Caposud n 4

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Caposud n 4
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.
(conv. in L. 27/02/2004
27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB S1/BA420/2009 - CAPOSUD ANNO 2 NUM. 3 - giu/lug/ago 201
2010 - Û 5,00
PRIMO PIANO
La nostra America contro la loro America
Cambogia: spostati con la forza
Marocco: stato d’assedio non dichiarato Articolo censurato dalla stampa locale
Italia chiama Sud
Sono nata, di Elisabetta Zerial Vincitrice del concorso scuole ÒTerzani 2010Ó
lÕosservatore romeno
di Mihai Mircea Butcovan
CaPoSUD
SOLO REDATTORI DEI SUD DEL MONDO
Sommario
EDITORIALE
Al volante senza mani
4
STORIE ANIMATE DAI SUD
Africa
27
PRIMO PIANO
La nosta America contro la loro America
8
LAVORI IN CORSO
In linea con Kubatana
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POLITICA
NAZIONALE
Cambogia: Spostati con la forza
Multinazionali alla sbarra
Marocco: Stato d’assedio non dichiarato
Dio non è brasiliano. Dio è bahiano
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16
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L’OSSERVATORE ROMENO
Calci solidali
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ITALIA CHIAMA SUD
Sono nata
CARTOLINE DAI SUD
A sorsi di mate
Arte contemporanea alla conquista del Camerun
La capanna dentro l’Amazzonia
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33
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COOPERANDO
Lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione
e del Terzo Settore
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STORIE DAI SUD
La diplomazia della coca
I curas delle Villas Miserias
Coppa del mondo 2010
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6
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31 33
In questo numero
3
editoriale
Al volante senza mani
N
ella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984, l’India fu colpita dal peggior disastro industriale
della storia. Tonnellate di gas isocianato di metile (MIC) fuoriuscirono da una fabbrica di
pesticidi della Union Carbide India a Bophal. Migliaia di morti e menomazioni impossibili da
contare. La casa madre - una multinazionale americana - non è intervenuta né è stata citata nella
questione: la responsabilità è ricaduta solo sulla sede indiana. Dopo 25 anni, il verdetto del
tribunale indiano ha condannato otto persone a due anni di reclusione ed al pagamento di una
multa. Sono tutti indiani.
La realtà, che va guardata spalancando gli occhi e sentita addosso come la tragedia di Bophal, è
che oggi i governi nazionali agiscono guidati da grandi gruppi economici del tutto privi di confini.
Incidenti di questa portata, o guerre, anche interne - che devastano Africa, America Latina, Asia
- sono spesso un prodotto targato Shell, Areva, Exxon, Esso. E cosí via. Ce lo spiega magistralmente
Manuel Rozental, colombiano e autore del nostro pezzo di primo piano. Il suo articolo è quasi
una lettera aperta, un grido di dolore: “ci mettono le armi in mano, fanno passare le guerre come
inevitabili, interne o esterne che siano: tutto questo per coprire una ricerca di profitto da parte di gruppi
economici multinazionali”.
In Africa, il Niger - uno dei Paesi più poveri del mondo - ha ricevuto nel 2005 poco più di 7 miliardi
di franchi CFA (circa 11 milioni di euro) per la vendita dell’uranio, e 12 nel 2006. Secondo le cifre
ufficiali, solo nel 2006 l’uranio nigerino ha fruttato, globalmente, almeno dieci volte tanto. A cosa
serve essere il terzo o addirittura il secondo produttore di uranio del mondo se il Paese ne ricava
cosi poco? Dice Hassan Boukar, giornalista nigerino: “Mi chiedo se dobbiamo accettare l’impatto
ambientale delle estrazioni, e i danni alla salute delle popolazioni delle zone nord del Paese dove c’è l’uranio - per una somma che è la stessa che ogni anno spendiamo per importare latte
dall’estero”. Qualcuno sospetta anche che il conflitto Touareg, che infiamma proprio il nord del
Paese, sia fomentato ad arte per fare calare il più possibile il sipario su quel che accade nella zona
delle miniere.
Nel frattempo il Niger riceve decine di milioni di euro in aiuti allo sviluppo da parte di numerosissimi
donatori, che spesso - quasi sempre in realtà - sono gli stessi Paesi che hanno interessi commerciali
nell’area, perché legati a questa o a quella multinazionale, come è per la Francia il caso di Areva,
colosso mondiale dell’uranio. Sul fatto che non sia il Niger a reggere il volante della sua economia
non c’è dubbio. Ma giova ricordare che l’80 per cento della produzione di elettricità in Francia è
nucleare e che sarebbe oggi quasi impossibile riconvertire la produzione: in altri termini, senza
uranio si fermerebbe l’Esagono. Chi comanda davvero, quindi: la Francia o la multinazionale
francese?
Ai Paesi del Sud restano, in teoria, gli aiuti allo sviluppo. Peccato che Muhamed Yunus, economista
e padre del microcredito, calcoli che circa tre quarti di questi aiuti tornino dritti nelle tasche dei
Paesi che li hanno elargiti, tra acquisto di beni e stipendi degli operatori della cooperazione.
Degli effetti dei “Trattati di Libero Commercio”, infine, sappiamo tutti: facilitano l’entrata dei nostri
prodotti nei Paesi del Sud piuttosto che la circolazione dei loro prodotti nei nostri mercati. Oggi
per fortuna vi sono Paesi, come l’Ecuador, in grado di rifiutarne la firma. Ma sono pochi.
“È stato un piacere fare affari con lei, Africa!”
(sulla valigia: “un bell’affare”; sul cappello: “grandi idee”)
Quindi: al volante, fratelli del Sud, guidate pure le vostre economie ed il vostro sviluppo.
Ma senza mani.
La Redazione
© Evelyn Wangui Gichuhi
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Di fronte a una pallottola
o dietro a un fucile
Squadra Speciale della Polizia Nazionale Colombiana durante un’operazione di distruzione di un laboratorio clandestino
di trasformazione chimica della cocaina, presso Cumaribo, Vichada, Colombia. © Martin Garcia
primo piano
La nostra America
contro la loro America
Riflessioni su “Il Brasile sfida il Plan Colombia”
di Manuel Rozental* (Colombia). Dedicato alla memoria di Betty Cariño e Andrés Muelas1
I
Ministri della Difesa dell’UNASUR2
stanno procedendo alla definizione di una strategia continentale
di difesa.
Il Brasile non è il solo a prepararsi
militarmente per affrontare il “Plan
Colombia” e la strategia militare messa in atto dagli USA nel continente,
ma è senza dubbio il protagonista di
questa azione.
Le corporazioni finanziarie, le banche,
le imprese minerarie, turistiche, ambientalistiche, alimentari e via dicendo si arricchiscono così, e impugnano
l’ascia di guerra. Tutti i giorni qualcuno scompare, e mentre uccidono, minacciano, giustiziano, perseguitano
gente in tutta l’America Latina, a trarne beneficio sono sempre direttamente o indirettamente le corporazioni.
Iniziano a formarsi blocchi tra le multinazionali poiché questi squali si divorano l’un l’altro. Sono predatori.
È nella loro natura. Mangiano il popolo quotidianamente. Di tanto in
tanto, mangiano qualche squalo.
Le reti vengono annodate in uffici
che non vediamo, dove stanno signori in giacca e cravatta e donne - poche
- con abiti firmati e dal cognome importante. Poiché queste riunioni sono
invisibili, sui giornali non si ha notizia
delle decisioni in atto e quindi non
capiamo perché il Cile un giorno è
alleato del Brasile e il giorno dopo gli
è contro. La verità è che non sono né
il Cile né il Brasile a decidere.
Ma queste sono questioni da “gente
importante”, non del popolo. A noi,
tocca trovarci di fronte a una pallottola o dietro a un fucile. Se mi sono
messo a pensare a tutto questo la
colpa è di Raúl Zibechi.
8
IL BRASILE SFIDA IL PLAN COLOMBIA
di Raùl Zibechi**
L’escalation militare realizzata negli ultimi due anni dal Pentagono e dal Comando
militare stanutitense nella regione sudamericana, col suo dispiego di basi in
Colombia e a Panama e l’occupazione di Haiti dopo il terremoto di gennaio, ha
provocato la reazione del Brasile (...)
Varie brigate di fanteria stanno per essere trasferite dal litorale verso la regione
centrale di “Planalto”, con l’intento di difendere l’Amazzonia. In questa regione
verranno creati 28 nuovi posti di frontiera, oltre i 21 già esistenti. L’esercito
sommerà 59.000 nuovi effettivi ai 210.000 che già conta. Questo incremento sarà
focalizzato nella regione amazzonica, la cui difesa è il nodo strategico per il Brasile.
(…) Nel “Planalto” verrà installata inoltre una base dell’aeronautica militare
brasiliana per operazioni aeree di trasporto “Hercules” (aerei C-130 Hercules,
grandi aerei militari destinati al trasporto truppe, merci e materiali, ndr) (...)
Questi cambiamenti fanno parte della “Strategia nazionale di Difesa” approvata
nel dicembre del 2008 dal presidente Lula, che definisce azioni a breve, medio e
lungo termine - sino al 2030 - per “modernizzare la struttura nazionale di Difesa”,
riorganizzando le forze armate, l’industria brasiliana degli armamenti e la
composizione dell'organico delle forze armate. Inoltre punta su tre fattori decisivi:
cibernetico, aerospaziale, nucleare.
Sinora, inoltre, l’esercito puntava verso il sud perché sempre si è pensato ad un
possibile conflitto con l’Argentina, eredità del periodo coloniale. Adesso si
posizionerà nella regione centrale perché le minacce reali da terra vengono dal
nord e dalla regione andina.
La strategia militare che il Pentagono applica per contenere il Brasile consiste
infatti nel circondare l’immenso Paese di basi militari (già esistenti a Panama,
Colombia, Perù e Paraguay) e generare conflitti e instabilità alle frontiere: è questo
l’obiettivo strategico del “Plan Colombia” e del nuovo dispiegamento di basi militari
nella regione. (...)
“L’epoca in cui le potenze dominanti godevano di ‘sfere di influenza esclusive’ in
tutto il mondo è cosa del passato” si può leggere nell’edizione del “Diario del
Pueblo” (“Giornale del Popolo”, ndt) dedicata a spiegare la crescita della Marina
da guerra cinese e il suo dispiegamento nel Pacifico occidentale.
Il quotidiano governativo aggiunge che il rapporto di forze nel pacifico sta
cambiando, la presenza navale statunitense si sta rafforzando in questa regione,
per cui l’ascesa militare cinese è un “requisito strategico per tutte le grandi potenze
che devono difendere i propri interessi in rapporto alle proprie capacità”.
In Sudamerica succede qualcosa di simile: una grande potenza si sta preparando
per sostituire, anche sul piano militare, il decadente impero statunitense.
Uno lo legge e si mette a pensare
così: evviva le multinazionali, che
competono tra loro e si attaccano,
ma che si alleano per rubare e ripulire
la gente di tutto. La loro è una lotta
contro il lavoro e i lavoratori, ma anche il sintomo di un odio radicale
contro la gente che sfruttano e di cui
preferirebbero non aver bisogno; una lotta contro i diritti
delle persone, in particolare “Ma
contro il diritto al bene comune.
È qui che entrano in gioco…
I governi dei Paesi più potenti.
In generale sono tutti sotto il controllo delle multinazionali. Solo che ce
ne sono alcuni più in decadenza
(USA) e altri in ascesa (Cina, India,
Russia, Brasile). Per difendere i loro
interessi e il diritto a rubare e a sfrut-
co) a togliere il petrolio al Brasile (Petrobras). La battaglia tra multinazionali si combatte tra Paesi. L’entrata
in Iraq in passato non è stata altro
che questo. Si sono inventati scuse
e lo hanno invaso puntando sul petrolio. Adesso lo stesso avviene in
Colombia con la questione del terrorismo e del narcotraffico o ad
Haiti con il terremoto e il problema del razzismo.
queste sono questioni da
‘gente importante’, non del popolo.
A noi, tocca trovarci di fronte a
una pallottola o dietro a un fucile”
Sentono di avere diritto su tutto
e tutti per fare soldi. Credo che
questo, prima o poi, le obblighi
alla violenza, perché la gente
ha la cattiva abitudine di non
lasciarsi sfruttare e derubare volentieri; ma anche perché se molte di
loro credono di avere diritto a tutto,
prima o poi qualcuna prenderà il sopravvento.
Quando la competizione si fa spietata, come è adesso, e poche multinazionali negli USA e nell’Unione Europea danno a intendere di volersi
“mangiare” tutte le altre, arriva il momento di armare i blocchi per difendersi e/o per riuscire a divorare le
altre.
tare, le corporazioni e i governi stipulano alleanze. Dai media questa viene
mostrata come una “corsa agli
armamenti” e si presenta come la
difesa della “sovranità nazionale”.
In realtà i governi difendono le corporazioni con le quali si sono alleati
perché sentono la minaccia di altre
corporazioni che, a loro volta, hanno
altri Paesi, coi rispettivi eserciti, come
portavoce delle loro intenzioni.
Il Brasile si prepara ad affrontare gli
USA o gli USA (Exxon, Chevron e Texa-
Noi questo non lo vediamo,
infatti a questo punto entrano
in gioco… i mezzi di propaganda (c’è chi li chiama ancora
“di comunicazione”). In altre
parole, i media devono portare
avanti la lotta ideologica per le multinazionali in modo tale da convincerci che si tratta di una “lotta inevitabile e giusta” da parte dei Paesi per
il popolo e per il territorio, per la sovranità e l’autonomia.
E così, come sempre, gli USA si lanceranno nella difesa della democrazia,
nella protezione dell’Amazzonia, nella lotta contro il narcotraffico e il terrorismo e con questi argomenti recluteranno i poveri delle città e delle
zone rurali disposti a morire e soprat-
Ph. Aaron Escobar
Ph. Franco Folini
tutto ad uccidere per questa causa.
Ad esempio, in Brasile, la gente è convocata a difendere l’Amazzonia, il
Petróleo (corporazione industriale),
ecc. dall’invasione straniera.
la sinistra, si smobilitano i movimenti
sociali e vincono le multinazionali al
punto tale da arrivare al referendum
elettorale come in Cile. O viene eletta
una sinistra che appoggia le multinazionali o vince una
“Iniziano a formarsi blocchi tra destra che batte tutti.
Difficilmente ci sono
le multinazionali poiché questi “governi popolari”. È ciò
che avviene nella crisi in
squali si divorano l’un l’altro”
Ecuador tra indigeni e
governo, precisamente
Se la Cina è in affari col Sudan difennella lotta per la difesa dei beni coderà la sovranità petrolifera del Sumuni.
dan. Se l’Olanda è in affari con la Nigeria…e così via. Ciò che vogliono è
Per non parlare del Venezuela, sotto
approfittarsi senza pudore dei nostri
costante attacco per consolidare il
principi, delle nostre convinzioni, per
pretesto di una guerra continentale
reclutarci. Obama ha ricevuto il Preper il petrolio. O di Cuba, che resiste
mio Nobel per la pace proclamando
con dignità nonostante tutto, ma che
guerre giuste.
è anche all’apice della crisi, tanto che
il governo e il popolo si vedono obMa le cose dipendono anche dai gobligati a prendere decisioni pragmaverni… perché dei governi popotiche ogni volta più difficili.
lari ci si dovrebbe fidare.
Anche se nell’esperienza recente dei
E qui entrano in gioco… i governi
governi progressisti in America Latidei Paesi-prodotto. Convertitisi
na c’è sinistra e sinistra. Per esempio
sempre più in basi militari e progetti
la sinistra del Cile, che governò per
estrattivi. Messico, Honduras, Costa
la destra per così tanti anni che la
Rica, Panama, Colombia, Perù, Cile…
gente alla fine optò per qualcosa di
una “grande alleanza” di destra coororiginale (Derecha, Piñera). In Brasile
dinata da Canada e USA in una sola
più vogliono Lula più si indebolisce
strategia di aggressione e occupazio10
ne il cui esempio più tragico è stato
la trasformazione di Haiti in una portaerei, approfittando degli effetti devastanti del terremoto sulla miseria
generata dall’accumulazione e dal
razzismo.
Questo concetto di “Paese-prodotto”
è stato ripreso e spiegato di recente
da Alberto Acosta3 ed Eduardo Gudynas. È semplice: i nostri Paesi vengono “primarizzati”, impoveriti. Siamo
la parte del pianeta dove la madre
terra è ancora piena di “materie
prime”, dai geni e dall’ossigeno fino
ai minerali e alle fonti di energia,
senza escludere naturalmente il bene
più grande: l’acqua.
Quindi, con una chiamata militare, ci
organizzano sotto l’egida di un Paese
o in blocchi di Paesi per metterci contro
un altro Paese o blocchi di Paesi in
difesa di un discorso ideologico fabbricato per gente senza cervello, per dei
lavoratori che saranno carne da cannone di uno schieramento o dell’altro.
Andiamo in guerra con entusiasmo e
fervore patriottico, in nome delle cause
di coloro che ci uccidono per rubarci
il“Paese- prodotto”.Andiamo a uccidere
con l’uniforme di uno schieramento o
dell’altro e alla fine vincono loro.
Ci mettono a celebrare quelli che
sono rimasti e a commemorare le
eroiche guerre e i martiri delle
“nostre” giuste cause. Le commemorazioni nei cimiteri e nelle piazze, il
dolore delle famiglie e delle madri,
sono il cemento affettivo e sentimentale di tutto questo apparato. Rubano
il nostro dolore.
E ora entriamo in gioco noi…
Noi che riconosciamo le multinazionali e che sappiamo che ci sono loro
dietro tutto questo. Noi che sappiamo che i governi sono cattivi governi
perché sono “i loro” e non sono pensati per noi e per le nostre vite.
Noi che comunichiamo per la coscienza, la verità e la vita, che cerchiamo parole nostre per andare avanti,
che ci rifiutiamo di indossare la loro
uniforme e di unirci ad altri popoli
per andare contro i malgoverni e i
progetti empi di coloro che mercificano la vita. Noi che affolliamo le
piazze, ci mobilitiamo, organizziamo
la resistenza dal basso.
O diciamo pure che il mondo è loro,
la guerra è fatta per loro e noialtri
siamo loro proprietà. O troviamo il
modo di smettere di esserlo e sco-
priamo chi è che vince in questa corsa agli armamenti e contro chi è fatta.
Io vi assicuro, ignorante e mediocre
poeta quale sono, che quel giorno in
cui si vedrà tanta gente, così cosciente, così sicura e pronta a disobbedire
a chi li ha sempre comandati, quel
bel giorno noi, consci di tutto il dolore
e i morti che abbiamo alle spalle e
della nostra grande voglia di vivere,
quel giorno, sono convinto, non ci
sarà una guerra, non potrà esserci.
Perché quelli che la fanno fare alla
gente la soffriranno in prima persona.
Quel giorno non ci saranno schiavi,
manipolazioni e menzogne. Quel
giorno sarà il giorno del giudizio finale perché ormai non lavoreremo
né uccideremo più per loro.
Ma, per ora, si stanno armando in
nome nostro. Ci convertiranno in eroi
e martiri e ci stiamo preparando a
uccidere e a morire per dei ladri invisibili che continuano a rubare mentre
noialtri, tutti noi, continuiamo ad essere sciocchi, assassini ed eroi della
loro guerra contro di noi, continuiamo ad essere di passaggio in un
mondo fatto di padroni che, a volte,
ci fanno l’onore di darci un lavoretto,
perdonarci di essere in vita, comprar-
ci con qualche monetina, per permetterci di eleggere i loro candidati alle
elezioni.
Traduzione di Maria Luisa Malerba
* Manuel è nato a Calì, la città
nota per la salsa e per il suo
“cartello della droga” in Colombia.
Chirurgo, si batte da anni per la
difesa dei diritti umani (diritto
alla salute, diritti delle popolazioni indigene) al punto da essere
costretto all’esilio in Canada per
sfuggire alle minacce di morte.
Sono innumerevoli gli enti dove
ha prestato servizio e lavorato.
** Raul è un giornalista uruguayano,
docente e ricercatore della
“Multiuniversità” Francescana
dell’America Latina e membro di
vari collettivi sociali.
NOTE
• 1 L’articolo è dedicato alla memoria di Betty
Cariño, assassinata poche settimane fa in Oaxaca,
e di Andrés Muelas, ucciso mentre tornava
dall’Italia verso il Cauca. Betty, era una indígena
Mixteca, Andrés un indigeno Nasa. • 2 Unión de
Naciones Suramericanas. Comunità politica ed
economica costituita il 23 maggio del 2008 che
intende stabililire una zona di libero scambio sul
modello dell’Unione Europea. • 3 Alberto Acosta.
“La Maldición de la Abundancia” (La maledizione
dell’abbondanza). Abya Yala, settembre 2009.
11
© Alexandra Jones
politica inter nazionale 1
Spostati con la forza
La politica dei “reinsediamenti” in Cambogia e i suoi effetti
dalla Cambogia Hin Dilen*
LÕ
espressione “concessione della
sopravvivenza, erano fuori portata,
Nel maggio 2006 più di 1.350 famiglie
terra e reinsediamento”,usata dai
secondo il comunicato stampa del
sono state sfrattate con la forza dalle
funzionari del governo per far sgomCentro per i Diritti Umani della Camloro case dal bassofondo di Sambok
berare la gente dalle proprie case,
bogia risalente a giugno 2006.
Chab per essere reinsediate nel vilforse suona poco realistica per chi
laggio di Andong, nel paese di Kork
l’ha vissuta in prima persona. Al
“In un certo senso adesso si sta
contrario “sfratto forzato” semmeglio rispetto a quando ci
“Siamo stati sfrattati alle 6 del
bra il termine più appropriato
siamo trasferiti. A quel tempo
per le 261.705 persone le cui mattino del 6/6/2006, forse 6666 non c’era nulla, vivevamo in una
case sono state date alle fiamtenda minuscola e dipendevame e demolite con l’ausilio delle era il nostro numero fortunato”
mo dai pochi chili di riso donaforze armate tra il 2003 e il 2009.
toci dalle ONG. In seguito sono
riuscita a lavorare in una risaia e a
Roka, e nella regione di Dangkoa, do“Siamo stati sfrattati dalle forze armaguadagnare qualche migliaio di riel
ve la popolazione reinsediata è stata
te e dai dipendenti della società 7G1,
al giorno. Ora viviamo in una casetta
stipata in un’area di trecento metri
di cemento e va meglio, ma qui la
quadri, con poche latrine e i bacini
alle 6 del mattino del 6/6/2006, forse
vita, in generale, è più dura che nel
idrici forniti dalle organizzazioni non
6666 era il nostro numero fortunato”,
Sambok Chab a Phnom Penh, perché
governative. Acqua potabile, cibo,
ha dichiarato Chit Thorn col sorriso
lì potevamo vendere qualcosa, menelettricità e infermerie, i servizi di
sulle labbra, ironizzando su quel che
tre qui non c’è nulla”.
primaria importanza per garantire la
è successo a lei e alla sua famiglia.
Così ha detto Chit Thorn, che ora si
guadagna da vivere vendendo souvenir fatti a maglia. Dopo quattro anni dal reinsediamento nelle nuove
zone, la gente di Andong che è stata
sfrattata non ha visto cambiamenti
nel tenore di vita, e se è accaduto,
sono stati minimi.
A quasi 20 km di distanza dal centro
della città, la nuova posizione rende
la vita ancora più difficile ai nuovi
abitanti che non hanno mezzi di trasporto per andare a lavoro, e a farne
le spese è il loro guadagno giornaliero. Visto che la maggior parte dei
posti di lavoro si trova in città, gli
abitanti dovrebbero prendere un taxi
che gli costerebbe 8.000 riel (2 dollari), mentre ne guadagnano solo
10.000 o 15.000 al giorno per un lavoro specializzato. Per quelli che hanno una moto, la benzina è una spesa
non indifferente perché costa più di
un dollaro al litro.
Di conseguenza molti finiscono per
non lavorare. E quali sono gli effetti
del reinsediamento sulle stratificazioni sociali degli abitanti di Andong?
© Kieran Ball
Quando i quartieri poveri sono stati
inglobati nella città, la parola “bassifondi” non era molto conosciuta, e
questi quartieri erano identificati con
il loro nome. Da quando sono stati
spostati dalla città alla campagna, la
parola “bassifondi” ha iniziato ad
identificare non solo un luogo, ma
anche la gente che ci viveva. Questo
ha determinato una ghettizzazione
e ha precluso loro la possibilità di
integrarsi nei villaggi vicini, in particolare per i bambini nelle scuole.
“I bambini di questi quartieri non
riescono ad integrarsi con quelli dei
villaggi vicini perché sono considerati poco raccomandabili e sporchi”,
ha detto il signor Ratana, l’attivista
della comunità che opera ad Andong.
“Non vogliono andare a scuola perché ci sono le scuole delle ONG che
forniscono cibo e assistenza, ma questo li allontana dai bambini dei villaggi e probabilmente li espone al gioco
d’azzardo, alla droga e alle altre attività illecite che si svolgono nei
bassifondi”. Secondo il responsabile
del villaggio e del paese, l’interazione
sociale all’interno della comunità è
uno dei principi su cui si fonda il nuovo reinsediamento, e il fine ultimo è
far sì che i villaggi abbiano la stessa
“mentalità”.
Ci vorrà moltissimo tempo, una politica corretta e azioni adeguate da
parte del governo per permettere ad
entrambi i gruppi di amalgamarsi.
Fino ad allora, potremo testare
l'atteggiamento della gente verso le
divisioni sociali, in particolare tra le
nuove generazioni.
Traduzione di Valeria Brucoli
* Hin si è laureato in Cambogia e
lavora da 5 anni con ONG nel
settore educativo. Lavora anche
come traduttore ed ha un blog sul
turismo alternativo.
NOTE
• 1 Azienda cambogiana che sostiene di possedere
queste terre. È frequente che avvengano in
Cambogia simili spostamenti a beneficio di
compagnie locali o internazionali ed in generale
per favorire interessi commerciali, come già
denunciato più volte da Amnesty International.
13
politica inter nazionale 2
Multinazionali alla sbarra
Le multinazionali europee sotto accusa davanti al Tribunale dei Popoli
Tratto dagli articoli pubblicati da ADITAL* il 15 e il 18 maggio 2010
D
al 14 al 18 maggio, Madrid è
stata la sede del Vertice dei
Popoli “Enlazando Alternativas IV” del
Tribunale Permanente dei Popoli
(TPP). Le attività, realizzate presso la
Facoltà di Matematica dell’Università
Complutense, si sono svolte in parallelo alla riunione dei capi di Stato
dell’Unione Europea, dell’America Latina e dei Caraibi.
Con il tema “L’Unione Europea e le
imprese multinazionali in America
Latina: politiche, strumenti e attori
complici delle violazioni dei diritti dei
popoli”, l’obiettivo del TPP è quello di
denunciare i crimini commessi dalle
multinazionali e l’impatto delle loro
attività sui diritti economici, sociali e
culturali degli Stati latinoamericani
e caraibici.
Inoltre, ci si propone di rendere nota
la complicità dell’Unione Europea,
degli Stati membri e delle istituzioni
internazionali riguardo all’impatto
delle azioni delle multinazionali sui
diritti dei popoli. Il TPP ha portato a
termine 2 sessioni sulle “politiche neoliberiste e transnazionali europee
in America Latina e Caraibi”, in cui
sono state esposte le violazioni dei
diritti umani, lavorativi e ambientali
commesse da più di 25 imprese multinazionali con base nell’Unione Europea e le loro sussidiarie (tra cui Repsol YPF, Unión Fenosa, Suez, Unilever,
Ence, Botnia, Shell e banche europee
come BBVA e ABN-AMRO) in tutta
l’America Latina e Caraibi.
Una di esse è il Gruppo Pescanova,
accusato di violazione dei diritti dell’uomo e dei lavoratori in Nicaragua.
Secondo il dossier del Tribunale, lo
sfruttamento della pesca attuato
dall’impresa spagnola sta provocando gravi danni alle foreste di mangro14
vie nicaraguensi. “Il processo di espansione di Pescanova ha innalzato
in maniera preoccupante il livello di
contaminazione delle acque, influendo sulla specie delle mangrovie”.
ne e la repressione, la crisi economica,
la migrazione, i mezzi di comunicazione, i diritti umani, i diritti dei popoli
indigeni, la sovranità alimentare e il
debito estero e ambientale.
Vengono inoltre evidenziate violazioni dei diritti lavorativi e sindacali: giornate lavorative superiori alle 12 ore,
sconti di imposta in cambio di ore
extra e limitazione o proibizione del
diritto dei lavoratori di sindacalizzarsi.
Queste denuncie sono state effettuate da Movimiento Social Nicaragüense
Otro Mundo es Posible, Alianza Social
Continental, Jubileo Sur América e Veterinarios sin Fronteras (Spagna).
Il 15 maggio si è tenuta l’Assemblea
dei Popoli Creditori di Debiti Storici,
Sociali, Finanziari, Culturali, Ecologici
e di Genere. L’idea è quella di denunciare cause e responsabili dell’accumulo di debiti e tracciare strategie
e iniziative per risarcire le vere nazioni
creditrici.
Oltre a Pescanova, davanti al TPP sono
comparse altre imprese, tra cui Syngenta, per aver contaminato la terra
e la biodiversità in Brasile con agrotossici e semi transgenici e Telefónica
Chile - filiale del Grupo Telefónica de
España - per violazione della libertà
sindacale e violazione del diritto al
lavoro.
Il Vertice
In conformità col Manifesto del Vertice dei Popoli “Enlazando Alternativas
IV”, promosso dalla Rete Biregionale
Europa, America Latina e Caraibi
“Enlazando Alternativas”, l’obiettivo
dell’incontro è “rafforzare nuove convergenze solidali tra i nostri popoli,
le resistenze popolari emergenti e
costruire uno spazio politico e di mobilitazione biregionale, malgrado
la criminalizzazione dei movimenti
sociali”.
Nel corso di questi cinque giorni, sono state realizzate circa cento attività
autogestite e laboratori su tematiche
come il libero commercio, l’energia
e il cambiamento climatico, l’impatto
delle multinazionali, la militarizzazio-
Secondo il Manifesto, questi debiti
storici, sociali, culturali, economici e
ambientali continuano ad aumentare, a causa dello sfruttamento delle
risorse naturali e della violazione dei
diritti umani condotte dalle nazioni
sviluppate.
“Il debito estero è profondamente illegittimo, illegale e non sostenibile eticamente, giuridicamente e politicamente;
viene utilizzato come strumento di
controllo, dominazione e saccheggio
dei paesi e popoli del Sud. È necessario
eliminare queste ingiustizie e la povertà provocata dal pagamento del debito per costruire davvero quest’altro
mondo possibile”, sottolinea il Manifesto.
Traduzione di Angela Patrono
* Agenzia di Informazione di ispirazione cristiana, nata in Brasile
nel 1999, per portare all’attenzione dei media internazionali
l’agenda sociale latinoamericana
e caraibica. L’ampia rete di corrispondenza si fonda su movimenti
sociali, comunità indigene e reti
di cittadinanza attiva dell’intero
continente sudamericano.
Ph. Rodrigo González
politica inter nazionale 3
Stato dÕassedio non dichiarato
La vita a Zaag, villaggio di confine nel sud del Marocco
dal nostro corrispondente dal Marocco Montassir Sakhi*
D
opo 16 ore di viaggio, il pullman
ha raggiunto il villaggio Zaag.
Zaag si trova a pochi chilometri (circa
50) dal muro che separa il sud-est del
Marocco da Tindouf1.
Alle porte di questo villaggio, così
come alle porte della piccola cittadina di Assa - 80 km prima di Zaag degli agenti della gendarmeria reale
salgono sull’autobus per controllare
i documenti di identità di tutti i passeggeri. “Nessuno può entrare nella
cittadina senza un’ispezione minuziosa” mi informa uno dei passeggeri.
D’altronde, queste misure di sicurezza
si sono molto ridotte negli ultimi anni.
“Dieci anni fa, non potevi entrare senza un’autorizzazione ufficiale rilasciata a seguito di indagini dettagliate”
ci informa la nostra fonte.
Nonostante ciò, chiunque può notare
l’enorme differenza rispetto ad altri
territori marocchini. A turisti e stranieri è vietato entrare in questa piccola cittadina.“Quando arrivano degli
stranieri in questa regione, le autorità
li allontanano o li accompagnano all’unica pensione esistente e li sorvegliano fino al mattino seguente per
poi chieder loro di abbandonare i
luoghi» afferma Bachir Boudaâka,
membro del segretariato locale di
Zaag.
Questo chiaro «stato di assedio» è
dovuto alla presenza concentrata nella regione di militari, delle Forze Armate Reali e delle Nazioni Unite. Si
tratta di una regione di frontiera che
ha subito nel corso degli anni gravi
violazioni in seguito agli attacchi dei
membri del Polisario2 durante la guerra. Le violazioni sono proseguite fino
all’inizio degli anni ’90. Oggi, gli effetti
16
ARTICOLO CENSURATO DALLA STAMPA LOCALE
della guerra sono ancora presenti.
Tuttavia, lo spirito di appartenenza
alla patria cresce nei cittadini che
sono più che mai convinti della necessità di difendere il Marocco e di
battersi per uno sviluppo permanente e per il riconoscimento di tutti i
loro diritti.
Uno sviluppo basato sull’assistenzialismo
Le principali attività economiche in
questo comune sono l’allevamento
di pecore e il commercio. L’agricoltura
sta attraversando una vera e propria
crisi, in particolare a causa di una condizione di “grande oasi” che va a vantaggio dei militari. Questi ultimi traggono profitto dalle loro terre impedendo l’accesso ai piccoli contadini.
Di fronte all’assenza di imprese e di
progetti che producano reddito, le
“Cartiyate” (Carte fornite dalla Promotion nationale3 che consentono ai più
svantaggiati, ai disoccupati e agli invalidi di percepire tra i 900 e i 1.700
dirham al mese in base al grado di
precarietà, ma anche in base all’ap-
partenenza tribale) restano l’unica
via d’uscita in grado di garantire alle
famiglie la sussistenza. 94 carte promozionali vengono distribuite alle
famiglie. Bachir Boudaâka, come
Mohamed Barouch, segretario generale della sezione dell’USFP4 a Zaag,
sostiene che diverse persone esterne
alla città beneficiano di queste carte.
D’altra parte, l’elenco di beneficiari
non è pubblico e soltanto il presidente del consiglio comunale designa
tali beneficiari. Mouloud Âmaye,
membro del consiglio regionale
dell’USFP di Assa-Zaag dichiara che
il presidente viene pagato tra i 300 e
i 500 dirham da ogni beneficiario di
queste Cartiyates. Ci siamo quindi
recati sul posto per verificare questa
informazione. Diversi cittadini ci hanno assicurato che è proprio così e che
Othman Âila, presidente del consiglio
comunale, appartenente al partito
Istiqlal5, sfrutta la loro debolezza e li
“deruba” di parte del sussidio.“D’altra
parte, è proprio lui a darci queste
Cartiyates, e noi gli dobbiamo in cam-
A causa dell’alto tasso di disoccupazione, molti giovani marocchini vivono nell’attesa, e nella speranza, di poter emigrare
verso l’Europa. Ph. Marcos Zion
Ingresso di un ufficio pubblico contraddistinto dallo stemma del reame del Marocco. Ph. Luca Tazza
bio una ricompensa” fa notare un
cittadino che non conosce la provenienza di questi sussidi. Mouloud
Âmaye aggiunge che la somma di
denaro viene distribuita presso gli
uffici del comune. “Questo non è un
luogo neutrale, e questo porta i cittadini a credere che si tratti di un
regalo da parte del presidente del
comune” ci spiega.
Il presidente del consiglio comunale, assolutismo senza eguali
L’autorità del presidente e il suo assolutismo sono una caratteristica evidenziata da tutti coloro che abbiamo
incontrato. Nell’ambito dell’INDH6,
diverse associazioni locali presiedute
da Othman Âila hanno beneficiato
dei finanziamenti stanziati. Ad esempio, una piscina pubblica doveva essere costruita accanto all’oasi nell’ambito dei progetti finanziati. Oggi,
questa piscina è solo un cumulo di
macerie: un mini-bacino privo d’acqua e abbandonato. Strade non asfaltate, abitazioni insalubri, rifiuti nocivi
per l’ambiente. Le strade di Zaag si
sono trasformate in una enorme discarica. Solo due carrozze sono riservate al trasporto di rifiuti fuori dalla
città, invece che un camion. E sono
gli abitanti a pagare il servizio (10
dirham al mese per ogni abitazione).
Ciò nonostante, Mohamed Abidar,
sostenitore del Fronte delle Forze
Democratiche e all’opposizione
all’interno del consiglio comunale di
Zaag, ci ha assicurato che è stato
stanziato un budget già nella prima
riunione del consiglio per l’acquisto
di un camion.
Crisi dei servizi e spazi pubblici…
A Zaag, i servizi pubblici sono carenti.
L’unico centro sanitario non possiede
le apparecchiature in grado di assicurare i più semplici interventi chirurgici. L’ambulatorio ostetrico, dal
canto suo, non esiste più, e aumenta
così il tasso di decessi di donne incinte. Queste ultime sono obbligate a
recarsi ad Assa, e spesso a percorrere
200 km fino a Guélmim in auto o in
taxi per l’assenza di ambulanze.
D’altra parte, gli abitanti si lamentano
anche per l’assenza di un muro a recintare e proteggere il cimitero.“I cani
randagi divorano i cadaveri dei defunti solo pochi giorni dopo il
funerale” segnala un volontario.
Quanto agli altri spazi destinati
all’istruzione e al divertimento, esiste
un solo centro ricreativo per giovani
e le infrastrutture sono carenti. Cosa
ancor peggiore, non esistono biblioteche, teatri, cinema, in questa cittadina. Questa situazione genera una
vera e propria frustrazione tra i giovani. Di fronte all’assenza di spazi di
confronto, cultura e intrattenimento
a loro destinati, si riversano nei bar,
o restano davanti alla tv a guardare
film indiani e partite della Liga spagnola per ore ed ore. Essendo vietato
agli stranieri frequentare la città, il
turismo è quasi inesistente a Zaag.
Questo non fa che peggiorare la situazione sociale che diventa sempre
più precaria, spingendo i giovani a
lasciare la città per altre località del
Marocco. Ne consegue che circa la
metà dei giovani di Zaag preferisce
emigrare.
La prostituzione, pratica legittimata
Il fenomeno più sorprendente in questa piccola città è quello della prostituzione. 23 case di prostitute si trovano nel bel mezzo dell’oasi. 15 di
queste case appartengono al presidente del comune. Le affitta a 500
dirham al mese a giovani donne pro17
venienti da diverse città marocchine.
Tre donne sulla trentina davanti a
queste casette confidano le loro atroci realtà, molto più facilmente del
previsto. “Abito qui dal 1998. Sono
venuta dalla città di Safi per sfuggire
alla miseria che minacciava la mia
famiglia. Qui, lavoro come venditrice
di sesso senza alcuna protezione di
tipo sociale. Oggi, mi pento della mia
vita, è tutto inutile” dichiara Soukaina
con un’amarezza evidente in volto.
Altre due donne hanno iniziato a
piangere per lo stato di miseria e le
condizioni di salute deplorevoli.“Non
pago l’affitto da tre mesi. Mi minacciano quindi di cacciarmi di casa. Sono incinta e non so come fare a garantire una vita al mio futuro figlio se
non vendendo il mio corpo ai giovani
e ai militari del Douar7” dice una delle
due con voce strozzata.
I militari non vanno più da loro tanto
spesso come qualche anno fa. “I soldati hanno oggi le loro case a Zaag.
Molti di loro si sono sposati e vivono
oggi con le loro mogli e i loro figli”
dice R.E. Le donne soffrono spesso di
malattie sessualmente trasmissibili
e percorrono spesso centinaia di chilometri per recarsi a Guélmin per ricevere le cure necessarie.“In passato,
alcune associazioni sanitarie, medici
e infermieri venivano qui a visitarci.
Distribuivano preservativi, ci offrivano le cure necessarie gratuitamente:
iniezioni e altri medicinali. Dal giugno
scorso, queste visite mediche sono
finite” indica una terza giovane prostituta. Questo fenomeno genera
spesso grandi problemi sociali. È il
caso di due donne che hanno partorito senza essere sposate.
Per S.K., membro di un’associazione
locale, la presenza di un quartiere di
prostitute si spiega con il fatto che
Zaag è una regione militare. Per evitare che i soldati, lontani dalle proprie
città e campagne, facciano del male
alle donne del villaggio come avveniva in diverse regioni, soprattutto
durante gli anni di piombo, sono proprio le autorità locali ad aver permesso la creazione di questo quartiere.
18
Peggio ancora,“è proprio il presidente del consiglio comunale che affitta
le sue case alle donne sfruttandole
durante le campagne elettorali”, fa
notare questa stessa fonte. Dal canto
suo, Boudaâka, membro del segretariato e del PJD, dichiara che “i giovani
del villaggio sono le prime vittime di
questa politica comunale che consente alle prostitute di abitare in questo quartiere, nonostante i militari si
astengano sempre più sovente dal
far loro visita”.
la sterilità della economia della rendita e dell’assistenzialismo. Questi
abitanti cominciano a far fronte alla
politica dell’orrore insediata dal consiglio comunale e spinta dal potere
locale rappresentato dal Ministero
dell’Interno. Ma la situazione attuale
non fa che alimentare le tensioni e
minaccia di scatenare una serie di
proteste che, in una zona di confine,
potrebbero avere conseguenze nefaste.
Traduzione di Stefania Sgherza
Un’opposizione che sta guadagnando terreno
*Montassir è un giovane giornalista
Davanti a questa impasse sociopolimarocchino. Nato nel 1988, ha
tica, l’opposizione sta scendendo a
studiato giornalismo e filosofia
compromessi e contribuisce a portaed è coordinatore nazionale
re avanti la lotta alla precarietà e
dell’associazione Mouvement
all’autorità considerata “suprema” del
Nouvel Horizon
presidente del comune. Così, il segretariato locale, composto principalmente da sostenitori del partito USFP,
assieme ai sostenitori del PJD hanno
organizzato diversi sit-in pacifici e
RABAT
manifestazioni dall’annuncio dei risultati delle ultime comunali nel
2009.“Le pratiche del consiglio
Marocco
comunale a Zaag confermano
che siamo ancora lontani dagli
Guelmin
Isole Canarie
•
slogan della Nuova Era” osserva
Algeria
Zaag •
Baroch Mohamed, segretario
• Tindouf
EL AYUN
generale della sezione dello
USFP di Zaag. “Abbiamo manifestato a diverse riprese la noSahara Occidentale
stra preoccupazione di fronte
Mauritania
ad una gestione comunale baMali
sata su frode, esclusione della
popolazione e corruzione” afferma prima di mostrarci le
firme di 372 persone che denunciano la situazione sociale a Zaag.
NOTE
Questa petizione, firmata nel mese
di giugno del 2009, indica che il comune incoraggia il monopolio delle
attività commerciali vietando il rilascio di nuove autorizzazioni ai richiedenti. Aggiunge inoltre che i giovani
di questo villaggio non beneficiano
di posti di lavoro aperti, in particolare
nelle carriere nei pressi di Zaag, e che
sono sfruttati da “stranieri” senza che
il comune imponga loro tasse. Oggi,
gli abitanti di Zaag sono convinti del-
• 1 Città dell’Algeria • 2 Esercito e movimento
politico attivo nel Sahara occidentale • 3 Ente
pubblico autonomo che si occupa della
mobilitazione della forza lavoro • 4 Union
Socialiste des Forces Populaires, (Unione Socialista
delle Forze Popolari) primo partito politico marocchino • 5 Il Partito dell’Indipendenza è un
partito politico storico del Marocco moderno,
fondato nel 1937 da Allal al-Fassi sulle basi
dell'ideologia nazionalista • 5 Initiative Nationale
pour le Développement Humain, Movimento
Nazionale per lo Sviluppo Umano • 6 Attualmente,
in Marocco, il termine Douar indica un comune
rurale o un quartiere popolare all’interno di una
città • 7 Partito della Giustizia e dello Sviluppo,
con tendenze islamiste.
politica inter nazionale 4
Dio non  brasiliano.
Dio  bahiano
Il mondo invidia il Brasile in pieno boom economico
dal Brasile Arthur Andrade*
LÕ
Il mondo che invidia il Brasile! Chi
l’avrebbe detto?
disastrati. I conti della foresta, jungle.
Oggi, il FMI è corteggiato dai Paesi
Europei - Grecia, Spagna, Portogallo,
per adesso. E il Brasile ha saldato il
conto - ma guarda un po’ la giungla.
E ha inviato una bella “banana da
terra” (platano - ndt), bella grossa, alla
cricca del financial world.
15 anni fa, il Paese pattinava sull’economia con pattini “made in Paraguay”.
Era visto come una foresta di indios
e scimmie tra gli edifici. Bussava alla
porta del Fondo Monetario Internazionale alla ricerca di dollari del
“Primo Mondo” per sanare i suoi conti
Quello che è successo in questi anni
è una lunga storia. Ma si sa che una
catastrofe gigantesca ha colpito il
“per ora centro del pianeta”, gli Stati
Uniti. Questa catastrofe si è diffusa
come una malattia in tutto il resto
del mondo. O quasi tutto. Questa ca-
Europa invade il Brasile
Il mondo ha olhos gordos verso
il Brasile. Olho gordo è una tipica
espressione brasiliana. Significa avere
invidia.
Immagine aerea della città di Salvador de Bahia. Ph. Manu Dias/Agecom GovBahia
tastrofe yankee ha fatto appena il solletico al Brasile. E visto che al Brasile
piace da matti ridere…
Picasso è francese
In Brasile i più anziani dicono che Dio
è brasiliano. Dicono anche che Picasso è francese e Chico Buarque è italiano. Tutte falsità. Dio non è brasiliano. Dio è bahiano. Nell’immenso
Brasile, di quasi 200 milioni di artisti,
calciatori, carnavalescos (organizzatori
del carnevale - ndt) e pubblico allegro, Bahia è una fonte di bellezza,
ricchezza naturale, traffico, deforestazione e mille altri problemi.
i poster di Caposud
“Walking over Sarajevo”
Silhouette sullo skyline della città di Sarajevo, Bosnia-Erzegovina. © Nicolò Paternoster
www.caposud.info
i poster di Caposud
“Before the rain starts”
Bareina è un piccolo villaggio nel deserto, nel sud della Mauritania. Il periodo delle piogge inizia a luglio
e termina a settembre. L’immagine è stata scattata pochi minuti prima che la pioggia avesse inizio.
© Ferdinand Reus
www.caposud.info
portare manodopera da... da... da San
Paolo. Gli emigranti bahiani che erano andati a guadagnarsi da vivere a
San Paolo hanno cominciato ad essere corteggiati dai caccia-muratori,
una nuova categoria di head hunters
della costruzione civile. Comico vedere muratori bahiani con accento
paulistano rilasciare interviste alla TV
Globo locale.
Il movimento intenso d’invasione e
ritorno ha toccato anche le grandi
corporazioni della costruzione civile.
La Odebrecht, super-impresa costruttrice made in Bahia e sparsa per il
mondo come una piovra, ha fiutato
il guadagno ed è entrata nel ramo
immobiliare. Subito si è associata ad
un’altra multinazionale, l’americana
RCI, per operare nel campo degli immobili per turisti.
La Borsa di San Paolo, l’Ibovespa, ha
festeggiato ad aprile con l’acquisizione dell’impresa costruttrice Agre
da parte della PDG. Un affare da 4,8
miliardi di reais (quasi 2 miliardi di
euro). La Francia è uscita dal suo silenzio e ha gettato lo sguardo su
Bahia. Prima è sbarcata a San Paolo,
città tra le sei al mondo che più attrarranno investimenti nei prossimi
tre anni, più di Londra o Parigi. Questo è il Brasile.
© Tiago Da Arcela - www.bancofineart.com
E perchè Dio è bahiano? Perchè, nonostante tutto, Bahia è la mulatta
abbronzata e sensuale negli occhi di
tutti. Quindi, per la logica cartesiana,
Dio è un mulatto abbronzato e sensuale. Il fatto è che, o almeno così
pare, tutti hanno deciso di riscoprire
il Brasile passando per Bahia.
messa a stelle e strisce, altri espulsi
dal razzismo europeo e altri ancora
sedotti dal ricco mercato lavorativo.
Molti brasiliani stanno lasciando la
Spagna dopo vent’anni di impiego
precario, ma ben remunerato, per guadagnare di più con nuove posizioni
di lavoro ancora meglio remunerate.
al 2016, dicono i pianificatori urbanistici, le imprese costruttrici avranno
ancora molto da costruire (e vendere), anche se non si sa in quale buco.
Nel mese di aprile, sono stati venduti
dodicimila appartamenti. Nel mese
di maggio, circa tredicimila.
Persone che da tutto il mondo
“Dall’alto tutti erano formiche. Dal basso sono famiglie” comprano, comprano. Un famoso agente immobiliare sta
negoziando con imprenditori ameriIl costo del progresso
Così europei, nordamericani, giappocani e portoghesi la vendita di
Quasi tutti conoscono l’alto costo del
nesi, cinesi e addirittura italiani, hanun’isola per 75 milioni di reais (circa
progresso. Infatti. A Salvador sembra
no deciso di invadere le nostre spiag30 milioni di euro). La sua percentuanon importare. La città, capitale dello
ge da Ribeira fino a Itapuã (quartieri
le? Appena il 5%. A proposito, questo
Stato di Bahia, con quasi 3 milioni di
storici del litorale di Salvador). Con i
agente è professore di filosofia. Ha
abitanti, ha circa duemila cantieri
gringos, i loro dollari e i loro euro,
lasciato la cattedra per vendere imaperti. E altri pronti ad aprire. E altri
hanno cominciato a ritornare in masmobili. Socrate, Platone, Aristotele,
ancora in fase di progettazione. Fino
sa i brasiliani espulsi dalla terra pro20
Nietzsche e Epicuro aiutano nelle
vendite. I clienti sbavano con tanta
cultura.
Cantiere
La città è diventata un gigantesco
cantiere. Letteralmente. È davvero un
cantiere! Dove si posa lo sguardo,
ecco un cantiere. Ed in questo cantiere non compare neanche una foglia
verde. Cantieri di gru, camion, cemento e operai. Un dramma. A marzo le grandi imprese di costruzioni
locali hanno iniziato a preoccuparsi.
C’erano cemento, ghiaia e mattoni.
Ma non c’era chi mettesse tutto assieme e alzasse un muro. Manodopera. Dov’è finita la manodopera?
Credeteci, hanno cominciato ad im-
Da Gorbachev a Findhorn
Tornando a Salvador, in città a maggio è stato lanciato il progetto Global
2020, organizzato da una fondazione
creata da Mikail Gorbachev. L’ente
opera in tutto il mondo. In Brasile è
appena arrivato a Salvador. A marzo
hanno lanciato il Gaia Education, programma ideato da Findhorn Foundation, con sede a Findhorn, Scozia. Salvador è la seconda città del Paese
sede di questo programma educativo - la prima è San Paolo.
Tutto rose e fiori? Niente affatto. Polemica ad aprile. Il comune della città
ha decretato l’espropriazione di 4,6
milioni di metri quadrati di area costruita - case, baracche, terreni - per
la costruzione della Linea Viva.
La Linea Viva è una zona di fumo e
traffico occupata da cittadini di classe
medio-bassa e più bassa ancora. Per
avere più spazio dove gettare cemento e distruggere quel che rimane della foresta vergine, i tecnici hanno creato questa Linea. Hanno scattato foto
aeree. Dall’alto tutti erano formiche.
Dal basso sono famiglie.
Ovvio, il grido dei movimenti ambientalisti, dei media e di alcuni politici, ha fermato l’idea. Ma questa ritornerà in forma di decreti più complessi e di qualche conversazione privata con i grandi media. Perché la
città di cemento non può fermarsi.
I soldi non possono smettere di circolare. E il sole deve brillare per i poveri capitalisti stranieri fuggitivi dal
vulcano islandese, dalla Grecia e dal
caldo che si avvicina.
E per i brasiliani che pieni di saudade
stanno adorando questo esodo al
contrario, per addentare un acarajé
di Cira ed irritarsi nel pomeriggio rumoroso di Itapuã. Questa è Bahia.
Traduzione di Mara Rocha
* Arthur è un giornalista bahiano,
fondatore del sito www.navii.com.br.
È stato caporedattore e opinionista
del quotidiano Bahia Hoje e coordinatore generale dell’emittente
Radio Educadora da Bahia. È direttore responsabile del portale web
dell’Università Federale di Bahia.
Ph. Sebastian Zeigen
Italia chiama Sud
storie dai sud
Sono nata
La diplomazia della coca
Voci di bambine del Sud
Non è solo una droga, cura e fa politica
di Elisabetta Zerial*, vincitrice del concorso scuole “Tiziano Terzani 2010”
S
ono nata devadasi. Non per mia scelta. La mia casta è
cosí bassa ed io cosí povera. Un tempo sarei stata una
danzatrice al servizio delle divinitá installate nei templi.
Oggi non piú. Oltre alla danza mi viene insegnato come
servire e assecondare l’uomo ricco che presto mi verrá a
prendere e fará di me la sua schiava personale, per sempre.
Da danzatrice sacra a mantenuta di qualche ricco o in qualche pubblico intrattenimento. Presto sentiró il rombo di un
motore, sará il mio padrone che mi verrá a reclamare e mia
madre, devadasi come me, potrá sopravvivere con una
manciata di monete. Per me è giusto. Non conosco che
questo. Non c’è contrasto, non c’è conflitto. Ho undici anni.
Sono rinata
Sono rinata in Birmania. Qui c’è la violazione sistematica dei
diritti dell’uomo. Il mio paese non è povero. Non parlo quindi
di terzo mondo. Vivo solo una realtá dai fortissimi contrasti.
Politici, ideologici, culturali. Sono ospitale, gentile, colta come tutto il mio popolo. Come il mio popolo sono tenuta
sotto il pugno di ferro della dittatura. Qui si paga per vivere.
Noi bambine veniamo prelevate arbitrariamente dalle famiglie. Sono fortunata, mia madre ha scelto a chi vendermi
cosí potrá almeno arricchire la famiglia. Domani un uomo
di sessant’anni mi comprerá. Ho nove anni.
Sono nata ancora
Sono nata in Vietnam. Mi chiamo Chau. Le bambine come
me le trovi anche nei siti internet. Vendono i bambini in rete.
Mi venderanno all’asta, al miglior offerente. Ma ancora non
lo so. Il sito dove mi puoi trovare viene aggiornato spesso,
forse arriverá anche la mia sorellina Hoá, lei ha solo sei anni.
Non so se mi venderanno per la prostituzione o per lavorare
come schiava, senza compensi. Ma cosa cambia per me?
Qui accettiamo il fatto che il nostro Paese sia diventato “zona
calda” per il turismo sessuale. Nessun conflitto, nessun contrasto. Nessuna scusa. Il mercato del sesso è una nuova forma
di schiavitú caratteristica del ventunesimo secolo. Noi siamo
un bacino dove pescare. Ho undici anni.
E nasco ancora
Nasco in Cina. Come sono venuta alla luce non lo so. In Cina
le femmine non vedono quasi mai i lampi di luce accecanti
tipici della nascita. O veniamo uccise prima con l’aborto o
appena nate. Sono stata abbandonata nella spazzatura a
pochi giorni dalla nascita. Una reporter americana, Norma
Meyer, è entrata nel mio orfanotrofio. Sono una larva di pelle
bianca, ho gli occhi affamati e disperati, il mio letto è putrido,
ho le articolazioni deformate. Non ho nulla di una bambina,
22
una delle vostre belle bambine occidentali. Le mie amiche
sopravvissute in famiglia, non possono studiare. Andranno
in moglie a otto anni ad un uomo che le considererá oggetto
personale da maltrattare e violare. Ho cinque anni.
Sono nata e rinata
Mi chiamo Srey Leap, vivo a Poipet, Cambogia. Vivo in una
palafitta. A 13 anni ho cercato mia madre. Lei mi aveva abbandonata con uno zio violento. Ho percorso un sentiero
battuto solo da animali e da bambini disperati come me.
Arrivata in Thailandia ho vissuto tre anni in uno stanzone
con decine di ragazzini schiavi. Sono stata stuprata piu volte.
Mi salvavo, la notte, con la yama, l’anfetamina dei poveri, per
soffocare fame e terrore. Poipet è la base della manodopera
minorile. Accanto ai casinó luccicanti, le baracche. Ecco il
contrasto, quanto gridano quelle luci rispetto alla fievole
voce di un mozzicone di candela. Il conflitto ha trasformato
il mio Paese di palazzi reali ed elefanti semisacri in un regno di orrore. L’orrore che per un uomo puó rappresentare
un altro uomo, l’eccidio dei cambogiani contro se stessi.
di Rossana Miranda* (Venezuela)
L
a leggenda degli indigeni aymara racconta che è stata
la divinità Khun, dio dei tuoni e della neve, a creare la
foglia della coca, elemento naturale che ha fatto sopravvivere una popolazione - quella boliviana - che abitava in
ostili condizioni climatiche nelle vicinanze del lago Titicaca.
Morales ha iniziato la produzione della
bibita energetica “Coca Colla”
La foglia di coca è simbolo di forza e vita, un alimento
spirituale per il popolo boliviano. È sempre stata considerata
una pianta medicinale nella cultura indigena fino a che,
dopo la colonizzazione, l’Occidente ha iniziato a produrre
la cocaina, droga chimica prodotta con la foglia di coca.
Il presidente della Bolivia, Evo Morales, è stato incoronato
con foglie di coca in una cerimonia indigena, il 20 gennaio
del 2006, il giorno prima dell’insediamento presidenziale.
Nasco Angela Staude
Sono la voce dell’occidente. Come un’onda mi infrango
all’interno della societá nipponica. Straordinaria efficienza
ma inquietante desolazione. Riesco a sentire i fantasmi.
Come Tiziano prima di me, con me. Abbiamo sentito i fantasmi in Cambogia, dopo tutte le uccisioni non vendicate.
Sento i fantasmi di tutte le bambine nate e rinate prima di
me. Sento i fantasmi delle donne incontrate nel mio pellegrinare in Asia, sulle orme di Tiziano. Sento che tutte queste voci chiedono perché! Perché sopravvivono culture dal
mondo occidentale non condivise. Perché le devadasi non
sentono il conflitto fra i loro diritti umani e la loro cultura.
Piú volte ho pensato che la rivendicazione dell’identitá
culturale puó divenire motivo di contrasto, portando a
giudicare pratiche culturali come veri e propri reati, essendo
il loro esercizio dettato da un modello culturale diffuso e
riconosciuto all’interno del proprio gruppo di appartenenza.
Sono nata, rinata e ancora nasceró chiedendomi se il rispetto
dell’ ”altro” debba essere assoluto ai fini di non creare quei
contrasti che condurrebbero al conflitto ma che, aimé,
placherebbero quelle voci che sento. Le voci delle giovani
vite annientate. I sogni rubati all’infanzia.
Nell’ottica della valorizzazione dell’immagine della pianta
sacra della cultura aymara, Morales ha lanciato una campagna d’appoggio all’Organizzazione Sociale per l’Industrializzazione della Coca (Ospicoca), che ha iniziato la
produzione e la vendita massiva della bibita energetica
“Coca Colla”, prodotta con l’estratto della foglia di coca.
* Elisabetta, 16 anni, vive a Pordenone e frequenta il Liceo
Classico Europeo di Udine. Cresciuta a pane e Terzani,
ama scrivere cercando di dare voce a chi non ne ha. La
sua aspirazione è diventare reporter dai Sud del Mondo.
I siti web delle ambasciate di Bolivia hanno sottolineato
che questo programma è dedicato a consolidare la strategia
antinarcotici, di sviluppo economico e non solo. L’obiettivo
è organizzare e diffondere una campagna di coscienza per
La bibita vuole anche combattere il monopolio della Coca
Cola, segno dell’invasione della cultura nordamericana nel
sud del continente. E si va anche oltre. Dietro alla retorica
c'è una vera e propria “diplomazia della coca”,bandiera della
sua politica estera, per rafforzare anche il suo zoccolo duro
cocalero. Evo, primo presidente indigeno della Bolivia, Paese dove il 70% della popolazione appartiene ad un’etnia
aborigena, era stato un cocalero, cioè un coltivatore di coca.
La promozione dell’uso della coca da parte di Chávez presidente del Venezuela - svela un’importante mossa
diplomatica che ha il suo epicentro in Bolivia. Ed è che
“la foglia di coca non è droga”. O almeno questo è il messaggio degli ambasciatori boliviani nel mondo. Il 2007 è
stato l’anno di questa “diplomazia della coca”.
fare sapere che cosa è la foglia di coca nella tradizione
indigena. Nel 2009, la produzione di coca è stata di 48.117,20
tonnellate metriche, di cui il 28% è stato destinato al mercato
legale e il 72% alla produzione di cocaina. La produzione
potenziale di cocaina è cresciuta da 80 a 94 tonnellate.
La legislazione boliviana autorizza la coltivazione di 12 mila
ettari per uso legale, consumo tradizionale e rituali della
foglia di coca.
Oltre ad includere la foglia nella bandiera nazionale boliviana, tra gli obiettivi di Evo c’è la depenalizzazione della
coca. C’era già stato il precedente, positivo, della cancellazione delle sanzioni economiche per la coltivazione della
coca da parte degli Stati Uniti a settembre del 2007. Forse
come effetto del compromesso raggiunto con Morales che
si è impegnato a “sradicare” 5.600 ettari di coltivazione, più
che per la strategia diplomatica.
Ph. Andres Jaquez
Locandina del documentario “Cocalero”, diretto dal regista ecuadoriano Alejandro
Landes e prodotto dall’argentina Julia Solomonoff. La pellicola, presentata in vari festival
internazionali tra cui il “Sundance”, ripercorre la storia personale ed intima del presidente
boliviano Evo Morales e il mondo sindacale cocalero, alla base del suo potere. La figura
di Evo nasce in reazione alla propaganda ed alla lotta statunitense alle droghe in Bolivia.
Da più di cinquemila anni le etnie quechua e aymara, alla
quale appartiene il presidente della Bolivia, fanno un uso
medicinale e religioso della coca. Il suo consumo aiuta a
sopportare le condizioni estreme delle altitudini dei Paesi
andini. Anche i colonizzatori spagnoli hanno approfittato
delle proprietà della pianta: seppur all’inizio per principio
cattolico erano contrari all’uso della coca, si sono resi conto
che poteva essere un’alleata, visto che toglie la fame e la
fatica.
23
storie dai sud
I curas delle Villas Miserias
Chi sono e cosa fanno i sacerdoti
che lavorano nelle baraccopoli argentine
dalla nostra corrispondente dall’Argentina Ana Belluscio*
I
l culto maggiormente diffuso nei paesi del Sudamerica
è quello cattolico. Secondo un rapporto elaborato da
alcune università argentine il 76,5% della popolazione è
infatti di religione cattolica.1
La scritta sul muro raccomanda di non gettare foglie di coca (masticate) nell’orinatoio pubblico © Patricio Barbaran
Così, gli indigeni e i neri schiavizzati moltiplicavano le ore
di lavoro e la produzione senza lamentarsi troppo. Oltre a
includerla in rituali religiosi, come l’incoronazione del 21
gennaio del 2006, quando Morales è stato nominato “Apu
Malku”, leader supremo, in una cerimonia religiosa nelle
rovine di Tiahuanaco.
La dichiarazione del presidente Chávez e il suo appoggio
alla campagna boliviana hanno anche una chiara lettura
anti-nordamericana. La presenza militare degli USA, la loro
influenza, vuole essere giustificata attraverso programmi
come il Plan Colombia, contro il narcotraffico. Anche se i
risultati sono molto scarsi e gli USA restano un destinatario
privilegiato per la coca made in Sudamerica. Dicendo che
la coca non è reato, giocando sull’ambiguità, Chávez sembra anche voler dire che gli USA non hanno nessun motivo
24
di restare in Colombia, Paese con il quale il presidente
venezuelano ha molti motivi di attrito. L’anno scorso Chávez
ha firmato un accordo con Morales per comprare la produzione di quattromila tonnellate di coca. La ragione
ufficiale era che sarebbe stata usata per elaborare prodotti
medicinali, biscotti fatti con la farina della coca e bibite
energetiche (dopo la Coca Colla la Coca Coca?).
Ma, per il momento, sugli scaffali vuoti dei supermarket
venezuelani, non si è visto nulla.
* Rossana è una giornalista venezuelana. Lavora da 4
anni a Roma per il mensile Formiche. Collabora con
diverse testate italiane e latinoamericane. È coautrice
del libro “Hugo Chávez. Il caudillo pop” (Marsilio, 2007).
include anche laboratori e scuole di arti e mestieri.
“Lavoriamo con la ceramica, la scultura, i metalli, la cera
ed in altri settori dell’artigianato e vendiamo i manufatti
tramite il laboratorio”, spiega Facundo J., ex tossicodipen-
Questa religione, la cui ampia presenza è una “i pregiudizi che gravano sulle villas vogliono
eredità del passato coloniale spagnolo, durante
i secoli di diffusione nel continente si è diversificata che i poveri siano delinquenti e fanno anche
in tre correnti distinte che vanno dai culti evangelici e pentecostali, presenti in Centro America sì che la polizia non controlli queste aree”
ed in Brasile, ai movimenti della Teologia della
dente in fase di recupero che partecipa alle iniziative della
Liberazione e dei Sacerdoti per il Terzo Mondo. Di questi
parrocchia. Secondo gli organizzatori, la terapia del lavoro
ultimi, fortemente radicati a partire dagli anni ’70, si defiattuata durante questi laboratori accompagna il processo
niscono eredi i curas2, che negli ultimi anni hanno trovato
di recupero dei tossicodipendenti e li aiuta a sviluppare
nuova diffusione in Argentina.
le capacità per una successiva ricerca di lavoro.
Questi sacerdoti lavorano nelle parrocchie dei quartieri
Oltre ai laboratori, i sacerdoti organizzano tornei di calcio,
più umili e svantaggiati, chiamati anche Villas Miserias, di
lezioni di sostegno per gli studenti e svariate altre attività
Buenos Aires e dell'entroterra, e si sono adoperati non
mirate ad accompagnare e stimolare i ragazzi dei quartieri
solo come referenti spirituali ma anche sociali.“Hanno un
più disagiati. Tuttavia, alcuni gruppi, specialmente quelli
ruolo importante in tutto ciò che rappresenta un aiuto
legati al narcotraffico, fanno resistenza.
alla comunità e nel lavoro con ragazzi con problemi di
droga”, spiega Alejandro Massei, sociologo che opera nella
Nel 2009 l’Equipo de Sacerdotes Católicos para las Villas de
villa 31 del quartiere di San Isidro.
Emergencia3 ha pubblicato una lettera secondo cui nei
La parrocchia di Nuestra Señora de Caacupé della villa
quartieri disagiati “la droga era di fatto legalizzata” e che
21/24 della città di Buenos Aires è affidata a padre José
“la maggior parte di coloro che traggono profitto dal narcoMaría (alias Pepe) Di Paola ed è una delle più attive: non
traffico non vive nelle villas”, quartieri dove tagliano la luce,
solo gestisce gruppi di aiuto per tossicodipendenti ma
dove un’ambulanza arriva in ritardo, dove è comune vedere fogne straripanti.
© Federico de la Puente
L’area della villa, in quanto “zona franca“, è funzionale a questa situazione. I cosiddetti punteros
(spacciatori) di droga utilizzano questi quartieri
come base delle operazioni di vendita e distribuzione della droga, dato che i pregiudizi che gravano
sulle villas vogliono che i poveri siano delinquenti
e fanno anche sì che la polizia non controlli queste
aree.
“I ragazzi del quartiere sono le prime vittime del
traffico di droga”, spiega padre Facundo, uno dei
“Villa 31”, la più grande baraccopoli di Buenos Aires. Sullo sfondo i
quartieri finanziari e residenziali della capitale argentina.
25
di Evelyn Wangui Gichuhi (Kenya)
preti che lavora nelle villas e che ha chiesto di mantenere
l'anonimato.“Loro vendono e distribuiscono la droga per
terzi ed in molti casi vengono ripagati con la droga stessa, il che fa sì che il tasso di dipendenza sia maggiore tra
di loro”.
Una delle droghe più vendute, ma non la sola, è il paco4,
un residuo di pasta base ottenuto attraverso il processo
di elaborazione della cocaina. Il buon prezzo - circa 30
centesimi di euro per dose - e l’effetto rapido - circa trenta
secondi di euforia - ne fanno una delle droghe più pericolose a causa del suo alto grado di dipendenza. I dipendenti dal paco muoiono generalmente entro i due anni,
poiché il suo consumo conduce alla denutrizione e persino
alla morte violenta quando si cerca di racimolare i soldi
per le dosi.
La mancanza di opportunità di inserimento nel mondo
del lavoro, dell’istruzione, della sanità e della sicurezza
sociale per le classi più svantaggiate favoriscono l’insinuarsi del narcotraffico nelle villas poiché questo costituisce
un’entrata di denaro veloce e relativamente sicura.
“Noi continuiamo a lavorare con i ragazzi”, afferma padre
Facundo, “aiutandoli a sviluppare alternative di lavoro
e accompagnando i tossicodipendenti nel processo di
storie animate dai sud
recupero”. Dopo avere pubblicato l’annuncio-appello da
parte dei sacerdoti delle villas, padre Pepe Di Paola ha
ricevuto una minaccia di morte dai gruppi di narcotrafficanti che assicuravano che, se non avesse smesso di
lavorare con i tossicodipendenti nelle villas, lo avrebbero
ucciso.
Traduzione di Simona Sadotti
Traduzione di Valeria Brucoli
*Ana è laureata in Giornalismo presso la prestigiosa
scuola-agenzia di stampa TEA (Taller Escuela Agencia)
sita in Buenos Aires. Specializzata in politica internazionale e regionale. Collabora come giornalista a
diverse pubblicazioni cartacee ed elettroniche, in
spagnolo, inglese e italiano, nelle rubriche di politica
internazionale e rapporti euro-americani.
NOTE
• 1 Fonte: Prima inchiesta sulle credenze e attitudini religiose in Argentina
(2008). CEIL-PIETTE. CONICET/UBA/UNR/UNAS/UNC.
http://www.ceilpiette.gov.ar/areasinv/religion/relproy/1encrel.pdf
http://www.ceilpiette.gov.ar/areasinv/religion/relproy/1encrel.pdf
• 2 Sacerdoti che operano nelle villas o villas miserias, ovvero baraccopoli
simili alle favelas brasiliane • 3 Gruppo di sacerdoti attivo nelle villas de
emergencia, eufemismo usato per indicare le villas miserias • 4 Il nome
tecnico è PBC, pasta base di cocaina. A Buenos Aires è stata soprannominata
la “droga dei poveri”.
• Lo sai Hon, leggere questo libro mi fa venir voglia di andare in giro
per il mondo!
• L’Africa! L’Africa è il posto ideale!
• Rallenta! L’Africa è molto di più di quello che il tuo esperto scrive nella sua
guida! • Il fatto è che lui è stato lì e conosce il posto proprio come te! • Io non
sono stata lì! Io ci sono nata! Una bella differenza! • Sì ma la tua opinione
non è tra i bestseller!
• L’esperto ha la sua opinione, tu hai la tua! Me ne farò una mia andandoci
di persona! Infatti ho già un appuntamento al centro vaccini!
• Vuoi andarci da solo? Ottimo!
Al centro vaccini...
• Ecco, ho fatto una piccola lista dei vaccini che dovrebbe fare prima di partire!
Sul foglio: epatite, colera, febbre gialla, malaria, AIDS.
• Voglio essere onesto. L’Africa è un azzardo per la salute di un europeo! Lei
non è fatto per quel clima! E poi tutti questi virus assurdi! L’ebola! Il suo
intestino non si riprenderà mai più!
Coppa del mondo 2010
Il Camerun ospita il tradizionale “Pallone FIFA”
dal Camerun Siméon Emmanuel Tchameu*
I
l Camerun è il 22° Paese ad ospitare il tradizionale
“pallone FIFA”. La delegazione guidata da Aleokol
Mabieme Jean-Marie, direttore dei programmi Special
Olympics in Camerun, è sbarcata a Yaoundé mercoledì 14
aprile 2010.
L’iniziativa, lanciata nel 2002 in Sudafrica, è giunta in
Camerun con obiettivi sociali, di sensibilizzazione sugli
effetti della povertà e sostegno a target sfavoriti - come
i portatori di handicap mentali - sotto la responsabilità
di Special Olympics.
Dopo 8.000 firme nel mondo, dei camerunensi hanno
avuto l’onore di mettere le proprie firme sul famoso
pallone FIFA, dopo averci giocato, così come previsto dalla
tradizione di Spirit of Football.
Il neozelandese Andrew Aris, direttore di Spirit of Football,
e i suoi accompagnatori hanno fatto il giro degli enti
sportivi, associativi e amministrativi del Paese, prima di
partire alla volta del Kenya e verso altre mete, per ritrovarsi,
finalmente, in Sudafrica, per la Coppa del Mondo FIFA
2010.
Traduzione di Silvia Lezzi
* Siméon nasce nel 1981 a Bana, in Camerun. Diplomato
in management e marketing all’Università di Douala,
è corrispondente e montatore di Canal2 International.
27
lavori in corso
In linea con Kubatana
Il potenziale democratico di e-mail e internet in Zimbabwe
dalla redazione di kubatana.net*
I
l Kubatana Trust in Zimbabwe, che ha al suo interno
anche l’ONG Network Alliance Project (NNAP), mira a
rafforzare l’utilizzo di e-mail e di strategie internet nelle
ONG dello Zimbabwe e nelle organizzazioni della società
civile.
• Se fossi in lei, non ci andrei!
• È più complicato di quanto pensassi. Tutto sembra essere contro l’Africa,
un posto pieno di guerra, AIDS, povertà!!..
Kubatana fa sì che le informazioni sull’educazione civica ed
i diritti umani siano accessibili e centralizzate. Il sito internet
possiede un archivio di oltre 16.500 documenti riguardanti
la società civile dello Zimbabwe e una rete elettronica
composta da oltre 250 ONG e organizzazioni della società
civile. Ogni partner Kubatana possiede una “scheda
prodotto” all’interno di una directory online.
Il progetto ha consentito a molte ONG di essere presenti in
rete evitando loro l’impiego di risorse per la costruzione e
la gestione di un sito web a tutti gli effetti. Come afferma
Joan Baez1: “l’azione è l’antidoto per la disperazione”.
La mailing list di Kubatana e le newsletters inviate con
regolarità tramite e-mail permettono a migliaia di abitanti
dello Zimbabwe e persone iscritte in tutto il mondo di
rimanere informati.
• Voglio dire, un posto così bello non può essere tanto male... e non riesco
a immaginare un posto che sia in assoluto contrasto con la mia vita qui!
• Ehi, cosa c’è? • L’Africa, ecco cosa c’è! Il luogo proibito, a sentire tutti quelli con
cui ho parlato finora!
Malgrado i successi, Kubatana non è ancora una grande
organizzazione. Brenda Burrell e Bev Clark sono i nomi dei
fondatori/visionari del progetto che coniuga competenze
informatiche a talenti di marketing e creatività. Amanda
Atwood permette al progetto di andare avanti e ne è la
principale ispiratrice. Negli ultimi 8 anni, Kubatana ha incoraggiato regolarmente gli abitanti dello Zimbabwe ad
utilizzare le tecnologie informatiche a cui hanno accesso e
a farsi promotori, mobilitarsi e portare avanti azioni di
pressione.
Il cambiamento comincia da voi!
”Credo che sia ormai una sensazione comune, avendo visto
i nostri eroi cadere nel corso degli anni, che la nostra piccola
pietra di attivismo sia solo un’ insignificante contributo alla
costruzione di un edificio fatto di speranza. Molti di coloro
che credono questo hanno deciso di rinunciare a dare il
loro piccolo contributo perché si vergognano. È questa la
tragedia del mondo. E noi non possiamo fare nulla di sostanziale per cambiare la nostra corsa sul pianeta, una corsa
distruttiva, senza smettere però di entusiasmarci, uno ad
uno, portando le nostre piccole e imperfette pietre sul
grande accumulo di massi”.
Dal sito di Kubatana:
“È sorprendente quello che voi (sì, proprio VOI) potete fare
prendendo solo la cornetta e chiamando la stazione di polizia
in caso di detenzione illegale di un attivista e ricordando
all’ufficiale addetto che siete a conoscenza e preoccupati del
modo in cui un vostro concittadino viene trattato. Questo è
solo un esempio di come associare proattività e preoccupazione e di come utilizzare un telefono per coinvolgere un pubblico ufficiale in un’azione di pressione.
Ci sono infiniti altri esempi, come: inviare e-mail ad editori di
riviste per commentare ingiustizie sociali e politiche o per
chiedere di investigare su una storia in particolare e di riportarne gli esiti; utilizzare il cellulare come mezzo di verità e
ispirazione piuttosto che per diffondere paure e informazioni
ambigue; prendere una penna e un foglietto di carta e scrivere
un messaggio incoraggiando chi vive nella vostra comunità
a smettere di gettare rifiuti in giro e appendere questo foglietto
su un albero o su un palo della luce.
Potrebbero sembrare tutte azioni insignificanti, ma moltiplicate
per molte mani e molti cuori, esse apportano un cambiamento
positivo. Uscite allora e siate voi il cambiamento”.
Traduzione di Stefania Sgherza
• La tua lista di cose da fare sembra la soluzione del debito del terzo mondo!
• Non è solo per le malattie! Anche la mia ragazza è contraria. Crede che
sia un ingenuo desiderio turistico nato dal fatto che stiamo insieme!
• Ci puoi giurare uomo bianco!
• Ciò che non capisce è che è una cosa che ho sempre voluto fare - anche
prima di conoscerla - è un mistero anche per me!
Continua nel prossimo numero…
28
* Associazione di attivisti che diffonde in Zimbabwe l’uso
delle nuove tecnologie (e-mail, sms, blog, software,
intranet) per farne strumento di crescita democratica e
difesa dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ha da poco
vinto il premio ”Breaking Borders 2010”, assegnato da
Google e da Global Voices, per la libertà di informazione.
NOTE • 1 Cantante di musica folk conosciuta per il suo impegno per i
diritti civili e per il pacifismo.
29
lÕosservatore romeno
cartoline dai sud 1
Calci solidali
A sorsi di mate
Perchè l'indifferenza non diventi uno sport nazionale
La bevanda nazionale argentina: una tradizione millenaria
di Mihai Mircea Butcovan* (Romania)
P
oco tempo fa, al Parco Lambro, nella zona est di
Milano, si è svolto un torneo multietnico dal nome
“Rigore è… quando arbitro fischia”, una giornata di calcio
e convivialità all’insegna della solidarietà. Sul campo di
calcetto, in un contesto che ospita persone con varie
situazioni di disagio e sofferenza, si sono incontrate quattro
squadre a rappresentare varie realtà della società italiana.
Tra queste la squadra degli arbitri U.S. Acli Milano, da molti
anni impegnati anche in progetti a favore dei più deboli
ed emarginati.
“Lo sport” dice il responsabile organizzativo Andrea Palmisano,“sa parlare alle persone con un linguaggio semplice
per dire che bisogna saper vincere senza ambizione,
prepotenza ed umiliazione dell’avversario e bisogna saper
accettare la sconfitta con la consapevolezza che non si
tratta di un dramma irreparabile e che la vittoria ciascuno
la ottiene dando il meglio di sé stesso”.
“perdente non è chi arriva ultimo in una
gara, ma chi si siede e sta a guardare”
Prosegue Palmisano:“Lo sport non può diventare elemento
di ulteriore divisione tra ricchi e poveri, tra forti e deboli,
né la corsa al guadagno e alla vittoria possono privare lo
sport dei suoi valori morali. Lo sport non dev’essere appannaggio dei soli Paesi ricchi e questi non devono imporre il loro modello sportivo ai popoli economicamente
meno sviluppati”.
ll responsabile organizzativo - appena arrivato al torneo
di Parco Lambro dopo una mattinata trascorsa in compagnia di ragazzi diversamente abili che giocano a hockey
seduti su carrozzine elettriche - conclude: “vogliamo uno
sport che cooperi efficacemente ad affermare una cultura
della pace, dell’avvicinamento tra popoli e del dialogo tra
le nazioni”.
Purtroppo non si vedono ancora campionati mondiali di
solidarietà. E ancor più di rado vediamo solidarietà mondiale. In Italia si è appena conclusa una stagione di calcio
che ha visto ancora, di frequente, cori e slogan razzisti
negli stadi. La cronaca degli eventi sportivi si risolve in
elogi ai meriti nazionali quando si vince e sfocia in critiche
ed invettive agli arbitri quando si perde.
30
Testo e foto di Victor Alejandro Liotine*, dall’Argentina
I
l mate, tipo di infusione tradizionale che si beve in
Argentina, rappresenta il simbolo autoctono più
importante di amicizia e fraternità. Insieme all’asado
(carne argentina arrostita all’aperto, nda) e al dulce de
leche, al calcio e al tango, il mate è una delle passioni
nazionali più importanti.
Ogni quattro anni si svolgono dei campionati mondiali
di calcio. Quest’anno il torneo finale si svolge in Sudafrica.
Sarebbe una ghiotta occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni che riguardano il pianeta e
parlare delle ingiustizie che ancora dividono il mondo in
nord e sud socioeconomici, e di diritti.
Ma sappiamo che giornali, televisioni, tifosi e bar sport
parleranno molto di composizione delle squadre, di campioni nostrani e arbitri ma molto meno di solidarietà.
Di quest’ultima, legata ad iniziative sportive, si parla di
rado nei rotocalchi italiani. La madre di Oscar Pistorius l’atleta sudafricano amputato bilaterale, campione paralimpico che corre con delle protesi in fibra di carbonio ci ricordava tempo fa che “perdente non è chi arriva ultimo
in una gara, ma chi si siede e sta a guardare”.
La canzone ufficiale dei mondiali di quest’anno in Sudafrica
dice: “Ma stiamo lottando, combattendo per mangiare e ci
domandiamo quando saremo liberi”. Nei sud del mondo si
corre per sopravvivere e per la libertà. Vale la pena ricordarselo, nei nord del mondo, quando siamo chiamati ad
essere solidali. In Italia, in tempi di “respingimenti”, bisogna
vigilare, come gli arbitri dell’U.S. Acli, perché il razzismo,
la caccia allo straniero o l’indifferenza nei confronti dei
più deboli non diventino uno sport nazionale. Perché di
questo sport sarebbe meglio non diventare campioni del
mondo.
* Mihai, narratore e poeta, è nato nel 1969 in Transilvania, Romania. In Italia dal ’91, vive a Sesto San
Giovanni e lavora a Milano. Collabora con varie riviste
e giornali, tra cui Internazionale e Il manifesto.
www.mihaibutcovan.it
È più di una semplice bevanda: contiene in sè un
linguaggio proprio, nasconde una tradizione millenaria.
La parola mate proviene della antica lingua aborigena
quechua. Deriva dalla parola mati, che significava “zucca”.
Una variante sudamericana di questa verdura (calabaza
mate) si utilizzava originariamente come contenitore
della yerba mate (erba mate) con la quale, insieme
all’acqua bollente, si prepara l’infusione. La yerba mate
é un tipo di albero originario del Sud America, che cresce
in una regione compresa fra
Argentina, sud del Brasile, Paraguay e Uruguay.
mento della giornata. Da soli fa riflettere, in compagnia
asseconda lunghe chiacchierate. Tantissimi rapporti
sono nati condividendo un semplice mate: nuove amicizie, nuovi amori, opportunità ed affari.
A seconda delle tradizioni di ciascuna regione argentina,
la yerba mate si può consumare in diverse maniere. Quella più diffusa è il cosiddetto mate cebado: si utilizza un
contenitore di calabaza, in legno o metallo, lo si riempie
di acqua a una temperatura tra 70 e 80 gradi (riscaldandola
di più la yerba mate si brucia, perdendo aroma e sapore
originali, nda) e si inserisce una bombilla (un tipo di cannuccia generalmente di metallo che filtra l’acqua, nda).
La persona che prepara il mate si chiama cebador e
prosegue il suo lavoro di precisione fino all’ultima ronda
(giro) di mate. In Argentina si beve caldo anche in estate,
ma sono molti quelli che lo gradiscono nella versione
Già utilizzato nei secoli dagli
indigeni Guaranies, la yerba era
consumata come alimento con
altissime proprietà alimentari e
curative e come fonte naturale
di forza e energia. Nel secolo XIX
accompagna gli eserciti nazionali nelle campagne militari indipendentiste: uno strumento
per mantenere salute e morale
alti nei soldati che vivevano
nelle difficoltà.
Noto come simbolo di amicizia,
il rito del mate si condivide con
persone con le quali si sta bene
ed accomuna poveri e ricchi,
colti e ignoranti, giovani e anziani. Nessuno lo beve per sete:
è solo una sana e diffusa abitudine buona in qualsiasi mo31
cartoline dai sud 2
Arte contemporanea
alla conquista del Camerun
Testo e foto di Paul-Henri Souvenir Assako*, dal Camerun
N
el cuore della capitale politica camerunense si sono
tenuti due avvenimenti artistici particolari, molto
lontani dal quotidiano dei camerunensi e dal pubblico
di Yaoundé: l’esposizione del patrimonio del FNAC (Fondo
Nazionale d’Arte Contemporanea) francese in Camerun,
dal 16 aprile al 30 maggio - dopo Kinshasa nel 2008 - e
la seconda edizione del RAVY (Incontri d’Arti Visive di
Yaoundé), dal 19 al 25 aprile.
fredda: mate tereré. Eccellente occasione di idratarsi e
rinfrescarsi, si prepara con acqua fredda, limone e ghiaccio.
Per i più pigri c’è il mate cocido. La yerba, confezionata
in bustine con un filo, si immerge nella tazza con acqua
bollente, proprio come fosse un tè. La yerba mate ha un
gran numero di proprietà benefiche per l’organismo: vitamine, proteine e minerali con effetti antiossidanti ed
energizzanti naturali, polifenoli contro malattie ed invecchiamento prematuro e potassio per il corretto funzionamento del cuore.
“Nessuno lo beve per sete: è solo una
sana e diffusa abitudine”
In Argentina è stato fondato addirittura l’Instituto Nacional de la Yerba Mate (INYM), che promuove e rafforza lo
sviluppo di tutti i settori coinvolti nella coltivazione.
Il processo produttivo comincia con la selezione manuale
dei migliori semi. La pianta comincia a svilupparsi in un
ambiente a luce, temperatura e umidità controllate. Una
volta cresciuta, viene messa a dimora nel luogo definitivo.
32
Per il primo anno di vita sarà protetta dai raggi del sole
e bisognerà aspettarne quattro prima di poter cogliere
(cosechar) le prime foglie. Queste vengono esposte per
venticinque secondi all’azione diretta del fuoco per
evitarne l’ossidazione e si lasciano essiccare per ridurre
il contenuto di umidità. Le foglie vengono quindi triturate
e lasciate maturare per un anno. Poi, finalmente, la yerba
mate è pronta per essere imbustata e venduta in confezioni da 250 grammi a 5 kg.
L’Argentina ne è il principale produttore mondiale. Una
indagine recente dell’INYM sostiene che il mate sia presente nel 92% delle case argentine e che sia la bevanda
più consumata dopo l’acqua. È talmente conviviale che
anche gli immigrati che si radicano in Argentina fanno
propria velocemente e volentieri questa abitudine: il
sapore dei ricordi dei viaggiatori di tutto il mondo al
rientro dall’Argentina.
* Victor nasce a Mar del Plata, Argentina, nel 1978. Avvocato, laureato in Giurisprudenza presso l’Università
Nazionale di Mar del Plata. Figlio di un argentino e di
una italiana, ha studiato in Italia. Vive a Buenos Aires.
Alcune opere d’arte contemporanea, della collezione
del FNAC della Francia, sono
state esposte in tre città del
Camerun: a Yaoundé al CCF
(Centro Culturale Francese),
a Douala nello spazio
Doaul’Art, e a Bandjoun alla
Bandjoun Station, luogo di
cultura costruito dall’artista
francese di origini camerunensi, Barthélémy Toguo.
Se è vero che il pubblico
camerunense ha scoperto
delle opere “mai viste sul
territorio africano”, occorre
però ricordare che il dialogo
attorno alla creazione contemporanea - che gli organizzatori difendono nell’editoriale del catalogo
dell’esposizione - è rimasto
difficile da capire. La riforma
plastica ed estetica che caratterizza queste opere appare ambigua nell’immaginario artistico locale: in Camerun osserviamo ancora una predominanza di forme d’arte
classiche, strutturate, modellate su un supporto dalla
mano dell’artista.
Claude Allemand-Cosneau (direttrice del FNAC) presenta
gli artisti di questa collezione come degli esempi da
seguire per i loro omologhi camerunensi. Un tale invito
è ricco di scommesse e quella principale, come da lei
sottolineato, è che lo Stato francese, attraverso la struttura
che lei rappresenta, acquisti le opere d’arte contemporanea. Sperando quindi anche di arricchire questo fondo
con le opere di artisti camerunensi. Semplice coincidenza
o no, in risposta a questi propositi si sono tenute le manifestazioni artistiche del secondo RAVY. Invece di artisti
camerunensi con l’originalità del proprio lavoro, abbiamo
visto il contrario.
Si è avuta una partecipazione schiacciante di artisti non
africani - francesi, polacchi,
giapponesi, israeliani, tedeschi - ed una debole e mediocre partecipazione di artisti camerunensi, che per
esprimersi in questi incontri
hanno fatto ricorso per la
maggior parte a dei codici di
rappresentazione non abituali come la performance,
l’installazione e il video.
Improvvisazione o no, la scelta è stata una condizione per
partecipare a un tale avvenimento, apparentemente
molto sostenuto e mediatizzato. L’artista Joseph
Francis Sumegne - uno dei
geni della scultura assemblata in Camerun - è apparso
timido quando gli è stata
posta la domanda sulla
scelta del mezzo della performance per questa occasione : “non è che una fase
sperimentale”, ha risposto.
Tuttavia c’è sempre da chiedersi se l’inerzia che paralizza
il campo delle arti plastiche e visive in Camerun finirà
mai. L’origine di questa inerzia sta nell’assenza di una
volontà politica di identificazione e di inquadramento
delle competenze e nell’ignoranza rispetto al ruolo
dell’arte e degli artisti nelle società, più ancora in quelle
33
artisti camerunensi investano nella ricerca di caratteri di
in via di sviluppo. Così un ambiente artistico e culturale
un’identità artistica propria. Tutto questo passa dall’invito
segnato ed indebolito si apre ad una pressante influenza
fatto a tutti gli artisti africani da Cheik Anta Diop, che nel
della cultura europea, che stabilisce le sue basi e detta le
1979 scrisse: “…un artista che porrà il problema sociale
sue leggi. A titolo d’esempio, le strutture che apportano
nella sua arte, senza ambiguità, in un modo adatto a scuotere
principalmente ed efficacemente delle soluzioni di sostela coscienza letargica; l’artista che si porrà al cuore del reale,
gno ai progetti artistici (finanziamenti, sistemazione dei
per aiutare il suo popolo a
luoghi d’esposizione, diffusione, acquisti) in Came- “gli artisti camerunensi diventano operai” scoprirlo; l’artista che saprà
eseguire delle opere nobili al
run, sono i centri culturali
fine di ispirare un ideale di grandezza al suo popolo, che sia
dei Paesi come la Francia, la Spagna, la Germania, l’Italia,
poeta, musicista, scultore, pittore o architetto, è l’uomo che
gli Stati Uniti… ed è così che si sviluppano dei meccanismi
risponde, nella misura dei suoi doni, alle necessità della sua
di sopravvivenza dell’arte contemporanea occidentale
epoca e ai problemi che si pongono in seno al suo popolo”.
attraverso delle offerte concrete, scritte sotto forma di
opportunità per gli artisti camerunensi, che ne diventano
Traduzione di Maddalena Assako Assako
gli operai.
Come scrisse Jean-Loup Amselle nel 2005 “…l’arte contemporanea occidentale si trova chiusa in un vicolo cieco
[…] e all’Africa spetterebbe allora il ruolo di principale fonte
di rigenerazione dell’arte occidentale“. È essenziale che gli
* Paul è storico dell’arte e artista, insegna all’università
di Yaoundé I; le sue opere sono state esposte in diverse collettive in Africa e negli Stati Uniti.
cartoline dai sud 3
La capanna dentro lÕAmazzonia
dal viaggio del nostro lettore Simone Teggi* nell’Amazzonia peruviana
U
na strada contorta che lentamente dalle Ande, tra
fango, pietre, vallate e fiumi che si intrecciano, discende nell’alta Amazzonia.
L’aria si fa più pesante e umida e la vegetazione si trasforma poco a poco nella foresta pluviale. Tra orchidee coloratissime, liane, foglie e alberi di rara bellezza e grandezza
cerca di farsi posto una capanna con tre stanze, fatta di
assi di legno accostate tra di loro e sopraelevate rispetto
al piano del terreno, quasi completamente vuota: pochi
mobili, qualche utensile in legno che rende i movimenti
quotidiani più rituali e oggetti che ricordano la non
“L’ospitalità del capo famiglia illumina
tutto. Ha circa 50 anni, un uomo magro
e alto, vestito quasi di niente”
Ph. Simone Teggi
lontana ed omogenea civiltà dei bisogni: un poster, una
radio, qualche oggetto di plastica colorata, alcune vecchie
amache all’interno, ed il tetto ricoperto di foglie di palma
secche intrecciate. All’esterno una piccola tettoia di legno
in cui si cucina e si consumano i pasti. Tutto è coperto di
umidità e di verde brillante, qui l’uomo non è padrone:
per sopravvivere deve trovare i suoi spazi nella natura,
deve viverci in simbiosi sperando nella sua generosità.
Questa è la valle del Palcazù, ormai unica “riserva” degli
Yanescha, una popolazione indigena essenzialmente di
raccoglitori e cacciatori che si è vista pian piano rinchiudere in un territorio sempre più piccolo dovendo lasciar
spazio intorno al XVII secolo ai missionari francescani, nel
XIX secolo ai coloni austriaci e tedeschi, nel XX secolo a
latifondisti, coloni e peruviani, e infine ai coltivatori di
coca e oppio. Questa popolazione, come tante altre, ha
lasciato la propria terra per penetrare sempre di più nella
foresta: ha combattuto, anche se raramente e a forze
impari, ma ora lo spazio non è più abbastanza per sopravvivere autonomamente.
Nella capanna vive una famiglia composta da madre,
padre, un figlio di 21 anni e una figlia di 26 con il suo
bimbo. Quando mi avvicino a quella casa, l’energia e
l’ospitalità del capo famiglia illuminano tutto. Ha circa 50
anni, un uomo magro e alto, vestito quasi di niente, ma
il suo sguardo e la sua serenità nei movimenti e nelle
azioni trasmettono tutto intorno una sensazione di controllo e saggezza. Lui è uno degli anziani del villaggio
dell’Alto Iscozacin (250 abitanti), uno Yanesha, uno degli
ultimi rappresentanti e sostenitori della cultura di quel
popolo. Passeggiamo insieme nella sua comunità e nella
foresta, mi parla di ogni pianta da persona che rispetta
e conosce a fondo il potere di quelle creature. Ogni piccola
erba, ogni piccolo frutto ha la sua funzione nella medicina
tradizionale o nell’alimentazione.
Mi parla con timore delle sue conoscenze, mi racconta
con paura delle sue tradizioni. “Qui” dice “le case farmaceutiche e i coloni non si sono limitati a rubare, ma hanno
distrutto definitivamente la nostra ricchezza”. Piante ed
erbe che per millenni hanno salvato la vita di questa tribù
non si trovano più, gli abitanti sono costretti ad abbandonare i loro villaggi o a lavorare come braccianti nelle
miniere o presso i coloni per sopravvivere, perdendo nel
tempo il loro sapere.
35
Valle del Palcazù Ph. Simone Teggi
cooperando
Ormai, da queste parti, molti dei giovani sono partiti in cerca di fortuna,
non riescono a vivere nell’isolamento
da quella confusione che domina il
mondo. I suoi figli hanno provato a
trasferirsi in città per trovare un lavoro
e vivere nella terra promessa dalla televisione.Sua figlia è andata a Lima per
lavorare ed ora ha un bimbo piccolo,
ma appena può ritorna a casa perché
è li che si sente protetta, odia la società
al di fuori dalla sua comunità ma in
fondo ne è diventata dipendente: un
legame che la trascina ma non la
convince. Suo figlio ha tentato la fortuna in città nelle segherie, ma ora ha
deciso di tornare a casa, di vivere come
suo padre gli ha insegnato. Ogni sera
esce per pescare e cacciare: un fucile
a tracolla, il machete legato ai fianchi
e tanta rassegnazione negli occhi
perché sa che probabilmente tornerà
a mani vuote.
Lavoro e formazione nel mondo della
Cooperazione e del Terzo Settore
Indirizzi utili
www.reliefweb.int - Sito OCHA (Ufficio Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) con ampio spazio
dedicato alle offerte di lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione, in particolare nel settore dell’emergenza.
Sito in lingua inglese, offre un’ottima newsletter elettronica gratuita;
www.volint.it - Sito del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), un vero punto di riferimento per l’offerta di
lavoro italiana nel settore della Cooperazione internazionale, nonché per la formazione;
LE TRE FEDERAZIONI ITALIANE DI ONG: www.cocis.it - www.focsiv.it - www.cipsi.it - I tre siti sono ricchi di offerte di
lavoro inviate dalle varie ONG federate. FOCSIV e COCIS sono inoltre Focal Point italiani per il Programma Volontari delle
Nazioni Unite (UNV);
La foresta non è più la ricchezza infinita
di una volta. I madereiros la tagliano,
in cerca di specie di alberi pregiati, i
coloni segano gli alberi per allevare i
loro animali e per coltivare: lo scempio
è evidente e le conseguenze sono orribili. Gli animali selvatici se ne vanno
e le piogge scavano dove gli alberi non
proteggono più il suolo.
www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it - Portale della Cooperazione allo sviluppo governativa, comprende una sezione
dedicata alla formazione e al lavoro, e vi rimanda anche ad altri interessanti siti stranieri per la ricerca di lavoro nel
settore;
La notte scende e anche stasera, come
ogni sera, ci si trova davanti al focolare,
tutta la famiglia assorta, ci si consola della mancata caccia,
mangiando tuberi (yuca e pituca), qualche banana, qualche
larva; i racconti della storia di quel popolo riecheggiano
nel buio come favole e la foresta con i suoi suoni ci culla
dolcemente verso la notte.
www.eurobrussels.com - The european affairs jobsite…basta la parola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita;
www.hacesfalta.org - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazione
spagnola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua spagnola;
www.coordinationsud.org - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della
cooperazione francese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua francese;
La sensazione che rimane nel cuore è di enorme ricchezza:
loro conoscono i piccoli grandi segreti della natura e la
loro indole è calma e riflessiva. Non c’è rabbia nelle loro
parole, c’è solo paura.
Ma la profondità degli occhi dell’erede degli Yanesha mi
trasmette una sensazione di fallimento che arriva al cuore,
per quello che è stato costruito a discapito, e con la distruzione, forse, dell’ultimo polmone di questa terra malata.
* Simone è cooperante e lavora come Responsabile Paese
per l’ONG Cospe in Niger. Laureato in economia politica
e con un master in agronomia, ha già trascorso più di
8 anni in Paesi del Sud del mondo.
www.charityjob.co.uk - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazione
inglese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua inglese.
www.seniores.it - Avete un padre (o una madre) in pensione, che proprio non vuol stare fermo? Speditelo con Seniores
Italia a svolgere brevi missioni di “assistenza tecnica” nei PVS. Seniores non è l’unica associazione in Italia a gestire questo
tipo di iniziativa, ma è l’unica ad essere Focal Point del Programma delle Nazioni Unite per Esperti Volontari Senior.
Naturalmente, non pretendiamo di essere esaustivi… almeno per ora.
Se vuoi segnalarci altri link utili, scrivi una e-mail a: [email protected]
LE LORO VOCI E I LORO OCCHI TI RACCONTANO IL MONDO DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA!
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L’informazione da un altro punto di vista: Il Sud del mondo racconta se stesso
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Caposud
ANNO 2 NUMERO 3
giugno - luglio - agosto 2010
Autorizzazione del Tribunale di Trani n° 7/09 del 06/04/09
Iscrizione al R.O.C. (Registro Operatori Comunicazione) n° 18863
Progetto Grafico, prestampa e pubblicità:
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skype: Caposud magazine
Telefono: +39 3297160991 • Fax: +39 1786081049
Caporedattrice:
Sonia Drioli - [email protected]
Redazione Centrale
Referenti Area/Paese: Ana Belluscio (Sudamerica), Andrea Luchetta
(Balcani), Mara Rocha (Brasile), Michaela De Marco (Medio Oriente),
Marco Simola (Perù), Silvia Koch (Senegal)
Rubriche: Mihai Mircea Butcovan (“L’osservatore romeno”)
Fotografia: Alfredo Bini, Alfredo Giangaspero (photoeditor), Ilaria Alessia
Rutigliano (ricerca iconografica), Valentina Valle Baroz (coord. vignette
e illustrazioni).
Traduzioni: Alessandra Lavermicocca, Angela Patrono, Bianca Carlino,
Ester Lo Coco, Maddalena Assako Assako, Mara Rocha, Maria Luisa
Malerba, Silvia Lezzi, Simona Sadotti, Stefania Sgherza, Valentina
Traversi, Valeria Brucoli.
Correzione di bozze: Angela Accarrino, Domenico Ierone.
Impaginazione: Antonello Dario.
Segreteria: Micaela Giangaspero.
Comunicazione e Ufficio Stampa: Fabio Dell’Olio (resp. comunicazione),
Nico Andriani (uff. stampa Puglia), Silvia Koch (uff. stampa Lazio).
Dai SUD in questo numero:
ag. stampa Adital (Brasile), Ana Belluscio (Argentina), Arthur Andrade
(Brasile), Elisabetta Zerial, Evelyn Wangui Gichuhi (Kenia), Hin Dilen
(Cambogia), redazione Kubatana.net (Zimbawe), Manuel Rozental
(Colombia), Mihai Mircea Butcovan (Romania), Montassir Sakhi
(Marocco), Paul-Henri Souvenir Assako (Camerun), Rossana Miranda
(Venezuela), Siméon Emmanuel Tchameu (Camerun), Simone Teggi
(cartolina dall’Amazzonia), Victor Alejandro Liotine (Argentina).
Foto di copertina: Ferdinand Reus (Olanda).
Fotografie di:
Aaron Escobar (Cuba), Alexandra Jones (Australia), Andres Jaquez
(Messico), Federico de la Puente (Argentina), Ferdinand Reus (Olanda),
Franco Folini (USA), Kieran Ball, Luca Tazza (Italia), Manu Dias/Agecom
(Brasile), Marcos Zion, Martin Garcia (Colombia), Nicolò Paternoster
(Italia), Patricio Barbaran (Argentina), Paul-Henri Souvenir Assako
(Camerun), Sebastian Zeigen (Germania), Siméon Emmanuel Tchameu
(Camerun), Simone Teggi (Italia), Rodrigo González (Messico), Tiago Da
Arcela (Brasile), Victor Alejandro Liotine (Argentina).
Vignette e illustrazioni di: Evelyn Wangui Gichuhi (Kenia).
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