Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia
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Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia
Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia Federica Caponi Pisa – 23 febbraio 2016 Raccolta Corte dei Conti di Federica Caponi Pisa – 23 febbraio 2016 La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di: Federica Caponi. 2 Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia Federica Caponi Pisa – 23 febbraio 2016 3 Piemonte, del. n. 5 – Le società consortili rientrano nella razionalizzazione delle partecipazioni Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di poter acquisire una partecipazione nell’ambito di una società consortile a responsabilità limitata, il cui scopo sociale è quello di promuovere lo sviluppo sociale ed economico del territorio e che stante la produzione di servizi di natura generale a carattere non industriale o commerciale, priva di rilevanza economica in senso tecnico I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 5/2016, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 3 febbraio, hanno evidenziato che l’attuale quadro normativo pone dei limiti alla costituzione degli organismi partecipati, sino a disporne l’alienazione, lo scioglimento o la razionalizzazione e/o ristrutturazione. Nello specifico, la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) impone alle amministrazioni pubbliche, tra cui in particolare gli enti locali, di procedere ad una complessiva revisione e riduzione delle partecipazioni nelle società, mediante l’approvazione di un piano di razionalizzazione delle partecipazioni. Come evidenziato dai magistrati contabili, anche le società consortili rientrano nella razionalizzazione delle partecipazioni (a differenza del consorzio tra enti locali costituito ex art. 31 del d.lgs. 267/2000, come chiarito dalla sezione Veneto nella deliberazione n. 205/2015). La razionalizzazione delle partecipazioni deve avvenire innanzitutto mediante l’eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Tale previsione non costituisce una novità assoluta, atteso che riprende la disciplina posta dall’articolo 3, commi 27-28, della legge n. 244/2007, che vieta alle p.a. di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Mentre la norma del 2007 si riferisce alle partecipazioni dirette, la disciplina della legge 190/2014 coinvolge sia le partecipazioni dirette che quelle indirette. Pertanto, fermo restando il divieto di mantenere società non coerenti con le proprie finalità istituzionali (principio della funzionalizzazione), il legislatore ha imposto alle p.a. la dismissione di quelle società che, pur coerenti con i fini istituzionali dell’ente, non sono indispensabili al loro perseguimento. E’ quindi evidente che la prima valutazione che un ente deve compiere è quella attinente la coerenza della partecipazione detenuta: solo dopo aver effettuato questa valutazione l’Ente dovrà procederà a verificare l’indispensabilità della partecipazione per il conseguimento di quei fini. La normativa del 2014 si riferisce espressamente al mantenimento delle partecipazioni di cui è già titolare l’ente. Come evidenziato dai magistrati contabili, nonostante l’acquisizione di nuove partecipazioni non sia in assoluto vietata, è evidente come una tale scelta “si ponga quale fenomeno evidentemente derogatorio di quello che dovrebbe essere la linea d’azione generale delle pubbliche amministrazioni secondo le intenzioni del legislatore”. _______________________________ Piemonte, del. n. 2 – Riduzione numero componenti cda partecipate Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4, comma 5, del d.l. 95/2012, in particolare se l’obbligo di riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione, nonché i limiti complessivi di spesa per i compensi, siano applicabili alle società a capitale interamente pubblico, che gestiscono servizi pubblici locali. I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 2/2016, pubblicata sul sito 4 della sezione regionale di controllo il 25 gennaio, hanno ricordato che l’articolo 4, comma 4, del d.l. 95/2012, nell’ambito di un più generale processo di revisione, contenimento e riduzione della spesa pubblica, impone la riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione (ferma restando la facoltà di nomina di un amministratore unico) “delle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 e successive modificazioni, che abbiano conseguito un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento dell’intero fatturato”, e pone ulteriori limiti complessivi di spesa per i compensi di detti amministratori. Il successivo comma 5 prevede che “fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge e fatta salva la facoltà di nomina di amministratore unico, i consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta od indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte. A tali società si applica quanto previsto dal secondo e dal terzo periodo del comma 4” (appunto, gli ulteriori limiti di spesa per compensi agli amministratori). Mentre il comma 4 ha come ambito soggettivo di applicazione le società “controllate direttamente o indirettamente” da una pubblica amministrazione, il comma 5 è espressamente riferito alle società a totale partecipazione pubblica. Come evidenziato dai magistrati contabili una società a totale partecipazione pubblica può non rientrare di per sé nella definizione codicistica di società controllata (articolo 2359 c.c.), ben potendo il capitale sociale essere frazionato in capo ad una molteplicità di enti pubblici, nessuno dei quali titolare della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, ovvero dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea o in virtù di vincoli contrattuali Con la conseguenza che a tutte le società a totale partecipazione pubblica si applica il comma 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012, che prevede: numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione (cinque ovvero tre), a seconda della rilevanza e della complessità delle attività svolte (fatta salva la facoltà di nomina di un amministratore unico); limitazioni in materia di costi per compensi degli amministratori: limite dell’80% della spesa sostenuta, a tale titolo, nell’anno 2013 e l’obbligo di riversamento alle amministrazioni o alle società di appartenenza (in virtù del principio dell’onnicomprensività della retribuzione) del compenso percepito da amministratori che siano dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o, in caso di partecipazione indiretta o del titolare di poteri di indirizzo e coordinamento, della società controllante. Nel caso in cui la società a partecipazione pubblica rientri nella qualificazione di società controllata (direttamente o indirettamente) ex art. 2359 c.c. e, in quest’ultimo caso, si verifichino i presupposti di cui al comma 4 dell’articolo 4 del citato d.l. 95/2012 (conseguimento nell’anno 2011 di un fatturato da prestazione di servizi in favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90%), troverà applicazione anche la disciplina speciale dell’art. 4, comma 4 (numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione pari a 3 membri) _______________________________ Lombardia, del. n. 426 – Nota informativa debiti/crediti intercorrenti con società partecipate I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 426/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 18 novembre, hanno sollevato una questione di massima circa la corretta interpretazione dell’articolo l’articolo 6, comma 4, del d.l. 95/2012 imponente l’obbligo di allegare al rendiconto degli enti locali un prospetto 5 attestante l’attendibilità dei rapporti debitori e creditori intercorrenti con le società partecipate e gli enti strumentali. Tale norma, abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2015, si applica ai fini della rendicontazione dell’esercizio 2014 (l’adempimento risulta imposto sia agli enti locali che alle regioni, anche nel nuovo regime della contabilità armonizzata, in vigore dall’esercizio 2015). La verifica della conciliazione delle posizioni debitorie e creditorie costituisce uno degli elementi alla base dell’attività di controllo sulle società partecipate. A tal fine l’ente deve organizzare un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare, da un lato, i rapporti finanziari con le società (che, a fine esercizio, determinano i crediti ed i debiti reciprocamente iscritti nelle rispettive contabilità) e, dall’altro, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. Una corretta conciliazione tra i reciproci appostamenti contabili di debiti e crediti, inoltre, ha una valenza preparatoria rispetto alle prossime operazioni di consolidamento dei bilanci (da effettuare dall’esercizio 2016, in virtù dell’art. 11-bis del d.lgs. 118/2011), in quanto è funzionale all’operazione di elisione dei rapporti infragruppo. A parere della Sezione tale nota informativa deve essere asseverata dall’organo di revisione dell’ente locale ma anche dall’organo di revisione dell’organismo partecipato. Nelle società a responsabilità limitata, per le quali l’articolo 2477 c.c. non impone la nomina di un collegio sindacale e di un revisore legale dei conti, ma rimette tale valutazione allo statuto, sarebbe necessario che l’ente o gli enti soci, in sede di disciplina del sistema dei controlli interni (art. 147 d.lgs. n. 267 del 2000), individuassero l’organo chiamato, in nome e per conto della società a responsabilità limitata o dell’ente strumentale, ad asseverare la nota informativa attestante i reciproci rapporti debitori e creditori esistenti con l’ente locale. Tenuto conto della rilevanza della questione, i magistrati contabili hanno rimesso la questione di massima alla Sezione Autonomie, in particolare chiedendo se tale nota informativa debba essere asseverata dal solo organo di revisione dell’ente locale socio o anche dall’organo di revisione (collegio sindacale o revisore contabile) della società partecipata ovvero, in assenza di quest’ultimo, da altro competente organo, preventivamente individuato dall’ente locale socio, della società o dell’ente strumentale. _________________________________ Lombardia, del. n. 387 – Società partecipata e gestione di attività commerciale/artigianale Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità per la società pubblica che gestisce la Farmacia comunale di partecipare ad una gara per la gestione di un’attività commerciale/artigianale per la produzione e la vendita di gelati artigianali. I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione n. 387/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 18 novembre, hanno ribadito che gli enti locali possono ricorrere allo strumento societario solo per l’organizzazione e lo svolgimento di attività di competenza dell’ente medesimo. In particolare, le iniziative economiche di tipo pubblicistico non devono impingere con la libera esplicazione del mercato concorrenziale rimesso all’iniziativa economica 6 privata e, nel contempo, devono essere circoscritte ad effettive necessità istituzionali degli enti territoriali, strettamente connesse con la caratterizzazione degli enti locali quali enti a fini generali, ma ad ambito territoriale circoscritto alla comunità degli amministrati. L’articolo 3, comma 27, della legge 244/2007 prevede che le amministrazioni pubbliche non possano procedere alla costituzione di nuove società che abbiano “per oggetto la produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, con la precisazione che è sempre ammessa “la costituzione di società che producono servizi di interesse generale”. Inoltre, come evidenziato dai magistrati contabili, “appare oltremodo arduo far coesistere nell’ambito della medesima società, due attività aventi finalità del tutto divergenti; l’una, recante i tratti pubblicistici della distribuzione di farmaci (farmacia comunale) l’altra, avente esclusivamente rilievo imprenditoriale (gelateria artigianale)”. __________________________________ Umbria, del. n. 123 – Transazione con la società partecipata Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla riconducibilità della transazione all’alveo delle fattispecie di riconoscimento di debito fuori bilancio disciplinate dall’articolo 194 del Tuel. L’ente ha premesso di vantare un credito verso una società partecipata, in dipendenza del servizio pubblico dalla stessa svolto, e che l’amministrazione intenderebbe procedere con una transazione, riconoscendo una parte del credito vantato, al fine di risolvere in via bonaria il possibile contenzioso. I magistrati contabili dell’Umbria, con la deliberazione 123/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 3 novembre, hanno ribadito che la fattispecie degli accordi transattivi non può essere ricondotta al concetto di debito fuori bilancio. Gli accordi transattivi presuppongono, infatti, la decisione dell’ente di pervenire ad un accordo con la controparte, per cui è possibile prevedere, da parte del comune, tanto il sorgere dell’obbligazione quanto i tempi per l’adempimento. Ne discende che l’Amministrazione in tali casi si trova nelle condizioni (ed ha l’obbligo) di attivare le normali procedure contabili di spesa (stanziamento, impegno, liquidazione e pagamento) previste dall’articolo 191 del Tuel e di rapportare ad esse l’assunzione delle obbligazioni derivanti dagli accordi transattivi. Come evidenziato dai magistrati contabili, la materia delle transazioni è riconducibile di regola alla competenza dirigenziale, potendo la stessa rientrare nell’ambito di attribuzione della Giunta o del Consiglio solo in situazioni particolari e cioè qualora la transazione involga atti di disposizione che implicano valutazioni esulanti dalla mera gestione (Sezione Liguria, del. 5/2014). Nel caso di specie non può essere messa in dubbio la competenza a provvedere in capo al Consiglio comunale, trattandosi di una ipotesi di transazione in relazione alla quale l’Ente intende finanziare la presumibile spesa “in modo rateizzato, mediante imputazione delle singole rate annuali nei bilanci di previsione dei prossimi dieci anni”. Come evidenziato da i magistrati contabili, gli Enti pubblici possono di norma transigere le controversie delle quali siano parte ex art 1965 c.c., a condizione che: la scelta discrezionale di addivenire alla transazione risponda a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l’azione 7 amministrativa. Uno degli elementi che l’Ente deve considerare è sicuramente la convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio, intesa quest’ultima in senso relativo, da valutarsi in relazione alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e ad eventuali orientamenti giurisprudenziali; esista una controversia giuridica (e non un semplice conflitto economico), che sussiste o può sorgere quando si contrappongono pretese confliggenti di cui non sia possibile a priori stabilire quale sia giuridicamente fondata. Di conseguenza il contrasto tra l’affermazione di due posizioni giuridiche è la base della transazione in quanto serve per individuare le reciproche concessioni, elemento collegato alla contrapposizione delle pretese che ciascuna parte ha in relazione all’oggetto della controversia. Si tratta di un elemento che caratterizza la transazione rispetto ad altri modi di definizione della lite; la transazione abbia ad oggetto diritti disponibili (art 1966, co 2 c.c.) e cioè, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale. E’ nulla, infatti, la transazione nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite siano sottratti alla disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione di legge; sussista un rapporto che, oltre a presentare, almeno nell'opinione delle parti, carattere di incertezza, è contrassegnato dalla reciprocità delle concessioni. Oggetto della transazione, quindi, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o possa dar luogo e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni. quanto ai termini (soggetto e oggetto) del contratto di transazione: i soggetti devono essere dotati non solo di capacità giuridica ma devono avere anche la legittimazione intesa come potere di agire in ordine ai rapporti sui quali incide la transazione. Per gli Enti territoriali non è previsto un particolare iter procedimentale per gli atti di transazione, ma, ove il medesimo sia dotato di una propria avvocatura, sarebbe opportuno che questa fosse investita della questione in analogia a quanto prevede per le Amministrazioni dello Stato l’art. 14 del R.D. n. 2440/1923 (legge di contabilità generale). __________________________________ Liguria, del. n. 71 – Rilascio di garanzie a favore di una società partecipata in liquidazione Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di sottoscrivere, in qualità di socio, una fideiussione a favore di una società in liquidazione che ha registrato perdite negli ultimi tre esercizi. I magistrati contabili della Liguria, con la deliberazione 71/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 26 ottobre, hanno chiarito che anche nella fattispecie di società in liquidazione, l’eventuale concessione di una garanzia personale da parte del Comune socio nella ricorrenza dei tre esercizi consecutivi in perdita costituisce violazione del divieto di soccorso finanziario posto dall’articolo 6, comma 19, del d.l. 78/2010. Se non è ammissibile, nell’ottica di una sana gestione finanziaria, effettuare salvataggi 8 nei confronti di una società in protratta perdita d’esercizio, ma ancora presente sul mercato, risulta difficile ritenere economicamente razionale un soccorso finanziario all’esito di una procedura di liquidazione. _________________________________ Umbria, del. n. 96 – Acquisto beni mobili società partecipata in liquidazione Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità per l’ente di effettuare l’operazione di acquisto di beni immobili (impianti e allestimenti) appartenenti ad una società partecipata, in fase di liquidazione, in quanto idonei e conformi a rendere interamente fruibile l’immobile di proprietà comunale garantendone la piena e immediata funzionalità come Centro congressi. I magistrati contabili dell’Umbria, con la deliberazione 96/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 27 agosto, pur dichiarando inammissibile il quesito posto, hanno ricordato all’ente che: le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del d.lgs. 165/2001, e quindi anche i Comuni, hanno l’obbligo di fare ricorso, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi dell’art. 328 del d.p.r. 207/2010, ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure. Procedure autonome sono consentite solo nel caso di assenza di disponibilità sul mercato elettronico del bene o del servizio da acquisire e nel caso di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali; l’articolo 1, comma 141, della legge 228/2012 prevede il divieto di effettuare spese di ammontare superiore al 20% della corrispondente spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l’acquisto di mobili e arredi. La norma consente di derogare al limite qualora “l’acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili” (Corte dei conti, sez. Toscana, del. n. 277/2013); l’articolo 6, comma 19, del d.l. 78/2010 ha imposto l’abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi di società pubbliche partecipate alla pubblica amministrazione che versano in situazioni di irrimediabile dissesto, ovvero l’ammissibilità d’interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto. _______________________________ Lombardia, del. n. 246 – Reinternalizzazione personale società in house Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di reinternalizzare i servizi e il relativo personale a suo tempo ceduto alla società in house, utilizzando i budget assunzionali 2015 e 2016. I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 246/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 29 luglio, hanno richiamato l’orientamento restrittivo espresso dalla Sezione Autonomie nella deliberazione 19/2015 che ha escluso la possibilità di derogare alla previsione contenuta nel comma 424, dell’articolo 1, della legge 190/2014 in quanto la priorità del legislatore è quella della ricollocazione 9 del personale soprannumerario degli enti destinatari del riordino ex legge n. 56/2014. Pertanto, l’ente potrà procedere a reinternalizzare il personale della società in house solo nel caso in cui il posto in organico da ricoprire necessiti di una specifica professionalità non reperibile tra le unità soprannumerarie da ricollocare (sempre che, ovviamente, sussistano tutti i presupposti che ne consentano la reinternalizzazione quali, ad esempio, l’assunzione a suo tempo del personale mediante selezione pubblica). _________________________________ Trentino Alto Adige, del. n. 16 – Armonizzazione: garanzie a favore di società in house Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta applicazione della disciplina sull’armonizzazione contabile, in particolare dell’articolo 75 del d.lgs. 118/2011, rubricato “Adeguamento della definizione di indebitamento”, nonché dell’articolo 62 del medesimo provvedimento legislativo, rubricato “Mutui ed altre forme di indebitamento”. Nello specifico, l’ente ha chiesto se tra i soggetti a favore dei quali è possibile rilasciare delle garanzia possano essere ricomprese anche le società in house. I magistrati contabili del Trentino Alto Adige, con la deliberazione 16/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 28 luglio, hanno ricordato che l’articolo 75 del d.lgs. 118/2011, come modificato dal d.lgs. 126/2014, disciplina e limita il rilascio delle garanzie da parte degli enti locali e territoriali solo a favore di determinati “soggetti”, fra cui gli enti e organismi appartenenti al settore delle pubbliche amministrazioni. La definizione di “soggetto pubblico” o di “pubblica amministrazione” non è univoca ed immutabile. Nel corso degli ultimi anni sono state date varie letture a tale nozione. Spesso la giurisprudenza ha riconosciuto, dando rilievo a dati sostanziali e funzionali, natura pubblicistica a soggetti formalmente privati, al fine di sottoporli in tutto o in parte ad un regime di diritto amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2660/2015). Tuttavia, secondo i magistrati contabili, la definizione di soggetto beneficiario delle garanzie pubbliche deve essere ricollegata al perimetro degli organismi inclusi nell’elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato approvato annualmente dell’Istat ai sensi dell’art. 1, c. 3, della Legge n. 196/2009, utilizzando i criteri di matrice europea (SEC 2010). Pertanto, le società in house potrebbero essere incluse tra i soggetti beneficiari delle garanzie rilasciate dall’ente territoriale solo laddove tali organismi fossero effettivamente inclusi nell’elenco delle pubbliche amministrazioni redatto dall’Istat e comunque rientrassero nel conto consolidato dell’ente (a condizione che sussista una legge che legittimi il rilascio delle garanzie medesime in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa). Tenuto conto della rilevanza della questione, i magistrati contabili hanno rimesso la questione di massima alla Sezione Autonomie. Allo stesso modo è stata rimessa all’attenzione della Sezione Autonomie la questione sulla corretta determinazione del limite quantitativo dell’indebitamento stabilito dall’articolo 62 del D.lgs. 118/2011 in base al quale “Concorrono al limite di indebitamento 10 le rate sulle garanzie prestate dalla regione a favore di enti e di altri soggetti ai sensi delle leggi vigenti, salvo quelle per le quali la regione ha accantonato l'intero importo del debito garantito”. In particolare, la sezione Autonomie dovrà chiarire se tale norma possa essere interpretata in modo estensivo, riconoscendo la possibilità di adottare ulteriori e differenti meccanismi contabili, diversi dall’accantonamento in bilancio dell’intero importo del debito garantito, al fine di escludere dalla determinazione del limite quantitativo dell’indebitamento regionale le rate sulle garanzie prestate dalla Regione a favore di enti e di altri soggetti ai sensi delle leggi vigenti. ______________________________ Sardegna, del. n. 50 – Cda partecipate: compenso fisso e variabile Un sindaco ha chiesto se la parte del compenso variabile legato al raggiungimento di determinati obiettivi (e di produzione di utili) erogabile ai membri del consiglio di amministrazione delle società partecipate dal Comune possa essere attribuita in più rispetto all’80% del compenso erogato nel 2013. I magistrati contabili della Sardegna, con la deliberazione 50/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 14 luglio, hanno ribadito che il limite dell’80% del costo complessivamente sostenuto nel 2013 si applica al trattamento economico complessivo 2015, comprensivo del compenso fisso e dell’eventuale indennità da corrispondere sulla base degli utili realizzati. Pertanto, l’indennità di risultato può essere riconosciuta, nei limiti di cui all’articolo 1, comma 725 della legge 296/2006, solo se l’onere complessivo, così determinato, non superi l’80% di quello sostenuto nel 2013 (in tal senso corte dei conti, sez. Lombardia, del. 88/2015). _______________________________ Emilia, del. n. 119 – Compensi amministratori società pubbliche Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4, comma 4, del d.l. 95/2012 secondo cui, a decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle società controllate dalle amministrazioni pubbliche, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90% dell’intero fatturato, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013. L’ente ha premesso di non aver corrisposto, nell’anno di riferimento per il computo del tetto di spesa, ovvero nell’anno 2013, alcun compenso, avendo attribuito la carica a consiglieri comunali. I magistrati contabili dell’Emilia, con la deliberazione 119/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 13 luglio, hanno ribadito che tale vincolo deve essere interpretato come tassativo, tale da non consentire eccezioni derivanti da situazioni contingenti. Ciò, inoltre, senza poter tenere conto delle competenze professionali concretamente richieste per la gestione dell’incarico (in tal senso, corte dei conti, sez. Piemonte n. 107/2015 e sez. Lombardia n. 88/2015). __________________________________ 11 Piemonte, del. n. 107 – Compensi amministratori di società partecipate Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4, comma 4, della legge 135/2012, come modificato dal d.l. 90/2014, secondo cui “A decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013”. In particolare l’ente ha chiesto quale sia il significato da attribuire alla locuzione “costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013” qualora il C.d.A. sia formato da consiglieri privi di compenso, perché amministratori di enti locali, e da consiglieri pagati. I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 107/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 10 luglio, hanno ricordato che la norma fa riferimento ai “consigli di amministrazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento dell'intero fatturato”, i cui componenti non possono essere in misura superiore a 3. Per tali consigli si applica la logica dei tagli lineari, prendendo a riferimento il parametro offerto dal costo sostenuto nell’anno 2013. Il concetto di “costo sostenuto” impone di includere nella base di calcolo i soli membri del consiglio di amministrazione aventi diritto ad un compenso, rispetto ai quali possa configurarsi un “costo sostenuto”. Non è possibile, pertanto, propendere per un’interpretazione diretta a computare nella base di calcolo anche i compensi figurativi (cioè quelli astrattamente spettanti ai consiglieri in realtà non aventi diritto). Tale soluzione risulta in linea con l’intenzione del legislatore di perseguire la contrazione dei costi degli apparati di strutture latamente pubblicistiche, incentivando la nomina di amministratori non aventi diritto al compenso. L’inciso “ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche” mira a rafforzare l’effettività del limite di spesa, tenendo ad evitare intenti elusivi perseguiti mediante l’attribuzione di incarichi ulteriori agli stessi amministratori. Secondo i magistrati contabili “è ragionevole ritenere che la locuzione in esame debba comprendere qualunque ulteriore incarico assegnato agli amministratori societari per il quale venga corrisposto un autonomo compenso. E’ chiaro, peraltro, che deve pur sempre trattarsi di incarichi riferibili alla gestione societaria in senso lato”. ___________________________________ Marche, del. n. 137 – Compenso amministratori società partecipate Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione della disciplina recata dai commi 4 e 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012, recentemente novellati dal d.l. 90/2014, in materia di compensi agli amministratori delle società partecipate. I magistrati contabili delle Marche, con la deliberazione 137/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 22 giugno, hanno ricordato che il d.l. 90/2014 ha fissato una soglia al costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle società, pari all’80% del compenso corrisposto nel 2013. Secondo i magistrati contabili, sono assoggettate a tale vincolo tutte le società 12 totalmente pubbliche, comprese quelle che svolgono servizi pubblici, a prescindere dal requisito del volume di fatturato, stante il rinvio operato dal successivo comma 5 “alle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta”. La disposizione si riferisce espressamente al “costo sostenuto per i compensi”. Pertanto, non devono essere inserite, nella base di calcolo per l’applicazione della percentuale di riduzione, le voci di costo relative ai rimborsi spese che, ex se ed in quanto meramente eventuali, si atteggiano come ontologicamente distinte rispetto al compenso richiamato. _______________________________ Abruzzo, del. 101 – Partecipate e piano di razionalizzazione La Corte dei Conti, sez. contr. Abruzzo, con la deliberazione n. 101 depositata il 20 maggio 2015, ha richiamato un’Università all’adempimento dell’obbligo di trasmissione del piano operativo di razionalizzazione e della relativa relazione tecnica, inviando tale sollecito al Rettore e alla Procura regionale perché valutino, per quanto di competenza, l’eventuale conseguenze sulla retribuzione di risultato dei dirigenti e la sussistenza di eventuali profili di responsabilità per danno all’immagine, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. 33/2013. L’articolo 1, comma 611, della legge di stabilità 2015, ha introdotto rilevanti novità in materia di società partecipate, con la finalità di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato. Al riguardo, in un quadro normativo complessivamente teso a incrementare il livello di responsabilizzazione dei soci pubblici nella gestione delle proprie partecipate, tale disposizione impone l’avvio, dal 1° gennaio 2015, di un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, da consentirne la riduzione entro il 31 dicembre 2015. Il piano di razionalizzazione deve essere pubblicato sul sito dell’ente e tale adempimento costituisce obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013. L’articolo 46 del citato decreto 33 stabilisce che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale e eventuale causa di danno all’immagine dell’ente ed è valutabile ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio connesso alla performance individuale dei responsabili. I magistrati contabili dell’Abruzzo hanno ricordato che dopo un mese dalla scadenza prevista dalla legge di stabilità 2015, con nota del magistrato istruttore è stata comunicata all’ente la mancata trasmissione del piano di razionalizzazione e dell’allegata relazione tecnica, sollecitandone ulteriormente l’invio entro l’8 maggio 2015. Decorso tale data, l’Ateneo ha comunicato che stava ancora provvedendo alla stesura della relazione e del piano. La Corte dei Conti, con la deliberazione in commento, ha accertato la violazione da parte dell’organo di vertice dell’Università degli obblighi di approvazione, pubblicazione e invio alla Corte dei conti del piano operativo di razionalizzazione e della relativa relazione tecnica delle società partecipate, direttamente e indirettamente dall’Ateneo e ha ordinato allo stesso organo di vertice di trasmettere tali atti tempestivamente. 13 Infine, i magistrati hanno trasmesso al Rettore e alla Procura Regionale per l’Abruzzo la deliberazione affinché venissero effettuate le valutazioni di competenza in ordine alla sussistenza di eventuali profili di responsabilità per danno all’immagine e ai fini della valutazione dei dirigenti coinvolti, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. 33/2013. _________________________________ Campania, deliberazione n. 123 – Provincia: compenso presidente e cda società partecipate Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta individuazione del parametro cui rapportare, ai sensi dell’articolo 1, comma 725, della legge 296/2006, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, da attribuire al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione di società a totale partecipazione di province. I magistrati contabili della Campania, con la deliberazione 123/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 16 aprile, hanno ricordato che la legge 56/2014 ha attribuito agli enti di area vasta un determinato numero di funzioni fondamentali, modificando, di conseguenza, l’assetto degli organi di governo dell’ente, con l’individuazione dei seguenti organi della provincia: il presidente, il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci. In particolare, la riforma prevede che gli incarichi di presidente, consigliere provinciale e di componente dell’assemblea dei sindaci siano esercitati a titolo gratuito. Si pone dunque un problema interpretativo in quanto l’articolo 1, comma 725, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) prevede che nelle società a totale partecipazione di comuni o province, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore per il presidente al 70% e per i componenti al 60% delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell'articolo 82 del Tuel. E’, infatti, venuto meno, il parametro cui commisurare il compenso massimo degli amministratori delle società partecipate dalle Provincie. La sezione ha dunque ipotizzato, in via meramente esemplificativa, le seguenti supposizioni interpretative: il compenso attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione dovrebbe essere gratuito (interpretazione letterale); il parametro di riferimento potrebbe essere individuato nell’indennità spettante al sindaco al quale è stata attribuita anche la carica di presidente della Provincia (interpretazione analogica); la Provincia dovrebbe privilegiare soluzioni che privilegino il contenimento dei costi ascrivibili agli organismi partecipati. La concreta scelta gestionale circa il parametro cui commisurare il compenso “massimo” spettante agli amministratori delle società partecipate rimane nella responsabilità delle Province, che dovranno attentamente valutare il nuovo assetto delle funzioni e la forte limitazione dei trasferimenti, onde evitare che le già limitate risorse finanziarie vengano assorbite dagli organismi partecipati (principio del buon andamento dell’azione amministrativa, art. 97 della Costituzione). Come evidenziato dai magistrati contabili, trovano comunque immediata e inequivoca applicazione i seguenti limiti: 14 - articolo 4 del d.l. 95/2012, ai sensi del quale, “a decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013. In virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione, qualora siano nominati dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione, o della società controllante in caso di partecipazione indiretta o del titolare di poteri di indirizzo e di vigilanza, fatto salvo il diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate, nel rispetto del limite di spesa di cui al precedente periodo, essi hanno l'obbligo di riversare i relativi compensi all'amministrazione o alla società di appartenenza e, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio". - tutte le norme che limitano il numero dei componenti dei consigli di amministrazione delle società partecipate (art. 4, del d.l. 95/2012, modificato dall’art. 16 del d.l. 90/2014). _____________________________ Piemonte, deliberazione n. 53 – Incompatibilità del revisore dipendente della società Un sindaco ha chiesto se sussista incompatibilità e ineleggibilità nel caso in cui il candidato revisore sia dipendente a tempo indeterminato di una società pubblica in house pluripartecipata. I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 53/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 31 marzo, hanno ricordato che l’articolo 236 del Tuel, comma 1, estende all’organo di revisione le ipotesi di incompatibilità previste dall’articolo 2399 del codice civile, specificando che per “amministratori” devono intendersi i componenti dell’organo esecutivo dell’ente locale. Tale articolo prevede un’ipotesi di ineleggibilità/decadenza, tra l’altro, per “coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza” (comma 1, lett. C). Per completezza vanno richiamati il terzo comma dell’articolo 236 Tuel, a mente del quale “i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso l'ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso”, e l’articolo 10, primo e secondo comma, del decreto legislativo n. 39/2010 in tema di indipendenza ed obiettività dei revisori legali (“il revisore legale e la società di revisione legale che effettuano la revisione legale dei conti di una società devono essere indipendenti da questa e non devono essere in alcun modo coinvolti nel suo processo decisionale”). Per quanto concerne il rapporto tra l’organo di controllo e l’ente controllato, l’articolo 2399 c.c. ritiene che l’indipendenza del revisore possa essere compromessa “da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita”, ovvero, con clausola di carattere generale, “da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza”. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra l’ente locale e la sua partecipata, va ricordato che l’articolo 2399 c.c. fa espresso riferimento, così delimitando le ipotesi di difetto di indipendenza del revisore, “alle società da questa controllate o alle società che la 15 controllano o a quelle sottoposte a comune controllo”. Il terzo comma dell’articolo 236 Tuel, a sua volta, menziona gli “organismi o istituzioni dipendenti”, chiaro riferimento ad aziende speciali, istituzioni o consorzi dell’ente locale (questi ultimi assimilati alle aziende dall’articolo 31 Tuel), nonché gli organismi “comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso”. Secondo i magistrati contabili, affinché si possa parlare di “dipendenza”, “controllo” o “vigilanza” con riferimento ad organismi di tipo societario “deve trattarsi non solo di una partecipata, ma anche di una società controllata dall’ente, nel senso indicato dall’art. 2359, 1° comma, c.c. (partecipazione totalitaria o di controllo, ovvero sussistenza di controllo c.d. contrattuale)” (corte dei conti, sez. Veneto, del. 176/2013). Nel caso di società pubblica posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse (principio di diritto enunciato nel caso “Coditel Brabant SA” dalla Corte di Giustizia III Sezione 13 novembre 2008, punti 47 e 50). Come ribadito dalla giurisprudenza nazionale, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che la signoria della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettiva e reale, sia esercitata dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione dominante di ogni singolo ente (cfr. Cons. St. sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082; 30 aprile 2009, n. 2675; 9 marzo 2009, n. 1365; 24 settembre 2010, n. 7092; 08 marzo 2011, n. 1447). In presenza di una simile situazione, la Sezione ritiene si configuri il presupposto del rapporto di ”controllo” e “vigilanza” di cui all’articolo 236, comma 3, del Tuel. D’altra parte, a conferma di simile conclusione, va ricordato che ai sensi dell’articolo 4, comma 18, del decreto legge n. 138/2011, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, “In caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a società cosiddette in house…, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonché ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti, secondo modalità definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli articoli 234 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni”: tale normativa conferma l’esigenza di indipendenza del revisore dell’ente locale dalla partecipata in house. Alla luce di quanto esposto, sarà cura ed esclusiva competenza dell’Ente stabilire se il legame esistente con la società presenti le caratteristiche e la rilevanza di cui all’art. 2359 c.c. con le precisazioni sopra offerte in tema di società in house. Spetterà, dunque, all’ente, l’accertamento (rigoroso) della ricorrenza del menzionato presupposto e, quindi, della effettiva natura del rapporto esistente con la società partecipata. ___________________________ Autonomie, deliberazione n. 9 – Mobilità del personale dipendente da società partecipate I magistrati contabili della sezione delle Autonomie, con la deliberazione 9/2015, pubblicata sul sito il 6 marzo, hanno chiarito che ai dipendenti dei consorzi, in particolare di quelli di sviluppo industriale, non si estende la disciplina dell’articolo 1, 16 commi 563-568, della legge 147/2013, in materia di mobilità del personale dipendente da società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni. La sezione Autonomie è intervenuta a seguito della questione sollevata dalla Corte dei Conti delle Marche con la deliberazione 143/2014, in merito alla possibilità di estendere ai consorzi la normativa riferibile agli organismi partecipati aventi natura societaria. Come evidenziato dai magistrati contabili, la legge di stabilità 2014, fermo restando il divieto di attuare processi di mobilità fra la partecipata e l’Ente controllante, ha introdotto un meccanismo diretto a far sì che il personale a rischio di esubero possa essere trasferito verso altre società sulla base di apposite convenzioni tra le società stesse (escluse le quotate e quelle da esse controllate). I processi di mobilità tengono conto dei fabbisogni di personale e delle esigenze funzionali e organizzative di ciascuna società e si perfezionano senza il consenso del lavoratore, con il solo obbligo dell’informativa alle rappresentanze aziendali e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato in azienda. Analoga informativa è prevista per le società partecipate che rilevino eccedenze di personale, oppure nell’ipotesi in cui l’incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50% delle spese correnti: con essa sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza. Spetta all’ente controllante provvedere alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali. Con il d.l. 16/2014 è stato riconosciuto al personale in esubero delle società partecipate che risulti privo di occupazione, fatta salva l’applicazione delle misure sopra riferite, la precedenza, a parità di requisiti, per l’impiego nell’ambito di missioni afferenti a contratti di somministrazione di lavoro stipulati dalle stesse pubbliche amministrazioni, per esigenze temporanee o straordinarie, proprie o di loro enti strumentali. Il meccanismo è stato poi incentivato consentendo al personale dipendente delle società di presentare alla società datrice di lavoro o all’ente controllante, entro un termine determinato, istanza di ricollocazione anche in una qualifica inferiore nella stessa o in altra società (art. 1, comma 567-bis, legge 147/2013, introdotto dal d.l. 90/2014). Le stesse disposizioni sulla mobilità del personale dipendente dalle società partecipate sono state estese dal legislatore alle aziende speciali (art. 1, comma 568-bis, d.l. 147/2014). Secondo i magistrati contabili, tale disciplina, in quanto avente natura eccezionale, necessita di una stretta interpretazione, nonostante le esigenze sottese alla riallocazione del personale delle società/aziende speciali da dismettere o da alienare possa rilevare anche per altre tipologie di organismi sottoposti a controllo pubblico, con forma giuridica diversa da quella societaria. __________________________________ Abruzzo, deliberazione n. 22 – Trasporto scolastico Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di assumere a carico del bilancio comunale le spese per l’istituzione ex novo del servizio di trasporto per gli alunni della scuola secondaria di primo grado. 17 I magistrati contabili dell’Abruzzo, con la deliberazione 22/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 3 marzo, hanno evidenziato che il servizio di trasporto alunni rientra nel più vasto concetto di “assistenza scolastica”, le cui funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni ex articolo 45 d.p.r. 616/1977 e le modalità di svolgimento sono demandate alla competenza legislativa regionale. La Regione Abruzzo, con la legge 478/1978, ha assegnato ai Comuni le funzioni amministrative relative alla materia “assistenza scolastica” concernenti tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private, e, tra queste, il servizio di trasporto alunni. Come evidenziato dai magistrati contabili la competenza comunale riferita agli interventi di trasporto è stata delineata dalla legge regionale non come obbligo di attivare il servizio comunque ed a qualunque condizione, bensì come obbligo di assicurare il trasporto “speciale” di quegli alunni che si trovino in “disagiate condizioni economiche” e con riferimento anche alla loro “capacità e meriti scolastici”. ____________________________________ Lombardia, deliberazione n. 33 – Revoca procedura liquidatoria società Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di revocare la fase di liquidazione di una società interamente partecipata dall’ente, alla quale era stata conferita la proprietà di un immobile adibito a palestra, in considerazione del mutato quadro normativo, della scarsa convenienza economica dell’operazione, nonché dell’irrisorietà dei costi della società. I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 33/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 17 febbraio, pur dichiarando inammissibile il quesito posto, hanno ricordato che la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha ridimensionato l’obbligo di dismissione delle società pubbliche. Nello specifico, i commi 550 - 569 prevedono che nel caso in cui vi siano aziende speciali, istituzioni o società partecipate dalle p.a. che presentino un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, dal 2015 gli enti soci devono accantonare in bilancio, in un apposito fondo vincolato, un importo pari al 25% del risultato negativo (raffrontato con il risultato medio d’esercizio 2011-2013) non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, facendo gravare la perdita sul bilancio dell’ente pubblico socio. In merito al quesito posto, i magistrati hanno rimesso la decisione al comune, ribadendo che spetterà all’ente dimostrare l’adeguata razionalità economica di tale operazione. ______________________________ Lombardia, deliberazione n. 30 – Reinternalizzazione servizi strumentali e accollo debiti società Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta procedura da adottare per la reinternalizzazione di servizi strumentali, precedentemente affidati a una società partecipata. L’ente ha premesso di aver avviato un processo di riassetto della società, per non incorrere nel divieto di esercitare congiuntamente servizi strumentali e pubblici locali 18 (quali i servizi farmaceutici) di cui all’articolo 13 del d.l. 223/2006. A tal fine, l’ente ha deliberato la reinternalizzazione della gestione del verde pubblico e della manutenzione del patrimonio immobiliare comunale, lasciando alla società la gestione delle farmacie e di altri servizi con essa compatibili. Il comune ha chiesto alla corte dei conti se sia possibile, in concomitanza alla reinternalizzazione delle attività accollarsi il finanziamento contratto dalla società. I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 30/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 17 febbraio, hanno ribadito che spetterà all’ente riscontrare che il negozio da stipulare persegua l’interesse pubblico e non si ponga in contrasto coi limiti posti dalle norme contabili. In primo luogo, dovrà essere accertato il rispetto dell’articolo 6, comma 19, del d.l. 78/2010, in quanto l’accollo deve corrispondere ad uno specifico e concreto interesse pubblico, la cui esistenza deve essere motivata alla luce degli scopi istituzionali e della necessità di perseguire i canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, soprattutto, in termini di razionalità economica. Infine, l’accollo di un debito contratto da una società partecipata si qualifica come nuovo indebitamento per l’ente. Il contratto di accollo consiste, infatti, in un accordo fra terzo (Comune) e debitore finalizzato all’assunzione del debito dell’accollato (art. 1273 cod. civ.). Anche nel caso di pregressa prestazione di fideiussione da parte del Comune (o di altra garanzia atipica di tipo personale), quest’ultimo, prima obbligato quale mero fideiussore, muta il titolo del rapporto obbligatorio esistente con l’istituto di credito (da garante a debitore principale), nonché il regime delle eccezioni opponibili (cfr. art. 1945 cod. civ. e art. 1273 cod. civ.). L’istituto del c.d. accollo esterno, in sostanza, implica che l’accollante assuma in toto il debito dell’accollato e che tale impegno divenga irrevocabile in seguito all’adesione del creditore accollatario (cfr. art. 1411 cod. civ.). Di conseguenza, costituendo per l’ente locale nuovo indebitamento, il contratto di accollo esterno deve rispettare i presupposti e i limiti previsti dagli artt. 202 e ss. del d.lgs. 267/2000. Inoltre, la stipula di contratti di accollo è subordinata alla verifica di compatibilità anche con la disciplina del patto di stabilità. In caso di mancato conseguimento degli obiettivi posti dal patto per l’esercizio 2014, infatti, l’articolo 31, comma 26, della legge 183/2011 prevede, fra l’altro, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza (nel caso di specie, il 2015) il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare investimenti. Come chiarito dalla Circolare MEF-RGS 6/2014, ai fini dell’applicazione di tale sanzione, costituiscono indebitamento le operazioni di cui all’articolo 3, comma 17, della legge 350/2003 (come modificata dal d.lgs. 126/2014), nonché tutte quelle operazioni volte alla ristrutturazione di debiti verso fornitori che prevedono il coinvolgimento diretto o indiretto dell’ente locale (come ogni altra operazione contrattuale che, di fatto, anche in relazione alla disciplina europea sui partenariati pubblico privati, si traduca in un onere finanziario assimilabile, per l’ente locale, a indebitamento). ______________________________ 19 Puglia, deliberazione n. 1 – Ricorso al lavoro flessibile per le società partecipate Un sindaco ha chiesto se la limitazione all’utilizzo del lavoro flessibile, prevista dall’articolo 36 del d.lgs. 165/2001, debba essere rispettata anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo. I magistrati contabili della Puglia, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 20 gennaio, hanno ricordato che l’articolo 18, comma 2 bis, del d.l. 112/2008, come da ultimo modificato dal d.l. 90/2014, pur avendo eliminato l’obbligo in capo alle società partecipate di conformarsi alle disposizioni normative limitative in capo agli enti controllanti, obbliga le stesse ad attenersi al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. Principio ribadito recentemente nella legge di stabilità 2015 che impone a Regioni, Province autonome, enti locali, Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, Università, istituti di istruzione universitaria pubblici e autorità portuali, a decorrere dal 1º gennaio 2015, di avviare un processo di razionalizzazione delle società delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015. Un ruolo preponderante assumono, inoltre, gli atti di indirizzo dell’Ente controllante che devono tener conto delle disposizioni che stabiliscono a carico dell’Ente medesimo divieti o limitazioni alle assunzioni di personale e quindi gli Enti non potranno ignorare, in sede di predisposizione dei predetti atti di indirizzo, i presupposti e le limitazioni in materia di ricorso al lavoro flessibile ed in particolare i requisiti di temporaneità ed eccezionalità. Come evidenziato dai magistrati contabili, anche nel settore privato il contratto di lavoro a cui è apposto un termine costituisce fattispecie eccezionale posto che, ai sensi dell’articolo 1, del d.lgs. 368/2001 (cosiddetta Legge Biagi), la forma comune di rapporto di lavoro è quella a tempo indeterminato. Secondo i magistrati contabili, pertanto, anche le società a partecipazione pubblica totale o di controllo non possono ricorrere alla somministrazione di lavoro oltre i limiti temporali di trentasei mesi previsti dal d.lgs. 368/2001 rilevato che tale possibilità, oltre a risultare in contrasto con il principio di riduzione dei costi di personale, non appare consentita dall’ordinamento neppure nel settore privato. _____________________________ Toscana, deliberazione n. 1 – Assunzione personale società partecipata Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4, comma 12-bis, del d.l. 66/2014, in particolare se il principio di riduzione dei costi del personale cui devono attenersi le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, sia da considerare in senso assoluto o se, viceversa, possa essere parametrato all’incremento dei servizi resi e, conseguentemente, alla crescita del fatturato. L’ente, in qualità di partecipante, unitamente ad altri enti locali, ad una società in house a cui è affidato il trattamento dei rifiuti urbani, ha premesso che la società, tenuto conto dell’aumento quantitativo dell’attività svolta (raccolta domiciliare dei rifiuti), prevede, da un lato, un aumento del fatturato sociale e, dall’altro, una crescita del fabbisogno di personale da assumere stabilmente. Incremento della spesa del personale dovuto, altresì, all’ingresso, nella compagine 20 sociale, di un altro comune, con relativo aumento del capitale della società e contestuale assunzione di parte del personale a tempo indeterminato attualmente impiegato nel servizio di raccolta rifiuti presso il comune neo socio. I magistrati contabili della Toscana, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 16 gennaio, hanno chiarito che la nuova disciplina, introdotta dal d.l. 66/2014 che ha novellato il comma 2-bis dell’articolo 18 del d.l. 112/2008, ha rimesso all’autonomia degli enti soci l’emanazione di un atto di indirizzo in cui devono essere definiti i criteri cui le società devono attenersi per conseguire una riduzione dei costi del personale. In particolare, l’atto di indirizzo dell’ente socio deve dare indicazioni in merito al contenimento degli oneri contrattuali, per ridurre l’incidenza delle voci accessorie, straordinarie e variabili relative ai rapporti già in essere, e, dall’altro lato, alla limitazione delle nuove assunzioni. I magistrati contabili della Toscana hanno evidenziato che è riconosciuta la facoltà per l’ente di prendere in considerazione anche il “settore di operatività” delle società, introducendo così un ulteriore criterio discrezionale su cui l’ente locale può articolare autonomamente l’atto di indirizzo. Se è vero, infatti, che il principio guida che l’ente deve perseguire è quello della “riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni”, nondimeno risulta necessario valutare anche l’ambito di operatività in cui le società esplicano la propria attività, in modo da non compromettere il corretto svolgimento dei servizi ad esse affidati. Come evidenziato dai magistrati contabili, “la raccolta rifiuti rientra certamente nel novero delle attività essenziali dell’ente poiché indirizzata a garantire l’igiene e la sanità pubblica”. La peculiarità del servizio, con i suoi risvolti di utilità, potrà quindi essere opportunamente considerata dall’ente nella definizione del proprio atto di indirizzo. Spetterà all’ente, pertanto, vagliare e percorrere impostazioni coerenti con le prescrizioni finalistiche della legge, nel rispetto degli ordinari criteri di efficienza ed economicità del servizio. Si evidenzia, infine, che come precisato dai magistrati toscani “l’ingresso di un nuovo socio in una società preesistente non integra, di per sé, gli estremi di una circostanza tale da giustificare l’aumento del personale in servizio nella società, dal momento che proprio la finalità di contenimento della spesa costituisce – come detto – una delle principali ragioni di adozione del mezzo societario da parte dell’amministrazione”. ____________________________________ Lombardia, deliberazione n. 1 – Riduzione compensi amministratori società Un sindaco ha chiesto un parere in merito al compenso da attribuire all’amministratore unico di una società partecipata per la gestione di due farmacie. L’ente ha premesso che il d.l. 90/2014 stabilisce un limite, quello dell’80%, del compenso corrisposto nel 2013. Posto che l’ente in quell’annualità non corrispondeva alcun compenso per l’amministrazione della società – visto che attribuiva la carica a consiglieri comunali – ha chiesto se può essere utilizzato quale parametro l’ultimo compenso erogato, risalente al 2008. I magistrati contabili della Lombardia, con la deliberazione 1/2015, pubblicata sul sito 21 della sezione regionale di controllo il 14 gennaio, hanno ricordato che, a decorrere dal primo gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle società controllate direttamente o indirettamente dalle p.a., fra le quali sono ricompresi i comuni che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell'intero fatturato (c.d. società strumentali), non può superare l'80% del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013 (articolo 4, comma 4, del 95/2012). Il medesimo vincolo è stabilito nel comma 5 dell’articolo 4 del d.l. 95/2012 con riferimento alle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta. Come evidenziato dai magistrati contabili, il legislatore ha previsto una riduzione dei compensi erogati agli amministratori delle società, senza tuttavia vietare agli enti locali la possibilità di nominare quali amministratori dei soggetti esterni, e ciò anche considerando le incompatibilità introdotte con il d.lgs. 39/2013. Pertanto, in assenza di un parametro di riferimento sul quale calcolare la percentuale dell’80%, lo stesso può essere individuato nell’ultimo esercizio nel quale l’ente locale privo della tipologia di spesa in esame nell’anno 2013 abbia affrontato tale spesa, purché l’importo sul quale calcolare il limite di spesa sia aggiornato tenendo conto delle limitazioni introdotte con l’articolo 6, comma 6, del d.l. 78/2010. Infine, i magistrati contabili hanno evidenziato la necessità che il compenso erogato al singolo amministratore rispetti quanto previsto dall’articolo 1, comma 725, della legge 296/2006. ______________________________________ Marche, deliberazione n. 143 – Mobilità personale tra società partecipate Una Provincia ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione della disciplina recata dall’articolo 1, commi 563 e ss. della Legge di stabilità 2014, in tema di mobilità di personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni. In particolare l’ente ha chiesto se tale normativa, riferita agli organismi partecipati di natura societaria, sia applicabile anche agli enti pubblici economici (nella specie consorzi di sviluppo industriale). I magistrati contabili delle Marche, con la deliberazione 143/2014, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo l’8 gennaio 2015, hanno ricordato che la legge di stabilità 2014 ha introdotto una inedita procedura volta a favorire i processi di mobilità del personale tra le società controllate direttamente o indirettamente dalle p.a. o dai loro enti strumentali e, conseguentemente, a consentire una ottimale allocazione delle risorse umane. A tal riguardo si prevede che le società controllate, direttamente o indirettamente dalle p.a., o dai loro enti strumentali, possono sulla base di un accordo tra di esse, realizzare, senza il consenso del lavoratore, processi di mobilità del personale, previa informativa alle rappresentanze sindacali operanti presso la società ed alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato, in coerenza con il rispettivo ordinamento professionale e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Centrale il ruolo svolto, nell’ambito dell’articolato iter, dagli enti controllanti che sono tenuti a definire appositi piani industriali, in relazione alle esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi esternalizzati e, conseguentemente, ad adottare atti di indirizzo affinché le società, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di 22 risorse umane assumano mediante mobilità personale di altre società pubbliche. Lo stesso Ente controllante è tenuto a curare la ricollocazione totale o parziale del personale eccedentario nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali. In vista di un’ampia applicazione dell’istituto sono, altresì, previste forme di trasferimento in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di personale nonché specifiche agevolazioni fiscali in relazione a società che, nell’ambito della propria disponibilità di bilancio, si facciano carico (per un periodo massimo di tre anni) del trattamento economico del personale interessato dalla mobilità. La mobilità non può comunque avvenire tra le società e le p.a. Secondo i magistrati contabili, tale disciplina dovrebbe essere interpretata estensivamente e, dunque, ricomprendere nel suo ambito di applicabilità, la variegata e disomogenea realtà degli organismi partecipati, nel cui novero non sono ricomprese esclusivamente le società. La questione sulla possibilità di includere, nel novero dei soggetti incisi dalla disciplina sulla mobilità tra società pubbliche, anche i consorzi, è stata rimessa alla Sezione Autonomie. ________________________________ Campania, deliberazione n. 254 – Costi del personale società in house Un sindaco ha chiesto se i dipendenti di una società in house, interamente controllata da enti pubblici, siano soggetti al “blocco” dei contratti, come i dipendenti degli enti locali, sia per la retribuzione individuale che per la retribuzione accessoria. I magistrati contabili della Campania, con la deliberazione 254/2014, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 7 gennaio 2015, hanno evidenziato che nonostante l’abrogazione della immediata e diretta applicazione alle aziende speciali, istituzioni e società a partecipazione pubblica, di alcuni tipi di vincoli alle assunzioni e alle spese di personale previsti per le amministrazioni di riferimento, il nuovo dettato legislativo introdotto dal d.l. 66/2014 e dal d.l. 90/2014 obbliga al rispetto dell’inequivocabile principio della riduzione dei costi del personale degli organismi partecipati dagli enti pubblici, sia in termini di contenimento degli oneri contrattuali che di quelli derivanti da assunzioni di personale, in armonia con quanto disposto, in via generale, negli anni, in tema di riduzione globale della spesa pubblica. Il legislatore ha previsto: - la predisposizione, da parte dell’ente controllante, di un proprio “atto di indirizzo” che, in conformità a quanto disposto, a suo carico in tema di divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisca, per ciascun organismo partecipato, i criteri e le modalità per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei costi, previa verifica dello specifico settore di appartenenza; - l’adozione, da parte di ogni ente partecipato, di propri provvedimenti di attuazione degli indirizzi espressi dall’ente controllante, con specifico obbligo, nel caso di riduzione degli oneri contrattuali, di recepimento degli stessi in sede di contrattazione di secondo livello. 23 Tale previsione obbliga sia i controllanti che i controllati ad una seria valutazione della propria situazione economico-finanziaria, nonchè delle reali e concrete necessità che a ciascuno di essi fanno capo, facendo emergere la responsabilità di ciascuno nel caso di mancata attuazione delle misure che conformino i propri costi in maniera coerente con la qualità dei servizi prestati. 24