenzione del legislatore di perseguire la
contrazione dei costi degli apparati di strutture latamente pubblicistiche, incentivando
la nomina di amministratori non aventi diritto al compenso.
L’inciso “ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche” mira a
rafforzare l’effettività del limite di spesa, tenendo ad evitare intenti elusivi perseguiti
mediante l’attribuzione di incarichi ulteriori agli stessi amministratori.
Secondo i magistrati contabili “è ragionevole ritenere che la locuzione in esame debba
comprendere qualunque ulteriore incarico assegnato agli amministratori societari per il quale
venga corrisposto un autonomo compenso. E’ chiaro, peraltro, che deve pur sempre trattarsi di
incarichi riferibili alla gestione societaria in senso lato”.
___________________________________
Marche, del. n. 137 – Compenso amministratori società partecipate
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione della disciplina
recata dai commi 4 e 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012, recentemente novellati dal d.l.
90/2014, in materia di compensi agli amministratori delle società partecipate.
I magistrati contabili delle Marche, con la deliberazione 137/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 22 giugno, hanno ricordato che il d.l. 90/2014 ha
fissato una soglia al costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle
società, pari all’80% del compenso corrisposto nel 2013.
Secondo i magistrati contabili, sono assoggettate a tale vincolo tutte le società
12
totalmente pubbliche, comprese quelle che svolgono servizi pubblici, a prescindere dal
requisito del volume di fatturato, stante il rinvio operato dal successivo comma 5 “alle
altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta”.
La disposizione si riferisce espressamente al “costo sostenuto per i compensi”.
Pertanto, non devono essere inserite, nella base di calcolo per l’applicazione della
percentuale di riduzione, le voci di costo relative ai rimborsi spese che, ex se ed in
quanto meramente eventuali, si atteggiano come ontologicamente distinte rispetto al
compenso richiamato.
_______________________________
Abruzzo, del. 101 – Partecipate e piano di razionalizzazione
La Corte dei Conti, sez. contr. Abruzzo, con la deliberazione n. 101 depositata il 20
maggio 2015, ha richiamato un’Università all’adempimento dell’obbligo di
trasmissione del piano operativo di razionalizzazione e della relativa relazione tecnica,
inviando tale sollecito al Rettore e alla Procura regionale perché valutino, per quanto di
competenza, l’eventuale conseguenze sulla retribuzione di risultato dei dirigenti e la
sussistenza di eventuali profili di responsabilità per danno all’immagine, ai sensi
dell’art. 46 del d.lgs. 33/2013.
L’articolo 1, comma 611, della legge di stabilità 2015, ha introdotto rilevanti novità in
materia di società partecipate, con la finalità di assicurare il coordinamento della
finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione
amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato.
Al riguardo, in un quadro normativo complessivamente teso a incrementare il livello
di responsabilizzazione dei soci pubblici nella gestione delle proprie partecipate, tale
disposizione impone l’avvio, dal 1° gennaio 2015, di un processo di razionalizzazione
delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute,
da consentirne la riduzione entro il 31 dicembre 2015.
Il piano di razionalizzazione deve essere pubblicato sul sito dell’ente e tale
adempimento costituisce obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013.
L’articolo 46 del citato decreto 33 stabilisce che l’inadempimento degli obblighi di
pubblicazione previsti dalla normativa costituisce elemento di valutazione della
responsabilità dirigenziale e eventuale causa di danno all’immagine dell’ente ed è
valutabile ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento
accessorio connesso alla performance individuale dei responsabili.
I magistrati contabili dell’Abruzzo hanno ricordato che dopo un mese dalla scadenza
prevista dalla legge di stabilità 2015, con nota del magistrato istruttore è stata
comunicata all’ente la mancata trasmissione del piano di razionalizzazione e
dell’allegata relazione tecnica, sollecitandone ulteriormente l’invio entro l’8 maggio
2015. Decorso tale data, l’Ateneo ha comunicato che stava ancora provvedendo alla
stesura della relazione e del piano.
La Corte dei Conti, con la deliberazione in commento, ha accertato la violazione da
parte dell’organo di vertice dell’Università degli obblighi di approvazione,
pubblicazione e invio alla Corte dei conti del piano operativo di razionalizzazione e
della relativa relazione tecnica delle società partecipate, direttamente e indirettamente
dall’Ateneo e ha ordinato allo stesso organo di vertice di trasmettere tali atti
tempestivamente.
13
Infine, i magistrati hanno trasmesso al Rettore e alla Procura Regionale per l’Abruzzo
la deliberazione affinché venissero effettuate le valutazioni di competenza in ordine
alla sussistenza di eventuali profili di responsabilità per danno all’immagine e ai fini
della valutazione dei dirigenti coinvolti, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. 33/2013.
_________________________________
Campania, deliberazione n. 123 – Provincia: compenso presidente e cda società
partecipate
Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta individuazione del
parametro cui rapportare, ai sensi dell’articolo 1, comma 725, della legge 296/2006, il
compenso lordo annuale, onnicomprensivo, da attribuire al presidente e ai componenti
del consiglio di amministrazione di società a totale partecipazione di province.
I magistrati contabili della Campania, con la deliberazione 123/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 16 aprile, hanno ricordato che la legge 56/2014 ha
attribuito agli enti di area vasta un determinato numero di funzioni fondamentali,
modificando, di conseguenza, l’assetto degli organi di governo dell’ente, con
l’individuazione dei seguenti organi della provincia: il presidente, il consiglio
provinciale e l’assemblea dei sindaci.
In particolare, la riforma prevede che gli incarichi di presidente, consigliere provinciale
e di componente dell’assemblea dei sindaci siano esercitati a titolo gratuito.
Si pone dunque un problema interpretativo in quanto l’articolo 1, comma 725, della
legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) prevede che nelle società a totale partecipazione
di comuni o province, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al
presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore
per il presidente al 70% e per i componenti al 60% delle indennità spettanti,
rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell'articolo 82 del
Tuel.
E’, infatti, venuto meno, il parametro cui commisurare il compenso massimo degli
amministratori delle società partecipate dalle Provincie.
La sezione ha dunque ipotizzato, in via meramente esemplificativa, le seguenti
supposizioni interpretative:
 il compenso attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di
amministrazione dovrebbe essere gratuito (interpretazione letterale);
 il parametro di riferimento potrebbe essere individuato nell’indennità spettante
al sindaco al quale è stata attribuita anche la carica di presidente della Provincia
(interpretazione analogica);
 la Provincia dovrebbe privilegiare soluzioni che privilegino il contenimento dei
costi ascrivibili agli organismi partecipati.
La concreta scelta gestionale circa il parametro cui commisurare il compenso
“massimo” spettante agli amministratori delle società partecipate rimane nella
responsabilità delle Province, che dovranno attentamente valutare il nuovo assetto
delle funzioni e la forte limitazione dei trasferimenti, onde evitare che le già limitate
risorse finanziarie vengano assorbite dagli organismi partecipati (principio del buon
andamento dell’azione amministrativa, art. 97 della Costituzione).
Come evidenziato dai magistrati contabili, trovano comunque immediata e inequivoca
applicazione i seguenti limiti:
14
-
articolo 4 del d.l. 95/2012, ai sensi del quale, “a decorrere dal 1º gennaio 2015, il
costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi
compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare
l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013. In virtù del
principio di onnicomprensività della retribuzione, qualora siano nominati dipendenti
dell'amministrazione titolare della partecipazione, o della società controllante in caso di
partecipazione indiretta o del titolare di poteri di indirizzo e di vigilanza, fatto salvo il
diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate, nel rispetto del
limite di spesa di cui al precedente periodo, essi hanno l'obbligo di riversare i
relativi compensi all'amministrazione o alla società di appartenenza e, ove riassegnabili,
in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento
economico accessorio".
- tutte le norme che limitano il numero dei componenti dei consigli di
amministrazione delle società partecipate (art. 4, del d.l. 95/2012, modificato
dall’art. 16 del d.l. 90/2014).
_____________________________
Piemonte, deliberazione n. 53 – Incompatibilità del revisore dipendente della società
Un sindaco ha chiesto se sussista incompatibilità e ineleggibilità nel caso in cui il
candidato revisore sia dipendente a tempo indeterminato di una società pubblica in
house pluripartecipata.
I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 53/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 31 marzo, hanno ricordato che l’articolo 236 del
Tuel, comma 1, estende all’organo di revisione le ipotesi di incompatibilità previste
dall’articolo 2399 del codice civile, specificando che per “amministratori” devono
intendersi i componenti dell’organo esecutivo dell’ente locale.
Tale articolo prevede un’ipotesi di ineleggibilità/decadenza, tra l’altro, per “coloro che
sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a
quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di
consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale
che ne compromettano l'indipendenza” (comma 1, lett. C).
Per completezza vanno richiamati il terzo comma dell’articolo 236 Tuel, a mente del
quale “i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o
consulenze presso l'ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque
sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso”, e l’articolo 10, primo e secondo comma, del
decreto legislativo n. 39/2010 in tema di indipendenza ed obiettività dei revisori legali
(“il revisore legale e la società di revisione legale che effettuano la revisione legale dei conti di
una società devono essere indipendenti da questa e non devono essere in alcun modo coinvolti
nel suo processo decisionale”).
Per quanto concerne il rapporto tra l’organo di controllo e l’ente controllato, l’articolo
2399 c.c. ritiene che l’indipendenza del revisore possa essere compromessa “da un
rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera
retribuita”, ovvero, con clausola di carattere generale, “da altri rapporti di natura
patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza”.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra l’ente locale e la sua partecipata, va
ricordato che l’articolo 2399 c.c. fa espresso riferimento, così delimitando le ipotesi di
difetto di indipendenza del revisore, “alle società da questa controllate o alle società che la
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controllano o a quelle sottoposte a comune controllo”.
Il terzo comma dell’articolo 236 Tuel, a sua volta, menziona gli “organismi o istituzioni
dipendenti”, chiaro riferimento ad aziende speciali, istituzioni o consorzi dell’ente locale
(questi ultimi assimilati alle aziende dall’articolo 31 Tuel), nonché gli organismi
“comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso”.
Secondo i magistrati contabili, affinché si possa parlare di “dipendenza”, “controllo” o
“vigilanza” con riferimento ad organismi di tipo societario “deve trattarsi non solo di una
partecipata, ma anche di una società controllata dall’ente, nel senso indicato dall’art. 2359, 1°
comma, c.c. (partecipazione totalitaria o di controllo, ovvero sussistenza di controllo c.d.
contrattuale)” (corte dei conti, sez. Veneto, del. 176/2013).
Nel caso di società pubblica posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo
analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia
indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse
(principio di diritto enunciato nel caso “Coditel Brabant SA” dalla Corte di Giustizia III
Sezione 13 novembre 2008, punti 47 e 50).
Come ribadito dalla giurisprudenza nazionale, il requisito del controllo analogo deve
essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che
la signoria della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettiva e reale, sia
esercitata dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della
posizione dominante di ogni singolo ente (cfr. Cons. St. sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082;
30 aprile 2009, n. 2675; 9 marzo 2009, n. 1365; 24 settembre 2010, n. 7092; 08 marzo 2011,
n. 1447).
In presenza di una simile situazione, la Sezione ritiene si configuri il presupposto del
rapporto di ”controllo” e “vigilanza” di cui all’articolo 236, comma 3, del Tuel.
D’altra parte, a conferma di simile conclusione, va ricordato che ai sensi dell’articolo 4,
comma 18, del decreto legge n. 138/2011, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.
148, “In caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a società
cosiddette in house…, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonché ogni
eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti, secondo modalità
definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli
articoli 234 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni”: tale normativa conferma l’esigenza di indipendenza del revisore
dell’ente locale dalla partecipata in house.
Alla luce di quanto esposto, sarà cura ed esclusiva competenza dell’Ente stabilire se il
legame esistente con la società presenti le caratteristiche e la rilevanza di cui all’art.
2359 c.c. con le precisazioni sopra offerte in tema di società in house.
Spetterà, dunque, all’ente, l’accertamento (rigoroso) della ricorrenza del menzionato
presupposto e, quindi, della effettiva natura del rapporto esistente con la società
partecipata.
___________________________
Autonomie, deliberazione n. 9 – Mobilità del personale dipendente da società
partecipate
I magistrati contabili della sezione delle Autonomie, con la deliberazione 9/2015,
pubblicata sul sito il 6 marzo, hanno chiarito che ai dipendenti dei consorzi, in
particolare di quelli di sviluppo industriale, non si estende la disciplina dell’articolo 1,
16
commi 563-568, della legge 147/2013, in materia di mobilità del personale dipendente
da società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni.
La sezione Autonomie è intervenuta a seguito della questione sollevata dalla Corte dei
Conti delle Marche con la deliberazione 143/2014, in merito alla possibilità di estendere
ai consorzi la normativa riferibile agli organismi partecipati aventi natura societaria.
Come evidenziato dai magistrati contabili, la legge di stabilità 2014, fermo restando il
divieto di attuare processi di mobilità fra la partecipata e l’Ente controllante, ha
introdotto un meccanismo diretto a far sì che il personale a rischio di esubero possa
essere trasferito verso altre società sulla base di apposite convenzioni tra le società
stesse (escluse le quotate e quelle da esse controllate).
I processi di mobilità tengono conto dei fabbisogni di personale e delle esigenze
funzionali e organizzative di ciascuna società e si perfezionano senza il consenso del
lavoratore, con il solo obbligo dell’informativa alle rappresentanze aziendali e alle
organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato in azienda.
Analoga informativa è prevista per le società partecipate che rilevino eccedenze di
personale, oppure nell’ipotesi in cui l’incidenza delle spese di personale sia pari o
superiore al 50% delle spese correnti: con essa sono individuati il numero, la
collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza.
Spetta all’ente controllante provvedere alla riallocazione totale o parziale del personale
in eccedenza nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di
gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente
o dai suoi enti strumentali.
Con il d.l. 16/2014 è stato riconosciuto al personale in esubero delle società partecipate
che risulti privo di occupazione, fatta salva l’applicazione delle misure sopra riferite, la
precedenza, a parità di requisiti, per l’impiego nell’ambito di missioni afferenti a
contratti di somministrazione di lavoro stipulati dalle stesse pubbliche
amministrazioni, per esigenze temporanee o straordinarie, proprie o di loro enti
strumentali.
Il meccanismo è stato poi incentivato consentendo al personale dipendente delle società
di presentare alla società datrice di lavoro o all’ente controllante, entro un termine
determinato, istanza di ricollocazione anche in una qualifica inferiore nella stessa o in
altra società (art. 1, comma 567-bis, legge 147/2013, introdotto dal d.l. 90/2014).
Le stesse disposizioni sulla mobilità del personale dipendente dalle società partecipate
sono state estese dal legislatore alle aziende speciali (art. 1, comma 568-bis, d.l.
147/2014).
Secondo i magistrati contabili, tale disciplina, in quanto avente natura eccezionale,
necessita di una stretta interpretazione, nonostante le esigenze sottese alla riallocazione
del personale delle società/aziende speciali da dismettere o da alienare possa rilevare
anche per altre tipologie di organismi sottoposti a controllo pubblico, con forma
giuridica diversa da quella societaria.
__________________________________
Abruzzo, deliberazione n. 22 – Trasporto scolastico
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di assumere a carico del
bilancio comunale le spese per l’istituzione ex novo del servizio di trasporto per gli
alunni della scuola secondaria di primo grado.
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I magistrati contabili dell’Abruzzo, con la deliberazione 22/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 3 marzo, hanno evidenziato che il servizio di
trasporto alunni rientra nel più vasto concetto di “assistenza scolastica”, le cui funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni ex articolo 45 d.p.r. 616/1977 e le modalità di
svolgimento sono demandate alla competenza legislativa regionale.
La Regione Abruzzo, con la legge 478/1978, ha assegnato ai Comuni le funzioni
amministrative relative alla materia “assistenza scolastica” concernenti tutte le
strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze
in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni
scolastiche pubbliche o private, e, tra queste, il servizio di trasporto alunni.
Come evidenziato dai magistrati contabili la competenza comunale riferita agli
interventi di trasporto è stata delineata dalla legge regionale non come obbligo di
attivare il servizio comunque ed a qualunque condizione, bensì come obbligo di
assicurare il trasporto “speciale” di quegli alunni che si trovino in “disagiate condizioni
economiche” e con riferimento anche alla loro “capacità e meriti scolastici”.
____________________________________
Lombardia, deliberazione n. 33 – Revoca procedura liquidatoria società
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di revocare la fase di
liquidazione di una società interamente partecipata dall’ente, alla quale era stata
conferita la proprietà di un immobile adibito a palestra, in considerazione del mutato
quadro normativo, della scarsa convenienza economica dell’operazione, nonché
dell’irrisorietà dei costi della società.
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 33/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 17 febbraio, pur dichiarando inammissibile il
quesito posto, hanno ricordato che la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha
ridimensionato l’obbligo di dismissione delle società pubbliche.
Nello specifico, i commi 550 - 569 prevedono che nel caso in cui vi siano aziende
speciali, istituzioni o società partecipate dalle p.a. che presentino un risultato di
esercizio o saldo finanziario negativo, dal 2015 gli enti soci devono accantonare in
bilancio, in un apposito fondo vincolato, un importo pari al 25% del risultato negativo
(raffrontato con il risultato medio d’esercizio 2011-2013) non immediatamente
ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, facendo gravare la
perdita sul bilancio dell’ente pubblico socio.
In merito al quesito posto, i magistrati hanno rimesso la decisione al comune,
ribadendo che spetterà all’ente dimostrare l’adeguata razionalità economica di tale
operazione.
______________________________
Lombardia, deliberazione n. 30 – Reinternalizzazione servizi strumentali e accollo
debiti società
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta procedura da adottare per la
reinternalizzazione di servizi strumentali, precedentemente affidati a una società
partecipata.
L’ente ha premesso di aver avviato un processo di riassetto della società, per non
incorrere nel divieto di esercitare congiuntamente servizi strumentali e pubblici locali
18
(quali i servizi farmaceutici) di cui all’articolo 13 del d.l. 223/2006.
A tal fine, l’ente ha deliberato la reinternalizzazione della gestione del verde pubblico e
della manutenzione del patrimonio immobiliare comunale, lasciando alla società la
gestione delle farmacie e di altri servizi con essa compatibili.
Il comune ha chiesto alla corte dei conti se sia possibile, in concomitanza alla
reinternalizzazione delle attività accollarsi il finanziamento contratto dalla società.
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 30/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 17 febbraio, hanno ribadito che spetterà all’ente
riscontrare che il negozio da stipulare persegua l’interesse pubblico e non si ponga in
contrasto coi limiti posti dalle norme contabili.
In primo luogo, dovrà essere accertato il rispetto dell’articolo 6, comma 19, del d.l.
78/2010, in quanto l’accollo deve corrispondere ad uno specifico e concreto interesse
pubblico, la cui esistenza deve essere motivata alla luce degli scopi istituzionali e della
necessità di perseguire i canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione
amministrativa, soprattutto, in termini di razionalità economica.
Infine, l’accollo di un debito contratto da una società partecipata si qualifica come
nuovo indebitamento per l’ente.
Il contratto di accollo consiste, infatti, in un accordo fra terzo (Comune) e debitore
finalizzato all’assunzione del debito dell’accollato (art. 1273 cod. civ.).
Anche nel caso di pregressa prestazione di fideiussione da parte del Comune (o di altra
garanzia atipica di tipo personale), quest’ultimo, prima obbligato quale mero
fideiussore, muta il titolo del rapporto obbligatorio esistente con l’istituto di credito (da
garante a debitore principale), nonché il regime delle eccezioni opponibili (cfr. art. 1945
cod. civ. e art. 1273 cod. civ.).
L’istituto del c.d. accollo esterno, in sostanza, implica che l’accollante assuma in toto il
debito dell’accollato e che tale impegno divenga irrevocabile in seguito all’adesione del
creditore accollatario (cfr. art. 1411 cod. civ.).
Di conseguenza, costituendo per l’ente locale nuovo indebitamento, il contratto di
accollo esterno deve rispettare i presupposti e i limiti previsti dagli artt. 202 e ss. del
d.lgs. 267/2000.
Inoltre, la stipula di contratti di accollo è subordinata alla verifica di compatibilità
anche con la disciplina del patto di stabilità.
In caso di mancato conseguimento degli obiettivi posti dal patto per l’esercizio 2014,
infatti, l’articolo 31, comma 26, della legge 183/2011 prevede, fra l’altro, nell’anno
successivo a quello dell’inadempienza (nel caso di specie, il 2015) il divieto di ricorrere
all’indebitamento per finanziare investimenti.
Come chiarito dalla Circolare MEF-RGS 6/2014, ai fini dell’applicazione di tale
sanzione, costituiscono indebitamento le operazioni di cui all’articolo 3, comma 17,
della legge 350/2003 (come modificata dal d.lgs. 126/2014), nonché tutte quelle
operazioni volte alla ristrutturazione di debiti verso fornitori che prevedono il
coinvolgimento diretto o indiretto dell’ente locale (come ogni altra operazione
contrattuale che, di fatto, anche in relazione alla disciplina europea sui partenariati
pubblico privati, si traduca in un onere finanziario assimilabile, per l’ente locale, a
indebitamento).
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Puglia, deliberazione n. 1 – Ricorso al lavoro flessibile per le società partecipate
Un sindaco ha chiesto se la limitazione all’utilizzo del lavoro flessibile, prevista
dall’articolo 36 del d.lgs. 165/2001, debba essere rispettata anche dalle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo.
I magistrati contabili della Puglia, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito della
sezione regionale di controllo il 20 gennaio, hanno ricordato che l’articolo 18, comma 2
bis, del d.l. 112/2008, come da ultimo modificato dal d.l. 90/2014, pur avendo
eliminato l’obbligo in capo alle società partecipate di conformarsi alle disposizioni
normative limitative in capo agli enti controllanti, obbliga le stesse ad attenersi al
principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri
contrattuali e delle assunzioni di personale.
Principio ribadito recentemente nella legge di stabilità 2015 che impone a Regioni,
Province autonome, enti locali, Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, Università, istituti di istruzione universitaria pubblici e autorità portuali, a
decorrere dal 1º gennaio 2015, di avviare un processo di razionalizzazione delle società
delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da
conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015.
Un ruolo preponderante assumono, inoltre, gli atti di indirizzo dell’Ente controllante
che devono tener conto delle disposizioni che stabiliscono a carico dell’Ente medesimo
divieti o limitazioni alle assunzioni di personale e quindi gli Enti non potranno
ignorare, in sede di predisposizione dei predetti atti di indirizzo, i presupposti e le
limitazioni in materia di ricorso al lavoro flessibile ed in particolare i requisiti di
temporaneità ed eccezionalità.
Come evidenziato dai magistrati contabili, anche nel settore privato il contratto di
lavoro a cui è apposto un termine costituisce fattispecie eccezionale posto che, ai sensi
dell’articolo 1, del d.lgs. 368/2001 (cosiddetta Legge Biagi), la forma comune di
rapporto di lavoro è quella a tempo indeterminato.
Secondo i magistrati contabili, pertanto, anche le società a partecipazione pubblica
totale o di controllo non possono ricorrere alla somministrazione di lavoro oltre i limiti
temporali di trentasei mesi previsti dal d.lgs. 368/2001 rilevato che tale possibilità, oltre
a risultare in contrasto con il principio di riduzione dei costi di personale, non appare
consentita dall’ordinamento neppure nel settore privato.
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Toscana, deliberazione n. 1 – Assunzione personale società partecipata
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4,
comma 12-bis, del d.l. 66/2014, in particolare se il principio di riduzione dei costi del
personale cui devono attenersi le società a partecipazione pubblica locale totale o di
controllo, sia da considerare in senso assoluto o se, viceversa, possa essere parametrato
all’incremento dei servizi resi e, conseguentemente, alla crescita del fatturato.
L’ente, in qualità di partecipante, unitamente ad altri enti locali, ad una società in house
a cui è affidato il trattamento dei rifiuti urbani, ha premesso che la società, tenuto conto
dell’aumento quantitativo dell’attività svolta (raccolta domiciliare dei rifiuti), prevede,
da un lato, un aumento del fatturato sociale e, dall’altro, una crescita del fabbisogno di
personale da assumere stabilmente.
Incremento della spesa del personale dovuto, altresì, all’ingresso, nella compagine
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sociale, di un altro comune, con relativo aumento del capitale della società e
contestuale assunzione di parte del personale a tempo indeterminato attualmente
impiegato nel servizio di raccolta rifiuti presso il comune neo socio.
I magistrati contabili della Toscana, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 16 gennaio, hanno chiarito che la nuova
disciplina, introdotta dal d.l. 66/2014 che ha novellato il comma 2-bis dell’articolo 18
del d.l. 112/2008, ha rimesso all’autonomia degli enti soci l’emanazione di un atto di
indirizzo in cui devono essere definiti i criteri cui le società devono attenersi per
conseguire una riduzione dei costi del personale.
In particolare, l’atto di indirizzo dell’ente socio deve dare indicazioni in merito al
contenimento degli oneri contrattuali, per ridurre l’incidenza delle voci accessorie,
straordinarie e variabili relative ai rapporti già in essere, e, dall’altro lato, alla
limitazione delle nuove assunzioni.
I magistrati contabili della Toscana hanno evidenziato che è riconosciuta la facoltà per
l’ente di prendere in considerazione anche il “settore di operatività” delle società,
introducendo così un ulteriore criterio discrezionale su cui l’ente locale può articolare
autonomamente l’atto di indirizzo.
Se è vero, infatti, che il principio guida che l’ente deve perseguire è quello della
“riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle
assunzioni”, nondimeno risulta necessario valutare anche l’ambito di operatività in cui
le società esplicano la propria attività, in modo da non compromettere il corretto
svolgimento dei servizi ad esse affidati.
Come evidenziato dai magistrati contabili, “la raccolta rifiuti rientra certamente nel novero
delle attività essenziali dell’ente poiché indirizzata a garantire l’igiene e la sanità pubblica”.
La peculiarità del servizio, con i suoi risvolti di utilità, potrà quindi essere
opportunamente considerata dall’ente nella definizione del proprio atto di indirizzo.
Spetterà all’ente, pertanto, vagliare e percorrere impostazioni coerenti con le
prescrizioni finalistiche della legge, nel rispetto degli ordinari criteri di efficienza ed
economicità del servizio.
Si evidenzia, infine, che come precisato dai magistrati toscani “l’ingresso di un nuovo
socio in una società preesistente non integra, di per sé, gli estremi di una circostanza tale da
giustificare l’aumento del personale in servizio nella società, dal momento che proprio la finalità
di contenimento della spesa costituisce – come detto – una delle principali ragioni di adozione
del mezzo societario da parte dell’amministrazione”.
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Lombardia, deliberazione n. 1 – Riduzione compensi amministratori società
Un sindaco ha chiesto un parere in merito al compenso da attribuire all’amministratore
unico di una società partecipata per la gestione di due farmacie.
L’ente ha premesso che il d.l. 90/2014 stabilisce un limite, quello dell’80%, del
compenso corrisposto nel 2013.
Posto che l’ente in quell’annualità non corrispondeva alcun compenso per
l’amministrazione della società – visto che attribuiva la carica a consiglieri comunali –
ha chiesto se può essere utilizzato quale parametro l’ultimo compenso erogato,
risalente al 2008.
I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito
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della sezione regionale di controllo il 14 gennaio, hanno ricordato che, a decorrere dal
primo gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori
delle società controllate direttamente o indirettamente dalle p.a., fra le quali sono
ricompresi i comuni che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione
di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell'intero fatturato
(c.d. società strumentali), non può superare l'80% del costo complessivamente
sostenuto nell'anno 2013 (articolo 4, comma 4, del 95/2012).
Il medesimo vincolo è stabilito nel comma 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012 con
riferimento alle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta.
Come evidenziato dai magistrati contabili, il legislatore ha previsto una riduzione dei
compensi erogati agli amministratori delle società, senza tuttavia vietare agli enti locali
la possibilità di nominare quali amministratori dei soggetti esterni, e ciò anche
considerando le incompatibilità introdotte con il d.lgs. 39/2013.
Pertanto, in assenza di un parametro di riferimento sul quale calcolare la percentuale
dell’80%, lo stesso può essere individuato nell’ultimo esercizio nel quale l’ente locale
privo della tipologia di spesa in esame nell’anno 2013 abbia affrontato tale spesa,
purché l’importo sul quale calcolare il limite di spesa sia aggiornato tenendo conto
delle limitazioni introdotte con l’articolo 6, comma 6, del d.l. 78/2010.
Infine, i magistrati contabili hanno evidenziato la necessità che il compenso erogato al
singolo amministratore rispetti quanto previsto dall’articolo 1, comma 725, della legge
296/2006.
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Marche, deliberazione n. 143 – Mobilità personale tra società partecipate
Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione della
disciplina recata dall’articolo 1, commi 563 e ss. della Legge di stabilità 2014, in tema di
mobilità di personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni.
In particolare l’ente ha chiesto se tale normativa, riferita agli organismi partecipati di
natura societaria, sia applicabile anche agli enti pubblici economici (nella specie
consorzi di sviluppo industriale).
I magistrati contabili delle Marche, con la deliberazione 143/2014, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo l’8 gennaio 2015, hanno ricordato che la legge di
stabilità 2014 ha introdotto una inedita procedura volta a favorire i processi di mobilità
del personale tra le società controllate direttamente o indirettamente dalle p.a. o dai
loro enti strumentali e, conseguentemente, a consentire una ottimale allocazione delle
risorse umane.
A tal riguardo si prevede che le società controllate, direttamente o indirettamente dalle
p.a., o dai loro enti strumentali, possono sulla base di un accordo tra di esse, realizzare,
senza il consenso del lavoratore, processi di mobilità del personale, previa informativa
alle rappresentanze sindacali operanti presso la società ed alle organizzazioni sindacali
firmatarie del contratto collettivo applicato, in coerenza con il rispettivo ordinamento
professionale e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
Centrale il ruolo svolto, nell’ambito dell’articolato iter, dagli enti controllanti che sono
tenuti a definire appositi piani industriali, in relazione alle esigenze di riorganizzazione
delle funzioni e dei servizi esternalizzati e, conseguentemente, ad adottare atti di
indirizzo affinché le società, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di
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risorse umane assumano mediante mobilità personale di altre società pubbliche.
Lo stesso Ente controllante è tenuto a curare la ricollocazione totale o parziale del
personale eccedentario nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme
flessibili di gestione del tempo di lavoro ovvero presso altre società controllate dal
medesimo ente o dai suoi enti strumentali.
In vista di un’ampia applicazione dell’istituto sono, altresì, previste forme di
trasferimento in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo
operanti anche al di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società
interessate da eccedenze di personale nonché specifiche agevolazioni fiscali in relazione
a società che, nell’ambito della propria disponibilità di bilancio, si facciano carico (per
un periodo massimo di tre anni) del trattamento economico del personale interessato
dalla mobilità.
La mobilità non può comunque avvenire tra le società e le p.a.
Secondo i magistrati contabili, tale disciplina dovrebbe essere interpretata
estensivamente e, dunque, ricomprendere nel suo ambito di applicabilità, la variegata e
disomogenea realtà degli organismi partecipati, nel cui novero non sono ricomprese
esclusivamente le società.
La questione sulla possibilità di includere, nel novero dei soggetti incisi dalla disciplina
sulla mobilità tra società pubbliche, anche i consorzi, è stata rimessa alla Sezione
Autonomie.
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Campania, deliberazione n. 254 – Costi del personale società in house
Un sindaco ha chiesto se i dipendenti di una società in house, interamente controllata
da enti pubblici, siano soggetti al “blocco” dei contratti, come i dipendenti degli enti
locali, sia per la retribuzione individuale che per la retribuzione accessoria.
I magistrati contabili della Campania, con la deliberazione 254/2014, pubblicata sul sito
della sezione regionale di controllo il 7 gennaio 2015, hanno evidenziato che nonostante
l’abrogazione della immediata e diretta applicazione alle aziende speciali, istituzioni e
società a partecipazione pubblica, di alcuni tipi di vincoli alle assunzioni e alle spese di
personale previsti per le amministrazioni di riferimento, il nuovo dettato legislativo
introdotto dal d.l. 66/2014 e dal d.l. 90/2014 obbliga al rispetto dell’inequivocabile
principio della riduzione dei costi del personale degli organismi partecipati dagli enti
pubblici, sia in termini di contenimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti
da assunzioni di personale, in armonia con quanto disposto, in via generale, negli anni,
in tema di riduzione globale della spesa pubblica.
Il legislatore ha previsto:
- la predisposizione, da parte dell’ente controllante, di un proprio “atto di
indirizzo” che, in conformità a quanto disposto, a suo carico in tema di divieti o
limitazioni alle assunzioni di personale, definisca, per ciascun organismo
partecipato, i criteri e le modalità per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei
costi, previa verifica dello specifico settore di appartenenza;
- l’adozione, da parte di ogni ente partecipato, di propri provvedimenti di
attuazione degli indirizzi espressi dall’ente controllante, con specifico obbligo,
nel caso di riduzione degli oneri contrattuali, di recepimento degli stessi in sede
di contrattazione di secondo livello.
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Tale previsione obbliga sia i controllanti che i controllati ad una seria valutazione della
propria situazione economico-finanziaria, nonchè delle reali e concrete necessità che a
ciascuno di essi fanno capo, facendo emergere la responsabilità di ciascuno nel caso di
mancata attuazione delle misure che conformino i propri costi in maniera coerente con
la qualità dei servizi prestati.
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