Chiostro Sant`Agostino a Recanati

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25/11/13
Chiostro Sant Agostino a Recanati
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Luciana Interlenghi
Nata a Fermo il 21 luglio 1949.
Dopo aver conseguito i diplomi di insegnante
elementare e di assistenza sociale, si è sposata a Recanati dove conduce,
col marito e il figlio, l’azienda familiare.
Nato a Civitavec​
chia il 1 gennaio 1745, fin dalla tenera età manifestò quelle virtù
che lo avrebbero poi innalzato agli onori degli Altari. Nel Semi​
nario di
Montefiascone, per la sua angelica inno​
cenza fu considerato un secondo San
Luigi, Nonostante le diverse mire dei suoi genitori, divenne sacerdote e, anelando
a maggiore perfezione, entrò a far parte della nascente Con​
gregazione dei
Passionisti, fondata da S. Paolo della Croce.
Cara Luciana,
tra le tante «riflessioni», che hai scritto con i colori della tua poesia e che ho
sempre, gelosa​mente, conservato nel cassetto, ne ho scelte alcune.
Ho staccato dalle pareti della mia stanza i tuoi disegni, trac​ciati in punta di penna,
ne ho uniti altri dei miei e ho conse​gnato il tutto all'amico editore Andrea Livi.
Ti regalo il «risultato» con il grande amore di sempre, non senza avere, prima,
ringraziato gli amici, Maria Rita Beccacci Agostinelli, Maria Teresa Bonifazi, Marisa
Calisti, Luigina Prosperi Svampa, e Giovanni Zamponi per il loro cortese
contributo.
Preghiera
Dubbio
Sospensione
Che cosa metterò nella valigia, Signore,
quando mi chiamerai?
Ho poche cose da sistemare:
una scatola di gioventù ribelle,
una di sogni fermi
in uno sguardo non ancora spento,
una scatola di piccole malinconie dolci,
una bracciata di amore maturo.
... Ma la mia valigia
è legata con spago di paura.
V
E uno spago grosso,
spesso e teso,
a tal punto che non riesco
a slegare i suoi nodi.
La mia valigia non si apre.
Ti porterò una valigia vuota, Signore,
e ti chiederò di sciogliere i miei nodi.
Poi la riempiremo insieme
di pace.
Verso quale angolo di ciclo
indirizzeremo
i nostri passi
troppo radicati a terra?
Verso quale angolo di ciclo
alzeremo
le nostre mani
intrecciate come rami di quercia?
Cattedrali gotiche,
guglie che trafiggono
la luce del sole,
romperemo mai i confini
e apriremo mai un varco
tra le nebbie celesti, tormento di verità?
Verso quale cielo
noi?
Ectoplasmi statici
ombre vaganti
spettri residui del passato
affollano
notti convulse.
Paura atavica
in attesa
della luce.
SOGNI D'INFINITO
Sogni dimenticati
Ai miei
Ho dormito sul tuo letto
questa notte, bimba mia.
Tu, ormai libera verso altri nidi,
hai dimenticato qualche sogno sul
cuscino.
Ad essi ho regalato
il mio sonno affannoso
e ho lasciato volare il cuore.
Ci siamo trovati
un giorno d'estate
fiori di prato.
Abbiamo intrecciato
radici di vita
e colorato di sole
le nostre danze.
Chini verso la terra
recipienti d'amore
raccogliamo stelle di luna
Aspettami, amore mio,
sto venendo da te.
Percorrendo strade in salita,
dove crescono le ortiche,
inciamperò di certo,
ma arriverò da te,
amore mio.
Scioglierò i lacci che ti imprigionano
e quando indietro
insieme torneremo,
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semineremo il gelsomino azzurro
e strapperemo «le spine ai cardi»*
le farfalle riposeranno sui bei fiori violacei
r i calabroni neri fuggiranno.
Cavalcando i raggi di luna
che illumineranno le nostre notti,
lacerato il buio,
resteremo
ad intrecciare sogni d'infinito
* Genesi, 18
A mia madre
Accoccolata
tra i ricordi
il tuo abbraccio
mi avvolge.
PER IL COMPLEANNO
DI MIA MADRE
A mio padre
Un letto
occhi tranquilli
mani in preghiera
respiro lento... mio nonno.
Mani che disegnano,
occhi pensosi e attenti
al tratto sicuro.
Le mie braccia si
fanno cornice
intorno al quadro
che mi appartiene ...
e ti stringo forte.
A MIA FIGLIA
DEDICATO A TE
NONNO
Percezione inerte
irreale
eterea
di te
passaggio lieve di farfalla
nel mio essere
madre
comunque... sempre
figlia mia.
PENSIERI DOMESTICI
Nel panorama variopinto
scelgo
il cibo da mettere in bella mostra
nei piatti dei miei.
Pasto veloce a mezzogiorno!
Per non compromettere la dieta,
un abbondante e sano contorno
d'amore.
Da consumare il tutto
rigorosamente
a televisore spento.
Le mani nella schiuma,
in un rituale quotidiano,
accatastano pentole e stoviglie.
Dolce nenia
per la memoria
lo sciacquio nel lavello.
da regalare al ciclo.
Ho percorso strade di miele
ho cantato poesie di felicità
ho colorato gli occhi di sole
e ho trovato te
che mi aspettavi
amore mio.
RECANATI
L'intreccio di rami senza foglie,
merletto della stagione invernale,
è cornice di questo paese
che mi accoglie
da un tempo ormai ricco di ricordi.
Io che non smetto di stupirmi
Alla vista dei suoi colori.
L’abbraccio con lo sguardo
alla recitando la preghiera della sera.
Sei tu
piccolo involucro
il contenitore prezioso
dei miei affetti...
e gli occhi
piangono amore
ricordando.
TU
Nel teatro della mia vita
una sola scena è vera
una sola frase è viva
un solo interprete recita
Tu...
Nel teatro della mia vita
scende il sipario:
la commedia termina.
Nel buio,
fermo, il ricordo di te
e resto sola
a criticare
la mia regìa.
OMBRE
Profumo di gelsomino e petunie
nella casa in sonnacchiosa penombra.
Una lama di luce
trafigge il buio della stanza
che sa d'antico.
Vecchie storie
aleggiano
tra quadri e ninnoli
accarezzati
da mani intente a scansare
la polvere degli anni.
Ombre fluttuanti,
ricordi, fantasmi
nelle pieghe della memoria.
Sulla poltrona di pelle
la vecchia Signora con la falce
...aspetta sorniona.
SUI MERCATINI
DELL'ANTIQUARIATO
Regalo foto agli amici
per ricordare storie che abbiamo vissuto
insieme:
coriandoli della mia e della loro vita,
tessere medesime di mosaici così
diversi,
ma sovrapposti per un pugno di tempo.
Chissà un giorno chi mai raccoglierà
quelle impronte lasciate sulla carta?
Noi saremo lì, comunque,
ancora insieme,
a sorridere tra vecchi amici,
suini banchetti
dei mercatini dell'antiquariato.
IN ATTESA DELLA FESTA
Luce di vetro
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e silenzio di fede
rotto solo dagli affanni bisbigliati.
e il profumo del Natale
nella cattedrale
in attesa della festa.
LA CASA DI RIPOSO
Nella luce fredda
dei corridoi
della casa di riposo,
sospesi,
fluttuano
i ricordi
e negli occhi di vetro
le immagini
di tempi andati
e di gesti
di giorni vivi.
Tutto fermo...
in attesa del nulla,
nella luce fredda
dei corridoi
della casa di riposo.
LA CASA DI SUSANNA
È una spirale d'amore
la casa di Susanna
e i mattoni solidi
salgono a scala di speranza.
Il legno del soffitto
della casa di Susanna
è legato con corde di desiderio.
Ondeggiando al vento
il gelsomino crescerà
per impedire il passaggio alla lucertola.
La luce della casa di Susanna
sarà di mille vivacissimi colori
e la bambola dell'infanzia
attenta...
da una sedia a dondolo
guarderà Susanna
diventare donna.
La valigia
È facile immaginare la forma ed il contenuto della Valigia di Luciana. Sicuramente essa è vasta, profonda, accogliente e confortevolmente
calda: un sereno rifugio, per i suoi cari.
Ma è immaginabile la fatica necessaria per renderla così? Quanto meticolosa e attenta sia stata la cura posta nell'attenuare ogni possibile
asperità?
Il contenuto spande i familiari, confortanti odori di senti​
menti eterni, vissuti con amore «.. .pasto veloce a mezzogior​
no!/ Per non
compromettere la dieta,/ un abbondante e sano contorno d'Amore»,
E sono immaginabili la determinazione, il rigore, la costan​
za, la disciplina necessari a mantenerli sempre rigogliosi? «...ed io,/ albero di
Natale per i miei/ con i doni/ appesi alle braccia,/ ho voglia/ di felicità». «... ancora una volta/ apriamo la, scatola/ delle statuine del
Presepe!'personaggi della famiglia anch'essi». Riusciremo a capire quanto sia stato faticoso riporre nella valigia intatto tutto ciò che è
necessario preser​
vare «... una scatola di gioventù ribelle,/ ... una scatola di pic​
cole malinconie dolci/ una bracciata di amore maturo»; con
quanta paura ogni giorno Luciana controlli che tutto il conte​
nuto sia in bell'ordine, pronto per la chiusura; il dolore nello scoprire che la
valigia va rifatta, va rifatta, va rifatta, quasi ogni giorno.
Nella valigia di Luciana ci sono tutte le cose che ognuno di noi vorrebbe tesaurizzare e contemporaneamente mancano tutti gli strumenti di
difesa personale.
Luciana si consegna totalmente all'amore «... Vivo la vita/ respirando amore/ il cuore canta... » e la vulnerabilità è la paura più profonda «La
mia valigia è legata con spago di paura/ è uno spago grosso/ spesso e teso». La consapevolezza che nulla o quasi potrà se i nodi
decideranno di non scioglier­ si, e che non basterà tutto l'amore di questo mondo per far sì che questo avvenga.
La paura di dover constatare che pur avendo fatto tutto, anche l'impossibile, forse ciò non sarà abbastanza.Il suo cuore trema ma non per
sé che scherza con i «cari amici... vi conto,/ ordinati,/ come su scatole di cioccolatini/ protetti/ dal marmo/ Lucidato a dovere... », mentre «...
la vec​
chia Signora con la falce/... aspetta sorniona... », trema per i suoi cari «... e lei correva,, correva per loro/ correva sempre, sì...», e
vorrebbe per loro ciò che ella stessa ha ricevuto: «.. .pappe dolci/.,.e cure d'amore... ».
E allora non resta che mettere tutto nelle sole mani che possono «.... Raccoglieremo foglie d'ulivo/ e ne faremo ali/ per liberare/ da
abominevoli braccia/ l'Agnello sacrificale... ».
Nella Valigia di Luciana c'è una Fede profonda, lucida nel suo totale abbandono anche se occasionalmente trafitta dal dubbio «... Verso
quale angolo di cielo/ indirizzeremo/ i nostri passi/ troppo radicati a terra...», ma consapevole della responsabilità che comporta il possesso
di un'anima immor​
tale che deve essere riconsegnata intatta dopo il passaggio ter​
reno «...curva verso la terra,/ ruga profonda di me stessa,
avrò vergogna/ nel presentarmi/. ...E riconsegnerò a Te/ il cuore palpitante di fanciulla», e la funzione della valigia è anche questa:
preservare un cuore di fanciulla.
Luciana con piana, impeccabile scrittura descrive ­ come del resto fa magistralmente anche con penna e china ­ per amorose spirali, il
mondo degli affetti che la circonda e che lei circonda di cura perché esso non perda il senso, la sostanza, la profondità; perché nulla,
neanche la più piccola briciola vada perduta. La Valigia di Luciana si fa, quindi, scrigno a prote​
zione di «gioie preziose».
Maria Teresa Bonifazi
Un sogno
Dal getto della pura sorgente si irradiano i colori dell'arco​
baleno, essi si elevano, raggiungono il cosmo e da ogni colore nasce una sfera.
Tante sfere, insoliti pianeti dalle tinte ora cupe, ora tenui. Tutte ospitano contenuti diversi: dubbi, sof​
ferenze, malinconie, piccole gioie non
ancora concretizzate. All'unisono si spingono nella profondità dello spazio, alla ricerca della verità e della tanto agognata pace.
Luciana sogna, sogna un mondo distaccato dall'umanità condizionata dalle passioni terrene, serrate con lacci nodosi e radicate nella terra
impervia, cosparsa di ortiche.
Sogna (nel sogno la speranza) di raggiungere la vetta, approdo felice, priva di barriere segnate dall'indifferenza.
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Barriere dense di nebbia con ombre vaganti, tese ad intor​
pidire le menti e le rughe che appassiscono gli animi...
...Chissà...non è un sogno? Una lucida visione?
Possibile futuro: le sfere nella loro danza cosmica si fondo​
no, trasformandosi in luminose galassie, dispensando nuova vita, profumi
d'innocenza e di Luce ritrovata.
Maria Rita Beccacci Agostinelli
Delicatezze
La delicatezza delle immagini e dei ricordi, vivide gemme, sfuma in un alone di leggiadria fiabesca che avvolge l'animo del lettore come una
tenera carezza.
Sono grata alla giovane poetessa per i momenti di lieta e serena lettura.
Luigia Prosperi Svampa
UNA VOCE POETANTE E L'ECO DI UN ASCOLTO
Le brevi riflessioni che intendo porgere al lettore dei versi di Luciana Interlenghi non hanno l'intenzio​
ne di disperdersi in ragguagli criti​
ci.
Sono persuaso, infatti, che il pensiero poetico debba attraver​
sare il gusto dello spinto e deposi​
tarsi nell'animo senza che eccessi​
ve o
inopportune chiose ne detur​
pino l'iridescenza affaticando inutilmente i sensi e la mente di chi ascolta. E vano tentare di redi​
gere una
spiegazione di ciò che non è spiegabile, di ciò che «lin​
gua mortai non dice» (Leopardi); si può tutt'al più, e questo magari è doveroso,
confessare una reazione, ammettere di esse​
re trapassati da qualcosa che, mentre ci trapassa, proprio in quel momento ci sfugge. È con
tale disposizione interiore che mi sono avvicinato ai Semplicemente... pensieri dell'autrice. Non so se questo è stato scelto qual titolo
definitivo della silloge, di certo è suggestivo e programmatico.
Dirò, per rimanere fedele al mio intento, che nell'avviarmi al seguito di quei pensieri sono stato subito colpito da una divaricazione che
sembrava attraversare le pagine come un solco o forse un crinale, amabilmente poi confluendo come una tenera carezza, insieme pacata e
frizzante; un sottovoce filtrato, un rimando continuamente presente. Su un versante la riva procedeva per annotazioni fortuite e quasi
diaristiche, asciutte e spedite, come una stenografia del cuore, e come in
attesa di essere ricomposte e riconsegnate in racconti più arti​
colati, più orchestrati. Ma poi, man mano che la lettura avan​
zava, mi
accorgevo con crescente stupore che quella stenogra​
fia non era il preliminare ma il risultato, non lo strumento marginale o il metodo ma la
sostanza stessa di un vivere poe​
tando, o di un poetare vivendo; una musica che prendeva il largo e chiamava a raccolta, armonizzandole,
tutte le sensa​
zioni e le emozioni del vissuto quotidiano, dalle più semplici a quelle più ricche di legami e riferimenti.
Ho avuto, insomma, presto contezza di non trovarmi al cospetto di una spigolatrice della penna che collezionava le opere e i giorni in
segmenti d'impressioni perché un provvi​
denziale e sapido lievito giungesse successivamente a fermen​
tarle per ottenerne dolci liquori e pani
fragranti. Liquore e pane erano già (nel)le righe, e quelle stesse, nel loro assiepar​
si e diradarsi, erano già una ri­scrittura sapida e
affezionata della vita in tutti i suoi dettagli, di anni o di secondi, di sogni e di memorie, di segni ed enigmi, di attimi e di eternità.
Nulla sfugge ­ e ciò è mirabile ­ al cor inquietum (lo dico agostinianamente) di quest'anima assiduamente poetante. Mentre noi ci attardiamo
a osservare le cose, o per meglio dire a sorvo​
lare su di esse, e le notiamo per la loro nuda datità, per la loro banda utilitaristica o
consumistica, o semplicemente secondo i luoghi comuni dell'abitudine intrisa di illusioni e di disillusioni, l'occhio di Luciana Interlenghi vede
chiaro, scorge sempre qualcos'altro in filigrana dorata, avverte costantemente l'appello di un altrove. Dalle foglie secche d'autunno, ai cicli,
alle stagioni e alle ricorrenze, fino ai lembi più insignificanti del trascorrere dei giorni, tutto le parla con un'altra lingua eviterna, tutto le
raccon​
ta di vicende per noi inafferrabili, che lei ci tende dipoi in forma di rapidi graffiti o di efficaci pennellate di parole.
L'invidiabile agevolezza con la quale brandelli di zolle sono trasformati in serti di fiori allude al respiro di un animo
perennemente immerso in uria dimensione che non è azzarda​
to definire mistica, giacché anche la ricerca di un umanissimo contatto con il
divino vi è inclusa, e proprio a partire dagli oggetti, come ultimo piolo di una scala che poggia in terra ma saldamente si ancora a un
panorama disegnato dal non­spazio dello spazio e dal non­tempo del tempo.
Ve un'identificazione dello sguardo con il nome segreto delle cose, e da quella identificazione trascende una meta​
morfosi di tutto l'essere e
delle cose stesse verso una sintesi più alta, dove la descrizione è assorbita dall'illuminazione, la circostanza dall'essenza, il frammento
dall'infinito. Una sim​
biosi sulla linea di confine, là dove al poeta è chiesto di com​
pletare il mondo: è questa la riva della rivelazione dalla
quale Luciana Interlenghi fissa la realtà con atteggiamento di figlia e di abitante di una casa di cui non può che scoprire e catalo​
gare se non
i particolari. Anche gli affetti sono particolari.
Ma, al tempo stesso, sempre sul bordo di quella riva, ella rigenera un kósmos con gesto di madre e ce lo affida. È un grembo fecondato da
un amore che travalica gli intrecci ine​
stricabili dell'esistenza per aprirsi al richiamo delle sue inson​
dabili e invisibili regioni, restituendole a noi
come ragioni di senso, o almeno come risorsa di tutela dallo smarrimento.
Mi piace immaginare come l'ape che dagli innumerevoli e sparsi fiori, quasi come da incontri fuggevoli e contingenti, sugge il nettare
nascosto oltre l'apparenza, ma non celato a lei che ne possiede l'istinto vivente, il sensore adeguato, il codice di riconoscimento. Ella non
toglie nulla, che anzi il suo posar​
si di corolla in corolla è premessa e promessa di altri germo​
gli, di altri fiori, di altri frutti. E per tutti il nettare
si muta in dolcissimo miele, elaborato con sollecitudine meditata, offer​
to con infinita tenerezza.
Giovanni Zamponi
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